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Personaggi Illustri   Cerca

Franco Nicolò 
 Febbraio 1, 2017  wp_1307569

A cura di Pierluigi Piano, Altri articoli in


Personaggi Illustri
liberamente tratto da F. Pignatti, voce Franco, Nicolò, in Dizionario
Bibliogra co degli Italiani, vol.50 (Francesco I Sforza – Gabbi), Roma,
Condottieri, Principesse,
Istituto della Enciclopedia Italiana, 1998, pp.202 – 206.
Letterati
Nicolò Franco nacque il 13 o il 14 settembre 1515 a Benevento da Anne d’Alençon
Giovanni, di umili origini. Sui suo studi poco ci è dato sapere forse
dopo aver intrapreso studi giuridici, il Franco si dedicò alle lettere. Arianiti Costantino
Verso il 1535 si stabilì a Napoli, dove pubblicò epigrammi latini Arrivabene Giovanni
raccolti sotto il titolo di Hisabella (Napoli, Sultybach e M. Cancer). Francesco
Isabella Di Capua principessa di Molfetta, moglie del vicerè di Sicilia
Ferrante Gonzaga ne fu l’ispiratrice. A Napoli godette della Astesano Antonio

protezione del concittadino Bartolomeo Camerario, docente di Bagarotti Antonio


diritto feudale e dal 1529 presidente della Regia Camera, il quale lo
introdusse negli ambienti letterari partenopei. Le speranze di una Baronino Bartolomeo

rapida a ermazione dovettero tuttavia restare frustrate e a Napoli Barzizza Guiniforte


il Franco condusse per qualche anno una vita stentata. Un
soggiorno a Roma, di cui parlano alcune fonti, non è documentato. Beccaria (Beccio) Incisa
Grattarola Francesco
Nel giugno 1536 era a Venezia, ospite dell’oratore del duca di
Mantova Benedetto Agnelli, presentato pare addirittura da Tiziano. Bellone Niccolò
Nella città lagunare il Franco tentò di farsi luce cercando invano di
Bobba Ascanio
ripubblicare l’Hisabella e delle stanze composte in occasione della
sua partenza da Napoli, intitolate Peregrino o Peregrino riformato Bobba Marcantonio
(oggi perdute). Alla disponibilità del tipografo Francesco Marcolini si 
Bottazzo Giovanni Iacopo
deve l’edizione, nell’agosto 1536, del poemetto in ottave Il tempio di
Amore (una stampa senza note tipogra che è forse anteriore di un Bruno Ludovico
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anno), dedicato ad Argentina Rangone, moglie del conte Guido,
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Caccia Guglielmo detto il
feudatario della Romagna e residente a Venezia in qualità di
Moncalvo
oratore cesareo.
Caccia Orsola Maddalena
Dietro questa dedica è da vedere l’aspirazione del tipografo
forlivese a conciliarsi la protezione dell’illustre personaggio e Cairo Ferdinando
conferma questa ipotesi la lettera di dedica allo stesso Rangone, a
Campana Cesare
nome dell’editore ma di pugno di Nicolò Franco, che precede la
Musica in canto gurato, formata da francesi autori pubblicata dal Cane Beatrice
Marcolini nel 1537: troppo poco tuttavia per concludere che lo
Cane Facino
scrittore fosse remunerato dall’impresa tipogra ca come
collaboratore e correttore. Il tempio, come ha mostrato C. Siriani Cane Ottaviano
(Un plagio di Nicolò Franco), è un plagio e ettuato dal Franco ai
Cane Ruggero
danni di un omonimo componimento di uno sconosciuto autore
napoletano, tale Capanno, al secolo Iacopo Campanile, che fu Canepanova Guglielmo
pubblicato ad Alife l’11 giugno 1536, cioè lo stesso mese in cui il
Cantelmo Berengario
Franco giunse a Venezia. Evidentemente egli ne aveva portato con
sé da Napoli una copia manoscritta e una volta giunto a Venezia Cantoni Gaspare
pubblicò senza scrupoli l’operetta come cosa sua, limitandosi a
Capello Oliviero
sostituire i nomi delle gentildonne napoletane che vi erano
celebrate con quelli di dame veneziane. Carletti Angelo

Grazie alla frequentazione del Marcolini e agli u ci del poeta Carrara Giovanni Michele
Quinto Gherardo, il Franco entrò nella cerchia di Pietro Aretino, che Alberto

nell’agosto 1537 lo accolse nella sua dimora sul Canal Grande e Cassini Samuele
nutrì all’inizio per lui grande stima. Il giovane Franco contribuì alla
composizione di opere dello scrittore, anche in virtù della buona Castellari Bernardino

conoscenza del latino, con cui l’Aretino non aveva dimestichezza. Clerico Ubertino
Per lui il Franco interpretò le opere dei padri della Chiesa e i testi
liturgici che Pietro utilizzò per la composizione delle sue opere Cocconato Annibale
Radicati
sacre composte tra il 1538 e il 1540 (la Genesi, la Vita di Maria
Vergine, la Vita di s. Caterina) e con certezza ebbe parte cospicua Cocconato Giovanni
nell’allestimento del primo libro delle Lettere. La rottura tra i due
Cocconato Guidetto di
scrittori è posteriore all’agosto 1538. Diversamente da quanto volle
far credere l’Aretino, la causa della lite non va ricercata nel Cocconato Guido
carattere permaloso e inso erente del Franco, bensì nel volume di
Cocconato Pietro
Pistole vulgari che questi, emulo e concorrente del maestro, aveva
approntato nello stesso tempo in cui collaborava all’epistolario di Cocconato Uberto
Pietro. Il volume vide la luce solo nell’aprile 1539 e, a causa
De’ Ferrari Giolito
dell’ostracismo dettato dall’antico protettore nella libreria del
Bernardino
Marcolini, a opera dello stampatore francese, attivo a Venezia,
Antonio Gardane (che eseguì anche una seconda edizione
lievemente rimaneggiata nel 1542). Le lettere raccolte vanno dal 10

De’ Ferrari Giolito Gabriele
settembre 1531 al 4 novembre 1538, ma la dedica al vescovo di De’ Ferrari Giovanni senior
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Fréjus Leone Orsini in data luglio 1538 è sintomo che le ultime
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Della Fonte Bartolomeo
epistole furono redatte apposta per la pubblicazione.
Duglioli Elena
Nel settembre e nell’ottobre 1539 uscirono altre due opere del
Franco, destinate a maggiore fortuna delle Pistole, per le quali, a Faà Camilla
detta dell’Aretino, l’editore ebbe addirittura una remissione delle
Filelfo Giovanni Mario
spese:i Dialoghi piacevoli (Venezia, Giovanni Giolito, 1539,
ristampati da Gabriele Giolito nel 1541, 1545, 1554, 1559; in Ga urio Franchino
edizione purgata col titolo Dialoghi piacevolissimi da A. Salicato nel
Galeotto del Carretto
1590 e da F. Giuliani e G. Cerutto nel 1593) e il dialogo intitolato Il
petrarchista (uscito in ottobre presso Giovanni Giolito, poi per Gattinara Mercurino
Gabriele Giolito nel 1541, 1543; nel 1623 per B. Barezzi con il titolo Arborio
Li due petrarchisti), opere entrambe impegnate ad a ermare nella Grammorseo Pietro
vita culturale del momento un punto di vista di arcigno e
battagliero moralista, calato in forme «piacevoli», ma non per Guazzo Stefano

questo meno gra anti e polemiche. Litta Biumi Pompeo

Nonostante il triplice exploit letterario che, come provano anche i Margherita Paleologo
privilegi decennali concessi dalla Serenissima Repubblica alle tre
Morétti Cristoforo
edizioni, aspirava a essere un’a ermazione solida e duratura, la
situazione del Franco a Venezia si deteriorò rapidamente e nel Pio V
clima di guerra aperta che si scatenò con l’Aretino fu il Franco a
pagare le conseguenze. A metà del 1539 fu ferito con una coltellata
al viso da un «creato» di Pietro, il milanese Giovanni Ambrogio degli Articoli recenti
Eusebi, che poi ricevette dal padrone protezione e appoggio presso
i tribunali. Il Franco comprese che la sua posizione si era fatta 21 dicembre 2018 Messa e
troppo rischiosa. Lasciò Venezia alla ne di giugno 1539 alla volta di inaugurazione Centro di
Padova (dove fu probabilmente ospite di Sperone Speroni), con il Documentazione

progetto di riparare in Francia presso la corte di Francesco I. Passò Assemblea 2018


quindi a Casale Monferrato, dove trovò una benevola accoglienza Il vino nella storia del
da parte del governatore della città Sigismondo Fanzino e dei Monferrato
letterati locali, che lo indusse ad accantonare i propositi di tentare
Dalle nebbie del Monferrato
la fortuna in terra di Francia. A Casale il Franco si trattenne per
a quelle del Mantovano
sette anni no al 1546. Al riparo delle protezioni conseguite nella
Il Giardino delle Parole
piccola ma vivace società casalese poté dare sfogo al risentimento
verso l’odiato rivale dando alle stampe le Rime contro Pietro
Aretino e la Priapea, raccolta di sonetti satirici e lussuriosi, usciti
Archivio
nella seconda metà del 1541 con l’indicazione di Torino per i tipi
dello stampatore Giovanni Antonio Guidone, che teneva o cina
Dicembre 2018 (1)
anche a Casale.
Novembre 2018 (2)
Le Rime e la Priapea non ci sono giunte nell’editio princeps e
neppure in una ristampa pare eseguita a Mantova nel 1546, bensì
Ottobre 2018 (1)

Settembre 2018 (3)
nella terza edizione molto accresciuta curata dall’autore per i tipi di Agosto 2018 (3)
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M. Gringo a Basilea nel 1548. La Priapea fu probabilmente ispirata
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Luglio 2018 (3)
al Franco dalla pubblicazione nel 1534 della collettanea aldina
Diversorum veterum poetarum in Priapum lusus insieme con Maggio 2018 (5)
l’Appendix virgiliana e con i Priapea pseudovirgiliani. Al commento Aprile 2018 (5)
di questi ultimi il Franco si applicò sin dagli anni veneziani,
Marzo 2018 (6)
proseguendo nel ventennio successivo n quando l’opera non gli
venne sequestrata e distrutta durante la prima carcerazione subita Febbraio 2018 (3)

a Roma nel 1558 – 59. Rispetto alle Rime, nella Priapea maggiore Gennaio 2018 (1)
intensità registrano gli accenti anticlericali e sono riprese e
Novembre 2017 (5)
accentuate le invettive già di use nelle Rime contro principi e
Ottobre 2017 (7)
potenti (la raccolta si conclude con una lettera «A gli infami principi
del infame suo secolo»), coliti nelle loro laidezze private. È per Settembre 2017 (277)
questo che la Priapea, più delle Rime, ebbe un impatto cospicuo Agosto 2017 (2)
sull’opinione pubblica e sui potenti, connotando in maniera decisiva
Luglio 2017 (276)
l’immagine pubblica del Franco come un letterato maledico e
immorale anche per il futuro, quando si sarebbe orientato verso Giugno 2017 (131)

generi seri. Febbraio 2017 (117)

Accanto a questa iniziativa scandalosa con la quale egli pagava il Gennaio 2017 (17)

tributo all’identità che egli stesso si era voluto costruire, il Franco fu


sollecito a dare fuori un prodotto più tradizionale e integrato,
rivolto propriamente al pubblico casalese. In sorprendente
simultaneità con la Priapea concepì con tutt’altro spirito il Dialogo
dove si ragiona delle bellezze, nel quale celebra le donne di Casale
e attribuisce loro ogni pregio (in contemporanea alla stampa
casalese per il Guidone del 1542, il libro uscì a Venezia per A.
Gardane). Inoltre le chiare lodi rivolte nel libretto ad Alfonso
d’Avalos, governatore di Milano, e alla di lui consorte Maria
d’Aragona, e per tramite loro a Carlo V, fanno intendere l’intento di
cercare in quella direzione nuovi e più augusti protettori, come
confermano numerose lettere dell’epistolario inedito [rectius: in
corso di stampa] nel ms. Vat. Lat. 5642 della Biblioteca Vaticana.
Con questa diverse venature la presenza del Franco a Casale fu
radicata nella realtà cittadina e circondata da debita
considerazione. Fondò e presiedette col nome di Clonato
l’Accademia degli Argonauti, alla quale si a liò il or ore dei
letterati del posto, nonché personalità provenienti dai domini
gonzagheschi e da altri Stati. Degli anni casalesi sono le edizioni,
curate dal Franco della commedia Li sei contenti ( Casale, G. A.
Guidone, 1542) e della tragedia Sophonisba (Venezia, G. Giolito,
1546) di Galeotto Del Carretto.

In questi anni casalesi cadono anche i primi approcci concreti per
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una sistemazione cortigiana. Nel 1543 da Milano il duca Ferrandina
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Antonio Castriota tentò con insistenza di assumerlo al suo servizio,


ma il Franco  respinse le pro erte. Si legò invece, pur restando a
Casale, a Giovanni Cantelmo conte di Popoli. Tra la ne del 1545 e
l’inizio del 1546 data l’improvvisa partenza per Mantova, dove si
trovava nel gennaio 1546. Dall’epistolario della Vaticana sembra di
ricavare che il brusco epilogo del soggiorno fosse dovuto a una
condanna in ittagli per aver reagito a un’o esa. Il cenacolo degli
Argonauti non ebbe ne con la sua partenza da Casale. A Mantova
fece stampare sotto il suo controllo per i tipi di I. Ru nelli i Dialoghi
marittimi dell’accademico Giovan Jacopo Bottazzo, con
un’appendice di rime proprie (59 sonetti) e degli altri Argonauti. Del
Franco avrebbero dovuto vedere la luce sempre per il Ru nelli
anche un dialogo sui Pesci, uno sulla Fortuna, un Centonovelle,
Quattro libri di lettere, il Duello, le Prediche. A una Volgare historia
in dieci libri si trovano accenni sparsi nelle lettere; e nell’epistola A
gli infami principi in calce alla Priapea è annunciata come completa
e di prossima pubblicazione con dedica ad Alfonso d’Avalos. Ma per
tutti questi titoli è di cile distinguere se si tratti di progetti concreti
e già in corso d’opera o di semplici petizioni ostentate per vanteria.
A Mantova fu invece pubblicata la Philena (I: Ru nelli,1547) con
una pomposa dedica al conte di Popoli.

Si tratta di un lungo romanzo psicologico nel quale il Franco narra


la rigenerazione morale dell’uomo che si emancipa dalla servitù
delle passioni per dedicarsi alla contemplazione esclusiva di Dio. La
vicenda o re pochi appigli documentari, presentandosi come una
miscela nel complesso sconnessa e farraginosa di stati d’animo ed
e usioni sentimentali priva di una vera e propria trama e
cementata più che altro dal tono artatamente oratorio della prosa,
farcita di memorie dantesche.

Il soggiorno mantovano si concluse nel 1548 con il viaggio a Basilea


per la stampa della terza edizione della Priapea. La scelta di uno
stampatore in una città riformata sarà stata verosimilmente
motivata dall’audacia del contenuto del libretto, che in questa
edizione, con l’aggiunta delle rime anticlericali e contro i Farnese,
ri etteva in parte l’orientamento antifarnesiano assunto dai
Gonzaga. Dopo il rientro da Basilea, gli spostamenti del Franco si
fanno più frequenti, ma su questo periodo della sua vita le
informazioni sono incerte e il quadro complessivo che ne emerge
poco chiaro. Al seguito di Giovanni Cantelmo viaggiò tra la
Campania, gli Abruzzi, la Toscana. Nel 1551 lo seguì in Calabria pare

con l’incarico di segretario. A Cosenza animò con i letterati locali
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un’accademia e compì forse un viaggio in Sicilia. Già nel 1552 però il
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Cantelmo, forse per di coltà nanziarie, licenziò il Franco, che


verso la metà di aprile fu costretto a ritornare a Napoli, dove trovò
un nuovo padrone nel principe di Bisignano Pietro Antonio
Sanseverino. In questo periodo cade il ritorno alla composizione
latina con quattro endecasillabi (anteriori al novembre 1552, due
soli ci sono giunti), lo studio della Poetica di Aristotele e la raccolta
delle poesie edite e inedite di Francesco Maria Molza, o erte in
dono a Giovan Iacopo Carafa al principio del 1555. Nel frattempo
era però terminata anche la remunerazione del Sanseverino,
perché il principe aveva lasciato Napoli per partecipare alla guerra
di Siena; il Franco non percepì più lo stipendio e visse per suo conto
in misere condizioni.

L’elezione al soglio ponti cio nel giugno del 1555 di Gian Pietro
Carafa, Paolo IV, riaccese la sue speranze; al Franco sembrò di
poter contare sull’appoggio di due nipoti del papa, Giovan Iacopo
Carafa e il Cantelmo, a nché gli fosse levato l’interdetto dallo Stato
della Chiesa comminatogli da Poaolo III. Ma le lettere di preghiera
indirizzate al Carafa, al Cantelmo e all’altro nipote del papa, il
potentissimo cardinale Carlo Carafa, non sortirono alcun e etto.
Senza esito fu anche un suo viaggio a Roma nell’agosto 1555. A
Roma regnava nei suoi confronti un clima di di denza e di
sospetto per le lubriche invettive anticlericali della Priapea, sulle
quali l’in essibile Paolo IV non intendeva transigere (nel 1559 la
Priapea con le Rime contro Pietro Aretino furono messe all’Indice).
Nel 1556, in occasione della morte del fratello Vincenzo, il Franco
soggiornò per un periodo a Benevento e in questa occasione
compose i capitoli satirici Del sei, Del sette, Dell’otto contro alcune
magistrature cittadine e il capitolo Sull’uso della berretta contro gli
adulatori. Verso la ne di giugno 1558, dopo che la pace tra il papa
e gli Spagnoli aveva reso la situazione più tranquilla, osò recarsi a
Roma per perorare di persona le sue ragioni, ma poco dopo il suo
arrivo, la sera del 15 luglio, fu arrestato, apparentemente senza un
valido motivo, in casa di Bartolomeo Camerario, allora commissario
generale per l’Annona, che fu tratto anch’egli in arresto per
malversazione. Il Franco rimase in prigione per otto mesi, cinque
dei quali trascorsi nel carcere dell’Inquisizione a Ripetta. Riottenne
la libertà il 6 febbraio 1559 e, grazie all’intervento del duca di
Paliano Giovanni Carafa, gli furono restituite le carte sequestrate.
Verso la ne del 1560, il Franco si trasferì presso il cardinale
Giovanni Morone, con il quale visse no al gennaio 1568, senza 
tuttavia entrare nelle simpatie del prelato. Questo servizio non creò
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a Nicolò Franco grandi opportunità: di una traduzione di Omero
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parlò occasionalmente con Paolo Manuzio, che frequentava la casa


del Morone; una tragedia o commedia Dell’onore, nella quale erano
rivolte molte critiche ai principi contemporanei, fu mostrata ad
alcuni amici.  Erronea è la notizia secondo la quale a Roma avrebbe
vestito l’abito sacerdotale, e inverosimile è pure che l’indole satirica
e maledica dello scrittore si sia esplicata da subito con pervicacia
nell’ambiente romano, condizionato dalle velenose rivalità tra i vari
partiti curiali. Il Franco giungeva preceduto da una fama rischiosa di
autore di pasquinate, ma non ci sono prove al di là delle induzioni
dei biogra , né era nel suo interesse che andasse già allora a
ingrossare le la dei gazzettieri e menanti.

Ciò avvenne solo dopo la morte del severo Paolo IV e la disgrazia


dei suoi potenti nipoti, che avevano retto lo Stato della Chiesa in
vece del ponte ce. Nicolò Franco ottenne le carte del processo
fatto celebrare da Pio IV contro i nipoti del Carafa dal vescovo
Alessandro Pallantieri, procuratore scale, a nché vi attingesse
materiale per comporre un violento libello anticarafesco, il cui titolo
completo fu Commento sopra la vita et costumi di Giovan Pietro
Carafa che fu Paolo IV chiamato, et sopra le qualità de tutti i suoi et
di coloro che con lui governaro il ponti cato.

L’opera si componeva di una parte in prosa composta interamente


dal Franco, che si valse propriamente degli atti del processo; e di
una parte in versi contenente le rime di un gran numero di autori
che avevano scritto contro Paolo IV e la sua famiglia anche prima
del processo (l’elenco parziale in Mercati, I costituti, pp. 93 s.),
compresi una ventina di sonetti del Franco. Del ponderoso volume
si conserva un cospicuo frammento nel cod. Ottob. Lat. 2684 della
Biblioteca apostolica Vaticana (cc. 347r – 570v) in forma di dialogo
tra Pasquino e Martorio che si raccontano le malefatte del cardinale
Carlo Carafa.

La situazione relativamente tranquilla di cui godette il Franco a


Roma mutò all’improvviso nel 1556 con l’elezione al soglio ponti cio
dell’in essibile Pio V. Il Ghislieri intraprese una politica di rigida
moralizzazione di cui fecero subito le spese gazzettieri e menati. Il
processo ai Carafa fu sottoposto a revisione. La sentenza di
assoluzione rese scontata la vendetta contro il Franco, che fu
arrestato e messo a disposizione degli inquisitori il 1° settembre
1568. Il Pallantieri rese la sua prima testimonianza il 17 settembre,
assumendo un atteggiamento reticente al di là di ogni credibilità 
nei confronti delle dichiarazioni circostanziate del Franco e degli
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altri testimoni. Tutta la sua strategia difensiva riguardo al libello
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anticara ano fu in seguito impostata sulla smentita delle


a ermazioni del Franco, che tentò di far passare per un
personaggio losco e corrotto, alle cui di amazioni non bisognava
prestare fede. Non fu creduto e, inasprita la disposizione del
tribunale con una condotta sprezzante e cavillosa, fu giudicato
colpevole e condannato a morte. Nel corso del processo il Franco,
di fronte all’evidenza delle prove, riconobbe la gravità dei suoi
attacchi al ponte ce e li giusti cò con la delusione e le ingiustizie
patite ad opera dei Carafa, ma fu sempre reciso nel respingere le
accuse di avere attaccato il Papato come istituzione, così come
resistette ai tentativi degli inquisitori di coinvolgere nella vicenda il
cardinale Morone. Nell’insieme egli seppe tenere testa alle accuse
di testimoni dubbi o interessati. Ciò non gli valse una condanna più
mite e la pena capitale parve anche ai contemporanei una
punizione sproporzionata.

Il processo terminò il 27 febbraio 1570 e l’esecuzione ebbe luogo la


mattina dell’11 marzo: dopo avere ascoltato messa, essersi
confessato e comunicato nelle carceri di Tordinona, il Franco fu
impiccato sul ponte di Castel S. Angelo.

Una bibliogra a delle opere edite del Franco è pubblicata dal


Grendler (pp. 215 – 221), mentre una ricostruzione anche delle
opere perdute o solo abbozzate si deve a R.L.Bruni, Per una
bibliogra a delle opere di Nicolò Franco, in Studi e problemi di
critica testuale, XV (1977), pp. 84 – 103. In edizioni critiche si
leggono le Rime contro Pietro Aretino e la Priapea (a cura di E.
Sicari, Lanciano 1916), il Petrarchismo (a cura di R. L. Bruni, Exeter
1979). Dei Dialoghi piacevolissimi esiste un’edizione moderna a
cura di G. Sborselli (Lanciano 1925) che segue quella purgata del
1590. A F. R. De Angelis si deve una anastatica dell’edizione
Gardane 1542 delle Pistole vulgari (Bologna 1986). Una Lettera a
Dante è edita in A. Vallone, Percorsi danteschi, Firenze 1991, pp. 95
– 108; i frammenti della versione in ottave dell’Iliade da D. Ciampoli:
L’Iliade di Omero tradotta da Nicolò Franco, in Roma letteraria, X
(1902), pp. 62 – 66, 80 – 87, 131 – 137, 159 s., 177 – 180, 227 – 230.
Inedito, nonostante gli studi preliminari intrapresi da R. L. Bruni e F.
R. De Angelis, resta il prezioso copialettere autografo (Bibl. Apost.
Vaticana, Vat. Lat. 5642), contenente oltre ottocento lettere del
Franco e dei corrispondenti dal giugno 1540 al luglio 1559.

Fonti e Bibliogra a: 
Per le lettere dell’Aretino si vedano le seguenti edizioni: Lettere
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scritte al signor Pietro aretino da molti signori, comunità, donne di
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valore, poeti et altri eccellentissimi spiriti, Venezia 1552, pp. 372 –


376; P. Aretino, Il primo libro delle lettere, a cura di F. Nicolini, Bari
1913, pp. 410 – 430 e ad Indicem; Id., Il secondo libro delle lettere, a
cura di F. Nicolini, ibid. 1916,  ad Indice; A. Mercati, I costituti di
Nicolò Franco (1568 – 1570) dinanzi l’Inquisizione esistenti
nell’Archivio segreto Vaticano, Città del Vaticano 1955, pp. 93 ss.; M.
 Firpo – D. Marcatto,  Il processo inquisitoriale al cardinale Giovanni
Morone, Roma 1918 – 87, ad Indices; E. Sicari, L’anno di nascita di
Nicolò Franco, in Giornale storico della letteratura italiana, XXIV
(1894), pp. 398 – 404; C. Siriani, La vita e le opere di Nicolò Franco,
Torino – Roma 1894; Id. Ancora sull’anno di nascita di Nicolò
Franco, in Giornale storico della letteratura italiana, XXV (1895), pp.
170 – 172; Id., Due componimenti inediti di Nicolò Franco, in
Giornale storico della letteratura italiana, XXX (1897), pp. 264 – 270;
A. Luzio, L’Aretino e il Franco, in Giornale storico della letteratura
italiana,XXIX (1897), pp. 229 – 283; C. Siriani, Un plagio di Nicolò
Franco, in Rassegna critica della letteratura italiana, V (1900), pp. 19
– 26; P. P. Parrella, Le «Pistole volgari» di Nicolò Franco e il libro
delle «Lettere»dell’Aretino, in Rassegna critica della letteratura
italiana, V (1900), pp. 97 – 122; D. Gnoli, Del supplizio di Nicolò
Franco, in Raccolta di studi critici dedicata ad Alessandro D’Ancona,
Firenze 1901, pp. 542 – 552; G. De Michele, Un bizzarro ammiratore
di Dante nel Cinquecento, in Rassegna critica della letteratura
italiana, XIII (1912), pp. 12 – 25; Id., Nicolò Franco Biogra a con
documenti inediti, in Studi di letteratura italiana, XI (1915), pp. 60 –
154; Id., La «Filena» di Nicolò Franco, in Rassegna critica della
letteratura italiana, XXX (1925), pp. 8 – 28; A. Altamura, Fabrizio
Luna e due invettive inedite di Nicolò Franco, in Samnium, XXIII
(1950), pp. 100 – 1005; D. M. Schullina, Nicolò Franco vili er of
medicine, in Bulletin of the History of medicine, XXIV (1950), pp. 26
– 37; B. Croce, Quel che si racconta di Nicolò Franco nella sua patria
Benevento, in Aneddoti di varia letteratura, I, Bari 1953, pp. 398 s.;
N. Badaloni, Natura e società in Nicolò Franco, in Società, XVI
(1960), pp. 734 – 777; A. Zazo, Un corrispondente di Nicolò Franco:
Giulio Antonio Acquaviva duca d’Atri, in Samnium, XXXVI (1964), pp.
113 – 121; P. F. Grendler, Critics of the Italian world, Madison-
Milwaukee-London 1969, pp. 38 – 49, 215 – 221; R.L. Bruni,
Polemiche cinquecentesche. Franco, Aretino, Domenichi, in Italian
Studies, XXXII (1977), pp. 52 – 67; F. R. De Angelis, «Il Petrarchista»
di Nicolò Franco, in FM Annali dell’Istituto di lologia moderna
dell’Università di Roma, I (1977), pp. 41 – 60; R. L. Bruni, Ancora 
sugli «Hendecasyllabi»di Nicolò Franco, in Samnium, LI (1978), pp.
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36 – 43; F. R. De Angelis, Epistolario di Nicolò Franco Codice
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Vaticano latino 5642, in FM Annali dell’Istituto di lologia moderna


dell’Università di Roma, II (1979), pp. 81 – 113; S. Martelli, Nicolò
Franco: intellettuali, letteratura e società, in P. A. De Lisio – S.
Martelli, Dal progetto al ri uto. Indagini e veri che sulla cultura del
Rinascimento meridionale, Salerno 1979, pp. 127 – 179; R. L. Bruni,
Parodia e plagio nel «Petrarchista» di Nicolò Franco, in Studi e
problemi di critica testuale, XX (1980), pp. 61 – 83; C. Cairns, Nicolò
Franco, l’umanesimo meridionale e la nascita dell’epistolario in
volgare, in Cultura meridionale e letteratura italiana. I Modelli
narrativi dell’età moderna, Napoli 1985, pp. 119 – 128; U. Rozzo,
Erasmo espurgato dai «Dialoghi piacevoli»di Nicolò Franco, in
Erasmo, Venezia e la cultura padana nel Cinquecento, a cura di A.
Olivieri, Rovigo 1995, pp. 191 – 208; Iter Italicum, I, II, IV, ad Indices.

Cfr. inoltre A.Capata, Nicolò Franco e il plagio del Tempio d’amore,


disponibile sul sito www.disp.let.uniroma1.it, e la Bibliogra a
aggiornata al 17 giugno 2006, curata da F. Pignatti, sul sito
www.nuovorinascimento.org .

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