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DISTURBI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO

(DSA)

A cura del Referente BES-GLI dell’Istituto


Prof.ssa Angela Rosalia Barresi
INDICE

1. COSA SONO I DISTURBI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO ………………………………. 2

2. POSSIBILI CAUSE ED EVOLUZIONE DEI DSA ……………………………………………... 4

3. DIFFERENZA TRA DISTURBO E DIFFICOLTA’ DI APPRENDIMENTO …………………. 5

4. I DISTURBI DELLA LETTURA ………………………………………………………………….. 7

5. I DISTURBI DELLA SCRITTURA ………………………………………………………………. 9

6. I DISTURBI DEL CALCOLO …………………………………………………………………… 12

7. LE NORME A TUTELA DEGLI STUDENTI CON DSA ……………………………………... 14

8. GLI INSEGNANTI DI FRONTE AI DSA ………………………………………………………. 19

9. LA DISLESSIA: PREDITTORI, INDICATORI E MANIFESTAZIONI ……………………… 22

10. LA DISGRAFIA: PREDITTORI, INDICATORI E MANIFESTAZIONI …………………….. 26

11. LA DISORTOGRAFIA: PREDITTORI, INDICATORI E MANIFESTAZIONI ……………... 28

12. LA DISCALCULIA: PREDITTORI, INDICATORI E MANIFESTAZIONI …………………. 30

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1. COSA SONO I DISTURBI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO

I Disturbi evolutivi Specifici di Apprendimento (da qui in avanti indicati con l’acronimo,
generalmente in uso, di DSA), ovvero la dislessia, la disgrafia, la disortografia, la discalculia,
si manifestano con difficoltà circoscritte in specifici domini di abilità (lettura, scrittura e
calcolo) in soggetti che presentano uno sviluppo cognitivo “nella norma” e in assenza di
sfavorevoli condizioni ambientali, di disabilità sensoriali o di disturbi emotivo-affettivi.
Si tratta di disturbi evolutivi in quanto caratteristici dell’età evolutiva, a differenza di altre
condizioni, evidenti in soggetti adulti, sopravvenute in conseguenza a traumatismi o altre
condizioni patologiche (circolatorie o neurologiche, come ad es. ictus) che hanno comportato la
perdita di abilità prima normalmente possedute, generando condizioni in buona parte simili a
quelle presentate, fin dalla nascita, dai bambini con DSA.
Il termine “Disturbi evolutivi” fa riferimento, inoltre, al fatto che tali condizioni sono suscettibili di
evoluzione in conseguenza di adeguati interventi: questo è l’aspetto più rilevante che interroga la
scuola in primo luogo, oltre a tutti i soggetti che, a diverso titolo, concorrono all’educazione e alla
riabilitazione.
Ai più noti disturbi della lettura, della scrittura e del calcolo, si aggiungono altri disturbi, meno
conosciuti, ma che determinano effetti rilevanti sull’apprendimento, quali la disprassia e
disnomia.
I DSA rappresentano, infatti, una “famiglia di disturbi” di origine neurobiologica e su questa
definizione esiste un ampio consenso tra gli studiosi a livello internazionale.
Anche se la ricerca non ha trovato cause neurobiologiche univoche – perché probabilmente vi
sono differenti meccanismi implicati – vi è un accordo nel riconoscere un’origine genetico-
costituzionale, che determina un diverso funzionamento nelle sedi cerebrali coinvolte
nell’organizzazione delle funzioni linguistico-cognitive della lettura e di altre abilità “scolastiche”,
quali la scrittura o il calcolo. Tali condizioni accompagnano l’individuo nel suo sviluppo, ma le
conseguenze funzionali possono essere fortemente condizionate dalle determinanti ambientali,
quali l’efficacia degli interventi di prevenzione e potenziamento nei primi anni e successivamente
la qualità delle metodologie didattiche applicate (strumenti compensativi e misure dispensative).

Definizione dei DSA


I DSA non sono condizioni patologiche e non costituiscono una disabilità certificabile ai sensi della
Legge 104/92, quindi non prevedono l’attribuzione dell’insegnante di sostegno né la riduzione
degli obiettivi didattici previsti nel percorso di apprendimento della classe.
Il prefisso –dis, che accomuna tutti i disturbi che appartengono alla famiglia dei DSA, fa
riferimento ad una disarmonica evoluzione dei processi di apprendimento, che avvengono
“naturalmente” nella maggior parte dei bambini occidentali, immersi fin dalla nascita in una società
“alfa-numerica”.
La specificità, criterio identificativo principale, implica una discrepanza tra il livello di
funzionamento intellettivo (normale) e le ricadute specifiche nelle abilità tipicamente scolastiche,
che risultano deficitarie. La legge 170/2010 (Nuove norme in materia di disturbi specifici di
apprendimento in ambito scolastico), nel riconoscere e definire i disturbi, rileva come i DSA
possano costituire una limitazione importante per alcune attività della vita quotidiana.
Coerentemente con l’esito delle più recenti e accreditate ricerche, le Linee Guida per il diritto allo
studio degli alunni e degli studenti con DSA allegate al D.M. 5669/2011, richiamando la Legge
170/2010, definiscono i DSA come un gruppo eterogeneo di disturbi (dislessia, disgrafia,
disortografia, discalculia) di origine neurobiologica e con matrice evolutiva. Secondo le Linee
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Guida, i DSA, seppur presenti in alunni con un funzionamento intellettivo adeguato all’età
anagrafica, si mostrano come un’atipia dello sviluppo e sono modificabili attraverso interventi
mirati.
La L. 170/2010, all’art. 1, così definisce i diversi disturbi:
• Dislessia (comma 2): disturbo specifico che si manifesta con una difficoltà nell'imparare a
leggere, in particolare nella decifrazione dei segni linguistici, ovvero nella correttezza e nella
rapidità di lettura.
• Disgrafia (comma 3): disturbo specifico di scrittura che si manifesta in difficoltà nella
realizzazione grafica (aspetto esecutivo grafo-motorio e/o visuo-spaziale: la scrittura appare
contorta, confusa, irregolare, difficoltosa, poco leggibile).
• Disortografia (comma 4): disturbo specifico di scrittura che si manifesta in difficoltà nei processi
linguistici di transcodifica (frequenti errori grammaticali, ortografici o di punteggiatura, evidente
difficoltà nel comporre in modo regolare la parola oppure irregolari congiunzioni e/o separazioni
tra le parole).
• Discalculia (comma 5): disturbo specifico che si manifesta con una difficoltà negli automatismi
del calcolo e dell'elaborazione dei numeri (le difficoltà riguardano il processamento numerico,
l’automatizzazione dell’algoritmo delle operazioni, delle tabelline, oppure copiare numeri o
figure, comprendere o nominare i termini, a decodificare i problemi, a leggere i simboli
numerici).
Meno conosciuti ma molto importanti sono altri disturbi frequentemente presenti:
• Disnomia: disturbo che comporta la difficoltà a ricordare e usare i nomi in modo pertinente,
recuperando velocemente la parola che corrisponde al pensiero.
• Disprassia: disturbo che si manifesta con la difficoltà a ricordare la giusta sequenza delle
operazioni da fare anche per azioni semplici (tipo allacciarsi le scarpe), a mettere in sequenza
dati, periodi, denominazioni (per esempio i mesi, gli anni, i giorni della settimana).
Per gli alunni che presentano DSA può, quindi, rappresentare una grossa difficoltà non solo
l’automatizzare lettura, scrittura e calcolo, ma anche svolgere altre attività di tipo scolastico, come
leggere le note su un pentagramma o fare un disegno tecnico.

La comorbilità e le difficoltà trasversali


I Disturbi Specifici di Apprendimento possono manifestarsi sia separatamente che, più spesso, in
associazione. In particolare, la condizione che determina il disturbo nella lettura nella maggior
parte dei casi interessa anche calcolo e scrittura, frequentemente presenti in “comorbilità”.
Nonostante le differenti condizioni neurocognitive che sottendono ai diversi disturbi, certamente
non ancora interamente note, nel loro insieme sono considerati entro una categoria clinica
omogenea, in quanto producono effetti significativi e duraturi nell’ambito dello sviluppo scolastico
e, a volte, nella vita sociale e lavorativa.
La Dislessia è il disturbo più conosciuto, quello che per primo ha destato l’interesse scientifico e
lo si può ben comprendere vista l’importanza dell’alfabetizzazione nella nostra società
contemporanea. All’ingresso a scuola, le difficoltà di lettura sono le prime a rendersi evidenti. E’
anche il disturbo più diffuso, sia separatamente che in comorbilità con altri. La difficoltà di lettura,
infatti, si accompagna spesso a disturbi nella scrittura: disortografia (nel 60% dei casi) e
disgrafia (nel 43% dei casi), nel calcolo: discalculia (nel 44% dei casi) e talvolta anche ad altre
condizioni quali i disturbi d’ansia e il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD). La
discalculia è il disturbo che meno frequentemente si presenta separato da altre implicazioni.

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I DSA coinvolgono diffusamente altre aree funzionali come la motricità, la percezione, la memoria,
il linguaggio, il pensiero, nelle loro manifestazioni sequenziali (soprattutto nella direzione sinistra-
destra) o simultanee e coordinate (sinestesiche). Tali funzioni costituiscono i sintomi secondari
dei DSA, ovvero le difficoltà trasversali.
Se da un lato i diversi casi di DSA hanno caratteristiche comuni, non c’è tuttavia un caso uguale
all’altro: sia per intensità (disturbo lieve, medio, grave, severo), sia per diversa combinazione
(presenza di comorbilità con altri disturbi). Si tratta di un “fenomeno a macchia di leopardo”: le
aree oscure e gli aspetti problematici di ogni singola disciplina si evidenziano in modo a volte del
tutto soggettivo nei nostri allievi e interessano vari ambiti del sapere.
Questa condizione crea notevoli problemi agli insegnanti. Prima di tutto, non è facile accettare che
un bambino o un ragazzo intelligente non riesca ad automatizzare funzioni “strumentali” come la
scrittura, i calcoli mnemonici, le regole ortografiche basilari, che non richiedono apparentemente
altro che l’esercizio. Per questo motivo i DSA sono tuttora molto spesso sottodiagnosticati. Inoltre,
nella galassia dei disturbi specifici dell’apprendimento, è difficile riuscire a collocare con precisione
ogni singolo caso e definirne le specifiche caratteristiche. Per questa ragione, anche le misure
educative e didattiche, per essere efficaci, devono essere strettamente individualizzate e
personalizzate.

2. POSSIBILI CAUSE ED EVOLUZIONE DEI DSA

Le cause dei DSA


In quanto disturbi di natura neurobiologica, i DSA sono determinati da una variazione nel
funzionamento dei neuroni delle aree cerebrali deputate alla lettura, alla scrittura e/o al calcolo.
Non si tratta di una patologia, ma di caratteristiche costituzionali: i DSA sono trasmessi
ereditariamente tramite geni alla stessa stregua del colore degli occhi, o della statura, per questo
hanno un’incidenza familiare (40% di concordanza familiare) e si manifestano in soggetti privi di
deficit neurologici, cognitivi, sensoriali, emotivo-relazionali e che hanno usufruito di normali
opportunità educative e scolastiche. Non dipendono, quindi, dalla qualità dei rapporti con gli
insegnanti né dai metodi di insegnamento utilizzati.
A più di cent’anni dalla prima scoperta del disturbo di lettura (dislessia), molte teorie sono state
proposte per spiegare i meccanismi causali dei DSA. Non sono possibili soluzioni semplici, data
l’estrema complessità dei processi sottesi, che coinvolgono funzioni ed apparati molto diversi tra
loro, come la visione, il linguaggio, la motricità, la memoria, l’attenzione, ecc.: è improbabile,
dunque, una spiegazione univoca dei meccanismi eziologici alla base del disturbo.

Gli esiti delle ricerche neurologiche


Gli studi neurologici recenti hanno evidenziato che nei soggetti con DSA i livelli di attivazione ed i
collegamenti tra le diverse aree cerebrali non sono sovrapponibili a quelle della maggioranza delle
altre persone ed in particolare l’attivazione dei due diversi emisferi cerebrali non presenta la
medesima “specializzazione”. Ad esempio, l’emisfero sinistro, prevalente sede delle funzioni della
letto-scrittura, è molto meno attivato nei dislessici, oppure viene attivato con ritardo, a favore
invece dell’emisfero destro, sede di facoltà più “analogiche” che logiche e di processi che
privilegiano l’immagine piuttosto che la sequenzialità astratta.
Nei dislessici l’emisfero destro viene attivato anche per compiti di mapping fonetico e vi sono
sovrapposizioni di attività tra diverse aree, rispetto alle determinazioni di norma distinte nei due
emisferi nei normolettori. Oltre alla differenza “destra-sinistra” a livello neurologico, un’altra
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particolarità riguarda l’attivazione delle aree cerebrali rispetto alla posizione “anteriore-posteriore”:
durante processi in cui sono interessate funzioni associative o sonore che riguardano il linguaggio
(es. cercare la rima), i dislessici attivano le zone posteriori (corteccia visiva) e i non dislessici
invece le regioni frontali (associative-astratte). Di conseguenza, il campo visivo è per i dislessici
molto distraente, soprattutto nell’identificazione del movimento e degli stimoli grafici. Non è raro
che i dislessici dicano che “vedono le righe spostarsi” oppure “sembra che le parole saltino fuori
dalla pagina”.

Come la dislessia si evolve nel tempo


La dislessia è il disturbo per il quale disponiamo di un maggior numero di studi longitudinali, che ci
permettono di valutarne l’evoluzione nel tempo.
Questa condizione, si è detto, permane per tutta la vita. I bambini alla fine della scuola elementare
sono in genere migliorati, ma non ancora abbastanza rispetto alle richieste scolastiche. Il tempo di
compenso è molto lungo: i casi lievi richiedono almeno 8 anni; si migliora la velocità di lettura e in
misura minore anche la correttezza.
Nel 20% circa dei casi, quelli fin dall’inizio di lieve entità, o ben recuperati grazie a buoni e precoci
interventi, può risolversi completamente (dislessia recuperata).
In età adulta, nel 45% dei casi la lettura diventa più fluente e corretta: si parla in questo caso
ufficialmente di “dislessia compensata”, termine che induce a pensare a una risoluzione del
disturbo, mentre in realtà permangono deficit di automatizzazione che si possono rendere evidenti
in specifiche prove (ad es. errori nella lettura di parole a bassa frequenza, come termini
specialistici delle varie discipline, parole straniere e soprattutto non parole), che si traducono in
affaticabilità durante la lettura, difficoltà nella comprensione del testo, difficoltà nelle prove a tempo
e a scelta multipla. Persistono, quindi, anche al termine della scuola secondaria e oltre, notevoli
difficoltà nello studio, anche in relazione all’incremento delle difficoltà strutturali e lessicali dei testi
e alla quantità di pagine da studiare.
Nel 35% dei casi, invece, la dislessia resta severa (dislessia persistente). La scuola per questi
ragazzi rappresenta un problema costante. Gli insegnanti della scuola secondaria di secondo
grado tendono a pensare che si tratti di scarso impegno o di insufficiente preparazione conseguita
nei livelli scolastici precedenti. Lo studente, infatti, risulta adeguato dal punto di vista cognitivo e
quindi le sue difficoltà sono inattese ed inspiegabili per chi non conosce le caratteristiche dei DSA.
I disturbi di apprendimento si modificano nel tempo, con un intervento diretto, se interviene una
logopedista o un altro specialista che aiuta il bambino a trovare strategie per superare, almeno in
parte, le difficoltà. In alcuni ragazzi, con DSA non grave, la ricerca di strategie compensative
“scatta” spontaneamente e così imparano a riconoscere i loro errori ricorrenti, a puntare
l’attenzione sulle loro difficoltà e in qualche caso riescono a dominarle e controllarle.
Nei primi anni sono molto efficaci l’intervento specialistico logopedico e tutta l’attività didattica di
potenziamento, in quanto il sistema nervoso centrale è estremamente plastico . Man mano che il
bambino cresce la riabilitazione diviene meno efficace e si opta per l’applicazione di adattamenti
metodologici, con l’uso di strumenti compensativi e misure dispensative.

3. DIFFERENZA TRA DISTURBO E DIFFICOLTA’ DI APPRENDIMENTO

Nelle nostre classi sono presenti molti alunni e studenti con difficoltà di apprendimento. Nella
scuola primaria il 10-15% degli alunni mediamente faticano a tenere il ritmo collettivo
nell’apprendimento della lettura, scrittura e calcolo; nella scuola secondaria di primo grado
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salgono al 25% e oltre gli studenti che presentano una qualche difficoltà in questi ambiti. Se un
bambino fatica ad imparare a leggere non è necessariamente dislessico, se fatica nei calcoli non è
necessariamente discalculico… Certamente i DSA rappresentano una piccola parte all’interno
della galassia delle “difficoltà”, quantificabile all’incirca nel 5% dei casi. Quindi, su quattro alunni
che presentano una difficoltà, solo uno presenta un vero e proprio disturbo. I progressi delle
neuroscienze e l’elaborazione di specifici test di indagine, sulla base dell’identificazione dei
meccanismi coinvolti, hanno portato in questi dieci/quindici anni a reinterpretare in chiave nuova
difficoltà di apprendimento che in precedenza erano state imputate a ritardi cognitivi o peggio allo
scarso impegno, con pesanti conseguenze sul successo scolastico e sull’autostima di tanti
ragazzi. Nel 1954, ultimo anno in cui erano in vigore i programmi che prevedevano l’esame al
termine della prima classe elementare, circa il 27% degli alunni vennero bocciati perché non
sapevano ancora leggere e scrivere. Tra loro certamente ci saranno stati molti alunni con DSA.
Tuttora i DSA sono sottodiagnosticati: a fronte di una percentuale stimata nel 5% della
popolazione scolastica italiana, ci si attesta intorno all’1,8% di casi riconosciuti.
D’altra parte la diagnosi di DSA rischia di essere ora indebitamente estesa, sulla scia di una più
diffusa popolarità: occorre guardarsi da errate diagnosi (falsi positivi), non meno pericolose delle
diagnosi mancate. Dunque, molti bambini che presentano un apprendimento deficitario del
calcolo, della lettura o della scrittura non sono portatori di DSA, anche se alcune manifestazioni
possono essere simili. Le differenze tra il disturbo vero e proprio e la più frequente difficoltà di
apprendimento possono essere così sintetizzate:

Difficoltà di apprendimento Disturbi di apprendimento

 Possono dipendere da fattori ambientali  Non dipendono da fattori


(culturali, sociali, educativi); ambientali;
 Possono dipendere da deficit intellettivi,  Sono intrinseci al sistema
problemi emotivo-relazionali o cognitivo;
comportamentali;
 Hanno carattere pervasivo,  Sono circoscritti a specifiche
generalizzato; abilità;
 Sono sensibili al trattamento.  Sono più resistenti al trattamento.

Porsi il problema dell’esistenza di un possibile disturbo specifico di apprendimento vuol dire


innanzitutto distinguerlo dai disagi emotivi e psicologici che pure interessano in gran parte i nostri
bambini d’oggi, ma in genere non impediscono gli apprendimenti delle strumentalità di base,
piuttosto agiscono ad un livello successivo, quando si tratta di operare sull’integrazione delle
conoscenze. L’alunno con difficoltà di apprendimento, faticosamente, lentamente, fa dei progressi
abbastanza regolari. L’alunno con disturbo specifico facilmente quando fissa un’acquisizione ne
perde un’altra. I DSA sono persistenti. L’esercizio serve ma non è così efficace come ci
aspetteremmo, proprio perché mancano “costituzionalmente” dei prerequisiti di base. Quindi, la
semplice ripetizione non consolida l’abilità, diversamente da quanto si aspettano gli insegnanti.
Per i ragazzi con DSA il lavoro scolastico è molto faticoso, richiede grande dispendio di energia;
sovraccaricarli con esercizi aggiuntivi, oltre a non produrre grandi risultati, sarebbe soltanto fonte
di ulteriore frustrazione e demotivazione.

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4. I DISTURBI DELLA LETTURA

La dislessia
La dislessia è un disturbo specifico dell’apprendimento caratterizzato dalla difficoltà ad effettuare
una lettura accurata e/o fluente (minore rapidità e correttezza).
E’ spesso associata a difficoltà nella codifica scritta (disortografia), dovuta a un deficit nella
componente fonologica del linguaggio. Pur con diverse configurazioni individuali, risultano
deficitarie la lettura di lettere, parole, non parole, brani.
Conseguenze secondarie includono molto frequentemente problemi di comprensione nella lettura,
riduzione dell’estensione del vocabolario e della conoscenza generale, nella misura in cui questi
elementi sono dipendenti dalla pratica della lettura. Particolarmente nella scuola secondaria, la
lettura non viene più esercitata dal punto di vista strumentale, ma diventa veicolo di accesso ai
contenuti di altre discipline (lettura per la comprensione), quindi il deficit di lettura si traduce in
ritardo nell’acquisizione delle conoscenze.
Per questi soggetti la lettura non diventa, come accade invece per i normo-lettori, un processo
automatico, ma richiede continuo sforzo e concentrazione per decodificare le lettere (grafemi) e
leggere le singole parole. Questo impegno attentivo lascia poche energie disponibili per i processi
di comprensione e di memoria. Inoltre l’attenzione, così sollecitata, tende ad esaurirsi presto, con
conseguente peggioramento della prestazione. A ciò consegue un apprendimento disturbato in
maniera più o meno grave, con ricadute negative sull'autostima e possibili reazioni psicologiche
secondarie al disagio. Il bambino dislessico, infatti, può leggere e scrivere, ma riesce a farlo solo
impegnando al massimo le sue capacità e le sue energie, poiché non può farlo in maniera
automatica, commette errori, non riesce a tenere il ritmo della classe e quindi non impara.

La particolare condizione italiana


In Italia abbiamo recepito gli studi scientifici sulla dislessia piuttosto tardi rispetto agli altri paesi
europei. Tale ritardo probabilmente è dovuto al fatto che l’italiano è una lingua trasparente, con
forte stabilità nella corrispondenza tra grafema e fonema e questo è facilitante per
l’apprendimento: ci sono soltanto 27 corrispondenze grafema-fonema da memorizzare, mentre, ad
esempio, il francese e le lingue anglosassoni, lingue “opache”, presentano maggiori difficoltà
perché non è stabile la corrispondenza tra suoni e segni grafici.
In Italia stimiamo un’incidenza del 5% circa dei DSA, nei paesi anglosassoni tale percentuale sale
al 12% ed oltre.
Imparare a leggere in italiano, quindi, è più facile: chi non impara, pur essendo esposto agli stimoli
in maniera ripetitiva (e non è neanche necessario l’esercizio a casa per imparare la “tecnica”,
basta l’esperienza della scuola), evidentemente ha un problema specifico che oggi conosciamo.
Alla fine del primo anno della scuola primaria, i bambini italiani in media leggono il 95% delle
parole e tale abilità permane anche dopo la pausa estiva, quando l’esercizio rallenta, a
testimonianza della stabilità dell’apprendimento conseguito. I bambini inglesi richiedono almeno
un anno in più per raggiungere la medesima competenza, visto che nella loro lingua le
corrispondenze da memorizzare sono molte di più.
E’ esperienza comune per gli insegnanti come imparino le tecniche, come la lettura strumentale,
anche soggetti con ridotte capacità intellettive; di fatto è più facile imparare che “resistere”
all’apprendimento!
Il soggetto dislessico non arriva mai ad automatizzare del tutto il processo di lettura. Rimane allo
stadio del “compito cognitivo”, ovvero deve costantemente pensare a cosa occorre fare e come
farlo, come se dovesse ripercorrere le prime tappe dell’apprendimento tutte le volte. Accade
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qualcosa di analogo anche per gli altri tipi di DSA. Per fare un esempio, pensiamo a quando,
all’inizio, stavamo imparando a guidare: potevamo svolgere solo quel compito, con gran dispiego
di tempo di concentrazione e di energie. Non potevamo contemporaneamente fare altro. Adesso
che abbiamo automatizzato i movimenti, intanto che guidiamo possiamo parlare con l’amico che
viaggia con noi o ascoltare la radio e senza dover pensare azioniamo i comandi necessari.
Il dislessico legge come “compito cognitivo” senza mai “andare in automatico”. Questa attività
assorbe molte energie, occupa la memoria, consuma presto l’attenzione, proprio come capita
normalmente ai bambini nel primo periodo di scuola, salvo che la condizione si protrae. Proprio
l’atipico rallentamento dell’apprendimento costituisce un primo segnale da approfondire.
Parimenti, la presenza di particolari difficoltà nell’apprendimento della lingua inglese, rappresenta
un indicatore importante di DSA in un alunno per il quale si nutra un sospetto di disturbo.

Le strategie di lettura
Due sono le principali strategie di lettura che utilizziamo tutti: la via fonologica (conversione
grafema-fonema e ricombinazione) e la via lessicale (lettura “a vista” di parole brevi ad alta
frequenza d’uso e di gruppi di lettere, ad esempio quelle che costituiscono difficoltà ortografiche
tipo GLI, SCI, CHE…).
Questi due diversi processi di lettura (che in realtà procedono in parallelo) si possono vedere
all’opera separatamente:
lettura fonologica: quando leggiamo parole nuove o non parole oppure nelle prime fasi di
apprendimento della lettura;
lettura lessicale o visiva: quando leggiamo parole note oppure un brano che ci permette di
desumere molte parole dal contesto senza neanche decifrare gli stimoli o limitandoci a piccole
parti di essi.
Il primo tipo di lettura è lento e macchinoso, espone ad errori di diverso tipo. Per questo, appena
diventa più esperto, il lettore lo abbandona e vi ricorre solo come “controllo parallelo”, pronto a
farlo scattare quando serve. Naturalmente ogni parola percepita deve trovare un corrispondente
nel magazzino della memoria dei significati, sia percettivi che semantici. Il dislessico non riesce
ad operare questa coordinazione tra funzioni: egli ha difficoltà nella corrispondenza grafema-
fonema (primo tipo di lettura) e più ancora ha difficoltà a vista a discriminare il pattern sensoriale
della forma intera della parola per poterla individuare. Ha poi difficoltà di accesso ai magazzini di
memoria e non è detto che attivi i significati giusti.
Esempio n. 1
Esempio di accesso fonologico:
lettura delle seguenti parole:
lapido murdo bacuto miotra
notolo ecchine quadre amizio
socolo nesitro….
Per poter leggere queste parole occorre fare una conversione “lettera per lettera”, poi sintetizzare
il suono. Per chi usa prevalentemente questo tipo di lettura, sono prevedibili grosse difficoltà,
particolarmente con lingue non trasparenti come l’inglese. I tempi sono lunghi, si genera presto
stanchezza e si rischiano molti errori.
Questa, è in effetti la modalità di lettura più frequente nei dislessici.
Esempio n. 2
Esempio di accesso lessicale:
lettura del seguente brano:

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LA TIGRE
Pare che un estroso pittore ….. sia
divertito a tracciare strane linee
sul ….. mantello.
A vista leggiamo senza fare molta attenzione alle parole note ad alta frequenza d’uso. Riusciamo
anche a leggere le parole che non sono scritte per niente. In questo caso non utilizziamo la
conversione grafema-fonema, ma una lettura visiva che dal contesto evince anche le parole
mancanti.
Esempio n. 3
Il nostro cervello è in grado di riconoscere visivamente molte parole, anche se sono scritte
nell’ordine sbagliato, ricombinarle e accedere ugualmente al significato:
Socdno una riccrea dlel’Unvrsetiià di Carbmdgie l’oidrne dlele lertete all’iternno diuna
praloa non ha imprtzaoana a ptato che la pimra e l’ulimta saino nllea gusita psoizoine.
Anchce se le ltteere snoo msese a csao una peonrsa può leggere l’inetra fasre sneza
poblremi. Ciò è dovuto al ftato che il nstoro celverlo non lgege ongi sigonla leterta ma tiene
in cosinaderzione la prolaa nel suo inesime.
Icnrebidile he?
Anche questo processo, automatico per il nostro cervello, che dopo una breve esitazione, subito si
adatta, non lo è affatto per un dislessico. Se avessimo applicato la prima strategia di lettura, quella
che prevede la corrispondenza grafema-fonema, non avremmo potuto leggere questo testo.
Esempio n. 4
Proviamo a leggere questo messaggio:
QU3570 M3554GG10 53RV3 4 PR0V4R3 CH3 L3 N057R3 M3N71 P0550N0 F4R3 GR4ND1
C053! C053 1MPR35510N4N71! 4LL'1N1Z10 3R4 D1FF1C1L3, M4 G14' 1N QU3574 R1G4, L4
7U4 M3N73 574 L3GG3ND0 4U70M471C4M3N73 53NZ4 P3N54RC1 5U, 511 0RG0GL1050!
50L0 4LCUN3 P3R50N3 R135C0N0 4 L3GG3R3 QU3570 M3554GG10. 53 531 1N GR4D0 D1
L3GG3RL0, C0ND1V1D1L0!
Questo testo dimostra come il nostro cervello riesca a trasformare anche segni numerici in segni
alfabetici, attraverso la facilitazione del contesto e l’anticipazione dei significati.
A tutti questi complessi processi implicati nella lettura dobbiamo aggiungerne un altro, che attiene
ai movimenti oculari che si effettuano sul rigo quando leggendo si scorre il testo. Tali movimenti,
“a saltelli” interessano una successione di fissazioni oculari che abbracciano un certo numero di
caratteri e decifrano nelle pause (circa 240 millisecondi) i significati. Lo scorrimento è da sinistra a
destra, con qualche retrocessione in caso il significato non si colga subito. Arrivati in fondo alla
riga, c’è lo spostamento verso destra per tornare a caporiga.
Tutti questi complessi processi lasciano intendere quanto altrettanto complessi possano essere i
meccanismi compromessi e quindi a quante diverse tipologie di disturbo di lettura possiamo
trovarci davanti.

5. I DISTURBI DELLA SCRITTURA

Le difficoltà di scrittura
Imparare a leggere e a scrivere nella nostra società è fondamentale per avere una chiave di
lettura del mondo. L’interesse per la letto-scrittura inizia molto presto, sollecita l’immaginario del
bambino prima ancora dell’ingresso a scuola. L’osservazione di quegli strani segni, sbirciati nei
quaderni dei fratelli maggiori o nei libri dei genitori, quei caratteri piccoli, esteticamente poco
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attraenti ma metaforicamente appartenenti al mondo “dei grandi” sono in grado di alimentare
l’interesse dei bambini fin da piccoli.
Anche la multimedialità si nutre di scrittura e lettura, quindi un disturbo che interessi queste abilità,
che in una società non alfabetizzata passerebbe del tutto inosservato, finisce per generare
potenzialmente un rilevante svantaggio nei confronti delle richieste della scuola prima e della
società poi.
Fin da piccolo il bambino imita la scrittura dei grandi e formula ipotesi sulla sua composizione, a
partire dalla scrittura del suo nome. La scrittura spontanea esprime importanti caratteristiche del
pensiero infantile, più o meno corrispondenti alle regole convenzionali di codifica, cui
progressivamente finiranno per coincidere man mano che il bambino scoprirà, in parte da solo e in
misura rilevante grazie alla scuola, il “funzionamento” del codice scritto.
La scrittura coinvolge diverse componenti, ciascuna delle quali può presentare particolari disturbi.
L’aspetto esecutivo chiama in causa competenze di tipo grafo-motorio e visuo-spaziale, mentre la
compitazione delle parole richiede l’applicazione di competenze fonologiche, ortografiche e
linguistiche. E’ possibile un interessamento selettivo di tali componenti, anche se nella maggior
parte dei casi troviamo forme miste di disturbo, all’interno delle quali riconosciamo più tratti
compresenti.

La disgrafia
La disgrafia è un disturbo del linguaggio scritto che interessa il segno grafico. E’ collegata
all’aspetto esecutivo e della programmazione motoria della scrittura manuale.
La scrittura costituisce un apprendimento complesso che dipende dall’integrazione di numerose
competenze appartenenti ad ambiti funzionali distinti. I processi centrali che governano
l’apprendimento della scrittura possono presentare difficoltà sia perché risulta difficile pianificare o
recuperare gli schemi motori necessari all’esecuzione grafica, sia perché risulta difficoltosa
l’organizzazione visuo-spaziale.
Ne risultano problemi ad orientare e collocare i grafemi nello spazio, nel rispettare gli spazi tra le
lettere e tra le parole, nella direzione e nella dimensione dei caratteri e in generale a rispettare le
convenzioni riguardanti la disposizione del testo scritto all’interno di spazi delimitati:
• scrittura fluttuante;
• grafemi troppo grandi o troppo piccoli;
• incoerente inclinazione di lettere ascendenti/discendenti;
• legature irregolari tra le lettere;
• collassamento delle righe di scrittura una sull’altra;
• mancato rispetto dei margini del foglio.
Il tratto grafico può essere irregolare anche dal punto di vista della pressione sul foglio, instabile e
tremolante, con cerchi ed occhielli non chiusi, parti di segni mancanti o segni ripassati più volte,
esecuzione delle lettere non ergonomica, con composizione delle lettere per singoli tratti piuttosto
che con tratto continuo.
La corretta esecuzione grafica della scrittura esige competenze che la moderna neuropsicologia
definisce prattognostiche. Questo termine descrive la conoscenza (gnosia) di movimenti
coordinati (prassie) pragmatici e rivolti all’ottenimento di uno scopo preciso. Si tratta di movimenti
sia globali che fini, come quelli della mano e delle dita, che però implicano un continuo
coordinamento oculo-manuale capace di recuperare gli scarti anche minimi attraverso un feed-
back percettivo e motorio. Si tratta, quindi, di atti finemente regolati e finalizzati, che si possono

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osservare in particolare nella scrittura ma anche nella riproduzione grafica di disegni, tratti, segni,
rispettando dimensioni, proporzioni e rapporti spaziali. E’ evidente, quindi, la stretta correlazione
esistente tra le abilità prassiche e quelle di scrittura, ma potremmo chiamarle in causa anche
pensando ai movimenti oculari interessati nei processi di lettura di cui si è parlato nella lezione
precedente.
Le difficoltà prassiche possono essere evidenziate molto presto, fin dal periodo prescolastico. E’,
quindi, possibile stimolare e potenziare molto precocemente abilità che poi saranno fortemente
implicate anche nei processi di apprendimento scolastici.

Esempi di scrittura disgrafica

Viste le caratteristiche delle diverse tipologie di scrittura, è evidente che per l’alunno disgrafico
risulta più facile il carattere stampato maiuscolo, che compone ogni possibile parola a partire da 4
soli segni grafici: orizzontale, verticale, obliquo, semicerchio. Inoltre, si tratta di una scrittura
monobanda, ovvero utilizza una sola banda spaziale.
Molto difficile risulta il carattere corsivo, visto che non si distingue facilmente dove finisce una
lettera e ne comincia un’altra, i segni richiedono una fine articolazione della pinza pollice-indice e
dell’articolazione del polso, utilizza tre bande spaziali di estensione diversa.

La disortografia
La disortografia è un disturbo che riguarda l’utilizzo, in fase di scrittura, del codice linguistico con
le sue regole di correttezza nella corrispondenza grafema/fonema (ortografia), anche in relazione
agli aspetti semantici delle parole. Questo disordine nella codifica del testo scritto è originata da
un deficit nelle funzioni centrali del processo di scrittura ed è frequentemente associato alla
dislessia, anzi, potremmo dire che lo scritto fa emergere le difficoltà ancora di più: se nella lettura
si legge una parola male, si può capire che c’è qualcosa che non va e il contesto può aiutare a

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capire quale sia la parola giusta. Invece, quando si scrive, è tutto più difficile e queste inferenze
non sono possibili.
Molte delle osservazioni riportate parlando della dislessia sono applicabili anche alla disortografia,
che interessa i processi centrali dell’organizzazione della scrittura, negli aspetti della
corrispondenza tra suono e grafema, ortografia, composizione, accesso ai significati. Dislessia e
disortografia sono molto spesso due facce della stessa medaglia.
Nei bambini disortografici permangono a lungo, ben oltre il limite naturale, errori tipici delle prime
fasi dell’apprendimento della scrittura:
• Difficoltà fonologiche nell’acquisizione del codice scritto: scambio di grafemi, omissioni,
inversioni, scrittura di grafemi inesatti;
• Difficoltà di composizione delle parole: separazioni illegali all’interno di una parola, fusioni illegali,
scambi di fonemi omofoni, mancata automatizzazione dell’uso dell’H, degli accenti, delle
maiuscole e delle doppie, elisioni e troncamenti;
• Difficoltà a copiare dalla lavagna;
• Povertà del testo scritto.
La componente ortografica va valutata, separandola da altre variabili, attraverso il dettato, tenendo
presente che il processo di ortografizzazione termina nella classe terza della scuola primaria,
momento questo in cui si può porre la diagnosi di disortografia.

6. I DISTURBI DEL CALCOLO

L’intelligenza numerica
Fin dalla preistoria l’uomo ha interpretato il mondo attraverso i numeri, lo testimoniano reperti
risalenti ad oltre trentamila anni fa. Gli antichi romani insegnavano ai loro figli a contare utilizzando
i sassolini, i “calculi” e da allora il termine “calcolo” indica l’insieme dei processi che ci consentono
di operare con i numeri. Eppure, le difficoltà in matematica nei nostri alunni sono molto frequenti e
vanno crescendo man mano che si avanza nella scolarità.
Butterworth (1999) sostiene la tesi della presenza di facoltà innate che permettono al nostro
cervello di leggere le piccole quantità a colpo d’occhio e senza contare (effetto subitizing) fin
dalla più tenera infanzia. Fino a quattro oggetti, la quantità può essere riconosciuta
indipendentemente dal possesso del concetto di numero e di quantità, anche se l’intelligenza è
ancora in fase preverbale ed è incapace di rappresentare mentalmente la quantità. Si è dimostrato
come anche alcuni animali dispongano di tali capacità di riconoscimento numerico intuitivo delle
piccole quantità (primati, ma anche uccelli). Su tale capacità innata, si innesta poi l’apprendimento
del contare, come primo collegamento tra natura e cultura. In questo passaggio, essenziale è il
ruolo delle dita delle mani, che con la cinquina offre un aggancio percettivo che supera il limite
del quattro - entro cui opera l’effetto subitizing - per consentire un’elaborazione numerica visiva
che arriva fino al dieci, attraverso il raddoppiamento della cinquina. L’importanza delle dita come
strumento di calcolo è confermata anche dalle caratteristiche del cervello, che vede l’area del
controllo motorio della digitazione contigua a quella deputata all’elaborazione numerica.
Imparare a contare richiede lo sviluppo di competenze cognitive complesse: quantificazione,
corrispondenza biunivoca, ordine stabile, cardinalità. Se un bambino, ad esempio, deve contare
cinque cioccolatini:
• deve conoscere le etichette verbali dei numeri da “uno” a “cinque” nel loro ordine stabile;

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• deve associare ciascuna di queste parole ad uno e un solo cioccolatino (corrispondenza
biunivoca);
• alla fine deve essere capace di indicare la numerosità associandola all’ultima parola-numero
pronunciata (principio della cardinalità).
Sono le competenze innate prenumeriche e preverbali a dare impulso allo sviluppo di tutte queste
successive competenze, alla base del conteggio verbale. A partire dalla strategia della conta, si
conquista quella dell’addizione. Ad esempio, dovendo contare 3 + 5:
• il bambino conta prima uno-due-tre; poi: uno-due-tre-quattro-cinque; poi conta tutto insieme;
• il bambino conta in avanti a partire dal primo addendo (es. usa le dita, parte da tre e poi va avanti
quattro-cinque-sei…);
• il bambino conta in avanti partendo dall’addendo più grande (scelta più economica).
Il nostro sistema educativo comincia a porre attenzione allo sviluppo della cognizione numerica a
partire dai 6 anni, mentre i meccanismi cognitivi innati matematici sono attivi e hanno bisogno di
attenzione fin dal primo anno di vita, scambia l’intelligenza numerica con l’addestramento alla
prestazione scritta e trascura il calcolo mentale a vantaggio della memorizzazione di algoritmi
scritti.
Per queste ragioni le difficoltà in matematica nella nostra scuola sono molto frequenti (a 8 anni si
segnalano il 20% di alunni con difficoltà nell’elaborazione numerica), mentre la discalculia
evolutiva ha una frequenza di comparsa fortunatamente molto più rara: esiste, quindi, un alto
rischio di diagnosticare profili di falsi positivi.
A partire dalla pubblicazione dei risultati della rilevazione effettuata dall’OCSE PISA 2006, è
evidente che l’Italia versa in una situazione di “emergenza matematica”. Dati scientifici e
istituzionali convergono nel segnalare un allarme che richiama ricercatori ed insegnanti ad una
riflessione comune più ampia.

La discalculia
Con il termine discalculia ci riferiamo ad un disturbo delle abilità numeriche e aritmetiche che si
manifesta in bambini di intelligenza normale. Mediamente la loro prestazione è pari più o meno a
quella di soggetti di 2 anni più giovani, rispetto alle competenze numeriche e alle abilità esecutive:
hanno difficoltà molto specifiche nella quantificazione, nell’eseguire calcoli a mente, nell’utilizzare
l’algoritmo delle operazioni in colonna, nel saper apprezzare la numerosità di un insieme, nel
saper leggere e scrivere i numeri, nel comporre e nello scomporre i numeri, nel recuperare i fatti
numerici.
La discalculia presenta forte comorbilità con la dislessia, intorno al 60%, e ciò ha provocato un
rallentamento degli studi specifici su questo disturbo, perché per lungo tempo lo si è considerato
solo uno dei “sintomi” della dislessia. Come nella dislessia, le due componenti interessate sono la
rapidità e la correttezza, in questo caso ci si riferisce al processamento numerico. Nel tempo la
correttezza si può migliorare, l’aspetto della rapidità invece permane carente: dobbiamo accettare
che i discalculici abbiano bisogno di molto più tempo.
La Consensus Conference (2009), sulla base delle più recenti ricerche, individua due profili di
discalculia:
• determinata da debolezza delle componenti numeriche (aspetti di base: subitizing,
quantificazione, seriazione, comparazione, strategie di calcolo mentale);
• determinata da compromissioni a livello procedurale e di calcolo (aspetto lessicale e sintattico
relativo alla composizione del numero, incolonnamento ed algoritmi del calcolo scritto, recupero
dei fatti numerici).

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Il primo tipo di discalculia è determinato da una sorta di “cecità per i numeri” che rende impossibile
la manipolazione delle quantità. Questo potrebbe dipendere da un non perfetto funzionamento di
quel dispositivo innato di categorizzazione delle numerosità o modulo numerico innato descritto da
Butterworh, proprio come capita ai daltonici, costituzionalmente privi della capacità di distinguere
alcuni colori.
Il secondo tipo si riferisce, invece, in modo specifico alle difficoltà nell’acquisizione delle procedure
e degli algoritmi di calcolo.
Nella descrizione dei diversi profili di discalculia riveste molta importanza l’analisi degli errori
commessi dal soggetto. La raccomandazione di tutti gli esperti è, infatti, quella di partire dal tipo di
errori commessi per individuare l’intervento più efficace, in modo da personalizzarlo e
commisurarlo alle specifiche difficoltà del bambino o ragazzo.
Gli errori di calcolo si possono classificare in quattro categorie:
1. errori nel recupero di fatti aritmetici (tabelline, numeri in coppia come 15+15,…);
2. errori nel mantenimento e nel recupero delle procedure (es. algoritmo della sottrazione in
colonna);
3. errori nell’applicazione delle procedure (es. applicazione della procedura dell’addizione alla
sottrazione, inversione di minuendo e sottraendo,…);
4. difficoltà visuospaziali (che conducono, ad es. ad inesatti incolonnamenti).
L’intervento sui disturbi del calcolo si qualifica come riabilitativo o di potenziamento. Nel primo
caso si tratta di promuovere lo sviluppo di una competenza non ancora comparsa o atipica, di
reperire forme facilitanti o alternative. Nel secondo caso di favorire lo sviluppo di una funzione che
sta emergendo, fornendo opportunità di apprendimento maggiori rispetto a quanto il bambino
potrebbe imparare se agisse per proprio conto. Il concetto di potenziamento rimanda a quello di
sviluppo prossimale proposto da Vigostkij. Secondo questo studioso, la zona di sviluppo
prossimale corrisponde allo spazio tra il livello attuale e quello che il bambino potrebbe
raggiungere grazie alla mediazione di un adulto o la collaborazione con altri soggetti più capaci.
A partire da un’accurata valutazione iniziale, è possibile progettare un percorso di avanzamento
efficace, ma occorre tener conto del fatto che il disturbo discalculico si distingue dalla difficoltà in
matematica perché più resistente al trattamento.

7. LE NORME A TUTELA DEGLI STUDENTI CON DSA

L’attenzione normativa nei confronti dei DSA


Da alcuni anni a questa parte il tema dei disturbi specifici di apprendimento nella scuola italiana si
è progressivamente posto all’attenzione degli educatori.
In passato misconosciuti o negati, considerati in molti casi effetto di svogliatezza o scarso
impegno da parte degli alunni e degli studenti interessati, i DSA hanno acquisito dignità scientifica
e pedagogica grazie al progredire della ricerca e alla forte pressione esercitata dalle famiglie e
delle specifiche Associazioni. Si sono così riconosciuti nelle loro specifiche caratteristiche i diversi
DSA, se ne è identificata l’origine neurobiologica e si sono moltiplicati gli inviti, da parte del
Ministero, all’identificazione precoce, all’ impiego di particolari adattamenti metodologici (strumenti
compensativi, misure dispensative), all’adozione di una valutazione personalizzata.
Tutte queste attenzioni hanno la finalità di garantire il successo formativo e prevenire la
dispersione scolastica, rischio particolarmente presente nei ragazzi con DSA e conseguente al
senso di fallimento derivato dall’insuccesso scolastico.
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Il percorso normativo, lungo e contraddistinto da momenti di arresto, seguiti da altri di improvvisa
accelerazione, ha portato finalmente alla Legge 170/2010 “Nuove norme in materia di disturbi
specifici di apprendimento in ambito scolastico”, in cui sono definiti principi e criteri per garantire
agli alunni con disturbi specifici di apprendimento il diritto allo studio, inteso come diritto a
conseguire il successo formativo. La legge è stata accompagnata dal Decreto Ministeriale
applicativo n.5669 e dalle allegate Linee Guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti
con Disturbi Specifici di Apprendimento” del luglio 2011. Questi tre atti rappresentano un corpus
normativo completo e di grande valore, in quanto recepiscono le più recenti conquiste sia sul
piano della ricerca scientifica che su quello della riflessione pedagogica in tema di DSA.

La legge 170/2010
La legge 170/2010 “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito
scolastico”, accompagnata dal Decreto attuativo, licenziato il 12 luglio 2011, n. 5669, unitamente
alle Linee Guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con Disturbi Specifici
di Apprendimento, rappresenta indubbiamente un riferimento fondamentale per le azioni da
porre in essere in ambito scolastico. La legge, che stabilisce il riconoscimento e la definizione di
dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia come Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA)
«che si manifestano in presenza di capacità cognitive adeguate, in assenza di patologie
neurologiche e di deficit sensoriali, ma possono costituire una limitazione importante per alcune
attività della vita quotidiana», riporta le definizioni scientifiche dei disturbi richiamati (v. cap.1,
pag.2). Con questo provvedimento, il legislatore intende garantire il diritto alla formazione in
ambito scolastico, specificando i settori in cui agire per rispondere coerentemente alle finalità
sottese al testo legislativo. Viene, infatti, richiamato come la buona riuscita possa trovare supporto
anche attraverso misure didattiche (dispensative o compensative e di valutazione) che possono
contribuire, non solo a gestire efficacemente la dimensione degli apprendimenti, ma anche agire
sotto il profilo relazionale-emotivo, aspetto essenziale per un processo di interazione nel contesto
sociale di appartenenza.
La legge intende anche porre l’accento sulla formazione degli insegnanti, come sulla
sensibilizzazione nei confronti dei genitori rispetto alle problematiche connesse ai disturbi. Non
poteva non essere richiamata una fattiva alleanza fra le agenzie coinvolte nel percorso di
istruzione e di formazione (famiglia, scuola e servizi sanitari), come l’esigenza di “favorire la
diagnosi precoce”. La legge individua precisi doveri per la scuola, che è investita di una forte
responsabilità di gestione a partire dall’individuazione precoce dei Disturbi Specifici di
Apprendimento, per quanto la decisione di rivolgersi ai servizi sanitari per ottenere una
valutazione diagnostica sia interamente affidata alla famiglia, la quale ne comunica poi,
eventualmente, l’esito alla scuola.

La lingua straniera
Secondo la L. 170/2010, gli interventi didattici devono tener conto di condizioni specifiche quali il
bilinguismo e prevedere la possibilità di esonero dallo studio della lingua straniera. Quest’ultimo
punto appare di dubbia interpretazione in quanto, se l’esonero viene esteso all’intera materia e
non unicamente alla “forma scritta” (in questo caso si tratterebbe di “dispensa”), si ha quale
conseguenza l’incompatibilità con il raggiungimento del titolo di studio.

Il Decreto legislativo 5669/2011 e le allegate Linee Guida per il diritto allo studio degli alunni
e degli studenti con Disturbi Specifici di Apprendimento
La legge 170/2010 riconosce la necessità di un percorso didattico specifico per l’alunno con DSA
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(art. 5), in virtù del quale vengano concordati e definiti gli obiettivi di apprendimento, le strategie, la
dispensa da alcune “prestazioni non essenziali”, gli strumenti compensativi, le modalità e i criteri di
verifica.
Le Linee Guida, allegate al Decreto Applicativo della L.170/2010, articolano e definiscono nel
dettaglio indicazioni e direzioni di intervento, offrendo spunti interessanti e concreti per la
realizzazione del percorso di apprendimento dell’alunno e dello studente con DSA.
Le Linee Guida demandano ad un Piano Didattico Personalizzato, come sintesi di raccolta della
documentazione (art. 3.1, Documentazione dei percorsi didattici) e come la definizione e la
progettazione del percorso, da condividersi all’interno del team docente/consiglio di classe.
Il Piano Didattico Personalizzato (PDP), elaborato dalla scuola, è condiviso con la famiglia in
collaborazione con gli specialisti. Il diritto ad un ”trattamento diversificato” riguarda anche forme di
verifica e di valutazione, per tutto il corso della scolarità, anche se le determinazioni specifiche
sono demandate a successivi decreti attuativi. Un’assoluta novità della legge è l’estensione del
diritto a fruire di tali adeguamenti didattici e di particolari forme di valutazione anche nei percorsi
universitari, compresi i test di ammissione e gli esami dei corsi di laurea (Linee Guida, art. 6.7,
Gli Atenei).
L’art. 7 delle Linee Guida richiama la necessità della formazione del personale docente e dei
Dirigenti Scolastici, impegnando in questa direzione tanto gli Uffici Scolastici Regionali, chiamati
ad operare in sinergia con i servizi sanitari territoriali, le università, gli enti, gli istituti di ricerca e le
agenzie di formazione, sulla base delle esigenze formative specifiche, differenziate anche per
ordini e gradi di scuola, quanto le singole istituzioni scolastiche, eventualmente collegate in rete.
Anche la figura del Referente di Istituto per i DSA (art. 6.3 delle Linee Guida) può svolgere un
ruolo importante di raccordo e di continuità riguardo all’aggiornamento professionale per i colleghi.
Il Referente per i DSA è un docente competente, che assolve una serie di compiti legati non solo
alla formazione, ma anche all’aggiornamento e alla consulenza nei confronti dei colleghi.

L’esigenza di uniformità del modello di diagnosi


Il 25 luglio 2012 la Conferenza Stato-Regioni ha raggiunto un accordo, che prevede uniformità
sia nelle modalità che nelle forme di attestazione della diagnosi per tutto il territorio nazionale.
Considerata la possibilità di trasferimento di alunni da una scuola all’altra, anche in province o
regioni diverse, tale determinazione appare molto significativa.
Disporre di una diagnosi chiara, completa, che contenga elementi certi, è fondamentale per la
scuola, che deve su questa base redigere un Piano Didattico Personalizzato efficace.
Molto spesso, invece, ci troviamo di fronte a tipologie di diagnosi tra loro difformi, alcune sono
prive o carenti di elementi descrittivi precisi oppure presentano suggerimenti di intervento generici
e non aderenti alle specifiche caratteristiche di “quel” soggetto.
L’intento dell’accordo Stato-Regioni-Province Autonome è quello di giungere a diagnosi uniformi
su tutto il territorio nazionale, per questo si richiede di attenersi a quanto previsto dalla Consensus
Conference e ai codici nosologici dell’ICD-10 compresi nella categoria “Disturbi Evolutivi Specifici
delle abilità scolastiche” e indicati con il codice F 81; va inoltre esplicitato con chiarezza il tipo di
disturbo diagnosticato (lettura, scrittura, calcolo, ovvero associazione tra di essi e/o con altro
tipo di disturbo).
I contenuti della diagnosi devono delineare un profilo di funzionamento, tale da consentire alla
scuola di redigere un piano di intervento educativo-didattico che risponda efficacemente ai bisogni
dell’alunno. Dal profilo dovrebbero risultare le aree di criticità e i punti di forza, oltre alle risorse su
cui far leva. Il profilo va aggiornato periodicamente (di regola almeno ogni tre anni) e in ogni caso
al passaggio di ciclo scolastico, su iniziativa della famiglia che poi provvede a trasmettere gli
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aggiornamenti alla scuola. Nel modello di certificazione si richiede ai sanitari di fornire indicazioni
per l’intervento didattico e suggerimenti riguardo agli strumenti compensativi e alle misure
dispensative da applicare: resta inteso che si tratta appunto di indicazioni e suggerimenti, essendo
le scelte didattiche interamente in carico all’autonoma determinazione professionale dei docenti.

Il Piano Didattico Personalizzato (PDP)


Il Decreto Ministeriale 12 luglio 2011, n. 5669, ha introdotto innovazioni significative per garantire il
successo formativo degli alunni e studenti con DSA delle scuole di ogni ordine e grado e delle
università: il Piano Didattico Personalizzato (PDP).
L’articolo 5 del Decreto stabilisce che il PDP deve indicare gli strumenti compensativi e le misure
dispensative adottati, oltre ai criteri per la personalizzazione della valutazione.
Le Linee Guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbo specifico di
apprendimento dispongono che per gli alunni certificati per DSA gli insegnanti del Team Didattico
ovvero del Consiglio di Classe debbano redigere un PDP che deve contenere le seguenti voci:
 Dati anagrafici dell’alunno/studente
 Tipologia del disturbo
 Attività didattiche individualizzate
 Attività didattiche personalizzate
 Strumenti compensativi e misure dispensative adottati
 Forme di verifica e di valutazione personalizzate.
Il PDP va elaborato congiuntamente dagli insegnanti della classe, entro tre mesi dall’inizio
dell’anno scolastico ovvero tempestivamente al ricevimento della diagnosi di DSA; nella stesura
del Piano ci si avvale della collaborazione della famiglia, chiamata a partecipare al progetto
formativo della scuola.
Il MIUR ha predisposto un modello di Piano Didattico Personalizzato che può essere reperito sul
sito del Ministero; altri modelli efficaci sono stati proposti dall’Associazione Italiana Dislessia (AID)
e sono anch’essi reperibili sul relativo sito (www.aiditalia.org).

Caratteristiche del PDP


Il PDP è garanzia del diritto allo studio in quanto:
- favorisce la continuità didattica (in quanto costituisce documentazione trasmissibile);
- documenta le attività individualizzate, le modalità didattiche applicate (strumenti compensativi e
misure dispensative);
è strumento flessibile:
- può essere modificato in itinere o aggiornato in qualsiasi momento;
è multidisciplinare:
- coinvolge, oltre alla scuola, la famiglia e gli specialisti.
La redazione del PDP si compone di diverse fasi, ciascuna delle quali è parte integrante ed
essenziale di questo documento, che concorre alla promozione di un efficace apprendimento a
vantaggio dell’alunno o studente con DSA. Contestualmente, la ricaduta interessa tutta la
comunità scolastica, in quanto l’intervento che viene progettato comprende e compenetra tutto il
sistema-scuola, a cominciare dal gruppo classe.
 Prima fase di elaborazione del PDP: la raccolta di informazioni
La prima parte del PDP comprende tutti i dati informativi, rilevati attraverso i colloqui con la
famiglia, con gli eventuali ordini di scuola precedenti e con gli specialisti. E’ opportuno redigere un
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verbale, anche breve, di ogni incontro per conservare memoria di quanto comunicato e/o
concordato.
Le informazioni riguardano i comportamenti a casa, le caratteristiche dell’alunno o studente così
come riportate dalla famiglia (es. modalità di svolgimento dei compiti a casa, metodo di studio,
ecc.), gli interventi effettuati dai servizi sanitari (frequenza, intensità, tipologia degli interventi).
Dagli ordini di scuola precedenti si possono ricavare informazioni dirette o documenti utili a
ricostruire il percorso di apprendimento pregresso dell’alunno/studente.
La seconda fonte di dati è l’osservazione diretta e sistematica nei diversi contesti (momenti
strutturati e non) e nei diversi ambiti di apprendimento (diverse aree o discipline).
La rilevazione può giovarsi di specifiche schede di osservazione e di monitoraggio;
successivamente il complesso dei dati raccolti può essere sintetizzato in schede di sintesi che
delineino il profilo iniziale dell’alunno, ovvero la situazione di partenza.
 Seconda fase di elaborazione del PDP: il raccordo
In questa fase si definiscono obiettivi educativi condivisi all’interno del gruppo docente e con la
famiglia. La norma non richiede espressamente il raccordo con i servizi sanitari, ma è consigliabile
ricercare attivamente una sinergia anche in questa direzione.
In relazione al profilo di partenza e ai traguardi ipotizzabili, si determinano gli adattamenti da
applicare per raggiungere gli obiettivi previsti per la classe.
I DSA non prevedono una riduzione degli obiettivi di apprendimento, ma piuttosto un diverso
percorso per conseguirli, che riesca ad aggirare le difficoltà strumentali per consentire l’accesso ai
contenuti superiori.
 Terza fase di elaborazione del PDP: la programmazione
Per ciascuna disciplina vanno indicati i contenuti e le metodologie personalizzate, in ragione di
criteri collegialmente condivisi e individualmente applicati. Particolarmente efficaci risultano gli
approcci didattici di tipo cooperativo e collaborativo, la didattica metacognitiva, la
costituzione di gruppi di lavoro eterogenei. Gli interventi di recupero e potenziamento possono
essere svolti opportunamente in classe, avvalendosi del tutoring dei compagni e consentendo di
utilizzare tempi più lunghi.
In caso di dispensa dalla lingua straniera, questa deve essere indicata nella diagnosi e recepita
dal PDP, se gli insegnanti concordano; di conseguenza, le metodologie privilegiate saranno di tipo
orale. In casi di particolare gravità del disturbo, la diagnosi può richiedere l’esonero dalla lingua
straniera. In questo caso, sarà la famiglia a richiedere alla scuola di applicare questa opzione e i
docenti si esprimeranno a riguardo. In caso si confermi l’esonero, andrà programmata un’attività
alternativa differenziata. Va ricordato che tale condizione pregiudica il conseguimento di un titolo
di studio con pieno valore legale, consentendo solo di ottenere il rilascio di un’attestazione ai sensi
dell’art. 31 del DPR 273/1998. Per questa ragione, la scelta dell’esonero deve essere esercitata
con molta cautela.
La programmazione contiene la scelta degli adattamenti metodologici, l’elenco degli strumenti
compensativi e delle misure dispensative utilizzate per ciascuna disciplina e la misura in cui
vengono applicati.
 Quarta fase di elaborazione del PDP: valutazione intermedia e finale
La valutazione del percorso deve applicare gli strumenti condivisi in sede di programmazione,
coerentemente con quanto previsto nella diagnosi ed emerso dalle osservazioni scolastiche.
Condividere i criteri di valutazione può non essere facile per gli insegnanti, ma è essenziale per
poter applicare con efficacia le metodologie personalizzate. L’utilizzo degli strumenti di compenso,
la concessione di tempi più lunghi per le verifiche ovvero la riduzione del carico di lavoro con

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adattamento del livello di performance atteso, sono modalità che vanno attentamente specificate
ed applicate con rigore e coerenza da tutti gli insegnanti. La valutazione del percorso svolto e
degli esiti conseguiti è finalizzata alla riprogettazione (valutazione formativa) e all’accertamento
dei livelli raggiunti in relazione agli obiettivi programmati (valutazione sommativa). E’ il caso di
sottolineare l’aspetto preminente dell’accezione formativa della valutazione, in quanto capace di
fornire un feed-back sull’apprendimento realizzato e sulla qualità degli esiti conseguiti dagli
insegnanti attraverso gli adattamenti metodologici.
I momenti valutativi sono indicati in intermedio e finale, ma il percorso si giova certamente di un
monitoraggio più assiduo, che accompagni costantemente il percorso di apprendimento.

8. GLI INSEGNANTI DI FRONTE AI DSA

Il ruolo degli insegnanti


Gli insegnanti rivestono un ruolo fondamentale sia nell’identificazione che nella scelta degli
interventi più opportuni a favore degli alunni con DSA. Sono gli insegnanti, fin dalle prime fasi della
scolarizzazione, che rilevano un anomalo ritardo nell’acquisizione dei processi di
automatizzazione delle strumentalità di base della lettura, scrittura e calcolo; sono loro che
effettuano gli interventi compensatori precoci, che rilevano gli stili di apprendimento e modalità di
funzionamento specifiche dell’alunno, sulla base delle quali strutturare un progetto di intervento
personalizzato. La loro capacità di osservazione è di importanza cruciale, eppure, ancora oggi,
nonostante i progressi nella conoscenza dell’argomento e le norme specifiche emanate, esistono
molte resistenze nell’accettare la possibilità che l’alunno presenti un DSA. Paradossalmente,
l’esistenza di facoltà cognitive integre, porta spesso a pensare che automatismi così
apparentemente scontati non vengano appresi per mancanza di volontà dell’alunno, o insufficiente
esercizio. Da cosa derivano queste convinzioni? Un alunno con DSA non riesce ad
automatizzare una ruotine di azioni e quindi, quando focalizza un aspetto, facilmente gliene
sfugge un altro. Se un insegnante si trova quattro parole identiche scritte nel testo in quattro modi
diversi il commento spontaneo è “Vedi che qui l’hai scritta giusta? Vedi che quando stai attento…”
In realtà un normolettore quando opera con le parole scritte non sta “attento”, ma opera “in
automatico”. Il soggetto con DSA non automatizza, quindi deve stare continuamente attento a
tutto e l’attenzione si consuma facilmente.

Il “funzionamento mentale”
E’ pregiudizio comune pensare che il “funzionamento mentale” sia qualcosa di unitario: ci si
aspetta che un soggetto presenti capacità omogenee, è strano che riesca a fare bene qualcosa e
sia poco capace, o addirittura incapace, di fare qualcos’altro. Contrariamente alle convinzioni,
comuni anche a molti insegnanti, facoltà cognitive brillanti possono coesistere con difficoltà
insuperabili. Ma non è facile accettare che un ragazzino intelligente non riesca ad automatizzare
funzioni “strumentali” come la scrittura, i calcoli mnemonici, le regole ortografiche basilari, che non
richiedono apparentemente altro che l’esercizio. Invece, se esiste un disturbo, non è la semplice
volontà che può risolverlo né l’esercizio puro e semplice che può farlo scomparire del tutto, proprio
come accade ad una persona che presenti una disabilità motoria: non potrà camminare
normalmente solo volendolo e la fisioterapia potrà migliorare la sua condizione ma non
cancellarla.

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Il ruolo dell’esercizio
Un secondo pregiudizio comune a molti insegnanti è che l’allenamento sviluppi sempre e
comunque le abilità. Non è così se un soggetto è privo dei prerequisiti. A prezzo di grandi sforzi
di attenzione, un soggetto disortografico può scrivere giusta una parola complessa in un dettato.
Ma l’attenzione si “consuma” velocemente e sbaglierà altre cose: la ripetizione da sola non riesce
a creare in lui l’automatismo che gli altri acquisiscono quando diventano scrittori “abili”. Dire al
bambino: “Vedi che quando stai attento ci riesci!” è un’ulteriore frustrazione.
I DSA, diversamente dalle disabilità, sono disturbi invisibili, perché non presentano marcatori
biologici esterni e non hanno identità evidente fuori dalla scuola. I bambini con DSA giocano ed
interagiscono normalmente con i compagni e in un contesto sociale non rivelano differenze,
mentre altri tipi di disturbo (pensiamo, ad esempio, all’autismo) manifestano “anomalie”
riconoscibili anche in contesti non scolastici.
I DSA sono disabilità nascoste, per questo sono poco accettate, soprattutto nei gradi “alti” della
scolarità. Non chiederemmo mai ad un soggetto con tetraparesi spastica di correre come gli altri.
Potrà muoversi, ma secondo la sua andatura. Così un soggetto disortografico potrà svolgere il suo
compito, ma a suo modo, con molti errori di ortografia e questo per un insegnante non è facile da
tollerare. Occorre adeguare le aspettative, perché attendendosi un livello standard di prestazioni
da tutti gli alunni, gli insegnanti rischiano di rimanere delusi e di frustrare fatalmente l’alunno.

Altre variabili scolastiche


Un altro pregiudizio frequente è pensare che per l’alunno DSA si sia utilizzato un metodo di
insegnamento sbagliato. Ma come mai andava bene per tutti gli altri? Ed è possibile, se un
ragazzo alla scuola secondaria ha ancora tante difficoltà nell’ortografia e nella lettura strumentale,
che dipenda ancora dall’insegnante della scuola primaria che non ha dato buone basi?
Certamente no. Un’altra spiegazione cui spesso si ricorre è quella psicologica: “...forse non lega
con l’insegnante”. E qui la cosa può esser controversa: un bambino che ha difficoltà severe di
letto-scrittura già dopo pochi giorni non vuole più andare a scuola, perché vede che per lui è
difficilissimo ciò in cui gli altri riescono senza apparente fatica. Ma le difficoltà psicologiche, in
questo caso, sono la conseguenza, non la causa dei suoi problemi. Bisogna essere molto attenti e
sensibili per porre correttamente questa valutazione.
E’ ancora difficile far capire a molti insegnanti che questi bambini non fanno apposta, non
cercano di “imbrogliare”. E’ molto meno faticoso imparare a leggere e a scrivere che far finta di
non riuscirci, collezionando fallimenti e frustrazioni. Dopo il primo mese di scuola elementare si
calcola che un bambino abbia visto la lettera A centinaia di volte, essendo questa lettera la più
frequente nell’alfabeto italiano. Se ancora non la discrimina dopo alcuni mesi, è difficile che faccia
apposta…
Agli insegnanti si pone, poi, un altro problema: i DSA non hanno un limite riconoscibile che li
separi dalla normalità. Le difficoltà di questi alunni si situano su un continuum all’interno del
quale non è sempre agevole individuare delle demarcazioni precise. Le condizioni sono molto
differenti e non è facile trovare un metodo che sia efficace per tutti alla stessa maniera.

Trovare strade alternative


Di fronte ai DSA l’insegnante deve fare qualcosa di diverso e questo per la scuola è una
complicazione, a maggior ragione di fronte ad una condizione, come si è detto, invisibile
dall’esterno e senza confini precisi. Eppure per questi ragazzi il loro disturbo rappresenta una
barriera che a volte sembra insormontabile, in quanto ostacola gli strumenti di accesso alla
conoscenza, e tanto più questo accade, tanto più si avanza con il grado di scolarizzazione, perché
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i testi diventano complessi e la letto-scrittura è il veicolo per accedere agli apprendimenti superiori.
Senza l’aiuto degli insegnanti questa barriera non può essere abbattuta.
E’ veramente utile lavorare per ridurre le conseguenze funzionali dei DSA, cioè minimizzarne gli
effetti e si riesce a fare meglio nelle primissime fasi dello sviluppo, quando il Sistema Nervoso è
più plastico e modificabile. La disabilità è costituzionale e non è eliminabile in sé, ma sono in parte
modificabili i sui effetti sulla qualità dell’apprendimento. By-passando certi nodi critici, trovando
strade alternative, il soggetto può accedere ai contenuti superiori anziché rimanere bloccato alle
strumentalità che non riesce ad acquisire in maniera esperta. Tavola pitagorica, calcolatrice,
computer sono ausili come gli occhiali per chi non ci vede bene o i deambulatori per chi ha
difficoltà a camminare autonomamente: gli insegnanti devono accettare il fatto che ciò che non è
modificabile va “aggirato” con l’adozione di specifici ausili e magari di qualche “sconto” sulle
richieste strumentali. La via migliore per aiutare efficacemente ciascun alunno la può trovare solo
l’insegnante, se riesce a riconoscerne le caratteristiche cognitive specifiche e gli stili di
apprendimento e su questi predisporre una didattica che favorisca il suo successo formativo.
Non è il “tecnico dei DSA” che può offrire soluzioni, ma è la capacità dell’insegnante in quanto
educatore che può trovare le strategie migliori. L’alunno ha bisogno di aiuto per accettare le sue
difficoltà e, appena è pronto a farlo, è utile che condivida con la classe la consapevolezza del
disturbo. Si pensi, ad esempio, a cosa può significare questo in un momento delicato come quello
dell’adolescenza e quanto possa essere importante la mediazione degli insegnanti. Va aiutata
anche la famiglia; spesso ha alle spalle un cammino di sofferenza… Va compresa e sorretta
anche quando tende a sminuire o nascondere il problema, rendendo il compito educativo più
difficile. Non è mai contrapponendosi che si riesce ad aiutare l’alunno in difficoltà.

Suggerimenti per gli insegnanti


Può essere utile ricapitolare e sintetizzare alcuni suggerimenti utili per gli insegnanti:
• I docenti rivestono un ruolo decisivo perché rilevano per primi la presenza del problema e
possono attivare interventi efficaci.
• E’ importante non sottovalutare le difficoltà dell’alunno attribuendole a ritardo cognitivo, a povertà
dell’ambiente sociale e culturale, a “blocchi” emotivi o altro. Se ci sono dei dubbi, è bene suggerire
alla famiglia di rivolgersi ad uno specialista o ad un centro diagnostico competente.
• Occorre ricordare che i DSA non costituiscono disabilità, ma sono legati ad una diversa
organizzazione neurologica e a un diverso stile di apprendimento.
• I docenti devono tener conto delle caratteristiche del disturbo e cercare di agire in maniera
coordinata con gli operatori sanitari, i genitori e tutti i colleghi.
• Non tutti i ragazzi con DSA sono uguali, in ciascuno possono essere riscontrate configurazioni
particolari del o dei disturbi di apprendimento.
• E’ importante far sapere al ragazzo che si è interessati alla sua difficoltà e che vi è l’intento di
aiutarlo.
• Occorre tener conto della grande fatica che costa l’apprendimento all’alunno con DSA e che fa
questa fatica fin da quando ha cominciato ad andare a scuola.
• Non ci sono deroghe sugli obiettivi del programma didattico, ma deve essere lasciata la massima
libertà e flessibilità sui modi di apprendere.
• E’ opportuno fissare obiettivi concreti e realistici, tenendo conto del fatto che un apprendimento
senza errori è per l’alunno con DSA molto improbabile.

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• E’ necessario verificare che il livello del materiale didattico sia appropriato (ad esempio, per la
lettura, sia adeguato nel lessico, nella struttura sintattica e nell’aspetto grafico). Lo stesso dicasi
per il livello e la tipologia delle verifiche.
• Nelle consegne verbali bisogna considerare che alcune indicazioni (“scrivete in alto a destra”,
“riportate questa parola nella colonna di sinistra”,…) possono risultare difficoltose e che anche
copiare dalla lavagna può risultare difficile.
• Gli alunni con DSA hanno bisogno di sentire un’attenzione individuale da parte dell’insegnante.
• L’alunno con DSA necessita di più tempo per organizzare i pensieri e completare il lavoro, la
fretta non lo aiuta.
• Il contenuto e l’ortografia vanno valutati separatamente.
• Occorre ridurre il carico dei compiti a casa.
• Va individuata l’attività nella quale l’alunno è più capace, per sostenerlo e sfruttare i suoi punti di
forza.
• Non va richiesta la lettura ad alta voce in classe, a meno che non sia l’alunno stesso a chiederlo.
• Le abilità dell’alunno con DSA dovrebbero essere giudicate più sulla base delle sue prestazioni
orali che scritte.
• Si consideri la possibilità dell’uso del software didattico compensativo, come la sintesi vocale, i
libri digitali, gli audiolibri, i libri di lettura in CD ( testi narrativi) disponibili nelle librerie e presso le
biblioteche pubbliche, dizionari digitali, software specifici. Tutti i testi scolastici in adozione hanno
una versione digitale che può essere richiesta alla casa editrice.

9. LA DISLESSIA: PREDITTORI, INDICATORI E MANIFESTAZIONI

L’osservazione
Per individuare un alunno con potenziale DSA, di qualsiasi tipo di disturbo specifico si tratti, come
sottolineato dalle Linee Guida, in una prima fase può bastare un’attenta osservazione da parte
degli insegnanti nei vari ambiti di apprendimento – lettura, scrittura, calcolo – che possono rivelare
il disturbo. Si è detto che la diagnosi di dislessia può esser posta solo alla fine della seconda
classe della scuola primaria, ma molto prima possono essere evidenziati indicatori attendibili che
l’insegnante deve saper riconoscere al fine di attivare precocemente efficaci interventi
compensativi ed eventualmente disporre un invio diagnostico mirato. Per questo motivo, nell’arco
di tutto il ciclo della scuola primaria – e anche prima – occorre porre attenzione al bambino e
allertarsi in presenza di specifici segnali. Non è insolito che indicatori precoci quali impacci motori,
difficoltà spaziali, di lateralizzazione, di linguaggio, passino completamente inosservati.
Un’attenta osservazione può rivelare difficoltà nella consapevolezza del tempo e nella sua
gestione, problemi di memoria di lavoro, a breve termine e di memoria sequenziale, un pensiero
principalmente per immagini con scarso ricorso al dialogo interno. La lateralizzazione è talvolta
incerta, non c’è una dominanza coerente mano-piede-occhio-orecchio. Il bambino confonde
spesso destra-sinistra e/o anche sopra-sotto, sono presenti difficoltà nella coordinazione motoria
durante le attività sportive e nella motricità fine.

Segnali predittori in fase prescolastica


E’ in fase prescolastica che si pongono le basi di quella che sarà poi la maturazione delle abilità

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di lettura, scrittura e calcolo e in cui precocemente possono evidenziarsi difficoltà, ritardi o disturbi
che, se non riconosciuti e non compensati, successivamente possono creare difficoltà più serie.
La Federazione Italiana di Neurologia evidenzia i seguenti segnali predittori:
• La persistenza di disturbi del linguaggio in età prescolare: se un bambino presenta alterazioni
della capacità espressiva dopo i 4 anni di età, il rischio che successivamente presenti disturbi di
apprendimento è elevato; se, invece, prima dei 4 anni si osserva una remissione spontanea di
queste difficoltà, la probabilità di DSA si riduce di 2/3. La soglia dei 4 anni rappresenta, quindi, un
indicatore importante. Nella scuola dell’infanzia occorre osservare i comportamenti linguistici
spontanei che i bambini manifestano e la risposta ai giochi linguistici fonologici proposti dalle
insegnanti (i giochi delle rime, assonanze, comincia per…, ritmo sillabico, ecc.).
• La familiarità: c’è una correlazione tra la presenza in famiglia di casi di DSA e la presenza del
disturbo nel bambino. Tale correlazione è stata studiata ancora poco in Italia, mentre vi sono molti
studi importanti europei e americani, secondo cui l’incidenza del rischio DSA, quando c’è
familiarità, è intorno al 40%. Conoscere questo dato può rappresentare per l’insegnante un
“campanello d’allarme”.
• I disturbi nelle prassie, nella programmazione e nell’organizzazione motoria: la programmazione
motoria è componente essenziale della lettura, scrittura e calcolo. Bambini con incerta
lateralizzazione o visibilmente molto “impacciati” nella motricità globale e fine (prassie quotidiane
dell’abbigliamento, allacciature, percorsi, andature, ecc.) possono poi incontrare difficoltà nel
programmare i movimenti oculari richiesti dalla lettura oppure quelli oculo-manuali richiesti dalla
scrittura e dal calcolo.
• Le manifestazioni psicologiche e relazionali disturbate (disturbi della condotta). Un tempo
venivano erroneamente interpretate come cause dei DSA, ora si tende a considerarle come
conseguenze dell’ansia da prestazione, ovvero derivanti dall’impressione di non riuscire a
padroneggiare adeguatamente l’ambiente. In effetti, spesso i DSA sono associati a disturbi
dell’attenzione e all’iperattività.
Sono ora disponibili strumenti per effettuare un primo screening globale fin dall’ultimo anno della
scuola dell’infanzia, mirato a rilevare la presenza di precursori dei DSA, ed in particolare della
dislessia, in modo da cominciare precocemente ad intervenire con stimolazioni compensative,
massimamente efficaci a questo livello di scuola.

Indicatori e manifestazioni nella scuola primaria


La scuola primaria rappresenta il momento in cui il bambino affronta proprio quei contenuti con
cui le sue difficoltà si scontrano e quindi il suo problema si evidenzia e può esser riconosciuto
osservando specifici indicatori. Ma è anche “l’età d’oro” per gli interventi di potenziamento,
soprattutto i primi 2-3 anni. E’, quindi, importante che l’individuazione sia molto precoce, entro il
primo, massimo secondo anno di scolarità.
Nella scuola primaria la dislessia si manifesta con una lettura scorretta e/o lenta, con difficoltà a
memorizzare la corrispondenza grafema-fonema e ad effettuare la fusione sillabica, una
permanenza anormalmente lunga della lettura sillabica e difficoltà a passare dalla lettura
decifrativa (applicazione della via fonologica, attraverso il meccanismo di conversione
grafema/fonema) a quella lessicale (riconoscimento delle parole “a vista”).
Il primo tipo di lettura è lento e macchinoso, espone a frequenti errori. Per questo, appena diventa
più esperto, il lettore l’abbandona e lo tiene solo come “controllo parallelo”. Naturalmente, poi, ogni
parola percepita deve trovare il suo corrispondente nel magazzino della memoria dei significati.

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Il dislessico non riesce ad operare questa coordinazione tra diverse funzioni parallele, ha difficoltà
nella corrispondenza grafema-fonema (primo tipo di lettura) e più ancora ha difficoltà a vista a
discriminare il pattern sensoriale della forma intera della parola per poterla individuare. Ha poi
difficoltà di accesso ai magazzini di memoria e non è detto che attivi i significati giusti.
A prevalenti difficoltà nell’attivare le diverse vie di lettura, corrispondono altrettante tipologie di
disturbo dislessico.
Parliamo di dislessia superficiale quando il soggetto ha difficoltà ad usare la via visiva e predilige
la lettura “lettera per lettera” (errori nella lettura a voce alta, lentezza, comprensione difficoltosa a
causa della macchinosità della decodifica). Con le lingue non trasparenti, come l’inglese, i
problemi sono ancora più rilevanti, perché a scritture diverse a volte corrisponde uguale pronuncia
e viceversa a scritture uguali può corrispondere diversa pronuncia. Si tratta della forma di dislessia
più frequente, per questo è utile privilegiare l’utilizzo dei metodi fonico-sillabici per l’insegnamento
della lettura, secondo la progressione: fonemi, fusione sillabica, parola, frase.
La dislessia fonologica è quella del lettore “visivo”, che riconosce dalla forma complessiva la
parola, quindi riesce a leggere solo le parole, non troppo lunghe, che ha imparato a memoria e
non riesce a leggere le non parole.
La dislessia profonda comporta, oltre al deficit fonologico, anche problemi di identificazione
semantica, quindi difficoltà di accesso diretto al magazzino della memoria lessicale.
La lettura, se lenta e scorretta, influenza fatalmente la comprensione del testo che è spesso
ridotta e nel tempo diventa più faticosa poiché aumentano le difficoltà contenutistiche, strutturali e
lessicali dei testi affrontati.
Per riconoscere una situazione di sospetto disturbo dislessico, fin dalla prima classe della scuola
primaria, si possono osservare alcuni specifici indicatori di difficoltà:
• L’alunno è lento nel ricordare le lettere e nella corrispondenza fonema/grafema (la lentezza è
l’indicatore principale).
• Quando legge fa molti errori (non fa bene l’analisi fonemica).
• Non riesce a passare alla seconda fase del processo di lettura, ovvero non riconosce a vista le
parole note.
In un momento successivo, i principali problemi che si possono riscontrare sono:
• Scarsa discriminazione di grafemi diversamente orientati nello spazio: confusione p-b, p-q, u-n,
a-e, b-d…
• Scarsa discriminazione di grafemi che differiscono per piccoli particolari: m-n,c-e,f-t...
• Scarsa discriminazione di grafemi che corrispondono a fonemi sordi e fonemi sonori
(somiglianze percettivo – uditive).
• Difficoltà di decodifica sequenziale: leggere richiede al lettore di procedere con lo sguardo in
direzione sinistra - destra e dall'alto in basso. Nel soggetto dislessico possono verificarsi difficoltà
di decodifica sequenziale, per cui si manifestano con elevata frequenza errori quali l’omissione di
grafemi e di sillabe (“fote” anziché “fonte”; oppure “capo” anziché “campo”...) oppure di vocali
(“fume” anziché “fiume”), di sillabe (“talo” anziché “tavolo”; “paro” anziché “papavero”). Si
evidenziano difficoltà a procedere sul rigo e ad andare a capo, con “salti” di parole o di intere righe
di lettura, inversioni di sillabe o della sequenza dei grafemi.
• Difficoltà a procedere con lo sguardo nella direzione sinistra – destra, con l'aggiunta o ripetizione
di un grafema o di una sillaba ( ad esempio “tavovolo” al posto di “tavolo”...).
• Errori di anticipazione: il soggetto esegue la decodifica della prima parte della parola, talvolta
anche solo del primo grafema o della prima sillaba, e procede “inventando” l’altra parte. La parola
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contenuta nel testo viene così ad essere spesso trasformata in un’altra di significato affine o
completamente diverso.
• Problemi psicologici: fin dalla scuola primaria il bambino può evidenziare demotivazione e scarsa
autostima, ma queste sono una conseguenza dell’insuccesso scolastico, non la causa della
dislessia. Il bambino è disordinato, disturba in classe e fa il buffone, è emotivo ed ansioso.
L’incostanza dell'errore e grande sensibilità al contesto in cui viene svolto il compito (rumore,
tarda mattinata, ansia, ecc., possono peggiorare notevolmente le prestazioni) rendono discontinuo
il rendimento.

Indicatori e manifestazioni nella scuola secondaria


A livello di scuola secondaria di primo grado l’alunno dovrebbe giungere già con una diagnosi.
Non è sempre così: capita addirittura che alla scuola secondaria di secondo grado vengano poste
diagnosi molto tardive.
Nella scuola secondaria, in genere, si realizza un certo miglioramento della rapidità e della
correttezza della lettura, ma si assiste di solito ad un peggioramento dell’andamento scolastico
legato ad aumento della discrepanza fra richieste e prestazioni. Per gli insegnanti della scuola
primaria, infatti, nella lettura la decodifica è di importanza prioritaria, per gli insegnanti della
secondaria è invece fondamentale la comprensione del testo, perché solo attraverso essa si
realizza lo studio. Osserviamo che per uno studente dislessico nella scuola secondaria risulta
particolarmente difficile:
• Leggere a voce alta
• Leggere il corsivo
• Memorizzare vocaboli o termini specifici
• Ricordare definizioni e date
• Ricordare le categorizzazioni, i nomi dei tempi verbali, dei complementi,…
• Dettato, riassunto, composizione scritta, esercizi grammaticali, traduzioni… perché molto spesso
è associata una difficoltà di scrittura.
L’aumento progressivo del carico di lavoro e della complessità dei testi da leggere complica,
infatti, notevolmente l’iter scolastico fino a renderlo a volte impossibile, se non vengono utilizzati
nella didattica e nello studio strumenti compensativi e misure dispensative che, senza sminuire i
contenuti, semplifichino l’accesso al testo, riducano il carico di lavoro e consentano i tempi di
applicazione necessari.
L’adolescente attraversa fisiologicamente una fase evolutiva difficile e dal punto di vista emotivo e
comportamentale il sentirsi “diverso” e il timore del giudizio dei compagni può avere ripercussioni
sull’autostima e portarlo anche a rifiutare gli strumenti compensativi perché marcatori di diversità.
Tutto ciò, paradossalmente, avviene in una fase dello sviluppo che consentirebbe, invece, una
maggiore consapevolezza del proprio “funzionamento” mentale e quindi lo sviluppo di strategie di
apprendimento adeguate e migliori capacità di utilizzo di strumenti compensativi rispetto all’età
infantile.
Il ragazzo dislessico, in genere, non riesce a rappresentarsi mentalmente l’ortografia delle parole
(deficit metalinguistico). Ne consegue una difficoltà nell’effettuare operazioni linguistiche quali, ad
esempio, quelle legate all’apprendimento delle regole grammaticali del linguaggio, sia in italiano
che nelle lingue straniere. Questo deficit incide sulla forma scritta della lingua e non sul parlato,
che può essere normalmente appreso. La grossa difficoltà nell’affrontare la lingua straniera scritta
è un indicatore sensibile della presenza di DSA: infatti le lingue straniere, una per tutte l’inglese,
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sono molto meno trasparenti nella corrispondenza grafema/fonema rispetto all’italiano, quindi
fanno emergere con evidenza i problemi di transcodifica.
Indicatore altrettanto comune è la difficoltà di analisi del testo (fare la sintesi o individuare le
parole chiave necessarie per la costruzione autonoma delle mappe concettuali), difficoltà di
comprensione particolarmente con testi sintatticamente complessi o tecnici, ricchi di parole
specialistiche, non ancora note e che perciò non appartengono al magazzino lessicale dello
studente.
Altro segnale di possibile DSA è la persistenza, nella scuola secondaria, di lentezza esecutiva,
facile affaticabilità, deficit della memoria di lavoro, con conseguenti difficoltà in varie attività,
alcune anche apparentemente semplici, come copiare, scrivere sotto dettatura, prendere appunti,
eseguire test di ascolto in lingua straniera, ecc.
Non di rado l’esposizione orale, durante le interrogazioni, è scarna e insoddisfacente per motivi
legati alla mancanza di un supporto visivo testuale nello studio, quando questo avviene solo
tramite lettore esterno.
Nella scuola secondaria, più ancora che nei livelli precedenti di scolarità, il problema “dislessia”
può essere mascherato da demotivazione allo studio, comportamenti di reattività, atteggiamenti di
sfiducia. Questi indicatori comportamentali, benché certamente generici, meritano di essere
sempre approfonditi, se si accompagnano a qualcuno degli indicatori descritti sopra.

10. LA DISGRAFIA: PREDITTORI, INDICATORI E MANIFESTAZIONI

I disturbi della scrittura


La disgrafia coinvolge le competenze grafo-motorie e/o visuo-spaziali della scrittura, mentre la
disortografia attiene alle competenze fonologiche, ortografiche e linguistiche, anche se nella
maggioranza dei casi ci troviamo di fronte a forme miste.
La scrittura disgrafica è di difficile leggibilità e presenta caratteristiche diverse che rispecchiano le
relative aree di difficoltà. Analizzando le modalità usate dal bambino mentre scrive ed il prodotto
della sua scrittura, l’insegnante può individuare precocemente la presenza di difficoltà ed
intervenire adeguatamente, sia per prevenire (scuola dell’infanzia) che per compensare (scuola
primaria). Quando il bambino è più grandicello e segnatamente nella scuola secondaria, se
permane una scrittura faticosa e disgrafica, è opportuno non insistere più in attività di recupero,
ma utilizzare la videoscrittura quale strumento compensativo.

Predittori e manifestazioni nella scuola dell’infanzia


Fin dalla scuola dell’infanzia si possono evidenziare alcuni importanti segnali predittori che
attengono alla qualità del segno grafico, utilizzato a quest’età prevalentemente per disegnare, ma
che poi evolverà nella scrittura spontanea prealfabetica e, quindi, attraverso una serie di fasi
intermedie, nella scuola primaria approderà alla convenzionalità della codifica scritta dei suoni. Le
difficoltà possono attenere al versante grafo-motorio oppure a quello visuo-spaziale. Sono segnali
importanti alla scuola dell’infanzia i seguenti:
• Difficoltà di gestione delle informazioni visuo-spaziali: il bambino non riesce ad organizzare le
forme grafiche tenendo conto dello spazio-foglio, dei margini, delle dimensioni di quanto
rappresentato (es. lascia spazi esagerati, concentra tutte le forme, sovrappone, accosta forme
molto piccole ad altre troppo grandi, dispone caoticamente sul foglio gli elementi rappresentati
senza un’organizzazione…).

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• Difficoltà posturali e motorie: il bambino non mantiene una postura corretta, non tiene
correttamente la mano che non scrive, i cui movimenti interferiscono con il controllo della mano
che scrive, ha tremori e difficoltà nel modulare la pressione del segno, impugna l’attrezzo grafico
in modo scorretto, con la mano troppo rigida o il pollice instabile, è eccessivamente lento o troppo
impulsivo.
• Difficoltà nell’autocontrollo del segno grafico nella copiatura, nelle attività di pregrafismo e nelle
coloriture: il bambino non riesce a riprodurre figure semplici rispettandone le caratteristiche
spaziali, fatica a seguire un “binario” o una linea tratteggiata, esce vistosamente dai margini nelle
coloriture.
Sono state elaborate prove di screening di tipo visuo-spaziale che aiutano l’insegnante a valutare
l’entità delle difficoltà grafiche dell’alunno, ascrivendole prevalentemente all’area del controllo
grafo-motorio piuttosto che visuo-spaziale. L’individuazione precoce di difficoltà permette di
progettare interventi di potenziamento delle abilità (pregrafismo, esercizi defatiganti, modifica della
prensione, scelta di adeguate tipologie di matite, uso di gommini facilitanti,…).
L’intervento sulla postura e l’impugnatura è quello che più ha efficacia preventiva, in questo senso
è da sconsigliare l’utilizzo di pennarelli grossi e pesanti che abituano il bambino ad una prensione
scorretta per essere sorretti verticalmente, costringendolo ad utilizzare più dita anziché la pinza
pollice-indice.

Indicatori e manifestazioni nella scuola primaria


Nella scuola primaria la scrittura diventa una delle attività più importanti e le eventuali difficoltà
emergono con evidenza. Segnali specifici di disgrafia possono essere i seguenti:
• Persistenza di difficoltà visuo-spaziali, che si manifestano come mancato rispetto dei margini del
foglio, spazio inadeguato tra le lettere con collassamenti e/o distanze eccessive, capovolgimenti di
lettere, macro e micrografie, anche alternate nella stessa riga di scrittura, scrittura “a fisarmonica”,
incoerenza nell’inclinazione e fluttuazioni sul rigo.
• Persistenza di difficoltà posturali e motorie, del tipo di quelle già indicate per la scuola
dell’infanzia.
• Utilizzo di strategie inappropriate: proporzioni incongruenti tra parti delle lettere, difficoltà di
collegamento, composizione delle lettere attraverso tratti separati piuttosto che linee continue,
direzione di scrittura antieconomica (es. nel fare i cerchi, si utilizza un movimento orario/antiorario
ripassando il segno già tracciato), questo aumenta la faticabilità e rende le lettere illeggibili.
• Difficoltà di pianificazione e recupero degli schemi motori per compitare le lettere: confusione tra
lettere simili e creazione di segni inesistenti, ripetute autocorrezioni.
• Difficoltà di controllo motorio durante il movimento: dismetrie (difficoltà di controllo della traiettoria
della scrittura, per cui una riga invade l’altra) e perseverazioni motorie (difficoltà a fermare in
tempo la penna prima di passare alla lettera seguente).
• Osserviamo, inoltre, che tra i disgrafici è più frequente il mancinismo.
Nella scuola primaria è bene partire dallo stampato maiuscolo. Il bambino deve ricevere
indicazioni molto chiare su come scrivere: rispetto dei margini, come svolgere il movimento per
compitare le lettere, come stare nel rigo (“tocca il soffitto/tocca il pavimento”) come quantificare lo
spazio da lasciare vuoto (“metti un dito alla fine della parola e comincia a scrivere dopo”). Utile
predisporre il foglio marcando i “binari” entro cui deve essere composta la scrittura.
L’uso dello stampato maiuscolo è facilitante, in quanto si tratta di un carattere organizzato in una
sola banda spaziale, mentre gli altri caratteri richiedono tre bande spaziali di ampiezza non
equivalente. Inoltre, la scrittura maiuscola è più semplice rispetto ad altri caratteri: si compongono
tutte le lettere a partire da 4 sole tipologie di segno (semicerchio, linea orizzontale, verticale e
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obliqua). Per questa ragione non è il caso di affrettarsi a insegnare altri caratteri prima che lo
stampato maiuscolo sia stato ben acquisito. Il corsivo è un traguardo, perché più ergonomico, ma
non è detto che tutti lo acquisiscano contemporaneamente e magari per alcuni alunni con DSA
può rappresentare un obiettivo troppo complesso.
E’ utile marcare con il colore i margini e le bande occupate dal corpo della scrittura, ed è buona
cosa anche lavorare sul movimento della mano, la diteggiatura, il rilassamento e la “ginnastica
defatigante”.

Indicatori e manifestazioni nella scuola secondaria


Nel corso del tempo l’incremento nelle richieste scolastiche sollecita una maggiore rapidità ed
efficienza della scrittura, la quale tende naturalmente a personalizzarsi, spesso a scapito della
leggibilità. Nella scuola secondaria, in presenza di una scrittura molto faticosa e di errori ormai
consolidati, un intervento di recupero che miri a correggere le strategie disfunzionali attraverso il
ri-apprendimento dei movimenti e delle modalità di compitazione corrette non è inutile ma può
risultare poco economico: molto faticoso a fronte di risultati poco soddisfacenti. Per questo si
preferisce passare direttamente all’uso della videoscrittura, che semplifica enormemente
l’esecutività motoria e facilita la discriminazione delle lettere.
La videoscrittura favorisce anche la consapevolezza metafonologica, la correttezza ortografica e
rende possibile la rilettura.

11. LA DISORTOGRAFIA: PREDITTORI, INDICATORI E MANIFESTAZIONI

Predittori e manifestazioni alla scuola dell’infanzia


Un ritardo nella conquista delle tappe evolutive attese nella scrittura spontanea può indicare
all’insegnante l’opportunità di potenziare i processi sottesi, in modo da favorire l’evoluzione di tutti i
bambini e prevenire future difficoltà nella scrittura.
Nell’ultimo anno della scuola dell’infanzia, predittori di difficoltà metafonologiche possono
rivelarsi:
• Nella difficoltà a intuire il rapporto tra la durata sonora di una parola e la lunghezza della parola
scritta (es. il bambino dice è più lunga la parola treno rispetto alla parola bicicletta, perché prevale
il valore d’immagine semantica della parola rispetto all’immagine sonora pura).
• Nella difficoltà a scandire il ritmo sillabico delle parole col battito delle mani, i saltelli, ecc.
• Nella difficoltà ad individuare parole che iniziano per... o fare rime.
• Nella difficoltà a categorizzare (dire velocemente tante parole che appartengono alla stessa
categoria (es. nominare tanti “fiori”).
• Difficoltà nella programmazione fonologica (es. ripetere parole non conosciute o non parole
ricordando i suoni nell’esatta sequenza).
Molte delle osservazioni riportate parlando della dislessia sono applicabili anche alla disortografia,
che interessa i processi centrali dell’organizzazione della scrittura, negli aspetti della
corrispondenza tra suono e grafema, ortografia, composizione, accesso ai significati. Dislessia e
disortografia sono molto spesso due facce della stessa medaglia. In questi alunni permangono a
lungo, ben oltre il limite naturale, errori tipici delle prime fasi dell’apprendimento della scrittura.

Indicatori e manifestazioni nella scuola primaria


Nella scuola primaria gli indicatori di disturbo disortograficio che si possono osservare possono
essere:
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• Difficoltà fonologiche nell’acquisizione del codice scritto: scambio di grafemi, omissioni,
inversioni, scrittura di grafemi inesatti.
• Difficoltà di composizione delle parole: separazioni illegali all’interno di una parola, fusioni illegali,
scambi di fonemi omofoni, mancata automatizzazione dell’uso dell’H, degli accenti, delle
maiuscole e delle doppie, elisioni e troncamenti.
• Difficoltà a copiare dalla lavagna.
• Povertà del testo scritto.
La componente ortografica va valutata, separandola da altre variabili, attraverso il dettato, tenendo
presente che il processo di ortografizzazione termina nella classe terza della scuola primaria,
momento questo in cui si può porre con ragionevole certezza la diagnosi di disortografia.

Indicatori e manifestazioni nella scuola secondaria


Successivamente e particolarmente nel corso della scuola secondaria, l’alunno con DSA può
arrivare ad una compensazione della difficoltà di lettura (che rimane però sempre più lenta del
normale), mentre le difficoltà di scrittura o di comprensione dei testi tendono a permanere. Risulta
particolarmente difficile, per l’alunno disortografico:
• Scrivere in maniera ortograficamente corretta: alle difficoltà già elencate si possono aggiungere
quelle relative alla concordanza dei tempi verbali e nelle referenze (pronome/verbo, ecc.).
• Il dettato (per effetto della difficoltà nella discriminazione uditiva e conversione grafema-fonema).
• Il riassunto (causa la lentezza nel cogliere le informazioni rilevanti e la difficoltà a rielaborarle
secondo sequenze logiche strutturate).
• Il tema (a causa della povertà di espressione del pensiero e alla paura di scrivere parole
sbagliate).
• Prendere appunti (a causa della non automatizzazione della scrittura che rende impossibile fare
due cose insieme: ascoltare e scrivere).
• Creare schemi.
• Copiare testi o anche espressioni matematiche.
• Eseguire esercizi di tipo grammaticale o traduzioni.
• Scrivere le parole in lingue straniere non trasparenti (es. inglese).
Nella produzione dei testi i ragazzi disortografici, oltre a fare moltissimi errori, tendono:
• a ridurre il contenuto;
• a semplificare la forma sintattica;
• ad utilizzare un lessico povero e ripetitivo;
• a non attuare un processo di correzione ortografica.
In situazione di stanchezza, anche chi non presenta DSA, può faticare a trovare automaticamente
la parola (scritta o orale) corrispondente al pensiero. Anche di fronte ad una lingua straniera, se si
deve comporre un testo scritto, si arriva a fare delle scelte per cui vengono eliminate tutte le
parole che possono presentare delle difficoltà o di cui non si è sicuri.
Così alcuni ragazzi con un disturbo disortografico, che assume spesso anche le caratteristiche
della disnomia (difficoltà a trovare le parole adeguate per esprimere i concetti), sintetizzano e
impoveriscono i loro temi, volendo eliminare tutte le parole di cui non ricordano l’ortografia o quelle
che sono molto lunghe e delle quali non sono sicuri. Per paura di commettere errori, del loro
pensiero alla fine non rimane nient’altro che un “pensierino”. Si tratta di una conseguenza della
disortografia, non di un problema cognitivo.

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12. LA DISCALCULIA: PREDITTORI, INDICATORI E MANIFESTAZIONI

Le specifiche difficoltà presenti nella discalculia


Gli alunni discalculici presentano uno specifico disturbo nell’area del processamento numerico e
del calcolo. Oltre al calcolo mentale, presentano spesso difficoltà a memorizzare le tabelline ed, in
genere, ad imparare informazioni in sequenza come le lettere dell'alfabeto, i giorni della
settimana, i mesi dell'anno. Capita che non ricordino la loro data di nascita o le stagioni; possono
fare confusione per quanto riguarda i rapporti spaziali e temporali (destra/sinistra; ieri/domani;
ordine cronologico); possono manifestare difficoltà nel sapere che ore sono e nel leggere l'orologio
analogico. Come per altri DSA, si evidenziano spesso difficoltà nell’organizzazione motoria e
nelle prassie (allacciarsi le scarpe o i bottoni); problemi attentivi e di concentrazione (l’alunno
sogna molto ad occhi aperti, si perde nei suoi pensieri, perde il suo tempo, oppure è molto vivace,
iperattivo). Generalmente ci sono problemi di memoria a breve termine.

Predittori e manifestazioni nella scuola dell’infanzia


Gli studi sperimentali, dai tempi di Piaget agli autori più recenti, ci dicono che nel periodo
prescolastico i bambini strutturano quei concetti logico-spaziali-temporali indispensabili agli
apprendimenti matematici successivi. Una carenza in questa fase di sviluppo, facilmente conduce
a difficoltà di apprendimento successive. Ma non dimentichiamo che il sistema nervoso dei
bambini è quanto di più plastico si possa immaginare. Ecco, quindi, che anche in quei casi in cui
esistano difficoltà neurobiologicamente determinate, un potenziamento precoce di “strade
alternative” può giungere a compensare lievi deficit e favorire uno sviluppo regolare.

I processi analogici per immagini


Secondo i modelli neuropsicologici più recenti, alla base di tutte le abilità matematiche stanno
processi inizialmente analogici più che logici, cioè basati sulle immagini mentali delle quantità. E’
sulla base di queste immagini mentali che si costruiscono le prime idee di quantità e le prime
strategie di “conta” e di “operazione”. Tutto ciò che a livello simbolico avviene dopo, non
misconosce mai queste modalità primarie di processamento pre-numerico.
Si tratta di approfondire la conoscenza di questo modo spontaneo di procedere del bambino e di
assecondarlo e potenziarlo, nella scuola dell’infanzia e nelle prime fasi della scolarizzazione,
perché vada a costituire la base di tutta l’impalcatura simbolica degli apprendimenti successivi. Più
avanti occorrerà integrare gli interventi didattici mirati di potenziamento, con l’utilizzo di strumenti
compensativi che alleggeriscano il bambino dai compiti legati alle “tecniche” per permettergli di
accedere ai ragionamenti più complessi, come il problem solving.
Se Piaget aveva ben dimostrato che l’emergere della capacità di distinguere la numerosità
dipende dallo sviluppo di alcuni prerequisiti, ora la ricerca neuropsicologica ha dimostrato che
esiste un modulo numerico innato che consente di:
• riconoscere la numerosità;
• distinguere i cambiamenti di numerosità;
• ordinare i numeri in base alle dimensioni.
Il bambino, fin da piccolissimo, con piccole quantità, si dimostra capace di riconoscere la
numerosità, apprezzarne i cambiamenti di quantità e l’uguaglianza, senza possedere tutti i
prerequisiti indicati da Piaget e senza conoscere le etichette verbali da associare alle quantità.
Le quantità da 1 a 4 vengono riconosciute ad occhio senza dover contare uno a uno, lo sanno fare
gli animali evoluti e perfino alcuni uccelli (che si accorgono se nel loro nido c’è un uovo in più o in
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meno). Sulla capacità di apprezzare la numerosità “ad occhio” con piccole quantità, detta “effetto
subitizing”, si costruiscono tutte le competenze progressivamente più complesse nell’ambito dei
numeri, come afferma Butterworh. Si ha ragione di credere che la discalculia evolutiva abbia una
delle sue componenti proprio nell’inefficienza congenita di tale modulo numerico innato.

Predittori e manifestazioni nella scuola dell’infanzia


Nel periodo prescolastico i predittori di un disturbo discalculico possono essere:
• Le difficoltà di orientamento spaziale e temporale.
• Le difficoltà di organizzazione motoria globale e fine, le difficoltà nelle prassie.
• Le difficoltà nello stimare a vista la numerosità, a valutare le differenze quantitative.

Indicatori e manifestazioni nella scuola primaria


I bambini discalculici non possono essere diagnosticati con sicurezza prima della terza classe
della scuola primaria, per evitare falsi positivi. Ben prima però possiamo riconoscere segnali
specifici:
• Nella prima classe della scuola primaria il bambino non automatizza la lettura/scrittura dei numeri
ad una cifra (difficoltà lessicali) ovvero non associa automaticamente il simbolo numerico alla sua
etichetta verbale ed alla quantità che rappresenta; ha difficoltà nei giudizi di confronto di
grandezza tra numeri.
• All’inizio della seconda classe ha difficoltà a dire rapidamente il risultato di numeri in coppia, es.
2+2, 5+5,… (difficoltà di recupero di fatti aritmetici).
• In seconda classe avanzata ha difficoltà nel conteggio regressivo, soprattutto quando deve fare il
passaggio delle decine (33,32,31,20,29…): si tratta di un segnale particolarmente sensibile.
• L’aspetto più vistosamente deficitario è il calcolo mentale: il bambino non impara strategie per
aumentare l’efficienza del calcolo ed è lento nel recuperare i fatti aritmetici; non automatizza le
procedure e persevera a lungo nel fare quegli errori che sono tipici delle fasi iniziali
dell’apprendimento.
La capacità di soluzione dei problemi normalmente è preservata, ma è bloccata da tutta le serie di
difficoltà “tecniche” che impediscono al bambino di completare il ragionamento.
Il disturbo discalculico tocca elettivamente la parte esecutiva, ma di fatto, se l’alunno si blocca sui
calcoli, non arriva al risultato. Può, per esempio, capire che per risolvere un problema serve una
sottrazione, ma poi, per trovare il risultato richiesto, è necessario saper fare:
• lettura dei numeri;
• calcoli a mente;
• recupero di fatti aritmetici;
• algoritmo delle operazioni in colonna.
Per fare i calcoli, normalmente, si dovrebbe accedere ad una sorta di magazzino dei fatti
aritmetici, di lunga memoria, dove i calcoli più semplici e di maggior frequenza entrano, per così
dire, automaticamente e lì rimangono, in attesa di venir richiamati alla mente. In questo modo
basta “dare un’occhiata al magazzino” senza perder tempo a ragionarci su e, mantenendo la
concentrazione sui processi più alti, il risultato si recupera automaticamente. A questo punto
dovrebbe sovvenire automatico l’algoritmo della sottrazione (che è diverso da quello della
moltiplicazione o della sottrazione).
Ecco cosa non funziona nei discalculici: non si attivano gli automatismi, né quelli dei fatti
aritmetici né quelli degli algoritmi.
Se chiediamo: “quanto fa 3 x 4 ?” la risposta “12” di solito ci sovviene in un tempo inferiore al
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secondo. Non è frutto di un ragionamento, è un automatismo.
Capire che la moltiplicazione è un’addizione ripetuta che viene così economizzata richiede
intelligenza, ma poi, per trovare il risultato in modo efficiente, basta “aprire il magazzino dei fatti
aritmetici”. Per i discalculici questo magazzino non è direttamente accessibile.
Anche oltre la terza classe della scuola primaria, permangono segnali specifici:
• Errori nell’enumerazione avanti e indietro. Soprattutto l’enumerazione all’indietro è lenta e
scorretta: sono persistenti gli errori intorno alle decine, che tutti i bambini fanno all’inizio
dell’apprendimento. La decina si presenta 9 volte meno di tutti gli altri numeri; i discalculici
contano: 95, 94, 93 92, 91, 79… oppure 91, 90, 80 o ancora 91, 90, 99. Come mai? Quando si
enumera all’indietro, all’interno della decina la memoria di lavoro deve tenere ferme le decine e
diminuire di 1 le unità, es. 99, 98, 97,…., 92, 91 ma con il novanta c’è anche un cambio lessicale;
prima il nome del numero era composto, adesso c’è un’unità lessicale unica. E’ un cambio
linguistico importante, che fa capire quanto i processi linguistici siano importanti anche nel
processamento numerico e chiama in causa la “comorbilità” con la dislessia. E’ drammatica, in
questo senso, la seconda decina, quella da 10 a 20, perché nell’ambito dei primi cento numeri è
quella che ha il maggior numero di cambi lessicali (dieci, undici, dodici,…). Il lessico cambia
sempre. Quando poi passiamo da 90 a 89 la memoria di lavoro deve diminuire di 1 le decine e
contemporaneamente aumentare di 9 le unità. Se non si automatizza è un dramma!
• Difficoltà nell’immagazzinamento dei fatti aritmetici: è difficoltoso o impossibile recuperare
velocemente il risultato delle tabelline, ma anche le somme di numeri entro il dieci e quelle di
numeri in coppia (5+5, 3+3), i risultati di n + 1 o n – 1, oppure di n x 1, n x 0... Se l’insegnante
osserva una grossa difficoltà in questo ambito, associata alla difficoltà di enumerazione, deve
mettersi fortemente in sospetto.
• Difficoltà nella lettura e scrittura dei numeri: inizialmente la fatica è associare il simbolo numerico
al suo nome e alla sua quantità entro il dieci. Poi risultano tipici due tipi di errori: lessicali (al posto
di 236 – scrivere 237 o 246) e sintattici (relativi al posizionamento dello 0 e alla composizione del
numero).
• Lentezza e scorrettezza del calcolo a mente, (addizione e sottrazione) con numeri anche piccoli,
entro il 20 o poco più. La grande lentezza è un importante indicatore. A volte, se non si considera
la lentezza, le discalculie lievi possono anche passare inosservate.
• Difficoltà nell’algoritmo delle operazioni in colonna: si confonde l’algoritmo di un’operazione con
quello di un’altra, si dimenticano riporti e prestiti.

Nella scuola secondaria


La discalculia è un disturbo piuttosto persistente. Un buon trattamento deve essere precoce per
essere efficace, più avanti diventa meno utile e conviene pensare ad un sistema per emancipare il
ragazzo dal suo problema, insegnandogli ad usare la calcolatrice e i formulari, in modo da
preservare integra l’efficienza del problem solving matematico.
Vi è forte associazione tra discalculia e dislessia, quindi anche il testo di un problema matematico
può esser difficile da capire per un discalculico. Occorre leggerlo per lui, anche più di una volta
perché attraverso l’udito gli stimoli sono più difficili da processare e memorizzare rispetto a quanto
avviene attraverso il canale visivo. Inoltre, la sintassi di un problema è ben più difficile di quella di
un testo narrativo e il contesto non è facilitante.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Legge 170/2010 - Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito


scolastico

Decreto legislativo 5669/2011 e allegate Linee Guida per il diritto allo studio degli alunni e degli
studenti con Disturbi Specifici di Apprendimento

Associazione Italiana Dislessia, “Il mago delle formiche giganti. La dislessia a scuola: tutti uguali,
tutti diversi”, Ed. Libri Liberi, Firenze, 2002

Boscolo P., “Psicologia dell’Apprendimento scolastico”, Ed. UTET Libreria, Torino

Dehaene S., “Il pallino della matematica”, Ed Mondadori, 2000

Biancardi A., Mariani E., Pieretti M., “La Discalculia Evolutiva. Dai modelli neuropsicologici alla
riabilitazione”, Ed. Franco Angeli, Milano, 2003

Stella G., “Storie di dislessia. Bambini di oggi e di ieri raccontano la loro battaglia quotidiana”, Ed.
Libri Liberi, Firenze, 2002

Stella G., Blasi, Savelli E., Giorgetti, “La valutazione della dislessia”, Ed. Città Aperta, 2003

Ianes D., Tortello M., “La qualità dell’integrazione scolastica. Disabilità, disturbi dell’apprendimento
e differenze individuali”, Centro Studi Erickson, Trento, 1999

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