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STORIA DELLA NASCITA DELLO STATO DI ISRAELE

di
Ilan Pappé
Docente di Storia Israeliana Università di Exeter (Gran Bretagna )

Master Enrico Mattei in Vicino e Medio Oriente


lezione del 13 dicembre 2007

Per parlare della nascita dello Stato di Israele si deve partire dall'inizio dell'Ottocento in cui si
iniziano a delineare due correnti che poi diedero vita ad Israele: la prima che riguarda gli Ebrei
dell'Europa Orientale, che cercavano di superare in una nuova situazione tutti i pregiudizi che
avevano dovuto subire; la seconda, legata ad una corrente nazionalista che tendeva ad una
rivisitazione dell'identità ebraica in modo appunto nazionalistico, propensione che si ritrova nel
mondo in molti altri movimenti di quello stesso periodo. Entrambi i movimenti, sia quello che
voleva trovare una nuova terra per gli Ebrei perseguitati, sia quello che voleva ridefinire in maniera
nazionalista l'identità della comunità ebraica, individuarono nella Palestina la terra più idonea per
essere colonizzata e iniziarono così il processo colonialista.
L'idea di vedere nella Palestina la terra della salvezza per la comunità ebraica, si scontrò contro la
resistenza della popolazione autoctona che stava ridefinendo anch'essa la sua identità dal punto di
vista nazionalistico.
I primi coloni ebrei della Palestina, fin da subito ignorarono gli interessi della popolazione locale,
interessandosi più che altro di mantenere gli equilibri diplomatici e geopolitici, come i buoni
rapporti con l'Impero ottomano e con L'Impero britannico, e questo almeno fino al 1948.
Proprio negli anni '30 del XX secolo, i leader israeliti, e sopratutto Ben Gurion, iniziarono a
valutare il problema palestinese all'interno del progetto sionista. All'epoca, quello che costituiva 1/3
della popolazione israelita, proveniva dall'Europa, dove sfuggiva dalle persecuzioni fasciste e
nazionalsocialiste, costituendo ancora oggi lo zoccolo duro della nazione di Israele.
Fu, però, alla fine della Seconda Guerra Mondiale che si cominciò concretamente a pensare a come
risolvere i problemi con la popolazione autoctona, perché era evidente che l'Inghilterra non avrebbe
più governato la Palestina e alla sua amministrazione si sarebbe sostituita quella delle Nazioni
Unite. Così, proprio quando nel Febbraio del 1947, la Gran Bretagna annunciò al mondo di
rinunciare al governo di quei territori, Ben Gurion iniziò ad interessarsi concretamente di questi
problemi. La sua attenzione si focalizzò subito su due aspetti: uno geografico, legato allo spazio
vitale di questa nuova comunità, e uno demografico.
Il primo problema, quello geografico, fu di stabilire quanta parte di quella regione dovesse
appartenere agli Ebrei sotto guida sionista, per fondare il nuovo Stato. Ben Gurion stabilì in modo
chiarissimo che al nuovo Stato ebraico doveva spettare l'80% del territorio e che, viceversa,
l'insediamento palestinese, che avrebbe costituito il punto di contatto col Regno di Giordania,
sarebbe stato l'attuale “West Bank” ( sponda occidentale ).
Voglio ricordare che, all'epoca, il Re di Giordania, aveva lo stesso nome di quello attuale, ma, era
ovviamente suo progenitore: Abd Allah.
Sempre nel 1947, cioè prima della rivoluzione che diede origine allo Stato di Israele, Ben Gurion
disse in modo chiaro che gli Ebrei dovevano controllare l'80% del territorio palestinese e dovevano
essere anche l'80% della popolazione.
Una volta stabilito questo, si presentavano ai leader sionisti tre importanti problemi da risolvere.
Il primo, era di ordine legale, perché non spettava ai dirigenti sionisti, ma, bensì, all'Onu decidere la
ripartizione dei territori della Palestina. A tal proposito, le Nazioni Unite, con la risoluzione del 29
Novembre 1947, stabilirono che era giusto che una parte della Palestina spettasse agli Ebrei per la
fondazione dello Stato di Israele, per una quota di territorio pari al 50%, ma, che, anche in quei
territori la popolazione doveva essere per metà ebraica e per l'altra metà autoctona. Da un lato
questa risoluzione fu vanificata dal fatto che all'unanimità tutto il mondo arabo si oppose in ogni
caso alla formazione di uno Stato israeliano e questo fece il gioco di Ben Gurion e degli altri leader
sionisti, che dichiararono che quello che gli spettava se lo sarebbero preso con la forza. Ci fu
appunto una nettissima sfida militare che poteva portare alla disfatta dei Sionisti, perché le varie
potenze arabe decisero di combattere questo progetto. Dopo questa risoluzione dell'Onu, il pericolo
della guerra araba contro questo nuovo abbozzo di Stato fu risolto con un accordo fra i futuri capi di
Israele e il Re di Giordania, perché la Giordania era il paese arabo che possedeva il più forte
esercito nella regione.
Comunque, c'è da dire che i dirigenti di Israele ottennero molti aiuti economici dalla comunità
ebraica mondiale, che diede loro sin da subito la possibilità di crearsi un forte esercito che si poteva
opporre efficacemente ad una possibile guerra con gli arabi.
In realtà, al centro di tutta questa lotta, c'era il terzo problema, quello demografico, perché a fronte
di 600.000 Ebrei, c'erano 1.000.000 di Palestinesi; quindi, il maggiore ostacolo al raggiungimento
degli obbiettivi della dirigenza israeliana, era che la situazione demografica, era esattamente
opposta a quella che volevano i dirigenti sionisti, e proprio questo era la questione da risolvere.
Così, si prese la decisione tra il 1947 e il 1948 di procedere concretamente alla pulizia etnica che
colpì, in pochissimo tempo, centinaia di villaggi palestinesi. Infatti, prima ancora che alla metà del
febbraio del 1948, gli arabi decisero di opporsi all'operazione di pulizia etnica, gli Israeliani
avevano già fatto sloggiare con la forza 300 mila Palestinesi. Di fatto,l'operazione di pulizia etnica
fu compiuta in soli otto mesi, e quando i Palestinesi iniziarono ad opporsi con la forza, i Sionisti
compirono terribili massacri sulla popolazione locale, sopratutto nella Galilea. Ma, la pulizia etnica,
non significò solo mandare via i Palestinesi dalle loro terre e dalle loro case, ma, impossessarsi
anche di tutto ciò che essi avevano, strappandoli alla loro cultura.
Tra l'altro, quando avvenne questa operazione di pulizia etnica, erano presenti sia rappresentanti
delle Nazioni Unite, sia della Croce Rossa Internazionale, che importanti giornalisti, ma tutti
tacquero in quel momento su ciò che stava veramente succedendo. Questo accadde perché l'Onu
non voleva che la sua risoluzione apparisse come un pretesto per la pulizia etnica, mentre la Croce
Rossa Internazionale, troppe volte accusata di aver taciuto durante la Seconda Guerra Mondiale su
quanto avvenuto realmente nei campi ci concentramento tedeschi, ed i giornalisti, non volevano
inimicarsi la comunità ebraica a 3 anni dalla fine della guerra e dall'Olocausto. Pertanto, il risultato
fu che, lo Stato israeliano che nacque, non ricevette alcuna critica per i massacri che erano alla base
della sua fondazione, anche se la pulizia etnica è un crimine contro l'umanità e coloro che la
decisero e l'attuarono, sono perciò dei criminali.
Ma, essa non si ferma davanti a niente, anzi, la pulizia etnica è divenuta quasi una ideologia dello
stesso Stato israeliano; infatti, se si vede l'evoluzione storica di Israele dal 1948 ad oggi,essa
prosegue ancora, benché in altre forme e con altri mezzi, perché, ottenere che in Palestina la
maggioranza della popolazione sia giudaica, è il più importante degli obbiettivi che i dirigenti
ebraici vogliono raggiungere.
Tra il 1945 e il 1956, altri 37 villaggi furono “puliti” etnicamente, e, successivamente, durante la
guerra del 1967, altri 100.000 Palestinesi furono espulsi dalla “West Bank”. Anche negli ultimi
anni, questa stessa tendenza alla pulizia etnica è continuata, con la costruzione del Muro,
l'espulsione dei Palestinesi da Gerusalemme, spinti verso il deserto del Neghev.
Il nesso del problema, sta nel fatto che i dirigenti israeliani concepiscono il proprio Stato in termini
etnici e razziali, e questo viene ben percepito dai Palestinesi, ed è perciò il più grande ostacolo che
si pone davanti alla pace fra Palestinesi ed Ebrei.
Quello che lo Stato di Israele chiede all'Occidente è che il suo governo sia accettato come tale,cioè
come uno stato razzista e colonialista, motivo per cui il sedicente processo di pace ( importanti da
ricordare gli incontri del 1970 e del 1993 ), non riesce ad andare avanti.
In questi incontri verso la cosiddetta pace, inscenati da Americani e Israeliani dopo la guerra del
1967, l'obbiettivo è stato quello di dare l'autonomia ai Palestinesi nel West Bank piuttosto che a
Gaza o viceversa, ma, in realtà, il processo originario dei dirigenti israeliani che si sta realizzando, è
di espellere i Palestinesi, e, perciò tutto il resto è solo demagogia, poiché, il problema della pace si
basa concretamente sul fatto di decidere quale parte deve essere data agli Israeliani e quale
(piccolissima) ai Palestinesi. In seno a questa idea della Pace in Palestina, è evidente che dalla parte
israeliana non sia mai stato fatto un passo avanti concreto verso la spartizione delle terre con i
Palestinesi.
Allora, ci chiediamo cosa fare per invertire la rotta di questo processo? Innanzitutto, cambiare il
nostro linguaggio, perché le tensioni belliche in Palestina non riguardano un conflitto israelo –
palestinese, ma, un vero e proprio processo di colonizzazione che va avanti in quei territori dal
1948.
Infatti, la cosa incredibile è che, nel XXI secolo si deve costatare che si vuole far entrare in Europa
uno Stato razzista e colonialista come Israele, senza riuscire a far capire ai poteri che contano cosa
sia realmente Israele. Attualmente, comunque, parte della società civile europea, ha imparato a
conoscere Israele per quello che è, perciò bisogna studiare delle misure da prendere contro questo
Stato, come avvenne per il Sudafrica negli anni Sessanta e Settanta del XX secolo.
Si può notare che, finalmente, negli Usa e anche fra alcune categorie di giovani Ebrei, si sviluppano
movimenti anti – sionisti. Per esempio, si potrebbe citare il gruppo “Nothing My Name”, presente
sia negli Usa che in Europa fra i giovani Ebrei, visto come il tentativo di distinguere la comunità
ebraica dalla lobby sionista. Se questa separazione da parte degli Ebrei stessi avvenisse, una delle
ragioni che giustificano l'azione dei Sionisti, cioè il pericolo dell'antisemitismo, non verrebbe più
accettata. Infatti, si deve criticare Israele in quanto stato razzista e colonialista, e non in quanto
formato da Ebrei, quindi, il principio dell'antisemitismo per giustificare l'azione dei Sionisti, non
avrebbe più senso.
Questo è il motivo per cui penso che, fare distinzione fra la comunità ebraica in generale e i
Sionisti, sia un compito importante che viene svolto dagli Ebrei, in vista di un cambiamento del
linguaggio per intendere la questione.
La seconda cosa molto importante è una prassi da adottare verso Israele, cioè di prendere i
provvedimenti che vennero adottati in passato verso il Sudafrica, cosa che gli Israeliani ritengono
impossibile, perché loro si sentono parte integrante del mondo moderno, dell'Occidente e
dell'Europa, ma, in realtà, è fondamentale che questo succeda. Se Israele fosse considerato come
uno Stato razzista e colonialista da parte della società e dell'opinione pubblica occidentale,
verrebbero portati avanti dei boicottaggi nei suoi confronti e la dirigenza sionista dovrebbe arrestare
la sua opera di pulizia etnica. Per esempio, nel Dicembre del 2007, gli Israeliani hanno avuto un
avvertimento molto importante, quando l'allora Ministro degli Interni israeliano ha dovuto
rinunciare allo shopping a Londra per aver saputo che sarebbe stato arrestato per crimini di guerra
contro i Palestinesi se avesse messo piede in Gran Bretagna.
A mio modesto parere, i Palestinesi devono trovare l'unità che non c'è fra di loro, mentre per quanto
riguarda l'Europa, deve portare avanti opera di boicottaggio verso Israele e di pressione, sopratutto
verso il suo più importante alleato, cioè gli USA.
Per concludere, credo che ci siano tre obbiettivi da raggiungere:

1) La società civile Occidentale e Israele devono riconoscere i crimini commessi dal 1948 ad
oggi;
2) Richiamare Israele alla responsabilità verso le disposizioni dell'Onu per far tornare i rifugiati
nel paese;
3) Accettare la storia per quella che è, assumendosi le proprie rispettive responsabilità, facendo
sì che le diverse popolazioni convivano e si rispettino l'una con l'altra.

Pertanto,l'unica soluzione che possa comprendere la realizzazione di questi tre punti, è la creazione
di uno Stato unico, veramente democratico, con uguaglianza etnica e religiosa. Questa ipotesi si
potrebbe realizzare solo se si porterà avanti una critica verso l'operato di Israele e delle opere di
disinvestimento da parte degli operatori internazionali nel paese, come in passato nel Sud Africa, in
modo tale che, si potrà costruire gradualmente questo Stato, dove convivano pacificamente
Israeliani e Palestinesi.

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