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IL CONFLITTO ARABO-ISRAELIANO

1947: l'Assemblea generale dell'Onu approva la risoluzione 181 (il piano di partizione della
Palestina) e indica la strada da percorrere: due Stati sulla stessa terra, l'uno ebraico (che avrebbe
coperto il 55% della zona e ospitato anche 400mila palestinesi) e l'altro arabo (meno esteso, ma
quasi integralmente musulmano), con Gerusalemme sotto controllo internazionale. I leader arabi
(Egitto e Siria in testa) condannano la proposta

14 maggio 1948: nasce lo Stato di Israele e, il giorno dopo, viene dichiarata guerra al neonato
stato dalla Lega Araba. In un anno Israele vince e ottiene più territori di quelli previsti dalla
risoluzione ONU. Le zone destinate ai palestinesi vengono occupate dagli stati arabi: Gaza è sotto il
controllo egiziano, la Cisgiordania e Gerusalemme est sotto quello giordano. E’ la “catastrofe” per
700 mila palestinesi che persero casa, affetti, lavoro, molti si rifugiarono nei campi profughi. (Oggi
i rifugiati palestinesi sono quasi sei milioni Oltre un terzo vive in campi profughi in Giordania,
Libano, Siria, Cisgiordania, nella striscia di Gaza e a Gerusalemme Est. Ad oggi l’unico stato
ad averli pienamente integrati e ad aver loro riconosciuto pieni diritti di cittadinanza è la
Giordania. La questione dei rifugiati è inoltre uno degli ostacoli a ogni soluzione negoziale al
conflitto).
Intanto lo stato di Israele diventa sempre più potente e popoloso.
1964: con il sostegno della Lega Araba, si costituisce l’OLP Organizzazione per la Liberazione
della Palestina, una struttura che voleva rappresentare un cappello politico per i partiti e gruppi
armati palestinesi attivi nei Territori occupati da Israele e nei campi profughi. L’OLP divenne il
principale megafono delle istanze palestinesi nel mondo. Il leader è Arafat.

1967 è la "Guerra dei Sei giorni": Israele lanciò un attacco preventivo contro l'Egitto. Siria e
Giordania intervennero. Gli eserciti arabi furono rapidamente sconfitti e Israele conquista nuovi
territori, occupando Gerusalemme Est, la Cisgiordania, la Striscia di Gaza, le alture del Golan e la
Penisola del Sinai: tutte aree dove vivevano palestinesi e dove lo Stato ebraico promosse nuovi
insediamenti.

Nell’ottobre 1973 (esattamente 50 anni fa) durante la festa ebraica dello Yom Kippur, Egitto e
Siria invasero il Sinai e le alture del Golan. Si arrivò a uno stallo. I Paesi mediorientali produttori di
petrolio, per danneggiare i sostenitori di Israele, bloccarono le esportazioni di greggio. Ne derivò
una crisi energetica che piegò l'Occidente.
1978, con gli accordi di Camp David, la situazione si stemperò. Israele lasciò il Sinai e l'Egitto
riconobbe lo Stato ebraico.

1987-1993 esasperati dal mancato riconoscimento delle proprie aspirazioni nazionali, i palestinesi
di Gaza e della Cisgiordania cominciarono una serie di proteste contro l’occupazione
israeliana. Questi atti assunsero presto le dimensioni di une vera e propria sollevazione popolare –
la Prima Intifada – che si protrasse fino al 1993 e portò alla morte di più di 1900 palestinesi e di
200 israeliani. È in questi anni di proteste e di duri scontri che nacque il Movimento della
Resistenza Islamica (Hamas), un’organizzazione di stampo islamista, nata da una costola della
Fratellanza Musulmana e caratterizzata fin da subito dalla sua intransigenza nei confronti di
Israele.

1993-1995 vengono siglati gli Accordi di Oslo (siglati dal presidente israeliano Rabin e dal
presidente dell’OLP Arafat. Rabin pagò con la vita quel gesto, ucciso da lì a poco dall'estremista
ebreo) che, sulla base della soluzione a due stati, avrebbero dovuto rappresentare il primo passo
verso la costruzione di uno stato palestinese indipendente. Si deve a questi accordi la divisione dei
Territori palestinesi in tre aree (A, B e C) e la creazione di un’amministrazione autonoma,
l’Autorità nazionale palestinese (ANP), che sull’area A e B esercitava un certo grado di sovranità

1996 La morte di Rabin e l’ascesa per la prima volta al governo in Israele di Netanyahu nel 1996,
finirono però per bloccare i negoziati sulle questioni lasciate aperte dagli accordi e, di
conseguenza, per assestare un duro colpo al processo di pace.
2000-2005 Lo stallo nei negoziati contribuì a infiammare nuovamente i Territori palestinesi
con lo scoppio della Seconda Intifada. Rispetto alla prima, questa fu molto più violenta e portò alla
morte di quasi 5000 palestinesi e più di 1000 israeliani.
Nel 2002, nel pieno della sollevazione popolare palestinese, Israele cominciò la costruzione di un
muro di separazione tra i propri territori e quelli palestinesi in Cisgiordania. L’obiettivo dichiarato
era quello di controllare gli spostamenti per impedire l’organizzazione di attacchi terroristici a
danno della popolazione israeliana. La sua costruzione ha avuto, e continua ad avere, un impatto
negativo sulla vita dei palestinesi. Secondo un report delle Nazioni Unite “il muro separa fra di loro
comunità e impedisce l’accesso delle persone ai servizi nonché a strutture religiose, culturali e ai
mezzi di sussistenza”.
Da allora la situazione nei Territori palestinesi non ha fatto altro che peggiorare. Israele
continua a mantenere una consistente presenza militare in Cisgiordania, dove negli ultimi vent’anni
ha anche accelerato la sua politica di espansione delle colonie, città e insediamenti israeliani in
territorio palestinese. Le colonie in alcuni casi sono vere e proprie città, costruiti nei territori
palestinesi, autorizzati e spesso finanziati dal governo israeliano. Nonostante siano considerate
illegali dal diritto internazionale, il numero di colonie è andato via via crescendo nel corso degli
anni. Oggi le colonie sono presenti in Cisgiordania (compresa Gerusalemme Est), e nelle alture
del Golan. A oggi ci sono più di cento insediamenti israeliani in Cisgiordania, per un totale di oltre
450mila coloni, a cui si sommano altri 220mila coloni residenti a Gerusalemme Est. Inoltre, più di
20mila cittadini israeliani vivono in insediamenti sulle alture del Golan.

Cos’è la striscia di Gaza e chi la governa?

La striscia di Gaza è una regione costiera di 360km quadrati, popolata da più di 2 milioni di
persone, di cui oltre 1 milione e 400mila con lo status di rifugiati. Dal 1967 fino al 2005, anche
questa zona è stata occupata militarmente da Israele. Nel 2005 i militari e gli ottomila coloni
israeliani hanno abbandonato la Striscia, lasciando il controllo all’Autorità palestinese. Nel 2007,
due anni dopo il ritiro israeliano, Hamas ha preso il controllo della Striscia, da allora Israele
continua a operare un blocco, ovvero la chiusura quasi totale dei valichi di frontiera e degli
accessi via mare e aerei, che dura tutt’ora. Oggi a Gaza oltre l’80% della popolazione vive grazie
agli aiuti umanitari, mentre il tasso di disoccupazione sfiora il 50%. A causa delle continue
chiusure dei valichi d’accesso, da parte israeliana, le poche imprese che si dedicano alla produzione
di beni di prima necessità lavorano a intermittenza. La chiusura dei valichi di frontiera ha reso poi
ancora più difficile la crescita economica di Gaza e la ricostruzione dopo la devastazione
provocata dagli interventi militari israeliani degli ultimi anni.

Cos’è l’Autorità nazionale palestinese?

Nasce e a seguito dei trattati di pace di Oslo del 1994, quando l’OLP si impegnò a riconoscere il
diritto all’esistenza di Israele, ed è la struttura politica più vicina a un esecutivo che i palestinesi
abbiano mai avuto. E’un organo di auto-governo che, secondo gli Accordi di Oslo, ha il compito di
amministrare la Striscia di Gaza e le aree A e B della Cisgiordania. L’Anp possiede oggi organi
legislativi con poteri sovrani, in particolare il Consiglio legislativo palestinese (conosciuto anche
semplicemente come Parlamento palestinese), i cui membri sono eletti dai cittadini. Tuttavia la
diaspora araba, che riguarda i residenti palestinesi al di fuori della Cisgiordania e della Striscia di
Gaza (i quali costituiscono la maggior parte della popolazione), non può votare alle elezioni dei
membri dell’Autorità. L’Anp è dotata anche di cariche elettive che lo rendono uno stato de facto,
cioè con potere esecutivo e legislativo. A seguito del conflitto tra Fatah e Hamas, nel 2007, le
autorità hanno smesso di organizzare le elezioni e le convocazioni dell’assemblea sono state tutte
sospese.
A partire dagli anni 2000, l’Anp ha visto contrapposti i due maggiori partiti, Fatah e Hamas. Le
elezioni legislative del gennaio 2006 sono state vinte dal partito più radicale, che insieme ai suoi
alleati politici aveva ottenuto il 44% dei voti validi, mentre Fatah, il principale movimento rivale di
stampo moderato e che fino a quel momento aveva avuto la maggioranza in Palestina, riesce ad
arrivare solo al 41%. La distribuzione del voto si differenzia in base alle zone: le principali basi
elettorali di Hamas erano a Gaza, mentre quelle di Fatah si concentravano più in Cisgiordania. La
spaccatura, che fino a quel momento era soltanto politica, si fece territoriale. il conflitto tra i due
partiti si riaccese e il 10 giugno 2007 iniziò una vera e propria battaglia a Gaza.
Il risultato più evidente di quel conflitto, oltre a una spaccatura ulteriore dei confini e dei rapporti
tra i civili, fu la divisione del territorio controllato dall’Anp in due entità separate. Dalla battaglia
di Gaza, la Striscia è interamente sotto il controllo di Hamas e l’Anp ha suddiviso lo Stato di
Palestina in 16 governatorati: Betlemme, Dayr al-Balah, Gaza, Hebron, Jenin, Gerico,
Gerusalemme, Khan Yunis, Nablus, Gaza Nord, Qalqilya, Rafah, Ramallah, Salfit, Tubas e
Tulkarm. Attualmente, quasi tutti i vertici dell’Anp fanno parte di Fatah, a partire da Abu Mazen
(che ne è ancora il presidente) che, nell’ aprile 2021, ha annunciato il rinvio delle elezioni previste
per il mese successivo fino a quando non sarà “possibile votare anche a Gerusalemme est”. Si tratta
di fatto di un rinvio sine die, che testimonia lo scollamento fra la popolazione palestinese, costituita
soprattutto da giovani, e una vecchia leadership che non si misura con il consenso elettorale
ormai dal 2006.

Cos’è al Fatah?

Nasce nel 1959 per volontà di Arafat come movimento volto a proteggere il popolo palestinese e
lottare per la sua affermazione politica. Da subito, Fatah proclamò un’impostazione laica e
orientata a sinistra, il che ebbe (in seguito) un peso importante, slegando dall’organizzazione di
lotta ogni implicazione religiosa. Fatah divenne la più forte e meglio organizzata tra le fazioni
palestinesi in lotta e dopo il conflitto del 1967 assunse un ruolo egemonico anche all’interno
dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina. Nel 1967, al termine della Guerra dei sei
giorni (il conflitto combattuto tra Israele ed Egitto, Siria e Giordania, che si concluse con una
rapida e totale vittoria israeliana), Fatah fece, di fatto, il suo ingresso in politica, diventandone un
elemento dominante. In quell’anno, dopo essere entrato ufficialmente a far parte
dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, il movimento divenne talmente influente da
elevare, nel 1969, uno dei suoi fondatori, Arafat, ai vertici dell’Olp. La figura di Arafat, il leader
combattente, intanto, si imponeva anche sulla scena internazionale: riconosciuto da tutti come un
uomo d’azione, da giovane studente universitario e militante della resistenza palestinese riuscì a
ricevere persino il premio Nobel per la pace nel 1995 (con Rabin e Peres). Ma, soprattutto, si inserì
perfettamente nell’immaginario collettivo come l’unica vera guida che la Palestina abbia mai avuto.
Il movimento di Arafat, pur non avendo mai raccolto l’unanimità dei consensi tra i palestinesi, ebbe
a lungo la maggioranza delle adesioni e guidò il Paese per circa 50 anni. Tuttavia, a partire dagli
anni Novanta, con l’imporsi di Hamas, la sua popolarità iniziò a calare. L’organizzazione islamista,
sicuramente più radicale rispetto a Fatah, riuscì a raccogliere molte più adesioni. Nell’ottobre del
2004 Arafat si ammalò e venne trasportato in Francia per un trattamento di emergenza. Nel giro di
un mese morì per una strana patologia del sangue e le circostanze del suo decesso non furono mai
chiarite del tutto (nonostante gli esami effettuati sui suoi resti diversi anni dopo). Fatah, a fatica,
riuscì a sopravvivere al suo fondatore, anche se con diverse difficoltà, come la perdita di credibilità
e il difficile rapporto con Hamas e i suoi militanti. Abu Mazen venne confermato come successore
del defunto leader come presidente dell’Olp poco dopo e, come candidato di Fatah, ottenne la
vittoria alle elezioni presidenziali del gennaio del 2005.
Cos’è Hamas?

Hamas è l’acronimo di Harakat al-Muqawwama al-Islamiyya, che significa Movimento di


Resistenza Islamica. Ma la stessa parola Hamas, al di là dell’acronimo, in arabo vuol dire
“entusiasmo”. Il movimento si ispira ai Fratelli Musulmani di cui lo sceicco Yassin fonda la sezione
palestinese: erano gli anni Settanta, il periodo in cui l’ayatollah Ruhollah Khomeini prende il potere
in Iran e dà vita ad una teocrazia islamica. Parallelamente, in Palestina sorgono gruppi islamici
estremisti che iniziano ad utilizzare la lotta armata per riconquistare i territori occupati nel 1967.
Vent'anni dopo, nel 1987, con la rivolta delle popolazioni arabe nei territori palestinesi occupati da
Israele, nota come "prima Intifada", nasce ufficialmente Hamas.
Hamas è un'organizzazione religiosa islamica palestinese di carattere paramilitare e politico,
considerata un gruppo terroristico da Israele e dai Paesi occidentali. Il progetto dichiarato di
Hamas è quello di costringere lo Stato ebraico a ritirarsi dai territori occupati nel 1967 e di
costituire uno Stato islamico in tutta la Palestina storica, quella delimitata dai confini del pre-
1948. Nel programma di Hamas figura anche l'obiettivo di distruggere Israele.
Hamas, oltre all'ala militare, include un braccio politico e una struttura sociale ('Dawa') che
controlla oltre alle moschee una fitta rete di scuole, ambulatori e associazioni assistenziali. Nel
2006 vince le elezioni politiche nei Territori palestinesi.
Oltre che da Israele, Hamas è considerata un’organizzazione terroristica dall’Ue, Usa, Canada,
Giappone. Altri Paesi, come Australia e Regno Unito, per esempio, classificano solo la sua ala
militare come organizzazione terroristica.
Un tempo Hamas era appoggiata economicamente da Arabia Saudita e Siria, ma poi il partner
principale è diventato l’Iran, che ogni anno invia milioni di dollari di aiuti e armi alla striscia di
Gaza. Teheran vede in Hamas un alleato con cui combattere la guerra contro Israele. Hamas riceve
finanziamenti anche dal Qatar e da altri Paesi arabi.

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