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A cura di Valentino Bellucci

ATLANTE
DEL PENSIERO
ORIENTALE
Per vivere nel mondo di oggi con gli strumenti della saggezza
millenaria
Introduzione
La nascita greca della filosofia è inseparabile dal pensiero orientale. Solo
una grave distorsione ideologica ha impedito agli studiosi euro centrici di
accettare le nostre radici culturali ben oltre la Grecia classica; Pitagora
viaggiò in oriente, in Egitto apprese un sapere e una saggezza antica di
millenni, e concetti come la reincarnazione e il vegetarianesimo filtrarono
dall’oriente, insieme ad altre idee che la filosofia platonica avrebbe poi
sviluppato. Ma i grandi concetti filosofici occidentali sono già presenti in
oriente molti secoli prima, come secoli prima di Galileo e di Newton
astronomi indiani avevano dimostrato il sistema eliocentrico e calcolata
la forza di gravità. I numeri che noi usiamo non sono arabi, ma indiani;
gli arabi portarono lo zero e le altre cifre in Europa, permettendo così una
matematica decimale, alla base della scienza e della tecnologia moderna.
È solo a causa di una visione colonialista che la cultura europea ha
ignorato, e ancora per molti versi ignora, il patrimonio filosofico e
spirituale dell’India e della Cina (il Giappone rielaborò in modo
straordinario ciò che proveniva da queste civiltà). È necessario smettere
con questa visione limitata per poter rompere certi schemi mentali e
culturali, i cui danni sono visibili a tutti. La saggezza orientale, la visione
di una spiritualità scevra di dogmi e pratica, sono più che mai risorse
attuali in un mondo sempre più materialista ed immerso in una
tecnocrazia che non lascia spazio al sogno…

Il mondo occidentalizzato usa da anni parole come karma,


reincarnazione, dharma, ignorandone i profondi significati. Questo
atlante spera di dare un piccolo contributo per poter viaggiare oltre i
ristretti confini di una cultura ‘dominante’ che ha riempito il mondo di
problemi sociali, ecologici, ed esistenziali. Buon viaggio!

Valentino Bellucci, Ancona 2016-08-10


Oggi cominciamo forse ad apprezzare l’arte dell’Asia, o ad
intendere alcuni suoi poeti, ma generalmente poco o nulla sappiamo
del suo pensiero antico e moderno… Ed è grave difetto, quasi che il
pensare sia stato solo Privilegio dell’Occidente…
Giuseppe Tucci

Le Upanishad sono l’emanazione della più alta saggezza umana.


[…] È la lettura più profittevole ed edificante che sia possibile a
questo mondo: essa è stata la consolazione della mia vita e lo
rimarrà fino alla morte.
Arthur Schopenhauer

Le concezioni che lo Shivaismo ci reca sulla natura del mondo


materiale e sottile, come lo Yoga, il Sāṃkhya (cosmologia) e il
Tantrismo, rappresentano una conoscenza mai eguagliata della
natura dell’essere umano e del cosmo.
Alain Daniélou
Vishnu siede su Ananta sesa

Le origini: I VEDA
Il termine Veda significa ‘sapere’, ma si tratta di un sapere che va ben
oltre la concezione occidentalizzata. Il sapere vedico è un sapere
integrale che unisce il visibile e l’invisibile, la materia e lo spirito, la
teoria e la prassi in modo inseparabile. La cultura che si basava su tali
testi ha prodotto una civiltà avanzata sotto ogni aspetto pratico oltre che
interiore e spirituale; una città come Mohenjo-daro ne è la prova più
evidente. I Veda sono di difficile datazione poiché si tratta di raccolte di
Inni sacri trasmessi oralmente per millenni da Maestro a discepolo. Le
quattro raccolte principali sono: Ŗgveda, Sāmaveda, Yajurveda, e
Atharvaveda. Ognuna di queste raccolte ha delle caratteristiche ben
precise e delle finalità ritualistiche uniche. Secondo gli studiosi il Ŗgveda
è la raccolta di inni più antica, risalente a 5000 o 6000 anni fa; si tratta di
più di mille inni dedicati all’invocazione delle varie divinità del pantheon
vedico, e ogni invocazione contiene preghiere, simboli esoterici e
profonde riflessioni filosofiche e cosmologiche. L’idea di base degli inni
(messi in forma scritta dai sacerdoti brahminici solo nel 300 a.C.) è il
sacrificio rituale: l’intero universo si regge grazie al sacrificio, ogni
prosperità è possibile solo attraverso una offerta sacrificale alla divinità,
poiché è dalla divinità che proviene il mondo ed è la divinità che ne
garantisce la durata e l’armonia. Non a caso il Ŗgveda inizia proprio con
un inno dedicato ad Agni, il dio del fuoco: “Invoco Agni per primo per
avere prosperità…” (Ŗgveda, Marsilio,Venezia 2000, pag. 111) e
prosegue indicando le divinità principali ancora oggi adorate in India; ma
tale pluralità non indica un politeismo superficiale, poiché ogni dio è solo
un aspetto dell’unico Dio, Assoluto ed Infinito: “Puruşa è tutto questo
universo, sia ciò che è stato, sia ciò che deve essere.” (Ŗgveda, pag. 67).
L’intera letteratura vedica è la svelamento di questo Puruşa, di questo
essere infinito, che la sorgente di ogni mondo e di ogni divinità. Quindi è
più corretto definire la spiritualità vedica come un Monoteismo
polimorfo. Inoltre negli inni vedici appare (a differenza dei monoteismi
abramitici) l’aspetto femminile del divino, la Grande Dea, inscindibile
dal Dio: “Come una fanciulla fiera del proprio corpo tu vai, o Dea,
incontro al dio che cerca di ottenerti. […] Tu che sei propizia spandi la
tua luce sempre più lontano. Le altre aurore che verranno non saranno
belle come te!” (Ŗgveda, pag. 127) La presenza del divino femminile nei
Veda avvalora la tesi di Alain Daniélou che riguarda un’unica grande
civiltà “che si estendeva dall’India al Portogallo” (A. Daniélou, Shiva e
Dioniso, Astrolabio, Roma 1980), civiltà matriarcale, secondo gli studi di
Marjia Gimbutas. Comunque i Veda sono considerati di origine divine,
opere non-umane, ma frutto di rivelazione da parte degli antichi veggenti,
i rishi, o donati direttamente dall’Assoluto a Brahma, architetto del
cosmo.

Studio delle Upanishad

Citazioni dal Rgveda


“In principio fu il desiderio che si mosse…il desiderio che fu il
primo atto fecondante della mente.” (x,129, 4)

“Le parole dei sacerdoti ispirati sono salite in cielo, verso gli déi.”
(v,76, 1)

Nota sul sanscrito


Il sanscrito è una lingua-archetipo, detta anche devanagari (lingua della
città degli dèi); secondo molti studiosi si tratta della lingua più antica,
all’origine di ogni altro idioma umano. Alcune tracce di proto-sanscrito
sono state rinvenute in diversi luoghi del pianeta (sudamerica e oceania).
I Veda sono stati compilati in un sanscrito antico, che avrebbe poi avuto
ulteriori sviluppi, ma sempre mantenendo la perfezione “di questa
“lingua-cultura” fra le più antiche della terra” (Carlo Della Casa). Uno
dei primi studiosi europei notava: “La lingua sanscrita, per quanto possa
essere antica, ha una struttura meravigliosa. È più completa di quella
greca, più copiosa di quella latina e più colta di entrambe.” (William
Jones) Essa rimanda ad una lingua originaria di divina perfezione;
cadono così le teorie evoluzionistiche del linguaggio che vogliono le
lingue moderne migliori e più ‘evolute’ di quelle arcaiche; è vero il
contrario; come diceva il grande filosofo Walter Benjamin: “L’uomo è il
conoscente della stessa lingua in cui Dio è il creatore.” (Sulla lingua) E i
Veda sono, secondo la tradizione, l’emissione del verbo divino: l’OM.
Tale vibrazione non solo ha dato origine agli inni Vedici ma ha anche
manifestato l’energia materiale.

L’esoterismo e il simbolismo degli Inni Vedici


“…nell’inno di apertura del Veda troviamo le prime indicazioni delle idee
principali dei rishi vedici: la concezione di una coscienza-di-Verità
sopramentale e divina, l’invocazione agli dèi come poteri della Verità per
elevare l’uomo al di fuori delle falsità della mente mortale, il
raggiungimento dentro e attraverso questa Verità di uno stato immortale
di bene e di felicità perfetti e, infine, il sacrificio interiore e l’offerta di
quello che uno ha ed è, dal mortale all’immortale, come strumenti della
realizzazione divina. Tutto il resto del pensiero vedico nei suoi aspetti
spirituali è organizzato attorno a queste concezioni centrali.” (Sri
Aurobindo, Il segreto dei Veda, Aria Nuova, Como 2004, pag. 80)

“Gli dèi non solo attendono il sacrificio, ma ne sono sottomessi; dall’atto


rituale tale efficacia si sprigiona, per la necessaria virtù del suo operare, e
ad esso nulla resiste: esso piega la volontà divina. La parola delle formule
liturgiche imprigiona gli stessi dèi, quando sia stata pronunciata nella
maniera appropriata…” (Giuseppe Tucci, Storia della filosofia indiana,
Tea, pag. 213)
L’Om e il sanscrito come sua emanazione

L’OM, il suono primordiale


“L’OM rappresenta l’Assoluto stesso in forma sonora: A-U-M, queste tre
lettere formano il famoso suono, origine di ogni Mantra e dei mondi
materiali. La sua stessa rappresentazione simbolica ha molti significati
nascosti e contiene verità iniziatiche e teologiche. Secondo varie
tradizioni L’OM nasce dal respiro stesso di Vishnu, o come emanazione
del suo cuore; altri esoterismi considerano tale suono come emesso dal
flauto di Krishna, proveniente dalla dimensione trascendente. Meditare su
questo suono, in altre epoche, permetteva agli asceti di raggiungere
l’unione con Dio e l’Illuminazione.”
Yogi in meditazione

Parole chiave: Mantra


“Ogni Mantra vedico è una combinazione di sillabe sacre che formano
una connessione con l’energia spirituale, risvegliando l’anima. Il termine
si divide in Man- (radice di Manas, mente, da cui deriva il latino mens) e
tra (suffisso che indica una tecnologia, un potere dio controllo); infatti
molti studi psicologici hanno dimostrato l’efficacia dei Mantra per
controllare la mente, eliminando ansia, paure, pensieri negativi. Ma ciò è
solo un effetto secondario della pratica mantrica, attraverso la ripetizione
(japa) del suono; la mente si purifica perché è lo specchio della
coscienza, dell’anima, che si va risvegliando. Uno dei mantra più famosi
e diffusi in occidente è l’Hare Krishna, cantato anche dai Beatles.”

Le Upaniśad
Il termine Upaniśad significa ‘stare seduti ai piedi del Maestro’. La
conoscenza vedica è una conoscenza confidenziale, esoterica, e passa da
cuore a cuore; il Maestro di una tradizione esponeva le verità filosofiche
e spirituali sempre oralmente, ai discepoli iniziati; infatti tali testi
assumono spesso la forma del dialogo. Sono i primi testi dove la visione
filosofica vedica viene chiarita e discussa; dai simboli degli Inni si passa
qui ad una analisi filosofica profonda di concetti come karma, dharma e
reincarnazione. Esistono migliaia di queste Upaniśad, poiché la loro
redazione non ha mai cessato di prodursi fino ai nostri giorni, ma quelle
classiche e più rilevanti sono 108. Quelle più antiche (800 a. C.) sono:
Bŗhadāranyaka, Chāndogya, Taittirīya, Aitareya, Kausitakī, Kena,
mentre quelle ‘medie’ sono: Kathaka, Iśā, Mundaka, Śvetāśvatara.
Queste riflessioni straordinarie mostrano quanto profondo fosse il
pensiero vedico, e preciso per quanto riguarda il senso del mondo e
dell’anima. Centrale in tutte le Upaniśad è la ricerca della realtà ultima,
della causa di tutte le cause; esse vedono nell’Assoluto tale realtà,
denominata Brahman: “…gli autori delle Upaniśad non invocano più la
longevità, il benessere e la ricchezza. Di altre cose è ansioso il vate
upanidshadico: egli è consapevole che la vita, in quale che sia forma e
stato è dolore, e che la pace è soltanto nella luce del vero e nel Brahman.”
(G. Tucci, Storia della filosofia indiana, pag. 41). Nelle Upaniśad appare
l’idea del mondo fenomenico come ‘illusione’, Maya, che nasconde il
vero mondo, quello spirituale. tale visione è simile al platonismo; inoltre
nella loro filosofia è fondamentale la questione dell’Ātman e del
Brahman;
Citazioni
“buoni si diventa infatti con le buone azioni, cattivi con le cattive.”
Bŗhadāranyaka Upanisad

“per chi ha spento i suoi desideri e non ha che il desiderio


dell’Ātman, di costui i soffi vitali non si allontanano dal corpo: egli
è già Brahman, si ricongiunge al Brahman.”
Bŗhadāranyaka Upanisad

“O coscienza, ricordati delle tue azioni, ricordati!”


Bŗhadāranyaka Upanisad

“In verità ciò che è l’infinito è la felicità. Non c’è felicità nel finito;
soltanto l’infinito è felicità”
Chandogya Upanisad

“L’Ātman… per i saggi che lo riconoscono esistente nel proprio Io


c’è gioia immortale, non per altri.”
Katha Upanisad

“Se qualcuno riesce a risvegliarsi spiritualmente sulla terra prima


della dissoluzione del corpo, allora è adatto a ottenere un nuovo
corpo tra gli esseri del mondi superiori”
Katha Upanisad

“La verità vince, non la menzogna; attraverso la verità passa la via


che porta al mondo degli dèi”
Mundaka Upanisad
La Bhagavad-gītā
La Bhagavad-gītā è uno dei grandi testi classici non solo dell’oriente ma
anche dell’occidente. Dalla sue prime traduzioni in inglese e tedesco
colpì i maggiori filosofi e scrittori europei: “La mattina, bagno il mio
intelletto nella stupenda e cosmogonica Filosofia della Bhagavad-Gītā,
dalla cui composizione sono passati anni degli dèi, e in confronto alla
quale il nostro mondo moderno e la sua letteratura sembrano piccoli e
volgari.” (Henry David Thoreau), “La natura, che non mente mai, è
sempre aperta e leale, così come lo è Krishna nella Bhagavad-Gītā.”
(Arthur Schopenhauer), “Ringrazio il cielo d’essere vissuto in un epoca
storica che mi ha permesso di poter leggere la Bhagavad-Gītā.”( Wilhelm
von Humboldt) Questo dialogo rappresenta una perfetta sintesi dell’intera
sapienza vedica e fa parte del grande poema, il Mahabharata. Si tratta di
un dialogo tra Krishna e Arjuna; il karma, i guna, la reincarnazione, lo
yoga sono i temi principali del testo, e lo yogi più elevato è colui che
vuole realizzare l’aspetto personale di Dio, l’aspetto Bhagavan. Per fare
ciò Krishna ha indicato il Bhakti-yoga. Ecco i versi dove sottolinea la
preminenza del percorso devozionale:

“Non invidio e non favorisco nessuno. Sono imparziale con tutti, ma


chiunque Mi offra un servizio con devozione vive in Me; egli è un amico
per Me come io sono un amico per lui. […] Molto presto si corregge e
raggiunge una pace duratura. Proclamalo pur con forza, o figlio di Kuntī,
il Mio devoto non perirà mai. […] Poiché sei venuto in questo mondo
temporaneo e pieno di sofferenza, impegnati dunque nel Mio servizio
d’amore. Pensa sempre a Me, diventa Mio devoto, offrimi i tuoi omaggi e
adorami. Completamente assorto in Me, certamente verrai a Me.” Con
queste parole Krishna apre il suo cuore al suo amico e devoto Arjuna e lo
apre a tutti noi; ci rivela che la via più rapida e sicura verso la felicità
incondizionata è l’amore verso la Personificazione Totale dell’amore,
cioè Krishna stesso. In fondo tutta la Bhagavad-Gītā aveva questo scopo,
far comprendere ad ogni essere umano che la sorgente di ogni cosa è una
Personalità infinitamente affascinante. Ognuno cerca potere, piacere,
bellezza, ma nella dimensione materiale possiamo soltanto cogliere, e per
poco, solo le ombre del vero potere, del vero piacere e della vera
bellezza. Il punto filosofico è che, come notava anche Platone, la bellezza
materiale è una copia di una bellezza ben superiore. Il finito ha le sue
radici nell’infinito.
KRISHNA: storia o mito?
I Purāņa, in particolare e altri testi ci parlano di questa figura come di un
personaggio storico, reale, appartenente ad una dinastia precisa; ciò che
ha fuorviato molti studiosi è l’elemento mistico-religioso che viene
ampiamente sviluppato in relazione a Krishna stesso, considerato re e
Avatar[1] contemporaneamente. Ma tali commistioni non sono assenti
nella storia occidentale, basti pensare alla figura di Giovanna d’Arco e ai
suoi risvolti mistico-religiosi, eppure nessuno si permette di negarne
l’esistenza storica! Esistono d’altronde studiosi che mettono invece in
discussione la storicità della figura di Cristo, data l’esigua
documentazione storica sul suo conto (esclusi i Vangeli). Ma tale visione
è facilmente confutabile. Esaminiamo ora i testi vedici e i loro riferimenti
nei confronti di Krishna. Il filosofo e yogi Sri Aurobindo ci indica le
tracce storiche che Krishna ha lasciato nella tradizione vedica: “Il
Krishna storico, senza dubbio, è esistito. Incontriamo il suo nome prima
nella Chandogya Upanishad dove tutto ciò che possiamo sapere su di lui
è che era molto conosciuto nella tradizione spirituale come conoscitore
del Brahman. […] Nel Mahabharata Krishna viene rappresentato come
personaggio storico e come Avatar…[…] Anche nell’Harivansha
abbiamo un resoconto della vita di Krishna…”[2].
Krishna Govinda
Ildegarda vede Krishna in una miniatura che
descrive la sua visione estatica

Note:

[1] Anche se la mistica vaishnava in particolare lo considera come


Avatari, cioè come la sorgente di tutti gli Avatara.

[21] Sri Aurobindo, Krishna., Sri Aurobindo Ashram, Pondicherry 1997,


pp. 26-27.
L’Avatara in forma di Pesce narrato in vari Purana

I Purāna
Il termine Purāna significa ‘antico’. Si tratta di testi enciclopedici che
contengono narrazioni, allegorie, trattati, scienza e mistica; il loro scopo
è quello di educare l’umanità e rendere accessibili verità che in altri testi
restano espresse in modo troppo oscuro. I Purāna principali sono diciotto
e sono considerati come il ‘quinto Veda’; ognuno tratta, nonostante la
vastità, alcuni temi specifici: il Brahma Purāna tratta della creazione del
cosmo e narra le storie di Rama e di Krishna; il Vishnu Purāna tratta
della creazione, dei continenti del mondo, del Buddha e di Krishna e
descrive il Kali-yuga; lo Shiva Purāna tratta delle istruzioni di Shiva sul
Dharma; il Vamana Purāna tratta molte storie sacre e dei luoghi di
pellegrinaggio; il Varaha Purāna tratta della terza incarnazione di Vishnu
e dei risultati karmici; il Matsya Purāna tratta del Giainismo e del
Buddismo, oltre le varie incarnazioni di Vishnu; il Kurma Purāna tratta
della conversazione tra Krishna e il dio del Sole, dello yoga e di mole
conoscenze esoteriche; il Garuda Purāna tratta di astronomia, medicina,
grammatica ed espone la struttura e la qualità dei diamanti!...; lo Skanda
Purāna tratta di Shiva e dei benefici medici del digiuno; il Markandeya
Purāna tratta della dea Durga ed espone la saggezza di Markandeya;
l’Agni Purāna tratta delle varie arti e delle scienze; il Bhavishya Purāna
tratta degli eventi futuri, è profetico, infatti anticipa di secoli figure come
quella del Cristo e di Caitanya, descrivendole; il Brahmavaivarta Purāna
tratta in modo dettagliato di Radha e Krishna; il Narada Purāna tratta
degli insegnamenti di Narada; il Padma Purāna tratta di temi metafisici
con vari dialoghi; il Brahmanda Purāna tratta dettagliatamente della
nascita dell’universo e della sua struttura; il Linga Purāna tratta del
dharma; lo Shrimad Bhagavatam Purāna è considerato il Maha-Purāna,
il testo supremo che contiene ciò che negli altri Purāna non si trova: esso
narra gli Avatara principali e si concentra sulla figura di Krishna.

Avatara
Parole chiave: DHARMA e AVATARA
Il termine ‘Dharma’ è in realtà troppo complesso per essere reso con un
termine simile; alcuni traducono con ‘Legge’, ‘Ordine divino’,
‘Giustizia’. Si tratta di tutti questi aspetti insieme; conoscere il proprio
dharma significa conoscere il proprio dovere verso la società e verso il
divino; il caos e il dolore derivano dall’ignoranza verso il dharma. I
pilastri del Dharma sociale sono quattro: Ahimsa (non-violenza), Satyam
(servire la verità), Tapas (austerità) e Sauca (purezza). Se uno di questi
pilastri viene a mancare nella vita di un uomo o della società tutto va in
rovina. In particolare Ahimsa (non-violenza) viene considerata come il
pilastro fondante del dharma e degli altri aspetti. Uno volta realizzato e
rispettato il dharma la società si sviluppa: Artha (prosperità), Kama
(godimento), Moksha (liberazione dal ciclo di nascita e morte) e Prema
(amore divino).

Il termine Avatara significa ‘colui che discende’. Nella spiritualità


vedica il divino, l’Assoluto, non abbandona mai nessun pianeta e in tutti
gli universi Egli discende, secondo diverse forme, per aiutare ogni essere
e per facilitarne la liberazione. I Purāna descrivono le forme e le vite dei
principali Avatara, ma la tradizione ci dice che essi sono infiniti. Ogni
Personificazione del divino ha una forma spirituale, eterna, che esiste
nella dimensione spirituale e che ciclicamente si manifesta sul piano
materiale. Anche Gesù è considerato secondo i Purāna uno speciale
Avatara, con una missione da compiere. Perché diverse forme del divino?
Prima di tutto perché l’Infinito ama la varietà e la possiede anche a
livello assoluto, in secondo luogo ogni epoca necessita di forma
specifiche per una missione specifica.
Kuruksetra

Storicità dei poemi vedici


I due poemi (Ramayana e Mahabharata) formano le Itihasa, ovvero le
cronache della storia più antica. L’archeologia lo conferma; ad esempio la
città di Dvaraka, ritrovata nei fondali marini dove indicato dai poemi
vedici; il professor Rao affermò chiaramente: “I risultati e le evidenze
archeologiche ritrovate a Dvaraka sono del tutto compatibili col poema
epico Mahabharata e toglie ogni dubbio sulla sua storicità e sulla reale
esistenza del suo fondatore: Krishna” Inoltre esistono anche gli studi di P.
V. Vartak, il quale afferma di aver trovato numerose prove scientifiche
che confermano la storicità della battaglia di Kuruksetra: “Il poema
riferisce che al momento della battaglia vi era una eclissi solare e poi una
lunare; secondo i calcoli astronomici ciò è avvenuto 5561 anni fa; inoltre
il poema fa riferimento al passaggio di una grande cometa, che, secondo i
calcoli, era la cometa di Halley. L’inizio della battaglia decisiva avvenne
il 16 ottobre di 5561 anni fa…” La storicità dei testi vedici è documentata
ma la visione colonialista europea ignora queste narrazioni.
I sei darshan (visioni della verità)
Secondo la tradizione braminica ortodossa ci sono sei ‘visioni’ (Darshan)
o scuole di pensiero; esse vengono considerate ‘astika’, cioè in linea con
la tradizione vedica, per differenziarle con quelle ‘nastika’. Le sei scuole
filosofiche vengono solitamente accoppiate in base ad una certa affinità
di pensiero: Samkhya-Yoga, Nyaya-Vaisesika, Mimamsa-Vedanta.
Ognuna di queste scuole ha sviluppato una certa varietà al suo interno,
mostrando come la ricchezza filosofica e spirituale vedica rifiuti ogni
dogmatismo per una ricerca perenne dell’Assoluto.

Yoga

Yoga
Il termine Yoga significa ‘unione’, ‘legame’, ‘giogo’; non si tratta solo di
una visione filosofica ma di una pratica mistica il cui scopo è di far
raggiungere l’unione dell’anima individuale con l’Anima Suprema, Dio.
In realtà il concetto di ‘Yoga’ è alla base di ogni visione vedica. Il testo
classico di riferimento (oltre alla Bhagavad-gītā) è lo Yogasūtra
compilato da Patañjali tra il V e il VI secolo d. C., pur contenendo
principi e concetti antichi di millenni. Patañjali ha sistematizzato con
aforismi cristallini la grande tradizione dell’ashtanga yoga (o yoga in
otto fasi), un tipo di cammino spirituale che pochissimi riescono a
percorrere, soprattutto in tempi moderni; per comprenderlo basta
elencarne le otto fasi, o livelli:

1. Yama: non-violenza (compresa l’alimentazione vegetariana), non


ingannare, non rubare, voto di castità, distacco dalle cose materiali.
2. Niyama: purezza fisica e mentale, essere sempre soddisfatti, austerità,
lo studio di sé e dei testi sacri, l’abbandono a Dio.
3. Āsana: posture per trascendere i fastidi corporali che possono
distrarre dalla meditazione.
4. Prānāyāma: controllo del respiro per portare la mente oltre i legami
fisici.
5. Pratyāhāra: ritirare i sensi dal corpo. Uno yogi potrebbe sopportare
qualsiasi tortura…
6. Dhāranā: concentrazione della mente oltre i limiti di tempo e spazio.
7. Dhyāna: fissare la concentrazione sulla forma divina descritta nei
testi sacri. Ecco la famosa ‘meditazione’ che in occidente molti
credono di applicare subito saltando le sei fasi precedenti.
8. Samādhi: l’estasi mistica, l’unione della coscienza individuale con
l’Assoluto.

Soltanto analizzando il primo livello, Yama, si comprende che la maggior


parte delle persone è esclusa da questo tipo di Yoga; eppure in molte
pseudo-scuole si fa credere di poter praticare i livelli successivi senza
aver praticato la dura ascesi di base…è la mistificazione tipica della
cultura occidentale che estrapola da antiche tradizioni ciò che vuole,
deformandone però il senso profondo. Lo Yoga non è una ginnastica
posturale… e questo dovrebbe essere chiarito una volta per tutte. Lo
scopo di ogni Yoga autentico è l’estasi mistica, l’unione con la gioia
infinita. Lenire qualche mal di schiena e restare ad occhi chiusi in
silenzio non porta ad alcun avanzamento spirituale…Infatti Patañjali è
molto chiaro e diretto: “L’austerità, lo studio dei testi sacri e l’abbandono
totale a Dio costituiscono l’azione basilare dello yoga” (Yogasūtra,
Sādhana pāda, 1). Nell’epoca attuale, il Kali-yuga, lo yoga praticabile è
lo yoga della Bhakti.

Vedanta
Il Vedanta è la visione vedica che culmina in una perfetta sintesi
speculativa; infatti significa ‘il fine dei Veda’ e nel testo classico che
caratterizza questa scuola, il Brahmasūtra (o Vedantasūtra), i temi delle
Upaniśad vengono analizzati fino in fondo. Lo scopo supremo di questa
filosofia è la perfetta comprensione e realizzazione del Brahman, la realtà
spirituale e assoluta. Nel corso dei secoli si sono sviluppate diverse
scuole che hanno interpretato il testo in modalità diverse:

1. Advaita Vedanta: È la lettura del Monismo assoluto, secondo il quale


solo il Brahman indifferenziato è reale e ogni molteplicità che spezza
l’Uno indistinto è illusione.
2. Visistadvaita Vedanta: è la lettura che propone un monismo che
accoglie in sé il molteplice.
3. Dvaita Vedanta: è la lettura che considera, invece, l’Assoluto come
realmente differenziato in diverse sostanze reali ed eterne.
4. Acintya-bedabeda-tattva Vedanta: è la sintesi filosofica che secondo
molti studiosi ha unificato le altre, proponendo una simultanea unità e
molteplicità dell’Assoluto, del divino Brahman.

Ogni scuola ha prodotto molte opere e Maestri spirituali che ancora oggi
vivono e trasmettono nel mondo la saggezza vedica. Al di là delle
differenze di lettura del Vedanta ogni tradizione autentica condivide con
le altre gli stessi principi etici e spirituali; non vi è rivalità o scontro tra le
diverse scuole, poiché ciò che conta è il lavoro interiore che ognuno deve
fare su sé stesso. A differenza delle violenze avvenute in Occidente per le
diverse letture teologiche (e per finalità politiche) nell’India vedica non
vi sono mai stati scontri e violenze per motivi dottrinali, anzi il confronto
filosofico è sempre stato visto, per millenni, come stimolante e degno di
accrescere la nostra consapevolezza spirituale.

Kapila, fondatore del Shankya

Shankya
Il termine Shankya significa ‘enumerazione’ e riguarda lo studio della
realtà analizzando e individuando tutti gli elementi che la compongono. Il
testo classico di tale scuola filosofica è la Sāmkhyakārikā di
Ǐsvarakrishna (tra il I e il V secolo d. C.), anche se la sua radice risale a
Kapila deva (considerato un Avatar). Secondo tale visione sono due le
macro-realtà cosmiche: il Purusha e la Prakriti. Il Purusha è il soggetto
spirituale che osserva la Prakriti, cioè la materia nelle sua varie
manifestazioni. L’aspetto interessante è che gli elementi grossolani
derivano dagli elementi più sottili e la causa ultima è non materiale; è
quindi una negazione del materialismo. Le anime, i singoli Purusha,
assistono come spettatori davanti ad un film, alle modificazioni del corpo
e della materia. È l’identificazione col corpo che crea nell’anima
l’illusione di appartenere al mondo materiale. I Purusha sono pura
coscienza, semplici testimoni; è l’Io psicologico a sperimentare piaceri e
dolori, come riflesso della coscienza legata al corpo attraverso l’illusione
chiamata ahamkara; è, in sostanza, come un soggetto che sta sognando:
fin quando il sogno permane l’illusorio legame dell’anima con la materia
prosegue. Scopo della conoscenza Shankya è permettere il risveglio del
soggetto, del vero Io, intrappolato nel sogno di un’altra identità fittizia. È
quindi solo la materia a modificarsi, secondo la legge dei tre Guna, le tre
modalità di interazione che danno forma a tutto ciò che di materiale
esiste. Il legame tra il Shankya e lo Yoga è molto forte, poiché in
entrambe le scuole lo scopo finale è raggiungere la liberazione dell’anima
dalla materia.

Parola chiave: Guna


Ogni Guna può essere paragonato ad una macro-struttura, ad una
dimensione fondamentale dell’energia materiale; come lo spazio è
strutturato secondo tre dimensioni, così ogni ente materiale è un risultato
delle combinazioni dei tre Guna. Come un corpo immerso nello spazio
deve comunque seguire una delle tre direzioni, così la mente identificata
col corpo dovrà seguire le modalità del Sattva, del Rajas e del Tamas. I
tre Guna (o ‘corda’ che lega la coscienza) modellano ogni cosa e ogni
tipo psicologico. Il Sattva porta alla lucidità, all’armonia e
all’intelligenza; il Rajas porta alla passione e alla sofferenza; il Tamas
porta all’apatia, alla depressione, alla perdita di consapevolezza.
Vaiṣeśika

Vaiṣeśika
La visione filosofica del Vaiṣeśika è una visione legata ad una ricerca
naturalistica; la verità è accessibile analizzando il mondo fenomenico, un
mondo composto da atomi (anu). Fu Kanada, millenni prima di
Democrito, a teorizzare la struttura atomica della materia nel
Vaiśesikasūtra. L’intero mondo visibile è un effetto delle varie forme e
interazioni di questi atomi, ma tale effetto non è dovuto al caso (come nel
materialismo greco) ma è regolato da una intelligenza divina secondo un
preciso ordine etico. Tale ordine etico è il famoso karma, dove ogni
anima riceve in vita in base a ciò che ha svolto in passato.

Nyaya
La visione filosofica del Nyaya è in sostanza un sistema di logica (infatti
il termine significa appunto ‘metodo per svolgere ricerca’) che deve
portare il ricercatore ad una conclusione certa. Il testo classico è il
Nyāyasūtra di Gautama. In sintesi ogni conoscenza, per essere tale,
necessita di un soggetto (pramātŗ) che conosce, dell’oggetto da
conoscere (prameya) e dei mezzi che permettono la conoscenza
(pramāna). La fonte primaria della conoscenza è l’intuizione sensibile,
ma tale intuizione ha le sue complessità, dovute alla mente che intuisce e
ai fenomeni intuiti. Inoltre nel Nyaya sono esposte varie strutture logiche
come il sillogismo, l’induzione, le proposizioni universali. Per il pensiero
indiano le idee universali non nascono da un mondo trascendente
platonico o da una astrazione aristotelica, ma da una concreta
osservazione della realtà dei fenomeni. La fenomenologia di Husserl è
più vicina ad un tale sistema logico-filosofico. La conoscenza può essere
garantita solo cogliendo la relazione di causa-effetto dei fenomeni, ed è
così che il Nyaya analizza i vari tipi di cause presenti in natura. Il fine
della conoscenza è sempre la liberazione dal ciclo di nascita e morte:
“anima, corpo, organi dei sensi, oggetti dei sensi, intelletto, esperienza,
mente, azione, difetti, rinascita, dolore, bene supremo, costituiscono la
realtà che deve essere conosciuta (prameya).” (Nyāyasūtra, I, 1, 9). Per
secoli si sono sviluppate varie scuole all’interno di questa visione vedica,
ma la centralità è sempre rimasta la necessità di garantire un metodo
sicuro e corretto di gestire la conoscenza, conoscenza che deve poi
portare alla liberazione del soggetto dalla sofferenza.

Citazioni
“Il sollievo assoluto dal dolore è la liberazione da nascita e morte.
[…] Il ricordo è una qualità dell’anima.” (Nyāyasūtra)
Jaimini, del Mimamsa

Mimamsa
La scuola detta Mimamsa è una vera e propria scienza dei riti. L’aspetto
rituale è in essa decisivo e preponderante. Lo scopo dei Veda è, secondo
il Sūtra di Jaimini, permettere alla società di raggiungere i propri scopi,
anche la liberazione, attraverso la scienza dei rituali. E il rituale è svolto
attraverso l’uso corretto dei Mantra. Per il Mimamsa ogni suono-parola è
un archetipo eterno e colui che svolge il rito deve riuscire a manifestare
tale suono; in base a tale azione sonora, secondo la legge karmica di
causa-effetto, devono necessariamente esserci i frutti. Dunque per questa
scuola il potere della parola è cosmico e ne deriva una vera e propria
filosofia del linguaggio. È bene sottolineare che recitare dei mantra non è
sufficiente per ottenere ciò che si desidera (come credono alcuni ingenui
della new age), infatti per Jaimini occorrono anche: vidhi (i doveri etici
da compiere), pratisedha (le proibizioni) e arthavada (la spiegazione
corretta del testo sacro). Senza tali elementi il mantra non è efficace.
Ricordiamo che lo scopo di Jaimini è la conoscenza del Dharma, poiché
solo conoscendo la legge cosmica, l’ordine divino delle cose, è possibile
muoversi in modo corretto nella dimensione materiale: “Il Dharma si può
conoscere attraverso i precetti presenti nei Veda” (Pūrvamīmāmsā sūtra,
1, 5). Credere di poter raggiungere qualsiasi scopo ignorando l’armonia e
la legge cosmica è una forma di ignoranza che, secondo Jaimini, conduce
il singolo e la società verso il caos…
Il pensiero Buddhista

Il Buddha
Vissuto circa cinque secoli prima di Cristo, il principe indiano Siddharta
Gautama (566 a. C.- 486 a. C.) è divenuto un punto di riferimento per
milioni di persone in tutto il mondo; alcuni lo venerano come una
manifestazione dell’Assoluto, per altre scuole è un’anima che ha
raggiunto il pieno Risveglio (Buddha significa appunto Risvegliato). La
sua vita, come scrisse Borges, riguarda “non di ciò che il Buddha fu, ma
di ciò che pervenne ad essere in breve tempo”[3], cioè la raggiunta
illuminazione interiore che lo portò ad essere una guida; al di là dei vari
elementi leggendari che hanno avvolto la sua figura storica egli fu un
principe che abbandonò ogni cosa per farsi monaco e cercare la soluzione
al dolore dell’esistenza. La sua dottrina è riassunta nelle famose Quattro
Nobili Verità:

1. La verità che la vita è sostanzialmente dolore.


2. La verità sulla causa del dolore.
3. La verità sulla cessazione del dolore.
4. La verità sulla via che conduce a tale cessazione.

In sostanza il Buddha voleva indicare una via pratica e veloce per


permettere a tutti gli esseri di raggiungere il famoso Nirvana (cessazione
del dolore); nei suoi discorsi (sūtra) non troviamo mai analisi dottrinali e
complessità astratte, egli, come Gesù, utilizza parabole ed esempi molto
chiari per convincere ogni essere della necessità di uscire dalla ruota
delle nascite e delle morti; per il Buddha il mondo materiale è come una
casa in fiamme: inutile analizzare la natura del fuoco, occorre uscire dalla
casa velocemente. Uno dei mezzi fondamentali indicati dal Buddha è la
Compassione verso tutti gli esseri. Non a caso nei vari discorsi (trascritti
dai suoi discepoli, poiché egli non scrisse nulla, preferendo
l’insegnamento orale) si trova spesso il riferimento ad una alimentazione
vegetariana, alla base di una vita compassionevole e non-violenta. La
predicazione del Buddha spazzò via i rituali vedici in India e i sacrifici
animali, diffondendo una visione della realtà essenzialmente psicologica
ed etica. Il Buddha comprese (come del resto già indicato in molti testi
vedici) che la vita materiale è dolorosa e anche gli effimeri piaceri fisici
non fanno altro che alimentare il dolore; la causa profonda del dolore è
l’attaccamento; è l’attaccamento che costringe l’essere a rinascere, a
sperimentare la sofferenza che deriva dal cercare una gioia reale in un
mondo illusorio, temporaneo. Per liberarsi da questo dolore è necessario
estirpare alla radice ogni desiderio, ogni attaccamento verso il mondo
materiale. Per fare ciò il Buddha indicò l’Ottuplice sentiero:

1. Retta visione.
2. Retto pensiero.
3. Retta parola.
4. Retta azione.
5. Retto stile di vita.
6. Retto sforzo.
7. Retta consapevolezza
8. Retta meditazione.

Come nello Yoga anche il Buddha non pone la meditazione come


semplice tecnica, ma come coronamento di un vivere etico ineccepibile.
Senza tale condotta morale la purificazione è impossibile e il Nirvana
resta solo una parola…

Citazioni
“I consapevoli nell’attenzione non muoiono, ma coloro che vivono
inconsapevoli sono come già morti.” (Dhammapada, 2. 21)

“Come la pioggia penetra nella capanna dal tetto bucato, così


l’attaccamento penetra nella mente non attenta.” (Dhammapada, 1.
13)

“Con l’odio non si placa mai l’odio nel mondo. Solo con l’assenza
di odio si placa altro odio: questa è la Legge eterna.”
(Dhammapada, 1. 5)

“È maggiore la quantità di lacrime che voi avete sparso, versato, a


lungo peregrinando e trasmigrando… anziché l’acqua dei quattro
grandi oceani.” (Samyutta Nikāya, Libro IV, 3)

“Come potete dunque, dopo il mio Nirvana, mangiare carne di


esseri viventi e pretendere di essere miei discepoli? […] Tutti i
Bhiksu che vivono nella purezza e tutti i Bodhisattva evitano perfino
di camminare sull’erba; come possono acconsentire a strapparla?
Come possono dunque coloro che esercitano la grande compassione
nutrirsi della carne e del sangue degli esseri viventi?” (Surangama
Sutra)

Le scuole filosofiche buddiste


Il Buddha non aveva alcuna intenzione di dare il via a molteplici scuole
buddiste, proprio come il Cristo non aveva alcuna teologia in mente; egli
predicò e insegnò con l’esempio, ma i suoi discepoli hanno poi trascritto i
suoi insegnamenti orali. Già in questa trascrizione avviene la nascita di
un ‘filtro’, una alterazione culturale che porta il contatto vivente con un
illuminato verso una astratta riflessione testuale, e tale riflessione nei
secoli ha scatenato moltissime scuole, ognuna con una sua
interpretazione del messaggio essenziale e limpido del Buddha orale.
Come nota Vecchiotti: “Il Buddhismo è tutto fuor che una religione…
[…] il Buddhismo rielabora istanze Brahminiche”[4] e dà vita a due
grandi correnti principali: Mahayana (buddhismo del grande veicolo) e
Hinayana (buddhismo del piccolo veicolo); il ‘piccolo veicolo’
rappresenta fin dai primi secoli la parte più rigida e legata alle regole
monacali, quella ‘ortodossa’, mentre il ‘grande veicolo’ rompe gli schemi
dell’ortodossia iniziale verso un Buddhismo più segreto, più esoterico:
“Ma la scuola (Mahayana) aveva così preso possesso delle coscienze, si
era così diffusa che trovò anch’essa la propria sanzione, più che nei
concili, nell’opera di grandi pensatori, i quali da quel coacervo di visioni,
profezie […] trassero una dogmatica rigida e precisa: Nagarjuna,
Asanga…”[5] Nei secoli innumerevoli opere si sono diffuse e oggi nel
mondo sono molto popolari il buddhismo Zen, quello tibetano, e molti
altri…Ma è sempre bene ricordare che altri autori hanno aggiunto le
proprie realizzazioni filosofiche ed interiori al nucleo originario del
Buddha orale.

Nagarjuna
Nagarjuna è uno dei massimi filosofi del Buddismo Mahayana. Egli,
approfondendo la dottrina dell’impermanenza dei fenomeni, arriva a
considerare come unica realtà il Vuoto, poiché ogni altro fenomeno non è
sostanziale, essendo un risultato temporaneo di relazioni e combinazioni.
Nulla è sostanziale secondo Nagarjuna perché nulla è isolato dal continuo
flusso di relazioni e combinazioni del divenire; egli afferma: “Tutti gli
esseri sono privi di natura propria, come si ricava dalla vista del loro
continuo mutare.”(Madhyamaka kārikā, XIII, 3). Questa visione ha lo
scopo di portare al distacco, poiché non ha senso desiderare ciò che non è
sostanziale; inoltre la visione di Nagarjuna non rientra neppure in una
sorta di nichilismo; non c’è per lui da decidere tra l’essere e il nulla,
poiché il vuoto infinito trascende queste categorie: “Chi pensa che una
cosa esiste, si ha, come conseguenza, la dottrina dell’eternità; chi pensa
che una cosa non esiste, si ha, come conseguenza, la dottrina
dell’annientamento. L’intenditore, perciò, si studi di evitare l’idea
dell’esistenza e della non-esistenza.” ( Madhyamaka kārikā, XV, 10).
L’unica idea accettabile è quella del Vuoto (Sunya), ma non è un’idea che
la mente può davvero razionalizzare, poiché trascende, come il Nirvana
stesso, ogni nostra categoria di pensiero. Infatti il filosofo puntualizza:
“La vacuità è una designazione metaforica.” (Madhyamaka kārikā,
XXIV, 18) Si tratta di andare oltre il piano mentale, piano basato sugli
opposti; solo allora ci potrà essere liberazione, risveglio dalle illusioni
della mente. Nagarjuna sapeva che tale vacuità è raggiungibile solo
attraverso la compassione verso tutti gli esseri; è prassi più che teoria;
secondo la leggenda che avvolge la sua vita lo stesso Nagarjuna donò 99
volte la propria testa, nelle vite passate, per il bene del mondo.

Lo Zen
Dal Buddhismo cinese Ch’an, deriva la famosa scuola del buddhismo
giapponese Zen; tale scuola ha un grande fascino, in parte legato al suo
leggendario fondatore, il monaco Bodhidharma, il quale predicava il
raggiungimento del ‘risveglio istantaneo’, tralasciando dogmi e testi da
studiare. Lo Zen si fonda più che sui testi su una conoscenza interiore
trasmessa da cuore a cuore, da Maestro a discepolo. Il Maestro fa in
modo che una esperienza (a volte uno shock) risvegli la mente del
discepolo, manifestando in lui la perfetta e pura natura della coscienza,
oltre ogni illusione dualistica. La natura del Buddha è, secondo lo Zen,
già presente in ogni essere, ma l’illusione della mente vela questa natura,
causando sofferenza e rinascite. Anche la famosa tecnica di meditazione
Zazen (concentrarsi col respiro e osservare la propria mente con distacco)
serve come preparazione all’istante del Risveglio. Come scrive Shunryu
Suzuki: “La pratica Zen consiste nell’espandere la nostra piccola mente.
La concentrazione è quindi soltanto un mezzo utile per aiutarvi a
realizzare la ‘grande mente’, ovvero la mente che è ogni cosa.”[6]
Esistono innumerevoli ‘storie Zen’ che illustrano il rapporto Maestro e
discepolo in modo esemplare e affascinante.

Storia Zen
“Un monaco chiese a Joshu: ‘Cos’è il mio sé?’

Joshu disse: ‘Hai mangiato la tua crema di riso?’

Il monaco disse di sì.

Joshu disse: ‘Allora vai a lavare la ciotola.’”

Ogni storia zen sembra qualcosa di assurdamente comico, in realtà il


maestro cerca, attraverso un Koan, cioè un ‘assurdo veicolato’, di far
saltare gli schemi mentali del discepolo, manifestando così in lui il
Satori, l’Illuminazione.

Parola chiave: il Vuoto


Nella mentalità occidentale è molto difficile non confondere il concetto
di Vuoto con il Nulla; ma nel pensiero orientale, in particolare quello
dello Zen Giapponese, il Vuoto è positivo, è la vera realtà, il fondamento
di tutto ciò che esiste. Del resto è grazie al vuoto che noi possiamo
‘riempire’ qualsiasi cosa; fare il ‘vuoto’ significa fare spazio, soprattutto
fare spazio nella mente e liberarla dai molti condizionamenti che la
affliggono.
Bodhidharma
La figura di Bodhidharma (483 – 540 d. C.) è immersa nella leggenda.
Pare fosse un brahmano dell’India meridionale, il quale, dopo aver
appreso il Buddhismo Mahayana cercò di diffonderlo in Cina. Egli è
considerato il fondatore del lignaggio Ch’an/Zen e i suoi insegnamenti
sono alla base delle arti marziali dei famosi monaci-guerrieri Shaolin. A
volte nella sua biografia si inseriscono vite di altri monaci leggendari, ma
resta sempre al centro la necessità di raggiungere il Risveglio
riconoscendo la Vacuità del tutto. Famosa è la meditazione durata per
nove anni di Bodhidharma davanti ad un muro e il suo metodo,
dell’Illuminazione istantanea, è divenuto l’essenza stessa dello Zen
successivo. A lui sono attribuite le Quattro pratiche principali:

1. Non essere ostile verso nessuno.


2. Accettare ogni circostanza.
3. Privarsi di ogni desiderio egoistico.
4. Essere conformi al Dharma.

Il Jainismo
Il movimento jaina rifiuta l’autorità Brahminica e si pone così come moto
rivoluzionario e in tal senso viene considerato come ‘nastika’. Mentre il
buddhismo sviluppò un certo dialogo con la tradizione brahminica il
Jainismo evitò questa mediazione e sviluppò una visione rigorosa e più
aristocratica. Il Jainismo è ateo, pur ammettendo l’esistenza delle anime,
del karma e della liberazione dal samsara. Il suo fondatore fu il principe
Mahavira (- 477 a. C.), contemporaneo del Buddha; il suo insegnamento
si diffuse con velocità e ampiezza in India e portò alla fioritura di
numerosi testi, in particolare dedicati alla logica. Filosoficamente è
simile al Sāṃkhya, e lo scopo (anche qui) è la liberazione dell’anima dal
dolore materiale. Per raggiungere tale scopo nel Jainismo è decisivo
estinguere completamente il Karma, ovvero tutte le conseguenze delle
nostre azioni. Gli ostacoli da superare per estinguere il Karma sono otto:

1. La visione errata delle cose. (darshanavaraniya)


2. La conoscenza offuscata. (jnanavaraniya)
3. Le esperienze di piacere e dolore che offuscano le facoltà. (vedaniya
e mohaniya)
4. I corpi che l’anima assume in base al Karma. (nama-karma)
5. Le forze che decidono la longevità. (ayuh-karma)
6. Le forze che determineranno la famiglia di appartenenza. (gotra-
karma)
7. Le forze che bloccano l’energia dell’anima. (antaraya-karma)
8. Il ‘corpo karmico’ (karmasarira) che risulta dalle forze precedenti.

L’individuo dovrà lottare e vincere queste forze se vorrà ottenere la


liberazione finale. In particolare, come nel Buddismo, è qui importante la
non-violenza, il non nuocere a nessun essere vivente. I Jainisti sono
quindi vegetariani e i monaci, in particolare, assumono una ascesi molto
rigorosa per bruciare il karma in una sola vita.

Il Tantra
Il termine ‘tantra’ significa ‘tessuto’, ‘telaio’, ‘tecnica’; si tratta di una
antichissima tradizione i cui insegnamenti segreti hanno attraversato, in
modo trasversale, le varie culture indiane; abbiamo quindi un tantrismo
vedico, buddhista, gainista; in occidente il tantra è tra le scuole più
fraintese e mistificate e tutto viene ridotto ad una specie di ‘mistica del
sesso’. Le cose sono molto più complesse. Secondo molti studiosi tale
tradizione è tra le più antiche e rimanda alle civiltà matriarcali presenti in
tutto il mondo, civiltà dove la Dea era la divinità principale e dove la vita
stessa era sacra in ogni suo aspetto. Le tracce più antiche si ritrovano nel
culto di Shiva e Durga e della loro unione mistica come origine del
mondo. In tal senso l’energia sessuale è vista come energia sacra e
richiede una profonda consapevolezza iniziatica; pochi sono gli adepti
che possono praticare l’unione fisica per raggiungere l’unione divina e
ciò richiede dei rituali tantrici molto difficili. Dal punto di vista filosofico
il tantrismo si inserisce in tutte quelle realtà dove lo sciamanesimo e il
rapporto con le energie della natura sono molto forti, dove il divino va
cercato soprattutto nella realtà fenomenica, nel qui e ora; e per realizzarlo
l’iniziato tantrico si avvale di strumenti che vengono dati a pochi: Mantra
speciali, Mandala, Rituali segreti. In sostanza il superamento dei legami
materiali nel tantrismo non avviene attraverso una graduale ascesi e con
il distacco, ma avviene immergendosi consapevolmente nel mondo stesso,
cogliendo nel desiderio la presenza divina. Alcune scuole tantriche sono
spesso degenerate a causa della pericolosità di tale ‘immersione’; ma
altre scuole rappresentano invece gli aspetti più alti ed esoterici
dell’amore mistico e divino, come nei testi che descrivono l’unione di
Shiva e Shakti, o di Krishna e Radha. Giuseppe Tucci scrive acutamente:
“…la libido, che assume in India un senso cosmico, un impulso ovunque
e sempre presente ed attivo, che sotto il binomio Shiva-Shakti, linga-yoni
delle scuole shivaite, Krishna-Radha delle scuole vishnuite, atto e
conoscenza, padre-madre delle sette buddhiste, ispira e alimenta alcune
delle più ardite costruzioni religiose del mondo.”[7] La sessualità
materiale è dunque nel tantra più profondo un riflesso distorto
dell’amplesso del divino con se stesso, l’unione del Suo duplice aspetto
maschile e femminile, archetipi che danno origine a tutte le coppie
presenti in natura.
Parola chiave: Lingam
“Nei templi shivaiti si vedono innumerevoli linga; ad alcuni di essi si
attribuiscono origini non umane: sono i celebri «dodici linga luminosi»
divenuti luoghi di pellegrinaggio…[…] …nell’India meridionale adorano
il linga, perché il linga è Shiva.”[8] (G. Tucci) Il linga è il fallo cosmico,
il principio creativo universale. Non a caso grandi studiosi hanno visto
nei riti orgiastici dionisiaci una forte parentela con le scuole tantriche del
linga, tanto da considerare la figura di Dioniso una manifestazione greca
del Dio Shiva. Molte divinità antiche, greche, egizie e scandinave, sono
di derivazione più antica, e hanno origine dal pantheon vedico.

Note:

[3] J. L. Borges, Cos’è il buddismo, Newton, pag. 21.

[4] I. Vecchiotti, Introduzione alla storia della filosofia indiana, Urbino,


pag. 142.

[5] G. Tucci, Storia della filosofia indiana, pag. 53.

[6] S. Suzuki, Mente Zen, Ubaldini, pag. 29.

[7] G. Tucci, Amore ed Arte. Nepal, Nagel edizioni, pag. 115

[8] Ivi., pag. 12.


Dipinto antico cinese raffigurante monaci taoisti
del gruppo etnico Yao.

Il pensiero cinese: Taoismo e


Confucianesimo
Il Taoismo, la Via del Tao, è una realtà estremamente esoterica per la
mente schematica dell’uomo occidentalizzato. Mentre la saggezza di un
Confucio può essere paragonata a quella di un Socrate e letta all’interno
di una chiara struttura etica e pragmatica, il saggio taoista sfugge ad ogni
catalogazione e – simile al maestro zen – tende a far esplodere i nostri
schemi mentali. Il grande studioso Vecchiotti notava in proposito:
“Mentre il confuciano si presenta coi caratteri dell’uomo di mondo, il
taoista si presenta come un asceta, un uomo per cui il valore è da
ricercare in una dimensione soprasensibile e sopramondana…[…] Il
Taoismo si ricollega pertanto a una condizione naturale e pre-patriarcale
dell’esistere in cui il rapporto fra uomo e natura è immediato e
organico…” In sostanza il saggio che segue la spontaneità del Tao, del
grande e inesprimibile ordine cosmico, è simile a quelle figure estreme
che troviamo anche in altre tradizioni e in altre zone del mondo; lo
sciamano, il druido, lo yogi rappresentano i resti di quella civiltà
perduta, pre-patriarcale, che alcuni studiosi hanno identificato con la
Civiltà della Dea Madre, civiltà dove il visibile non era in contrasto col
mondo invisibile, dove l’armonia non era frutto di sforzi e di codici
legislativi, ma realtà quotidiana di esseri più coscienti. In questo senso la
figura di Lao-tzu mostra tutta la forza dirompente di tale saggezza, una
saggezza che appare tanto misteriosa quanto necessaria per chi vuole
sfuggire oggi ad una società sempre più massificante e tecnocratica…La
figura di Lao è storicamente inquadrata, ma i dettagli sulla sua vita
restano avvolti nella leggenda, in ciò è simile a Pitagora o a Buddha; egli
lasciò al mondo i brevi paragrafi del Tao tề ching, le cui parole hanno
ispirato da millenni molte interpretazioni, ma in sintesi si tratta
dell’esposizione di una “mistica immanente”[9]; il saggio del Tao non
cerca un al di là separato dal mondo materiale, egli riconosce che
l’assoluto è presente sempre e ovunque; se non riusciamo a coglierlo
nella nostra quotidianità non riusciremo a coglierlo mai. Il romanzo da
me scritto cerca soprattutto di mostrare tale ricerca, una ricerca non
forzata ma spontanea, legata più ad un abbandonarsi al Tao, nella fiducia
che l’ordine cosmico ci guidi e ci porti ad un sicuro risveglio interiore. Le
parole indicate dal saggio servono per avvicinarci al Tao, ma il Tao reale
è sempre sfuggente, indefinibile, come la vita stessa scorre, ci avvolge,
così il Tao va soprattutto vissuto più che pensato; si potrebbe avvicinare
il Tao cinese al Brahman indicato dalle Upanishad, dove troviamo la
stessa dimensione di un assoluto che trascende ogni definizione
materiale. Il Tao non muta, eppure sottende e rende possibile ogni
mutamento, il Tao è l’unità suprema, eppure permette ogni molteplicità
(espressa nel dinamismo yin-yang); per questo è impossibile fissarlo,
comprenderlo mentalmente, poiché la mente è schiava dei propri schemi
e comprende solo realtà finite. Ma il cuore può dialogare col Tao, poiché
“il wu wei come tao è come un non-porre-mente, wu-hsin, alla realtà, non
sovrapporle schemi predeterminati.”[10] Ma solo un cuore limpido può
mettersi in ascolto della realtà, del cosmo, come un bambino fa con la
madre che gli canta una melodia; l’ascolto del Tao diventa semplice per i
semplici ma complesso per coloro che hanno una mente complessa…
l’umanità ha creato i suoi numerosi problemi perché ha abbandonato
questo ascolto, questa spontaneità, non fidandosi più del cosmo, del suo
ordine, dei suoi cicli perfetti; da quel momento ha avuto inizio l’era del
caos, detta in sanscrito Kali-yuga[11], dove l’ordine nasce solo dalla
paura e dall’uso della forza. In questa epoca diventa difficile recuperare
tale naturalezza, tale spontaneità senza cadere ancora una volta in uno
schema mentale, infatti: “…questa pratica ha un carattere bivalente: può
tradursi in una accettazione gioiosa della vita oppure in un crasso
edonismo.”[12] In epoca moderna abbiamo una figura che ha cercato di
recuperare questa spontaneità, questo non-fare del piccolo io, si tratta di
Henry David Thoreau, padre della disobbedienza civile e del ritorno alla
natura. Nel suo diario Thoreau scrisse: “Com’è vano cercare d’insegnare
ai giovani o a chicchessia le cose vere! Potranno apprenderle solo a modo
loro, e solo quando saranno pronti.”[13] In queste parole vi è tutta la
disarmante saggezza di un taoista americano, un uomo che si era rifugiato
nei boschi non per una sterile ribellione ma per ritrovare la voce della
natura; non a caso si tratta di un autore americano dell’800, in Europa,
con millenni di storia e di cultura, ritrovare la voce originaria delle cose è
quasi impossibile…ecco perché proprio un americano come Thoreau,
immerso nelle vastità ancora incontaminate del nuovo continente, è
riuscito ad ascoltare. E le sue parole non sfigurano accanto a quelle dei
classici del Tao: “…per poter morire, bisogna prima aver vissuto. […] Da
quando esiste il mondo, saranno morti sì e no una dozzina di
uomini.”[14] Infatti “il Tao fa vivere”[15] e gli uomini che non sono
conformi al Tao è come se non fossero mai vissuti.
Parole chiave: Yin e Yang
Yin e Yang rappresentano la dinamicità del cosmo, il suo continuo fluire
da un opposto ad un altro. Nel famoso simbolo del Tao i due principi,
raffigurati in bianco e nero, mostrano come ogni cosa abbia già in se il
seme del proprio opposto. Ma l’opposto non è visto nella cultura cinese
antica come ‘antagonista’, anzi, esso è la complementarità, la parte che
rende completo il tutto. Perché tale rovesciamento possa avvenire ogni
cosa deve giungere all’estremo: all’estremo maschile sorge il femminile e
viceversa; all’estremo della forza sorge la debolezza e viceversa;
all’estremo della morte sorge la vita e viceversa… “Lo yin e lo yang sono
le energie più grandi…si riflettono, si sovrappongono, si regolano l’un
l’altro.” (Chuang-tzu)

I rapporti tra Confucianesimo e Taoismo sono stati ricchi e complessi.


Ma la figura di Confucio resta estremamente e solidamente legata ad una
realtà etica e sociale ben precisa; come giustamente notava Vecchiotti:
“…la posizione confuciana possiede invece un’incidenza mediatrice e
conservatrice che rende immediatamente possibile ai discepoli
l’inserimento nelle funzioni pubbliche.”[16] Per quanto Confucio
rispettasse la saggezza di Lao-tzu e la profondità del Tao, egli ricercava
comunque delle strutture etiche e politiche da costruire e da preservare;
nel pensiero confuciano, ad esempio, la solidarietà è un concetto
fondamentale, mentre nel taoismo la natura non è solidale ma segue i
suoi ritmi incurante delle realtà sociali; per Confucio l’essere umano deve
essere educato e seguire dei principi molto precisi; la popolazione deve
essere educata attraverso la buona musica e la buona letteratura, mentre
per il taoismo è la spontaneità ciò che occorre coltivare. È chiaro quindi
che per Confucio lo studio e le regole della cultura e dei riti sono aspetti
fondamentali; mentre per il taoista occorre soprattutto svuotare la mente.
Le principali correnti di pensiero nate da Confucio sono quella di Meng-
tzu (372 a. C.- 289 a. C.), filosofo essenzialmente politico, e quella di
Hsun-tzu (312 a.C. – 235 a. C.), filosofo più pessimistico per quanto
riguarda la natura umana, la cui malvagità va corretta con una forte
educazione. Confucio ha lasciato dei ‘pensieri’ che lo hanno reso, già in
vita, il saggio per eccellenza: “Studiare senza riflettere è vano, riflettere
senza studiare è pericoloso. […] Se non hai ancora compreso la vita
come puoi pensare di comprendere la morte? […] Si esiga molto da se
stessi e si riducano le altrui responsabilità: si terrà così lontano il
risentimento. […] Non correggersi quando si compie un errore: questo si
dice compiere un errore.”[17] Come con Socrate questi suoi ‘detti’ sono
stati raccolti dai discepoli e tramandati in una raccolta di aforismi,
dialoghi e aneddoti detta Lunyu (Dialoghi). La coerenza e la trasparenza
dello studio degli antichi hanno reso Confucio un esempio, un archetipo
del saggio, dello studioso umanista e devoto delle tradizioni.
Lao-tzu
Lao-tzu, considerato il fondatore della tradizione taoista, vissuto
presumibilmente nel VI secolo a. C., lasciò un breve testo, il Tao Tề
Ching, punto di riferimento per ogni riflessione sul Tao come Via che il
saggio segue secondo l’ordine cosmico e naturale. In realtà Lao-tzu è un
soprannome che vuol dire “anziano maestro”. Egli era contemporaneo di
Confucio. Il Tao Tề Ching è strutturato in 81 paragrafi. Come nota
Vecchiotti: “L’espressione è straordinariamente ellittica, ciò ha consentito
le interpretazioni più libere…”[18] e in esso la comprensione del Tao
resta indicibile, non fissabile in parole; sembra quasi che il saggio abbia
voluto stimolare il lettore, aiutarlo a rompere certi schemi mentali per
farlo aprire verso una realtà più ampia. In ogni paragrafo si tratta di
abbandonare inutili schematismi per orientarsi verso la Via naturale, la
spontaneità della Via che tutto pervade; è l’uomo, con le sue forzature, a
creare disarmonia; esistono due grandi commenti al testo: quello di Ho-
shang Kung e quello di Wang Pi; si tratta di ottime guide per la
comprensione di un testo così enigmatico. La leggenda narra che Lao
volesse vivere da eremita e sparire senza lasciare traccia; ma il guardiano
del valico Yin Hsi lo fermò obbligandolo a scrivere un testo…così è nato
il libro sul Tao, grazie alla semplice richiesta di un guardiano si è
sviluppata una tradizione millenaria. Alcune frasi del testo sono diventate
sentenze proverbiali, citate da secoli in molti ambiti culturali, cinesi e
non solo. Al di là delle innumerevoli interpretazioni questo testo resta un
perenne invito ad investigare la saggezza dentro di sé, al di là di ogni
indicazione culturale e dogmatica, vivendo nel cuore stesso della vita.

Citazioni
“Ciò che non è conforme al Tao finisce presto”

“Chi conosce gli altri è sapiente. Chi conosce se stesso è


illuminato.”

“Il mondo è un vaso sovrannaturale che non si può governare; chi


governa lo corrompe, chi dirige lo svia.”

“Il santo non accumula, più ha fatto per gli altri e più possiede; più
ha dato agli altri più abbonda.”

Chuang-tzu
Questo testo composto dal saggio Chuang-tzu (399 a.C.-295 a.C.) non è
un trattato filosofico, né una semplice raccolta di frasi, è bensì un testo
immenso, vasto, colmo di storie, dialoghi, immaginazione, incontri
anacronistici; in esso l’autore, forse il massimo pensatore taoista, critica
con forza i confuciani e illustra la grandezza della visione di Lao-tzu.
Molti aspetti del Chuang-tzu riprendono l’importanza della spontaneità e
la presenza costante eppure sfuggente del tao; un certo esoterismo si è
sviluppato da certi aspetti del libro, ma occorre leggerlo abbandonando
un’ottica troppo intellettuale e rigida, lasciandosi portare dalle stesse
parole del saggio nel suo mondo magico e utopistico. In sostanza nel
Chuang-tzu il mondo appare come un grandioso teatro taoista, dove il
tempo e lo spazio vengono trasformati in semplici elementi scenografici
utili al manifestarsi di una saggezza eterna. Come nota acutamente
Vecchiotti: “Chuang-tzu segna nel taoismo un ulteriore momento di crisi.
[…] in Chuang-tzu il tao è diventato un principio di fuga…Per questa via
Chuang arriva all’estasi mistica.”[19]

Citazioni
“L’uomo sommo usa il cuore come uno specchio: non favorisce e
non avversa, riflette e non trattiene.”

“Basta che tu pervenga al Tao e nulla vi sarà che tu non possa


fare.”

“Il Tao non può essere comunicato con le parole…”

“Se sei corretto sei calmo; se sei calmo sei illuminato; se sei
illuminato sei vuoto, se sei vuoto nulla fai e nulla vi è che non sia
fatto.”

“Nessuna grandezza e completezza uguaglia quelle del Cielo e della


Terra, ma forse essi cercano di essere grandi e completi? ”
Confucio
Confucio (551-479 a. C.) rappresenta ormai l’archetipo dell’antico
saggio cinese, un saggio ben inserito nel proprio contesto storico-sociale;
il suo vero nome era K’ung fu-tzu, latinizzato poi in Confucius; ‘fu-tzu’
significa Maestro, quindi egli era il Maestro K’ung. Egli non presentò
mai se stesso come un filosofo originale ma come un semplice educatore
che voleva riportare la propria società alle virtù antiche, alla saggezza
degli antenati. Il suo studio costante era rivolto agli antichi Riti e alle
conoscenze tradizionali; anche lui, come molti maestri, preferì
l’insegnamento orale ed è grazie ai suoi discepoli che abbiamo oggi le
sue parole, trascritte con diligenza. Pare che abbia scritto degli Annali,
ma non tutti gli studiosi concordano su tale paternità. Si dedicò al
governo, ma sempre come ministro legato alla cultura o come
consigliere; tale attività politica fu però discontinua a causa della
corruzione che Confucio riscontrò nei governanti. Ebbe una vita illustre
ma non riuscì a riformare e rifondare i costumi morali della sua
generazione; ebbe comunque molti discepoli che raccolsero i suoi
insegnamenti nei famosi Dialoghi. Decisivo per Confucio è educare se
stessi ad apprendere la Via, la virtù che rende le nostre azioni conformi al
Cielo; l’apprendimento dei Riti, della Musica, dei Libri non ha altro
scopo che educarci alla virtù, alla Via.

Citazioni
“Confucio disse: Se al mattino hai appreso la Via, la sera puoi
anche morire.”

“Confucio disse: Sono pochi quelli che sbagliano usando la


moderazione.”

“Confucio disse: il saggio intende la giustizia, l’uomo volgare


intende il profitto.”

“Confucio disse: il saggio è soddisfatto e sereno, l’uomo volgare è


sempre preoccupato.”

“Confucio disse: elevate voi stessi con la poesia, rinsaldatevi con i


riti, completatevi con la musica.”

“Confucio disse: Non conosco ancora cos’è la vita, come posso


sapere cos’è la morte?”

“Confucio disse: Ho io la sapienza? Non l’ho. Ma se un uomo


incolto mi interroga sono pronto a discutere da cima a fondo con
lui.”

“Confucio disse: il saggio è universale e mai di parte. L’uomo


volgare è di parte e mai universale.”

Note:

[9] Ivi., pag. 120.


[10] Ivi., pag. 120.

[11] Per chi volesse approfondire alcuni aspetti esoterici della cultura dei
Veda rimando al mio testo: Lo Yoga devozionale indiano, Xenia
edizioni, Milano 2011.

[12] I. Vecchiotti, Introduzione…, op. cit., pag. 120.

[13] H. D. Thoreau e R. W. Emerson, La semplice verità, I diari inediti,


Piano B edizioni, Prato 2012, pag. 311.

[14] Ivi., pag. 310.

[15] Tao. I grandi testi antichi, UTET, Torino 2003, pag. 144.

[16] I. Vecchiotti, Introduzione alla storia della filosofia cinese, cit.,


pag. 51.

[17] Confucio, Dialoghi, Einaudi, Torino 2003, pag. 15, 123, 185 e 189.

[18] I. Vecchiotti, cit., pag. 59.

[19] I. Vecchiotti, cit., pag. 81 e 84.


Sankaracarya (788 - 820)

L’India medievale

Sankaracarya (788 - 820)


Dopo il lungo dominio del buddhismo in India apparve una figura che
riportò la cultura vedica in tutto il sub-continente indiano: Śankaracarya,
discepolo di Gaudapada, diede vita ad un recupero straordinario del
Vedānta, scrivendone un commentario, il Bhāsia. La sua importanza nel
pensiero vedico medievale è decisiva, poiché dalle sue opere proviene la
visione della Advaita Vedānta, visione del monismo assoluto. Secondo
tale filosofia solo l’Assoluto, il Brāhman, è reale, cioè eterno e pieno di
beatitudine. Ogni altra manifestazione è considerata illusoria, Maya; per
liberarsi da tale illusione la filosofia di Śankaracarya propone la
conoscenza, poiché ciò che ci imprigiona è sempre il frutto di Avydiā
(ignoranza). Tale lettura del Vedānta si concentra essenzialmente
sull’aspetto impersonale dell’Assoluto; ma ciò non significa che
Śankaracarya abbia escluso l’aspetto personale, anzi egli ci ha lasciato il
famoso Bhaja Govindam,un inno devozionale dedicato a Krishna (
l’aspetto intimo e personale dell’Assoluto). Sono stati i suoi discepoli a
concentrarsi in modo esclusivo sull’aspetto impersonale dell’Assoluto.
Per Śankaracarya è fondamentale avere un profondo desiderio di
raggiungere la liberazione; senza tale desiderio (che deve sostituire ogni
altro desiderio materiale) ogni studio dei testi vedici è del tutto inutile.

Citazioni
“Non sono la mente, l’intelletto, il senso dell’io […] . Non mi
appartengono la paura, la morte, la distinzione di casta. Così non
ho padre né madre né nascita; non ho parenti, amici né maestro né
discepolo. Sono Coscienza ed essenza di Beatitudine.” (Śivo ‘Ham
Śivo ‘Ham).

“La sola realtà è il Brahman, il mondo è non reale; la jīva (anima)


non è altro che il Brahman stesso.” (Daśaślokī)

“Proprio come colui che percepisce un vaso è distinto dal vaso


stesso, così io che percepisco il corpo grossolano non sono il corpo
stesso.” (Vākyavrtti)

“Oh sciocco, contempla Govinda, contempla Govinda, contempla


Govinda. Quando l’ora della morte si avvicinerà le regole di
grammatica non ti salveranno di certo. La vita è effimera come
goccia d’acqua su una foglia di loto. Tutti gli individui sono
contaminati dalla sofferenza, dall’egoismo e dalla malattia.”
(Bhaja Govindam)

Parola chiave: Maya


Il termine ‘Maya’ ha molti significati: illusione, ciò che non è, energia
materiale…Nel pensiero vedico è Maya ad immergere la coscienza
individuale nelle illusioni e a farle dimenticare la propria reale natura.
Schopenhauer così descriveva il “velo di Maya”: “In colui che pratica le
opere dell’amore il velo di Maya si è fatto trasparente; da lui è svanita
l’illusione…[…] Se stesso, il suo io, la sua volontà egli conosce in ogni
essere…” (Il Mondo come volontà e rappresentazione, 4, § 66)
L’egoismo è possibile solo grazie a questo ‘velo’ dell’energia materiale,
che ci illude di essere separati dall’Assoluto e da tutti gli esseri
dell’universo.

La purificazione dell’anima dall’illusione


“Sono liberi dalla schiavitù delle rinascite coloro che raggiungono il
Samādhi, immergendo così il mondo oggettivo, gli organi dei sensi, la
mente e l’io nell’Ātman, intelligenza suprema. Come il bruco, aspirando
ardentemente ad essere una vespa, diviene una vespa, così l’aspirante,
contemplando acutamente il reale, realizza il reale. E come il bruco, che
mette da parte ogni altro interesse, aspirando totalmente ad essere una
vespa, così lo yogi, contemplando solo il Paramātman, realizza il
Paramātman. La reale natura del Paramātman è estremamente sottile e
non può essere accessibile alla mente fenomenica. Essa è accessibile solo
a quelle anime elevate, dalla mente perfettamente purificata, mediante il
Samādhi. E𝔟𝔬𝔬k 𝔯𝔲𝔟𝔞𝔱o 𝔞 𝔢𝔲𝔯𝔢k𝔞dd𝔩. Come l’oro sottoposto all’azione del
fuoco abbandona le sue impurità recuperando la propria lucentezza, così
la mente, con la meditazione yoga si purifica dalle scorie del sattva, del
rajas e del tamas, realizzando la natura del Brahman. […] Con questo
Samādhi, tutte le vāsanā che costringono l’individuo in catene sono
distrutte e il karma è dissolto; così, dentro e fuori, ovunque e sempre,
avviene il manifestarsi spontaneo della propria reale natura. La
riflessione personale può considerarsi cento volte più efficace
dell’ascolto, la meditazione è centomila volte più efficace della
riflessione, ma il Samādhi non ha paragone. La vera natura del Brahman
può essere realizzata in tutta la sua evidenza e nella sua pienezza nel
Samādhi. Non vi è altro mezzo poiché la mente è instabile e sempre
incline ad associarsi ai sensi. Perciò calma la tua mente, controlla i tuoi
sensi, immergiti nell’interiore e supremo Ātman, realizza la tua identità
con quella realtà, e le tenebre, prodotte da avidyā (ignoranza), si
dissiperanno per sempre. […] Spezza dunque ogni desiderio per gli
oggetti dei sensi, pericolosi veleni che causano la morte; abbandona ogni
orgoglio sociale e familiare; astieniti dall’agire, non identificarti col
corpo, con la mente, che sono tutte cose irreali, e fissa la tua coscienza
sull’Ātman perché in verità tu sei il Testimone, tu sei Brahman.”
(Vivekacūdāmani)

Brahma, architetto del cosmo e propagatore dei


Veda

Il Rinascimento scientifico:
Astronomi e matematici
Il colonialismo ha distrutto non solo interi popoli ma anche la verità
storica… In India già secoli prima di Copernico erano già esistiti
astronomi che avevano dimostrato, con precisione fisica e matematica, la
visione eliocentrica; studiosi come Brahmagupta (598-668 d. C.) e
Bhaskara acarya (1114-1185 d.C.) sono gli eredi della millenaria
conoscenza esoterica dei Veda e le loro scoperte matematiche ed
astronomiche sono il frutto di questo millenario sapere ancora oggi
nascosto all’umanità o mal compreso…

Brahmagupta fu il primo matematico a considerare lo zero secondo i


canoni moderni e riuscì a risolvere importanti problemi relativi alle
equazioni di secondo grado e descrisse la forza di gravità; ancora più
straordinari sono gli studi di Bhaskara acarya, infatti egli comprese il
calcolo infinitesimale secoli prima di Newton e di Leibniz, approfondì le
proprietà dello zero, approfondì il modello eliocentrico del sistema
planetario (già esposto nel 499 da Aryabhata) calcolando il tempo di
rotazione della terra attorno al sole… Brahmagupta era un grande
astronomo e le sue doti in ambito matematico erano straordinarie. Si
occupava dell’osservatorio astronomico di Ujjain, città che risale ai tempi
del poema storico Mahabharata e che rappresenta per la sapienza vedica
il primo meridiano; ciò sta a significare che la perfetta conoscenza
astronomica non era scissa da un uso e uno scopo sacro, cioè il calcolo
astrologico-karmico. A differenza dell’astronomia contemporanea, che
vede il cosmo come un cieco vede i colori, l’astronomia vedica sapeva
intendere le corrispondenze e il piano divino manifestato nell’universo.
Brahmagupta fu un grande studioso dello zero che non è un ‘numero
arabo’ ma dagli arabi fu portato in Europa; lo zero è un enigma, poiché
non rappresenta una quantità determinata ma non è neppure il nulla… il
nulla del resto è una astrazione della mente moderna, già Parmenide
faceva notare che ‘il nulla non esiste’. Nelle lingue antiche vi è il
concetto di vuoto; lo zero, cifra indicata nel sanscrito come un piccolo
cerchio, da noi diventerà simile ad una ellisse…esso è il simbolo
dell’infinito, del Brahman che sta alla base di tutte le cose, come
l’energia del vuoto manifesta e sostiene il visibile. Ecco perché lo zero
accanto ad ogni numero ne aumenta la quantità. Comunque Brahmagupta
studiò in particolare lo zero come numero nelle sue relazioni aritmetiche;
il grande matematico enunciò in modo corretto le regole che riguardano i
numeri negativi…la differenza rispetto ai moderni risiede nel fatto che
Brahmagupta, a proposito della divisione per zero, non lascia il risultato
indefinito ma afferma chiaramente che 0/0=0. Perché questa
determinazione? Nella matematica moderna ciò sarebbe un problema per
il calcolo differenziale. Ma la posizione del matematico è qui anche
filosofica e metafisica. L’Assoluto diviso l’Assoluto dà sempre
l’Assoluto, cioè il Divino. Un Assoluto dinamico e mai statico, come in
certe teologie negative occidentali.

Inoltre Brahmagupta propose il modo corretto di risolvere le equazioni di


secondo grado; fu il primo, nella storia, a risolvere l’equazione diofantea;
Diofanto aveva dato una soluzione particolare di una formula
indeterminata, mentre Brahmagupta fornì tutte le soluzioni…

La matematica aveva un significato esoterico, iniziatico, non era un


calcolo meramente astratto. Pitagora imparò il significato mistico della
matematica dalla cultura vedica le cui tracce trovò in Egitto e forse in
India. Senza la mistica matematica dei pitagorici Galileo Galilei non
avrebbe avuto la sua grande intuizione: “[l’Universo] è scritto in lingua
matematica”(Il Saggiatore, Cap. VI).

Bhaskara acarya comprese il calcolo infinitesimale, ma ben pochi lo


ricordano. Egli scrisse opere importanti come il lilavati, il Bijaganita, il
Siddhanta Shiromani. C’è una storia particolare in merito al lilavati, il
suo testo dedicato all’aritmetica, che prenderebbe il nome da una donna,
Lilavati appunto, che perse il marito poco dopo il matrimonio;
l’astronomo aveva predetto tale evento e per consolare la vedova le
dedicò il suo trattato. Approfondì lo studio dello zero e dell’infinito
dimostrando che ogni quantità divisa per zero è sempre infinito; propose
le soluzioni alle equazioni indeterminate di vario genere e diede inizio
all’analisi matematica e al calcolo integrale. Anche nella trigonometria i
suoi contributi furono assai significativi. Egli riprese la visione
eliocentrica di Aryabhata che già aveva descritto l’orbita ellittica dei
pianeti e si dedicò ad approfondire lo studio della gravità universale già
espressa da Brahmagupta… Bhaskara riuscì a calcolare in modo preciso
molti fenomeni del sistema solare, come la durata dell’anno siderale, in
365,2588 giorni (con la differenza di un minuto rispetto ai calcoli di
oggi). Egli studiò inoltre le eclissi solari e lunari, le macchie solari e le
congiunzioni dei pianeti. Tali anticipazioni rispetto alla scienza europea
hanno creato non piccoli problemi a certi studiosi, poiché vi è il pericolo
di riconoscere una civiltà più antica e più avanzata nelle scienze
dell’Europa colonialista. Ma i documenti parlano chiaro. Lo studio
matematico di questi scienziati vedici anticipa di secoli quello di
Diofanto…

L’aspetto decisivo di questa cultura si può comprendere solo studiando i


Purāna, testi enciclopedici e millenari che contengono conoscenze
avanzate. Astronomi e matematici come Bhaskara raccolgono millenni di
tale conoscenza, ma riconoscere questo significa riscrivere la storia
umana, retrodatando la civiltà, ammettendo la presenza umana ben prima
delle favole evoluzionistiche che l’ideologia ufficiale ci racconta…Per
questi motivi questi grandi scienziati non vengono messi in rilievo e tanto
meno i Purāna vengono divulgati a livello accademico in modo corretto.
Ammettere la verità di questi testi significa ammettere anche la loro
narrazione storica, che fa riferimento a civiltà esistite non solo 10.000
anni fa ma anche milioni di anni fa… poiché la storia è ciclica e non
lineare. Come notava Giorgio de Santillana: «…in tutto il tempo
moderno, rivoluzione ha significato l’irreversibile. […] Pure c’è un
vecchio senso che ci è ancora nascosto, noto ai rivoluzionari autentici: il
ritorno alle origini.»

Parola chiave: lo Zero


Lo zero proviene dalla cultura vedica. Senza tale cifra il sistema decimale
sarebbe impossibile e così ogni matematica di tipo superiore. Senza lo
zero la scienza moderna non esisterebbe. Ma cosa simboleggia tale cifra?
Non è il ‘nulla’ poiché aumenta il valore delle altre cifre, eppure non è
nessuna quantità definita; secondo l’esoterismo vedico lo zero è simbolo
del Brahman, dell’Assoluto, dell’infinito che sostiene ogni altro
fenomeno. Come scrive Guénon: “Lo zero […] simboleggia la possibilità
di manifestazione, essendo il punto di partenza della molteplicità
indefinita dei numeri, così come l’Essere è il principio di tutta la
manifestazione.”20 Dall’energia infinita dell’Assoluto proviene ogni
realtà, come dallo zero – base iniziale – proviene l’ordine numerico.

Ramanuja (1017-1137)

Ramanuja acarya
Ramanuja (1017-1137) è considerato il fondatore del sistema filosofico
del Visistadvaita-vada, o del monismo differenziato, e della linea
spirituale Sri Sampradāya. La sua vita è stata molto operosa e lunga,
infatti secondo la tradizione egli superò i cento anni di età. Nacque
nell’India meridionale presso Bhutapuri verso la fine dell’XI secolo.
Inizialmente si formò studiando sotto l’influsso delle scuole di
Śankaracarya, ma poi, sotto l’influsso del maestro vishnuita
Yamunacarya modificò la propria visione. La sua opera più importante è
lo Sribhasya, commento al Vedantasūtra, nel quale propone una lettura
diversa dell’Assoluto rispetto alle scuole precedenti. Visse in modo
ascetico dedicandosi alla scrittura e alla predicazione, fondando numerosi
templi. Iniziò così una vasta letteratura di opere ispirate alla visione di
Ramanuja. Secondo tale visione, profondamente teistica, Dio manifesta il
mondo traendolo dalle sue stesse energie, manifestando anche infinite
anime. Ciò significa che il mondo fenomenico non è una totale illusione,
ma ha un suo grado di realtà; e le anime hanno la stessa sostanziale
caratteristica di Dio, mantenendo però una loro natura individuale. Dio è
sostanza spirituale infinita e l’anima è sostanza spirituale infinitesimale.

Citazioni
“Dissolvi il tuo Ego. Ama il devoto di Dio. Servi la causa
dell’umanità, composta dai figli di Dio. Nessuno è infallibile. Non
umiliare mai nessuno. Ciò che è di suprema importanza è la purezza
della mente e delle azioni.” Ramanuja acarya

Testo

La via del Bhakti Yoga


“Il Bhakti Yoga è possibile solo per coloro che amano intensamente il
Signore e che sono liberi da ogni karma negativo. Le reazioni karmiche
dei nostri atti negativi sono ostacoli nel cammino che fa sviluppare
devozione e amore e sono così numerose che una sola vita di riti
purificatori non basterebbe per annullarli. Arjuna quindi pensava di non
essere in grado di praticare il Bhakti Yoga. Per eliminare la disperazione
di Arjuna, il Signore Krishna ha detto: ‘Abbandona completamente tutti i
tipi di Dharma e prendi rifugio in Me.’ Il termine ‘Dharma’ in questo
contesto indica i riti di purificazione. Quindi per iniziare con successo il
Bhakti Yoga occorre prendere rifugio. Krishna è supremamente
compassionevole, è il rifugio di tutti senza distinzione, è un oceano di
sollecitudine materna per coloro che riconoscono di dipendere da Lui.
Quindi il Signore stesso eliminerà il karma negativo; non è necessario
scoraggiarsi. Questa dottrina più segreta non deve però essere rivelata a
chi non abbia praticato qualche forma di autodisciplina. Né deve essere
insegnata a colui che non segue il divino o un maestro. Non dovrebbe
essere insegnata neppure a chi è devoto ma non ha voglia di ascoltarla.”
(Gītā Bhāşya)

Nimbarka acarya
Nimbarka (XI-XII secolo, data incerta) è il fondatore della visione
dvaitādvaita-vāda e della linea spirituale della Hamsa Sampradāya.
Nella sua filosofia l’Assoluto, il Brahman, è personale ed è
contemporaneamente distinto ed unificato rispetto alle sue energie
(shakti). Sono le energie dell’Assoluto, secondo Nimbarka, che possono
aiutarci a capire il Brahman stesso. Per Caitanya, invece, nonostante la
visione delle varie energie che l’Assoluto manifesta, l’Assoluto resta
comunque oltre le nostre categorie mentali, ed è quindi inconcepibile.
Nimbarka scrisse: un commento alla Bhagavad-gītā; il Vedanta Parijat
Saurabh, commento al Vedanta sutra; Prata Smarana Stotram, inni
devozionali.

Madhva acarya
Madhva (1238-1317) approfondisce ulteriormente la visione di
Ramanuja, infatti i suoi commenti ai testi classici della tradizione vedica
furono molto osteggiati dai seguaci di Śankaracarya. La visione di
Madhva è di tipo dualistico: Dio, anime, e materia sono ancor più
differenziati tra loro. Non solo Dio ha una sostanziale differenza rispetto
alle anime, ma tra le anime stesse esistono delle differenze; e la stessa
materia ha al suo interno delle differenze sostanziali. Per raggiungere la
liberazione il filosofo suggerisce la perfetta conoscenza delle differenze
dei tre principi; tale conoscenza si articola in cinque punti: la differenza
tra Dio e le anime; la differenza tra Dio e il mondo materiale; la
differenza tra un’anima e un’altra anima; la differenza dell’anima dal
mondo materiale; la differenza tra le varie realtà materiali. Arrendersi al
divino personale è per il filosofo l’unica possibilità delle anime di
salvarsi dalla materia e dal dolore che ne deriva. La sua visione è detta
Dvaita-vada, e fondò la linea spirituale Brahma Sampradāya.

Citazioni
“Le persone dovrebbero essere forti sia nella mente che nel corpo.”

“Il Mondo è una meravigliosa creazione di Dio. Cerca di capire la


sua grandezza. E cerca di capire le tue limitazioni e arrenditi a Lui.
Questo è l’unico percorso per la tua salvezza.”

La molteplicità reale degli esseri


e l’unità di Dio
“La differenza tra l’anima e Dio esiste ed esiste anche la differenza tra il
mondo materiale e Dio; esiste differenza tra anima ed anima e tra anima e
mondo, così come esiste differenza tra una cosa materiale e un’altra cosa
materiale. […] Sono eterne queste cinque differenze. Poiché queste
cinque differenze sono state create da Sri Vishnu, esse sono verità eterne,
non derivano da immaginazione o da allucinazione. Sri Vishnu è
immutabile ed è l’Uno senza secondi. […] Ma essere l’Uno senza
secondi non rende gli altri irrilevanti. Essi esistono. Se la differenza fosse
stata immaginaria ci sarebbe stato un danno, un male. Ma le differenze
non sono immaginarie. […] Anche se Hari (Dio) è unico, eterno ed
inconcepibile, esso si rende percepibile in molte forme distinte. Anche se
le sue forme appaiono come molto particolari egli è il controllore
supremo…[…] Le sue manifestazioni multiformi devono essere
considerate identiche ed eterne, in tutto simili all’essenza nelle diverse
forme. Egli può essere conosciuto attraverso il discorso, attraverso segni
o con il ragionamento. L’essenza divina all’interno delle forme molteplici
non diventa anch’essa distinta da se stessa. Se la forma dell’essenza è
considerata separata dall’essenza, allora l’essenza non è immutabile. Se
la forma dell’essenza non è conoscibile allora anche l’essenza divina non
è conoscibile. Se l’essenza divina non è conoscibile, allora è come dire
che tale essenza non esiste.” (Bhasya and Tatparya Nirnaya on
Bhagavad-gītā)

Vallabha cacarya
Vallabha (1479-1531) è stato un grande esponente della corrente vishuita. Teologo e filosofo
fondò la lettura vedantica detta suddhādvaita-vāda e la linea spirituale della Rudra Sampradāya.
La sua visione è molto simile a quella di Caitanya; infatti ammette il Brahman come causa
efficiente e materiale dell’universo, inoltre considerava il Brahman stesso come sostanza ultima
che ha in se attributi apparentemente contraddittori; non usò mai l’espressione, poi usata da
Caitanya, dell’bhedābheda, egli denominò l’Assoluto come Viruddha Dharmaśraya (substrato di
qualità opposte). Per Vallabha la bhakti va intesa soprattutto come ‘senso del servizio’, dove
ognuno serve Dio in uno stato di totale abbandono. Inoltre egli indica la bhakti come pura grazia
divina, non dipendente da fattori materiali. Scrisse testi molto importanti:

Citazioni
“(Oh Krishna) le tue labbra sono dolci, il tuo volto è dolce, i tuoi
occhi sono dolci, il tuo sorriso è dolce, il tuo cuore è dolce, la tua
andatura è dolce; ogni cosa è completamente dolce nel Signore
della dolcezza.” (Madhurāşţakam)
Caitanya Mahaprabhu
Caitanya Mahaprabhu (1486-1534) rappresenta la sintesi tra le scuole
moniste dell’Advaita Vedanta e le scuole dualiste del Dvaita Vedanta. Pur
non essendo stato un filosofo in senso stretto, la sua mistica e i suoi
insegnamenti orali hanno stimolato una letteratura in grado di riunire le
varie scuole legate al Vedanta. Egli è considerato il fondatore della
tradizione spirituale denominata Gaudīya vaishnava sampradaya. I suoi
discepoli principali furono i sei Gosvāmī di Vrindavana, i quali
sistematizzarono il pensiero di Caitanya in numerose opere; tra loro
spicca il filosofo Jīva Gosvāmī. La vita di Caitanya fu piuttosto breve, ma
ricca di eventi spirituali. Egli nacque a Mayapur, una città medievale
sulle rive del Gange; fin da giovanissimo studiò le scritture vediche, il
sanscrito e la logica. Ma la sua erudizione venne scossa dall’incontro con
Īśvara Puri, un monaco dell’ordine vaishnava, il quale lo iniziò alla
bhakti per Krishna. Da allora, dopo aver preso l’ordine monacale del
sannyasi, girò per tutta l’India insegnando e cantando mantra dedicati
all’amore per Radha e Krishna. Secondo la tradizione vaishnava più
esoterica Caitanya è la manifestazione di Krishna e Radha; la sintesi da
lui proposta è nota come acintya bhedābeda tattva, cioè l’inconcepibile
coincidenza e differenza tra Dio e le sue energie (shakti); in sostanza
l’assoluto è Uno e contemporaneamente manifesta infinite energie per il
proprio godimento; tali energie sono simultaneamente distinte e
coincidenti con l’Assoluto stesso. Infinite anime e infiniti universi
materiali derivano da tali energie.

Citazioni
“O Signore onnipotente, non desidero ricchezze, non desidero belle
donne e non voglio discepoli. Desidero solo impegnarmi nel Tuo
incondizionato servizio d’amore, vita dopo vita. O Krishna, figlio di
Nanda Maharaja, sono il Tuo servitore eterno, ma per una ragione
o per l’altra sono caduto nell’oceano di nascite e morti. Ti prego,
salvami da questo oceano e ponimi come un atomo di polvere ai
Tuoi piedi di loto.” (Śiksāstaka)

La natura dell’amore assoluto


Dialogo tra Caitanya e Rāmānanda Rāya
“Il Signore Caitanya disse: ‘Di volta in volta le tue affermazioni
diventano migliori, ma un altro dolce sentimento trascendentale le supera
tutte. Parla di questo, che è il più sublime.’ Rāmānanda Rāya rispose:
‘L’attaccamento coniugale per Krishna è la posizione più elevata
nell’ambito dell’amore per Dio. […] L’intensificarsi dell’amore è
sperimentato in vari gusti, uno dopo l’altro; ma l’amore che ha il gusto
più elevato nella graduale successione di desideri si manifesta nella
forma dell’amore coniugale. […] Il completo raggiungimento dei piedi di
loto di Sri Krishna è reso possibile dall’amore per Dio, in particolare dal
mādhurya-rasa, ossia dall’amore coniugale. Infatti Krishna è conquistato
da questo livello di amore, com’è affermato nello Śrīmad Bhāgavatam.
Sri Krishna disse: ‘Gli esseri viventi che Mi offrono il loro servizio sono
tutti candidati adatti per essere trasferiti nel mondo spirituale e per
raggiungere la vita eterna piena di felicità e conoscenza.’ […] Sri
Caitanya Mahaprabhu rispose: ‘Questo è certo il limite della perfezione,
ma ti prego, sii misericordioso con Me e parla ancora, se c’è ancora
qualcosa da dire.’ Rāmānanda Rāya rispose: ‘Tra le relazioni d’amore
delle gopi (pastorelle) l’amore di Śrīmatī Rādhārānī per Krishna è il più
elevato. Infatti le glorificazioni di Śrīmatī Rādhārānī sono considerate
molto tra le più elevate in tutte le sacre scritture. […] Sri Caitanya
continuò: ‘Ti prego, soddisfa la mia mente descrivendo la verità di Rādhā
e Krishna.’ Allora Rāmānanda Rāya rispose: ‘Krishna è Dio, la
Personalità Suprema. È la fonte di tutte le incarnazioni e la causa di tutte
le cause. Vi sono infiniti pianeti spirituali Vaikuntha ed infiniti avatara.
Anche nel mondo materiale vi sono infiniti universi e Krishna è il
supremo rifugio per tutti loro. Il corpo spirituale di Krishna è eterno e
colmo di felicità e conoscenza. […] …Krishna è noto come
l’infinitamente affascinante. […] Krishna non solo attrae tutti ma attrae
perfino se stesso. […] L’estasi d’amore sperimentata dalle altre gopi non
può essere paragonata a quella di Śrīmatī Rādhārānī. Il corpo di Śrīmatī
Rādhārānī è la vera trasformazione dell’amore per Dio…[…] Lei sola è
in grado di appagare tutti i desideri di Krishna. Nessun’altra. […] Perfino
Sri Krishna in persona non può trovare un limite alle qualità
trascendentali di Śrīmatī Rādhārānī. Come potrà quindi enumerarle un
essere vivente insignificante?’ Sri Caitanya rispose: ‘Ora sono giunto a
capire la verità sulle relazioni d’amore tra Rādhā e Krishna. Non di meno
voglio ancora ascoltare in che modo glorioso entrambi godono di tale
amore.’ […]” (Sri Caitanya-Caritamŗta).

I Gosvāmī di Vrindavana
I sei Gosvāmī di Vrindavana si impegnarono nell’approfondimento della
filosofia di Caitanya. Produssero un’intera letteratura filosofica e
teologica in grado di rispondere alle precedenti scuole del Vedanta,
proponendo la Bhakti verso Krishna come il culmine dello yoga e dei
Veda. I loro nomi sono: Rupa Gosvāmī, Sanatāna Gosvāmī, Raghunata
Dasa Gosvāmī, Raghunata Bhatta Gosvāmī, Jiva Gosvāmī e Gopala
Bhatta Gosvāmī. Vissero gran parte della loro esistenza a Vrindavana,
luogo dove Krishna visse la propria infanzia circa cinquemila anni fa;
erano dei grandi mistici e nello stesso tempo dei grandi studiosi della
letteratura vedica. Il filosofo che maggiormente ebbe uno spirito
sistematico fu Jiva Gosvāmī, i cui scritti sono ancora oggi un punto di
riferimento per i gaudya vaishnava.

Srila Jīva Gosvāmī


Srila Jīva Gosvāmī (1511-1596) scrisse molte opere teologiche e
filosofiche: l’Harināmamŗta-Vyakarana, che comprende un eccelso
trattato di grammatica sanscrita; il Gopala-Champu; il Krishna arcana
dipika (per i rituali nel tempio); e il suo capolavoro, il Sat Sandarbha,
che rappresenta la summa teologica della scuola gaudya. Attraverso lo
studio della letteratura vedica Jīva Gosvāmī intese dimostrare come la
fonte suprema della conoscenza vada ricercata nel suono dei Veda, suoni
non differenti da Dio stesso; inoltre egli considera i Purāna come ‘quinto
Veda’, poiché sono essi a portare a compimento e a completare il corpus
dei Veda stessi. Ed il Purāna supremo è lo Srimad-Bhagavatam, il quale
pone Krishna come aspetto ultimo dell’Assoluto. Inoltre Jīva Gosvāmī
analizza i vari aspetti dell’Assoluto arrivando alla conclusione che
l’aspetto impersonale, il Brahman, è un aspetto parziale, mentre quello
personale, Bhagavan, lo comprende in sé stesso, poiché l’energia del
Brahman è una emanazione di Radha e Krishna. Ontologicamente
l’aspetto Personale è il fondamento dell’aspetto impersonale, di semplice
luce ed energia. Inoltre Jīva Gosvāmī considera contraddittorie le varie
scuole moniste ed impersonali, che negano l’aspetto personale del divino,
poiché esse non riescono a spiegare l’infinita varietà di anime e di mondi
e sono costrette ad ammettere una ‘Maya’ in grado di frammentare la
pura coscienza del Brahman. Come può esistere una simile ‘Maya’
superiore all’Assoluto stesso? Per Jīva Gosvāmī ciò rappresenta un
nonsense. Mentre, accettando l’inconcepibile identità e differenza delle
anime e delle energie rispetto a Bhagavan, è comprensibile vedere come
l’energia materiale possa illudere le singole anime, essendo queste
infinitesimali. Mentre Bhagavan non può mai essere coperto da Maya,
essendo questa una delle sue energie. In conclusione, secondo Jīva
Gosvāmī, le scuole moniste hanno letto il Vedanta in maniera distorta e
limitata; che Assoluto potrebbe dirsi completo (purnam) senza un proprio
mondo spirituale, senza una Personalità infinitamente affascinante e
senza infinite relazioni d’estasi con infinite anime? Col pensiero di Jīva
Gosvāmī si manifesta, in modo chiaro e sistematico, una visione
dinamica e personale dell’Assoluto.

Citazioni
“Qual è allora la vera natura della realtà ultima? La realtà ultima è
stata descritta dai veggenti con le parole advaya jñāna. Con jñāna
(conoscenza) si indica la coscienza pura, libera da ogni influenza
materiale. Questa conoscenza è stata descritta come advaya poiché
è autoreferente, non c’è nulla che gli sia simile o differente. Non
dipende da niente altro se non da se stessa. Ha le sue shakti
(energie) che a loro volta dipendono soltanto da essa. Al di là di
tutto la realtà ultima rimane in se stessa l’oggetto supremo e la
sorgente di tutta la beatitudine eterna.” (Śrī Tattva-Sandarbha)

La via per realizzare la verità


“(8) La caratteristica impersonale del Signore Krishna viene chiamata nei
Veda: il Brahman. La sua espansione parziale come Signore del Creato
regola la natura materiale (Maya-shakty) ed esercita il suo controllo
attraverso ulteriori espansioni personali. Una manifestazione della sua
personalità, Narayana, regna sovrana nel regno che trascende l’universo
materiale. Ma lo stesso Sri Krishna, la Persona Suprema, è lieto di
concedere il puro amore per Lui a coloro che adorano i Suoi piedi di loto
in questo mondo.

(9) Il verso precedente ha introdotto alcuni temi: Sambandha, o la


relazione tra Sri Krishna e le parole che lo descrivono; Abhideya, ciò che
si è chiamati a fare, cioè la Sua adorazione; e Prayojana, la meta finale,
l’amore per il Signore Supremo.

(10) La percezione diretta è una fonte valida di conoscenza. Ma noi


vogliamo capire l’oggetto che trascende tutto ed è il rifugio supremo, la
sua natura è inconcepibile. Per tale fine la nostra fonte di conoscenza
possono essere solo i Veda, che sono composti da suoni non materiali.
Solo i Veda costituiscono il nostro Pramana perché essi sono auto-
manifesti e da loro proviene ogni ramo della conoscenza, materiale e
spirituale, in tutte le scuole di pensiero della società umana da tempo
immemorabile.

(15) Personalità come Suta Goswami hanno avuto il privilegio di parlare


delle Itihasa e dei Purāna, essendo un nato-due-volte; ma tutti possono
cantare il nome di Sri Krishna, esso è il frutto perfetto dell’albero della
conoscenza vedica. Il Prabhasa-khanda afferma: “Questo nome di
Krishna è più dolce del dolce, è ciò che di più propizio esiste. È il frutto
perfetto dell’albero della conoscenza vedica. In sostanza è puro spirito
vivente. O migliore dei Bhrigu, chiunque canti questo nome una sola
volta con fede o con attenzione, sarà liberato.” Inoltre il Vishnu Dharma
Purāna afferma: “Colui che canta le due sillabe Ha-ri ha studiato in
modo completo il Rig-Veda, lo Yajur-Veda, il Sama-Veda e l’Atharva-
Veda”. Inoltre il Vishnu Purāna afferma che le Itihasa e i Purāna
illustrano in modo definitivo il senso dei Veda…” (Śrī Tattva-Sandarbha)

20. R. Guénon, I principi del calcolo infinitesimale, pag. 142.


L’India moderna e contemporanea
Il colonialismo inglese, dopo quello musulmano, ha segnato
profondamente l’India. La sua tradizione è stata calpestata e denigrata
con forza. Molti studiosi inglesi compresero la suprema civiltà vedica e
quanto fosse più elevata rispetto a quella europea moderna. Infatti uno
dei primi sanscritisti inglesi, William Jones, scrisse in una lettera:
“Diffondendo queste conoscenze rischiamo di minare le basi dell’ordine
civile in Inghilterra”. A contatto con una vera civiltà avanzata una civiltà
immersa nell’ignoranza verrebbe dissolta…comunque gli inglesi, e poi i
tedeschi, iniziarono a tradurre la letteratura sanscrita. Anche dopo tre
secoli l’orientalismo è sottovalutato e messo ai margini da una
occidentalizzazione del mondo che non lascia scampo; la visione della
cultura dominante è ancora ferocemente colonialista; eppure sarebbe
quanto mai urgente imparare da questo patrimonio di saggezza come
costruire una società non autodistruttiva e nichilista…

Bhaktivinoda Thakura

Bhaktivinoda thakura
Bhaktivinoda Thakura (1838-1914) è stato un filosofo e bhakta moderno;
egli ha avuto il merito di recuperare la tradizione vaishnava e valorizzarla
in un’India modernizzata da un forte colonialismo. Scrisse circa cento
libri e svolse l’incarico di giudice in Bengala, come funzionario
dell’impero britannico. Egli è considerato uno dei fondatori del
Rinascimento devozionale in Bengala, infatti riprese le analisi filosofiche
e teologiche dei Goswami e le sintetizzò in opere fondamentali; valorizzò
e riscoprì luoghi di culto e fu il primo a tentare di divulgare, in modo
critico e culturale, agli occidentali il patrimonio della letteratura puranica.
Il suo capolavoro filosofico è il Jaiva-dharma, sintesi dell’intera mistica
e filosofia vaishnava. Nel Tattva-Viveka confrontò la filosofia europea
con quella orientale, per mostrare la supremazia ultima della bhakti
rispetto ad ogni altro sistema speculativo.

Citazioni
“Nessuno ha mai visto la coscienza generata dagli elementi della
materia inerte.”
(Tattva-Viveka)

“La filosofia del Materialismo è confutata anche dalla logica


ordinaria; solo gli individui molto sfortunati la accettano. Essi non
hanno idea della felicità spirituale e i loro desideri materiali sono
abbastanza piccoli e di bassa lega.”
(Tattva-Viveka)

“In fondo, lo Scetticismo finisce col negare se stesso. Se non esiste


una verità ultima, reale, allora qual è la radice da cui questa
filosofia dei dubbi cresce? Con una attenta analisi è possibile
realizzare che questa filosofia dei dubbi non è altro che inattività,
una sciocca chiacchiera…”
(Tattva-Viveka)

“Se Dio avesse creato il mondo materiale per godere dei sensi,
allora non avrebbe immesso nei sensi così tanti difetti. Lui è
onnipotente, tutto ciò che desidera diventa subito realtà. Se Egli
avesse designato le anime condizionate per il piacere materiale, le
avrebbe dotate di corpi materiali senza difetti.”
(Tattva-Viveka)

“Le vere risposte fornite dalle anime realizzate in India sono date
anche dalle anime realizzate che vivono in altri paesi. Le anime
liberate vivono tutte nel mondo spirituale detto Vaikuntha e danno le
stesse risposte.”
(Tattva-Viveka)

“Le anime condizionate cadono nel mondo materiale per una, e una
sola, ragione. Questa ragione è bhagavad-bahirmukha, cioè per
aver distolto il loro sguardo da Bhagavān. […] Mostrando la sua
misericordia a queste anime Bhagavān manifesta il mondo
materiale, in questo modo esse possono divertirsi secondo i propri
desideri. Bhagavān manifesta il mondo materiale in modo tale che,
dopo pochi “giorni” di questo tentativo di divertimento, le anime
condizionate possano diventare più intelligenti e scegliere di
distaccarsi da quei piaceri materiali. In questo modo Bhagavān
insegna il sentiero delle attività devozionali in associazione coi santi
devoti. Seguendo tale sentiero, le anime sfuggono al mondo
materiale.”
(Tattva-Viveka)

Il segreto per sperimentare l’estasi spirituale


“‘Devi praticare l’Harināma’ rispose Bābājī in modo deciso. ‘Śrī nāma-
bhajana è più potente di ogni altra forma di adorazione. Non c’è
differenza tra nāma e nāmi, o, in altri termini, tra il Santo Nome ed il
Signore Supremo. Se canti il Santo Nome senza offese raggiungerai
molto presto la perfezione. Devi cantare il Santo Nome con fede
profonda.’ […] ‘Il mio cuore è molto impaziente’ disse Lāhiri. […]
Bābājī gli disse: ‘Devi sempre cantare questi nomi senza commettere
offese: Hare Krishna, Hare Krishna, Krishna Krishna, Hare Hare, Hare
Rama Hare Rama, Rama Rama, Hare Hare.’ […] Bābājī rispose: ‘Lo
scopo ultimo della jīva (anima) è Krishna-Prema (amore puro per
Krishna). Se pratichi il sādhana (disciplina yoga) con costanza, alla fine
si manifesta bhāva. E al massimo del suo sviluppo bhāva si trasforma in
prema. Prema (l’amore puro) è l’eterna intima funzione della jīva, la sua
eterna ricchezza ed il suo scopo. È solo a causa dell’assenza di prema che
la jīva è portata a sperimentare vari tipi di sofferenze, di legami con la
materia…[…] Nulla è più grande di prema. Prema è completamente
spirituale. Quando ānanda, l’estasi spirituale, raggiunge la sua massima
intensità e densità, allora è nota col nome di prema’.” (Jaiva-Dharma)

Vivekānanda
Swami Vivekananda (1863-1902) fu uno dei primi filosofi e maestri a
viaggiare in occidente per diffondere la cultura dei Veda e lo yoga.
Vecchiotti così riassume il suo approccio filosofico: “Vivekānanda pone
la concezione che egli segue – che si manifesta sempre più come un forte
sincretismo – al punto d’unione dell’idealismo e del materialismo. Ma,
d’altra parte, le varie forme del vedantismo rimangono sullo sfondo,
anche se qui non parla esplicitamente di Nimbarka, Vallabha…[…] I
riferimenti espliciti riprendono sempre Śāmkara, Rāmanuja, Madhva.”21
Si tratta del tentativo di una grande sintesi per mostrare al mondo
occidentale la completezza del pensiero vedantico, e tentare un dialogo
con la filosofia europea. Anche dal punto religioso Vivekānanda mostrò
sempre una visione universalistica che vede in Gesù, Buddha e Krishna
manifestazioni divine che diffondono lo stesso messaggio. Vivekānanda
fu discepolo del famoso mistico Ramakrishna, il quale influenzò molto le
sue visioni filosofiche e ispirò molte delle sue conferenze. Egli poneva
l’accento su tre forme di yoga in particolare: Karma-yoga, Bhakti-yoga e
Raja-yoga; in sostanza: lo yoga dell’azione, della devozione e della
meditazione. In ogni caso è sempre il divino ad essere al centro di ogni
yoga. Romain Rolland scrisse su Vivekānanda: “I veri yoga vedantici,
come li espone nei suoi trattati Vivekānanda, sono una disciplina dello
spirito così come l’hanno cercata i nostri filosofi occidentali, al fine di
incamminarsi, per la via diretta, verso la verità.”
Citazioni
“Ogni anima è destinata ad essere perfetta; ogni essere, alla fine,
raggiungerà la perfezione.”
(Bhakti-yoga)

“Un solo attimo della follia dell’estremo amore di Dio ci reca


eterna libertà.”
(Bhakti-yoga)

“Voi sentirete i fanatici dire con facilità: ‘Io non odio il peccatore,
odio il peccato.’ Ma io sono pronto ad andare in capo al mondo pur
di vedere la faccia di colui che sa fare veramente la distinzione fra
peccato e peccatore.”
(Karma-yoga)

“Ogni cosa che facciamo, fisicamente o mentalmente, è karma, e


lascia su di noi le sue tracce.”
(Karma-yoga)

“Leggete quei libri che furono scritti da persone che ebbero


veramente esperienze spirituali.”
(Raja-yoga)

La natura della Bhakti


“‘Chi si cura di diventare zucchero?’, dice il bhakta. ‘Io voglio gustare lo
zucchero.’ Chi desidererà diventare libero e uno con Dio? ‘Io posso
anche sapere che sono parte di Lui; pure mi staccherò da Lui e diventerò
altro per poter godere dell’Amato.’ Ecco che cosa dice il bhakta. L’amore
per l’amore è il suo più alto godimento. […] Nessun bhakta si preoccupa
d’altro che non sia l’amore – l’amare e l’essere amato. Il suo amore
incondizionato è come la marea che risale il fiume. L’amante risale il
fiume controcorrente. Il mondo chiama il bhakta un folle. Io ne conobbi
uno che il mondo chiamava pazzo, e questa era la sua risposta: ‘Amici
miei, tutto quanto il mondo è un manicomio. Alcuni vanno pazzi per un
amore profano, altri per la gloria, altri per il potere, altri per il denaro,
altri per la salvezza e il paradiso. In questo grande manicomio anch’io
sono pazzo, ma pazzo di Dio. Pazzi voi, pazzo io. Ma, a mio parere, in
definitiva, la mia pazzia è la migliore.’ L’amore del vero bhakta è questa
bruciante follia davanti alla quale ogni altra cosa svanisce per lui. Tutto
l’universo per lui è pieno d’amore, e solo d’amore; ecco come l’universo
appare all’Amante. Così, quando un uomo ha in sé questo amore, diventa
eternamente beato, eternamente felice.”
(Yoga pratici, Bhakti-yoga)

Sri Aurobindo

Sri Aurobindo e Mère


Sri Aurobindo Ghose (1872-1950) fu un prolifico filosofo e scrittore
indiano, uno yogi e un attivista politico. Nella prima parte della sua vita,
dopo aver sviluppato una cultura vastissima (parlava bene italiano,
spagnolo e inglese) decise di lottare per l’indipendenza dell’India, ma
venne arrestato. In carcere, meditando, ebbe la sua grande esperienza
mistica: “Guardai la prigione che mi isolava dagli uomini e non erano più
le sua alte mura che mi tenevano prigioniero; no, era Vasudeva che mi
circondava. Camminai sotto i rami dell’albero davanti alla mia cella, ma
non era l’albero, seppi che era Vasudeva, era Krishna che vidi lì in piedi
che teneva si di me la sua ombra…” In seguito dedicò la sua vita a
sviluppare in modo moderno le conoscenze dei Veda e delle Upanişad,
scrivendo le sue opere principali: La vita divina, Pensieri e aforismi, La
sintesi dello yoga. In particolare la sua visione era tesa a sviluppare una
discesa del divino nella materia attraverso uno yoga integrale, fino a
rendere la morte stessa una realtà superata. Ma al di là delle varie
ricerche filosofiche Aurobindo diede sempre, in accordo alla visione della
Bhakti, una speciale attenzione alla ‘Grazia divina’: “Il principio stesso
del nostro yoga consiste nell’aprirsi all’Influsso divino…[…] …
concentrate la vostra coscienza nel cuore e meditate sulla Madre divina
chiamandola…” (Guida allo yoga, p. 51)

Citazioni
“La risata di Dio è talvolta molto rozza e indecente per orecchie
pudiche; non gli basta essere Molière, deve anche essere Aristofane
e Rabelais.”
(Pensieri e aforismi)

“…l’Arte rivela ciò che la Natura nasconde, che un piccolo quadro


è più prezioso di tutti i gioielli dei milionari e di tutti i tesori dei
principi.”
(Pensieri e aforismi)

“Quando chiami qualcuno ‘imbecille’, come ti succede a volte, non


dimenticare tuttavia che tu stesso sei stato il più grande imbecille
dell’umanità.”
(Pensieri e aforismi)
“Accetta il mondo come un teatro di Dio…”
(Pensieri e aforismi)

“Quando cambierà il mondo per diventare il modello del cielo?


Quando tutta l’umanità sarà fatta di ragazzi e ragazze insieme a
Dio rivelato come Krishna e Kali, il ragazzo più felice e la ragazza
più forte, che giocano insieme nel giardino del Paradiso. L’Eden
semitico era abbastanza buono, ma Adamo ed Eva erano troppo
adulti e il suo stesso Dio troppo vecchio, severo e solenne perché si
potesse resistere all’offerta del serpente.”

(Krishna e Kali)

“I cicli umani sono infatti come tante spirali di una crescente ma


ancora imperfetta armonia e sintesi, e la Natura riporta l’uomo
bruscamente indietro ai propri principi originali, talvolta persino a
qualcosa di simile alle proprie condizioni primitive, in modo che
egli possa ricominciare da capo su una più ampia curva di
progresso e auto realizzazione.”
(Il ciclo umano)

“Trovare la bellezza più alta è trovare Dio; rivelare, rappresentare e


creare la bellezza più alta è far scaturire dalla nostra anima
l’immagine e la potenza vivente di Dio.”
( Il ciclo umano)
Sulla filosofia delle Upanişad
“Considero le Upanişad verità scoperte attraverso la rivelazione e
l’esperienza spirituale, annotazioni di cose viste, udite e percepite
nell’anima…[…] …nel corso dell’esegesi, mi sono trovato a dover
confutare i punti di vista del monismo mayavada. La collisione è stata di
carattere più inevitabile che volontario, considerando che il mayavada era
anche il mio modo di vedere, quando iniziai lo studio del Vedanta. Quello
di Śankara è un sistema che risulta tuttora attraente per l’intellettualità
più astratta che è in me, in quanto rappresenta quella che potremmo
chiamare la verità di una realizzazione di percorso o intermedia, che non
perde mai una sua validità; ma quando cerca di dominare il pensiero e la
vita dell’uomo, proponendosi quale unica perpetua verità del vedanta,
allora sento che entra in conflitto con il vedanta più antico…[…] Anche
se la realtà dell’Uno predomina, ‘gli altri’, i molti, non sono irreali. Il
mondo non è una finzione della mente. L’unità è la verità eterna delle
cose e la varietà un gioco dell’unità. […] Ma la varietà non è falsa, se
non quando è separata dalla percezione della propria unità vera ed eterna.
[…] L’anima […] deve tornare alla coscienza della libertà possedendo e
godendo universalmente non di questa o quella cosa, ma del Divino e del
tutto.” (Commento alla Īśā Upanişad)
Mère (1878-1973)
Mirra Alfassa, nota poi col nome di Mère (la Madre) nacque a Parigi. Fu
amica di Rodin e Monet, amò l’arte e la ricerca della spiritualità
orientale, cosa che la portò prima in Giappone e poi in India. Dopo varie
esperienze con l’esoterismo e con lo Zen incontrò Sri Aurobindo e ne
divenne la compagna spirituale, colei che porterà avanti la ricerca
filosofica del maestro e ne curerà le opere. Nel suo pensiero l’aspetto
mistico è quello prevalente, ma si tratta di una mistica sempre legata alla
lucidità e alla razionalità europea. La sua opera, presente soprattutto in
lettere, conversazioni e commenti, costituisce un esempio notevole di
sintesi tra la cultura europea e quella indiana. Notevoli anche le sue
analisi storico-politiche, sempre legate ad una visione superiore,
spirituale.

Citazioni
“Questo corpo non è per noi che serve, non è per noi che ci è stato
dato: ma per fare il Lavoro.”
(Agenda, 1960)

“La gente cerca di dimenticare il passato; ma non serve a niente. Il


passato scompare solo quando ha dato tutto l’insegnamento che
doveva dare…”
(Agenda, 1960)

“Le vittorie più grandi sono quelle che fanno meno rumore.”
(Agenda, 1960)

“…solo quando ti sveglierai all’amore divino sentirai di amare.”


(Agenda, 1960)

“L’arte è anche una specie di disciplina yogica; con essa l’artista


entra in una comunione intima coi mondi interiori. Un uomo come
Leonardo da Vinci non era altro che uno yogi.”
(L’Italia e gli italiani)

“Oggi le persone sono incoscienti, più sono incoscienti, più sono nel
Tamas; più la loro sensibilità è ridotta, più hanno bisogno di
sensazioni forti per sentire qualcosa.”

(Conversazioni, 1954) Sull’umiltà


“L’umiltà, una perfetta umiltà, è indispensabile per qualsiasi
realizzazione. La mente è così tracotante! S’immagina di capire tutto, di
sapere tutto. […] L’unico rimedio è l’umiltà. Non parlo dell’umiltà
predicata da certe religioni, né di un dio che abbassa le sue creature solo
perché gli piace vederle in ginocchio! […] No, non si tratta di quel tipo di
umiltà; ma di riconoscere di non sapere, di non sapere niente, che ci può
essere qualcos’altro oltre a quello che attualmente ci pare la cosa più
vera, più nobile, più disinteressata. La vera umiltà consiste nel riferirsi di
continuo al Signore, nell’abbandonare tutto in Lui.” (Agenda, 1957)

Krishnamurti
Jiddu Krishnamurti (1895-1986) nacque nell’India meridionale, dove da
ragazzo venne notato da alcuni membri della società teosofica inglese e
considerato un essere eletto, in grado di guidare la società ad un livello
superiore. Cresciuto tra teosofi e riti di occultismo Krishnamurti rinnegò
in seguito questa congregazione, portandolo ad una insofferenza verso
ogni tipo di organizzazione spirituale. nel 1922 ebbe un’esperienza
mistica che lo trasformò radicalmente. Da allora girò il mondo come
filosofo apolide, tenendo conferenze su vari temi, tutti incentrati su una
radicale libertà da ogni ideologia e condizionamento mentale. Notevoli i
suoi dialoghi col fisico David Bohm, dove filosofia orientale e fisica si
incontrano mirabilmente.

Citazioni
“Quando non c’è il tempo, non c’è neanche la morte. Resta
solamente l’amore.”
(Diario)

“Il conformismo e l’imitazione sono segni di violenza…”


(Diario)

“Nessuna religione ha fermato una guerra; anzi, tutte le religioni


hanno funto da sprone benedicendone gli armamenti…Il predicatore
si è perso nelle sue parole e immagini.”
(Diario)

“Quando c’è la bellezza, ogni movimento e azione in qualsiasi


forma di relazione è completo, sano e sacro. Quando non esistono
quella bellezza e quel tipo di amore, il mondo impazzisce.”
(Diario)

“Il piacere non è gioia; gioia e piacere sono due cose


completamente differenti: una è spontanea, l’altra è voluta, nutrita;
una viene quando non c’è l’’io’ e l’altra ti lega al tempo; dove c’è
l’una non c’è l’altra.”
(Diario)

“La libertà è responsabilità totale, non solo per i tuoi figli, ma per
tutti i figli della terra.”
(Diario)

“Tutte le cose hanno bisogno di spazio…Gli esseri umani che


vivono in città sovraffollate stanno diventando violenti. Dove non
c’è spazio, verso l’esterno e verso l’interno, è inevitabile ogni forma
di cattiveria e di degenerazione.”
(Diario)

“Un’umanità materialista si autodistruggerà, a meno che non


abbandoni completamente il sé. […] L’abbandono del sé è amore,
compassione, cioè passione per tutto e tutti: l’affamato, il sofferente,
il senzatetto, il materialista e il credente.”
(Diario)

Andare oltre il tempo

Dialogo tra Krishnamurti e David Bohm


“David Bohm: Il punto è: che cosa realmente significa essere
psicologicamente liberi dal tempo.

Krishnamurti: Che non c’è domani.

David Bohm: Ma noi sappiamo che il domani c’è.


Krishnamurti: Ma psicologicamente…

David Bohm: Può descrivere meglio cosa intende quando dice che ‘non
c’è domani’?

Krishnamurti: Cosa significa vivere nel tempo? Consideriamo prima


l’altro lato, perché poi arriveremo a questo. Cosa significa vivere nel
tempo? Speranza: pensare e vivere nel passato, e agire partendo dalla
conoscenza del passato; immagini, illusioni, pregiudizi – sono tutti frutti
del passato. Tutto questo è tempo ed è quanto produce caos nel mondo.

[…]

David Bohm: Sì, ma cerchiamo di essere chiari. Prima lei aveva detto che
sarebbe avvenuto mediante l’insight (illuminazione). Adesso dice forse
che la meditazione tende a produrre l’insight?

Krishnamurti: Meditazione è insight.

David Bohm: L’unico punto da chiarire è se quando lei usa la parola


meditazione vuol significare qualcosa che è più dell’insight.

Krishnamurti: Molto di più. L’insight ha liberato il cervello dal passato,


dal tempo. Questa è una affermazione importantissima.

David Bohm: Vuol dire che si deve avere l’insight se ci si propone di


meditare?

Krishnamurti: Sì, proprio così. Meditare senza alcun senso del divenire.”
(Dove il tempo finisce)
Gandhi
Mohandas Karamchand Gandhi (1869-1948) nacque in India, ma da
giovane ricevette una educazione anglosassone; diventò avvocato della
corona inglese e nel 1893 andò in Sudafrica, dove matureranno nel tempo
le sue visioni etiche e politiche. Inizierà in pochi anni la grande battaglia
della non-violenza per liberare l’India dal dominio dell’Inghilterra. Come
scrisse Vecchiotti: “…qui per la prima volta l’ahimsā (non-violenza)
diventa una tecnica per la rivoluzione.” (Che cosa ha veramente detto
Gandhi). Gandhi attualizza gli insegnamenti vedici, ed in particolare la
sua guida è la Bhagavad-gītā che egli stesso considera come ‘una
seconda madre’. Per Gandhi la filosofia del Vedanta deve essere in grado
di risolvere nella concretezza sociale e politica i mali dell’India oppressa
dal colonialismo; per questo il suo attivismo politico è sempre stato
guidato ed ispirato sui concetti di Dharma, non-violenza e Satyam
(verità). Non a caso Gandhi praticò il vegetarianesimo fin da ragazzo,
trovando delle affinità tra il pensiero vedantico e i libri di Tolstoy,
Thoreau e altri autori europei da lui amati. Per Gandhi le religioni
dovevano abbandonare il proprio settarismo e seguire un unico aspetto di
Dio: la Verità. Gandhi verrà ucciso da un fanatico con un colpo di pistola;
nell’istante della morte pronunciò uno dei Sacri nomi di Dio: Rama.

Citazioni
“…è mia ferma convinzione che non si possa costruire niente di
durevole sulla violenza.”
(Il mio credo, il mio pensiero)

“…dal momento che tutta l’attività implica una qualche misura di


violenza, tutto quello che dobbiamo fare è cercare di ridurre al
minimo la violenza…[…] per esempio, non è possibile concepire un
uomo che creda nella non-violenza e che perseveri nel lavoro di
macellaio.”
(Il mio credo, il mio pensiero)

“La vita è un dovere, una prova.”


(Il mio credo, il mio pensiero)

“La bomba atomica non ha forse dimostrato la futilità di ogni


violenza?”
(Il mio credo, il mio pensiero)

“Sono sempre stato a favore della pura dieta vegetariana.”


(Il mio credo, il mio pensiero)

“Fumare è, in un certo senso, una maledizione più grande del bere,


perché la vittima non si rende conto in tempo del male che fa. Non
viene percepito come un segno di inciviltà…”
(Il mio credo, il mio pensiero)

“[sullo spiritismo] La pratica è dannosa sia per il medium che per


gli spiriti, ammessa la possibilità di tali comunicazioni.”
(Il mio credo, il mio pensiero)
“Dio è l’Alchimista Supremo. In Sua presenza tutto il ferro e le
scorie si trasformano in puro oro. Parimenti ogni male si trasforma
in bene.”
(Il mio credo, il mio pensiero)

La resistenza passiva e la disobbedienza civile


“La resistenza passiva è una spada eccezionale; la si può usare in
qualunque modo; benedice colui che la usa e colui contro cui è diretta.
Senza spargere una sola goccia di sangue produce risultati molto ampi.
Non arrugginisce mai e non può essere rubata. […] Gesù Cristo, Daniele
e Socrate rappresentarono la più pura forma di resistenza passiva o di
forza dell’anima. Tutti questi maestri stimavano un nulla i loro corpi al
confronto della loro anima. Tolstoj fu il migliore e il più fulgido
esponente moderno della dottrina. Egli non solo la espose, ma visse
conformandosi ad essa. In India, la dottrina fu compresa e diffusa molto
prima che entrasse in voga in Europa. […] La disobbedienza, per essere
civile, deve essere sincera, rispettosa, mai provocatoria, deve basarsi su
qualche principio assimilato con chiarezza, non deve essere capricciosa e,
soprattutto, non deve procedere da alcuna malevolenza o odio. […] Non
cedere l’anima al conquistatore significa rifiutarsi di fare quello che la
nostra coscienza ci proibisce. […] Il sacrificio di un innocente è un
milione di volte più potente del sacrificio di milioni di uomini che
muoiono per ucciderne altri.” (Il mio credo, il mio pensiero)
Bhaktivedanta Swami Prabhupada
Abhay Charan De (1896-1977), poi noto in tutto il mondo col nome
monastico di Bhaktivedanta Swami Prabhupada, nacque a Calcutta. Suo
padre, Gour Mohan, fu il primo a educarlo nella tradizione vaishnava, o
vishnuita, in particolare narrandogli storie di Krishna. Dopo aver
compiuto studi regolari (analizzando sia la cultura vedica che quella
europea) Abhay divenne un uomo di famiglia e avviò una propria attività
commerciale. Inizialmente seguì con interesse il movimento di Gandhi,
poi, nel 1932 prese l’iniziazione alla Bhakti da Bhaktisiddhanta
Sarasvati. Iniziò così a studiare i testi della bhakti e a praticarne i
principi. Il suo desiderio era poter soddisfare la richiesta del suo Maestro:
diffondere la bhakti in occidente. Nel 1965, una volta cresciuti i figli,
Prabhupada decise di andare in America partendo via nave verso gli Stati
Uniti. Non aveva denaro né conoscenze importanti. Visse i primi mesi a
New York da solo; poi, nel giro di un anno, molti giovani si sentirono
attratti dal suo insegnamento e così si formò un movimento, movimento
che si diffonderà a livello planetario. Infatti Prabhupada passò l’ultimo
decennio della propria vita viaggiando in tutto il mondo e aprendo centri
e ashram nelle principali città; inoltre si dedicò alla traduzione e al
commento di testi fondamentali come la Bhagavad-gītā e il Bhagavata
Purāna. I suoi discepoli distribuirono milioni di libri e ancora oggi è
possibile accedere a questi testi, con i versi in sanscrito, la traduzione ed
il commento. Il suo movimento divenne un fenomeno culturale e attrasse
personaggi famosi della cultura e dell’arte come i Beatles e Allen
Ginsberg. La filosofia di Prabhupada è la concreta attualizzazione della
scuola di Caitanya portata alla comprensione della mentalità occidentale.
I suoi libri e il suo esempio filosofico-spirituale costituiscono un
patrimonio che appartiene a tutti, e non si può circoscrivere a nessun
gruppo settario o ad una istituzione in particolare.

Citazioni
“La mente ci dà continuamente degli ordini. […] …lo scopo dello
yoga è il controllo della mente.”
(La perfezione dello yoga)

“Il piacere materiale non è affatto fonte di felicità. Il vero piacere


non finisce mai.”
(La perfezione dello yoga)

“Dio si è fatto molteplice per il Suo piacere e noi siamo gli oggetti
di questo piacere. […] Tuttavia, sebbene Krishna sia Colui che gode
e noi siamo l’oggetto del Suo piacere, questo piacere è condiviso
ugualmente da Krishna e da noi. Il nostro godimento diventa
perfetto solo quando partecipiamo al piacere di Dio.”
(La perfezione dello yoga)

“La Bhagavad-gītā è senza dubbio un’autorità e perfino un grande


scienziato come Einstein la leggeva regolarmente.”
(La perfezione dello yoga)
“Noi siamo eterni, pieni di felicità e di conoscenza, ma essendo stati
coperti dal groviglio della materia, abbiamo dimenticato noi
stessi.”
(La perfezione dello yoga)

“Nel mondo spirituale possiamo parlare personalmente con Dio,


divertirci in Sua compagnia, mangiare con Lui…”
(La perfezione dello yoga)

“Krishna è Dio perché è infinitamente affascinante…”


(Il libro di Krishna)

Servire per amore o servire per egoismo?


Dialogo tra Bhaktivedanta Swami Prabhupada e
Dr. Chaturbhai P. Patel,

23 marzo 1974
“Prabhupada: Innanzitutto definiamo il servizio. Che cos’è? Il servizio
implica la presenza di un servitore e di un padrone. È lo scambio tra il
servitore e il padrone. Ma noi abbiamo creato moltissimi falsi padroni:
moglie, capofamiglia, capo di stato…Non è così? E li serviamo. ‘Oh, è
mio dovere, devo servirli’. Ma se chiedi a qualcuno di questi padroni se è
soddisfatto, dirà: ‘Cosa hai fatto per me?’

Dottor Patel: Il padrone non sarà soddisfatto.

Prabhupada: No, questi padroni auto-nominati non saranno mai


soddisfatti e in realtà servendo loro cerchiamo di servire e soddisfare i
nostri sensi. Servo mia moglie perché penso che soddisferà i miei sensi,
quindi non servo lei ma i miei sensi. In ultima analisi siamo servitori dei
nostri sensi e di nessun altro. Questa è la nostra posizione materiale. […]
Sono un servitore per natura, ma essendo condizionato dall’energia
materiale, ora servo i miei sensi. Tuttavia i miei sensi non sono
indipendenti. Sono completamente dipendenti.

Ad esempio, sto muovendo le mani, ma se il vero padrone delle mie


mani, Krishna, le paralizzasse, non le muoverei più. […] Il servizio
devozionale a Krishna è il vero servizio, non è un servizio ai sensi inerti
ma al Padrone vivente dei sensi. È questa la vera soddisfazione. Sono
dunque un servitore per natura, non posso diventare il padrone. La mia
posizione è servire e se non servo il Padrone dei sensi, dovrò servire i
sensi e restare insoddisfatto.”

George Harrison

George Harrison e la sua esperienza con lo yoga-


bhakti
I Beatles incontrarono Prabhupada durante la loro ricerca spirituale e in
particolare George Harrison decise di praticare la Bhakti. Scrisse diverse
canzoni dedicate a Krishna. Queste sono le parole che scrisse come
presentazione de Il Libro di Krishna.

“Tutti cercano Krishna, anche se alcuni lo fanno inconsapevolmente. […]


Lo yoga – metodo scientifico per realizzare Dio – è destinato a purificare
la nostra coscienza, mettere fine alla nostra contaminazione e farci
giungere allo stadio di perfezione, tutto conoscenza e felicità. Se c’è Dio,
voglio vederlo. È inutile credere in qualcosa senza averne una prova; ma
la bhakti è il metodo che ci permette di percepire Dio. In realtà potete
vedere Dio, ascoltarlo, partecipare ai suoi Divertimenti.”

Vandana Shiva
Vandana Shiva (1952- ) è una filosofa, attivista e ambientalista. Nata
nell’India del nord prende il dottorato in filosofia con una tesi sulle
implicazioni filosofiche della meccanica quantistica. In seguito
abbandona questa ricerca per concentrarsi sull’urgenza alimentare e
agricola nel suo paese e nel mondo. Come attivista si è battuta contro la
multinazionale Monsanto che sfruttava i contadini indiani. In particolare
il suo pensiero ecologico è legato alla conservazione dei semi, da
proteggere dalle manipolazioni genetiche svolte per danneggiare e
speculare sulla natura. È vegetariana ed attacca con forza gli allevamenti
intensivi. Centrale nel suo pensiero l’idea di shakty, l’energia divina
femminile che manifesta e rigenera la vita. È un’amante della tradizione
vedica e della sua valorizzazione.

Citazioni
“Il seme non è solo fonte della vita. È il fondamento stesso del
nostro essere.”

(La libertà dei semi)


“Noi tutti siamo membri della famiglia della terra, ognuno
responsabile nella rete della vita. Eppure le società (multinazionali)
stanno ora reclamando il ruolo di creatore. Essi hanno dichiarato il
seme una loro «invenzione»…”

(La libertà dei semi)

“…oggi le aziende non trovano nulla di male nel possedere la vita,


allora i proprietari di schiavi non trovavano nulla di male nel
possedere altri esseri umani.”

(La libertà dei semi)

21. I. Vecchiotti, Storia della filosofia indiana. Dal XVIII al XX secolo,


II La filosofia di Vivekānanda, Ubaldini, Roma 1985, pag. 89.
Glossario
Acarya: Maestro spirituale di una tradizione autentica. Colui che insegna
con l’esempio.

Acintya-bhedābedha-tattva: La filosofia di Sri Caitanya Mahaprabhu


che illustra la simultanea coincidenza e differenza esistente tra Dio e le
Sue energie (comprese le anime).

Arati: Cerimonia di adorazione del divino.

Asram: I quattro ordini spirituali della vita umana (celibato e studio,


famiglia, vita ritirata e vita monacale).

Asura: Esseri con qualità demoniache.

Avatāra: Manifestazione dell’Assoluto sulla Terra, secondo le


indicazioni delle Scritture Sacre.

Bhagavān: Termine che designa Dio nella sua forma personale.

Bhakta: Devoto di Dio, colui che pratica lo yoga devozionale.

Bhakti-Yoga: Lo Yoga più elevato, attuato attraverso il servizio


devozionale.

Brahman: L’aspetto impersonale dell’Assoluto, emanazione di


Bhagavān.

Caitanya Mahaprabhu: Manifestazione di Radha e Krishna. Diffusore


del Bhakti yoga, apparso in India cinquecento anni fa.

Dharma: Legge ed armonia cosmica; natura eterna e funzione naturale di


ogni essere vivente; principi etico-religiosi.

Diksa: Iniziazione ricevuta da un Maestro spirituale autentico, dove


Maestro e discepolo si impegnano reciprocamente.

Ekadasi: Giorno ciclico di digiuno e purificazione, che cade


l’undicesimo giorno della luna crescente e della luna calante.

Goloka: Nella visione vaishnava il pianeta spirituale supremo, che


comprende le tre dimore di Krishna: Dvaraka, Mathura e Vrindavana.

Gopi: Le pastorelle amiche di Krishna, anime realizzate al massimo


grado.

Guna: Le tre strutturazioni dell’energia materiale (virtù, passione,


ignoranza).

Guna-avatāra: Visnu, Brahma e Shiva, le tre entità incaricate alla


nascita, allo sviluppo e alla distruzione dell’universo materiale, secondo i
tre Guna.

Guru: Maestro Spirituale, colui le cui parole hanno un grande peso.

Hari: Uno dei nomi di Dio.

Hatha-yoga: Lo yoga che lavora sul corpo grossolano. Pratica rigettata


da Arjuna e sconsigliata nel Kali-yuga.

Indra: Deva della pioggia; capo degli esseri celesti e armato di folgore;
da esso deriva la figura greca di Zeus.

Jiva: L’anima individuale che costituisce un frammento infinitesimale di


Dio stesso. Proviene dall’energia marginale (Tathastha-shakty)

Jňānī: Ricercatore dell’Assoluto che utilizza la conoscenza.


Kali-yuga: L’attuale era in cui vive l’umanità, caratterizzata da ipocrisia
e violenza. È l’ultima di un ciclo di quattro e dura già da cinquemila anni.

Karma: Legge di causa-effetto; manifesta l’ordine etico del cosmo


secondo il quale ognuno viene educato dalle conseguenze delle proprie
azioni. È inscindibile dal concetto di Reincarnazione.

Kirtana: Il canto delle glorie divine.

Krishna: L’Assoluto nella sua forma originale ed intima, in grado di


relazionare con le anime in modo personale e amoroso.

Līlā: Le attività eterne svolte dal Signore nel mondo spirituale. Alcune di
queste si manifestano ciclicamente anche negli universi materiali.

Maha-mantra: Il canto che risveglia nell’anima l’amore divino.

Maya: Illusione; tutto ciò che ci fa dimenticare la nostra relazione eterna


col divino.

Narayana: Nome di Dio, riferito a colui che governa i pianeti spirituali.

Niyama: Autocontrollo dei sensi, indispensabile per ogni pratica di yoga.

Parambrahma: Il Brahman supremo, Krishna.

Paramatma: Emanazione plenaria di Dio che risiede nel cuore di ogni


essere e in ogni punto dello spazio.

Parampara: Catena dei Maestri spirituali in successione disciplica,


garanzia di autenticità spirituale.

Pradhana: L’energia materiale totale nel suo stato di non manifestazione.


Paragonabile all’ordine implicato secondo il fisico David Bohm.
Prasada: Tutto ciò che viene offerto con amore a Dio, in particolare il
cibo, che viene spiritualizzato tramite questa offerta.

Prema: Amore assoluto; l’essenza più intima del divino.

Ramacandra: Avatāra di Krishna che mostrò il modo perfetto di regnare


sulla terra.

Rasa: Godimento spirituale; eterno e perfetto.

Sac-cid-ananda-vigraha: La forma spirituale di Dio, fatta di eternità,


conoscenza e gioia.

Sadhana: Disciplina nella pratica spirituale, atta a purificarci per poter


poi raggiungere la devozione spontanea.

Sankirtana: Il canto pubblico e collettivo dei nomi di Dio.

Sāstra: Le Scritture Sacre rivelate.

Svargaloka: I pianeti celesti, dove si vive più a lungo, godendo di piaceri


molto intensi e raffinati; da questi si può evolvere verso il mondo
spirituale, ma il più delle volte si torna sulla terra, incarnandosi in una
famiglia di devoti.

Syamasundara: Nome di Dio; è Krishna nell’atto di suonare il flauto,


formando tre linee curve con il suo corpo spirituale.

Tapas: Austerità atte a purificare la mente e il corpo.

Tilaka: Segni che il devoto mette sul proprio corpo per renderlo il tempio
del divino.

Upanisad: Commento filosofico ai Veda.


Vaikuntha: Nome dei pianeti spirituali dove “non esiste l’ansia”.

Vaishnava: Devoto di Dio, in particolare delle forme divine rivelate


attraverso la tradizione vedica.

Varna: Denominazione dei ceti sociali secondo il progetto divino: ceto


intellettuale, ceto amministrativo, ceto mercantile e ceto agricolo.

Veda: Scrittura enunciata da Dio stesso a Brahma, secondo la tradizione.

Vedanta-sutra: Sintesi e conclusione della conoscenza vedica, il cui


commento è il poema dello Srimad-Bhagavatam.

Vrindavana: Il villaggio nella foresta dove Krishna manifestò le sue


attività più intime, eternamente esistenti nella Vrindavana spirituale.

Vyasadeva: La tradizione vedica lo indica come compilatore di tutte le


scritture vediche; è considerato un Avatāra di Sri Vishnu.

Yama: Principi etico-regolatori che proteggono il praticante di yoga da


inutili sofferenze.

Yuga: Ognuna delle quattro epoche dell’umanità.


Antologia dei testi

I Veda

Dal Rig-Veda
“Libro I. Inno 170.
Indra disse:
Costui non è mai nel tempo, né nel presente né nel futuro.
Chi conosce questo Essere Supremo e Meraviglioso?
Egli possiede azioni e giochi, ma se viene avvicinato
in modo impuro con la mente svanisce.”

“Libro III. Inno 4.


Ardi in noi! Risvegliaci con la Verità!
Con l’illuminazione donaci la comprensione
Dell’Uno luminoso. O Fuoco sacro!
Conduci le divinità al sacrificio!
[…]
Insieme possano venire Bharati con le Muse invocate,
Ila con le divinità, gli uomini e Agni,
Saraswati coi suoi poteri pieni d’ispirazione…
Sono tre le divinità sul seggio del sacrificio.
Vieni, fuoco sacro! Nel carro con Indra,
possa poi Aditi, madre degli eroi,
sedersi sull’erba sacra,
possano le divinità, gli eterni,
essere soddisfatti nello svaha (del sacrificio).”
Le Upanishad

Kali-Santarana Upanişad (estratto)


Hari Om! Verso la fine del Dvapara-Yuga Nārada Muni andò da Brahma
e così si rivolse a lui: “O Signore, come farò io, girovagando ai confini
della terra, ad essere abile nell’attraversare l’era di Kali?” A questa
domanda Brahma rispose: “Buona domanda. Tutti i Veda custodiscono e
nascondono questo intimo segreto, attraverso il quale è possibile superare
il Samsara in Kali. Per togliere tutti gli effetti malefici di Kali basta
soltanto pronunciare il nome del Signore Narayana, che è la Persona
Originale, il Purusha”. Ancora Nārada chiese a Brahma: “Quale nome
precisamente?” E Hiranyagarbha (Bhahma) rispose:

“Hare Rama Hare Rama Rama Rama Hare Hare Hare Krishna Hare
Krishna Krishna Krishna Hare Hare.

Questi sedici nomi distruggono ogni effetto negativo prodotto in Kali-


Yuga. Nulla di meglio può essere ascoltato in tutti i Veda. Questi sedici
nomi distruggono ogni Avarana (forze che producono il senso
dell’egoismo) della Jiva circondata da questi sedici Kalas (raggi). Allora,
come una sfera del sole che splende completamente dopo il disperdersi
delle nuvole, splende il Parabrahman.”

Sri Isopanishad
Invocazione: OM, l’Assoluto, è completo e perfetto e tutto ciò che Egli
emana è completo e perfetto; è dalla completezza che deriva la
completezza ed Egli, essendo la completezza perfetta, rimane tale anche
dopo aver dato ogni altra completezza.

1. Il Signore pervade e controlla tutto ciò che esiste, sia l’animato sia
l’inanimato; da Lui accetta la parte che ti è stata assegnata,
distaccandoti da ogni desiderio di ricchezza altrui.
2. Agendo con tale distacco l’uomo può vivere fino ad un centinaio di
anni. Ciò vale anche per te: fai in modo che la legge del Karma non ti
leghi alle tue azioni. Non vi è alternativa.
3. I mondi destinati agli Asura sono avvolti nelle tenebre e
nell’ignoranza ed è lì che vanno tutti coloro che uccidono la propria
anima.
4. Pur restando fisso nel suo mondo il Signore è più rapido della mente;
nessuno, neppure i Deva, possono raggiungerlo; pur restando
immobile Egli supera ogni altro movimento; egli si espande nella
Madre di ogni cosa.
5. Il Signore si muove e non si muove. Egli è lontano e vicino. Egli è
all’interno e all’esterno di tutto ciò che esiste.
6. In verità colui che riconosce tutti gli esseri come manifestazione del
Signore e il Signore all’interno di tutti gli esseri non prova più
avversione verso alcuno.
7. In tale stato di consapevolezza, colui che vede la propria anima
identica (nella sostanza spirituale) ad ogni altra anima, quale
turbamento o illusione può provare?
8. Il Signore è onnipresente, senza forma materiale, puro, onnisciente,
immune da errori, veggente e filosofo perfetto, nessuna vena è
presente nel suo corpo spirituale; egli soddisfa tutti i desideri da
tempo infinito.
9. In tenebre fitte cadranno coloro che coltivano il sentiero
dell’ignoranza; ma in tenebre ancora più profonde cadranno coloro
che coltivano la conoscenza fine a sé stessa.
10. Ben altro ci è stato detto, dai saggi, sulla differenza tra i frutti che
derivano dalla conoscenza e dall’ignoranza.
11. Colui che comprende insieme la via della conoscenza e
dell’ignoranza, trascende la morte attraverso l’ignoranza e gode
dell’immortalità attraverso la conoscenza.
12. Nelle regioni più tenebrose precipitano coloro che adorano gli esseri
non indipendenti (i Deva), ma in tenebre ancora più fitte cadono
coloro che si dedicano solo alla pura indipendenza (all’aspetto
dell’Assoluto come Brahman).
13. È stato affermato che una cosa è il risultato che deriva adorando
l’Assoluto, e un’altra cosa è il risultato che deriva dall’adorazione di
ciò che non è indipendente; ciò è stato spiegato perfettamente dai
grandi saggi.
14. Colui che conosce il Signore Supremo (e tutti i suoi aspetti Personali)
come nascita e dissoluzione di ogni cosa, attraverso la dissoluzione
supera la morte e attraverso la nascita spirituale gode nel suo regno
eterno.
15. Da uno schermo dorato e abbagliante è nascosto il volto della Verità
Suprema (il volto del Signore). Togli, ti supplico, questo velo,
affinché il vero seguace del Dharma (il devoto) possa vederlo!
16. O Signore, o veggente primordiale, tu che a tutto dai ordine, che sei la
luce del Sole, che dai beneficio ai progenitori, rimuovi e raccogli i
tuoi raggi, raccogli il tuo splendore! Così che io possa contemplare la
tua forma più sacra! Tu sei la Persona che si trova là, nel Sole, e
anch’io sono simile a te!
17. Il soffio vitale è indistruttibile ma questo corpo verrà ridotto in
cenere; possa il suo soffio vitale ricongiungersi al soffio eterno. OM!
Ti prego Signore, ricorda ogni mio sacrificio, poiché sei tu il loro
destinatario, ricorda tutto ciò che ho fatto per te! Ricorda tutto ciò che
ho fatto per te!
18. 18. Signore, come Agni tu conosci tutte le azioni rituali, guidaci sulla
giusta strada e purificaci da ogni vizio. A te rivolgiamo il nostro
omaggio e la nostra resa totale.
Purāna

Uddhava-gītā (estratto)
(Srimad-Bhagavatam, Canto 11, cap. 29. – Lo yoga dell’amore assoluto)

Verso 1: Sri Uddhava disse: Questo metodo yoga, caro Signore, è molto
difficile da compiere per chi non riesce a controllare la mente; per questo
ti prego di dirmi come è possibile realizzare la perfezione spirituale in
modo più accessibile.

Verso 2: O Signore dagli occhi di loto, questi yogi mistici sono spesso
delusi e frustrati da queste pratiche poiché non riescono a raggiungere il
perfetto samadhi; non riuscendo a placare la mente falliscono e si sentono
affaticati.

Verso 3: O Signore, gli uomini puri come i cigni prendono rifugio ai tuoi
piedi di loto, che sono la sorgente di ogni estasi spirituale; mentre coloro
che con orgoglio si fissano nei risultati dello yoga e del karma non si
rifugiano in te e vengono poi sconfitti dalla potenza di Maya.

Verso 4: Caro ed infallibile Signore, tu sei il vero amico di tutti, e sei


particolarmente intimo con i tuoi devoti; quando grandi esseri celesti
come Brahmā cercarono di sfiorare con le loro corone il piedistallo su cui
riposano i tuoi piedi di loto, tu – nella forma di Sri Rāmacandra – hai
rivolto un affetto speciale alla scimmia Hanuman, un tuo puro devoto.

Verso 5: Chi può dunque rifiutare te che sei l’anima Suprema di tutti, il
controllore universale che concede le benedizioni più grandi? Chi
rifiuterebbe la tua grazia per dedicarsi a piaceri effimeri che servono solo
a farti dimenticare? Nulla manca a coloro che hanno deciso di impegnarsi
al servizio della polvere dei tuoi piedi di loto. Cos’altro desiderare?

Verso 6: O Signore, nessun poeta potrebbe esprimere la gratitudine e il


debito che si ha nei tuoi confronti, neppure se vivesse a lungo come
Brahmā; tu ti riveli a noi in due aspetti, uno esterno nella veste del guru e
uno interno, come Anima Suprema… pur di liberarci dall’illusione e
poter tornare a Te.

Verso 7: Sukadeva Gosvami commentò: Ascoltando queste parole di


Uddhava il Signore, colui che considera ogni universo un semplice
giocattolo e che si manifesta come Brahmā, Vishnu e Shiva, sorrise e
iniziò a rispondere.

Verso 8: Sri Bhagavan, Dio, disse: Sì, ti spiegherò i segreti della


devozione verso la Mia Persona; mettendoli in pratica ogni essere umano
potrà vincere la morte invincibile…

Verso 9: Offri le tue attività e i tuoi doveri a Me, senza diventare mai
impulsivo offrimi la tua mente e la tua intelligenza e fissa la tua mente su
di Me, ricordandomi sempre.

Verso 10: Cerca rifugio nei luoghi sacri dove vivono i miei devoti e
prendi esempio dalle loro sante attività che si manifestano tra gli esseri
celesti, tra i demoni e tra gli uomini.

Verso 11: Da solo o in compagnia celebra i giorni sacri (come Ekadasi)


con feste, danze, canti, destinando a Me ogni opulenza di queste
celebrazioni.

Verso 12: Con un cuore purificato si dovrebbe cogliere la mia presenza in


ogni essere vivente; io sono presente in ogni luogo, sia all’interno che
all’esterno, senza che nessuna cosa materiale possa condizionarmi; come
il cielo pervado lo spazio intero.

Verso 13: O luminoso Uddhava, chi riconosce la Mia presenza in tutti gli
esseri che incontra e tratta tutti con rispetto, costui è saggio grazie a
questa conoscenza divina.

Verso 14: Costui vede tutti con sguardo imparziale, non fa differenza tra
il brahmana e il mlecchai, tra il ladro e il cultore dei Veda, tra il sole e le
sue scintille, tra il buono e il crudele.

Verso 15: Chi medita costantemente sulla Mia presenza in tutti i viventi si
libera velocemente da ogni tendenza nefasta come la rivalità, l’invidia, la
vanità e ogni idea egoistica si dissolve…

Verso 16: Incurante del disprezzo altrui egli dovrebbe abbandonare la vita
basata sul corpo e offrire omaggi a tutti i viventi, si tratti di asini, cani,
mucche o mleccha, gettandosi a terra dritto come un bastone.

Verso 17: Anche se non si è ancora in grado di percepire realmente la Mia


presenza in tutti gli esseri è necessario offrire loro omaggi e rispetto con
la parola, con la mente e col corpo.

Verso 18: Con questa conoscenza spirituale della presenza divina in ogni
essere e in ogni luogo potrai accedere presto alla Verità Suprema e
liberarti da ogni dubbio, e così lascerai ogni attività egoistica, legata ai
frutti dell’azione.

Verso 19: Questa forma di adorazione della Mia persona, rivolta con
azioni concrete verso tutti gli esseri, è per Me il metodo più elevato per
raggiungere la realizzazione spirituale.

Verso 20: Caro Uddhava, questo metodo dello yoga devozionale alla Mia
persona è stato da Me stabilito come del tutto libero da ogni influenza
materiale; praticandolo un devoto sincero non subirà mai nessun danno.

Verso 21: O Uddhava, tu sei il più santo tra i santi, e sai che nei momenti
pericolosi ognuno piange e si dispera inutilmente; ma rivolgersi a Me,
anche per essere liberati dalla paura e dal pericolo, è l’atto religioso più
elevato.

Verso 22: Questo cammino devozionale è l’intelligenza degli intelligenti


e l’abilità dei più abili, esso permette di utilizzare ciò che è illusorio e
temporaneo per raggiungere Me, che sono l’eterna realtà.

Verso 23: Ti ho esposto la scienza spirituale completa, in sintesi e nel


dettaglio; tale conoscenza della Verità Suprema è difficile da capire anche
per gli esseri dei mondi celesti.

Verso 24: Ti ho esposto questo insegnamento in modo chiaro e logico,


ripetendolo in modo che fosse compreso adeguatamente; chi ne avrà la
chiara comprensione sarà libero dai dubbi e raggiungerà la liberazione.

Verso 25: Chiunque concentrerà la propria attenzione su questo nostro


dialogo raggiungerà lo scopo supremo e intimo dei Veda, la Verità
Assoluta.

Verso 26: A colui che diffonde, tra i miei devoti, questo supremo
insegnamento in modo libero, a lui io dono e concedo Me stesso.

Verso 27: In tutti coloro che ripetono ad alta voce questa conoscenza
assoluta, giorno dopo giorno la coscienza verrà purificata, poiché
diffondono come una torcia questa conoscenza che illumina e purifica.

Verso 28: Tutti coloro che ascoltano regolarmente questa conoscenza con
fede e attenzione, impegnandosi nel Mio servizio, non saranno mai legati
dalle azioni che svolgono nel mondo materiale.

Verso 29: Caro Uddhava, amico mio, hai finalmente compreso la


conoscenza spirituale? L’illusione e la tristezza sono svaniti dalla tua
mente?

Verso 30: Non dovresti rivelare questa conoscenza intima a chi è falso,
ateo o criminale e neppure a coloro che non hanno fede in essa, ai non
devoti e a coloro che sono orgogliosi.

Verso 31: Questa conoscenza è destinata ai puri, a coloro che servono i


saggi brahmana, a coloro cha hanno un animo gentile e devoto; infatti
non importa se si tratti di donne o di sudra, chiunque ha devozione potrà
ascoltare questi insegnamenti.

Verso 32: Colui che cerca la conoscenza ha concluso il suo viaggio


quando entra in contatto con questo insegnamento, così come smette di
bere ogni altra bevanda colui che ha bevuto il nettare dell’immortalità.

Verso 33: Tutti cercano di fare progressi nel dharma, negli affari, nel
godere con i sensi e nel raggiungere la liberazione dal ciclo di nascite e
morti con la logica, i riti e lo yoga mistico; molti cercano gloria e potere
politico; ma tu che sei Mio devoto otterrai tutte queste opulenze
ottenendo Me in persona.

Verso 34: Colui che abbandona ogni desiderio verso i frutti dell’azione e
desidera soltanto servirmi con amore, costui ottiene la liberazione dal
ciclo di nascita e morte e viene elevato nel mio regno, dove potrà
condividere le Mie stesse glorie.

Verso 35: Śukadeva Gosvāmī disse: Dopo aver ascoltato la via completa
dello yoga, indicata da Sri Krishna in persona, Uddhava unì le sue mani
in adorazione del Signore e con il cuore colmo d’amore rimase silente
mentre dai suoi occhi sgorgavano lacrime. Per l’emozione non riusciva
più a parlare.

Verso 36: Dopo essersi ripreso ed aver calmato le emozioni Uddhava


sentì una estrema gratitudine verso Sri Krishna, il più grande degli eroi
tra gli Yadu; caro re Pariksit, Uddhava si chinò, toccando col suo capo i
piedi di loro del Signore, poi disse:

Verso 37: Sri Uddhava disse: O Signore primordiale, non-nato, pur


essendo caduto nelle profonde tenebre dell’illusione la tua compagnia
misericordiosa e le tue parole mi hanno illuminato. Come possono il
buio, il freddo e la paura toccare chi si è immerso nello splendore del
sole?

Verso 38: In base al mio abbandono la tua infinita misericordia mi ha


concesso la torcia della conoscenza; sono solo il tuo servitore, ma come
potrei io o chiunque altro lasciare il rifugio dei tuoi piedi di loto per
cercare altrove le risposte?

Verso 39: Tutte le corde che mi legavano con affetto alle varie famiglie
degli Yadu erano nate dalla tua energia illusoria, la potente Maya-shakti;
ma ora ogni legame illusorio è stato reciso dalla spada della tua
conoscenza spirituale.

Verso 40: Offro a te i miei omaggi e ogni adorazione, a Te che sei il più
grande degli yogi; ora che ho preso rifugio in te soltanto, dimmi, ti prego,
come posso sviluppare sempre più questo attaccamento ai tuoi piedi di
loto senza lasciarmi più sviare.

Verso 41: Sri Bhagavan, Dio in persona, disse: Caro Uddhava, accogli la
mia indicazione, recati a Badarikā, esso è un luogo santo; là potrai
purificarti immergendoti in quelle acque che provengono dai miei piedi
di loto.

Verso 42: Purifica il tuo sguardo guardando il fiume Alakanandā, copriti


solo con la corteccia degli alberi e mangia ciò che la foresta ti offrirà
attraverso i suoi frutti; vivi così in serenità e sempre lieto, al di là di ogni
desiderio materiale.

Verso 43: Sii tollerante verso ogni dualità e mantieni l’autocontrollo;


coltiva e approfondisci la conoscenza spirituale che ti ho esposto. Medita
sempre sull’essenza di ciò che ti ho insegnato.

Verso 44: Fissa ogni tuo pensiero e ogni tua azione su di Me, e sforzati di
realizzare sempre più la conoscenza delle mie divine qualità; in questo
modo riuscirai a trascendere le destinazioni delle tre influenze materiali e
verrai da Me.

Verso 45: Śukadeva Gosvāmī disse: Dopo aver ricevuto queste istruzioni
da Krishna, la cui intelligenza distrugge ogni sofferenza, Uddhava girò
attorno al Signore in segno di rispetto e pur essendo libero da ogni dualità
bagnò con le sue lacrime i piedi di loto del suo caro e amato amico.

Verso 46: Uddhava non riusciva, tanto era il suo affetto per il Signore, ad
abbandonarlo; ma alla fine, dopo essersi chinato più volte, prese i sandali
di Krishna come dono e partì.

Verso 47: Da quel momento, andando verso Badarikā, Uddhava meditò


costantemente sul Signore Supremo all’interno del suo cuore. In quel
luogo si sottopose ad una rigida ascesi e raggiunse il regno personale del
Signore, che è il solo e vero amico dell’universo.

Verso 48: Questo insegnamento è un nettare che racchiude un oceano di


gioia e Krishna, i cui piedi di loto sono adorati dai maestri dello Yoga, lo
rivelò al suo amico Uddhava. Chiunque ascolterà con fede questo
insegnamento raggiungerà la totale liberazione.

Dai testi di Bhaktivinoda takura

Logica materiale e logica spirituale


“La logica emanata dalla naturale conoscenza spirituale dell’anima è pura
e senza errori. La filosofia nata da questa logica è realmente vera, ed è in
grado di sostenersi anche senza la conoscenza naturale. La logica
derivata dalla conoscenza materiale è vista ovunque in questo mondo;
essa è sempre mista e impura. Le filosofie che derivano da questa logica
sono sempre piene di errori e insufficienti. Queste filosofie, come
abbiamo visto, non sono mai in grado di descrivere il Supremo. La
conoscenza materiale, perciò, non è adatta per descrivere la Suprema
Verità Assoluta.

Lo strumento appropriato per descrivere la Suprema Verità Assoluta è la


pura logica, prendendo rifugio nella conoscenza spirituale intrinseca
dell’anima. A questo punto una persona potrebbe chiedermi: “In cosa
consiste la conoscenza naturale e intrinseca di cui parli?” La risposta è
che la conoscenza in possesso dell’anima è ciò che io chiamo “naturale
conoscenza”. Ed è tutta spirituale e sempre colma di conoscenza. Una
naturale conoscenza è eternamente presente nell’anima e non deriva dalle
percezioni delle cose di questo mondo. L’azione di questa conoscenza è
nota come pura logica. Prima che ogni anima conoscesse il mondo
materiale, la naturale conoscenza sapeva dell’anima.

La naturale conoscenza dice:

1. Io esisto.
2. Io continuerò a esistere.
3. Io sono pura felicità.
4. Questa felicità è l’emanazione di una dimensione che è la sorgente di
ogni felicità.
5. È naturale per me cercare rifugio presso tale sorgente.
6. Io sono eternamente devoto a questa sorgente.
7. Questa sorgente è estremamente bella.
8. Io non ho il potere di abbandonare tale sorgente.
9. La mia condizione attuale è deplorevole.
10. Abbandonando questa condizione, io potrò prendere rifugio in tale
sorgente.
11. Questo mondo materiale non è la mia eterna dimora.
12. L’elevazione in questo mondo non corrisponde all’elevazione eterna.

La logica contaminata dalla materia non può prendere rifugio in questa


naturale conoscenza. Tale logica è solo un’assurda chiacchiera. All’inizio,
alcuni principi di base o assiomi devono essere accettati, anche nella
scienza ordinaria. Non si può fare alcun progresso in matematica,
astronomia o in altre scienze, senza accettare degli assiomi di base.
Bisogna accettare qualche principio di base per la comprensione della
scienza spirituale – gli assiomi della naturale conoscenza. Questi primi
principi sono la radice dell’albero su cui fiorisce la conoscenza
spirituale.” (Tattva-Viveka)
Titoli di Fontana Editore*
Valentino Bellucci - Atlante del pensiero Orientale (2020).
Michele Sist - Dio gioca ai videogames (2020).
Johannes Odenthal, Passaggi - Koffi Kôkô tra danza contemporanea
e filosofia del Vodoun (2020).
Enrico Harish Campanile, I Fiori del Silenzio - Inviti al ricordo di Sé
(2020).
Nicoletta Bartolo, L’intelligenza intuitiva del cuore - Dall’antichità ai
giorni nostri, dal Cuore “antico” alla fisica quantistica (2020).
Stefania Venturini, Fido non è più qui - Dolore e lutto per la perdita
di un animale da compagnia (2020).
Nicoletta Geniola, La pedagogia del bambino vero (2020)
Frater Efes, Il viaggio esoterico dell’uomo nelle lame dei tarocchi
(2019).
Frater Efes, Matematica Esoterica. Numerologia Pitagorica e
Ghematrie kabbalistiche (2019).
Frater Efes, Cabalà per massoni - Volume 1. L’albero e le Sefirot
(2019).
Frater Efes, Cabalà per massoni - Volume 2. Le Lettere e le Vie
(2019).
Enrico D’Errico, Io sono anima, saggistica (2019).
Antonella Burato Disegnare i sentimenti. Manuale di disegno (2019).
Leonardo Anfolsi, The secret fire of Meditation, saggistica (eng)
(2019).
Valentino Bellucci, a cura di. Gli aforismi di Nārada
(Nāradabhaktisūtra). Il segreto più intimo dell’estasi, saggistica
(2019).
Valentino Bellucci, Universi Paralleli. L’esoterismo nel pensiero di
Leibniz per muoversi nell’infinito, saggistica (2019).
Valentino Bellucci, Gli specchi segreti di Salvador Dalí, I segreti
iniziatici presenti nell’opera del pittore, saggistica, (2019).
Valentino Bellucci, Goethe esoterico, I 7 segreti iniziatici di Goethe,
saggistica, (2019).
Giovanna Mulas, Oratio de hominis dignitate, saggistica, (2019).
Francesco Boer, L’immaginazione non è uno stato mentale: è
l’esistenza umana stessa, saggistica, (2019).
Leonardo Anfolsi, El fuego secreto de la meditación, saggistica (esp)
(2019).
Paola Marchi, Nove Novelle Sufi, libro illustrato (2018).
Paola Gabrielli, L’Ombra di Omero - Manuale per conquistare la
felicità e tenersela stretta, manuale (2018).
Khenebish, Pacchetti d’Amore - Essere nella leggerezza dell’essere,
saggistica (2018).
Elisabetta Marinelli, Mind Me - Il libro dell’autoconsapevolezza, che
scriverai tu, manuale (2018).
Leonardo Anfolsi, Il Fuoco segreto della Meditazione, saggistica
(2018).
Leonardo Anfolsi, Zen Naikan - The ancient energy alchemy of the
Rinzai Zen monks, saggistica, (2018).
Leonardo Anfolsi, Zen Naikan - L’antica alchimia dell’energia dei
monaci zen rinzai, saggistica, (2018).
Gennaro Ponzo, Manuale di sviluppo personale - Come prendersi
cura di Se ed aprirsi alla Consapevolezza, saggistica, (2017).
AAVV, Nitrogeno - International rewiev of operative Alchemy, rivista
periodica, (dal 2017).
Leonardo Anfolsi, A commentary on The Diamond Sutra, saggistica
(ing) (2017).
Corto Monzese, L’Ovale alchemico, esoterismo (2017).
Andrea Casna, La Massoneria in Trentino - Il Settecento, saggistica,
(2016).
Vincenzo Pane Bansō, La via delle nuvole, romanzo (2015).
Leonardo Anfolsi, Bananananda, romanzo (2014).
Corto Monzese, Enneagramma e Body Types, esoterismo (2014).
Dario Atena, Insegnamento iniziatico, esoterismo (2014).
Luca Pigaiani, Bagno armonico - Massaggio sonoro con campane
tibetane, manuale, (2014).
Dario Atena, L’antica scienza della resurrezione, esoterismo (2013).
Dario Atena, Figli del Tuono, esoterismo (2013).
* Aggiornato a novembre 2020
Crediti
ATLANTE DEL PENSIERO ORIENTALE
Per vivere nel mondo di oggi con gli strumenti della saggezza
millenaria

Valentino Bellucci

ISBN: 9788898750986

© 2020 Fontana Editore - Corso Ausugum, 98 - Borgo Valsugana (Tn) -


38051 Italy

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Tavola dei Contenuti (TOC)
Introduzione
Le origini: I VEDA
Citazioni dal Rgveda
Nota sul sanscrito
L’esoterismo e il simbolismo degli Inni Vedici
L’OM, il suono primordiale
Parole chiave: Mantra
Le Upaniśad
Citazioni
La Bhagavad-gītā
KRISHNA: storia o mito?
I Purāna
Parole chiave: DHARMA e AVATARA
Storicità dei poemi vedici
I sei darshan (visioni della verità)
Yoga
Vedanta
Shankya
Parola chiave: Guna
Vaiṣeśika
Nyaya
Citazioni
Mimamsa
Il pensiero Buddhista
Il Buddha
Citazioni
Le scuole filosofiche buddiste
Nagarjuna
Lo Zen
Storia Zen
Parola chiave: il Vuoto
Bodhidharma
Il Jainismo
Il Tantra
Parola chiave: Lingam
Il pensiero cinese: Taoismo e Confucianesimo
Parole chiave: Yin e Yang
Lao-tzu
Citazioni
Chuang-tzu
Citazioni
Confucio
Citazioni
L’India medievale
Sankaracarya (788 - 820)
Citazioni
Parola chiave: Maya
La purificazione dell’anima dall’illusione
Il Rinascimento scientifico: Astronomi e matematici
Parola chiave: lo Zero
Ramanuja acarya
Citazioni
Testo
La via del Bhakti Yoga
Nimbarka acarya
Madhva acarya
Citazioni
La molteplicità reale degli esseri e l’unità di Dio
Vallabha cacarya
Citazioni
Caitanya Mahaprabhu
Citazioni
La natura dell’amore assoluto Dialogo tra Caitanya e Rāmānanda Rāya
I Gosvāmī di Vrindavana
Srila Jīva Gosvāmī
Citazioni
La via per realizzare la verità
L’India moderna e contemporanea
Bhaktivinoda thakura
Citazioni
Il segreto per sperimentare l’estasi spirituale
Vivekānanda
Citazioni
La natura della Bhakti
Sri Aurobindo e Mère
Citazioni
Sulla filosofia delle Upanişad
Mère (1878-1973)
Citazioni
(Conversazioni, 1954) Sull’umiltà
Krishnamurti
Citazioni
Andare oltre il tempo
Dialogo tra Krishnamurti e David Bohm
Gandhi
Citazioni
La resistenza passiva e la disobbedienza civile
Bhaktivedanta Swami Prabhupada
Citazioni
Servire per amore o servire per egoismo? Dialogo tra Bhaktivedanta Swami Prabhupada e Dr.
Chaturbhai P. Patel,
23 marzo 1974
George Harrison e la sua esperienza con lo yoga- bhakti
Vandana Shiva
Citazioni
Glossario
Antologia dei testi
I Veda
Dal Rig-Veda
Le Upanishad
Kali-Santarana Upanişad (estratto)
Sri Isopanishad
Purāna
Uddhava-gītā (estratto)
Dai testi di Bhaktivinoda takura
Logica materiale e logica spirituale
Titoli di Fontana Editore*
Crediti

Table of Contents
1. Introduzione
2. Le origini: I VEDA
1. Citazioni dal Rgveda
2. Nota sul sanscrito
3. L’esoterismo e il simbolismo degli Inni Vedici
4. L’OM, il suono primordiale
5. Parole chiave: Mantra
6. Le Upaniśad
7. Citazioni
3. La Bhagavad-gītā
1. KRISHNA: storia o mito?
4. I Purāna
1. Parole chiave: DHARMA e AVATARA
2. Storicità dei poemi vedici
3. I sei darshan (visioni della verità)
4. Yoga
5. Vedanta
6. Shankya
7. Parola chiave: Guna
8. Vaiṣeśika
9. Nyaya
10. Citazioni
11. Mimamsa
5. Il pensiero Buddhista
1. Il Buddha
2. Citazioni
3. Le scuole filosofiche buddiste
4. Nagarjuna
5. Lo Zen
6. Storia Zen
7. Parola chiave: il Vuoto
8. Bodhidharma
9. Il Jainismo
10. Il Tantra
11. Parola chiave: Lingam
6. Il pensiero cinese: Taoismo e Confucianesimo
1. Parole chiave: Yin e Yang
2. Lao-tzu
3. Citazioni
4. Chuang-tzu
5. Citazioni
6. Confucio
7. Citazioni
7. L’India medievale
1. Sankaracarya (788 - 820)
2. Citazioni
3. Parola chiave: Maya
4. La purificazione dell’anima dall’illusione
5. Il Rinascimento scientifico: Astronomi e matematici
6. Parola chiave: lo Zero
7. Ramanuja acarya
8. Citazioni
9. Testo
10. La via del Bhakti Yoga
11. Nimbarka acarya
12. Madhva acarya
13. Citazioni
14. La molteplicità reale degli esseri e l’unità di Dio
15. Vallabha cacarya
16. Citazioni
17. Caitanya Mahaprabhu
18. Citazioni
19. La natura dell’amore assoluto Dialogo tra Caitanya e Rāmānanda Rāya
20. I Gosvāmī di Vrindavana
21. Srila Jīva Gosvāmī
22. Citazioni
23. La via per realizzare la verità
8. L’India moderna e contemporanea
1. Bhaktivinoda thakura
2. Citazioni
3. Il segreto per sperimentare l’estasi spirituale
4. Vivekānanda
5. Citazioni
6. La natura della Bhakti
7. Sri Aurobindo e Mère
8. Citazioni
9. Sulla filosofia delle Upanişad
10. Mère (1878-1973)
11. Citazioni
12. (Conversazioni, 1954) Sull’umiltà
13. Krishnamurti
14. Citazioni
15. Andare oltre il tempo
1. Dialogo tra Krishnamurti e David Bohm
2. Gandhi
3. Citazioni
4. La resistenza passiva e la disobbedienza civile
5. Bhaktivedanta Swami Prabhupada
6. Citazioni
7. Servire per amore o servire per egoismo? Dialogo tra Bhaktivedanta Swami
Prabhupada e Dr. Chaturbhai P. Patel,
8. 23 marzo 1974
9. George Harrison e la sua esperienza con lo yoga- bhakti
10. Vandana Shiva
11. Citazioni
9. Glossario
10. Antologia dei testi
11. I Veda
1. Dal Rig-Veda
12. Le Upanishad
1. Kali-Santarana Upanişad (estratto)
13. Sri Isopanishad
14. Purāna
1. Uddhava-gītā (estratto)
15. Dai testi di Bhaktivinoda takura
1. Logica materiale e logica spirituale
16. Titoli di Fontana Editore*
17. Crediti

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