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La “famiglia” di Peppino

Possiamo di certo definire la situazione familiare di Peppino Impastato non stabile, difatti quasi ogni
componente familiare ha avuto a che fare con la mafia in prima persona difatti solo pochi elementi familiari
insieme a lui hanno contribuito a questa lotta contro la mafia. Qui sotto vi sono presenti delle informazioni sui
componenti familiari di peppino che hanno vauto più influenza nella sua vita:
Luigi Impastato era un mafioso anche se definito “mafioso di vecchio stampo” legato più che altro alla
cultura che era abituato a vedere in famiglia o in paese fin da giovane, portandolo alla convinzione che
lo portò a credere (in maniera sbagliata) che la società si focalizzava sull’omertà e sulla cieca
obbedienza verso chi comanda per poter rispettare il proprio onore. Nel 1947 Luigi sposa Felicia
Bartolotta, casalinga e figlia di un impiegato al Comune, che non era a conoscenza dei suoi legami con
la mafia: “Io allora non ne capivo niente di mafia, altrimenti non avrei fatto questo passo”, racconterà
in seguito Felicia nel suo libro “La mafia in casa mia”, Luigi muore il 19 settembre del 1977, all’età di
quasi 72 anni. Lo investe un’auto, di notte, ma non si saprà mai se si è trattato di una casualità. Anche
al funerale, Peppino non retrocede dalle sue posizioni e si rifiuta di stringere la mano ai boss di Cinisi,
suscitando molto clamore.

Cesare Manzella (zio di Peppino) , «Secondo quanto emerso da indagini e approfondimenti, è stato
uno dei capomafia nella Cinisi del dopoguerra. Dopo un periodo di permanenza negli Stati Uniti, dove
ha trascorso diversi anni, organizzando una catena di case da gioco a Chicago, tornò in Sicilia (era stato
espulso dalle autorità statunitensi nel 1947). Quando tornò nel suo paese natale, ha continuato a
mantenere rapporti con i mafiosi americani e con quelli palermitani; nello stesso tempo esercita il
dominio sui mafiosi del suo paese e della sua zona. Cercando di crearsi una bella immagine sociale per
dare convinzioni errate ai cittadini nascondendo le vere intenzioni a cui egli puntava, era proprietario di
una vasta piantagione di cedri. I Carabinieri locali lo hanno descritto come “violento e prepotente, un
individuo astuto che ha ottime capacità organizzative che gli permettono di godere di un certo potere
sulle fazioni criminali e mafiose locali”. Esercita la sua influenza non solo a Cinisi, ma anche nelle
vicine comunità di Carini, Torretta, Terrasini, Partinico, Borgetto e Camporeale . Egli dedicò anche
parte dei suoi profitti illeciti per la costruzione di un orfanotrofio. La sua attività caritatevole venne
addirittura riconosciuta formalmente con la sua elezione a presidente dell'Azione cattolica di Cinisi.

Manzella era coinvolto nel contrabbando di sigarette e nel traffico di eroina, Sarebbe anche stato
protagonista della prima guerra di mafia, scoppiata a causa del sabotaggio di un grosso carico di eroina
finanziato proprio da lui, da Salvatore Greco della cosca di Ciaculli (a Palermo) e da Angelo La
Barbera della cosca di Palermo, insieme a lui ha operato un altro grande malvivente che ha avuto
anchesso rapporti nella “famiglia” impastato difatti

Gaetano Badalamenti nato anche lui a Cinisi, il 14 settembre del 1923, ha vissuto in una famiglia
numerosa: è l’ultimo di cinque figli e quattro figlie. Il padre muore nell’anno in cui viene alla luce.
Frequenta la scuola per un breve periodo, quindi inizia a lavorare come allevatore di bovini all’età di 10
anni vivendo sin da subito gli ambienti malavitosi, in seguito ad alcune denunce per omicidio e tentato
omicidio, Gaetano Badalamenti decide di partire per gli Stati Uniti e raggiungere il fratello maggiore
Emanuele, che ha in Michigan un supermercato e un distributore di benzina. Il tribunale di Palermo lo
assolve dall’accusa di omicidio aggravato (per insufficienza di prove) e, per amnistia, anche
dall’imputazione di omessa denuncia di armi.
La polizia americana lo arresta nel 1950, come immigrato irregolare, quindi lo rispedisce in Italia.
Diviene vicecapo della cosca di Cinisi. La polizia lo arresta nel 1951, per espatrio clandestino e truffa
in danno a una società di navigazione. Torna poco dopo in libertà e si dedica ad alcuni azioni illecite
diventando il capo della cosca di Cinisi nel 1963 ottenendo il riconoscimento per essere uno dei
principali trafficanti di stupefacenti in Sicilia mantenendo anche rapporti con diversi mafiosi. A causa
di alcuni contrasti con altri boss, egli fuggì in Brasile, temendo di essere eliminato, e soggiorna a San
Paolo, senza porre fine ai traffici. Nel 1984 gli agenti dell’FBI e quelli della polizia italiana e spagnola
arrestano Badalamenti a Madrid. Finisce sotto processo a New York, insieme al figlio Vito nel celebre
caso “Pizza Connection“ (un inchiesta giudiziaria sul traffico di droga) . Il processo dura quasi due anni
e si conclude per Gaetano Badalamenti con una condanna a 45 anni di carcere per traffico
internazionale di droga ai quali si aggiungono i 15 per associazione mafiosa e 18 mesi per reticenza,
mentre Vito è assolto da tutte le accuse. Mentre nel 2002 la giustizia italiana condanna Gaetano
Badalamenti all’ergastolo, come mandante dell’omicidio di Peppino Impastato avvenuto il 9 maggio
del 1978. Impastato aveva pubblicamente attaccato Badalamenti e i suoi uomini.

Nella sua famosa trasmissione radiofonica “Onda pazza” a Radio Aut, Impastato deride sia politici sia
mafiosi, denunciando quotidianamente i crimini e gli affari dei mafiosi di “Mafiopoli” (Cinisi) e le
attività di “Tano Seduto“, soprannome sarcastico e dispregiativo dato a Gaetano Badalamenti. Prima
della condanna, il caso di Impastato viene archiviato due volte la prima del 1984 dove venne
riconosciuta la matrice mafiosa come colpevole del delitto, e la seconda del 1992 dove il Tribunale di
Palermo decide l’archiviazione del “caso Impastato”, ribadendo la matrice mafiosa del delitto ma
escludendo la possibilità di individuare i colpevoli e ipotizzando la responsabilità dei mafiosi di Cinisi
alleati dei “Corleonesi”. La famiglia di Peppino però non si arrese. Si riaprì l’inchiesta nel 1996, dopo
diversi esposti e in seguito alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Salvatore Palazzolo. È del
novembre del 1997 l’emissione di un ordine di cattura per Badalamenti, incriminato come mandante
del delitto. Il 23 novembre 1999 Gaetano Badalamenti rinuncia alla udienza preliminare e chiede il
giudizio immediato. Nel settembre del 2000 esce il film I cento passi che fa conoscere la storia di
Peppino al grande pubblico regalandoci anche una delle sue più belle citazioni:

“È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si
insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore“.

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