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CAPITOLO 1

Il Rischio di Credito

1.1 Il concetto di rischio

Il concetto di rischio viene frequentemente associato a connotazioni negative, essendo


comunemente inteso come la probabilità che si verifichino sviluppi sfavorevoli,
causando danni. Lo stesso dizionario Treccani definisce il rischio come “l’eventualità di
subire un danno connessa a circostanze più o meno prevedibili”. Ciononostante, è
importante riconoscere che queste interpretazioni tendano ad occludere un altro punto di
vista, secondo cui il rischio include al suo interno anche il concetto di opportunità:
coloro che scelgono di affrontarlo lo fanno intravedendo la chance di realizzare un
profitto. Se analizzato da questa angolazione, è cruciale quantificare il rischio, per poter
comprendere quali sono le opportunità di profitto legate ad esso.

Il concetto di rischio è straordinariamente ampio e può essere trattato sotto varie


accezioni, non solo per quanto riguarda l’ambito finanziario, ma in generale per l’intera
società, la cui salute finanziaria si basa principalmente sulla valutazione e sul controllo
di vari tipi di rischio. Seguendo McNeil (cf. McNeil, 2015), Frey (cf. Frey, 2015) ed
Embrechts (cf. Embrechts, 2015), è possibile classificare i rischi distinguendo le
seguenti tipologie:
 Rischio di mercato: definito come il rischio in cui incorrono gli investitori
quando le variabili significative del mercato subiscono fluttuazioni,
influenzando così i loro asset finanziari o i loro portafogli. Le variabili in
questione sono molteplici e ad ognuna di esse corrisponde una sottocategoria
del rischio di mercato, tra cui: rischio di tasso di interesse, commodity risk,
rischio azionario. Capita spesso che i suddetti investitori intendano coprirsi da
tali rischi utilizzando strumenti finanziari derivati, dando vita alla pratica
dell’hedging.
 Rischio operativo: secondo il Solvency II Framework, una direttiva dell’Unione
Europea, il rischio operativo è “il rischio di perdite derivanti da processi,
personale e sistemi interni inadeguati o carenti, oppure dovute ad eventi
esogeni”. Seguendo ciò che viene affermato negli accordi di Basilea II, le
principali componenti del rischio operativo sono:
 Frode interna: si tratta di perdite che si verificano a causa di azioni
fraudolente, appropriazioni indebite o violazioni delle normative interne
o esterne da parte del personale della società.
 Frode esterna: perdite causate da azioni fraudolente o appropriazioni
indebite effettuate da soggetti terzi.
 Rapporto di impiego e sicurezza sul lavoro: include perdite risultanti da
violazioni delle leggi o dei regolamenti relativi alle relazioni di lavoro,
alla salute e sicurezza sul posto di lavoro, o da discriminazione e
mancato rispetto dell'equità lavorativa.
 Attività relative ai clienti, ai prodotti e al business: perdite derivanti da
mancati adempimenti, sia involontari che per negligenza, nei doveri
professionali nei confronti dei clienti, o da problematiche legate alle
caratteristiche dei prodotti offerti.
 Danneggiamento di un asset: riguarda le perdite causate da danni o
distruzione di beni fisici a causa di eventi come disastri naturali o altri
incidenti.
 Interruzione delle attività e disfunzioni dei sistemi informatici: perdite
dovute a interruzioni operative o a guasti nei sistemi informatici.
 Esecuzione, consegna e process management: perdite causate da
inefficienze nel trattamento delle operazioni, nella gestione dei processi,
o nelle relazioni con le controparti commerciali e i fornitori.
 Model risk: Si parla di Model Risk quando le decisioni aziendali vengono prese
utilizzando modelli non sufficientemente accurati, registrando
consequenzialmente perdite1. I rischi di questo tipo possono essere
particolarmente rilevanti, soprattutto se combinati ad altri eventi potenzialmente
dannosi. Un esempio di ciò è il famoso scandalo che coinvolse J.P Morgan noto
1
Per maggiori approfondimenti si veda la Direttiva 2013/36/UE sui requisiti patrimoniali (CRD IV,
articolo 3.1.11)
come “The London Whale”, quando la famosa banca americana riportò perdite
per circa sei miliardi di dollari, causate da una serie di scelte di investimento
complesse e rischiose messe in atto dalla divisione Chief Investment Office,
responsabile degli investimenti della liquidità in eccesso dei depositi. Al fine di
effettuare operazioni di copertura furono acquistati strumenti finanziari derivati,
noti come Synthetic CDS derivatives, i quali ben presto diedero vita ad un
portafoglio estremamente rischioso. Quindi J.P. Morgan, invece che
ridimensionare il rischio, decise di cambiare la propria metodologia di calcolo
del Value at Risk: un errore nei calcoli di tale modello ha portato ad una
sottostima del debito del 50%, permettendo al portafoglio di continuare a
crescere finché la crisi del debito sovrano europeo non ha colpito la banca,
causando le ingenti perdite nominate prima.
 Rischio di liquidità: il rischio che un’entità non riesca ad onorare i propri
impegni di pagamento quando giungono a scadenza. Di norma, un’impresa può
affrontare le proprie necessità finanziarie in molteplici modi: ad esempio,
tramite i flussi in entrata, le risorse rapidamente convertibili in liquidità o la
propria abilità di accedere a finanziamenti. Ciononostante, le attività
prontamente liquidabili possono presentare delle problematiche non sempre
riconducibili all’impresa stessa. Può accadere che sul mercato emergano
situazioni particolari che tendono a rendere difficile la vendita o, comunque, la
possibilità di utilizzare tali risorse come garanzia in cambio di fondi. In queste
condizioni, il rischio di liquidità è fortemente influenzato dalle condizioni di
liquidità del mercato. Il rischio, quindi, non deve essere considerato in maniera
isolata, ma bisogna tenere a mente che i rischi sono interconnessi e da queste
interazioni potrebbero nascere problemi.
In quest’ottica risulta importante per le società implementare delle direttive per
la gestione del rischio di mancanza di liquidità. Queste includono l’elaborazione
di una cultura aziendale e di un sistema che definiscono un insieme di principi,
metodologie, normative e procedure progettate per prevenire crisi di liquidità e
favorire un approccio prudente nella gestione del rischio di liquidità, al fine di
mantenerlo entro limiti considerati accettabili.
 Underwriting risk: Particolarmente noto in ambito assicurativo, si prefigura
come l’eventualità che il sottoscrittore non riesca a coprire le spese, causate da
sinistri, con i premi, andando così incontro a perdite o variazioni sfavorevoli del
valore delle passività. Questa tipologia di rischio permette di valorizzare i
modelli più idonei a rendere consapevole il management delle opportunità e dei
pericoli a cui sta andando incontro. In ambito assicurativo un errore di
valutazione dell’underwriting risk può causare ingenti perdite, fino a portare al
fallimento della società.
 Rischio di credito: descrive la possibilità che il debitore, nell’ambito di
un’operazione creditizia, non riesca ad assolvere ai propri obblighi di rimborso
del capitale o al pagamento degli interessi. Il concetto di rischio di credito verrà
approfondito nel prossimo paragrafo.

1.2 Il rischio di credito

Il rischio di credito viene definito come “il rischio che il debitore non sia in grado di
adempiere ai suoi obblighi di pagamento di interessi e di rimborso del capitale”. Per
dettagliare ulteriormente la sua definizione, possiamo aggiungere che il rischio di
credito si manifesta come il pericolo che un cambiamento imprevisto del merito
creditizio (inteso come la capacità del cliente di essere solvente alle scadenze stabilite)
di una controparte possa causare una variazione del valore della posizione creditoria. La
variabile aleatoria, quindi, risulta essere particolarmente rilevante nella stima di tale
rischio, in quanto se fosse possibile stimare in maniera esatta la perdita creditizia, non
avrebbe senso parlare di rischio di credito.
L’area di riferimento, quando si parla di rischio di credito, è molto più ampia di quanto
possa apparire a primo impatto. Sarebbe riduttivo considerare la sola possibilità di
insolvenza della controparte, poiché, al fine di effettuare una corretta valutazione di tale
tipo di rischio, è necessario considerare anche il deterioramento del merito creditizio
della stessa. Ciò che abbiamo visto finora fa capo al concetto di full credit risk; tuttavia,
spesso si fa riferimento ad altre due tipologie di rischio di credito, ossia il delivery risk e
il substitution risk. Il primo si riferisce al rischio che nasce dalla possibilità che una
delle parti di un’obbligazione non adempia ai propri obblighi, anche dopo che la
controparte abbia effettuato la propria prestazione. Notoriamente questa tipologia di
rischio la troviamo quando le due parti sono titolari di obbligazioni reciproche che
vanno eseguite contemporaneamente (per questo motivo, il delivery risk è anche noto
come counterparty risk – in italiano “rischio di controparte”). Si parla invece di
substitution risk quando ci troviamo in presenza di contratti a termine con prestazioni
corrispettive (ossia quei contratti in cui le prestazioni dovute dalle parti sono connesse
tra di loro, al punto che una costituisce il corrispettivo dell’altra), e consiste nel maggior
costo o nel mancato guadagno che la parte solvente sopporta, qualora la controparte
diventi insolvente prima della scadenza pattuita. In tal caso risulta plausibile la stipula di
un nuovo contratto, spesso a condizioni meno favorevoli per la parte solvente.
Altri aspetti del rischio di credito prescindono dal mero rischio di default della
controparte, come:
 Il rischio di migrazione: inteso come rischio di deterioramento del merito
creditizio di una controparte. Tale deterioramento può trovare un concreto
riscontro in un declassamento del rating del debitore. È da notare bene che ciò
non provoca una perdita economica immediata, a meno che tale esposizione
creditizia non abbia come origine un’attività negoziata in un mercato secondario.
 Il rischio di recupero: indica la possibilità che il tasso di recupero connesso alle
esposizioni nei confronti di soggetti insolventi sia minore rispetto al tasso
originariamente stimato.
 Il rischio di esposizione: rappresenta il rischio che l’esposizione nei confronti di
una controparte aumenti nelle sue dimensioni in maniera inaspettata, in
corrispondenza del periodo appena antecedente il verificarsi dell’insolvenza.
 Il rischio di spread: l’eventualità che aumenti il premio al rischio (spread)
richiesto dal mercato di capitali. Ciò solitamente avviene in situazioni di crisi di
liquidità dei mercati, o quando aumenta l’avversione al rischio degli investitori.
1.2.1 Il rischio di insolvenza

Tradizionalmente il concetto di rischio di credito è associato al rischio di insolvenza,


definito in precedenza. Tale tipo di rischio è composto da tre componenti principali,
come stabilito da Sironi (cf. Sironi, 1998) e Marsella (cf. Marsella, 1998):
 Il Tasso di perdita attesa (nota come Expected Loss Ratio, ELR) è definito come
il valore medio della distribuzione dei tassi di perdita. Questo valore viene fuori
come prodotto di due componenti, ossia la Probabilità di Default (PD) e la
Perdita in Caso di Default (LGD). La formula risulta essere ELR=LDG × PD,
dove la Perdita in Caso di Default è uguale a LGD=1−RR . Il tasso di perdita
attesa può essere stimato tramite l’utilizzo di modelli analitico-soggettivi, che le
agenzie di rating utilizzano per processare i dati raccolti, che tengono conto della
gravità dello stato di insolvenza, del grado di liquidità delle attività in capo
all’azienda, del grado di esposizione e della presenza di garanzie.
 La variabilità della perdita attorno al valore medio è relativo alla volatilità della
perdita. Risulta difficile una previsione di questo valore ex ante, rappresentando
così la vera componente del rischio, in quanto solo ex post sarà quantificabile la
perdita superiore a quella stimata.
 L’effetto diversificazione rappresenta la diminuzione che subisce il tasso di
perdita inattesa quando nello stesso portafoglio sono presenti “impieghi” con
tassi di perdita inattesa correlati in modo imperfetto. Tale componente è l’unica
controllabile, che quindi permette una previsione del rischio di credito. Difatti, le
variazioni delle probabilità di insolvenza tra diversi settori e diverse aree
geografiche possono essere anche molto ampie e diventano interessanti in fasi di
crisi economica. Una politica di diversificazione permette, in questo modo, di
ridurre il rischio del portafoglio.
1.2.2 Rischio generico e rischio specifico

Ad ogni modo, va ricordato che il rischio di credito fa parte di ogni investimento, e non
può essere eliminato totalmente. In questo senso il rischio può essere visto anche sotto
un’altra accezione, decisamente positiva, che lo trasforma in una vera e propria
opportunità nelle scelte di investimento. Diventa fondamentale, dunque, determinare il
proprio livello di avversione al rischio per identificare le opzioni di investimento che
offrono la possibilità di ottenere la massima remunerazione possibile.

Il rischio di credito, poi, può essere influenzato da altri fattori, esterni alla condizione
del debitore: un esempio ne è l’andamento del ciclo economico. Difatti, risulta evidente
che in periodi di espansione il rischio di credito assume un’importanza decisamente
minore rispetto ai periodi di recessione.
Nel settore finanziario, è comune fare una distinzione tra rischi generici e specifici,
applicabile a tutti i tipi di investimento. Questo significa che le diverse classi di asset
presentano caratteristiche di rischio uniche, come si può notare confrontando gli
investimenti in azioni con quelli in obbligazioni. Il rischio generico, o sistemico (in
quanto non eliminabile), è influenzato da fattori come le variazioni dei prezzi sul
mercato azionario e l'efficienza del sistema finanziario nel suo insieme, essendo
pertanto indipendente da singoli investimenti. Questo tipo di rischio è legato alle
fluttuazioni generali del mercato che influenzano tutti i titoli e, in tempi di recessione
economica, può avere un impatto negativo sugli investimenti. D'altra parte, il rischio
specifico riguarda le caratteristiche particolari di un singolo investimento e può variare a
seconda delle condizioni specifiche dell'entità economica in cui si investe, come la
possibilità di una diminuzione del valore dell'investimento o della perdita degli
interessi. Mentre il rischio generico è inevitabile, il rischio specifico può essere mitigato
attraverso la diversificazione, che consente di ridurre l'esposizione ai rischi di un
singolo investimento bilanciandoli con gli altri nel portafoglio. Tuttavia, ottenere una
vera diversificazione non è sempre semplice, poiché i concetti di concentrazione e
frammentazione del rischio, analizzati anche attraverso modelli come l'indice di
Hischmann-Herfindhal e l'indice di concentrazione delle quattro imprese, non riflettono
perfettamente la realtà. L’indice Hischmann-Herfindal misura la concentrazione di
mercato di un settore, e viene calcolato come somma dei valori al quadrato delle quote
di mercato delle imprese del settore (più basso è tale valore, più il mercato è
competitivo). L’indice HHI (Hischmann-Herfindal) viene fuori come
n
HHI =∑ (q i 100)2 , dove q i rappresenta la quota di mercato dell’agente i-esimo. Il
i=0

valore di tale indice è sempre positivo, andando da 0, in caso di mercato atomico, a


10.000, in caso di monopolio.
L’indice di concentrazione delle quattro imprese, invece, è dato dalla somma delle quote
di mercato delle quattro aziende più grandi operanti nel mercato. Il valore si calcola
somma dei fatturati 4 aziende
dalla seguente formula: CR 4 Ratio=100 × . Anche questo
FatturatoSettore
valore è compreso tra 0, in caso di concorrenza perfetta, e 100, quando vi è un solo
agente che opera nel settore.
Un portafoglio può essere considerato diversificato quando include asset non
strettamente correlati positivamente tra loro, sottolineando l'importanza della
correlazione di mercato nella gestione del rischio.
1.3 Il rating esterno e le agenzie di rating

Come anticipato all’inizio del capitolo, analizzare, valutare e “prezzare” il rischio di


credito è fondamentale per valutare pericoli ed opportunità legati ad esso. Un ruolo
cruciale, quindi, è giocato dal rating: esso si presenta come un metodo di valutazione
sintetico della solvibilità dei titoli e delle imprese (valutazione che, per l’appunto, viene
effettuata sulla base del loro rischio finanziario e del loro rischio di credito). In altre
parole, il rating si manifesta come un giudizio esterno, espresso da un soggetto
indipendente, ossia le agenzie di rating. Quest’ultime hanno il compito di valutare le
possibilità che un’entità riesca a soddisfare i propri debiti utilizzando le risorse prodotte
dalla propria attività economica. Dato che tale giudizio è influenzato da vari fattori che
cambiano nel tempo, necessita di regolari aggiornamenti. La valutazione espressa dal
rating è estremamente utile, in quanto è facilmente accessibile, economicamente
vantaggiosa e di semplice interpretazione.

Il rating, se fornito da un’entità affidabile e autonoma, può essere utilizzato per


monitorare il valore e la qualità degli investimenti. Spesso un downgrade del rating da
parte di un’agenzia fornisce un segnale chiaro ai mercati e agli investitori, che altrimenti
non sarebbero riusciti a cogliere facilmente. L’affidabilità delle agenzie di rating impatta
significativamente sull’economia, perché contribuisce alla determinazione del
rendimento atteso da un investimento, il quale dipende innegabilmente dal livello di
rischio associato. Se la controparte si rivela incapace di pagare i debiti o gli interessi
dovuti, le agenzie di rating eseguono un downgrading, ovvero abbassano il rating
assegnato all’emittente.

Il lavoro delle agenzie di rating viene, solitamente, svolto da un team di analisti,


seguendo una logica di forte interazione con le parti interessate (a differenza del rating
bancario, la cui valutazione si basa maggiormente sull’utilizzo di modelli matematici e
statistici). Il giudizio finale deriva da un percorso che coinvolge in molteplici occasioni i
soggetti analizzati e viene espresso, in via definitiva, da organi collegiali, detti rating
committee. Nonostante nel mondo vi siano numerose agenzie di rating operanti,
vengono identificate come principali le tre agenzie americane Fitch Rating Ltd.,
Moody’s Investor Service Inc. e Standard & Poor’s Financial Services LLC.

L’agenzia di rating avvia una procedura di analisi delle caratteristiche economico-


finanziarie dell’azienda in esame: ciò implica un dettagliato studio del bilancio
aziendale in tutte le sue sezioni, esaminando parametri come la redditività, la capacità
dell’azienda di generare risorse e reddito, i flussi di cassa, il rendimento del capitale
investito e molti altri. Gli analisti devono poi mettere a confronto questi dati con quelli
di altre aziende nel medesimo settore, analizzando le caratteristiche del settore stesso e
l’andamento del mercato. Le agenzie di rating tengono in considerazione anche aspetti
qualitativi, come l’affidabilità e le competenze del management dell’azienda e la
solidità dei suoi piani e obiettivi. Come detto in precedenza, vi è una forte interazione
tra l’agenzia e l’azienda esaminata, la quale provvede a compilare un questionario
fornito dagli analisti al fine di ottenere tutte le informazioni necessarie. L’agenzia di
rating consulta anche la “Centrale dei rischi”, monitorando movimenti di denaro e
operazioni aziendali.
In una seconda fase gli analisti visitano l’azienda per incontrare la dirigenza e valutarne
la gestione. Successivamente, completano le verifiche sui dati raccolti e presentano le
loro conclusioni ai rating committee, a cui spetta la decisione finale sull’assegnazione
del rating stesso. Il rating committee è un organo composto da specialisti del settore ed
esperti di credito, i quali solitamente devono esprimersi entro 90 giorni.
Dopo aver definito il rating da assegnare e deciso di pubblicare i risultati, l'agenzia di
rating diffonde il rating tramite un comunicato stampa sul proprio sito web e attraverso i
principali canali di informazione finanziaria internazionale.

I giudizi possono essere a breve o a lungo termine, con riferimento a periodi superiori o
inferiori ai dodici mesi. I risultati delle valutazioni sono rappresentati (FIGURA 1) in
maniera diversa da ogni agenzia, anche se sono tutti composti da caratteri alfanumerici e
prevedono le seguenti caratteristiche:
 Le lettere sono in ordine alfabetico e in numero decrescente al fine di segnalare
emittenti con rischio di credito più elevato in maniera progressiva;
 Vicino alle lettere si trovano numeri in ordine crescente o segni matematici (- o
+), che hanno lo scopo di identificare una società con rischio minore o maggiore,
nell’ambito di uno stesso livello di rating;
 I rating a breve termine (che si riferiscono a periodi inferiori ai dodici mesi)
utilizzano una scala simbolica diversa da quelli a lungo termine;
 In base al livello di rating è possibile definire un livello soglia, che permette di
identificare emittenti o obbligazioni a basso rischio di credito, definite
investment grade, ed emittenti o obbligazioni ad alto rischio di credito, definite
speculative grade;
 La lettera D rappresenta una situazione di default.

FIGURA 1: Rating a lungo termine


1.3.1 Tipologie e caratteristiche del rating

Vicino alla valutazione rappresentata dal rating, le agenzie aggiungono degli indicatori
di valutazione “dinamico” e di monitoraggio del rischio di credito, vale a dire il rating
outlook e il rating watch.
Il rating outlook esprime un’eventuale evoluzione del rating nel medio periodo. Esso
rappresenta un giudizio positivo, negativo, stabile o in evoluzione.
Il rating watch è, invece, uno strumento utile in periodi di osservazione di breve durata,
solitamente pari a 90 giorni, che ha il fine di verificare le possibilità di modifica del
rating assegnato ad una società o ad un’emissione in seguito al manifestarsi di un evento
nuovo e rilevante. I rating watch esprimono un giudizio in merito ad un possibile
upgrade o downgrade del rating in questione: tale giudizio può essere positivo, negativo
o in evoluzione.

I rating, poi, possono essere ulteriormente distinti, a seconda che questi vengano
richiesti in maniera esplicita dal soggetto interessato alla valutazione (solicited ratings)
o che siano emessi direttamente dalle agenzie, senza accordo con l’emittente interessato
(unsolicited ratings). Quando richiesti espressamente, viene stipulato un accordo tra
l’agenzia di rating e l’emittente, accordo che ha come oggetto il servizio professionale
prestato dall’agenzia stessa. L’emittente, spesso in virtù di un obbligo legale, può
decidere di rivolgersi ad una o più agenzie, in modo tale da aumentare l’affidabilità del
proprio rating e poterlo utilizzare come mezzo per segnalare agli operatori la qualità del
credito connesso all’emissione. Si fa riferimento al fenomeno del doppio rating, per cui
la maggioranza delle emissioni ha un rating assegnato da più agenzie. Ciò avviene per
diverse ragioni: in primis sono gli stessi investitori a preferire strumenti emessi che
hanno duplice rating. Anche l’emittente ha interesse a ricevere un secondo rating, in
quanto permette ad esso di poter abbassare il tasso di interesse al quale collocare i
propri titoli. Infine, possono esserci ragioni di regolamentazione, per cui è richiesta
obbligatoriamente una seconda valutazione.

Il rating di credito emesso sul debito di un’azienda rappresenta solo una delle molteplici
categorie di rating esistenti. Esistono, ad esempio, i rating di credito internazionale, i
quali valutano i rischi (e le relative spese) di un investitore interessato a trasferire nella
valuta del proprio stato i titoli espressi nella valuta di un’altra nazione.
In aggiunta, vi sono i rating relativi al debito sovrano. Dato che gli stati rappresentano i
principali soggetti debitori a livello globale, le agenzie di rating analizzano e
classificano i titoli di debito pubblico, basandosi sulla capacità degli stessi stati di
onorare tali debiti.
Un altro tipo di rating è il “Country Ceiling Rating”, che esamina i rischi relativi a
investimenti in paesi che potrebbero attuare misure restrittive per bloccare eventuali
uscite di capitale dai propri confini. Questi sono solo alcune delle valutazioni che le
agenzie di rating possono emettere.
FIGURA 2: I tipi di rating
Va sottolineato che i rating hanno l’obiettivo di fornire un’indicazione non puntuale né
precisa del rischio di credito, e non hanno il fine di voler esprimere raccomandazioni
riguardo ai comportamenti economici da attuare nei confronti dei soggetti analizzati 2.
2
In riferimento a ciò, sul sito dell’agenzia di rating Standard & Poor’s è riportato “While investors may
use credit ratings in making investment decisions, our ratings are not indications of investment merit. In
other words, the ratings are not buy, sell, or hold recommendations, or a measure of asset value. Nor are
they intended to signal the suitability of an investment. They speak to one aspect of an investment
decision— credit quality—and, in some cases, may also address what investors can expect to recover in
the event of default.
In evaluating an investment, investors should consider, in addition to credit quality, the current make-up
of their portfolios, their investment strategy and time horizon, their tolerance for risk, and an estimation of
the security’s relative value in comparison to other securities they might choose. By way of analogy,
while reputation for dependability may be an important consideration in buying a car, it is not the sole
Ciò garantisce a queste agenzie una considerevole tutela legale. Le principali agenzie di
rating sono in grado di coprire l’ampio spettro di emittenti, fornendo giudizi sugli
emittenti in quanto tali (issuer rating) e sugli strumenti di debito emessi da questi
soggetti (issue rating). Questi ultimi, solitamente, sono considerati come una
descrizione della rischiosità dell’emittente, in quanto la maggior parte delle volte i titoli
emessi da una società hanno lo stesso rating assegnato alla stessa.

1.3.2 Criticità delle agenzie di rating

L'assegnazione o la revisione del rating a specifici titoli ha un impatto immediato sui


loro prezzi e rendimenti, evidenziando così l'importante ruolo delle agenzie di rating nel
contesto dei mercati finanziari contemporanei. L'utilità di disporre di una valutazione
del rischio di credito chiara e comprensibile è cruciale per ogni attore del mercato, sia
esso un investitore privato o un ente istituzionale. Questo beneficio dipende, però, dalla
precisione del rating fornito dagli enti valutatori e, non meno importante, dalla fiducia
che gli operatori economici depositano in queste agenzie. È fondamentale sottolineare
che spesso le agenzie di rating ricevono compensi dagli stessi emittenti che valutano,
secondo il modello issuer-pay3. Sebbene ciò consenta agli investitori e al mercato di
accedere gratuitamente ai servizi di rating, introduce un potenziale conflitto di interessi
che può sollevare dubbi sulla reale indipendenza e affidabilità delle valutazioni fornite.
Questa situazione rappresenta solamente uno dei numerosi aspetti critici attribuiti alle
agenzie di rating. La particolare natura del mercato dei rating finanziari, caratterizzata
da un'elevata concentrazione e da una struttura oligopolistica, è soggetta a continue e
giustificate critiche che mettono in luce diverse problematiche, tra cui:
 Potere senza responsabilità – power without accountability - in quanto le
agenzie di rating svolgono un ruolo fondamentale nello scacchiere dei mercati
finanziari, andando fortemente ad influenzare le scelte di investimento. In questo
modo riescono ad essere determinanti per il successo o il fallimento dei soggetti

criterion on which drivers normally base their purchase decisions”.


3
Esiste anche un secondo modello di retribuzione, conosciuto come subscription model, per cui sono gli
investitori e gli agenti del mercato a remunerare le agenzie di rating. In questo modo il servizio non è più
gratuito e viene evitata la formazione di asimmetrie informative, nonché di situazioni di interessi
contrastanti.
che compongono tali mercati. In molte nazioni, poi, il giudizio delle agenzie di
rating viene utilizzato al fine di regolamentare il mercato stesso.
 Distorsione prociclica – procyclical bias – dato che le agenzie non sono riuscite
ad anticipare l’avvenire di situazioni critiche, ma hanno semplicemente adattato
le proprie valutazioni al manifestarsi di tali circostanze, adeguandosi
all’opinione dei soggetti economici una volta sopraggiunte le difficoltà. Ciò è
quanto accaduto nella crisi del sud-est asiatico (1997).
 Trattamento duro contro le società “disobbedienti” – punishment of
“disobedient” firms – riservato dalle stesse agenzie a tutte quelle società che non
avevano intenzione di pagare per il servizio offerto dalle agenzie di rating stesse.
 Distorsione di conformità – conformity bias – per cui sono pochi i casi in cui le
agenzie assegnano giudizi diversi allo stesso debitore.
 Distorsione socioculturale – sociocultural bias – dato che molti soggetti
economici sostengono che le principali agenzie, in quanto americane, tendono a
penalizzare le società che non seguono gli ideali angloamericani in tema di
management e gestione finanziaria. Ciò viene spesso utilizzato per sostenere la
creazione di agenzie di rating a livello europeo.

1.4 Credit Risk Management

Dopo aver effettuato un ampio approfondimento in materia di rischio di credito, ci


concentreremo brevemente sul Credit Risk Management, ossia il trattamento del rischio
di credito, in ambito aziendale e bancario, incluso nel più ampio campo del risk
management. Quest’ultimo viene definito come “l’insieme di tutte le metodologie di
controllo e gestione dei rischi”: tali metodologie hanno registrato una rapida diffusione
negli ultimi decenni, soprattutto nel settore bancario, a causa di un importante
decremento di redditività e di numerosi vincoli posti alla crescita di tali banche (dovuti
alla scarsità di capitale che le stesse banche hanno subito).
Con l’espressione Credit Risk Management si intende rappresentare le metodologie
statistico-matematiche per il trattamento del rischio di credito. Le moderne tecniche di
Credit Risk Management sono basate sull’introduzione di specifici strumenti di
misurazione del Value at Risk, progettati per assistere gli intermediari finanziari
nell’ottimizzazione delle loro scelte in merito al portafoglio prestiti, in linea con la
propensione al rischio, con il rendimento atteso e con un’efficiente allocazione del
capitale.

1.4.1 Credit Risk Management: principali modelli

In merito a ciò, tra i modelli più diffusi vi sono:

CreditMetrics, introdotto da J.P. Morgan nel 1997, adotta un approccio bottom-up, per il
quale le fluttuazioni dei rating determinano il rischio di credito. Questo metodo si basa
sulla definizione di un sistema di rating e la formulazione di matrici di transizione
costruite su un periodo di tempo di un anno, presupponendo che le controparti siano
caratterizzate da omogeneità in termini di probabilità di default e di transizione di
rating. L'obiettivo principale del modello consiste nell'identificare la distribuzione di
perdita a scadenza attraverso l'uso di simulazioni Monte Carlo, al fine di calcolare il
CVAR (valore condizionale a rischio). Tra le limitazioni del modello si evidenzia
l'assenza di un metodo integrato per gestire congiuntamente i rischi di credito e di
mercato, supponendo che le perdite emergano esclusivamente da cambiamenti negli
stati di credito. I tassi di recupero sono determinati in maniera esogena e si presume una
uniformità tra le controparti all'interno della stessa categoria di rating. Infine, il modello
si basa sull'assunzione che le probabilità di default correnti corrispondano alla media
storica delle probabilità.

CreditRisk+, sviluppato da Credit Suisse nel 1997, si fonda sulla premessa che esistano
unicamente due condizioni, default e non-default, e che il rischio di insolvenza non sia
influenzato dalla struttura del capitale dell'azienda. Assume inoltre che le probabilità di
default rimangano costanti nel tempo e siano indipendenti tra loro nei vari periodi
considerati. Basandosi su queste ipotesi, il modello adotta una distribuzione di
probabilità di tipo Poisson per il default, distribuzione che “esprime le probabilità per il
numero di eventi che si verifiano successivamente ed indipendentemente in un dato
intervallo di tempo”. Il modello organizza le risorse per fasce di gravità, determina per
ciascuna di esse la distribuzione delle perdite e, combinando queste distribuzioni,
elabora la distribuzione complessiva delle perdite. Nonostante la sua relativa facilità di
implementazione, il modello non tiene conto delle variazioni di rating e, similmente al
CreditMetrics, omette il rischio di mercato.

Moody's KMV è un altro modello che si basa sul calcolo della frequenza di default attesa
e permette la determinazione della probabilità di default, in riferimento al rischio di
default e al rischio di migrazione creditizia. Il modello adotta un approccio simile a
quello del modello Metron, valutando la probabilità di default basandosi sulla struttura
di capitale dell'azienda, sulla sua volatilità e sul valore corrente dell'attivo, usando un
modello multifattoriale per calcolare la correlazione tra gli attivi. Tuttavia, non fornisce
una stima completa della distribuzione di perdita a scadenza, ma piuttosto
un'approssimazione analitica.

Credit Portfolio View, sviluppato da McKinsey & Co. nel 1997, adotta un approccio
top-down per definire la distribuzione di probabilità di perdita, utilizzando fattori
macroeconomici che influenzano il rischio di credito. Presuppone che le probabilità di
default e di transizione siano condizionate dal ciclo economico, registrando diminuzioni
di tassi di default in fase di espansione e aumenti in fase di recessione. Un limite di
questo modello è che, essendo basato su un approccio generale, non fornisce dettagli
specifici sul rischio di credito associato a portafogli aziendali.

1.4.2 Credit Risk Management – La gestione del rischio di


credito
Le tecniche di gestione del rischio di credito sono svariate: queste permettono di
attenuare gli effetti derivanti dal rischio stesso, agendo come veri e propri strumenti di
copertura. Le banche, in particolare, utilizzano garanzie e fondi svalutazione per
proteggersi dal rischio di credito, ma è essenziale che considerino anche il valore del
rating. Le misure intraprese dal creditore possono variare, come l'applicazione del risk-
based pricing, che consiste nell'aggiustare il prezzo delle attività finanziarie basandosi
sul rischio, aggiungendo così il valore economico della possibilità di insolvenza del
debitore sul costo totale della transazione. Un'ulteriore strategia può essere l'uso di
collaterals, ovvero richiedere garanzie, sia reali che personali, a protezione della
transazione, o ricorrere a polizze assicurative contro il fallimento delle controparti. Si
presenta un problema significativo quando il creditore giudica che la copertura del
rischio non sia adeguata da un punto di vista qualitativo o quantitativamente
insufficiente. In tali situazioni, si può verificare una contrazione del credito concesso,
con conseguenze che, se significative, possono arrivare a destabilizzare l'intero sistema
economico.

In generale, il modo più efficace per coprirsi dal rischio di credito è quello di utilizzare i
derivati creditizi, la cui trattazione sarà approfondita nel prossimo capitolo.

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