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DISPENSE CORSO PEDAGOGIA E DIDATTICA

DELL’INCLUSIONE Prof. Valenti

DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO

I Disturbi Specifici dell’Apprendimento, meglio conosciuti con l’acronimo (DSA) sono disturbi
delle abilità scolastiche che riguardano difficoltà specifiche nella lettura, nella scrittura e nel calcolo
in presenza di una intelligenza nella norma (Stella, 2004). In base a quanto stabilito dall’ultima
Consensus Conference (2011) i disturbi specifici di apprendimento interessano la condizione clinica
evolutiva delle difficoltà in lettura, scrittura e calcolo che si manifestano all’inizio della
scolarizzazione; vengono, quindi, escluse tutte le patologie di apprendimento acquisite. Sulla base
del deficit funzionale vengono comunemente distinte le seguenti condizioni cliniche: dislessia, cioè
disturbo nella lettura (intesa come abilità di decodifica del testo) disortografia, cioè disturbo nella
scrittura (intesa come abilità di codifica fonografica e competenza ortografica) disgrafia, cioè
disturbo nella grafia (intesa come abilità grafo-motoria), discalculia, cioè disturbo nelle abilità di
numero e di calcolo (intese come capacità di comprendere e operare con i numeri).
Le disfunzioni neurobiologiche alla base dei disturbi interferiscono con il normale processo di
acquisizione della lettura, della scrittura e del calcolo. I fattori ambientali - rappresentati dalla
scuola, dall’ambiente familiare e dal contesto sociale - si intrecciano con quelli neurobiologici e
contribuiscono a determinare il fenotipo del disturbo e un maggiore o minore disadattamento. Il
DSA è un disturbo cronico, la cui espressività si modifica in relazione all’età e alle richieste
ambientali: si manifesta cioè con caratteristiche diverse nel corso dell’età evolutiva e delle fasi di
apprendimento scolastico1 .
La principale caratteristica che permette di definire questa categoria è quella della “specificità”; si
tratta cioè di disturbi che interessano uno specifico dominio di abilità in modo significativo ma
circoscritto, lasciando intatto il funzionamento intellettivo. Per stabilire la presenza di DSA si
utilizza generalmente il criterio della “discrepanza”: esso consiste in uno scarto significativo tra le
abilità intellettive (Quoziente Intellettivo nella norma, QI >85) e le abilità nel dominio specifico
interessato (scrittura, lettura e calcolo). Per quanto riguarda il criterio della discrepanza, la
Consensus Conference (2011) raccomanda, ai fini della diagnosi di DSA, di considerare con
maggiore flessibilità il criterio della discrepanza rispetto al QI.
I bambini con DSA, quindi, nonostante un quoziente intellettivo nella norma, non automatizzano gli
apprendimenti relativi alla lettura, alla scrittura e al calcolo, e questo comporta un carico maggiore
di fatica durante lo studio. È necessario, altresì, che questi disturbi abbiano carattere “evolutivo” e
presentino diversa espressività nelle diverse fasi evolutive delle abilità interessate. Spesso i DSA si
presentano in comorbilità con altri disturbi, e questa condizione contribuisce alla marcata
eterogeneità dei profili funzionali e di espressività con cui si manifestano.
Gli studenti con DSA possono avere difficoltà nel memorizzare i giorni della settimana, l’ordine dei
mesi; spesso non ricordano la loro data di nascita, il Natale, le stagioni; a volte confondono la destra
con la sinistra; possono avere difficoltà nell’organizzazione del tempo; possono manifestare
difficoltà nel sapere che ore sono e nel leggere l’orologio. Possono mostrare alcune difficoltà fino-
1
Consensus Conference, 2011, p. 7
motorie, come allacciarsi le scarpe o i bottoni; possono evidenziare problemi di attenzione e di
concentrazione. Generalmente hanno problemi di memoria a breve termine.
Circa l’80% dei bambini con problemi di apprendimento presentano anche problematiche di tipo
relazionale: possono essere bambini più facilmente rifiutati dagli altri compagni, presentano minore
adattamento sociale ed emotivo, maggiore ansia, ritiro in se stessi, in qualche caso depressione,
spesso bassa autostima.2
Per la classificazione dei DSA si fa riferimento all’ICD 10 (F 81 Disturbi evolutivi specifici delle
abilità scolastiche) e al DSM 5(315 Disturbo Specifico dell’Apprendimento).
Nell’ultima versione del DSM (DSM-5, APA 2013) le difficoltà di lettura, scrittura e calcolo
rappresentano dei sottotipi dello stesso problema e non più patologie autonome. Inoltre, all’interno
della nuova versione vengono considerate anche le problematiche che interessano il ragionamento
matematico, la comprensione del testo e l’espressione scritta. Ciò rappresenta un superamento
rispetto a quanto previsto dalla Legge 170/2010 che riconosce la dislessia, la disortografia, la
disgrafia e la discalculia come Disturbi Specifici dell’Apprendimento, prestando particolare
attenzione alle abilità strumentali (lettura, scrittura e calcolo). Secondo la nuova versione, del
manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, un bambino con difficoltà nella comprensione
del test, nel ragionamento aritmetico e nell’espressione scritta può rientrare nel Disturbo Specifico
dell’Apprendimento rispettivamente con compromissione della lettura, del calcolo e
dell’espressione scritta. Altro elemento di novità introdotto dal DSM-5 è la definizione di tre livelli
di gravità del disturbo, nello specifico:
 Lieve: Alcune difficoltà nella capacità di apprendimento in uno o due ambiti scolastici, ma
di gravità sufficientemente lieve da rendere l’individuo in grado di comprendere o di
funzionare bene se fornito di facilitazioni e servizi di sostegno appropriati, in particolare
durante gli anni scolastici;
 Moderato: marcate difficoltà nelle capacità di apprendimento in uno o due ambiti scolastici,
tali che l’individuo difficilmente può sviluppare competenze senza momenti di
insegnamento intensivo e specializzato durante gli anni scolastici. Per completare le attività
con precisione ed efficienza possono essere necessarie facilitazioni e servizi di sostegno
almeno in una parte della giornata a scuola, sul posto di lavoro o a casa;
 Grave: gravi difficoltà nelle capacità di apprendimento, che coinvolgono diversi ambiti
scolastici, tali che l’individuo difficilmente apprende tali abilità senza un insegnamento
continuativo, intensivo, personalizzato e specializzato per la maggior parte degli anni
scolastici. Anche con una gamma di facilitazioni o servizi appropriati a casa, a scuola o sul
posto di lavoro, l’individuo può non essere in grado di completare tutte le attività in modo
efficiente.

I disturbi della lettura: Dislessia Evolutiva

Con il termine “Dislessia Evolutiva” si intende uno specifico disturbo nell’automatizzazione


funzionale dell’abilità di lettura strumentale (decifrativa). La mancanza automatizzazione si può
manifestare in 2 aspetti:
 Eccessiva lentezza nella lettura;

2
Searcy S., Developing self-esteem, in Academic Therapy, voi. 23 (5), 1988
 Presenza di un elevato numero di errori.
Nell’ambito della letteratura internazionale inoltre, vari studi hanno evidenziato, accanto al profilo
della dislessia intesa come disturbo specifico della decodifica, anche l’accezione di disturbi della
comprensione del testo scritto indipendenti sia dai disturbi di comprensione da ascolto che dagli
stessi disturbi di decodifica3.
Nella classificazione formulata dal DSM 5 (2013), il disturbo di lettura può riguardare sia le
componenti di decodifica, intesi come velocità e accuratezza di lettura, sia gli aspetti di
comprensione del testo scritto. Se anche solo una di queste componenti appare compromessa è
possibile porre diagnosi di Dislessia Evolutiva (DE).
Anche se è vero che l’apprendimento della lettura implica anche la capacità di comprensione di
quanto letto, è prassi comune riferirsi al termine dislessia quando si vuole evidenziare un deficit a
livello di decodifica, cioè di lettura strumentale, mentre nei casi in cui il problema riguarda
unicamente la capacità di comprensione, si preferisce far riferimento al termine di disturbo specifico
(o difficoltà) della comprensione del testo.
La DE è un disturbo specifico in quanto si presenta isolato rispetto alle altre prestazioni cognitive
che si mantengono preservate, nonostante un’istruzione idonea, un’intelligenza adeguata e un
ambiente socio-culturalmente favorevole. La sua origine sembrerebbe essere di tipo costituzionale,
in quanto è presente in soggetti senza lesioni cerebrali clinicamente evidenziabili. È presente sin
dalla nascita, anche se le sue manifestazioni diventano evidenti con la scolarizzazione, nel momento
in cui le richieste contestuali implicano la messa in gioco delle abilità strumentali della lettura. Si
differenzia quindi dalla dislessia acquisita (da ora DA) che indica invece l’incapacità di lettura
come disturbo insorto in seguito ad un danno cerebrale.
Negli ultimi anni si è assistito in Italia ad un incremento dell’interesse nei confronti della diagnosi e
della ricerca relativa ai Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) anche nell’età adulta. Ciò è
attribuibile non solo al numero crescente di richieste di valutazione diagnostica per persone di età
superiore ai 18 anni, ma anche alla consapevolezza che i DSA permangono per tutta la vita. La
persistenza di queste difficoltà molto spesso può influire non solo sulle scelte universitarie ma
anche su quelle occupazionali. Infatti, sebbene la dislessia e gli altri disturbi specifici
dell’apprendimento spesso si compensino, il substrato neurobiologico non scompare e alcune
difficoltà sono osservabili anche in età adulta.
In uno studio condotto da Tressoldi, Stella e Fraggella (2001) è stato dimostrato che i bambini con
dislessia aumentano, durante ogni anno scolastico, la loro velocità di lettura di circa la metà rispetto
ai normolettori, nei quali si riscontra un incremento medio pari a 0.5 sillabe l’anno durante la
scolarizzazione dell’obbligo (Tressoldi,1996; Stella e Tintoni, 2007, Cornoldi e Candela, 2015).
Questo dato implica che il divario tra studenti normolettori e con dislessia aumenta sempre di più
con il passare degli anni. Nei giovani adulti con dislessia si osserva un miglioramento nella
correttezza di decodifica che si avvicina ai valori normativi della popolazione, mentre permangono
difficoltà a livello di velocità e automatizzazione (Martino et al., 2011).
La DE è un disturbo che si presenta alla nascita ma che permane per tutto l’arco della vita, anche se
assume diversi gradi di espressività a seconda della gravità, delle caratteristiche cognitive del
soggetto e delle opportunità educative e relazionali che questo riceve. Riguardo all’età minima in
cui è possibile effettuare la diagnosi essa dovrebbe coincidere con il completamento del secondo

3
Raccomandazioni Cliniche Consensus Conference, 2011, pp 5-6.
anno della scuola primaria, dal momento che questa età coincide con il completamento del ciclo
dell’istruzione formale del codice scritto (ISS, 2011). Tuttavia, è possibile formulare un’ipotesi
diagnostica già alla fine del primo anno d’istruzione primaria, questo per quei bambini che
mostrano dei profili di funzionamento molto compromessi e in presenza di una condizione di
rischio, come ad esempio un pregresso disturbo del linguaggio o familiarità con il disturbo (AID,
2009).
La DE include spesso anche i disturbi della scrittura (disgrafia e disortografia) e i disturbi del codice
numerico e del calcolo (discalculia), dal momento che spesso c’è una situazione di comorbilità con i
disturbi in queste tre aree.
Le principali prove che vengono utilizzate per la diagnosi di dislessia sono:
 le prove MT- 2 per la scuola primaria di Cornoldi e Colpo (2011), che includono sia prove
di lettura di brano sia prove di comprensione. La prova di lettura di brano valuta il livello di
automatismo della lettura, risulta essere una prova ecologica in quanto normalmente ci
troviamo in situazioni in cui leggiamo parole all’interno di un contesto semantico e
difficilmente parole isolate.
 Lettura di una lista isolata di parole e “non parole” (DDE-2, Sartori et al., 2007), queste due
prove valutano meccanismi diversi di lettura. La prima, lettura di una lista di parole, valuta il
livello di automatismo della lettura, “lettura lessicale”. Questa prova mette in luce
meccanismi di lettura diversi rispetto a quelli adottati nella lettura di brano, perché in questo
caso (lettura di parole isolate) il soggetto non può aiutarsi attraverso facilitazioni semantiche
derivanti dal contesto. La seconda prova, invece, valuta la cosiddetta lettura fonologica,
ossia la conversione grafema-fonema.
In letteratura sono presenti diverse prove, anche ad uso dell’insegnante, per valutare i prerequisiti
della lettoscrittura, ad esempio:

 PRCR-2 (Cornoldi et al., 2009) Prove di Prerequisito per la Diagnosi delle Difficoltà di
Lettura e Scrittura
 SPEED (Savelli et al., 2016) Test per l'identificazione precoce delle difficoltà di
apprendimento della letto-scrittura nella scuola dell'infanzia.

• Modelli di lettura
Approccio neuropsicologico
Verso gli anni Settanta alcuni ricercatori impegnati nel campo della psicologia e della
neuropsicologia cognitiva (Marshall, Newcombe, 1973) cominciarono a ridefinire lo studio dei
disturbi di lettura e a delineare dei modelli dei processi normali adulti e una tassonomia dei disturbi
derivabile dal modello. Tali ricerche hanno aperto la strada ad una grande quantità di ricerche che,
sulla base dei dati clinico-sperimentali che si venivano accumulando, hanno reso necessaria una
continua revisione del modello “standard” fino alla versione definita del doppio accesso (Sartori,
1984; Sartori e Job, 1983) o dual-route model (Colthear,1978). Questo modello, chiamato a “due
vie”, proviene dagli studi di neuropsicologia dell’adulto con dislessia acquisita.
Secondo questo modello il buon lettore utilizzerebbe almeno due strategie di lettura: una strategia
cosiddetta dell’accesso diretto (o via lessicale) attraverso la quale il soggetto riconosce globalmente
la parola e la pronuncia dopo averla riconosciuta e richiamata dal suo magazzino lessicale, e una
seconda strategia cosiddetta dell’accesso indiretto (o via fonologica) che richiede l’analisi delle
singole sub-unità che costituiscono la parola (lettere o sillabe)4.
La caratteristica fondamentale di questo modello è di basarsi su una concezione della mente e dei
processi cognitivi di tipo “modulare”; un’architettura mentale così strutturata ipotizza l’esistenza di
sistemi funzionali specializzati nell’elaborazione dell’informazione ai diversi stadi di un processo
complesso, come ad esempio il leggere e lo scrivere. Sul piano clinico ne deriva che la “rottura” di
un modulo dà luogo ad effetti “trasparenti” e prevedibili, dovuti all’unicità delle funzioni che esso
svolge.
Il modello di lettura e di scrittura proposto da Colthear si fonda sull’assunto che una parola o una
non- parola, prima di poter essere letta, deve essere analizzata nelle sue componenti strutturali: ciò
avviene nello stadio denominato analisi visiva.
In questo stadio la parola viene rappresentata in forma iconica in un magazzino di memoria a
brevissimo termine per un tempo di circa 250 ms (Sperling, 1980), necessario all’esecuzione di
diversi tipi di elaborazione dell’informazione visiva (la parola scritta), ognuno compiuto da un
modulo specializzato per un dato tipo di computazione (l’identificazione della parola, il numero
delle lettere che la compongono, il loro ordine posizionale, la loro identità). Ognuno di questi
moduli lavora in parallelo agli altri ed elabora l’informazione per cui è specializzato,
contemporaneamente agli altri.
Dopo che una parola è stata analizzata a più livelli simultaneamente nella sua forma visiva, le
informazioni estratte servono come input per due possibili tipi di elaborazioni tra loro indipendenti:
 da un lato possono essere utilizzate per i processi di ricerca all’interno del lessico
ortografico di input. Secondo l’ipotesi definitiva dei Logogen di Morton del 1969, il
risultato dell’analisi ortografica viene confrontato con le voci ortograficamente simili
presenti nel magazzino e viene fissata una soglia di riconoscimento oltre la quale la parola
viene riconosciuta;
 dall’altro lato possono essere utilizzate per i processi di transcodifica o conversione
grafema-fonema, in cui ad ogni dato valore grafemico, a partire da sinistra verso destra,
viene assegnato il corrispondente valore fonetico.

Nella via lessicale la parola, che è stata riconosciuta all’interno del lessico ortografico di input,
passa al sistema semantico, cioè ad un magazzino a lungo termine in cui ogni parola è associata a
un significato o più significati nel caso di polisemia.

4
Sabbadini , Criteri per la valutazione dei disturbi del linguaggio, In G. Sabbadini (a cura di), Manuale di
Neuropsicologia dell’Età Evolutiva, Bologna, Zanichelli, 1995, p. 418
Figura 1 Modello a due vie di Lettura e Scrittura (Coltheart, 1987). In blu è indicata la via
semantico-lessicale, in rosso la via fonologica e in verde la via lessicale non semantica.

Dopo l’estrazione del significato della parola dal sistema semantico, questo viene utilizzato come
input per iniziare un processo di ricerca all’interno del lessico fonologico in uscita, che è un altro
magazzino a lungo termine o “dizionario” in cui le parole sono immagazzinate nella loro forma
verbale o, più precisamente, fonologica.
Lo stadio successivo indicato come buffer fonemico di risposta, prevede che la struttura fonologica
della parola sia trasformata in un codice fono-articolatorio che preluda alla sua emissione verbale e
che è anche il risultato finale in cui la parola è letta.
Nella via fonologica l’assemblaggio della struttura fonologica della parola, che poi sarà passata al
buffer fonemico di risposta per essere pronunciata verbalmente, avviene in maniera sequenziale con
la trasposizione progressiva dei segmenti grafemici nelle corrispondenti unità fonetiche. Questo
stadio implica che i vari segmenti fonetici siano mantenuti in una memoria fonologica a breve
termine che rende possibile la loro successiva sintesi/fusione fonemica a prescindere dagli aspetti
semantici.
La via di lettura lessicale è utilizzabile solo per le parole di cui il soggetto ha appreso, in passato,
l’ortografia ed è necessaria per leggere correttamente parole a ortografia irregolare e per
comprendere le omofone, mentre la via di lettura fonologica consente di leggere parole con
ortografia regolare già note, ma anche nuove (mai lette prima), ed è necessaria per la lettura di non-
parole
Numerose sono state le ricerche volte a indagare l’effettiva plausibilità del modello a due vie,
ovvero se veramente esista una separazione tra via visivo-lessicale e via fonologica. È mai possibile
che una codifica grafema/fonema non conduca all’accesso lessicale (e al suo contenuto semantico) e
viceversa che una lettura visivo-lessicale non abbia anche una codifica ortografia-fonologia? La
lingua italiana si presta facilmente ad una simile spiegazione ricorrendo per esempio alle parole con
accentazione “atipica”, e cioè sulla prima sillaba (TÀVOLO o ÀLBERO) oppure con accento
“tipico” e cioè sulla seconda sillaba (COPÈRTA o INVÈRNO). L’ipotesi è che le parole con
accento atipico richiedano una lettura visivo-lessicale, poiché la loro pronuncia può essere ricavata
solo per mezzo di un accesso lessicale e non ricostruita attraverso una conversione grafema/fonema.
A sostegno dell’ipotesi di una indipendenza fra le due vie gli studiosi argomentano che l’attivazione
di un codice fonologico si verifica nella lettura soltanto in alcuni casi, e cioè quando la stringa
ortografica non riesce ad attivare velocemente nessuna memoria lessicale, per esempio di fronte a
parole a bassa frequenza d’uso. Diversamente si utilizzerebbe un’elaborazione soltanto ortografica
(o lessicale), in cui il riconoscimento di lettere conduce direttamente all’attivazione di parole nel
lessico.

• Sottotipi di dislessia
Al modello di lettura a due vie corrispondono due sottotipi di dislessia: una dislessia fonologica e
una dislessia lessicale.
Si ha dislessia fonologica o sub-lessicale quando le difficoltà riguardano le regole di conversione
grafema- fonema: il soggetto compie molti più errori come sostituzioni, omissioni e intrusioni,
maggiori difficoltà nella lettura di non-parole (parole prive di senso nella lingua italiana) e di parole
nuove.
La dislessia superficiale o morfologico- lessicale è invece caratterizzata da prestazioni migliori con
parole senza senso e con la lettura di parole regolari rispetto a quelle irregolari e con le omofone
non omografe.
La dislessia mista, molto frequente, è caratterizzata dai sintomi tipici di entrambe le categorie
precedenti, cioè difficoltà sia nella lettura di parole irregolari che di non-parole.
Sulla base di quanto stabilito dal modello formulato da Coltheart, l’autore ipotizza che i disturbi di
sviluppo della lettura siano attribuibili al mancato o deficitario sviluppo dell’una o dell’altra
procedura; da questo ne deriva che si dovrebbero incontrare forme di dislessia evolutiva analoghe a
quelle descritte nelle dislessie acquisite (DA) dell’adulto. Di fatto però, i profili ritrovati negli adulti
con danno acquisito non si ritrovano nei bambini con DE, e questo confermerebbe la specificità
delle DE rispetto alle DA. L’ipotesi della dissociazione delle due vie trova conferma nel caso di
bambini dislessici di lingua inglese (o comunque nei casi di lingue con ortografia “opaca”), ma lo
stesso non è dimostrabile nei casi di DE di lingua italiana o tedesca (con ortografia “trasparente”, e
cioè con una corrispondenza molto più lineare fra grafema e fonema). Nella lingua inglese, infatti,
la via lessicale è indispensabile fin dall’inizio per imparare a pronunciare le parole, dato il
discostamento a volte estremo fra forma grafica ed espressione fonemica (ENOUGH= i’n§f).
Nell’ortografia italiana la via lessicale può essere attivata successivamente, come risultato
dell’automatizzazione dei processi di codifica fonologica più ricorrenti e quindi è difficilmente
separabile dalla via fonologica, poiché deriva da essa. L’automatizzazione, dei processi di codifica,
tra l’altro avviene in tempi abbastanza brevi, e persino i dislessici italiani, pur non raggiungendo
mai un’efficienza uguale a quella dei pari livello scolastico, hanno una prestazione nettamente
superiore rispetto a quella dei bambini americani comparati per età, per Q.I. e per coefficiente di
lettura. Sulla base di questi dati, c’è addirittura chi ipotizza che, data la natura del nostro sistema
ortografico (con ortografia “trasparente”), non si potrebbero trovare dislessie fonologiche pure, ma
solo dislessie superficiali o miste5. Tale modello, nato e sviluppato nell’ambito della
neuropsicologia dell’adulto, ha dimostrato un buon funzionamento nella spiegazione delle dislessie

5
Tressoldi P.E., I disturbi strumentali di lettura e scrittura, in Cornoldi C. (a cura di), I disturbi dell’apprendimento.
Aspetti psicologici e neuropsicologici, Il Mulino, Bologna, 1991, p. 358
acquisite, ma la sua applicabilità alla dislessia evolutiva finora è stata solo parzialmente dimostrata
ed è oggetto di controversie. Inoltre, studi condotti con bambini con dislessia hanno evidenziato che
i disturbi che sembrano interessare la processazione diretta della parola si ritrovano in bambini di
età superiore ai 10 anni, quindi solo nello studio di questi casi risulta utile fare riferimento al
modello a due vie, per gli alunni di età inferiore sembrano essere più appropriati modelli evolutivi
(Frith, 1985)

• Modelli di apprendimento della lettura


Di notevole impatto sulle ricerche sono poi i modelli evolutivi cosiddetti stadiali, sempre di matrice
cognitivista, in base ai quali l’acquisizione della lingua scritta avverrebbe per stadi ben precisi e per
procedure abbastanza simili fra le varie lingue. Fra i modelli maggiormente accreditati, ricordiamo
il modello evolutivo per l’apprendimento dell’abilità di lettura e scrittura di Uta Frith (1985).
L’apprendimento avverrebbe attraverso una serie di stadi, relativamente indipendenti, che
procedono secondo un ordine sequenziale (il passaggio a una fase successiva è possibile solo se
sono acquisite le conoscenze proprie dello stadio precedente). Secondo questo modello il deficit di
lettura e scrittura è attribuibile ad un arresto in una particolare fase di sviluppo, con conseguente
incapacità di sviluppare la strategia successiva. Ciascuna fase sarebbe caratterizzata
dall’acquisizione di nuove procedure e dall’automatizzazione sempre maggiore delle procedure già
acquisite. Queste fasi di apprendimento della lingua scritta avverrebbero in maniera parallela sia
nella lettura che nella scrittura, poiché i primi apprendimenti della lettura sono inseparabili
dall’attività dello scrivere; attraverso la scrittura infatti, il bambino costruisce le prime idee sul
funzionamento della lingua scritta e attraverso di essa si stabiliscono le prime conoscenze sulle
lettere e sulla loro pronuncia.
Nella prima fase, definita logografica (o pre-fonetica, coincide solitamente con l’età prescolare), il
bambino riconosce e legge alcune parole in modo globale e generale, perché contengono delle
lettere o degli elementi che ha imparato a riconoscere. Tratta le parole come se fossero immagini
(configurazione visiva globale). Se ad esempio si presenta una parola in una forma diversa da quella
appresa dal bambino, quest’ultimo non sarà più in grado di riconoscerla. Questa fase non prevede
la conoscenza e l’applicazione del sistema alfabetico e non sarebbe basata sul suono. In questo
stadio il riconoscimento di parole sarebbe molto dipendente dal contesto (es. la scritta PEPSI viene
riconosciuta quando è presentata nel suo contesto abituale, e cioè su una bottiglia, ma non quando
viene presentata su un contesto neutro, come un cartoncino)6. All’interno di questo stadio si verifica
lo sviluppo dei requisiti minimi per l’avvio della lettura prima fonologica e poi lessicale, i cosiddetti
prerequisiti della letto-scrittura, quali: consapevolezza fonologica e analisi visiva. Per
consapevolezza fonologica si intende la capacità di riconoscere i singoli suoni che compongono la
parola. Quest’ultima capacità verrebbe acquisita in modo sequenziale e si struttura in livelli
gerarchici di competenza:
– livello della parola: indica la capacità del soggetto di identificare singole parole all’interno
della frase;
– livello della struttura delle sillabe: indica la capacità del soggetto di identificare parti della
parola, le sillabe e la loro struttura [all'inizio sono più facilmente identificabili quelle della

6
Orsolini M., Imparare a leggere, Pntecorvo C. (a cura di), Manuale di psicologia dell’educazione, Il Mulino, Bologna,
2000, p. 160
struttura consonante-vocale (ad esempio ta- nella parola tavolo), poi quelle dalla struttura
vocale-consonante (ad esempio al- nella parola albero)];
– livello dei suoni iniziali e finali della parola: indica la capacità, ad esempio, di riconoscere la
rima;
– livello del riconoscimento preciso del suono iniziale e finale della parola;
– livello del riconoscimento di tutti i singoli fonemi della parola. (Linee guida per il diritto
allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento, 2011).
Per analisi visiva invece si intende l’abilità di riconoscere le varie parti della parola (sillaba,
morfema, grafema ecc). Possiamo osservare nel soggetto con difficoltà nell’acquisizione di questa
abilità spostamenti di lettere all’interno della parola, inversione di lettere, ecc. (Vio et al., 2013)
Lo stadio successivo è caratterizzato dall’apprendimento della conversione segno-suono (grafema-
fonema/ fonema-grafema, fase alfabetica, 6-7 anni). Il passaggio dallo stadio logografico a quello
alfabetico avverrebbe attraverso la conoscenza del materiale alfabetico e con la messa in atto, da
parte del bambino di abilità rudimentali di segmentazione fonemica. Il bambino deve inizialmente
segmentare la stringa di lettere, attribuirle un suono e, infine, leggere la parola attraverso l’unione
delle singole parti che la compongono. Questa fase, caratterizzata dall’acquisizione della capacità di
conversione grafema/fonema, rappresenta lo stadio iniziale della lettura e della scrittura (per la
scrittura l’abilità fonologica corrisponde alla conversione fonema/grafema)
Con la terza fase, definita ortografica (8 anni in su), ci si avvia verso l’acquisizione di una
procedura lessicale diretta, che non implica la conversione fonologica; il processo di lettura diventa
più veloce ed economico, l’analisi non riguarda più i singoli grafemi, ma unità più lunghe (suffissi,
morfemi, ecc.)
L’ultima fase, detta lessicale, è quella che caratterizza il lettore esperto. Le parole vengono lette e
scritte senza trasformazioni parziali, ma in maniera diretta e globale. Il magazzino semantico del
bambino si amplia (si conoscono le strutture ortografiche delle parole note, la loro pronuncia, il loro
significato) e aumentano, infatti, il numero di parole lette con un’unica fissazione oculare.
Alla base di questo modello stadiale vi sarebbe l’ipotesi di una organizzazione gerarchica tra le
varie fasi; questo implica che lo sviluppo delle fasi più evolute dipende dall’efficienza di quelle più
primitive.
Leggere e scrivere parole in senso globale e generale
Fase logografica

Vi è una prima applicazione delle regole di


Fase alfabetica conversione foneme/grafema

Iniziano a instaurarsi associazioni nuove tra parti più


Fase ortografica
complesse come sillaba, suffissi e morfemi

Le parole vengono scritte senza trasformazioni


Fase lessicale
parziali, ma in maniera diretta e globale

Figura 2 Fasi di sviluppo secondo il modello di Uta Frith (1985)

Nel Modello Evolutivo, l’arresto ad una particolare fase di sviluppo comporta una difficoltà di
lettura, non consentendo al bambino l’accesso alla fase successiva. L’apprendimento tuttavia non si
interrompe, ma devia dal normale pattern evolutivo. Si potranno sviluppare pertanto delle strategie
compensative.
La classificazione delle dislessie basata su questo modello evolutivo stadiale ipotizza l’origine delle
diverse dislessie in punti differenti, a seconda del mancato raggiungimento di un livello adeguato:
• mista (M), ovvero quella più grave, caratterizzata da una difficoltà in entrambe le vie di lettura.
L’arresto avverrebbe all’inizio dello stadio alfabetico.
• fonologica (F), caratterizzata dalla difficoltà ad operare a livello dei singoli fonemi; il bambino
compie numerosi errori di tipo fonologico (inversioni, sostituzioni, omissioni, intrusioni, ecc.), il
bambino incontra maggiori difficoltà nella lettura di parole senza senso, rispetto a quelle irregolari,
omofone o meno frequenti. L’arresto dello sviluppo avverrebbe nello stadio alfabetico;
• superficiale (S) che si traduce in una lettura inefficiente delle parole irregolari e nella difficoltà a
discriminare parole omofone. Il bambino con questo sottotipo di dislessia commette maggiormente
errori di tipo visivo, come l’uso scorretto dell’apostrofo e la scrittura di parole slegate (“Sono an
dato a nuo tare in pi scina”) che riguardano le competenze ortografiche su base non fonologica
(come l’uso di c, q e cq, dell’h, ecc.); l’arresto dello sviluppo avverrebbe tra lo stadio ortografico e
quello lessicale7.

• Strumenti compensativi e dispensativi per bambini con DE


Rispetto alla messa in atto di tali strumenti è importante saper individuare le specifiche difficoltà e
punti di forza del singolo bambino con DE. Gli strumenti devono essere scelti in base ad un’attenta
analisi di ciò che potrebbe realmente facilitare e garantire il successo formativo di quel bambino
Tra gli strumenti compensativi si riportano quelli recentemente indicati da Stella e Grandi, (2011),
in quanto molto utili a livello operativo:
– Cambiare la grandezza del carattere, della spaziatura tra le lettere e parole;
– Libro digitale, Sintesi Vocale, Audiolibro;
– Associazione di immagini al testo;
– Mappe Concettuali.
Per gli strumenti dispensativi, valutando l’entità e il profilo della difficoltà, in ogni singolo caso, si
ritiene essenziale tener conto dei seguenti punti:
– Dispensa dalla lettura ad alta voce e memorizzazione delle tabelline;
– Programmazione di tempi più lunghi per lo studio a casa;
– Organizzazione di interrogazioni programmate;
– Valutazione delle prove scritte e orali con modalità che tengano conto del contenuto e non della
forma.

I Disturbi della Scrittura


La legge 170/2010, all’interno della categoria dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento, riconosce
due tipi di disturbi legati alla scrittura: Disortografia e Disgrafia. La disgrafia fa riferimento al
controllo degli aspetti grafici, formali, della scrittura manuale, ed è collegata al momento motorio-
esecutivo della prestazione; la disortografia riguarda invece l’utilizzo, in fase di scrittura, del codice
linguistico in quanto tale (Cornoldi, 2015). I due sistemi di classificazione più importanti al mondo,
l’ICD (International Classification of Diseases) e il DSM (Manuale diagnostico e statistico dei
disturbi mentali), menzionano una terza componente legata alla scrittura: “l’espressione scritta”
(realizzazione di frase e di testi) (Cornoldi, 2015). Nella revisione del 2007 dell’ICD-10, nella
sezione altri disturbi evolutivi delle abilità scolastiche, è stato inserito il disturbo dell’espressione
scritta [F 81.8], mantenendo il disturbo della compitazione (Disortografia) [F 81.1]; il DSM-5 che
già utilizzava questa categoria diagnostica nelle precedenti versioni del manuale, prevede questa
diagnosi come specifica difficoltà di produzione del testo (Vio et al.,2013).

 Disortografia evolutiva

L’apprendimento della scrittura è sempre stato considerato come un aspetto complementare o


secondario all’acquisizione delle abilità strumentali di lettura, infatti, è rara l’eventualità di un
disordine della scrittura isolato da difficoltà di lettura e/o da altri problemi di apprendimento.
La Disortografia Evolutiva è un deficit che riguarda la componente linguistica della scrittura. In
particolare, può essere definito come un “disordine di codifica del testo scritto, che viene fatto
risalire a un deficit di funzionamento delle componenti centrali del processo di scrittura,
responsabili della trascodifica del linguaggio orale nel linguaggio scritto” (MIUR, 2011).
Esso si manifesta attraverso la presenza di:
 numerosi errori ortografici (Cornoldi, 2015);
 una lentezza nella scrittura riconducibile proprio alla scarsa efficienza dei meccanismi che
regolano il passaggio dal codice orale al codice scritto (Cornoldi, 2015).
All’osservazione, il bambino evidenza lentezza esecutiva nella realizzazione dei grafemi,
accompagnata da errori di diversa natura, bisogna però sottolineare che questa lentezza non
dovrebbe essere causata da una scarsa abilità nella velocità del gesto motorio ma ad una carente
abilità nella conversione fonema/grafema, oppure a un deficitario richiamo della forma ortografica
della parola dal lessico mentale (Vio et al., 2013).
Per l’interpretazione del disturbo vi sono diversi modelli cui è possibile far riferimento, tra queste vi
è il cosiddetto modello a “due vie” proposto inizialmente da Coltheart (1981, 1987, Coltheart et al.,
2001) e successivamente rivisto da diversi autori.
Il modello spiega il funzionamento del processo di trascrizione a partire dall’analisi della parola
udita, che può attivare due processi distinti, fino all’esecuzione dei pattern grafo-motori necessari:
 Via fonologica: la parola udita non è nota al soggetto, il sistema di conversione acustico-
fonologico consente la trasformazione del segnale acustico in suoni linguistici e restituisce
in uscita una rappresentazione fonologica della parola udita. Successivamente nel buffer
fonemico, magazzino di memoria a brave termine, vengono eseguite una serie di operazioni
di segmentazione fonemica sulla rappresentazione fonologica della parola proveniente dal
sistema di conversione acustico-fonologico.. La fase successiva è rappresentata dalla
conversione fonema/grafema, in cui i segmenti fonemici che compongono la struttura
fonologica della parola vengono trasformati nei corrispettivi grafemi. L’ultimo stadio della
via fonologica, ma anche di quella lessicale, è rappresentato dal buffer grafemico cha ha il
compito di conservare in memoria i grafemi e la loro corretta posizione; si tratta di un
sistema di memoria a breve termine in cui vengono conservati i grafemi che costituiscono la
parola che dovrà essere scritta.
 Via semantico-lessicale: la parola riconosciuta come familiare all’interno del lessico
fonologico di input, una sorta di “dizionario” dove le parole sono codificate in formato
fonologico, passa al sistema semantico un magazzino a lungo termine in cui ogni parola è
associata a un significato. La fase successiva è rappresentata dal lessico ortografico in
uscita un altro magazzino a lungo termine o “dizionario” in cui le parole sono
immagazzinate in un formato visivo astratto, indipendente dal tipo di carattere; questo
magazzino consentirebbe di recuperare la struttura ortografica della parola.
Come si può osservare dal modello, i processi centrali implicati nella competenza ortografica
sono:
 la via fonologica che ci permette di identificare i singoli suoni che compongono le parole e
di convertirli nei corrispondenti segni grafici. Questa via è fondamentale per scrivere
correttamente parole sconosciute;
 la via semantico-lessicale che ci permette di recuperare la forma ortografica dell’intera
parola e il suo significato dal magazzino semantico. Il suo funzionamento è fondamentale
per scrivere correttamente parole conosciute a ortografia ambigua e le parole omofone non
omografe (es. l’ago, lago).
Figura 3 Modello a due vie di Lettura e Scrittura (Coltheart, 1987). In blu è evidenziata la via
fonologica e in rosso la via semantico-lessale per la scrittura.

Le due vie, seppur compresenti all’inizio della scolarizzazione, seguono traiettorie evolutive
differenti. L’uso della procedura fonologica si sviluppa molto rapidamente e raggiunge la massima
efficienza intorno al terzo quarto anno della scuola primaria. La procedura lessicale, invece, ha
un’evoluzione più lenta che si protrae anche nella scuola secondaria di I grado. La disortografia può
quindi essere ricondotta a un deficit a carico di una sola via o entrambe.
Il modello evolutivo proposto da Uta Frith (1985), riprende il modello a “due vie” proveniente dalla
neuropsicologia dell’adulto, e individua una serie di fasi di sviluppo che possono spiegare numerosi
errori riscontrabili durante l’apprendimento (Tressoldi et al., 2013). Tale modello è utile perché
mette in luce che le acquisizioni sono almeno in parte sequenziali e ci sono cruciali sinergie fra
lettura e scrittura: imparando a leggere il bambino impara a scrivere, ma è vero anche che,
viceversa, apprendendo a scrivere il bambino migliora le competenze di lettura. Seymour (1985)
con esplicito riferimento al modello di sviluppo di Frith (1985), sostiene che la scrittura nella fase
alfabetica (fase 2) aiuta lo sviluppo della fase alfabetica della lettura (figura 2), mentre la fase
ortografica della lettura (fase 3) aiuterebbe lo sviluppo della fase ortografica della scrittura.
Figura 4 Il modello di Seymour (1985) che integra lo sviluppo della scrittura con quello della lettura,
facendo notare come queste due abilità si sostengono a vicenda.

• La classificazione degli errori ortografici


Vi sono varie possibilità di classificazione degli errori ortografici. In riferimento alla classificazione
proposta da Tressoldi et al. (2013), si possono distinguere tre tipologie di errori Una prima tipologia
di errori è quella caratterizzata dagli errori fonologici, errori in cui non è rispettato il rapporto
fonema-grafema. Questi errori possono riguardare intere parole, più spesso lettere o gruppi di
lettere:
- sostituzioni possono avvenire per somiglianza fonologica (d-t; v-f; c-g; r-l), per somiglianza
morfologica (a-o; n-u) o per entrambe (b-d; m-n);
- omissioni di lettera o sillaba come fuco per fuoco;
- aggiunte di lettere o sillabe come ad esempio giufo per gufo, qualce per qualche
- inversioni come li per il, ni per in;
- grafemi inesatti pese per pesce, filio per figlio.
Una seconda tipologia di errori è caratterizzata dagli errori non fonologici, costituiti cioè da una
inesatta rappresentazione ortografica della parola da rappresentare, senza alterazioni del rapporto
fonema-grafema:
- separazione illegale (“par lo” per “parlo”, “in sieme” per “insieme” oppure “l’avato” per
“lavato”,
- ecc.);
- fusione illegale (“ilcane” per “il cane”, ecc.); rientrano in questa categoria gli errori su
parole unite in modo scorretto (“nonevero” per “non è vero”, ecc.) e l’aggiunta o
l’omissione dell’apostrofo (“lacqua” per “l’acqua”, ecc.);
- scambio di grafema omofono (“squola” per “scuola” oppure “qucina” per “cucina”, ecc.);
- omissione o aggiunta di “h” solo nel caso in cui il bambino debba decidere se si tratta del
verbo avere oppure di una preposizione (es. “ha casa” per “a casa” oppure “lui non a” per
“lui non ha”).
Un’altra categoria di errori sono gli errori fonetici, che riguardano le doppie e gli accenti, per i quali
gli errori riguardano le caratteristiche fonetiche della parola, quali il prolungamento o la breve
pausa di una consonante (doppie), oppure l’aumento di sonorità di una vocale (accenti). La
persistenza degli errori fonologici (in cui non viene rispettato il rapporto fonema-grafema) in fase
avanzata della scolarizzazione, in alunni con buone prestazioni cognitive, costituisce un elemento
diagnostico di particolare gravità del disturbo.
Per la valutazione dell’ortografia, le principali prova standardizzate in Italia sono:
1) Batteria per la valutazione della scrittura e dell’ortografia in età scolare di Tressoldi e Cornoldi
(2000) che comprende prove di dettato di brano, di frasi con omofone e prove di produzione
spontanea dalla prima elementare alla terza media;
2) Batteria per la valutazione della dislessia e della disortografia di Sartori, Job e Tressoldi (1995),
che comprende prove di dettato di parole, non parole e frasi con omofone, dalla seconda elementare
alla terza media;
3) DDO Diagnosi dei disturbi ortografici in età evolutiva (Angelelli et al. 2008) che, sulla base del
modello teorico “a due vie”, valuta le capacità di scrittura lessicale e sublessicale in bambini della
scuola primaria e secondaria di primo grado attraverso un dettato di 160 stimoli;
4) La Batteria per la valutazione della scrittura di Rossi e Malaguti (1998), che comprende prove
di copia, dettato e composizione spontanea dalla prima alla quinta elementare.
Diversi sono gli interventi e gli strumenti presenti in letteratura per i bambini con disortografia. Un
intervento soddisfacente è quello proposto da Ferraboschi e Meini (1995) nel loro volume Recupero
in ortografia, che si basa non solo sull’esercizio specifico per il recupero della singola difficoltà
ortografica, ma suggerisce anche dei percorsi organizzati e mirati all’acquisizione di strategie
operative per il controllo consapevole e metacognitivo dell’errore. Numerose ricerche hanno infatti
dimostrato che ciò che crea difficoltà nel bambino rispetto alla regola da applicare, non è tanto la
non conoscenza della regola, quanto l’incapacità di ricostruire il percorso logico entro cui l’uso
della regola diventa o non diventa necessario. Può essere di aiuto in questi casi la ricostruzione del
percorso logico attraverso cartellini di autoistruzioni e diagrammi di flusso come sequenze di
operazioni mentali già organizzate da memorizzare e da seguire. Può essere utile, ad esempio,
proporre esercizi che riguardano principalmente la discriminazione tra fonemi, ad esempio d-t, p-b,
f-v. In questo caso possiamo chiedere al bambino di associare i fonemi a due parole ad alto
contenuto immaginativo (es. la d di dinosauro o la t di tartaruga) e riprodurre su due cartoncini le
parole scelte. Successivamente proporre attività di discriminazione uditiva, leggendo una lista di
parole ad alta voce, e chiedere al bambino di scegliere il cartoncino corrispondente al fonema
pronunciato. Per ognuna delle coppie di fonemi che vengono confusi dal bambino, il lavoro di
discriminazione deve concentrarsi principalmente su un solo fonema, in modo che l’altro venga
acquisito per contrasto.
I bambini con disortografia incontrano particolari difficoltà a memorizzare quando una parola deve
contenere l’h o no, in questo caso può essere utile l’utilizzo di strategie metacognitive. Ad esempio
guidare i bambini a riflettere sul significato che hanno le parole a, ai, anno, o e ha, hai, hanno, ho
nel contesto in cui sono utilizzate, prima di decidere di utilizzare l’h oppure no. Per evitare errori, si
possono insegnare al bambino alcune strategie come, ad esempio, provare a sostituire nella frase la
parola da scrivere con il verbo all’infinito “avere” e successivamente verificare il senso compiuto
della frase: in caso affermativo è necessario utilizzare l’h; in caso negativo non va usata e le parole
a, ai, anno, o assumono significato diverso. Inoltre, può essere utile proporre anche delle semplici
filastrocche per aiutare i bambini a ricordare alcune regole (ad esempio, con are, ere, ire l’h va a
dormire…)
Sono, inoltre, disponibili diversi programmi di scrittura che coniugano sia l’aspetto abilitativo che
quello compensativo; uno di questi è il software SuperQuaderno, (Anastasis). L’interfaccia di
questo programma permette di illustrare il testo, anche in modo automatico, mentre il bambino sta
scrivendo, attingendo le immagini da un vocabolario figurato di oltre 1000 parole, di maggiore
frequenza d’uso nei testi scritti dei bambini di scuola primaria.

• Strumenti compensativi e dispensativi per bambini con Disortografia


Tra gli Strumenti compensativi vengono indicati:
– Computer con programmi di video-scrittura (predizione ortografica e correttore ortografico) e
sintesi vocale.
Inoltre, per i bambini con disortografia è utile promuovere una maggiore consapevolezza degli
errori ortografici, evitando la ripetizione e la sottolineatura degli stessi. Nella pratica, basterà
sostituire le parole scritte in modo errato con quelle corrette.

Per gli strumenti dispensativi:


- Dispensa, ove necessario, dallo studio della lingua straniera in forma scritta.
- Programmazione di tempi più lunghi per prove scritte e per lo studio a casa.
- Organizzazione di interrogazioni programmate.
- Adottare modalità di valutazione degli elaborati che valorizzino il contenuto, evitando di
penalizzare il bambino per gli errori ortografici;

• La disgrafia
La disgrafia, come già detto, si riferisce alle difficoltà di natura motoria incluse nei Disturbi della
scrittura. Rispetto alla diagnosi di tali disturbo vengono riportate alcune parti fondamentali del
documento integrale del gruppo di lavoro AIRIPA “ Criteri per la diagnosi di disgrafia: una
proposta del gruppo di lavoro AIRIPA” (Russo,Tucci, Cornoldi,Tressoldi, Vio,Bilancia, Di Brina,
Borean,Bravar, Zoia, Iozzino; Associazione Italiana Ricerca e Intervento nella Psicopatologia
del’Apprendimento)
“…Per la disgrafia vanno confermati i criteri generali per la diagnosi di DSA (assenza di patologie
neurologiche e/o deficit sensoriali, livello intellettivo in norma, notevole interferenza con
l’apprendimento scolastico e con le attività della vita quotidiana, problema non dovuto a specifici
effetti dell’insegnamento, diagnosi da porre preferibilmente non prima della terza elementare) e
definiti i parametri generali per la valutazione diagnostica: la fluenza, ovvero la velocità media di
scrittura, (-2 d.s. dalla media in funzione della classe frequentata e dell’età) e/o la qualità del
segno grafico, ovvero la resa formale di alcune sue caratteristiche. Per una diagnosi di disgrafia il
problema di leggibilità appare prioritario, ma ad esso potrà associarsi la considerazione della
fluenza. Il problema di fluenza e/o leggibilità deve manifestarsi in ogni forma di scrittura, inclusa
quella più gradita allo studente (per es. lo stampatello maiuscolo, se è abituato a scrivere in questo
modo) e deve essere stato presente in maniera continuativa nell’arco della carriera scolastica.
Per la diagnosi di disgrafia è necessario inoltre considerare:
a) le conseguenze adattive: il problema di disgrafia interferisce con il percorso di apprendimento
del bambino o gli impedisce di stare al passo coi compagni, rendendo difficile l’interpretazione
della scrittura agli altri ma anche a sé o rallentando eccessivamente il processo;
b) il profilo neuropsicologico: la presenza di un problema in processi cognitivi sottostanti la
scrittura offre ulteriore supporto al fatto che il problema non è dovuto a situazioni temporanee e
rende ragione della condizione predisponente al problema di disgrafia. C’è quindi da riscontrare
una prestazione bassa del soggetto in almeno in una prova prassica, visuo-motoria o visuospaziale
(VMI, Test di Corsi, Rey, TPV ecc.).
La fluenza, intesa come efficienza nel recupero dei pattern neuromotori, è maggiormente legata
agli aspetti motori dell’atto di scrittura. È intesa come velocità di produzione scritta ed è
misurabile in numero di grafemi per unità di tempo (minuti o secondi). In Italia, le prove
attualmente in uso riguardano compiti a tempo:
- scrittura di sequenze di /le/, di /uno/, e di /numeri/ (ciascuna in un minuto di tempo), dalla
Batteria di Valutazione della Scrittura e della Competenza Ortografica (P. Tressoldi e C. Cornoldi,
2000, edizioni O.S.);
- batteria di prove per la valutazione delle componenti grafomotorie della scrittura nei bambini (B.
Bertelli, G. Bilancia, D. Durante, E. Porello, C. Battistini e E. Profumo in Psicologia Clinica dello
Sviluppo, 2, 2001, pp 223-240).
La qualità del segno grafico può essere valutata analizzando i movimenti scrittori, le forme e le
dimensioni della scrittura e la sua disposizione nello spazio del foglio. Tutti questi elementi, nel
loro insieme, contribuiscono alla leggibilità, cioè alla possibilità di decodificare correttamente e
senza sforzo l’elaborato da parte dello stesso scrivente o di un altro lettore.
Per una valutazione di I livello relativamente alla qualità (o leggibilità) della grafia, è possibile
fornire un giudizio circa la leggibilità del testo, facendo assegnare a due giudici indipendenti una
valutazione globale in termini di leggibilità. La diagnosi potrà essere data solo se: a) il testo risulta
illeggibile o quasi illeggibile anche quando il bambino scrive nel carattere e nel tipo di foglio a lui
più familiare, b) questo si è verificato per lungo tempo in tutte le manifestazioni della scrittura del
bambino, c) tentativi di migliorare il grafismo del bambino non hanno avuto successo.
Per una valutazione di II livello, (caratterizzazione del segno grafico) è necessaria la
somministrazione di strumenti standardizzati: in Italia è possibile utilizzare la Scala BHK
(Hamstra- Bletz, 1993; pubblicata, con standardizzazione italiana, da C. Di Brina e G. Rossini nel
2011, edizioni Erickson); Borean e S. Zoia del 2004, Ed. Erickson) e il Test DGM-Post (Borean
M., Paciulli G., Bravar L., Zoia S., 2012, Ed. Erickson)
Nello specifico, andranno considerati gli aspetti che maggiormente possono danneggiare la qualità
dei movimenti scrittori come per esempio:
– movimenti di formazione delle lettere incongruenti alla direzione della scrittura
– collegamenti scorretti o poco fluenti tra le lettere nel corsivo
– presenza di tremori, dismetrie, perseverazioni
– Similmente, la qualità delle forme e delle dimensioni della scrittura può essere compromessa da:
– presenza di deformazioni o perdita dei tratti distintivi delle lettere, che le rendono ambigue o non
identificabili se estrapolate dal contesto della parola
– uso incostante dell’allografo (passaggio illecito da un codice di scrittura all’altro, con alternanze
nell’uso di maiuscolo, minuscolo, corsivo, script)
– irregolarità nella dimensione delle lettere o sproporzioni tra le parti di queste

La disposizione della scrittura nello spazio del foglio può essere inficiata da:
– orientamento scorretto delle singole lettere all’interno della parola (capovolgimenti, inclinazione
irregolare o eccessiva
– spazi eccessivi, troppo ridotti o assenti tra lettere nella parola e tra le parole stesse
– fluttuazioni delle lettere o di intere parole al di sopra o al di sotto del rigo di base
– collocazione di parti dell’elaborato al di fuori dei margini del foglio
Nella diagnosi vanno, inoltre, considerate le caratteristiche di postura, prensione e pressione della
penna sul foglio che possono portare ad affaticamento nell’attività di scrittura prolungata.

Tenendo conto dell’alta comorbilità, ai fini diagnostici è, altresì, importante prevedere una
diagnosi differenziale (o in associazione) con altri disturbi quali:
– Disturbo di Sviluppo della Coordinazione
– Disturbo della scrittura nella componente ortografica
– Disprassia Evolutiva e Disturbo Non Verbale dell’apprendimento (questi ultimi due non presenti
nei manuali diagnostici).
Nei primi tre anni di scolarizzazione è auspicabile prevedere un potenziamento specifico del tratto
grafico prima di porre diagnosi di disgrafia: l’esito del potenziamento dovrebbe poter dare delle
indicazioni sullo sviluppo della grafia e quindi sulla natura del problema riscontrato (difficoltà vs
disturbo). Negli anni successivi, è preferibile calibrare l’intervento sul tipo di carattere che lo
studente già utilizza e che ha in parte automatizzato, in modo da migliorarne gli aspetti che la
valutazione ha messo in evidenza.
In sintesi, per porre correttamente la diagnosi di disgrafia è importate considerare nella
valutazione diagnostica con strumenti standardizzati:
 l’analisi dei testi prodotti dallo studente direttamente dai quaderni, valutando anche
quaderni precedenti all’anno scolastico in corso (importante nel caso di studenti delle
scuole secondarie)
 rilevare la presenza di un certo livello di compromissione della grafia in tutti i caratteri
utilizzati ed anche nella scrittura di numeri o prestare attenzione alla diagnosi differenziale
o in comorbidità
 attendere l’esito di attività mirate al potenziamento di un carattere specifico scelto dallo
studente”8.
Le Raccomandazioni cliniche sui DSA (PARCC,2011) sottolineano la possibilità di porre diagnosi
di disgrafia prima della seconda/terza classe della scuola primaria solo in presenza di un tratto
irregolare e poco leggibile anche in stampato, mancato rispetto di margini e righe, lettere di
dimensioni fortemente irregolari, mancata discriminazione degli allografi in stampato.
La Disgrafia può rientrare nel codice F81.8 dell’ICD-10 segnalato come "Altri disturbi evolutivi
delle abilità scolastiche", mentre nel DSM- 5 è indicato come Disturbo Specifico
dell’Apprendimento con compromissione dell’espressione scritta (315.2)

• Strumenti compensativi e dispensativi


Per il bambino con disgrafia è importante ridurre al minimo lo sforzo esecutivo durante i compiti
scritti. Si consiglia l’uso dello stampato maiuscolo, favorire l’uso del computer nello svolgimento
dei compiti a casa, rispettare i tempi esecutivi e di apprendimento del bambino. Un’ulteriore
osservazione va fatta a livello pedagogico. Negli ultimi anni si è verificata una diminuzione nella
programmazione scolastica della scuola dell’infanzia di tutte le attività propedeutiche alla scrittura.

8
Russo M.R., Tucci R., Cornoldi C., Tressoldi P.E., Vio C., Bilancia G., Di Brina C., Borean M., Bravar L., Zoia S., Criteri per
la diagnosi di disgrafia: una proposta del gruppo di lavoro AIRIPA. www.airipa.it., pp. 2-3
Il bambino, con l’ingresso in I elementare deve confrontarsi con una serie di nuove richieste, nei
confronti delle quali potrebbe incontrare delle difficoltà, non necessariamente patologiche, ma
dovute proprio alla novità del compito. Tali difficoltà iniziali potrebbero essere evitate proponendo,
già nella scuola dell’infanzia, una parte specifica di avviamento alla scrittura, con particolare
attenzione alle componenti esecutivo-motorie9.
Tra gli strumenti compensativi essenziali vengono indicati:
. Quaderno a rigatura grande con lo spazio grafico colorato per facilitare la coordinazione oculo-
manuale e l'impostazione del gesto grafico.
- penne con impugnatura ergonomica;
- registratore al posto degli appunti;
- computer con programmi di video-scrittura.
Per gli strumenti dispensativi, valutando l’entità e il profilo della difficoltà, in ogni singolo caso, si
ritiene essenziale tener conto dei seguenti punti:
- programmazione di tempi più lunghi per prove scritte;
- dispensarlo da dettati incalzanti e dal prendere appunti;
- utilizzare le interrogazioni orali per verificare i contenuti che non riesce ad esprimere
attraverso la grafia;
-

La discalculia evolutiva

• Il sistema dei numeri e il sistema del calcolo


Esisterebbe una indipendenza funzionale tra il sistema di processazione e di elaborazione numerica
e il sistema del calcolo (McCloskey e et al., 1992) la dissociabilità delle funzioni sarebbe motivata
dalle prestazioni di soggetti cerebrolesi adulti, che possono presentare cadute specifiche in uno dei
due sistemi, mantenendo integre le processazioni di alcune funzioni.
Il sistema dei numeri costituisce un ambito lessicale autonomo, nei confronti del sistema linguistico,
dotato di specifiche regole sintattiche che permettono una produzione illimitata. Tale sistema
comprende una componente per la comprensione e una per la produzione dei numeri; entro ciascuna
componente esistono sottosistemi codice-specifici deputati all’elaborazione rispettivamente di
numeri arabici e numeri verbali (sia fonologico che grafemico). Inoltre, sia a livello di produzione
che di comprensione, entro ogni componente codice-specifica, il modello postula l’esistenza di
meccanismi lessicali e meccanismi sintattici, tra loro indipendenti.
I meccanismi lessicali hanno il compito di elaborare le singole cifre o parole contenute nel numero
al fine di ricavarne il nome, quindi si commette un errore lessicale se, ad esempio, si scrive o si
legge “95” invece di “85”. Compito dei meccanismi sintattici è invece quello di elaborare le
relazioni tra le cifre o le parole costituenti un numero, al fine di individuare la corretta posizione
delle cifre all’interno di un numero quindi, un esempio di errore sintattico può essere scrivere
“1001” invece di “101”.
Rispetto al nome (o lessico) dei numeri, è accettata da diversi autori la distinzione tra numeri
primitivi e moltiplicatori.
I numeri primitivi sono gli elementi lessicali di base e appartengono a tre classi distinte:

9
Baldi S., Nunzi M., Le difficoltà di apprendimento della scrittura: la disgrafia, in Valenti A. (a cura di), I percorsi
formativi. Tra analisi teoriche e proposte educative, Luciano Editore, Napoli 2007, p.168
– le unità;
– i teens, che contengono la sottocategoria dei -dici;
– le decine.
Il sistema lessicale comprende, oltre i numeri primitivi, anche i moltiplicatori che, aggregati ai
numeri primitivi, possono produrre qualsiasi numero. I moltiplicatori sono cento, mille, milione,
miliardo e hanno una forma flessa per il plurale (ciò non vale per cento): mila, milioni, miliardi.
Gli errori che coinvolgono i moltiplicatori possono essere di sostituzione (700 viene letto
“settemila”), di anticipazione (508.000 viene letto “cinquecentomilaotto”), e di omissione (454.000
viene letto “quattro____cinquantaquattromila “).
I numeri primitivi si uniscono ai moltiplicatori rispettando specifiche regole sintattiche di
produzione che si diversificano tra le varie lingue. La costruzione sintattica dei numeri prevede una
componente additiva e una componente moltiplicativa, ad esempio:
– il numero 36 è costituito dai due numeri primitivi, 30 e 6, legati tra loro da una relazione additiva
(30 + 6);
– il numero 300 è prodotto attraverso una relazione moltiplicativa (3 x 100);
– il numero 432 è prodotto integrando relazioni additive e moltiplicative (4 x100 + 30 + 2)10

Il secondo ambito da considerare è il sistema del calcolo, rispetto al quale vengono riconosciute dai
ricercatori alcune caratteristiche specifiche. La prima caratteristica riguarda l’indipendenza
funzionale dal sistema dei numeri, anche se il sistema del calcolo si serve del sistema dei numeri sia
in entrata (per l’elaborazione numerica) che in uscita (per produrre il risultato di un’operazione).
Quindi un normale funzionamento del sistema di elaborazione dei numeri è indispensabile per
eseguire correttamente calcoli semplici e complessi,
La seconda caratteristica riguarda l’organizzazione del sistema, basata su tre livelli non gerarchici e
funzionalmente autonome che vengono attivati in rapporto al tipo di compito aritmetico. I tre livelli
sono costituiti da:
– il sottosistema di elaborazione delle informazioni numeriche per attribuire al segno algebrico le
corrette procedure di calcolo;
– i fatti aritmetici;
– le procedure di calcolo11.
Il sottosistema di elaborazione delle informazioni numeriche (o elaborazione dei segni delle
operazioni) consente di attribuire al segno algebrico, espresso sia in codice arabico (-; x; ) che
verbale (più, meno, diviso), le opportune procedure di calcolo. Nell’operazione “16 + 2” la
selezione dell’algoritmo che corrisponde a segno “+” permette di avere come risultato “18”, mentre
l’esecuzione corretta di un altro algoritmo (l’elaborazione del segno “–”, del segno “x” e del segno
“:”) porterebbe ad un risultato differente, che sarebbe rispettivamente “14”, “32”, “8”.
I fatti aritmetici si riferiscono alle tabelline, ai calcoli semplici, ad altri risultati memorizzati ai quali
si accede direttamente senza dover ricorrere alle procedure di calcolo.
Le procedure di calcolo presuppongono il rispetto delle regole di esecuzione dell’algoritmo: i
prestiti, i riporti, l’incolonnamento, l’ordine di esecuzione delle operazioni12.

10
Biancardi A., Mariani E., Pieretti M., La discalculia evolutiva. Dai modelli neuropsicologici alla riabilitazione, Franco
Angeli, Milano 2003, p. 14
11
Biancardi A., I disturbi del sistema dei numeri e del calcolo, in Vicari S., Caselli M.C. (a cura di), I disturbi dello
sviluppo, Il Mulino, Bologna 2002, pp.204-205
12
Ibidem
Figura 5 Il sistema dei numeri e il sistema del calcolo secondo il modello di McCloskey et al.(1985)

In base al modello modulare di McCloskey (figura 9), in base al quale il sistema di elaborazione del
numero e il sistema del calcolo sono moduli indipendenti, l’organizzazione generale del sistema di
elaborazione dei numeri e del calcolo prevede:
1) il sistema di comprensione, che trasforma la struttura superficiale dei numeri (che varia in base al
codice, verbale o arabo) in una rappresentazione astratta di quantità;
2) il sistema del calcolo, che assume la rappresentazione come input e la manipola attraverso le tre
sotto

componenti: i segni delle operazioni, i fatti aritmetici e le procedure di calcolo;


3) il sistema di produzione, che costituisce l’output del sistema del calcolo poiché fornisce le
risposte numeriche.
I meccanismi di comprensione e produzione del numero forniscono rispettivamente l’input e
l’output al sistema del calcolo. Il modello propone un’architettura modulare della cognizione
numerica in cui sono presenti delle componenti di elaborazione distinte e autonome le une dalle
altre, tanto che si possono rilevare compromissioni a carico di una sola di esse (Cornoldi, 2007)
Inoltre, i processi di calcolo non operano mai direttamente sui numeri ma sulla rappresentazione
astratta della quantità, che rappresenta il centro di tutto il sistema poiché è direttamente collegata a
tutti e tre i moduli.
Assunto di base del modello di McCloskey è che qualsiasi compito che richiede l’elaborazione di
uno stimolo numerico avviene tramite una mediazione semantica, che specifica quantità e ordine di
grandezza associata a ciascun elemento. In particolare si assume che, dopo la decodifica, un numero
sia trasformato nella corrispondente rappresentazione semantica che è alla base di tutte le
computazioni successive (Vallar et al.,2011)

Discalculia evolutiva
La definizione data da Temple nel 1992 di discalculia evolutiva fornisce dei chiarimenti su questo
tipo di disturbo: «la discalculia evolutiva è un disturbo delle abilità numeriche ed aritmetiche che si
manifesta in bambini di intelligenza normale, che non hanno subito danni neurologici. Essa può
presentarsi associata a dislessia, ma è possibile che ne sia dissociata»13.
Questa definizione, nella sua semplicità, esprime delle importanti affermazioni: quando si parla di
discalculia non ci si riferisce genericamente a tutta la matematica, ma solo ad alcune abilità di base
che interessano il processamento numerico (identificare la grandezza dei numeri, leggerli, scriverli,
ecc.) e la conoscenza degli algoritmi di base per il calcolo (sapere eseguire addizioni, sottrazioni,
moltiplicazioni per iscritto e a mente)14. Inoltre, i bambini discalculici hanno un’intelligenza
normale ed è necessario escludere le difficoltà scolastiche determinate da deficit intellettivo,
sensoriale, insegnamento inappropriato ecc.. Queste condizioni, come già visto, possono
determinare infatti delle difficoltà, ma non contribuiscono alla diagnosi di disturbo specifico di
apprendimento.
L’ultimo punto della definizione data da Temple è relativo alla comorbilità con la dislessia e risulta
molto controverso. Secondo Temple vi è la possibilità, ma non la necessità, che dislessia e
discalculia siano compresenti. Nella pratica clinica, i segni di discalculia evolutiva sono spesso
associati alla dislessia e i casi di discalculici non dislessici sono molto limitati: circa il 60% dei
bambini dislessici presenterebbero, infatti, anche una discalculia evolutiva o difficoltà nei compiti
di processamento numerico. Questa occorrenza, farebbe ipotizzare che dislessia e discalculia siano
entrambe determinate da un singolo fattore, identificabile, presumibilmente, nella memoria di
lavoro. Altri ricercatori identificano questo singolo fattore nella rapidità di elaborazione
dell’informazione o nella capacità di automatizzazione15.

• Diagnosi di discalculia evolutiva


Per quanto riguarda i criteri per la diagnosi si riporta il recente documento di accordo AIRIPA-AID
(2012).
“…Al fine di uniformare i criteri di fondo per la diagnosi di discalculia suggeriamo di attenersi ai
seguenti punti:
1) La valutazione delle singole abilità deve prevedere l’utilizzo di prove standardizzate e con
adeguate proprietà psicometriche in particolare per quanto riguarda la validità, l’attendibilità test-
retest e le caratteristiche del campione di standardizzazione, proposte anche in modalità individuale,
che esaminano la cognizione numerica, e il calcolo mentale e scritto negli indici di accuratezza e
rapidità.

13
Biancardi A., I disturbi del sistema dei numeri e del calcolo, in Vicari S., Caselli M.C. (a cura di), I disturbi dello
sviluppo, Il Mulino, Bologna 2002, p. 208
14
Ibidem
15
Biancardi A., Mariani E., Pieretti M., La discalculia evolutiva. Dai modelli neuropsicologici alla riabilitazione, Franco
Angeli, Milano 2003 , p. 20
2) Si considera l’ipotesi di discalculia solo in presenza di punteggi critici, che si collocano sotto il
cut-off del 5 percentile (o le 2 ds), in almeno il 50% in una batteria sufficientemente
rappresentativa delle abilità di numero e calcolo rispetto alla classe frequentata e al programma
didattico svolto o, nel caso il bambino sia sotto il cut-off in un numero di prove minori, in punteggi
estremamente severi in prove particolarmente significative ( ad esempio accuratezza o velocità nel
calcolo scritto)
3) Le problematiche devono avere carattere di persistenza, in quanto presenti nell’arco della storia
scolastica del bambino.
4) La diagnosi di certezza, nei casi meno chiari, può essere posta dopo un periodo di alcuni mesi di
adeguata stimolazione delle componenti compromesse. Infatti il disturbo deve avere persistenza e
resistenza ai trattamenti di recupero e/o potenziamento (Tale criterio è particolarmente importante a
nostro parere considerato il numero molto frequente di falsi positivi in tale dominio); se questa
indicazione non fosse praticabile, anche la rivalutazione dopo alcuni mesi utilizzando le stesse
prove potrebbe aiutare il clinico nella decisione per l’assenza/presenza di un disturbo.
5) La diagnosi può essere supportata dalla presenza di almeno alcuni indici clinici fra quelli
frequentemente associati alla discalculia, come ad es. segni neuropsicologici ad esempio nei
meccanismi sintattici visivo spaziali (13; 31; 1/3; (1)3), nella memoria fonologica, ad esempio da
pregresso disturbo del linguaggio con conseguenze nella memoria di lavoro verbale, con potenziali
ricadute nella scrittura del numero e nel recupero di fatti numerici, familiarità, ecc..;
6) Il disturbo deve avere serie conseguenze adattive, presentandosi in compiti tipici della vita
scolastica del bambino (come emerso da prove standardizzate ecologiche e dai riscontri forniti dalla
Scuola) e/o in situazioni matematiche della vita quotidiana.
7) Devono essere rispettati i criteri adottati in generale per la diagnosi di DSA, come l’assenza di
fattori contestuali, ed altri fattori di esclusione come handicap sensoriale e intellettuale…”
(AIRIPA-AID, 2012, pp.2-3).
Per l’analisi dei disturbi delle procedure esecutive e di calcolo si concorda con la prassi comune di
definire l’età minima per porre la diagnosi non prima della fine del 3° anno della scuola primaria
(3a elementare), soprattutto per evitare l’individuazione di molti falsi positivi (Consensus
Conference, 2011).
Tuttavia una attenzione particolare andrà rivolta ai bambini a rischio. Nel corso dell’ultimo anno
della scuola dell’infanzia i bambini in genere raggiungono l’enumerazione fino a dieci
(enunciazione della serie verbale automatica), il conteggio fino a cinque, il principio di
cardinalità e la capacità di comparazione di piccole quantità. Per i bambini che non avessero
ancora raggiunto queste competenze l’obiettivo è realizzare attività didattiche-pedagogiche mirate
(Consensus Conference, 2011).
Alla fine della prima elementare vanno individuati i bambini che non hanno raggiunto una o più
delle seguenti abilità:
a) il riconoscimento di piccole quantità,
b) la lettura e la scrittura dei numeri entro il dieci,
c) il calcolo orale entro la decina anche con supporto concreto.

L’individuazione di tali difficoltà è finalizzata alla realizzazione di attività didattiche-pedagogiche


mirate durante il secondo anno della scuola primaria.

• Interventi educativi
Qualunque sia il modello teorico al quale ci si voglia ispirare, la rieducazione deve tenere conto
della variabilità inter- ed intra-individuale con cui la discalculia evolutiva può manifestarsi. Ciò
richiede la progettazione di percorsi rieducativi per i diversi bambini e per le diverse fasi di
sviluppo, in rapporto all’espressività del disturbo.
Il modello di McCloskey e coll.(1985) consente di rispondere in modo adeguato a questi vincoli,
prospettando diversi possibili locus funzionali che possono essere alla base della discalculia
evolutiva e suggerendo le prove adatte ad evidenziarli. Esso presuppone, infatti, che ognuno dei
processi di elaborazione coinvolti svolga un ruolo specifico, relativamente autonomo, per cui
ognuno potrebbe essere oggetto di una specifica rieducazione.
Seguendo lo schema concettuale offerto da questo modello, ad un primo livello, è fondamentale
accertarsi che sia stata acquisita la conoscenza e la padronanza del sistema dei numeri e del suo
funzionamento; in altre parole è necessario che il bambino comprenda gli aspetti sintattici e
semantici del numero come espressione della quantità e controlli le operazioni di transcodifica che
consentono di trasformare le sue diverse rappresentazioni con codici di formato diverso (verbale,
arabico, ecc.). In un secondo tempo è necessario valutare sia l’efficienza dei processi del calcolo
mentale rapido (operazioni di addizione e sottrazione entro il 20) e del recupero di fatti numerici,
sia del calcolo scritto e della corretta sequenza esecutiva che ne è alla base (vale a dire l’algoritmo).
In linea generale, il problema fondamentale della discalculia evolutiva, come di altri disturbi
specifici dell’apprendimento, riguarda dapprima l’acquisizione e quindi l’automatizzazione delle
conoscenze e dei processi basilari, inerenti al sistema dei numeri e del calcolo. Nella pratica,
l’indicazione che emerge suggerisce di agire su un doppio binario:
a) la presentazione del concetto sotto vari formati, anche di gioco o che si aggancino all’esperienza
concreta, quotidiana, del bambino
b) la ripetizione dell’esercizio per consolidare la conoscenza appresa.
A proposito degli strumenti compensativi, viene suggerito l’utilizzo della calcolatrice per superare
le difficoltà di calcolo. Tuttavia questo strumento risulta inefficace se un bambino con discalculia
ha problemi e difficoltà nella transcodifica numerica, poiché non riuscirà né ad inserire i dati, né a
leggere il risultato in modo corretto. Inoltre, nella vita quotidiana risulta sempre utile una certa
abilità nel calcolo mentale e scritto, motivo per cui, oltre agli strumenti compensativi, è necessario
prevedere degli interventi in grado di ridurre le difficoltà16.

• Intervento sul sistema dei numeri. Il sistema dei numeri, nonostante l’indipendenza funzionale dal
sistema del calcolo, rappresenta la base per ogni compito numerico e aritmetico e il sistema del
calcolo si avvale di esso per elaborare i numeri e produrre il risultato delle operazioni.
Una buona rappresentazione della sequenza numerica (la linea dei numeri) costituisce la base che
consente di eseguire molti compiti numerici e aritmetici. È quindi necessario consolidare questa
abilità attraverso esercizi e giochi17 per poterla utilizzare in modo rapido ed efficace e quindi per
essere in grado di contare senza errori e velocemente in avanti e all’indietro.
La transcodifica numerica rappresenta un ulteriore ambito sul quale è necessario intervenire con i
bambini con discalculia. Da questa attività dipende la corretta esecuzione di numerosi compiti di
calcolo, problemi e l’adeguato utilizzo della calcolatrice, delle tavole per la moltiplicazione e per le

16
Ivi, p. 216
17
Ad esempio unire i puntini numerati rispettando la sequenza numerica per disegnare una figura. Per altri esempi
cfr. A. Biancardi, E. Mariani, M. Pieretti, La discalculia evolutiva. Dai modelli neuropsicologici alla riabilitazione, op. cit.,
pp. 34-40.
addizioni. L’intervento in questo ambito prevede attività di riconoscimento, di scrittura e di lettura
dei numeri. Rispetto al sistema numerico, è possibile l’individuazione precoce dei bambini a
rischio già in età prescolare18.

• Interventi sul sistema del calcolo. Come abbiamo già visto, il sistema del calcolo, funzionalmente
indipendente dal sistema dei numeri, opera attraverso tre componenti (fatti aritmetici, segni delle
operazioni, procedure di calcolo) riscontrabili sia nel calcolo mentale che in quello scritto. Si
ricorda che i bambini con discalculia evolutiva possono commettere degli errori nel recupero dei
fatti aritmetici, nella selezione corretta all’algoritmo, errori di ordine procedurale, errori di calcolo e
difficoltà nel monitoraggio delle procedure. Consolidato il sistema dei numeri, l’intervento deve
quindi essere mirato a costruire per il calcolo mentale strategie per l’acquisizione dei fatti
aritmetici19, per aumentare l’efficacia del calcolo, per eseguire calcoli a mente complessi e, per il
calcolo scritto l’intervento deve mirare a potenziare l’attenzione alla selezione dell’algoritmo, al
richiamo delle procedure e alle strategie metacognitive di controllo dei risultati20.

• Strumenti compensativi e dispensativi


Tra gli strumenti compensativi essenziali vengono indicati:
– Tavola pitagorica e matita con le tabelline.
– Linea dei numeri
– Tabella delle misure, tabella delle formule geometriche.
– Calcolatrice,

Per gli strumenti dispensativi, valutando l’entità e il profilo della difficoltà, in ogni singolo caso, si
ritiene essenziale tener conto dei seguenti punti:
– Dispensa dalla memorizzazione delle tabelline.
– Programmazione di tempi più lunghi per prove scritte e per lo studio a casa.
– Organizzazione di interrogazioni programmate

18
Lucangeli D., Ianniti A, Vettore M., Lo sviluppo dell’intelligenza numerica, Roma, Carocci , 2007
19
Per alcuni bambini con discalculia si possono utilizzare interventi basati sulla ripetizione delle tabelline e
sull’esecuzione rapida di operazioni semplici entro la decina. Una strategia efficace per rendere stabili alcuni fatti
aritmetici e per memorizzarli più facilmente può essere basata sull’uso delle rime e delle associazioni visive.
20
Biancardi A., Mariani E., Pieretti M., La discalculia evolutiva. Dai modelli neuropsicologici alla riabilitazione, Franco
Angeli, Milano 2003, pp. 85-107

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