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Clifford Geertz,

l’importanza
dell’interpretazione
Citazioni tratte da Interpretazione di culture,
1973, trad. it. Bologna, il Mulino

Clifford Geertz (1926-2006) è molto famoso per le


sue ricerche etnografiche condotte a Giava
(un’isola indonesiana a sud del Borneo) a Bali e in
Marocco, e per le sue riflessioni
sull’interpretazione delle culture. L’aspetto forse
più specifico del lavoro di Geertz è costituito
dall’importanza che lui attribuisce nelle sue opere
alla dimensione simbolica (cioè ai sistemi di
significato) nel suo rapporto con la struttura
sociale, il mutamento culturale e la pratica della
ricerca etnografica.
Il concetto semiotico di
cultura
“L’idea di cultura che io prescelgo… è essenzialmente di tipo
semiotico. Convinto, come Max Weber, che l’uomo sia un animale
sospeso entro reti di significato che egli stesso a tessuto, credo
che la cultura sia costituita da queste reti, e che quindi la sua
analisi non debba essere una scienza sperimentale in cerca di
leggi,
ma una scienza interpretativa in cerca di significato. Quel che
cerco è una spiegazione (explication)” (pp. 4-5).
Leggere le culture
Geertz spesso pone un parallelismo tra la metodologia
dell’antropologo che analizza una cultura e quella di un critico
letterario che analizza un testo:
“estrapolare le strutture di senso… e determinare la loro matrice
sociale e la loro rilevanza… Fare etnografia è come cercare di
leggere (nel senso di “costruire una lettura di”) un manoscritto…”
Il significato è socialmente
costruito
Geertz sostiene che la cultura è pubblica, perché i significati lo
sono,
nel senso che i sistemi di significato sono necessariamente la
proprietà collettiva di un gruppo,
in quanto ciò che rende plausibile l’associazione arbitraria tra
significante e significato è la sua condivisione sociale, cioè la
messa in pubblico del significato associato a quel significante.
Quando diciamo che non comprendiamo le azioni di persone che
provengono da una cultura diversa dalla nostra, stiamo
riconoscendo la nostra “mancanza si familiarità con l’universo
immaginativo entro cui le loro azioni sono segni”.
Etnografia come
descrizione densa
…I testi antropologici sono in sé interpretazioni, spesso di seconda
e terza mano (infatti per definizione solo un “nativo” fa
interpretazioni di primo grado: è la sua cultura). In questo senso
le etnografie sono finzioni narrative (fictions)… L’etnografo
“inscrive” il discorso sociale, lo trascrive (writes it down).
L’analisi culturale è (o dovrebbe essere) il tentativo di intuire dei
significati, di verificare quelle intuizioni e di delineare schemi
esplicativi a partire dalle intuizioni migliori. Non dovrebbe quindi
essere la scoperta del Continente del Significato e la mappatura
del suo inconsistente panorama.
L’idea che si possa giungere a cogliere l’essenza delle società
nazionali, delle civilizzazioni, delle grandi religioni o di qualunque
altra costruzione culturale di questo tipo… è un’evidente
assurdità. L’analisi culturale è intrinsecamente incompleta.
Per questo Geertz propone di ancorare l’etnografia alla
“descrizione densa” (thick description).
Metodologia comparativa
(I)
Io cerco di generalizzare partendo dai casi specifici, di prendere in
esame un caso e poi scoprire cosa c’è da dire che abbia
un’importanza più vasta, piuttosto che partire da una teoria e poi
calarla a forza sull’esempio singolo.
Metodologia comparativa
(II)
Su questo punto vale la pena di citare alcuni passi di un’intervista
che Geertz ha rilasciato nel 1992 e tradotta per l’Enciclopedia
delle scienze filosofiche.
DOMANDA: Professor Geertz, Lei, nel suo libro Opere e vite, ha
parlato di due tipi diversi di ansia. Da una parte c’è il timore dello
scienziato di non essere sufficientemente distaccato; dall’altra c’è
il timore dell’umanista di esserlo troppo. Lei crede che la
differenza fra scienziato e umanista sia il vero discrimine oggi in
antropologia?
No, non credo che la catturi del tutto. Il mio scopo principale era
quello di indicare questa ambiguità. Secondo la vecchia
concezione l’antropologia va considerata alla stregua di una
scienza naturale; di conseguenza gli studiosi di tale disciplina
dovevano mantenere un certo distacco dall’oggetto di studio.
Metodologia comparativa
(III)
D’altro canto è evidente - e lo è sempre stato - che non si può
capire la gente senza interagire con essa dal punto di vista
umano. Non credo che lo schema che ne deriva debba essere
necessariamente “scienze naturali contro scienze umane”; ma
senza dubbio si tratta di un problema e di una preoccupazione
molto diffusa
(…) la sensazione di essere talmente “obiettivo” nei confronti
delle persone da trattarle come oggetti e, di conseguenza, non
essere in grado di comprendere in maniera adeguata le loro
emozioni, i sentimenti, le attitudini e la loro visione del mondo.
Allo stesso tempo, è anche vero che gli antropologi cercano di non
essere esclusivamente “soggettivi”: non vogliono comunicare solo
la loro impressione, o l’idea che si sono fatti al riguardo, non
vogliono parlare di intuizioni. C’è, quindi - e diventa sempre più
seria - una certa preoccupazione su entrambi i punti.,
Metodologia comparativa
(IV)
Secondo me la distinzione fondamentale va fatta fra quelli che
insistono per una teoria generale della società, da cui poi trarre
conseguenze pratiche da applicare ai casi specifici, e quelli - fra
cui mi metto anch’io - che desiderano comprendere società
diverse per poter interagire con esse in modo intelligente negli
anni a venire.
Credo che questa sia una differenza molto più profonda - che
tende ad esprimersi in termini del modello di impegno o
disimpegno - rispetto a quella tra scienza naturale e scienza
umana, o a un’altra analoga.
Quindi Geertz da un lato è consapevole dell’opposizione tra
scienziato e umanista (basata sul distacco relativo dall’oggetto di
studio)
Ma poi insiste che l’opposizione più importante è quella tra
metodi generalizzati e metodi individuanti

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