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Il Rischio di Credito
Il rischio di credito viene definito come “il rischio che il debitore non sia in grado di
adempiere ai suoi obblighi di pagamento di interessi e di rimborso del capitale”. Per
dettagliare ulteriormente la sua definizione, possiamo aggiungere che il rischio di
credito si manifesta come il pericolo che un cambiamento imprevisto del merito
creditizio (inteso come la capacità del cliente di essere solvente alle scadenze stabilite)
di una controparte possa causare una variazione del valore della posizione creditoria. La
variabile aleatoria, quindi, risulta essere particolarmente rilevante nella stima di tale
rischio, in quanto se fosse possibile stimare in maniera esatta la perdita creditizia, non
avrebbe senso parlare di rischio di credito.
L’area di riferimento, quando si parla di rischio di credito, è molto più ampia di quanto
possa apparire a primo impatto. Sarebbe riduttivo considerare la sola possibilità di
insolvenza della controparte, poiché, al fine di effettuare una corretta valutazione di tale
tipo di rischio, è necessario considerare anche il deterioramento del merito creditizio
della stessa. Ciò che abbiamo visto finora fa capo al concetto di full credit risk; tuttavia,
spesso si fa riferimento ad altre due tipologie di rischio di credito, ossia il delivery risk e
il substitution risk. Il primo si riferisce al rischio che nasce dalla possibilità che una
delle parti di un’obbligazione non adempia ai propri obblighi, anche dopo che la
controparte abbia effettuato la propria prestazione. Notoriamente questa tipologia di
rischio la troviamo quando le due parti sono titolari di obbligazioni reciproche che
vanno eseguite contemporaneamente (per questo motivo, il delivery risk è anche noto
come counterparty risk – in italiano “rischio di controparte”). Si parla invece di
substitution risk quando ci troviamo in presenza di contratti a termine con prestazioni
corrispettive (ossia quei contratti in cui le prestazioni dovute dalle parti sono connesse
tra di loro, al punto che una costituisce il corrispettivo dell’altra), e consiste nel maggior
costo o nel mancato guadagno che la parte solvente sopporta, qualora la controparte
diventi insolvente prima della scadenza pattuita. In tal caso risulta plausibile la stipula di
un nuovo contratto, spesso a condizioni meno favorevoli per la parte solvente.
Altri aspetti del rischio di credito prescindono dal mero rischio di default della
controparte, come:
Il rischio di migrazione: inteso come rischio di deterioramento del merito
creditizio di una controparte. Tale deterioramento può trovare un concreto
riscontro in un declassamento del rating del debitore. È da notare bene che ciò
non provoca una perdita economica immediata, a meno che tale esposizione
creditizia non abbia come origine un’attività negoziata in un mercato secondario.
Il rischio di recupero: indica la possibilità che il tasso di recupero connesso alle
esposizioni nei confronti di soggetti insolventi sia minore rispetto al tasso
originariamente stimato.
Il rischio di esposizione: rappresenta il rischio che l’esposizione nei confronti di
una controparte aumenti nelle sue dimensioni in maniera inaspettata, in
corrispondenza del periodo appena antecedente il verificarsi dell’insolvenza.
Il rischio di spread: l’eventualità che aumenti il premio al rischio (spread)
richiesto dal mercato di capitali. Ciò solitamente avviene in situazioni di crisi di
liquidità dei mercati, o quando aumenta l’avversione al rischio degli investitori.
1.2.1 Il rischio di insolvenza
Ad ogni modo, va ricordato che il rischio di credito fa parte di ogni investimento, e non
può essere eliminato totalmente. In questo senso il rischio può essere visto anche sotto
un’altra accezione, decisamente positiva, che lo trasforma in una vera e propria
opportunità nelle scelte di investimento. Diventa fondamentale, dunque, determinare il
proprio livello di avversione al rischio per identificare le opzioni di investimento che
offrono la possibilità di ottenere la massima remunerazione possibile.
Il rischio di credito, poi, può essere influenzato da altri fattori, esterni alla condizione
del debitore: un esempio ne è l’andamento del ciclo economico. Difatti, risulta evidente
che in periodi di espansione il rischio di credito assume un’importanza decisamente
minore rispetto ai periodi di recessione.
Nel settore finanziario, è comune fare una distinzione tra rischi generici e specifici,
applicabile a tutti i tipi di investimento. Questo significa che le diverse classi di asset
presentano caratteristiche di rischio uniche, come si può notare confrontando gli
investimenti in azioni con quelli in obbligazioni. Il rischio generico, o sistemico (in
quanto non eliminabile), è influenzato da fattori come le variazioni dei prezzi sul
mercato azionario e l'efficienza del sistema finanziario nel suo insieme, essendo
pertanto indipendente da singoli investimenti. Questo tipo di rischio è legato alle
fluttuazioni generali del mercato che influenzano tutti i titoli e, in tempi di recessione
economica, può avere un impatto negativo sugli investimenti. D'altra parte, il rischio
specifico riguarda le caratteristiche particolari di un singolo investimento e può variare a
seconda delle condizioni specifiche dell'entità economica in cui si investe, come la
possibilità di una diminuzione del valore dell'investimento o della perdita degli
interessi. Mentre il rischio generico è inevitabile, il rischio specifico può essere mitigato
attraverso la diversificazione, che consente di ridurre l'esposizione ai rischi di un
singolo investimento bilanciandoli con gli altri nel portafoglio. Tuttavia, ottenere una
vera diversificazione non è sempre semplice, poiché i concetti di concentrazione e
frammentazione del rischio, analizzati anche attraverso modelli come l'indice di
Hischmann-Herfindhal e l'indice di concentrazione delle quattro imprese, non riflettono
perfettamente la realtà. L’indice Hischmann-Herfindal misura la concentrazione di
mercato di un settore, e viene calcolato come somma dei valori al quadrato delle quote
di mercato delle imprese del settore (più basso è tale valore, più il mercato è
competitivo). L’indice HHI (Hischmann-Herfindal) viene fuori come
n
HHI =∑ (q i 100)2 , dove q i rappresenta la quota di mercato dell’agente i-esimo. Il
i=0
I giudizi possono essere a breve o a lungo termine, con riferimento a periodi superiori o
inferiori ai dodici mesi. I risultati delle valutazioni sono rappresentati (FIGURA 1) in
maniera diversa da ogni agenzia, anche se sono tutti composti da caratteri alfanumerici e
prevedono le seguenti caratteristiche:
Le lettere sono in ordine alfabetico e in numero decrescente al fine di segnalare
emittenti con rischio di credito più elevato in maniera progressiva;
Vicino alle lettere si trovano numeri in ordine crescente o segni matematici (- o
+), che hanno lo scopo di identificare una società con rischio minore o maggiore,
nell’ambito di uno stesso livello di rating;
I rating a breve termine (che si riferiscono a periodi inferiori ai dodici mesi)
utilizzano una scala simbolica diversa da quelli a lungo termine;
In base al livello di rating è possibile definire un livello soglia, che permette di
identificare emittenti o obbligazioni a basso rischio di credito, definite
investment grade, ed emittenti o obbligazioni ad alto rischio di credito, definite
speculative grade;
La lettera D rappresenta una situazione di default.
Vicino alla valutazione rappresentata dal rating, le agenzie aggiungono degli indicatori
di valutazione “dinamico” e di monitoraggio del rischio di credito, vale a dire il rating
outlook e il rating watch.
Il rating outlook esprime un’eventuale evoluzione del rating nel medio periodo. Esso
rappresenta un giudizio positivo, negativo, stabile o in evoluzione.
Il rating watch è, invece, uno strumento utile in periodi di osservazione di breve durata,
solitamente pari a 90 giorni, che ha il fine di verificare le possibilità di modifica del
rating assegnato ad una società o ad un’emissione in seguito al manifestarsi di un evento
nuovo e rilevante. I rating watch esprimono un giudizio in merito ad un possibile
upgrade o downgrade del rating in questione: tale giudizio può essere positivo, negativo
o in evoluzione.
I rating, poi, possono essere ulteriormente distinti, a seconda che questi vengano
richiesti in maniera esplicita dal soggetto interessato alla valutazione (solicited ratings)
o che siano emessi direttamente dalle agenzie, senza accordo con l’emittente interessato
(unsolicited ratings). Quando richiesti espressamente, viene stipulato un accordo tra
l’agenzia di rating e l’emittente, accordo che ha come oggetto il servizio professionale
prestato dall’agenzia stessa. L’emittente, spesso in virtù di un obbligo legale, può
decidere di rivolgersi ad una o più agenzie, in modo tale da aumentare l’affidabilità del
proprio rating e poterlo utilizzare come mezzo per segnalare agli operatori la qualità del
credito connesso all’emissione. Si fa riferimento al fenomeno del doppio rating, per cui
la maggioranza delle emissioni ha un rating assegnato da più agenzie. Ciò avviene per
diverse ragioni: in primis sono gli stessi investitori a preferire strumenti emessi che
hanno duplice rating. Anche l’emittente ha interesse a ricevere un secondo rating, in
quanto permette ad esso di poter abbassare il tasso di interesse al quale collocare i
propri titoli. Infine, possono esserci ragioni di regolamentazione, per cui è richiesta
obbligatoriamente una seconda valutazione.
Il rating di credito emesso sul debito di un’azienda rappresenta solo una delle molteplici
categorie di rating esistenti. Esistono, ad esempio, i rating di credito internazionale, i
quali valutano i rischi (e le relative spese) di un investitore interessato a trasferire nella
valuta del proprio stato i titoli espressi nella valuta di un’altra nazione.
In aggiunta, vi sono i rating relativi al debito sovrano. Dato che gli stati rappresentano i
principali soggetti debitori a livello globale, le agenzie di rating analizzano e
classificano i titoli di debito pubblico, basandosi sulla capacità degli stessi stati di
onorare tali debiti.
Un altro tipo di rating è il “Country Ceiling Rating”, che esamina i rischi relativi a
investimenti in paesi che potrebbero attuare misure restrittive per bloccare eventuali
uscite di capitale dai propri confini. Questi sono solo alcune delle valutazioni che le
agenzie di rating possono emettere.
FIGURA 2: I tipi di rating
Va sottolineato che i rating hanno l’obiettivo di fornire un’indicazione non puntuale né
precisa del rischio di credito, e non hanno il fine di voler esprimere raccomandazioni
riguardo ai comportamenti economici da attuare nei confronti dei soggetti analizzati 2.
2
In riferimento a ciò, sul sito dell’agenzia di rating Standard & Poor’s è riportato “While investors may
use credit ratings in making investment decisions, our ratings are not indications of investment merit. In
other words, the ratings are not buy, sell, or hold recommendations, or a measure of asset value. Nor are
they intended to signal the suitability of an investment. They speak to one aspect of an investment
decision— credit quality—and, in some cases, may also address what investors can expect to recover in
the event of default.
In evaluating an investment, investors should consider, in addition to credit quality, the current make-up
of their portfolios, their investment strategy and time horizon, their tolerance for risk, and an estimation of
the security’s relative value in comparison to other securities they might choose. By way of analogy,
while reputation for dependability may be an important consideration in buying a car, it is not the sole
Ciò garantisce a queste agenzie una considerevole tutela legale. Le principali agenzie di
rating sono in grado di coprire l’ampio spettro di emittenti, fornendo giudizi sugli
emittenti in quanto tali (issuer rating) e sugli strumenti di debito emessi da questi
soggetti (issue rating). Questi ultimi, solitamente, sono considerati come una
descrizione della rischiosità dell’emittente, in quanto la maggior parte delle volte i titoli
emessi da una società hanno lo stesso rating assegnato alla stessa.
CreditMetrics, introdotto da J.P. Morgan nel 1997, adotta un approccio bottom-up, per il
quale le fluttuazioni dei rating determinano il rischio di credito. Questo metodo si basa
sulla definizione di un sistema di rating e la formulazione di matrici di transizione
costruite su un periodo di tempo di un anno, presupponendo che le controparti siano
caratterizzate da omogeneità in termini di probabilità di default e di transizione di
rating. L'obiettivo principale del modello consiste nell'identificare la distribuzione di
perdita a scadenza attraverso l'uso di simulazioni Monte Carlo, al fine di calcolare il
CVAR (valore condizionale a rischio). Tra le limitazioni del modello si evidenzia
l'assenza di un metodo integrato per gestire congiuntamente i rischi di credito e di
mercato, supponendo che le perdite emergano esclusivamente da cambiamenti negli
stati di credito. I tassi di recupero sono determinati in maniera esogena e si presume una
uniformità tra le controparti all'interno della stessa categoria di rating. Infine, il modello
si basa sull'assunzione che le probabilità di default correnti corrispondano alla media
storica delle probabilità.
CreditRisk+, sviluppato da Credit Suisse nel 1997, si fonda sulla premessa che esistano
unicamente due condizioni, default e non-default, e che il rischio di insolvenza non sia
influenzato dalla struttura del capitale dell'azienda. Assume inoltre che le probabilità di
default rimangano costanti nel tempo e siano indipendenti tra loro nei vari periodi
considerati. Basandosi su queste ipotesi, il modello adotta una distribuzione di
probabilità di tipo Poisson per il default, distribuzione che “esprime le probabilità per il
numero di eventi che si verifiano successivamente ed indipendentemente in un dato
intervallo di tempo”. Il modello organizza le risorse per fasce di gravità, determina per
ciascuna di esse la distribuzione delle perdite e, combinando queste distribuzioni,
elabora la distribuzione complessiva delle perdite. Nonostante la sua relativa facilità di
implementazione, il modello non tiene conto delle variazioni di rating e, similmente al
CreditMetrics, omette il rischio di mercato.
Moody's KMV è un altro modello che si basa sul calcolo della frequenza di default attesa
e permette la determinazione della probabilità di default, in riferimento al rischio di
default e al rischio di migrazione creditizia. Il modello adotta un approccio simile a
quello del modello Metron, valutando la probabilità di default basandosi sulla struttura
di capitale dell'azienda, sulla sua volatilità e sul valore corrente dell'attivo, usando un
modello multifattoriale per calcolare la correlazione tra gli attivi. Tuttavia, non fornisce
una stima completa della distribuzione di perdita a scadenza, ma piuttosto
un'approssimazione analitica.
Credit Portfolio View, sviluppato da McKinsey & Co. nel 1997, adotta un approccio
top-down per definire la distribuzione di probabilità di perdita, utilizzando fattori
macroeconomici che influenzano il rischio di credito. Presuppone che le probabilità di
default e di transizione siano condizionate dal ciclo economico, registrando diminuzioni
di tassi di default in fase di espansione e aumenti in fase di recessione. Un limite di
questo modello è che, essendo basato su un approccio generale, non fornisce dettagli
specifici sul rischio di credito associato a portafogli aziendali.
In generale, il modo più efficace per coprirsi dal rischio di credito è quello di utilizzare i
derivati creditizi, la cui trattazione sarà approfondita nel prossimo capitolo.
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www.adviseonly.com – 28-03-2024