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Ai miei studenti...

Questa dispensa di fisica generale - giunta alla quarta revisione - è rivolta a tutti gli studenti
che iniziano lo studio di questa bellissima materia, ma è bene precisare fin da ora che
possedere e studiare questa dispensa non è condizione né necessaria né sufficiente per il
superamento del test di fisica.
La dispensa non sostituisce le lezioni svolte in aula ma è solo di supporto a tutti coloro che
vogliano approfondire la loro preparazione oltre il libro di testo suggerito dal docente.
Ringrazio anticipatamente tutti coloro che vorranno segnalarmi eventuali errori presenti
nella dispensa e darmi utili suggerimenti per migliorare il mio lavoro.

Ing. Riccardo Porru


“Molti insegnanti sprecano il loro tempo facendo domande che mirano a scoprire ciò che lo
studente non sa mentre la vera arte dell'interrogare è quello di scoprire ciò che lo studente
sa, o è in grado di imparare.”

Albert Einstein
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1. GRANDEZZE FISICHE

1.1. Generalità
La fisica studia i fenomeni che avvengono in natura e cerca di descriverli con il linguaggio
della matematica, ossia con delle formule. Supponiamo per esempio di voler misurare la
profondità di un pozzo e di non aver nessuno strumento a portata di mano.

Il metodo più semplice che posso utilizzare é quello di prendere un sasso, lasciarlo cadere nel
pozzo e misurare con un cronometro quando tempo impiega a toccare l’acqua.

Se andiamo a sfogliare un qualsiasi libro di fisica troviamo la seguente formula:

H = ½ g t2

Nella quale il significato dei simboli è il seguente:


 H è l’altezza di caduta espressa in metri [m];
 t è il tempo che l’oggetto impiega per cadere e toccare il pelo dell’acqua, espresso in
secondi [s];
 g si chiama accelerazione di gravità e come studieremo in seguito è una costante il cui
valore è circa 9,8 m/s2.

Supponiamo che il sasso impieghi 2 secondi a toccare l’acqua.. La profondità del pozzo
sostituendo i valori appropriati è:

H = ½ * 9,8 * 22 = 0,5 * 9,8 * 4 = 19,6 m.

La fisica usa quindi la matematica come suo linguaggio per esprimersi, tuttavia c’è una
differenza fondamentale.

Il matematico può isolarsi in una stanza ed elaborare i suoi calcoli senza preoccuparsi di
quello che accade fuori; per questo si dice che la matematica è una scienza astratta.

Il fisico, invece, elabora delle formule che pretendono di descrivere fenomeni naturali e per
questo risulta del tutto evidente che egli non può ignorare ciò che accade fuori.

In altri termini il fisico elabora le sue formule a tavolino, ma poi deve necessariamente
verificare con l’esperimento che queste formule descrivano effettivamente il fenomeno. Ecco
perché si dice che la fisica è una scienza sperimentale.

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1.2. Grandezze fisiche


Fare esperimenti significa fare delle misurazioni, raccogliere dati e vedere se tra questi vi è un
legame che si può esprimere con il linguaggio della matematica.

Si definisce grandezza fisica tutto ciò che è misurabile con uno strumento opportuno o, in
altri termini, una quantità definita in modo rigoroso e misurabile.
Per esempio sono grandezze fisiche l’altezza dell’aula dove ci troviamo, la temperatura
dell’aria, il nostro peso corporeo etc.

Per contro NON è una grandezza fisica la bellezza in quanto non esiste un metodo oggettivo,
e quindi uno strumento, per misurarla.

Dobbiamo precisare fin da ora che in fisica ogni volta che si scrive un numero questo deve
essere immediatamente seguito dall’unità di misura in cui si vuole esprimere, altrimenti si
stanno scrivendo delle cose che non hanno un senso compiuto.

Per esempio se io dico: “Via Roma a Cagliari è lunga 5” la frase non ha un senso compiuto,
cioè non posso dire se è vera o falsa. Il punto è che lo potrò fare soltanto una volta che sarà
specificata l’unità di misura.

Misurare una grandezza fisica significa confrontarla con una misura campione e associarle
un valore numerico.

Per esempio posso dire che la lunghezza (L) del lato maggiore della lavagna è uguale a:

L = 1,40 m.

1.3. Sistemi di unità di misura


I sistemi di unità di misura sono basati su grandezze fondamentali (unità di misura definite in
modo indipendente) e su grandezze derivate (unità di misura calcolate tramite relazioni
matematiche tra grandezze fondamentali).

Le caratteristiche di una unità di misura sono:

 essere omogenea alla grandezza da misurare e più piccola di essa;


 avere multipli e sottomultipli;
 essere costante, riproducibile e universale.

La scelta di un’unità di misura piuttosto che di un’altra è arbitraria e spesso è dettata da


questioni di ordine pratico: ad esempio, se vogliamo misurare la lunghezza della pista di
atletica di uno stadio potremmo utilizzare il metro; se invece ci interessa misurare la distanza
tra due stelle, il metro è un’unità troppo piccola, mentre è più pratico utilizzare come unità di
misura, ad esempio, l’anno-luce (la distanza percorsa dalla luce in un anno).
In effetti, esiste una grande varietà di unità di misura, usate in differenti contesti (nella vita
quotidiana, in varie discipline tecnico-scientifiche, etc.) e che possono anche cambiare da

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luogo a luogo (ad esempio, nei paesi anglosassoni si usano ancora unità di lunghezza come il
“pollice”, il “piede”, il “miglio”, che non vengono più usate in Italia).

Nell’ambito della fisica è nata perciò l’esigenza di “mettere ordine” e razionalizzare le unità
di misura usate. Sono nati così i cosiddetti sistemi di unità di misura:

“un sistema di misura è un insieme razionale di unità di misura: ossia, in ogni sistema di
misura vengono scelte le unità di misura delle grandezze fondamentali, mentre quelle delle
grandezze derivate rimangono definite di conseguenza”.

Il sistema di misura più utilizzato in fisica è il cosiddetto Sistema Internazionale (abbreviato


con la sigla SI o S.I.). Nell’ambito del SI:

 le lunghezze si misurano in metri (m);


 le masse si misurano in chilogrammi (kg);
 i tempi si misurano in secondi (s);
 le correnti elettriche si misurano in ampère (A);
 le temperature si misurano in gradi kelvin (K);
 le intensità luminose si misurano in candele (cd);
 la quantità di sostanza si misura in moli (mol).

Un altro sistema di misura molto usato è il sistema CGS. Questo sistema di misura utilizza le
seguenti unità per le grandezze fondamentali:

 le lunghezze si misurano in centimetri (cm);


 i tempi si misurano in secondi (s);
 le masse si misurano in grammi (g);
 le correnti elettriche si misurano in statampere (statA).

Le unità delle grandezze derivate del sistema CGS vengono di conseguenza.

1.4. Notazione scientifica


Un anno luce è la distanza compiuta
dalla luce (che ha velocità c = 3•108 m/s)
in un anno.

Quanti metri ci sono in un anno luce?

Il problema contiene un sottoproblema:


conoscendo la velocità della luce in
metri al secondo, occorre per prima cosa
determinare quanti secondi ci sono in un
anno.

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Trascurando l'aggiustamento degli anni bisestili, consideriamo un anno formato da 365 giorni:
1 anno = 365 x 24 x 3 600 s = 31 536 000 s.
Il problema principale si risolve allora moltiplicando la velocità della luce c per il numero di
secondi appena ricavato:
 1 anno luce = 31 536 000 s • 3 108 m/s
 1 anno luce = 9 460 800 000 000 000 m.

Provate a leggere il numero che risulta! Esso è scomodo da usare e da ricordare, come tutti i
numeri troppo più grandi o troppo più piccoli dell'unità. E' più agevole, per chi parla e per chi
ascolta, utilizzare le potenze del 10.
Ogni cifra di un numero ha un valore che dipende dalla sua posizione, per esempio:

Nel numero la cifra 9 ha il valore di:

9 9 unità (9 x 100)

900 9 centinaia (9 x 102)

0,9 9 decimi (9 x 10-1)

In molte situazioni non è importante ricordarsi tutte le cifre di un numero quanto l'ordine di
grandezza, cioè la potenza del 10 più vicina al numero.

Approssimando per difetto alla seconda cifra decimale possiamo scrivere:

 1 anno = 3,15 • 107 s;


 1 anno luce = 9,46 • 1015 m.

Non è mai un buon sistema quello di scrivere numeri illeggibili in cui compaiono troppi zeri
prima o dopo la virgola!
Il modo più corretto di scrivere i numeri è la notazione scientifica in cui si utilizzano le
potenze del 10.
Ad esempio:

 6130 = 6,13 • 103;


 72000 = 7,2 • 104;
 0,0051 = 5,1 • 10-3.

Attenzione: nella notazione scientifica, prima della potenza del 10, c'è un numero compreso
tra 1 e 10!

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Nel Sistema Internazionale esistono dei prefissi da premettere al simbolo dell'unità di misura
per indicare le unità multiple e sottomultiple del fattore 10:

Fattore di
Prefisso Simbolo Valore
moltiplicazione
10 24 yotta Y 1 000 000 000 000 000 000 000 000
10 21
zetta Z 1 000 000 000 000 000 000 000
10 18 exa E 1 000 000 000 000 000 000
10 15 peta P 1 000 000 000 000 000
10 12
tera T 1 000 000 000 000
10 9
giga G 1 000 000 000
10 6
mega M 1 000 000
10 3
chilo k 1 000
10 2
etto h 100
10 1
deca da 10
10 -1
deci d 0,1
10 -2 centi c 0,01
10 -3 milli m 0,001
10 -6 micro µ 0,000 001
10 -9 nano n 0,000 000 001
10 -12
pico p 0,000 000 000 001
10 -15
femto f 0,000 000 000 000 001
10 -18
atto a 0,000 000 000 000 000 001
10 -21
zepto z 0,000 000 000 000 000 000 001
10 -24
yocto y 0,000 000 000 000 000 000 000 001

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2. GRANDEZZE SCALARI E VETTORIALI

2.1. Generalità
In fisica esistono due tipi di grandezze: le grandezze scalari e le grandezze vettoriali.
Ciò si deduce osservando direttamente la realtà. Vediamo ora di chiarire il perché di questa
distinzione..

- Grandezze scalari.

Le grandezze scalari sono quelle grandezze completamente definite, da un valore numerico


rispetto ad una unità di misura prescelta.
Per esempio, l'area è uno scalare (si può dire così, più brevemente). Il numero in metri
quadrati che rappresenta l'area di una superficie è sufficiente a caratterizzare questa
grandezza. Non servono ulteriori specificazioni, per cui se andassi a comprare delle
mattonelle per il pavimento del mio studio, dopo aver scelto il tipo, basterebbe che dicessi al
commerciante un solo numero (in metri quadrati) per fargli capire immediatamente di cosa ho
bisogno.

- Grandezze vettoriali.

Se dicessi che mi sono spostato di un chilometro, ciò non sarebbe sufficiente per indicare
dove esattamente sono andato. In questo caso dovrei aggiungere anche l'informazione della
direzione su cui mi sono mosso e del verso che ho seguito.
Le grandezze vettoriali, allora, sono definite da una direzione, un verso ed una intensità.
Le grandezze vettoriali possono essere rappresentate geometricamente come segmenti
orientati:

Verso
Direzione

Punto di a
applicazione modulo a

La direzione è la retta su cui la grandezza si esplica, il verso è uno dei due possibili versi che
una retta può avere, e l'intensità (si dice anche modulo o valore assoluto) è il valore numerico,
rispetto ad una unità di misura, che esprime il valore di quella grandezza.
Esempi di grandezze vettoriali sono lo spostamento, la forza, la velocità etc. Tutte queste
grandezze non possono essere semplici grandezze scalari perché necessitano, per essere
completamente determinate, anche di una specificazione di direzione e verso.
Simbolicamente un vettore si indica con una lettera minuscola dell'alfabeto su cui si pone una
piccola freccia verso destra, oppure con una lettera minuscola scritta in grassetto.

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2.2. Somma e proprietà della somma vettoriale

La somma di due vettori a e b è il vettore a + b,


diagonale del parallelogramma formato dai
vettori a e b.
a+b
In coordinate cartesiane è la somma delle
componenti x e y dei vettori a e b.

La somma vettoriale gode delle proprietà: b a b


a+b
 associativa: (a + b) + c = a + (b + c);
 commutativa: a + b = b + a.

a-b La differenza tra due vettori a - b è uguale alla somma di


a con l'opposto di b.

Un metodo pratico consiste nel congiungere la punta del


a vettore b con quella del vettore a.
b

Dato un vettore a, il vettore opposto –a è il vettore che ha lo stesso modulo di a, stessa


direzione ma verso opposto:

-a a

2.3. Prodotto di un vettore per uno scalare

a Il prodotto di un vettore a per uno scalare k


positivo è un vettore che ha lo stesso verso e la
stessa direzione di a e modulo uguale a |k||a|.
2a
Il prodotto di un vettore a per uno scalare k
negativo è un vettore che ha la stessa direzione di
a, verso opposto al vettore iniziale e modulo
-a uguale a |k||a|.

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2.4. Vettori e piano cartesiano


I vettori possono essere rappresentati y
per mezzo di coordinate sul piano
cartesiano.
Quando si rappresentano i vettori sul
piano cartesiano, si fa coincidere la
coda dei vettori con l'origine degli
assi. Scrivere a = (ax; ay) significa che a
il vettore a ha la coda nell'origine e la ay
punta nel punto (ax; ay) del piano
cartesiano; ax e ay sono le componenti
del vettore a parallele all'asse x e y.

ax x
Il modulo del vettore può essere calcolato con il teorema di Pitagora. Infatti, il vettore e le sue
componenti formano un triangolo rettangolo. Le lunghezze dei cateti sono uguali alle
componenti sugli assi, e l'ipotenusa è uguale al modulo del vettore:

a  a x2  a 2y

2.5. Prodotto scalare


Dati due vettori u e v, formanti un angolo θ, definiamo il prodotto scalare di u per v come
quella quantità (scalare, appunto) ottenuta moltiplicando il modulo di u per il modulo di v
per il coseno dell’angolo θ, in formula:
 
u  v  uv cos 

che si legge: (u scalare v = prodotto del modulo di u per il modulo di v per il coseno
dell’angolo θ compreso tra i due vettori).
Riferiamoci ora alla seguente costruzione vettoriale:

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Dove:

u cos   componente del vettore u nella direzione di v
Dunque u  cos non è altro che la componente del vettore u nella direzione di v, quindi il
prodotto scalare tra due vettori risulta il prodotto tra il modulo di un vettore e la componente
dell’altro vettore nella direzione nel primo:
 
u  v  uv cos   av v

Nota: il prodotto scalare è commutativo, ovvero: u·v = v·u.

2.6. Prodotto vettoriale

Dati due vettori v e u , il loro prodotto vettoriale v x u è un vettore che ha:

 direzione perpendicolare al piano che contiene i due vettori v e u;


 verso dato dalla regola della mano destra ovvero si pone il pollice della mano destra nel
verso del vettore v e le altre dita nel verso di u , il vettore v x u è uscente dal palmo
della mano.
 modulo uguale all’area del parallelogramma generato dai vettori v e u cioè |v x u| = v u
sen θ.

Il prodotto vettoriale è:

 associativo: (a + b) x c = a x c + b x c;
 anticommutativo: v x u = - u x v;
 è nullo se uno dei due vettori è il vettore nullo oppure se i vettori sono tra loro paralleli.

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3. CINEMATICA

3.1. Generalità
La cinematica si occupa del moto dei corpi, a prescindere dalle cause del moto. In cinematica
le dimensioni dell’oggetto che si sta studiando vanno considerate puntiformi. In tal senso, una
macchina in movimento sulla strada, un aereo in volo, un satellite in orbita attorno alla Terra,
la stessa Terra nel suo moto attorno al Sole devono essere pensati come punti materiali, cioè
privi di dimensione e di estensione propria. Il guadagno di una tale approssimazione é in una
maggiore semplicità nella trattazione matematica del moto.

Un corpo si dice in moto quando la sua posizione in un sistema di riferimento varia nel
tempo.

Per individuare la posizione di un punto su una superficie piana, si sceglie un sistema di


riferimento cartesiano costituito da due rette orientate, dette assi, tra loro ortogonali e le
distanze, si misurano prendendo come origine il punto di intersezione degli assi.
Di solito i due assi sono chiamati x e y e le distanze da misurare sono due, l'ascissa (distanza
dall'asse y) e l'ordinata (distanza dall'asse x).
La posizione s risulta così definita da due coordinate; pertanto lo spazio così definito è a due
dimensioni.

Per localizzare un
elicottero o un aereo
che sorvola una città,
oltre al valore della
sua ascissa e della sua
ordinata è necessario
tuttavia conoscere
una terza coordinata,
l'altitudine.

Lo spazio così
definito è uno spazio
a tre dimensioni.

La traiettoria è la linea che unisce i punti occupati dal punto materiale in istanti di tempo
successivi.
Esempi di traiettorie sono le seguenti equazioni:

 y = x (retta);
 y = 2 x2 + 5x –1 (parabola);
 x2 + y2 = 9 (circonferenza).

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Nella figura seguente il punto P si muove su un piano cartesiano. Il moto è descritto dalle due
funzioni:
X = x(t);
Y = y(t).

Il vettore r(t1) indica la posizione nel piano del punto P nell’istante t=1:

y
P (t1)
y1
P (t2)
y2

r (t1)
r (t2)

o x1 x2 x

Il vettore spostamento Δr è la differenza tra i vettori posizione r(t2) e r(t1); Δr non coincide
con il percorso del punto ma dipende solo dalle posizioni iniziale e finale.

y
P (t1)
Δr
P (t2)
r (t1)

r (t2)

o x

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3.2. Velocità media e velocità istantanea


Un corpo che si muove può effettuare lo stesso percorso, impiegando tempi diversi.

Ad esempio un aereo per andare da Cagliari ad Olbia impiega un tempo molto minore di
un'auto di media cilindrata. Possiamo perciò affermare che l'aereo è più veloce dell'auto.
La relazione tra spazio percorso (ovvero una lunghezza) e tempo impiegato ci porta a
introdurre una nuova grandezza, che prende il nome di velocità media.

La velocità vettoriale media in un certo intervallo di tempo è il vettore definito come rapporto
tra lo spostamento e il tempo impiegato.

y
P (t1)
vm
Δr
P (t2)

r (t1)

r (t2)


 r
In formula: vm 
t
La velocità è una grandezza derivata, perché si ottiene dal rapporto di due grandezze
fondamentali: la lunghezza (che nel S.I. si misura in metri) e l'intervallo di tempo (che si
misura in secondi).
Essa ha quindi le dimensioni di una lunghezza [L] divisa per un tempo [t]; la sua equazione
dimensionale è pertanto [L]/[t] e la sua unità di misura è il m/s (metro al secondo).
Soprattutto nel gergo automobilistico, una unità di misura pratica è il kilometro all'ora, in
simbolo km/h. Per passare da un'unità di misura all'altra è sufficiente ricordare che:
1 km = 1000 m e 1 h = 3600 s.

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La velocità istantanea è calcolata per intervalli di tempo sempre più piccoli, tendenti a 0.

 
r r (t2 )  r (t1 )
In formula: vi  lim 
t 0 t t2  t1

Il vettore velocità è in ogni istante di tempo tangente nel punto alla traiettoria.

vi
P (t1)

r (t1) Δr P (t2)

r (t2)

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3.3. Tipologia di moto rettilineo


Si definisce moto rettilineo un moto in cui la traiettoria è una retta. In funzione della velocità
si possono distinguere tre casi:

 moto uniforme (la velocità rimane costante);


 moto uniformemente accelerato (la velocità varia con continuità);
 moto vario (la velocità varia in moto arbitrario).

3.4. Moto rettilineo uniforme


Si definisce moto rettilineo uniforme un moto in cui la traiettoria è una retta e la velocità è
costante in modulo, direzione e verso.

In tal caso:
 per comodità possiamo prendere come direzione di moto uno degli assi cartesiani;
 il modulo della velocità media e della velocità istantanea coincidono in ogni istante.

PARTENZA

Si definisce legge oraria (o legge del moto) una relazione in grado di fornire ad ogni istante t
la posizione s assunta da un corpo in moto.

Nel caso del moto rettilineo uniforme in genere si prende come istante d’inizio quello in cui il
cronometro segna tiniziale = 0 e si preferisce identificare lo spazio finale con la sola lettera s (ad
indicare che l’equazione è valida per una qualunque situazione finale, cioè qualunque sia lo
spazio percorso ad un generico istante t).
Ricordando poi che la velocità in ogni istante è uguale alla velocità media, essendo il moto
uniforme, la legge oraria diventa semplicemente:

s  s0  v  t

Se poi la posizione iniziale dell’oggetto studiato dovesse essere so = 0 (cioè il corpo parte
dall’origine del sistema di riferimento prescelto), la legge oraria si semplifica ancora di più
diventando:

s  v t

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Diamo ora una rappresentazione grafica del moto ponendo la variabile tempo sull’asse delle
ascisse e lo spazio sull’asse delle ordinate.
La curva che si ottiene è quella di una retta che parte dal punto y = so (dove so sta per siniziale)
oppure dall’origine degli assi se lo spazio iniziale è nullo, so = 0.

In modo analogo, mettendo sull’asse delle ordinate il valore della velocità (costante) in
funzione del tempo, si ottiene una retta orizzontale che rappresenta il grafico velocità-tempo.

E’ importante notare come l’analisi dei grafici orari ci permetta di ricavare alcune importanti
informazioni sul moto (senza usare direttamente la legge oraria):

 il coefficiente angolare m della retta spazio-tempo fornisce il valore (costante) della


velocità;
 l’area della figura delimitata dalla retta velocità-tempo e dall’asse delle ascisse
rappresenta lo spazio percorso dall’oggetto in moto. In questo caso abbiamo a che fare
con un rettangolo e si ha: Area sottesa = altezza x base = velocità x tempo = spazio
percorso.

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3.5. Accelerazione
La necessità di definire il concetto di velocità istantanea nasce dalla constatazione che, tranne
alcuni casi specifici, durante il moto di un oggetto il vettore velocità non rimane costante nel
tempo, e questo cambiamento può riguardare il modulo (una macchina che accelera o frena
lungo una strada rettilinea), oppure anche solo la direzione o solo il verso del vettore velocità.
Questo è il caso in cui un’auto
percorre alla velocità costante di
100 km/h una curva circolare; il
modulo non varia, ma la direzione del
vettore velocità cambia in ogni
istante, pur mantenendosi sempre
tangente alla traiettoria.
Per meglio studiare queste situazioni
di moto, si introduce il concetto di
accelerazione, la cui espressione è la
seguente:

 v
am 
t
L’accelerazione media in un
intervallo di tempo è il rapporto tra
la variazione di velocità e il tempo di
riferimento.

(L’accelerazione istantanea è riferita ad un periodo di tempo tendente a 0).

In particolare:
 in un moto rettilineo l’accelerazione ha la stessa direzione della velocità e quindi della
traiettoria.
 in un moto curvilineo la velocità è tangente alla traiettoria e l’accelerazione è il risultato
di una componente tangente alla traiettoria e di una componente normale alla traiettoria.

In generale l’accelerazione non è tangente alla traiettoria.

L’unità di misura nel S.I. dell'accelerazione è il m/s2 (metro al secondo quadrato).

In conclusione: un moto è accelerato se la velocità di un oggetto cambia nel tempo, e questo


cambiamento può riguardare il modulo (una macchina che accelera o frena lungo una strada
rettilinea), oppure anche solo la direzione o solo il verso del vettore velocità (è il caso in cui
un’auto percorre alla velocità costante di 100 km/h una curva circolare: il modulo non varia,
ma la direzione del vettore velocità cambia in ogni istante, mantenendosi sempre tangente alla
traiettoria).

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3.6. Moto uniformemente accelerato


Consideriamo un corpo inizialmente fermo che inizia a muoversi con un valore di
accelerazione a = 4 m/s2. Ciò vuol dire che la sua velocità aumenta sempre di 4 m/s ogni
secondo che passa; cioè, dopo un tempo di 1 s, 2 s, 3 s, e 4 s la velocità diventerà pari a
4 m/s, 8 m/s, 12 m/s, 16 m/s . In questo caso si parla di moto uniformemente accelerato.

Si definisce moto rettilineo uniformemente accelerato un moto la cui traiettoria è rettilinea e


la cui accelerazione è costante nel tempo.

La legge oraria se il moto è uniformemente accelerato risulta:

1
s (t )  s0  v0  t  a  t 2
2

La legge oraria se il moto è uniformemente ritardato risulta:

1
s ( t )  s0  v 0  t  a  t 2
2
L'equazione che esprime come varia la velocità è:

v (t )  v0  a  t

Il grafico spazio-tempo è quello di una semiparabola.


Il coefficiente angolare della retta tangente al grafico
in un qualunque punto P fornisce il valore della
velocità istantanea in quella situazione.

Il grafico velocità-tempo: è formato da una retta


di coefficiente angolare m. Se la velocità iniziale
è nulla, queste rette partono dall’origine, per cui
si può facilmente ricavare il valore numerico
dell’accelerazione dal calcolo del coefficiente
angolare m.

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Ad esempio si studi il moto uniformemente accelerato lungo una retta di legge oraria:

x(t) = 5 + 3,5t + 4,2t2

Si deduce:
 Che un punto materiale è partito dalla posizione iniziale x0 = 5 m dove aveva una
velocità diretta nel verso scelto come positivo e con intensità: v0 = 3,5 m/s.
 Che la velocità varia, aumentando l’intensità di 8,4 m/s ogni secondo che passa; essa
inoltre aumenta in modo uniforme e questo può essere scritto sinteticamente tramite la
legge della velocità: v(t) = 5 + 8,4t.

3.7. Caduta libera di un grave


Si chiama accelerazione di gravità g l’accelerazione con cui gli oggetti sono naturalmente
attratti verso il centro della Terra.
Fu Galileo a definire gravi tutti i corpi in moto vicino alla superficie terrestre che siano
sottoposti all’accelerazione di gravità g.
Se il moto avviene lungo una direzione verticale si parla di movimento in caduta libera.

Fu sempre Galileo a scoprire che tutti i corpi, indipendentemente dalla loro massa, forma e
dimensione, cadono con la stessa accelerazione: g = 9,81 m/s2.
Questa affermazione, di importanza cruciale, porta alla conclusione che oggetti
fondamentalmente diversi, come un sasso o una piuma, se lasciati cadere dalla stessa quota di
partenza e con la stessa velocità iniziale, giungono a terra nello stesso istante.
Ora, l’esperienza di ogni giorno sembrerebbe dimostrare proprio il contrario, ma, afferma
Galileo, ciò succede perché l’attrito offerto dalla resistenza dell’aria agisce in modo diverso
su oggetti dalla forma e dalla massa differente, alterando il loro moto. Se si potesse eseguire
l’esperimento, prosegue lo scienziato pisano, in assenza d’aria si arriverebbe al risultato che
l’accelerazione di gravità g è la stessa per tutti i corpi.

a = g = 9,81 m/s2

SUPERFICIE TERRESTRE

Il valore di 9,81 m/s2 non è costante in tutti i punti del globo: all’equatore, per via del
rigonfiamento della forma della Terra che allontana la superficie dal centro della Terra, è
leggermente minore ed ammonta a 9,789 m/s2, mentre ai Poli risulta essere di 9,823 m/s2. Alla
latitudine di Milano (45° Nord) il valore è circa pari a 9,806 m/s2.

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Inoltre, delle piccolissime variazioni possono avvenire localmente su piccola scala per colpa
della conformazione geologica del sottosuolo, più denso in certe zone e meno denso in altre,
per le diverse concentrazioni nel sottosuolo di graniti, basalti, sabbie, rocce vulcaniche ed
altro...
L’accelerazione di gravità dipende anche dalla massa e dalle dimensioni del pianeta su cui ci
si trova: sulla Luna, ad esempio, essa è 1/6 di quella terrestre e si ha gLuna = 1,6 m/s2. Su Marte,
più grande della Luna ma di dimensioni minori di quelle del nostro pianeta, essa vale
gMarte = 3,6 m/s2, mentre su Giove, il maggiore dei pianeti del Sistema Solare, la gravità
vale gGiove = 23,12 m/s2.
Nell’affrontare i problemi relativi al moto dei gravi bisogna infine tenere presente che, mentre
la scelta della direzione positiva di moto è assolutamente arbitraria, il verso dell’accelerazione
di gravità è fissato a priori, essendo g un vettore parallelo alla verticale e sempre diretto
verso il basso. La legge oraria che si ottiene è quella di un normalissimo moto rettilineo
uniformemente accelerato con accelerazione a = g:

1
x(t )  x0  v0  t  g t2
2

Ad esempio; se un oggetto viene lanciato dal basso verso l’alto con velocità iniziale definita
positiva, l’accelerazione, essendo diretta verso il basso, assume segno negativo.
I due segni algebrici contrari determinano quindi una “decelerazione” del corpo in moto, che è
quello che si verifica nella realtà quando esso sale di quota e, rallentando, arriva ad un punto
in cui si ferma per poi iniziare a ricadere verso il basso.

V0
0

V(t) = vo - gt Velocità in funzione del tempo

1
x(t)  x0  v0t  gt2 Equazione oraria
2

t = vo/g Tempo per raggiungere la quota massima

2
v
H max (t )  0 Altezza massima raggiunta
2g

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Nella seconda fase del moto, quella di ricaduta, il verso della velocità e dell’accelerazione
sono concordi (entrambi diretti verso il basso) quindi si ha una vera e propria “accelerazione”
con un aumento del modulo della velocità (ora di segno negativo, perché diretta verso il
basso).

1
x(t)  x0  v0t  gt2 Equazione oraria
2
2h
t Tempo di caduta
g

V(t) = vo + gt Velocità in funzione del tempo

Sostituendo la “t” otteniamo, la velocità raggiunta dal corpo

all’istante in cui tocca terra: V  2gh .

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3.8. Gittata di un proiettile

Supponiamo di sparare un proiettile orizzontalmente o, come si direbbe se si trattasse di un


cannone, con “alzo zero”. Scegliamo l’asse x orizzontale e l’asse y verticale e diretto verso il
basso. L’origine del riferimento
sia sulla punta della canna.
Possiamo scomporre la velocità
del proiettile in una componente
orizzontale (vx) e in una verticale
(vy) e considerare il suo moto
come la sovrapposizione di due
moti indipendenti: uno lungo x e
l’altro lungo y.

Il proiettile lascia la canna all’istante t =0 con una certa velocità vo e da questo momento in
poi, se si trascura la resistenza dell’aria (è il caso di proiettili “lenti”, come le frecce scoccate
dall’arco o dalla balestra, o, ancora, i proiettili lanciati dalla fionda o da una catapulta: armi da
tiro tutte queste - usate in guerra, dalle antiche civiltà, prima dell’invenzione della polvere da
sparo), agisce su esso solo la forza peso diretta come l’asse y e nessuna forza diretta come
l’asse x.

Quindi ad ogni istante t > 0 :


vx = vox = cost.
vy = gt.

Scriviamo allora due distinte leggi orarie:

x(t)  v0 xt moto rettilineo uniforme;


1
y(t)  gt2 moto rettilineo uniformemente accelerato.
2
Ricavando t dalla prima equazione e sostituendolo nella seconda otteniamo:

1 x2
y g
2 v 20

che è l’equazione (cartesiana) della traiettoria del proiettile.

Si trova che la curva ottenuta è una parabola (più propriamente un arco di parabola) con
vertice in O, ed è molto facile farne una costruzione grafica per punti.

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Esaminiamo, adesso, il caso più generale, cioè il moto di un proiettile con velocità iniziale vo
formante un angolo  con la direzione orizzontale. Per far ciò scegliamo il sistema di assi
mostrato in figura e scomponiamo la velocità in due componenti e studiamo il moto nelle due
direzioni:

Quindi ad ogni istante t > 0 :


vx = vox = cost.
vy = voy - gt.

Scriviamo allora due distinte leggi orarie:

x(t)  v0 xt moto rettilineo uniforme;


1
y(t)  v0 yt  gt2 moto rettilineo uniformemente accelerato.
2

La gittata massima è pari a:

2  v02
R  sin   cos
g

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3.9. Moto circolare uniforme


Si definisce moto circolare uniforme il moto di un corpo la cui traiettoria è una circonferenza
e che avviene con velocità costante in modulo.

Vogliamo ora introdurre due grandezze che sono fondamentali per la descrizione del moto
circolare uniforme:

 il periodo T: ovvero il tempo impiegato dal corpo a percorrere un'intera circonferenza;


 la frequenza f: ovvero il numero di giri che il corpo percorre in un secondo.

Dalla definizione segue che il periodo T e la frequenza f non sono due grandezze
indipendenti. Se il corpo impiega T = 3 s a percorrere una circonferenza vuol dire che
percorre 1/3 di circonferenza al secondo, se impiega T = 4 s a percorrere una circonferenza
vuol dire che percorre 1/4 di circonferenza al secondo etc.
Da queste considerazioni discende che la frequenza è l'inverso del periodo: f = 1/T. Dal
momento che la frequenza è l'inverso del periodo, la sua unità di misura nel Sistema
Internazionale sarà l'inverso del secondo. Questa unità di misura prende il nome di hertz
(simbolo Hz): 1 Hz = 1 s-1. Diremo che la frequenza di un corpo è pari a 1 Hz quando esso
percorre 1 giro al secondo.

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Prima di procedere con la fisica del moto circolare uniforme dobbiamo introdurre un'unità di
misura importante per gli angoli: il radiante. Possiamo creare una corrispondenza biunivoca
tra la lunghezza dell'arco sotteso e il corrispondente angolo al centro.

Ad esempio, se l'angolo al centro è un angolo giro pari a 360° la lunghezza dell'arco sotteso
coincide con quella dell'intera circonferenza ovvero l = 2πR. Ad un angolo di 90°
corrisponderà un arco di lunghezza πR / 2 etc.
Il radiante (rad) è quell'angolo che sottende un arco di circonferenza di lunghezza uguale al
raggio della circonferenza R.
Se un angolo misura α radianti, vuol dire che l'arco sotteso è lungo α · R.
Ad esempio 360° = 2π rad = 6,28 rad da cui possiamo ricavare che 1 rad = 360°/6,28 =
57,30°.
Il radiante è importante nella descrizione del moto circolare uniforme perché entra come unità
di misura nella velocità angolare media.

Definiremo velocità angolare media (simbolo: ω, omega minuscola) l'angolo al centro Δα che
viene percorso (misurato in radianti) diviso per l'intervallo di tempo Δt impiegato a
percorrerlo: ω = Δα/Δt.
L'unità di misura della velocità angolare è il radiante al secondo (rad/s).

Accanto alla velocità angolare in un moto circolare uniforme possiamo anche introdurre la
velocità tangenziale. Nel moto circolare uniforme la velocità istantanea in un punto risulta
perpendicolare al raggio della circonferenza passante per quel punto.

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Se il periodo del moto circolare uniforme è T, quanto


vale la velocità tangenziale v?
In un tempo pari a T il corpo percorre un intero arco
di circonferenza di lunghezza 2πr. Pertanto avremo
una velocità tangenziale v = 2πr/T. Se ora
ricordiamo che il periodo T è l'inverso della
frequenza f possiamo riscrivere v come v = 2πrf.
Per lo stesso moto circolare uniforme la velocità
angolare ω è invece uguale a ω = 2π/T.
Pertanto la relazione matematica che intercorre tra
velocità tangenziale e velocità angolare è v = ωr.
In generale sappiamo che l'accelerazione è una
variazione di velocità divisa per l'intervallo di tempo
in cui tale variazione avviene.
In un moto circolare uniforme l'intensità del vettore velocità rimane costante nel tempo,
potremmo perciò pensare -sbagliando- che non ci sia alcun tipo di accelerazione. Invece non
dobbiamo dimenticare che la velocità è un vettore ed è pertanto caratterizzata da un'intensità,
da una direzione e da un verso. Come emerge dalla figura riportata sopra, in un moto circolare
uniforme la velocità è punto per punto tangente alla circonferenza, pertanto la velocità cambia
ad ogni istante la sua direzione. È chiaro allora che ci deve essere un'accelerazione presente
anche nel moto circolare uniforme. Tale accelerazione prende il nome di accelerazione
centripeta. L'accelerazione centripeta è un vettore che ha la stessa direzione della differenza
tra due vettori velocità valutati a due istanti di tempo diversi.
Come emerge dalla figura che segue, il vettore accelerazione centripeta risulta diretto verso il
centro della circonferenza.

La velocità tangenziale cambia direzione tanto più rapidamente quanto maggiore è la


velocità tangenziale v e quanto minore è il raggio r della circonferenza. In particolare
l'intensità del vettore accelerazione centripeta è uguale ad ac = v2 / r.
La velocità tangenziale è legata alla velocità angolare ω dalla relazione v = ω·r, pertanto
l'accelerazione centripeta può essere anche scritta come ac = ω2 · r.

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3.10. Moto armonico


Si definisce moto armonico il moto di proiezione sul diametro di un punto che si muove di
moto circolare uniforme.

Com'è possibile notare dal grafico, quando un


punto P si muove lungo una circonferenza di
moto uniforme, la sua proiezione Q sul diametro
si muove dal punto A al punto B e dal punto B
ritorna al punto A.
I punti A e B tra i quali oscilla Q prendono il
nome di estremi di oscillazione, il centro della
circonferenza viene detto centro di oscillazione,
mentre la distanza OA = OB prende il nome di
ampiezza ed è uguale al raggio della
circonferenza.
Il punto Q, dopo esser partito da A, arrivato in B
e ritornato in A, ha compiuto un'oscillazione
completa e la durata di tale oscillazione prende il
nome di periodo del moto armonico e viene
indicato con la lettera T.
Tale periodo coincide con quello del moto circolare compiuto del punto P. Inoltre, la velocità
angolare del moto circolare uniforme compiuto da P, prende il nome di pulsazione del moto
armonico.

Poichè il punto Q percorre tratti diversi in tempi uguali (a differenza di P che percorre archi di
circonferenza uguali in tempi uguali), ne segue che il suo moto non è uniforme; inoltre la
velocità di Q è uguale a zero negli estremi di oscillazione, punti in cui Q si ferma per invertire
il moto, ed è massima nel centro di oscillazione e pari a:

vmax = ω · r

Si dimostra che se il punto materiale compie un moto armonico di pulsazione ω e se s è la sua


distanza dal centro di oscillazione in un determinato istante, allora la sua accelerazione in
quell'istante è pari a:

a = -ω2 · s

L'accelerazione è nulla nel centro di oscillazione, dove s = 0, ed è massima agli estremi di


oscillazione, dove s è massima. L'accelerazione è inoltre sempre diretta verso il centro di
oscillazione.

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4. DINAMICA

4.1. Generalità
La dinamica ha come obiettivo lo studio delle cause che producono il movimento di un corpo.
In questo contesto diventano fondamentali i concetti di forza e di massa.
Gran parte della conoscenza riguardo alle forze ed alle loro applicazioni è frutto del lavoro del
fisico Isaac Newton che durante la sua attività ebbe modo di approfondire, sperimentalmente,
il comportamento degli oggetti sottoposti all'azione delle forze.
Le tre leggi di Newton, o leggi della Meccanica Classica, spiegano in modo efficace il
movimento dei corpi, lo stato di quiete e le modificazioni del loro moto nel momento in cui
viene ad essi applicata una forza.

4.2. Forze
Le forze sono rappresentabili tramite vettori in cui:

 il punto di applicazione del vettore indica dove viene applicata la forza;


 il suo modulo è uguale all’intensità della forza;
 direzione e verso indicano l’orientazione della forza nello spazio.

La risultante delle forze applicate a un corpo


è la forza derivante dalla somma vettoriale di
tutte le forze che agiscono sul corpo e si può
misurare con uno strumento chiamato
dinamometro.

Le dimensioni di una forza sono: [F] = [Ma] = [MLt -2]

L’unità di misura della forza nel S.I. è il Newton (N), ovvero la forza che imprime alla massa
di 1 kg l’accelerazione di 1 metro al secondo ogni secondo (1 m/s2).

Nel sistema cgs l’unità di misura della forza è il dyne (dyn), ovvero la forza che imprime alla
massa di 1 g l’accelerazione di 1 cm/s2.

Nota: 1 N = 105 dyne.

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4.3. 1° principio della dinamica o principio d'inerzia


Se su di un corpo non agiscono forze (oppure se la loro risultante R è nulla), esso si muove di
moto rettilineo uniforme oppure conserva il suo stato precedente di quiete.

In simboli:

se R = 0 allora v = costante e quindi a = 0

dove R = F1 + F2 + F3 + … e dove, nel caso di quiete, il valore “costante” della velocità può
anche essere nullo (v = 0).

4.4. Sistemi di riferimento Inerziali e non Inerziali


Per poter comprendere come si modificano le leggi della Fisica quando si passa da un sistema
di riferimento all'altro dobbiamo prima dividere questi in due categorie: i sistemi di
riferimento Inerziali e quelli non-Inerziali:

 si definiscono sistemi Inerziali tutti quei sistemi di riferimento in quiete o in moto


rettilineo uniforme;
 si definiscono sistemi di riferimento non-Inerziali tutti i sistemi di riferimento che si
muovono con accelerazioni diverse da zero, di qualunque tipo esse siano.

Si noti che se un sistema di riferimento è Inerziale, anche un altro sistema di riferimento che
si muove di moto rettilineo uniforme rispetto ad esso è Inerziale.

4.5. 2° principio della dinamica


Consideriamo ora un corpo di massa m ed applichiamo ad esso una generica forza F diretta,
per comodità, in direzione parallela a quella di moto. Notiamo con facilità che lo stato di
quiete del corpo si trasforma in un moto rettilineo uniformemente accelerato con
accelerazione a.

Se ora allo stesso corpo applichiamo


forze di intensità via via crescenti, (2F,
3F, 4F …) è immediato accorgersi
sperimentalmente che anche
l’accelerazione che anima il suo moto
aumenta in modo direttamente
proporzionale (diventando 2a, 3a …).

Possiamo così concludere che forza e


accelerazione sono direttamente
proporzionali.

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Rimane ora da scoprire la costante di proporzionalità e a tal fine eseguiamo il seguente


esperimento. Consideriamo corpi di masse crescenti (2m, 3m, 4m …) ed applichiamo ad essi
una forza tale da ottenere un moto con accelerazione costante a per ogni oggetto. E’ facile
rendersi conto che lo scopo è raggiunto se applico una forza di intensità crescente, caso per
caso, uguale a 2F, 3F, 4F …
Non stupisce il fatto che, se le masse dei corpi considerati sono sempre più piccole (1/2 m, 1/3
m …) anche le forze da applicare per ottenere la stessa accelerazione a devono ridursi in
modo proporzionale (1/2 F, 1/3 F, …).

Possiamo allora concludere che forza ed accelerazione sono direttamente proporzionali e la


costante di proporzionalità è la massa inerziale dell’oggetto considerato.
In formule, ricordando che forza ed accelerazione sono vettori, possiamo scrivere:
 
F  ma
Questa espressione prende il nome di seconda legge della dinamica.

4.6. Azione e reazione: la terza legge della dinamica


La Luna ruota attorno alla Terra perché il nostro pianeta la attrae con una forza F diretta lungo
la congiungente i centri delle due sfere. Fu Newton il primo a capire che anche la Luna attrae
la Terra con la stessa forza F, uguale in direzione e modulo, ma contraria nel verso.

Lo stesso avviene se, invece della Luna,


prendiamo in considerazione un banale sasso o
la più famosa mela di Newton: la mela è
attratta dalla Terra con una forza F uguale e
contraria a quella con cui essa attrae la Terra
intera. Se poi noi vediamo che è la mela a
cadere verso Terra e non la Terra a salire verso
la mela, è solo perché le due masse in gioco
sono profondamente diverse: le due forze,
invece, sono perfettamente uguali in modulo e
contrarie nel verso.

E ancora: se ci appoggiamo ad un muro,


esercitiamo su di esso una forza F uguale e
contraria a quella che il muro esercita su di noi.
Di questa forza ce ne accorgeremmo meglio se
il terreno su cui poggiamo i piedi fosse
perfettamente liscio e senza attrito: la nostra
spinta verso il muro avrebbe come
conseguenza quella di farci sentire sottoposti
ad una forza che ci farebbe scivolare
all’indietro.

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Lo stesso atto del camminare è reso possibile dal terzo principio della dinamica: il nostro
piede esercita una forza all’indietro sul terreno, e questo, grazie questa volta alla presenza
dell’attrito (senza il quale si scivolerebbe semplicemente), applica sul piede una forza uguale
e contraria, cioè diretta in avanti: è questa la forza che ci permette di muoverci camminando.
Anche nell’urto tra due corpi vale questo principio: le due forze in gioco durante il brevissimo
istante dell’urto, che possiamo chiamare azione e reazione (è indifferente dire quale delle due
sia l’azione e quale la reazione), sono sempre uguali e contrarie.
Quindi, chiamati in generale A e B due corpi qualunque, vale il seguente principio:

"la forza che un corpo A esercita sul corpo B è uguale e contraria a quella che il corpo B
esercita sul corpo A"

In formule: FAB = - FBA .

4.7. La forza peso


Il Peso è una forza, quindi una grandezza vettoriale, esercitata da un corpo di massa m a causa
della gravità terrestre:
 
P  mg
dove: P è il peso (o forza peso), m è la massa del corpo e g l’accelerazione di gravità.

Occorre ricordare che:

 la massa è una grandezza scalare ed una proprietà intrinseca del corpo;


 il valore della massa è sempre lo stesso;
 il peso è una grandezza vettoriale (forza peso) e varia da luogo a luogo in funzione
dell'accelerazione di gravità.

4.8. Forza centripeta e forza centrifuga


Un corpo che percorre una curva (un arco di circonferenza), subisce un’accelerazione diretta
lungo il raggio della circonferenza verso il centro della stessa:

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Per la 2° legge della dinamica, il corpo subisce una forza proporzionale all’accelerazione la
cui intensità è data dalla seguente espressione:

v2
Fc  ma  m  m 2r
r
Si noti che in un sistema non inerziale (per esempio solidale con il corpo in movimento) un
oggetto all’interno del sistema subisce una forza centrifuga con verso contrario alla forza
centripeta.

4.9. Un metodo per risolvere i problemi


L’analisi e la risoluzione numerica di molti esercizi di dinamica può essere notevolmente
semplificata dal seguire un preciso metodo di lavoro.

Dopo aver letto attentamente il testo del problema, è consigliabile seguire questa procedura:

1. disegnare correttamente il sistema con tutte le forze in gioco;


2. individuare, tratteggiandola nel disegno, la direzione di moto e decidere, in modo
assolutamente arbitrario, il suo verso positivo;
3. scomporre lungo la direzione di moto tutte le forze che non siano ad essa allineate o
perpendicolari e riportarle nel disegno;
4. applicare la seconda legge della dinamica F = ma alla direzione che interessa (quella
di moto) ricordando che F rappresenta la “somma vettoriale” di tutte le componenti
delle forze considerate, le quali avranno segno positivo o negativo in funzione della
scelta eseguita nel punto 2.

E’ un’ovvia conseguenza dell’arbitrarietà della scelta del segno per la direzione positiva di
moto, che studenti diversi potrebbero arrivare a risultati opposti di segno nella risoluzione
dello stesso problema.
A prescindere da eventuali errori di calcolo, i due risultati potrebbero essere considerati
ugualmente corretti in quanto esprimono la stessa realtà fisica.
Ad esempio: un corpo è appoggiato ad un piano orizzontale ed è sottoposto ad un sistema di
forze che lo mette in moto verso sinistra. Il primo studente sceglie come direzione positiva
quella verso destra: la risultante delle forze applicate al corpo avrà per lui segno negativo. Un
secondo studente decide che la direzione positiva è quella verso sinistra: la risultante di forze
avrà per lui segno positivo.
Anche se i due risultati sono diversi (opposti per segno algebrico) essi sono entrambi corretti
perché esprimono “la stessa realtà fisica”: per entrambi l’oggetto è sottoposto ad un insieme
di forze.

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4.10. Legge di gravitazione universale


La legge fu formulata da Isaac Newton e
apparse nel 1687 nel suo libro
Philosophiae Naturalis Principia
Mathematica.
Si narra che l’idea della gravitazione
universale gli fosse venuta molti anni
prima osservando la caduta di una mela
dall’albero.

"Due corpi, rispettivamente di massa m1


ed m2, si attraggono con una forza di
intensità direttamente proporzionale al
prodotto delle masse ed inversamente
proporzionale al quadrato della distanza
che li separa. Tale forza ha la direzione
della retta congiungente i baricentri dei
corpi considerati."

L’espressione matematica della forza di attrazione gravitazionale è:

m1m2
F G
d2
dove m1 e m2 sono le masse dei corpi, mentre d è la distanza tra le due masse.

G è una costante di proporzionalità che prende il nome di costante di gravitazione universale.


Il valore di tale costante è indipendente dalla natura delle masse che interagiscono ed è pari a:
6,67 × 10-11 N·m2/kg2 .

La forza è centrale, ovvero agisce lungo la congiungente i baricentri delle masse interagenti e
dipende dalla distanza dei baricentri. Inoltre si noti che:
 la forza è solamente attrattiva.
 se una delle due masse raddoppia, triplica, etc… la forza raddoppia, triplica, etc…
 se la distanza tra le masse raddoppia, triplica, etc… la forza diminuisce di 1/4, 1/9, etc…
 se la distanza tra le masse dimezza, si riduce di un terzo, etc… la forza diventa più
intensa di 4 volte, 9 volte, etc…

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4.11. Leggi di Keplero


Nel 1906 Keplero pubblicò la sua Astronomia Nova, con le prime due leggi del moto
planetario (legge delle orbite ellittiche e legge delle aree). L’opera Harmonices mundi (1619)
contiene la terza legge.

Le tre leggi sul moto planetario, scoperte da Keplero, affermano che:

 i pianeti si muovono su orbite


ellittiche, uno dei fuochi delle
quali è occupato dal Sole;

 la linea raggio vettore che unisce


il Sole con il pianeta copre aree
uguali in tempi uguali (legge
delle aree);

 i quadrati dei periodi di rivoluzione dei pianeti


sono proporzionali ai cubi della loro distanza
media dal sole.

4.12. Lavoro
In meccanica classica il lavoro di una forza costante lungo un percorso rettilineo è definito
come il prodotto scalare del vettore forza per il vettore spostamento:
 
L  F  d  Fd cos 
Le dimensioni del lavoro e dell’energia sono: [E]=[FL]=[ML2t -2]

Nel S.I. l’unità di misura del lavoro è il joule (J). 1 J è il lavoro compiuto da una forza di 1 N
quando sposta il suo punto di applicazione di 1 m nella stessa direzione della forza.
Nel sistema cgs l’unità di misura del lavoro è l’erg (erg). L’erg è definito come il lavoro
eseguito da una forza di un dyne che da luogo allo spostamento di un centimetro.

Nota: 1 J = 1 N · m = 105 dyn · 102 cm = 107 dyn · cm = 107 erg.

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In una regione di spazio si ha un campo di forze se un oggetto posto in tale regione è soggetto
a una forza.
Quando il lavoro che compie una forza (o un campo di forze) non dipende dal cammino ma
solo dai punti di partenza e di arrivo, questa forza (o il campo) è conservativa.
Ad esempio il campo gravitazionale e il campo elettrico sono conservativi.

4.13. Potenza
La potenza di un sistema fisico che compie un certo lavoro è il rapporto fra il lavoro e
l’intervallo di tempo impiegato a compierlo:
L
W
t

L’equazione dimensionale della potenza è: W    E   FLt 1   ML2t 3 


t 
Nel S.I. l’unità di misura della potenza è il watt (W). 1 watt è la potenza sviluppata da una
forza che compie un lavoro di 1 joule in un secondo.
Nel sistema cgs l’unità di misura del lavoro è l’erg al secondo (erg/s).
Altre unità di misura utilizzate sono il cavallo vapore (CV): 1 CV = 735 W ed ancora il
cavallo vapore inglese, horse power (hp): 746 W.

4.14. Energia
Si definisce energia il lavoro che un sistema è in grado di compiere. Esistono tantissimi tipi di
energia:

 energia cinetica;
 energia potenziale;
 energia termica;
 energia chimica;
 energia nucleare;
 energia elettromagnetica (radiazione);
 energia interna;
 …

L’energia cinetica di un corpo di massa m in moto con velocità di modulo v è definita come:
1 2
Ek  mv
2
Per cui un corpo in movimento possiede energia, che è uguale al lavoro compiuto per
spingere il corpo a quella velocità, o, in alternativa, alla quantità di lavoro che può compiere.

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Il Teorema dell’energia cinetica afferma che dato un corpo soggetto a una forza F, il lavoro
compiuto da F quando il corpo si sposta da un punto A ad un punto B è uguale alla variazione
dell’energia cinetica ΔEk del corpo.

L’energia potenziale di un corpo di massa m sospeso ad una altezza h dalla superficie terrestre
e definita da:
U g  mgh

L’energia potenziale di un corpo di massa m immerso nel campo gravitazionale di un corpo di


massa M ad una distanza r è:
mM
U g  G
r
Se le forze che agiscono su un corpo sono tutte conservative, la somma dell’energia cinetica e
dell’energia potenziale si mantiene costante durante il moto.
In un sistema isolato (sul quale non agiscono forze esterne) l’energia totale si conserva
ovvero l’energia non si crea né si distrugge, ma si trasforma da una forma in un’altra.

4.15. Molla in oscillazione attorno ad un punto di equilibrio

Il moto di un oggetto sotto l’azione di una forza elastica


è un moto armonico. Il corpo di massa m è soggetto in
questo caso ad una forza elastica che assume la seguente
espressione:

F  k  x
in cui k è la costante elastica della molla e x è il valore
dell’allungamento della molla.
Per la seconda legge della dinamica la forza a cui è soggetto il corpo si può esprimere anche
come:
 
F  ma
in cui m è la massa del corpo ed a è il vettore accelerazione.
Uguagliando le due espressioni si ottiene l’accelerazione caratteristica del moto armonico che
in modulo assume la seguente espressione:
k
a x
m
L’accelerazione è direttamente proporzionale allo spostamento x dalla posizione di equilibrio
e quindi è massima agli estremi di oscillazione e minima al centro di oscillazione.

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Il moto armonico è chiaramente un moto periodico la cui equazione oraria è:

x(t )  A  sen(t   )
dove:

 A è l’ampiezza massima di oscillazione;


k
  è detta “pulsazione”;
m
  è detta fase iniziale del moto.

4.16. Quantità di moto


La quantità di moto, detta anche impulso o momento lineare, è una grandezza vettoriale che
misura la capacità di un corpo di modificare il movimento di altri corpi con cui interagisce
dinamicamente.
L’impulso ha la seguente espressione:
 
p  mv
dove:

 m è la massa del corpo;


 v è la sua velocità.

La quantità di moto totale di un sistema si conserva sempre, qualunque sia la trasformazione


o l’urto avvenuto all’interno del sistema:
 
  = costante.
p  m  v

4.17. Momento di una forza


Il momento di una forza, o momento meccanico, o momento
torcente, è il prodotto vettoriale tra il vettore posizione e la forza:
  
M  r F
La grandezza r sin θ, distanza dell'asse di rotazione dalla retta su
cui giace F, è detta braccio b della forza F.

Il momento meccanico ha le stesse dimensioni di un’energia e di


conseguenza nel S.I. l’unità di misura del momento torcente è il
newton x metro (N·m) ovvero il joule.

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Due forze uguali ed opposte le cui direzioni non siano


allineate su una retta formano una coppia.

La forza risultante dalla somma delle forze della coppia è


nulla. Però anche se non esercita una forza risultante,
ognuna delle due forze esercita un momento.
Poiché la somma dei due momenti non si annulla, la
coppia esercita un momento risultante che tende a far
ruotare il corpo.
Si dimostra che il momento risultante di una coppia di
forze, M, non dipende dal punto P rispetto al quale esso è
calcolato, ma dipende solo dalla distanza tra i punti di
applicazione delle due forze.

4.18. Leve
Una leva è una macchina semplice, un dispositivo costruito dall'uomo per vincere mediante
una forza detta motrice (FM), un'altra forza detta resistente (FR).

Lo scopo delle leve primordiali era quello di amplificare la forza umana permettendo di
svolgere lavori non consentiti dal semplice impiego della forza muscolare.

Le leve obbediscono ad un principio fisico abbastanza semplice: il sistema è in equilibrio se la


risultante dei momenti delle due forze è nulla.

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Ricordiamo che in fisica il momento di una forza rispetto ad un centro è espresso da un


vettore di modulo pari al prodotto della intensità della forza per la lunghezza del suo braccio
(distanza della retta d'azione della forza dal fulcro).

Se la somma dei momenti delle forze è pari a zero allora avremo soddisfatta la condizione di
equilibrio alla rotazione: FR • bR = FM • bM

bR bM

FR FM
fulcro

Leve del primo tipo.

Una leva è di primo tipo o di prima specie se il fulcro si trova tra la forza motrice e la forza
resistente. A sua volta la leva di primo tipo può essere vantaggiosa se la forza motrice è più
distante dal fulcro della forza resistente oppure, nel caso contrario, svantaggiosa.

Sono leve di primo


tipo il piede di porco,
le forbici, le tenaglie
ecc.

Ad esempio nelle forbici lo schema delle forze sarà:

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Leve del secondo tipo.

Una leva si dice di secondo tipo o di seconda specie se il fulcro si


trova dalla stessa parte della forza motrice e della forza resistente,
allo stesso tempo occorre che la forza motrice sia più distante dal
fulcro rispetto alla resistente. Si deduce quindi che le leve di secondo
tipo sono sempre vantaggiose. Sono leve di secondo tipo la carriola,
lo schiaccianoci, l'apribottiglie, etc.

Ad esempio nello schiaccianoci lo schema delle forze sarà:

Leve del terzo tipo.

Una leva è di terzo tipo o di terza specie se il fulcro si trova dalla


stessa parte della forza motrice e della forza resistente, allo stesso
tempo occorre che la forza motrice sia più vicina al fulcro rispetto
alla resistente. Si deduce quindi che le leve di terzo tipo sono
sempre svantaggiose.
Ad esempio sono leve di terzo tipo le pinze.

Anche i muscoli del nostro corpo, inseriti sulle ossa, sono dal punto di vista fisico delle leve.
In figura è rappresentata la flessione dell'avambraccio ad opera del muscolo bicipite brachiale:

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Questo è un classico esempio di leva di terzo tipo, che come abbiamo detto è sempre
svantaggiosa.
Essendo più corto il braccio di leva, la forza sviluppata dal muscolo bicipite deve essere di
gran lunga superiore rispetto alla forza peso della palla che si tiene sulla mano. Questo tipo di
leva, permette però una grande ampiezza e rapidità di movimento.

In fisica si parla infatti di vantaggio statico e di vantaggio dinamico. Si ha un vantaggio


statico, quando impiegando una minore forza motrice si può vincere una maggiore forza
resistente (leva vantaggiosa), in questo caso però la velocità e l'ampiezza del movimento sono
piccole, si ha quindi uno svantaggio dinamico.

Automaticamente uno svantaggio statico (leva svantaggiosa) permette una maggiore velocità
e ampiezza di movimento, cioè un vantaggio dinamico.

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5. MECCANICA DEI FLUIDI

5.1. Generalità
Siamo immersi in una grande massa di fluido, l'atmosfera terrestre; l'acqua degli oceani, dei
mari e dei fiumi, ricopre più della metà della superficie terrestre. Sia in termini biologici che
in termini economici, la nostra vita è legata indissolubilmente all'esistenza dei fluidi.

5.2. Stati di aggregazione della materia


Gli stati di aggregazione in cui si può trovare la materia sono:

 SOLIDO

 LIQUIDO

 AERIFORME (GASSOSO)

L’aggettivo fluido designa ogni sostanza che si trovi allo stato liquido o a quello di aeriforme.

Lo stato solido è caratterizzato da:

 una forma propria;


 un volume proprio.

I solidi sono quasi incomprimibili ed hanno forze intermolecolari molto forti in quanto gli
atomi o molecole sono legati tra di loro rigidamente (reticolo cristallino) e possono solo
oscillare (di pochissimo) attorno ad una posizione di equilibrio.

Lo stato liquido è caratterizzato da:

 un volume proprio;
 una forma determinata dal recipiente che lo contiene.

Atomi o molecole sono legate tra loro debolmente, per cui sono caratterizzate da una elevata
mobilità potendo scorrere le une sulle altre. I liquidi sono inoltre quasi incomprimibili
(risentono sempre dei legami delle molecole vicine).

Nello stato aeriforme il fluido riempie completamente il recipiente che lo contiene e si hanno
particelle in moto continuo, veloce e disordinato.
Le particelle si trovano mediamente distanti tra loro. Gli urti, o collisioni dipendono dalla
pressione, ovvero dalla concentrazione delle molecole gassose.
A pressione non troppo elevata, (per esempio a pressione atmosferica) le interazioni
intermolecolari sono piuttosto deboli.

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5.3. Densità
La densità di un corpo è data dal rapporto tra la sua massa e il suo volume:

d 
m
V
M  L  3

 Nel S.I. si misura in kg/m3.


 Nel sistema cgs si misura in g/cm3.

La densità non dipende dal particolare oggetto considerato, ma solo dalla sostanza di cui è
composto.

In generale la densità assoluta dei solidi è maggiore della densità dei liquidi che a sua volta è
maggiore della densità dei gas, ma esiste un'importante eccezione, l'acqua: il ghiaccio (solido)
galleggia sull'acqua (liquida) perché la sua densità è minore di quella dell'acqua.
La densità assoluta dell'acqua distillata a 4°C viene spesso usata come valore di riferimento
per le densità delle altre sostanze.
Possiamo ricavare facilmente la densità dell'acqua ricordando che a un volume di un litro
d'acqua corrisponde una massa di un kilogrammo. Poiché 1 l = 1 dm3 abbiamo la seguente
densità assoluta per l'acqua: da = 1 kg / 1 dm3 = 1 kg / 0,001 m3 = 1000 kg / m3.
Prendendo come densità di riferimento la densità assoluta dell'acqua, possiamo introdurre il
concetto di densità relativa dr.

La densità relativa di un corpo si definisce come il rapporto tra la sua massa e la massa di un
ugual volume di acqua distillata a 4°C.

Concludiamo con un esempio numerico:


la densità assoluta del mercurio è data da 13590 kg / m3. La sua densità relativa è invece data
da: dr = 13590 / 1000 = 13590. Notiamo come la densità relativa è un numero puro, ossia un
numero privo di unità di misura. Questo avviene ogniqualvolta abbiamo il rapporto tra due
grandezze omogenee (come, in questo caso, le densità assolute del mercurio e dell'acqua).

5.4. Peso specifico


Il peso specifico è definito come il rapporto tra il peso di un corpo e il suo volume:

P mg
Ps    g
V V
 Nel S.I. l’unità di misura del peso specifico è il N/m3.

Si ricava facilmente che l'equazione dimensionale del peso specifico è: [M L-2 t-2].

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5.5. Pressione
La pressione P di una forza F che agisce su una superficie di area S è il rapporto tra la
componente della forza perpendicolare alla superficie e l’area stessa.

F Fn
S P
S

F
Le dimensioni sono: [ p]  [ ]  [ ML1t 2 ]
S
 Nel S.I. l’unità di misura della pressione è il pascal (Pa). 1 pascal è la pressione
esercitata da una forza di 1 newton perpendicolarmente a una superficie di 1m2.
 Nel sistema cgs l’unità di misura della pressione è la barye (Ba), equivalente a un dyne
al centimetro quadro (dyn/cm2).

In pratica vengono utilizzate anche altre unità di misura quali l’atmosfera, il bar e il torr
(o mmHg):

 1’atmosfera (atm) è equivalente alla pressione atmosferica media al livello del mare
ovvero 101325 Pa;
 1 bar corrisponde a 105 Pa, usato spesso in meteorologia, in realtà è molto più facile
incontrare il suo sottomultiplo mbar, equivalente a 102 Pa;
 1 mmHg è pari alla pressione esercitata da una colonna di 1mm di mercurio; 760 mmHg
sono pari a 1 atm, equivalente a 1 torr.

Nota: la pressione è una grandezza scalare. Possiamo riportare in una tabella riassuntiva i
diversi fattori di conversione tra le varie unità di misura della pressione:

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5.6. Legge di Pascal


La legge di Pascal afferma che in un liquido in quiete la pressione esercitata su una superficie
qualsiasi di un liquido si trasmette con la stessa intensità su ogni altra superficie a contatto
con il liquido, indipendentemente da come questa è orientata.

La legge di Pascal vale anche per i gas e può essere enunciata in modo più generale:

"la pressione esercitata sulla superficie di un fluido si trasmette inalterata su tutte le superfici
a contatto con il fluido".

5.7. Legge di Stevino


La legge di Stevino afferma che in un fluido in quiete posto all’interno di un campo
gravitazionale la pressione Ph che agisce ad una profondità h all’interno del fluido è:

Ph  Po  gh

 Po è la pressione sulla superficie libera del fluido;


 ρ è la densità del fluido;
 g è l’accelerazione di gravità.

Di conseguenza la pressione idrostatica è la stessa in tutti i punti che si trovano alla stessa
profondità e cresce linearmente con la profondità.

5.8. Principio dei vasi comunicanti


Disponendo un gruppo di recipienti, aperti nella zona superiore, aventi diverse forme e
grandezze, riempiendoli del medesimo liquido fino ad un’altezza dal fondo uguale per tutti si
ottiene che la pressione non dipende né dalla quantità di liquido sovrastante né dall’estensione
della superficie di fondo, ma in accordo con la legge di Stevino è direttamente proporzionale
alla distanza fra il fondo e la superficie libera.

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Se i vasi vengono messi in comunicazione, il


sistema equivale ad un unico recipiente con un
fondo di forma particolare dato dall’insieme
delle conformazioni dei singoli fondi.
Di conseguenza il liquido si distribuisce fra
tutti i contenitori raggiungendo ovunque la
medesima altezza, infatti, il principio dei vasi
comunicanti afferma che:
in un sistema di vasi comunicanti tutte le
superfici libere, si presentano perfettamente
orizzontali e livellate.
Il principio dei vasi comunicanti spiega il
funzionamento delle chiuse poste lungo i
canali navigabili: esse servono a superare
dislivelli sia in salita sia in discesa.

5.9. Il principio di Archimede


Formulato da Archimede di Siracusa (287-212 a.C.) il principio di Archimede è una
conseguenza della legge di Pascal e di quella di Stevino:

"un corpo immerso in un fluido riceve una spinta dal basso verso l'alto d’intensità pari al
peso del volume di fluido spostato"

La condizione di galleggiamento di un corpo dipende dalla densità del fluido in cui è


immerso.

Se la densità del corpo (c) è maggiore di quella del fluido (f), allora il corpo andrà a fondo:

FA

FA
pO =1V1g

po = cVc g

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Nel caso in cui le due densità fossero uguali il corpo immerso raggiungerebbe uno stato di
quiete nel fluido:

FA

po = cVc g

Se invece la densità del corpo (c) è minore di quella del fluido (f), allora esso galleggerà:

FA

F
poA= cVc g

pO =1V1g

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5.10. Legge di Torricelli


La legge di Torricelli afferma che:

"la velocità di un fluido in uscita da un recipiente aperto è pari alla radice quadrata del
doppio prodotto dell'accelerazione di gravità e della distanza h fra il pelo libero del fluido e
il centro del foro che è stato praticato"

P1  P0
v1  0
y1  h

h
v2

y2  0

P2  P0

In formula la velocità di uscita è:

v 2 gh
In pratica la velocità è uguale a quella che avrebbe il fluido durante il moto di caduta libera
dall'altezza h.

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5.11. Fluidi in movimento


Noi parleremo di fluidi ideali in moto stazionario.

Si parla di fluido ideale se sono verificate le seguenti due ipotesi:

 il fluido è incomprimibile (la densità è costante);


 il fluido è privo di viscosità (gli attriti interni sono trascurabili).

Si parla di fluido in moto stazionario se:

 la velocità delle particelle non dipende dal tempo ma soltanto dalla posizione da esse
occupata.

5.12. Portata di un fluido in movimento


La portata esprime il volume di liquido o di gas che attraversa una sezione della conduttura
nell’unità di tempo.

In formule:

V
Q
t

Nel S.I. l'unità di misura della portata è il m3/s.

5.13. Equazione di continuità


Per un fluido ideale in moto stazionario che scorre in un condotto vale l’equazione di
continuità:

Q  A  v  cost.
In cui:

 Q è la portata;
 A è la sezione del condotto;
 v è la velocità del fluido.

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Se la sezione del condotto non è costante anche la velocità del fluido non sarà costante, in
particolare sezione e velocità sono inversamente proporzionali.
Considerando due sezioni differenti di uno stesso condotto l'equazione di continuità si può
generalizzare in questo moto:
A1v1  A2 v2

5.14. Equazione di Bernoulli


L'equazione di Bernoulli esprime il principio di conservazione dell’energia per un fluido
ideale in moto stazionario.
Ricordiamo che un fluido ideale è incomprimibile (la densità è costante) e privo di viscosità
(gli attriti interni sono trascurabili) e che in un fluido in moto stazionario la velocità delle
particelle non dipende dal tempo ma dalla soltanto dalla posizione da esse occupata.
Tutto ciò premesso l'equazione di Bernoulli si può così esprimere:
1
p  v2  gh  cost
2
in cui:

 p è la pressione;
 ρ è la densità del fluido;
 v è la velocità del fluido;
 g è l’accelerazione di gravità;
 h è la quota.

5.15. Fluidi reali


Quanto detto finora è valido per i fluidi in cui le forze di attrito e le forze di coesione siano
trascurabili. Per i fluidi reali bisogna considerare la viscosità del fluido (η);la portata Q di un
condotto di raggio R e lunghezza l, è ad esempio:
R 4 p
Q
8l

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6. TERMODINAMICA

6.1. Generalità
“Ognuno sa che il calore può essere la causa del movimento e che possiede una grande forza
motrice: proprio le macchine a vapore che oggi sono così diffuse, ne sono una prova evidente
per tutti. Al calore sono dovuti i grandi movimenti che i nostri occhi vedono con meraviglia
sulla Terra. Esso è la causa delle agitazioni dell'atmosfera, dell'ascensione delle nuvole, della
caduta delle piogge e delle altre meteore, delle correnti d'acqua che solcano la superficie del
globo e che l'uomo finora ha impiegato solo in piccola parte; e infine i terremoti e le eruzioni
vulcaniche sono conseguenze del calore... (Sadi Carnot 1824).

La termodinamica è quella branca della Fisica che studia l’evoluzione dei sistemi
fisico-chimici tenendo conto degli scambi di energia in tutte le forme che possono verificarsi
fra sistema ed ambiente esterno.
La termodinamica fornisce un bilancio energetico dei fenomeni termici e ne indica il senso di
evoluzione.

Termo dinamica
Therme = Calore Dynamis = Potenza

Questa parola inizialmente coniata per sintetizzare gli sforzi tecnico-scientifici di capire e
gestire le trasformazioni di calore in potenza, oggi compendia tutte le forme dell’energia e le
sue trasformazioni; fanno parte dell’indagine: produzione di potenza, refrigerazione,
cambiamenti di stato della materia, reazioni chimiche, etc.

6.2. Temperatura
Potremmo definire la temperatura come la proprietà fisica di un sistema legata al concetto
comune di “caldo” e “freddo”.
Tuttavia il concetto di caldo/freddo è un concetto “ingannevole”: infatti solitamente il
materiale a temperatura più alta è più caldo al tatto, ma ci sono casi in cui ciò non vale.
Ad esempio una porta di legno e una maniglia metallica sono alla stessa temperatura ma
generano sensazioni diverse.
Formalmente la temperatura è la proprietà che regola il trasferimento di energia termica, o
calore, da un sistema ad un altro.
La temperatura è un indice dello stato termico di un corpo ed è legata all’agitazione termica
delle molecole che lo costituiscono. Operativamente viene misurata in modo indiretto, dalla
dipendenza di altre grandezze dalla temperatura (es: resistenza, dilatazione termica...).

Quando due sistemi sono alla stessa temperatura, sono in equilibrio termico, cioè non avviene
alcun trasferimento di calore.

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Se esiste una differenza di temperatura, il calore tenderà a muoversi dal sistema a temperatura
più alta verso quello a temperatura più bassa, fino al raggiungimento dell’equilibrio termico.
La temperatura è una proprietà intensiva del sistema, cioè non dipende dalle dimensioni o
dalla quantità di materia (come pressione e densità).
Al contrario altre proprietà, ad esempio la massa e volume, sono grandezze estensive.

I primi tentativi di misurare la sensazione di caldo e freddo risalgono ai tempi di Galileo.


Il termometro a mercurio viene attribuito a Fahrenheit, che nel 1714 introdusse la scala
Fahrenheit, mentre la scala centigrada si deve a Celsius, nel 1742.
La relativa precocità delle misure di temperatura non implica che il concetto di temperatura
fosse ben chiaro già a quei tempi. La distinzione fra calore e temperatura è stata posta
chiaramente solo da J.Black dopo la metà del 1700.
In ogni caso, il termometro consente di definire il concetto di equilibrio termico: due corpi A
e B si dicono in equilibrio termico quando hanno la medesima temperatura, misurata con
l’aiuto di un terzo corpo, il termometro C.

La legge zero della termodinamica afferma un concetto fondamentale:

“se due corpi A e B sono in equilibrio termico (non scambiano calore) con un terzo corpo C,
allora sono in equilibrio termico tra di loro”.
Quindi, per definizione, i tre corpi sono alla stessa temperatura T.

6.3. Scale di temperatura


Storicamente ci sono stati diversi tentativi di costruire scale di temperatura, riferendosi a
fenomeni fisici facilmente riproducibili, in modo da dare valore universale alle scale di
temperatura.
Tra il 1708 e il 1724 Fahrenheit (°F) propone una scala con due punti fissi:

1. alla temperatura più fredda che riuscì a misurare fissò 0 °F (-17.8°C);


2. alla sua temperatura corporea fissò 100 °F.

Nel 1742 Celsius (°C) propone una scala con altri due punti fissi:

1. acqua e ghiaccio, 0°C


2. acqua bollente, 100°C.

Indicando con tF la temperatura espressa in gradi Fahrenheit e con tC la temperatura espressa


in gradi Celsius si può esprimere la relazione tra le due con la seguente espressione:

9
t F  32  tC
5
In ambito scientifico si utilizza la scala Kelvin. Lo zero Kelvin corrisponde a una temperatura
teoricamente irraggiungibile (zero assoluto).

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Lo 0 Kelvin corrisponde alla temperatura di - 273,15 °C. Un grado Kelvin corrisponde


tuttavia ad un grado Celsius. È omesso nelle indicazioni dei valori in questa scala il grado e il
simbolo relativo (12 K, e si legge 12 Kelvin). La scala Kelvin è quella adottata dal S.I.

Per trasformare una temperatura espressa in gradi Celsius in Kelvin e viceversa si ricorre alle
seguenti equazioni:

TK = TC + 273,15 TC = TK - 273,15.

Ad esempio:

 20 °C = 20 + 273,15 = 293,15 K
 300 K = 300 - 273,15 = 26,85 °C.

6.4. Dilatazione termica


Tutti i corpi, sottoposti ad una variazione di temperatura, subiscono deformazioni più o meno
evidenti. Qualitativamente questo fenomeno si può giustificare nel seguente modo: qualsiasi
aumento di temperatura di un corpo materiale è accompagnato da un aumento della velocità
di vibrazione delle sue molecole e conseguentemente da un numero maggiore di urti che
queste subiscono. Questi fenomeni determinano un incremento della distanza media tra le
molecole, per cui il risultato finale si traduce in un aumento del volume. Nel caso di una
diminuzione della temperatura la situazione risulta perfettamente simmetrica a quella appena
descritta ed il risultato finale consiste in una diminuzione del volume del corpo. L’entità della
deformazione subita viene calcolata confrontando le dimensioni spaziali del corpo prima e
dopo la variazione della temperatura. Esistono comunque moltissimi casi in cui una o due
dimensioni prevalgono in maniera così evidente sulle rimanenti da rendere trascurabili, su
queste ultime, gli effetti delle deformazioni conseguenti a variazioni della temperatura.
Il fenomeno per cui un corpo solido o un liquido aumentano le proprie dimensioni
all’aumentare della temperatura prende il nome di dilatazione termica.

Una sbarra di un qualunque materiale se riscaldata subisce un allungamento proporzionale


alla temperatura secondo la legge:

l    l  T
dove λ è il coefficiente di dilatazione lineare ed l è la lunghezza iniziale della sbarra.

Un corpo di volume V che subisce uno sbalzo termico Δt, avrà una variazione di volume:

V   V  T
dove α è il coefficiente di dilatazione cubica e V è il volume iniziale del corpo.

Quanto appena detto è valido per tutti i materiali, ma è più evidente nei metalli. Si noti che α
(coefficiente di dilatazione cubica) è pari con buona approssimazione a 3 λ.

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6.5. Calore e sua misura


Sino all’inizio dell’800 i fisici ritenevano che il calore fosse una sostanza, cui veniva dato il
nome di fluido calorico: i corpi caldi ne avrebbero avuto più dei corpi freddi e ne avrebbero
dato un pò a questi ultimi quando fossero entrati in contatto con loro.
Oggi noi sappiamo che il calore è una forma di energia, che passa da un corpo ad un altro,
in seguito ad una differenza di temperatura.
Del resto noi NON possiamo mai misurare la quantità di calore Q posseduta da un corpo, ma
possiamo solo misurare la quantità di calore ΔQ scambiata tra due oggetti a differente
temperatura.

Nel S.I. il calore si misura in Joule (J) tuttavia una unità di misura ancora utilizzata è la
caloria. Essa è definita come la quantità di calore necessario per innalzare la temperatura di
1 g di acqua da 14,5 °C a 15,5 °C.
Nota:
 1 cal = 4,186 J;
 1 CAL = 1kcal = 4186 J.

Si definisce capacità termica di un corpo il rapporto fra il calore fornitogli e l'aumento di


temperatura che ne è derivato. L'unità di misura nel Sistema Internazionale della capacità
termica è J/K.
Questa grandezza dipende esclusivamente dalla sostanza di cui è fatto il corpo e dalla sua
massa.
La capacità termica, la quantità di calore trasferito e la variazione di temperatura ΔT sono
legati dalla relazione:
Q  CT
Il calore specifico di una sostanza è definito come la quantità di calore necessaria per
innalzare la temperatura di una unità di massa di 1 K (o equivalentemente di 1 ºC).
L'unità di misura nel Sistema Internazionale del calore specifico è il J/kg·K.
Il calore specifico, la quantità di calore trasferito, la massa e la variazione di temperatura ΔT
sono legati dalla relazione:

Q  mcT
In pratica la capacità termica ed il calore specifico sono legati dalla relazione:

C  mc
Si definisce capacità termica molare quella per mole di sostanza:

C Q
cm  
n nT
Per i solidi nella maggior parte delle sostanze è circa 6 cal/mol·K = 24,9 J/mol·K.

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6.6. Propagazione del calore


I processi di scambio termico sono generalmente classificati in tre categorie, anche se in
pratica non si presenta mai una sola modalità, ma solitamente si ha la combinazione di almeno
due di esse. Si tende però di solito ad individuare il tipo di scambio predominante,
trascurando, a seconda di vari fattori (dei quali sicuramente molto rilevante è la temperatura),
le altre modalità di trasmissione del calore presenti.

La propagazione del calore può avvenire:

 per conduzione;
 per convezione;
 per irraggiamento.

- Conduzione.
La conduzione termica è il processo che si
attua in un mezzo solido, liquido o aeriforme
nel momento in cui, a causa di una differenza
di temperatura, viene provocato un
trasferimento di energia cinetica da una
molecola a quella adiacente che possiede una
velocità di vibrazione minore, essendo la
velocità di vibrazione delle particelle indice
della temperatura del corpo.
Si ha in questo modo un trasferimento di energia, sotto l’influenza del gradiente di
temperatura (variazione della temperatura lungo una direzione), senza uno spostamento di
particelle.

- Convezione.
La convezione termica avviene solamente in
presenza di un fluido, ad esempio aria o acqua.
Tale fluido, a contatto con un corpo la cui
temperatura è maggiore di quella dell’ambiente che
lo circonda, si riscalda e, per l’aumento di
temperatura subito, si espande (nella maggior parte
dei casi). A causa della spinta di Archimede, questo
fluido sale, essendo meno denso del fluido
circostante che è più freddo.
Contemporaneamente, il fluido più freddo scende e
prende il posto di quello più caldo che sale; in questo
modo si instaura una circolazione convettiva.

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- Irraggiamento.
Irraggiamento o radiazione termica è il termine usato per indicare la radiazione
elettromagnetica emessa dalla superficie di un corpo che si trova ad una certa temperatura.
Tutti gli oggetti emettono radiazioni elettromagnetiche, che sono frutto dell’eccitazione
termica della superficie del corpo, legata alla condizione energetica dei suoi atomi
(l’irraggiamento è tanto più intenso quanto maggiore è la temperatura dell’oggetto stesso), e
viene emessa in tutte le direzioni; quando il mezzo trasmissivo risulta essere sufficientemente
trasparente a tale radiazione, nel momento in cui essa colpisce un altro corpo, parte viene
riflessa e parte assorbita. Tra i due corpi si stabilirà un continuo scambio di energia, con uno
scambio netto di calore dal corpo più caldo al corpo più freddo.

Da notare è che può anche non esservi un mezzo di trasmissione, in quanto l’irraggiamento è
l’unica modalità di scambio termico che avviene anche nel vuoto. Basti pensare alla
radiazione solare, esempio più evidente di tale trasmissione.

6.7. Scambi di energia e materia


Un Sistema è costituito da un gran numero di particelle (ad esempio molecole). Il numero di
molecole contenute in una mole di sostanza è pari al numero di Avogadro:

 NA = 6,022 • 1023 (molecole/mole).

Lo stato di un sistema può essere descritto da grandezze macroscopiche. Ad esempio lo stato


di un Gas è definito da tre parametri variabili che sono:

 temperatura;
 volume;
 pressione.

Un sistema si dice:

 aperto: se avviene uno scambio sia di energia che di materia con l’ambiente;
 chiuso: se avviene uno scambio di energia ma NON di materia con l’ambiente;
 isolato: se non avviene nessuno scambio con l’ambiente.

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6.8. Leggi dei gas


Queste leggi valgono esclusivamente per i gas perfetti ovvero che soddisfano le seguenti
condizioni:
 ogni massa gassosa è costituita da un numero enorme di particelle indistinguibili e per
una stessa specie chimica, identiche;
 le particelle del gas si considerano sferette rigide indeformabili, di dimensioni tali da
essere rappresentate come oggetti puntiformi, il cui volume è una frazione trascurabile
del recipiente che le contiene;
 le particelle si trovano in un moto continuo e caotico, con la conseguenza che tutte le
direzioni del moto sono ugualmente probabili;
 nell'intervallo di temperatura e di pressione in cui vale l'ipotesi di gas perfetti, le forze di
interazione tra le molecole si considerano praticamente nulle, così che il moto delle
molecole tra un urto e l'altro è rettilineo ed uniforme;
 gli urti delle particelle contro le pareti del recipiente sono elastici, per cui l'energia
cinetica si conserva.

- Legge di Boyle.

La relazione che lega la pressione al volume di una data massa di gas mantenuto a
temperatura costante è nota come la legge di Boyle e può essere così espressa:
“a temperatura costante, il volume di una massa di gas è inversamente proporzionale alla
sua pressione”.

In forma analitica la legge di Boyle si può


scrivere nella forma:

PV = costante

Se si riportano nel piano (p,V) i valori trovati


nelle misure di una massa di gas (a temperatura
costante) in cui varia il volume e si raccordano,
si ottiene un ramo di iperbole equilatera
chiamata Isoterma.

- Prima legge di Gay-Lussac.

Essa determina la relazione tra volume e temperatura nel caso in cui il gas sia mantenuto a
pressione costante:

“in tutti i gas, mantenendo costante la pressione, ad ogni determinato aumento di


temperatura corrisponde lo stesso aumento di volume”.

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In formula:

V  V0 1    t 
dove:
 V0 è il volume del gas alla temperatura di 0 °C;
 t è la temperatura in °C.
1
In condizioni di pressione non elevate si ha:  C 1
273,15

E se esprimiamo la temperatura in gradi Kelvin:

V  V0    T

- Seconda legge di Gay-Lussac.

Un gas mantenuto a volume costante, varia la sua pressione P al variare della temperatura t
(°C) secondo la legge:

P  P0 (1    t )

dove:
 P0 è la pressione del gas alla temperatura di 0 °C;
 t è la temperatura in °C.
1
In condizioni di pressione non elevate si ha:  C 1
273,15

Se esprimiamo la temperatura in gradi Kelvin:

P  P0    T

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6.9. Equazione di stato dei gas perfetti


Ricordiamo che in termodinamica lo stato di un sistema è descritto da un punto di vista
macroscopico quando siano noti i valori di pressione, temperatura e volume.
Affinché tale descrizione sia realmente possibile, il sistema deve trovarsi in uno stato di
equilibrio termodinamico, cioè in una condizione che rimane stazionaria finché non
intervengono cause esterne a modificarla: in tale situazione P, V e T assumono lo stesso
valore in tutti i punti del sistema, oltre a non cambiare nel tempo.

L’equilibrio termodinamico prevede:

 l’equilibrio termico (assenza di scambi di calore con l’esterno);


 equilibrio meccanico (assenza di forze non bilanciate che agiscono sul sistema);
 equilibrio chimico (assenza di reazioni chimiche o trasformazioni di fase in atto).

Le leggi dei gas che abbiamo finora considerato rappresentano delle trasformazioni
termodinamiche che coinvolgono due variabili alla volta: la terza, a rotazione, rimane
costante.
Se questa impostazione rappresenta sicuramente un approccio semplificato al problema, è
anche vero che molte situazioni reali coinvolgono tutte e tre la variabili di stato
contemporaneamente. Abbiamo quindi la necessità di dedurre una espressione di carattere più
generale.

Possiamo allora scrivere la relazione che prende il nome di equazione di stato dei gas perfetti:

PV  nRT
Per determinare numericamente R ragioniamo in questo modo: il suo valore deve essere
costante per ogni valore delle tre variabili P, V e T.
Se consideriamo ora n = 1 mole di un qualunque gas in condizioni “normali”, il suo volume è
sempre V = 22,4 litri. Quindi, in questa situazione:

 P = 1 atm = 101.325 Pa;


 T = 273,15 K;
 V = 22,414 litri = 22,414 · 10 -3 m3.

Sostituendo i valori numerici, si ottiene la cosiddetta costante universale dei gas:

J
R  8,3143
mol  K

A volte risulta più comodo esprimere R in unità di misura che non appartengono al Sistema
Internazionale perché capita frequentemente di trovare problemi in cui il volume di un gas è
misurato in litri e la pressione in atmosfere. In tal caso, eseguite le opportune equivalenze, si
ha: R = 0,0821 litri•atm / mol•K.

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Nel caso in cui si parli di un gas reale e non ideale in luogo dell’equazione di stato dei gas
perfetti si utilizzerà l’equazione di Van Der Waals:

 an 2 
 P  2   (V  nb)  nRT
 V 

Dove a e b dipendono dalla natura del gas e si possono misurare sperimentalmente.

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6.10. Legge di Dalton


La legge di Dalton afferma che in una miscela di gas all’interno di un volume costante, la
pressione parziale di un gas è uguale alla pressione che quel gas singolo avrebbe se occupasse
tutto il volume da solo.

Ne consegue che la pressione totale di una miscela di gas è data dalla somma delle pressioni
parziali dei gas che compongono la miscela:

6.11. Teoria cinetica dei gas perfetti


La teoria cinetica dei gas ci aiuta a dimostrare che la temperatura assoluta non é altro che
una misura dello stato di agitazione termica delle molecole.
Nel modello di gas perfetto le molecole sono considerate puntiformi: quindi, quando ci
riferisce alla loro velocità, si intende unicamente la velocità di traslazione delle stesse e si
trascura, come diretta conseguenza, ogni tipo di rotazione.
Non bisogna poi dimenticare che il concetto di velocità è qui da intendersi in senso statistico e
quindi coincide con quello di velocità quadratica media calcolata su tutte le molecole del gas.
L’energia cinetica media di traslazione assume nel caso di un gas la seguente espressione:

3
EK  kB T
2
Dove:
 EK è l’energia cinetica media;
 KB = R/NA = 1,38 · 10-23 J/K è la costante di Boltzmann;
 T è la temperatura assoluta.

Nota: questa espressione vale solo se il gas è monoatomico.

Per un gas perfetto monoatomico l’energia interna è costituita dal prodotto dell’energia
cinetica media delle molecole per il numero delle stesse N:
3
U  EK  N  kB T  N
2

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Nel caso in cui il gas sia formato da molecole biatomiche (es: O2, H2, CO…) le formule
precedenti si modificano nella loro costante di proporzionalità:

5
EK  kB T
2
5
U  EK  N  kB T  N
2
Quindi:

 La temperatura di un gas dipende solo dall’energia cinetica media delle sue molecole e
non dal numero di queste, il che significa che la temperatura è una grandezza intensiva!

 Il calore assorbito Q dipende non solo dall’energia cinetica delle molecole ma anche dal
numero x di queste e pertanto il calore è una grandezza estensiva!

Chiamiamo energia interna di un corpo l’energia cinetica complessiva delle sue molecole.

6.12. Passaggi di stato


Variando la temperatura oppure la pressione (o entrambe), ogni elemento può mutare il suo
stato fondamentale. Aumentando la temperatura e diminuendo la pressione si ottiene, di
regola, il passaggio da solido a liquido a gassoso. Ovviamente il percorso inverso lo si ottiene
diminuendo la temperatura ed aumentando la pressione.

Il passaggio dallo stato aeriforme a quello liquido si chiama condensazione o liquefazione.


La vaporizzazione è il passaggio dallo stato liquido a quello aeriforme e può avvenire in due
modi:
 per evaporazione, a temperature inferiori a quella di ebollizione, in tal caso il fenomeno
coinvolge solo la superficie libera del liquido;
 per ebollizione, coinvolgendo l'intera massa del liquido, quando la pressione di vapore
(cioè la pressione esercitata da un vapore in equilibrio con il suo liquido) uguaglia la
pressione atmosferica che sovrasta il liquido.

La solidificazione è il passaggio dallo stato liquido allo stato solido. Raffreddando un liquido
l'energia delle sue particelle (atomi, ioni, molecole) diminuisce e queste si muovono più
lentamente. Arrivando alla temperatura alla quale l'energia delle particelle è uguale a quella
dei legami che le tengono unite nel solido, il liquido si solidifica.

La fusione e il passaggio inverso dallo stato solido a quello liquido. In un solido le particelle
oscillano intorno a punti fissi. Fornendo energia, fino ad arrivare alla temperatura di fusione,
l'energia delle particelle uguaglia l'energia dei legami, questi si rompono e abbiamo il liquido.
La temperatura di fusione è uguale a quella di solidificazione (passaggio inverso) ed è molto
diversa da sostanza a sostanza.

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La sublimazione è il
passaggio diretto dallo
stato solido allo stato
aeriforme. Il passaggio
inverso si chiama
brinamento.

Ciò succede perché la pressione di vapore (pressione esercitata da un vapore in equilibrio con
il suo liquido) di queste sostanze eguaglia la pressione atmosferica prima che esse fondano.

Alcuni solidi come la canfora e la naftalina sublimano a temperatura e pressione ambiente.


Atri (cristalli di iodio) sublimano a pressione ambiente, ma previo riscaldamento.

Si definisce infine calore latente (di fusione, di solidificazione, etc. ) quel calore che viene
fornito ad un corpo che effettua un passaggio di stato e che non si manifesta con
l'innalzamento di temperatura essendo la quantità di energia necessaria a far passare
completamente l’unità di massa di quella sostanza da uno stato a un altro.

6.13. Primo principio della termodinamica


Il primo principio della termodinamica afferma che: la somma algebrica di calore e lavoro
scambiati da un sistema è uguale alla variazione dell’energia interna del sistema stesso:

U  Q  L
Si noti che:

 Q è positivo quando è assorbito dal sistema;


 L è positivo quando è compiuto dal sistema;
 per un sistema isolato (nessuno scambio con l’esterno), Q=0, L=0 quindi ΔU=0;
 in una trasformazione ciclica, in cui lo stato iniziale e finale coincidono, ΔU=0 e quindi
Q = L.

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6.14. Trasformazioni termodinamiche


Un sistema termodinamico subisce una trasformazione termodinamica quando scambia calore
e/o lavoro con l’ambiente esterno.

Le trasformazioni termodinamiche si possono classificare in primo luogo in:


 trasformazioni reversibili: una successione di stati di equilibrio. In ogni istante si può
invertire la trasformazione mediante una piccola variazione delle condizioni esterne;
 trasformazioni irreversibili: si può tornare alle condizioni iniziali ma la trasformazione
non può invertire il suo senso con una leggera variazione delle condizioni esterne.

Tutti i processi reali e spontanei sono di natura irreversibile, mentre le trasformazioni


reversibili sono soltanto i processi ideali.

Le trasformazioni termodinamiche si dividono poi in:


 isobare: che avvengono a pressione costante;
 isocore: che avvengono a volume costante;
 isoterme: che avvengono a temperatura costante;
 adiabatiche: che avvengono senza scambio di calore con l’ambiente.

- Trasformazioni isobare.

Un esempio di trasformazione isobara è rappresentato dall’espansione di un gas a pressione


costante in un cilindro chiuso da un pistone.

Il lavoro compiuto dal gas è:

L  P V
Il lavoro risulta positivo (+)
in quanto è compiuto dal
gas che muove il pistone
nella sua fase di espansione,
ossia è compiuto dal
sistema.

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- Trasformazioni isocore.

Si tratta di una trasformazione che avviene a volume costante. Il lavoro è nullo perché il
volume del gas, rimanendo costante, non determina alcun movimento del pistone.

Quindi da un punto di
vista matematico:

L  F  x  0

Nota: la variazione di
energia interna è pari al
calore scambiato:

U  Q

- Trasformazioni isoterme.

Si tratta di una trasformazione che avviene a temperatura costante.


Non c’è variazione dell'energia interna del sistema ed il lavoro L compiuto dal sistema è pari
al calore Q assorbito:

U  0 QL
- Trasformazioni adiabatiche.

La trasformazione avviene senza scambio di calore. Il lavoro compiuto da un gas in una


trasformazione adiabatica è pari alla diminuzione dell’energia interna:

U  L
Un gas che si espande senza assorbire calore spende la sua energia interna e quindi si
raffredda.

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6.15. Macchine termiche


Una macchina termica è una macchina capace di trasformare calore in lavoro. Essa assorbe
una quantità di calore Q2 da una sorgente a temperatura maggiore e cede un’altra quantità di
calore Q1 ad una sorgente a temperatura minore. Ad esempio il motore a combustione interna
di un’automobile è una macchina termica.

Il rendimento ideale ( ) di una macchina termica è definito come il rapporto tra il lavoro
prodotto e l’energia assorbita da essa durante il ciclo:

L Q2  Q1 Q
   1 1
Q2 Q2 Q2

Dove:
 L è il lavoro compiuto;
 Q2 è il calore assorbito (positivo);
 Q1 è il calore ceduto (negativo).

Nel caso ideale in cui una macchina termica possa funzionare operando su un fluido
trasformazioni reversibili tra due temperature T1 e T2, esiste un limite massimo al suo
rendimento. Esso non dipende né dalla natura del fluido utilizzato, né dall’ampiezza del ciclo
descritto, ma unicamente dalle temperature T1 e T2 alle quali avvengono gli scambi di calore
e vale:
T1
ideale  1 
T2

Qualsiasi macchina reale, operando con trasformazioni non reversibili, ma solo quasi
reversibili, a causa delle inevitabili differenze di pressione e di densità del gas all’interno del
cilindro, avrà rendimento inferiore a quello termodinamico:

T1
 reale  1 
T2

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6.16. Ciclo di Carnot


Nella macchina di Carnot un gas perfetto compie una trasformazione ciclica con due isoterme
(con scambio di calore) e due adiabatiche (senza scambio di calore):

Il ciclo è costituito quindi da:

 Un’espansione isoterma A-B in cui posto a contatto con una sorgente calore Q2, il gas si
espande assorbendo calore alla temperatura TC.

 Un’espansione adiabatica B-C in cui il gas continua l’espansione utilizzando l’energia


interna, per cui si raffredda e passa alla temperatura TF <TC.

 Una compressione isoterma C-D in cui mentre viene compresso il gas cede calore Q1
all’esterno per mantenere così costante la sua temperatura.

 Una compressione adiabatica D-A in cui non potendo cedere calore verso l’esterno il gas
aumenta la sua temperatura fino a Tc.

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6.17. Secondo principio della termodinamica


Può essere formulato l’enunciato di Clausius:

“il calore passa spontaneamente solo da un corpo a temperatura più alta ad un altro a
temperatura più bassa”.

Termostato

Q2

Macchina
termica Lavoro

Sulla base di ciò Kelvin formulò il secondo principio della termodinamica in questi termini:

”è impossibile che l’unico risultato di una trasformazione sia quello di convertire in lavoro
il calore sottratto ad una sola sorgente termica”.

6.18. Entropia

L’entropia è un indice della diminuita capacità del sistema di compiere lavoro, essendo
legata al calore degradato che il sistema disperde in ogni trasformazione:

Q
S 
T
Dove:
 ∆S è la variazione di entropia;
 ∆Q è la quantità di calore scambiato;
 T è la temperatura a cui avviene la trasformazione termodinamica.

L’entropia S è definita per T costante, quindi è valida solo per trasformazioni isoterme; essa si
misura nel S. I. in Joule/kelvin.

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7. ELETTROMAGNETISMO

7.1. Generalità
I fenomeni legati all’elettricità ed al magnetismo erano noti anche ai popoli della Grecia che
già conoscevano la resina fossile, detta ambra e la magnetite. Per arrivare ad una prima
conoscenza dei fenomeni magnetici come li intendiamo oggi bisogna attendere il libro
dell’inglese William Gilbert, del 1600. In esso si parla del magnetismo terrestre e
dell’orientamento degli aghi magnetici, nonché dell’elettricità per strofinio. La nascita
dell’elettricità moderna si fonda, in ogni caso, sui lavori del francese Charles Augustin
Coulomb (1736 - 1806).
La storia dell’elettricità e del magnetismo, come tutte le storie relative al progresso della
conoscenza umana, non è mai il contributo di pochi ed è difficile compendiare gli sforzi dei
molti che ci hanno consegnato i loro risultati. In particolare, vogliamo rilevare che la storia
dell’elettricità e del magnetismo si è mescolata con la storia della costituzione della materia e
con la storia della natura della luce.
In questo capitolo conosceremo alcuni dei protagonisti ed il lavoro da essi svolto tuttavia non
procederemo in maniera storica, perché un tale approccio non spetta a questo corso, ma
partiremo quasi dalla fine, ovvero dalla costituzione della materia, in una forma semplificata.

7.2. Cariche elettriche


Tutti i corpi sono costituiti di atomi. Gli atomi sono costituiti da un nucleo, ove risiedono i
neutroni ed i protoni, e da elettroni che sono localizzati intorno al nucleo. Questo modello fu
proposto nel 1917 dall’inglese Rutherford e dal danese Bohr.
Elettroni e protoni posseggono una carica elettrica. Per convenzione, la carica dell’elettrone è
stata assunta negativa. Il protone, possiede una carica di valore pari a quella dell’elettrone ma
di segno opposto. La carica dell’elettrone e del protone è detta carica fondamentale o
elementare ed il suo valore è:

qe = −1, 6 × 10−19C;

dove C sta per Coulomb, ed è l’unità di misura della carica elettrica, nel Sistema
Internazionale.
Un corpo è carico quando vi è un eccesso di cariche positive o negative. Tutti i corpi carichi
risultano avere una carica che è un multiplo intero della carica fondamentale.

La parola elettricità deriva dal greco èlectron (ἐλέκτρον), che significa ambra (C4H6O4);
tuttavia la proprietà che essa acquista, ovvero l’attrazione per strofinio è comune anche ad
altre sostanze come il vetro, l’ebanite, il polietilene, etc.

Cariche di segni uguali si respingono, di segni opposti si attraggono.

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7.3. Elettrizzazione dei corpi

I corpi si dividono in conduttori e isolanti. Un conduttore è una sostanza in cui una carica può
scorrere facilmente. I metalli, oro e argento in particolare, sono buoni conduttori perché i loro
atomi hanno elettroni liberi di muoversi, che trasferiscono facilmente l'energia. Un isolante è
una sostanza in cui una carica elettrica non scorre facilmente. La plastica e la gomma sono
buoni isolanti perché gli elettroni nei loro atomi hanno poca libertà, perciò non si
trasferiscono con facilità da un atomo all'altro. Alcuni di questi materiali sono impiegati per
isolare i fili conduttori o le macchine elettriche.
L’elettrizzazione di un corpo può avvenire:

 per strofinio;
 per contatto;
 per induzione.

- Elettrizzazione per strofinio.


Materiali come l'ambra, il vetro, la ceralacca, l'ebanite ed i metalli se strofinati acquistano
una carica elettrica. Un esempio pratico si può osservare strofinando una penna di plastica su
un panno di lana: questa, in seguito allo strofinamento, diviene capace di attirare piccoli pezzi
di plastica. Per scoprire la quantità delle cariche presenti in natura si svolga un semplice
esperimento; si appenda una bacchetta di vetro ad una cordicella (isolante) ed a questa si
avvicini un'altra bacchetta di vetro elettrizzata anch'essa; si noterà che le due bacchette si
respingono (entrambe hanno carica positiva):

Ora si avvicini la bacchetta di vetro ad una di ebanite elettrizzata; le due bacchette si


attraggono (l'ebanite ha carica negativa, il vetro ha carica positiva):

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- Elettrizzazione per contatto.


Se mettiamo a contatto un corpo carico (elettrizzato positivamente o negativamente) con un
corpo neutro quest'ultimo assumerà la stessa carica del corpo con cui è venuto a contatto.
Analizzando i due possibili casi..
Se un corpo neutro viene a contatto con un corpo carico negativamente si caricherà anch'esso
negativamente a causa del trasferimento di elettroni provenienti dal corpo carico.

Nel caso del contatto di un corpo neutro con un corpo carico positivamente, il trasferimento di
elettroni avverrà dal corpo neutro al corpo carico (per attrazione), col risultato che il corpo
neutro si caricherà anch'esso positivamente.

- Elettrizzazione per induzione.

L'elettrizzazione per induzione si ha quando un corpo elettrizzato positivamente o


negativamente viene avvicinato ad un corpo neutro: il semplice avvicinamento del corpo
carico induce nel corpo neutro una separazione di cariche che dura solamente finché agisce la
causa che l'ha prodotta.

Negli isolanti non esistono elettroni di conduzione, ma esistono i dipoli ovvero sistemi formati
da cariche opposte molto vicine tra loro.

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7.4. Principio di conservazione della carica


Questo principio (enunciato da Franklin nel 1750) afferma che la quantità totale di carica
elettrica che si produce in qualsiasi processo è nulla.
In pratica se la carica di un certo sistema subisce una variazione, deve esistere un altro sistema
la cui carica subisce una variazione opposta, in modo tale che la variazione totale sia nulla e
di conseguenza la carica totale si mantenga costante.

Tutti gli esperimenti, fino ad ora, hanno confermato la validità di questa legge, che deve
essere considerata una delle leggi fondamentali della fisica.

7.5. Legge di Coulomb


Nel 1785 Coulomb determinò la legge che esprime la forza elettrica tra due cariche in
funzione della distanza e della grandezza delle cariche.
In particolare tale legge stabilisce che due corpi carichi puntiformi, posti nel vuoto ad una
distanza r, esercitano l’uno sull’altro una forza la cui intensità, è data da:

Q1Q2 1 Q1Q2
F  k0 
r2 4 0 r 2

dove Q1 e Q2 sono le cariche possedute dai corpi e k0 è una costante, detta costante di
Coulomb, che nel Sistema Internazionale vale circa: 9 · 109 N·m2/C2.

La direzione della forza F è lungo la congiungente i due corpi e risulta attrattiva, se le due
cariche sono di segno opposto, o repulsiva, se sono dello stesso segno.
Nel Sistema Internazionale si usa riscrivere la costante k0 nel modo seguente:

1
k0 
4 0

dove  0 è una costante, detta costante dielettrica del vuoto, (o permettività assoluta del
vuoto). Il suo valore, nel Sistema Internazionale è circa: 8, 9 × 10−12 C2/N·m2.

Da un punto di vista dimensionale: 0  L3  M 1  T 4  i2 


Nel sistema cgs si pone, nel vuoto, convenzionalmente k0=1 e le grandezze meccaniche si
esprimono con le stesse unità di misura usate nel sistema cgs
L’unità di misura della carica elettrica nel sistema cgs è detta franklin ovvero quella carica
che ne attira o ne respinge (a seconda dei segni) un’altra ad essa uguale posta ad 1 cm di
distanza, nel vuoto, con la forza di 1 dyne: 1 F = 3.3356 × 10−10 C.

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7.6. Campo elettrico


Ciascuna carica elettrica agisce su una seconda carica elettrica non direttamente, ma a
mezzo del campo elettrico che essa genera, inteso come modificazione dello spazio
circostante indipendentemente dalla presenza di una seconda carica.

Posta in un punto P un’altra carica q molto piccola in modo da non alterare con la sua
presenza la distribuzione di cariche che generano il campo, definiamo campo elettrico nel
punto P il vettore:

 F
E
q
Nel S.I. l’unità di misura è il newton/coulomb oppure il volt/metro.

Da un punto di vista dimensionale: [E]=[M·L·T-3·i-1]

L’intensità del campo elettrico generato da una carica puntiforme Q è:

F Qq 1 Q
E k 2  k 2
q r q r
Il campo elettrico non dipende quindi dalla carica esploratrice q, ma solo dalla carica
generatrice Q, dalla distanza r del punto dalla carica Q e dal mezzo tramite il fattore k.

Per visualizzare il campo si usa introdurre le linee di forza del campo. Una tale descrizione,
precisiamo subito, è solo approssimativa e serve solo ad avere un aiuto "visivo" alla nostra
rappresentazione del campo. Una linea di forza di un campo elettrico è una linea che ha per
tangente in ogni suo punto un vettore che coincide con il campo nel punto considerato.
Le linee di forza di cariche puntiformi positive e negative sono mostrate sotto. Esse sono
sempre dirette dalle cariche positive (da cui "escono") a quelle negative (in cui "entrano").

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Il verso delle linee di forza si comprende immaginando nei vari punti la carica di prova. Si
può immaginare che il numero di linee di forza sia proporzionale all’intensità del campo e
quindi si può visualizzare una maggiore o minore intensità del campo, in una certa regione,
aumentando o diminuendo, rispetto ad un’altra regione il numero di linee di forza.

7.7. Flusso del campo elettrico


Dato un campo elettrico, una superficie immersa nel campo può essere rappresentata con un
vettore perpendicolare uscente da essa.

In analogia all’espressione della portata, definiamo flusso del campo elettrico attraverso una
superficie l’espressione:
  
( E )  E  A

α
E
E A

Il flusso dipende da E, A e da α. Se E ed A hanno la stessa direzione il prodotto scalare


diventa un prodotto algebrico. Se α è 90° il flusso attraverso la superficie S è nullo.

Nel caso in cui il vettore E vari da punto a punto e la superficie A sia curva, il flusso è la
somma dei flussi parziali attraverso gli elementini di superficie individuati in modo tale che il
vettore E possa considerarsi costante in ogni elemento di superficie.
Nel caso si abbia un campo elettrico generato da una carica Q attraverso una superficie
sferica:

1 Q Q
 4r 2 
4 0 r 2
0

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7.8. Teorema di Gauss


Il flusso del campo elettrico attraverso una superficie chiusa è uguale al rapporto fra la
somma delle cariche elettriche racchiuse all'interno della superficie e la costante dielettrica:


Q i

0

Il Teorema di Gauss è utile per il calcolo dei campi elettrici di distribuzioni di cariche con
particolari simmetrie. Basta individuare il tipo di simmetria e la corrispondente superficie
gaussiana attraverso cui calcolare il flusso del campo.

Dal teorema di Gauss deriva che se la somma delle cariche interne alla superficie è pari a
zero il flusso è nullo.

Sperimentalmente si ricava che:


 in un conduttore la carica si distribuisce sulla sua superficie;
 il campo elettrico all’interno di un conduttore carico è nullo;
 tutti i punti di un conduttore in equilibrio hanno lo stesso potenziale;
 nei conduttori non sferici la carica si addensa sulle punte (ovvero dove la curvatura è
maggiore).

7.9. Energia potenziale elettrica


Se una carica elettrica si sposta all’interno di un campo elettrico, le forze del campo compiono
un lavoro:
 
L  qE  d
Nel caso in cui il campo elettrico sia generato da una carica puntiforme:

Qq 1 1
L   
4  rA rB 
Possiamo introdurre la grandezza U, funzione delle coordinate posizionali e delle cariche, tale
che la differenza UA-UB esprime il lavoro compiuto dalla forza del campo quando la carica
esploratrice q si sposta da un punto A ad un punto B lungo qualsiasi percorso.

La funzione U è chiamata energia potenziale elettrica della carica q:

L  U A  UB L   U

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Se si attribuisce valore zero all’energia potenziale all’infinito, si può dire che l’energia
potenziale elettrica di una carica q in un punto posto a distanza r da Q è il lavoro necessario
per portare la carica q dall’infinito a quel punto.

In analogia con il campo gravitazionale la somma dell’energia cinetica e dell’energia


potenziale elettrica di una carica in moto in un campo elettrico è costante.

7.10. Elettronvolt
L'elettronvolt è l'unità di misura dell’energia usata (con i suoi multipli) in fisica delle
particelle per descrivere fenomeni su scala atomica e corrisponde all’energia potenziale di
un elettrone sottoposto alla d.d.p. di 1 volt: 1 eV = 1,6·10-19 J.

7.11. La circuitazione del campo elettrico


Se consideriamo una carica q che si muove in un campo elettrico descrivendo una traiettoria
chiusa, la posizione iniziale A coincide con la posizione finale B, per cui è UA = UB e di
conseguenza L = 0.

Pertanto il lavoro compiuto dalla forza del campo elettrico agente su una carica esploratrice
q che descrive una traiettoria chiusa è nullo.
Ciò si può esprimere affermando che la circuitazione del campo elettrico lungo qualsiasi
cammino chiuso è nulla.

7.12. Potenziale elettrico


Nella pratica si preferisce caratterizzare il campo elettrico con il potenziale elettrico o
tensione, indipendente dalla carica q e definito dalla relazione:

U [V ]  [l 2mt 2 q 1 ]
V 
q
Considerati due punti qualsiasi A e B di un campo elettrico e indicando con VA il potenziale
in A e con VB il potenziale in B, si ha:

U A UB L
VA  VB  VA  VB 
q q
L’unità di misura nel S.I. è il volt: 1volt = 1joule/1coulomb.
L’unità di misura nel sistema cgs è lo statvolt: 1 statV = 300 V.

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7.13. Superfici equipotenziali


Il luogo di tutti i punti di un campo elettrico che hanno lo stesso valore del potenziale si
chiama superficie equipotenziale.

In un campo elettrico uniforme le superfici equipotenziali sono superfici piane parallele alle
piastre che generano il campo:

In un campo elettrico generato da una carica puntiforme le superfici equipotenziali sono


superfici sferiche eventi il centro nel punto in cui è localizzata la carica che genera il campo:

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7.14. Teorema di Coulomb


Il teorema di Coulomb afferma la diretta proporzionalità tra il campo elettrico e la densità
superficiale di carica.
Partendo dalla definizione di flusso di un campo elettrico costante ovvero Φ = E ∙ ΔS, che per
il teorema di Gauss possiamo anche scrivere come Φ = ΔQ / ε0. Ponendo a confronto queste
due equazioni si ottiene la relazione descritta dal teorema di Coulomb:


E
0

Pertanto l’intensità del campo elettrico E in prossimità della superficie di un conduttore è


proporzionale alla densità superficiale di carica σ.
Nel caso in cui il conduttore fosse sferico, σ risulterà costante su tutti i punti della superficie
e tale risulta anche il modulo del campo elettrico.

7.15. Capacità elettrica


Un conduttore può venire caricato elettricamente con una certa carica. Il rapporto tra la
carica di un conduttore isolato qualsiasi ed il suo potenziale è costante per un determinato
conduttore ed è detto capacità elettrica:

Q
C
V
L’unità di misura è il Farad (F): un conduttore ha la capacità di un farad se, caricato con 1C,
assume il potenziale di 1V. Il termine capacità si usa per qualificare i conduttori; un
conduttore può immagazzinare una carica Q tanto più grande quanto maggiore è la sua
capacità.

Nel caso particolare di un conduttore sferico di raggio R si ha:

C  4 0 R
Cioè la capacità elettrica di un conduttore sferico è direttamente proporzionale al raggio del
conduttore e più in generale per un conduttore generico la capacità dipende in ogni caso
dalla sua forma geometrica.

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7.16. Condensatori
Un condensatore è formato da due conduttori, chiamati “armature” o "piastre", di diverse
forme, poste molto vicine tra loro e cariche una positivamente e l’altra negativamente.
A seconda della forma delle armature (piane, sferiche, cilindriche, etc.) si hanno quindi i
condensatori piani, sferici, cilindrici, etc.
Il campo elettrico al loro interno è dato dalla somma dei vettori del campi elettrici generati,
mentre esternamente è nullo.

L’obiettivo del condensatore è far sì che le cariche circolino costantemente senza picchi,
quindi un condensatore, regola il flusso degli elettroni; può inoltre accumulare le cariche e
regolare la frequenza delle onde elettromagnetiche.

Nel caso di un condensatore piano si hanno due lamine metalliche parallele a piccola distanza
l’una dall’altra:

La capacità di un condensatore non dipende dalla carica sulle armature, ma solo dalla
geometria del condensatore e dal dielettrico interposto tra le armature:

A
C   0 r
d
La capacità del condensatore nel caso in cui sia interposto un dielettrico tra le due armature
aumenta in proporzione alla costante dielettrica del mezzo.
Bisogna fare attenzione a non diminuire eccessivamente d o si rischia che tra le due piastre
inizi a passare elettricità, annullando le proprietà del dielettrico.

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In due condensatori collegati in parallelo, la differenza di potenziale è costante, mentre varia


la quantità di carica.
La capacità equivalente, ossia quella capacità del condensatore che può sostituire tutti i
condensatori collegati in parallelo è uguale alla somma delle capacità dei singoli
condensatori:

Cequivalente  C1  C2  ...

In due condensatori collegati in serie la quantità di carica è uguale, mentre a variare è la


differenza di potenziale.

La capacità equivalente, ossia quella capacità del condensatore che può sostituire tutti i
condensatori collegati in serie è uguale alla somma dei reciproci delle capacità dei singoli
condensatori:
1 1 1
   ...
Cequivalente C1 C2

Se un condensatore, inizialmente scarico, viene collegato a un generatore (per esempio una


batteria di pile) le sue armature vengono caricate elettricamente accumulando una certa
quantità di carica e di conseguenza si genera una d.d.p. tra di esse.
Possiamo esprimere il lavoro di carica con la seguente espressione:

1 1 Q2 1
L  Q V   CV 2
2 2 C 2

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7.17. Corrente elettrica


Chiamiamo corrente elettrica qualsiasi movimento ordinato di cariche elettriche elementari,
cioè un flusso ordinato di elettroni, che ha luogo all'interno di alcuni materiali.

I materiali, proprio perché permettono agli


elettroni liberi di spostarsi da un atomo ad
un altro e alle cariche di distribuirsi lungo
tutto il corpo e alla corrente di
attraversarli, vengono definiti conduttori.
Altri materiali, attraverso i quali la
corrente non riesce a passare perché gli
elettroni si muovono con lentezza e di
conseguenza le cariche tendono a
rimanere localizzate dove sono state
prodotte, vengono definiti isolanti.
I materiali possono essere così suddivisi:
 buoni conduttori sono i metalli (ad
esempio il rame, l'argento e
l'alluminio, che vengono usati per
costruire i cavi elettrici), i gas
ionizzati (come quelli presenti
all’interno dei tubi fluorescenti), le
soluzioni elettrolitiche (acqua e sale)
ed i tessuti organici, vale a dire il
nostro corpo (purtroppo anche noi
siamo dei conduttori!);
 isolanti deboli come legno e carta;
 buoni isolanti come le ceramiche, il
vetro, il marmo, la porcellana;
 isolanti buonissimi come l’ambra e
la gomma.

Alla corrente elettrica si dà lo stesso verso del campo elettrico, tuttavia il flusso di elettroni ha
verso opposto:

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Si definisce intensità di corrente elettrica il rapporto:

Q
i
t

ovvero la quantità di carica che attraversa una sezione qualsiasi del conduttore nel tempo t
ed il tempo stesso.

L’intensità di corrente elettrica nel Sistema Internazionale si misura in ampère:

1 ampère = 1coulomb/1secondo.

Nota: si tratta di una grandezza fondamentale del S.I.

Una corrente la cui intensità e verso non varia nel tempo è definita continua. In pratica per
poter realizzare questa situazione è necessario che la d.d.p. rimanga costante nel tempo, e ciò
si ottiene con un generatore di tensione: pila o batteria.
Ogni batteria ha due terminali detti poli: quello positivo ha potenziale più elevato (simbolo +)
e quello negativo (simbolo -) ha potenziale più basso.

Se in un circuito vi è passaggio di corrente esso è detto chiuso; in caso contrario è detto


aperto.

7.18. Strumenti di misura: amperometro e voltmetro


Un amperometro misura l’intensità di corrente che lo attraversa e, in particolare, nelle
misure di corrente continua, i suoi due poli (o morsetti), individuati dai segni + e –, vanno
collegati il primo al punto a maggiore potenziale ed il secondo al punto a minore potenziale.

Un voltmetro misura invece la d.d.p. tra i suoi morsetti. Analogamente a quanto avviene
nell’amperometro, nelle misure in corrente continua i due morsetti individuati dai segni + e –
vanno collegati rispettivamente ai punti a maggiore e minore potenziale.

7.19. Prima legge di Ohm


La prima legge di Ohm afferma che (a temperatura costante) la differenza di potenziale ΔV
applicata alle due estremità di un conduttore è direttamente proporzionale all’intensità i della
corrente che percorre il conduttore e al coefficiente di proporzionalità R, chiamato resistenza
elettrica del conduttore:

V
R
i

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Tutti i circuiti che soddisfano questa legge sono detti circuiti ohmici.

L’unità di misura della resistenza è l’ohm (Ω): un conduttore ha la resistenza di 1 Ω se,


applicando ai suoi estremi la differenza di potenziale di 1V, l’intensità di corrente che lo
attraversa è uguale a 1A. Ovvero nel sistema S.I. 1 Ω = 1volt/1ampère.

7.20. Seconda legge di Ohm


La seconda legge di Ohm afferma che la resistenza è direttamente proporzionale alla
lunghezza l del filo conduttore e inversamente proporzionale alla sua sezione S, tenendo conto
della costante di resistività del materiale ρ:

l
R
S
La resistività dipende dalla temperatura: aumentandola aumenta la resistenza, e vi è quindi un
maggior ostacolo per il passaggio degli elettroni.

L’inverso di ρ è chiamata conducibilità elettrica σ:

1


7.21. Prima e seconda legge di Kirchhoff


In due o più resistenze collegate in parallelo la somma delle intensità delle correnti che
giungono in un nodo del circuito è uguale alla somma delle intensità delle correnti che se ne
allontanano: i = i1 + i2 + ... + in.

In altre parole la somma delle correnti che giungono in un nodo


è uguale alla somma delle correnti che se ne allontanano, ovvero
la somma algebrica delle correnti in un nodo è uguale a zero.

Il teorema è una conseguenza della conservazione della carica


elettrica, cioè del fatto che gli elettroni di conduzione che
costituiscono la corrente, passando attraverso un nodo, non
possono essere né creati né
distrutti.

Ricordando che la "maglia" è una linea chiusa del circuito


possiamo enunciare la seconda legge di Kirchhoff :
"la somma algebrica delle variazioni di potenziale in una
maglia è uguale a zero, ovvero alla d.d.p. del generatore se
esso è presente in quella maglia".

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7.22. Resistenze in serie e in parallelo


Quando due o più resistori sono disposti in un circuito consecutivamente uno all’altro in
modo da essere attraversati dalla stessa intensità di corrente, diciamo che essi o le loro
resistenze sono collegati in serie.

La resistenza equivalente di due o più resistenze collegate in serie è uguale alla somma delle
singole resistenze:

Requivalente  R1  R2  ...

Due o più resistori sono collegati in parallelo se la d.d.p. ai loro estremi assume lo stesso
valore per entrambi.

La resistenza equivalente di due o più resistenze collegate in parallelo è uguale alla somma
dei reciproci delle singole resistenze:

1 1 1
   ...
Requivalent e R1 R2

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7.23. Simboli circuitali


I principali tipi di simboli, utilizzati in un circuito sono quelli indicati in figura:

simbolo componente descrizione


Resistenza elettrica generalmente utilizzata negli schemi
resistenza elettrici in ambito europeo. Il valore resistivo è espresso
in Ohm.
Resistenza elettrica generalmente utilizzata negli schemi
resistenza elettrici in ambito statunitense. Il valore resistivo è
espresso in Ohm.
Resistenza elettrica variabile (potenziometro o trimmer)
potenziometro generalmente utilizzata negli schemi elettrici in ambito
europeo. Il valore resistivo è espresso in Ohm.
Resistenza elettrica generalmente utilizzata negli schemi
potenziometro elettrici in ambito statunitense. Il valore resistivo è
espresso in Ohm.

Condensatore generico. Il valore capacitivo è indicato in


condensatore
Farad.

Condensatore polarizzato. Il componente va inserito nel


condensatore
circuito nel rispetto della polarità. Può essere di tipo
polarizzato
elettrolitico o al tantalio.

diodo Diodo rettificatore.

Diodo ad emissione di luce o LED (acronimo di Light


diodo led Emitting Diode). Inizialmente di colore rosso adesso in
pratica di ogni colore.

transistor Transistor a giunzione di tipo npn

transistor Transistor a giunzione di tipo pnp

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7.24. Lavoro e potenza della corrente elettrica


Un generatore di tensione deve compiere un lavoro contro le forze elettriche del campo per
trasportare una carica q da un polo all’altro che si esprime con l'espressione:

L  Vq
Se il trasporto della carica q avviene in un tempo t per mezzo di una corrente continua
d’intensità i (essendo per definizione q = it) il lavoro compiuto dal generatore può anche
essere scritto nella forma:

L  Vit
La potenza P fornita dal generatore, cioè l’energia per unità di tempo, è il rapporto tra L e t.
Si ha perciò:
P  Vi
In cui, esprimendo V in volt ed i in ampère, P risulta essere espresso in watt.

7.25. Effetto Joule


Il riscaldamento di un conduttore metallico attraversato da corrente elettrica è noto come
effetto Joule.

La quantità di calore che si produce in un tempo t è:

Q  Vit
In particolare ricordando la prima legge di Ohm si ha:

Q  Ri 2t

e di conseguenza: P  Ri 2
Nota:
i liquidi non sono conduttori ohmici e non seguono le leggi di Ohm. Sia le cariche positive
(anioni) che quelle negative (cationi) fanno da portatori di carica.
Anche i gas non sono conduttori ohmici e non seguono le leggi di Ohm. Come nei liquidi, in
un gas sia gli ioni positivi che quelli negativi possono condurre elettricità, ed affinché ci possa
essere passaggio di corrente il gas deve essere ionizzato.

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7.26. Il campo magnetico


Fin dall’antichità era conosciuta la proprietà della magnetite (Fe3O4) di attirare la limatura di
ferro. Noi chiamiamo magnete o calamita o ago magnetico ogni corpo che possiede la
proprietà della magnetite.

Si possono costruire anche calamite


artificiali; per esempio una sbarretta di
acciaio può essere magnetizzata,
avvicinandola con la magnetite sempre
nello stesso verso.

Le due estremità del magnete sono


chiamate rispettivamente: polo Nord e
polo Sud; poli di nome contrario si
attraggono, mentre poli dello stesso nome
si respingono.

Una notevole differenza tra poli magnetici


e cariche elettriche consiste nel fatto che,
mentre le cariche di un segno si possono
separare da quelle di segno opposto, non
altrettanto può farsi con i poli magnetici.
Non esistono quindi monopoli magnetici.

L’interazione tra due magneti si interpreta,


in analogia alle forze gravitazionali ed
elettriche, come azione del campo
magnetico generato da un magnete
sull’altro magnete.

In particolare un ago magnetico, libero di


ruotare, assume in ogni punto di un campo
magnetico una ben determinata posizione di
equilibrio, coincidente con quella in cui il
momento della coppia di forze agenti sui
poli è nullo; attribuiamo al campo magnetico
il verso Sud-Nord dello stesso ago.

Si noti inoltre che le linee di forza del campo


magnetico sono chiuse e che il campo
magnetico al contrario di quello elettrico
non è conservativo.

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7.27. Campo magnetico delle correnti


Per molti secoli il magnetismo rimase separato dallo studio dei fenomeni elettrici. La svolta
che avvicinò il magnetismo all’elettricità avvenne tra il 1819 e il 1820, per opera di H.C.
Oersted (1777-1851), professore di fisica presso l’Università di Copenaghen.
Hans Cristian Oersted convinto che le forze naturali avessero tutte un origine elettrica,
previde un legame tra fenomeni elettrici e magnetici.

Ciò fu confermato dalla sua più famosa scoperta il 21 luglio


1820. Egli infatti si accorse che un ago magnetico, posto al
di sotto di un filo conduttore parallelamente a questo, si
disponeva perpendicolarmente se il filo era percorso da una
corrente sufficientemente intensa. Inoltre il verso di
deviazione dell’ago dipendeva da quello della corrente
essendo concorde con esso.

Consideriamo ora un conduttore di lunghezza l percorso da una corrente di intensità i


immerso in un campo magnetico generato da un magnete.
Aprendo la mano destra e tenendo il pollice perpendicolare alle altre dita si dispongono queste
ultime secondo le linee di forza del campo magnetico e il pollice secondo il verso della
corrente.
In queste condizioni la forza agente sul conduttore percorso da corrente ha il verso della
perpendicolare uscente dal palmo della mano.

Per un fissato campo magnetico, si trova che il modulo della forza F è direttamente
proporzionale alla lunghezza l del conduttore e all’intensità i di corrente, nonché all’angolo
formato dalla corrente e dal campo.

Detta B una costante di proporzionalità si ha:

F  Bil sin 

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e per α = 90° si ha:

F  Bil
Il campo magnetico viene descritto (in direzione, modulo e verso) tramite il vettore B detto
induzione magnetica e talvolta campo magnetico.

Il vettore B ha:
 direzione di un ago magnetico (libero di ruotare) nella posizione di equilibrio assunta in
quel punto;

 verso coincidente con quello Sud-Nord dello stesso ago;

 modulo pari a:
F
B 
il

Consideriamo ora due fili percorsi da una corrente elettrica. Dette i1 ed i2 le intensità di
corrente in due conduttori rettilinei paralleli di lunghezza l posti ad una distanza d si esercita
una forza attrattiva per correnti concordi e repulsiva per correnti discordi.
Sperimentalmente la forza F d’interazione (detta K una costante di proporzionalità) è:

i1i2
F K l
d
Ovvero:
 0 i1i2
F  l
2 d
Al termine  0 si da il nome di permeabilità magnetica il cui valore è: 4π·10-7 N/A2.

Si può dimostrare che tra due fili paralleli percorsi da una corrente di 1 A posti ad una
distanza di 1 m, si esercita una forza di 2·10-7 N.

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7.28. Campo magnetico generato da un filo


La legge di Biot-Savart afferma che un filo rettilineo percorso da una
corrente elettrica i genera un vettore campo magnetico che ad una
distanza r dal filo è pari a:

0 i
B 
2 r

7.29. Campo magnetico generato da una spira


L’induzione magnetica generata da una spira
percorsa da corrente elettrica nei punti
dell’asse è ortogonale al piano della spira e
raggiunge il valore massimo nel centro della
spira in cui è pari a:

 0i
B
2R

7.30. Campo magnetico generato da un solenoide


All’interno di un solenoide il campo è
praticamente uniforme.
Indicando con N il numero totale delle spire e
con l la lunghezza del solenoide, si osserva che
nella regione del campo uniforme l’induzione
magnetica è:

0 Ni
B
l

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7.31. Materiali: proprietà magnetiche


Alcuni materiali, come il ferro, si smagnetizzano non appena la corrente cessa, altri, come
l'acciaio (lega di ferro e carbonio), mantengono una magnetizzazione residua.
Il ferromagnetismo può essere inquadrato come un caso speciale ed evidente del più generale
fenomeno di paramagnetismo che riguarda la capacità di molte sostanze di rafforzare, sia
pure più debolmente, i campi magnetici.

In termini più generali le sostanze, da un punto di vista delle loro proprietà magnetiche si
possono classificare in:

 Diamagnetiche: sostanze che provocano una leggera diminuzione del modulo del
vettore campo magnetico: B = μr B0 dove μr è leggermente minore dell’unità.
(Ex: argento, rame, acqua, etc.).

 Paramagnetiche: sostanze che provocano un leggero aumento del modulo del vettore
campo magnetico: B = μr B0 dove μr è leggermente maggiore dell’unità.
(Ex: platino, aria, alluminio, etc.).

 Ferromagnetiche: sostanze che provocano un forte aumento del modulo del vettore
campo magnetico: B = μr B0 dove μr molto maggiore dell’unità.
(Ex: ferro, nichel, cobalto, etc.).

7.32. Forza di Lorentz


Su una carica q in moto con velocità v rispetto ad un campo magnetico B agisce una forza
detta forza di Lorentz pari a:
  
F  qv  B
Indicando con α l’angolo formato dal vettore velocità con il campo magnetico B, il modulo
della forza F agente sulla carica q è:

F  qvB sin 
Se una carica elettrica attraversa un campo magnetico costante con velocità uniforme in
modulo ossia taglia perpendicolarmente le linee di campo magnetico, risente della forza di
Lorentz, centripeta qvB=mv2/r, che costringe la carica a muoversi di moto circolare
uniforme descrivendo una circonferenza di raggio: r = mv/qB.

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 1. GRANDEZZE FISICHE………………………………………………………………1
1.1. Generalità................................................................................................................1
1.2. Grandezze fisiche....................................................................................................2
1.3. Sistemi di unità di misura .......................................................................................2
1.4. Notazione scientifica...............................................................................................3
 2. GRANDEZZE SCALARI E VETTORIALI…………………………………………..6
2.1. Generalità................................................................................................................6
2.2. Somma e proprietà della somma vettoriale.............................................................7
2.3. Prodotto di un vettore per uno scalare ....................................................................7
2.4. Vettori e piano cartesiano .......................................................................................8
2.5. Prodotto scalare.......................................................................................................8
2.6. Prodotto vettoriale...................................................................................................9
 3. CINEMATICA……………………………………………………………………….10
3.1. Generalità..............................................................................................................10
3.2. Velocità media e velocità istantanea.....................................................................12
3.3. Tipologia di moto rettilineo ..................................................................................14
3.4. Moto rettilineo uniforme.......................................................................................14
3.5. Accelerazione........................................................................................................16
3.6. Moto uniformemente accelerato ...........................................................................17
3.7. Caduta libera di un grave ......................................................................................18
3.8. Gittata di un proiettile ...........................................................................................21
3.9. Moto circolare uniforme .......................................................................................23
3.10. Moto armonico......................................................................................................26
 4. DINAMICA…………………………………………………………………………..27
4.1. Generalità..............................................................................................................27
4.2. Forze .....................................................................................................................27
4.3. 1° principio della dinamica o principio d'inerzia..................................................28
4.4. Sistemi di riferimento Inerziali e non Inerziali.....................................................28
4.5. 2° principio della dinamica ...................................................................................28
4.6. Azione e reazione: la terza legge della dinamica..................................................29
4.7. La forza peso.........................................................................................................30
4.8. Forza centripeta e forza centrifuga .......................................................................30
4.9. Un metodo per risolvere i problemi ......................................................................31
4.10. Legge di gravitazione universale ..........................................................................32
4.11. Leggi di Keplero ...................................................................................................33
4.12. Lavoro...................................................................................................................33
4.13. Potenza..................................................................................................................34
4.14. Energia ..................................................................................................................34
4.15. Molla in oscillazione attorno ad un punto di equilibrio........................................35
4.16. Quantità di moto ...................................................................................................36
4.17. Momento di una forza...........................................................................................36
4.18. Leve ......................................................................................................................37
 5. MECCANICA DEI FLUIDI………………………………………………………….41
5.1. Generalità..............................................................................................................41
5.2. Stati di aggregazione della materia.......................................................................41
5.3. Densità ..................................................................................................................42
5.4. Peso specifico .......................................................................................................42

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5.5. Pressione ...............................................................................................................43


5.6. Legge di Pascal .....................................................................................................44
5.7. Legge di Stevino ...................................................................................................44
5.8. Principio dei vasi comunicanti..............................................................................44
5.9. Il principio di Archimede......................................................................................45
5.10. Legge di Torricelli ................................................................................................47
5.11. Fluidi in movimento..............................................................................................48
5.12. Portata di un fluido in movimento ........................................................................48
5.13. Equazione di continuità ........................................................................................48
5.14. Equazione di Bernoulli .........................................................................................49
5.15. Fluidi reali.............................................................................................................49
 6. TERMODINAMICA…………………………………………………………………50
6.1. Generalità..............................................................................................................50
6.2. Temperatura ..........................................................................................................50
6.3. Scale di temperatura..............................................................................................51
6.4. Dilatazione termica ...............................................................................................52
6.5. Calore e sua misura...............................................................................................53
6.6. Propagazione del calore ........................................................................................54
6.7. Scambi di energia e materia..................................................................................55
6.8. Leggi dei gas.........................................................................................................56
6.9. Equazione di stato dei gas perfetti ........................................................................58
6.10. Legge di Dalton ....................................................................................................60
6.11. Teoria cinetica dei gas perfetti..............................................................................60
6.12. Passaggi di stato....................................................................................................61
6.13. Primo principio della termodinamica ...................................................................62
6.14. Trasformazioni termodinamiche...........................................................................63
6.15. Macchine termiche................................................................................................65
6.16. Ciclo di Carnot......................................................................................................66
6.17. Secondo principio della termodinamica ...............................................................67
6.18. Entropia.................................................................................................................67
 7. ELETTROMAGNETISMO………………………………………………………….68
7.1. Generalità..............................................................................................................68
7.2. Cariche elettriche ..................................................................................................68
7.3. Elettrizzazione dei corpi .......................................................................................69
7.4. Principio di conservazione della carica ................................................................71
7.5. Legge di Coulomb ................................................................................................71
7.6. Campo elettrico.....................................................................................................72
7.7. Flusso del campo elettrico ....................................................................................73
7.8. Teorema di Gauss .................................................................................................74
7.9. Energia potenziale elettrica...................................................................................74
7.10. Elettronvolt ...........................................................................................................75
7.11. La circuitazione del campo elettrico.....................................................................75
7.12. Potenziale elettrico................................................................................................75
7.13. Superfici equipotenziali ........................................................................................76
7.14. Teorema di Coulomb ............................................................................................77
7.15. Capacità elettrica...................................................................................................77
7.16. Condensatori .........................................................................................................78
7.17. Corrente elettrica...................................................................................................80

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7.18. Strumenti di misura: amperometro e voltmetro....................................................81


7.19. Prima legge di Ohm ..............................................................................................81
7.20. Seconda legge di Ohm ..........................................................................................82
7.21. Prima e seconda legge di Kirchhoff......................................................................82
7.22. Resistenze in serie e in parallelo...........................................................................83
7.23. Simboli circuitali...................................................................................................84
7.24. Lavoro e potenza della corrente elettrica..............................................................85
7.25. Effetto Joule..........................................................................................................85
7.26. Il campo magnetico...............................................................................................86
7.27. Campo magnetico delle correnti ...........................................................................87
7.28. Campo magnetico generato da un filo ..................................................................89
7.29. Campo magnetico generato da una spira ..............................................................89
7.30. Campo magnetico generato da un solenoide ........................................................89
7.31. Materiali: proprietà magnetiche............................................................................90
7.32. Forza di Lorentz....................................................................................................90

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