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La prospettiva e le proporzioni
Con il termine prospettiva agli inizi del quattrocento si intendeva una
prospettiva intuitiva e non scientifica, non basata su regole geometriche
e matematiche.
Con prospettiva si indica un insieme di proiezioni di oggetti su un piano,
che corrisponde a oggetti reali come noi li vediamo nello spazio. Il piano
però ha due dimensioni ovvero lunghezza e larghezza. Mentre gli oggetti
ne hanno tre, lunghezza, larghezza e altezza. Ciò significa che tramite un
procedimento grafico, è possibile rappresentare qualsiasi oggetto o
insieme di oggetti, in modo che sia simile a ciò che vediamo realmente.
Per far ciò è necessario che si verificano le seguenti condizioni:
● Che esista qualcosa da rappresentare (l'oggetto)
● Che qualcuno lo stia guardando (l'osservatore)
● Che si conosca la posizione esatta dell'osservatore rispetto all'oggetto.
● Che ci sia un supporto su cui disegnare. Questo deve essere
immaginato come una
pellicola trasparente posta fra l'oggetto e chi guarda. Dall'occhio
dell'osservatore partono dei raggi che vanno a circondare l'oggetto
(piramide visiva). Intersecando la pellicola trasparente i raggi vi
individuano una immagine simile all'oggetto, ma più piccola, di cui essa
costituisce la rappresentazione prospettica.
In una prospettiva:
● L'occhio dell'osservatore si chiama "punto di vista"
● La posizione dell'osservatore rispetto all'oggetto si dice "punto di
stazione"
● tutte le linee perpendicolari convergono nel punto di fuga, punto dove
passa la linea
dell’orizzonte.
Brunelleschi
Filippo Brunelleschi (1377-1446) fu uno dei grandi artefici del Primo
Rinascimento, un vero architetto.
Molti narrano della trascuratezza d’aspetto di Brunelleschi e lo
definiscono <sparutissimo della persona, ma di ingegno tanto elevato>
da rinnovare l’architettura che da secoli era decaduta. Inizialmente
Filippo si dedicò all’oreficeria e già nel 1399 ricevette una commissione
importante, il completamento dell’altare d’argento degli anni '300 nella
cattedrale di San Jacopo a Pistoia.
Il fiorentino Brunelleschi, aveva solo 24 anni quando partecipò al
concorso del 1401, anche se lavorava già in proprio come scultore.
Dopo questa sconfitta si rende conto, contemplando il lavoro di Ghiberti,
che doveva perfezionarsi tecnicamente quindi tra il 1410 e 1419 si
trasferisce a Roma e studia le architetture classiche ricercando le lezioni
di equilibrio, chiarezza e misura umana. Sempre negli stessi anni si
occupa di ottica ed elabora la nuova teoria sulla prospettiva lineare
come mezzo per dominare razionalmente l'ambiente circostante.
Con lui, l’arte diventa un modo per conoscere e razionalizzare la realtà.
Sagrestia Vecchia
La cosiddetta Sagrestia Vecchia venne realizzata a Firenze da
Brunelleschi, questo venne incaricato nel 1420 da Giovanni di Bicci dei
Medici di costruire una cappella funebre per la sua famiglia adiacente al
transetto sinistro della Basilica paleocristiana di San Lorenzo.
L’architetto lavorò dal 1421 al 1428 quindi ben 7 anni, portando la
sagrestia a compimento giusto in tempo per accogliere le spoglie del
committente, il cui sarcofago venne collocato al centro, sotto un grande
tavolo di marmo.
Quando Brunelleschi, negli anni a seguire, ricostruì anche l’intera
basilica, su commissione di Cosimo il Vecchio, la cappella venne
mantenuta come parte integrante del nuovo edificio.
La cappella si presenta come un semplice vano cubico. La sua pianta è
infatti quadrata e il lato misura come l’altezza, all’imposta della cupola.
Su questo ambiente principale si affaccia una scarsella, ossia un secondo
vano quadrato più piccolo, il cui lato misura 1/3 di quello maggiore. Tale
scarsella presenta tre piccole nicchie curvilinee ed è affiancata da due
ridotti ambienti di servizio voltati a botte.
La parete dell’altare, quella più importante, è divisa in tre parti,
costituite dal grande arco centrale a tutto sesto, che immette nella
scarsella, e dalle due porzioni di muro che lo affiancano. L’arco, sorretto
da due lesene corinzie scanalate, è affiancato dalle due classicheggianti
porte in bronzo che danno accesso ai locali di servizio, realizzate da
Donatello e Michelozzo.
I materiali a basso costo scelti per la costruzione della Sagrestia, ossia
la pietra serena per le membrature architettoniche e l’intonaco delle
pareti, creano un’equilibrata bicromia di grigio e bianco, un tratto
distintivo dell’architettura brunelleschiana che sarebbe diventato, negli
anni a venire, caratteristico del Rinascimento fiorentino in generale.
(Le altre pareti della cappella sono molto più semplici, perché
semplicemente attraversate dal motivo orizzontale della trabeazione
corinzia, decorata da un fregio con cherubini e serafini rossi e blu
La trabeazione è retta agli angoli da lesene piegate a squadra e al
centro da mensole rompitratta, poste a distanza regolare. Le mensole
sostituiscono gli elementi verticali di sostegno, come lesene o
semicolonne, la cui presenza avrebbe appesantito l’impianto
architettonico generale. Invece, con l’introduzione di questo sistema
portante non vero ma verosimile, il muro appare come smaterializzato,
ridotto visivamente a un immateriale e astratto tamponamento)
Masaccio
Masaccio (1401-1428), soprannome di Tommaso di ser Giovanni di Mone
Cassai, è stato un pittore italiano.
Fu uno degli iniziatori del Rinascimento a Firenze, rinnovando la pittura
secondo una nuova visione rigorosa, che rifiutava gli eccessi decorativi e
l'artificiosità dello stile allora dominante, il gotico internazionale.
La sua pittura si caratterizza per:
• il recupero della lezione giottesca e l’ispirazione all’antico
• la coerente resa prospettica dello spazio
• la concreta volumetria dei corpi
• l’espressività di volti e gesti
• l’umanizzazione delle storie sacre
Il tributo
Il tributo è un affresco realizzato tra il 1424 e il 1425 da Masaccio nella
Cappella Brancacci, all’interno della Chiesa di Santa Maria del Carmine a
Firenze. Di dimensioni piuttosto ampie, fu eseguito in 32 giornate di
lavoro. Fa parte del ciclo sulle Storie di san Pietro.
La scena illustra una pagina del Vangelo di Matteo e ricorda quando a
Cafarnao, in Galilea, gli esattori della cosiddetta “tassa del tempio”
chiesero a Gesù di pagare quanto doveva. Cristo osservò che i figli dei re
non sono tenuti a pagare le tasse. Per non dare scandalo, però, ordinò a
Pietro di andare in riva al lago di Tiberiade, gettare l’amo per pescare,
tirare fuori il pesce che avrebbe abboccato e prendere la grossa moneta
d’argento che questo avrebbe avuto in bocca. Pietro obbedì e con la
moneta trovata pagò la tassa.
Il capolavoro presenta, in apparenza, una sola scena, unificata dal
paesaggio sullo sfondo, che l’osservatore starebbe osservando da uno
spazio porticato, indicato dalle due colonne poste alle estremità del
dipinto. In realtà, Masaccio ha voluto presentarci contemporaneamente
tre momenti di questa celebre pagina evangelica.
Al centro, circondato dagli apostoli, campeggia Gesù che,
imperturbabile, ordina a Pietro di andare a pescare mentre il gabelliere,
cioè l’esattore, gli porge una mano chiedendo il pagamento della tassa.
In fondo a sinistra, si vede di nuovo Pietro che estrae la moneta dal
pesce.
In primo piano a destra, troviamo nuovamente Pietro che paga il
gabelliere.
Quindi, l’apostolo, e primo papa, compare nella scena ben tre volte, e il
gabelliere due. Si noti che Masaccio ha scelto di relegare il miracolo in
una posizione secondaria, perché tale evento, nella concezione generale
dell’opera, ha in sé un’importanza relativa.
Cristo si trova al centro della composizione, in corrispondenza di un
ideale asse verticale, e a lui convergono tutte le linee prospettiche della
scena. Il gruppo degli apostoli circonda il Maestro formando una esedra
idealmente aperta dal gesto di Cristo e poi completata dalla figura del
gabelliere che vediamo di schiena. Questo circolo virtuale si espande
otticamente fino allo sfondo del paesaggio, verso il quale è attratto lo
sguardo, grazie anche all’espediente di alcuni alberi che decrescono in
progressione.
Anche le aureole dei personaggi sono rappresentate in prospettiva. Tutte
le figure sono illuminate da una precisa fonte di luce, coincidente con
quella reale della finestra della cappella (posta in alto a destra, rispetto
all’affresco); infatti, proiettano le loro ombre verso sinistra.
Sant’Anna Metterza
Nel 1423, Masaccio divenne socio di Masolino, pittore di formazione
tardogotica. I due realizzarono insieme, nel 1424-25, la cosiddetta
Sant’Anna Metterza, ossia una tavola con la Madonna e il Bambino
accompagnati da Sant’Anna. In quest’opera Masaccio dimostrò una
notevole perizia (abilità) nell’esaltazione della struttura delle figure
della Madonna e del Bambino ma anche nel saper rendere il senso del
rilievo, del volume e della luce che segna e definisce le forme. Masolino,
invece, dipinse Sant’Anna con un corpo privo di massa, raggiungendo
risultati assai meno naturalistici.
Il dipinto rappresenta la Madonna in trono con il Bambino e Sant’Anna,
messa come terzo personaggio, circondati da cinque angeli.
• A Masolino si attribuisce l’esecuzione della Sant’Anna e dei quattro
angeli. I due turiferari in primo piano e quelli reggicortina centrale e di
sinistra.
• A Masaccio invece si attribuisce l’angelo reggicortina di destra e la
Vergine con il Bambino. Il corpo di Maria assume una compattezza
percepibile anche attraverso la veste.
Tutti i personaggi grazie all’uso del chiaroscuro paiono dotati di un
volume proprio, occupando di conseguenza uno spazio reale. Anche il
piccolo Gesù presenta un chiaroscuro accentuato. Sant’Anna ha un senso
del volume meno accentuato.
Sant’Anna Metterza è stata commissionata da due venditori di stoffe,
infatti hanno richiesto un tessuto specifico da rappresentare (per
pubblicità).
Donatello
Donato di Niccolò di Betto Bardi, detto Donatello, scultore italiano,
nasce a Firenze nel 1386 e muore ottantenne (raro per questi tempi), nel
1466 sempre a Firenze.
Si forma a Firenze nella bottega di Ghiberti e divenne amico di Masaccio
e Alberti
Donatello divenne uno degli artisti preferiti di Cosimo il Vecchio de
medici.
Il lavoro di Donatello si svolge a Firenze, Prato, Siena e Padova e nella
sua attività sperimenta tutte le possibili tecniche (tuttotondo,
bassorilievo, stiacciato) e tutti i possibili materiali (marmo, bronzo,
terracotta, legno).
È stato il primo scultore a riallacciarsi alla tradizione scultorea
greco-romana, infondendo però nei suoi personaggi un’umanità e
un’introspezione psicologica che rimarranno uniche nella storia dell’arte.
Nella parte inferiore della nicchia che ospita il San Giorgio, si trova una
sorta di predella, cioè una formella a bassorilievo con San Giorgio e il
drago, dove l’artista ebbe modo di sperimentare le nuove regole della
prospettiva brunelleschiana.
Si nota subito che tutte le linee, quelle della tana del drago a sinistra e
quelle del porticato a destra, convergono verso la figura di san Giorgio a
cavallo. Ne risulta una nuova concezione dello spazio, che al centro
sembra andare in profondità mentre ai lati pare espandersi, oltre la
cornice dell’opera.
Questo bassorilievo è importante perché presenta il primo esempio
conosciuto di schiacciato donatelliano. Si tratta di un bassorilievo
estremamente appiattito, che riconduce la scultura alla pittura e
consente di applicare il metodo prospettico come in un disegno.
Il San Giorgio, nel 1854, fu danneggiato da un atto vandalico (una
sassata provocò la rottura del naso); nel 1891 si decise dunque di
trasferire l’opera al Museo Nazionale del Bargello. La seguì, nel 1976, la
formella del basamento. L’originale fu sostituito prima, nel 1892, da una
copia in bronzo e successivamente, nel 2008, da una copia in marmo.
Il banchetto di Erode
Il banchetto di erode si trova nella fonte battesimale del battistero di
Siena. Si tratta di una formella in bronzo realizzata da Donatello nel
1427. Raffigura il drammatico episodio dell’uccisione del Battista,
ambientato in una domus romana, durante una festa di corte. Questa
formella è interpretata da Donatello con un'eccezionale capacità di
coinvolgimento emozionale.
A sinistra troviamo un servo che offre a Erode un vassoio con sopra la
testa mozzata del battista, l'uomo, nonostante ne avesse comandato la
decapitazione, è rappresentato con le mani avanti quasi in segno di
orrore a quella vista, così il tutto assume dei tratti drammatici e il
banchetto diventa un delitto. Soltanto il re erodiade si protende verso di
lui indicandolo, mentre gli altri componenti si ritraggono, mostrando così
tutti i vari effetti che il delitto ha causato sui presenti. A creare un senso
di profondità e prospettiva ci pensano il vuoto che si crea al centro della
stanza, la fuga prospettica dal pavimento e la disposizione degli oggetti
nella tavola, ma anche il succedersi degli archi nello sfondo sempre più
schiacciati.
Al di là degli archi si stanno svolgendo altre due scene, in una un
suonatore di viola intona la danza dei sette veli che salomè sta
ballando, e in un altra abbiamo di nuovo il servitore che mostra la testa
ad erodiade e a due ancelle. In questo modo Donatello attraverso la
lontananza nello spazio scandisce anche quella nel tempo, ovvero ciò
che è avvenuto prima. E viceversa vicino nello spazio e vicino nel tempo,
ovvero ciò che è avvenuto dopo. Questo è il ciclo narrativo medievale.
Il david marmoreo
A questa fase giovanile di Donatello appartiene un suo primo David,
scolpito in marmo tra il 1108 e il 1110 per l'Opera del Duomo fiorentina.
Era, questa, un'istituzione laica, fondata dalla Repubblica di Firenze e
costituita da amministratori, artisti e maestranze impegnati nel progetto
di costruzione della cattedrale.
La statua era destinata alla tribuna del coro, una struttura ottagonale
che si trovava attorno all'altare centrale e che fu poi smantellata nel XIX
secolo. La scultura è a grandezza naturale e raffigura l'eroe biblico
vittorioso con la testa del gigante Golia ai suoi piedi. Donatello mostra
di conoscere già la scultura romana: infatti si notano elementi ripresi dal
repertorio classico, come il busto massiccio del ragazzo che tende la sua
veste attillata, oppure la corona di amaranto che gli orna il capo.
Tuttavia, altri dettagli riconducono l'opera a un contesto ancora
tardogotico. Le membra sono incredibilmente lunghe, le mani
elegantissime; i drappeggi cadono lungo la schiena e poi davanti, a
coprire le gambe aperte; la posa è fiera ma principesca. E gotica,
soprattutto, la particolare incurvatura del corpo longilineo, sia pure
equilibrata dalla posizione aristocratica delle braccia.
Il David bronzeo
Trent'anni dopo, intorno al 1440, Cosimo dei Medici commissionò a
Donatello un secondo David in bronzo: una piccola scultura, alta poco
più di un metro e mezzo, oggi conosciuta anche come David bronzeo.
Inizialmente destinata a Palazzo Medici, la statua fu esposta per qualche
tempo in una sala della residenza medicea e in seguito nel cortile. Il più
antico documento che la menziona risale al 1469, e la ricorda proprio
nel cortile di casa Medici in occasione delle nozze di Lorenzo il Magnifico.
La scultura era collocata su una colonna di marmi policromi, oggi
purtroppo perduta, decorata con foglie e arpie da Desiderio da
Settignano e descritta anche dal
Vasari. Nel 1495, con la cacciata dei Medici da Firenze, il David fu
trasferito a Palazzo Vecchio, come simbolo della conquistata libertà
repubblicana. Tra Sei e Settecento passò da Palazzo Pitti agli Uffizi e da
qui, nella seconda metà del XIX secolo, trovò sede presso il Museo del
Bargello, assieme al David marmoreo dello stesso autore.
Un tempo, la scultura era in buona parte dorata e appariva molto più
brillante e preziosa di oggi. Ma dopo più di un secolo di esposizione alle
intemperie, quasi tutto il rivestimento in foglia d’oro è andato perso. Nel
2007-8, un intervento di restauro ha restituito parte della doratura
antica ma soprattutto ha recuperato l’originario timbro cromatico del
bronzo, caldo e lievemente argentato.
La Maddalena penitente
Tra il 1453 e il 1455, il celebre artista Donatello si dedicò alla creazione
della Maddalena per il Battistero di San Giovanni a Firenze. Quest’opera
è un esempio straordinario di naturalismo e rappresenta un’evoluzione
significativa rispetto al classicismo giovanile di Donatello.
Ciò che rende questa scultura particolarmente unica è il suo materiale: il
legno di pioppo bianco. Questa scelta rappresenta una sfida per l’artista,
poiché a differenza della pietra o del marmo, il legno non permette
sfumature morbide, ma Donatello lo utilizzò sapientemente per creare
drammatici contrasti.
La Maddalena si allontana dall’iconografia tradizionale, mostrandoci
una figura che incarna la penitenza attraverso il digiuno e l’astinenza.
Questa scelta rappresenta un’evidente rottura con la rappresentazione
usuale di una giovane e bella Maddalena, in quanto l’artista ha voluto
mostrare la donna consumata dagli anni e dalle penitenze, avvolta solo
dai suoi lunghi capelli. È un’immagine potente, che mescola bellezza ed
espressività in un’unica creazione scultorea.
Maddalena penitente è in piedi su di una roccia. La donna è scalza e
indossa una pelle allacciata in vita che le ricopre il corpo fino alle
ginocchia. Le braccia sono aderenti al corpo e le mani giunte. I lunghi
capelli sono scomposti. Ricadono sulle spalle e in avanti sul busto. Il
volto è scheletrito e l’espressione addolorata e contrita.
Maddalena penitente è una scultura in legno di pioppo bianco. Il legno di
questo albero è molto duro. Difficilmente, infatti, è possibile ottenere
volumi morbidi e sfumati. La scultura in legno fu molto utilizzata nel
Medioevo. Nel Rinascimento, invece, fu abbandonata a favore della
scultura in marmo. Donatello scelse di ricorrere a tale tecnica per
rappresentare una Maddalena penitente, mortificata nel fisico e nello
spirito.
Michelozzo
Allievo di Ghiberti, nonché amico e collaboratore di Donatello,
Michelozzo (1396-1472) si era accreditato come uno dei più prolifici
professionisti fiorentini del Quattrocento.
Michelozzo fu l’architetto “dei signori”, colui che fu in grado d’interpretare
appieno la volontà di modernizzazione (in senso classicistico) espressa
dalle numerose committenze delle famiglie mercantili fiorentine.
L’opera michelozziana seppe incarnare l’ideale toscano che univa
semplicità ed eleganza, maestà e ordine, materiali comuni e nitore
formale.
Palazzo Medici
Michelozzo propose a Cosimo di edificare il palazzo in Via Larga e di
adottare un tipico rivestimento murario della tradizione fiorentina, che
nel Medioevo veniva normalmente usato per i palazzi pubblici, sedi dei
governi cittadini. Si trattava del bugnato, dove conci di pietra sono
lavorati in modo da creare una superficie convessa e sporgente (la
cosiddetta bugna). Cosimo ne fu assai soddisfatto.
Prima di essere sottoposto a ingrandimenti e ristrutturazioni, il palazzo
michelozziano appariva come un sobrio ma imponente cubo di pietra,
alleggerito da una loggia d’angolo e sviluppato attorno a un cortile
centrale. La facciata principale, divisa in tre piani separati da cornici
marcapiano, era scandita da dieci finestre bifore a tutto sesto ed era
larga quasi come il prospetto laterale, che presenta ancora oggi nove
campate. Le alte finestrelle che corrono al piano terra conferiscono al
palazzo un tono feudale, da castello trecentesco.
Michelozzo non rinnegò la tradizione costruttiva fiorentina ma riuscì ad
aggiornarla. Scelse, infatti, di graduare l’aggetto del bugnato,
lasciandolo sporgente al piano terra, appiattendolo al primo piano e
lisciandolo al secondo; così facendo, non solo mitigò il richiamo alla
caratteristica casa-fortezza medievale ma evocò la sovrapposizione
degli ordini romana.
Negli edifici di grande prestigio, come il Colosseo, gli antichi Romani
usavano gli ordini architettonici, ossia dorico, ionico e corinzio,
sovrapponendoli dal basso verso l’alto, dal più massiccio al più
leggiadro, per conferire un senso di progressivo alleggerimento della
struttura. Il bugnato di Michelozzo, agli occhi degli uomini di cultura,
certamente apparì per quello che era, ossia come una citazione non
esplicita.
Fu invece Leon Battista Alberti (1404-1472), con Palazzo Rucellai, il
primo, e l’unico a Firenze, ad adottare esplicitamente, e più
coraggiosamente, l’ordine architettonico classico per la facciata di un
edificio gentilizio privato moderno.
Il cortile di Palazzo Medici fu subito apprezzato per la sua eleganza e la
sua armonia. È circondato da un portico con colonne composite,
concluso da un alto fregio decorato con festoni ad affresco e medaglioni
che contengono lo stemma dei Medici e varie scene mitologiche
(attribuite a Bertoldo di Giovanni). Il secondo ordine è a parete piena,
aperta da bifore collocate in asse con gli archi sottostanti; l’ultimo piano
è composto da una loggetta trabeata.
Alberti
Nasce a Genova nel 1404 e muore nel 1472, di origine fiorentina, è uno
dei principali protagonisti del Rinascimento italiano.
• Si può definire un artista universale
◦Studia lettere a Venezia e Padova
◦Greco e diritto canonico a Bologna
◦1421 intraprende carriera ecclesiastica
◦Nel corso del soggiorno fiorentino (1434-1442) scrive trattato “Sulla
pittura”
◦Tornato a Roma (1447) studia e misura monumenti antichi e aspetti
topografici della città; scrive
“Descrizione della città di Roma” e “Sull’edilizia”, trattato in cui Alberti
grazie al suo studio dell’antico e alla sua capacità di rivisitarlo in chiave
moderna Alberti fornisce principi teorici all’operare artistico elevando
così sfera dell’arte dall’artigianale all’intellettuale; in questo scritto
teorizza anche principi della venustas, la bellezza, e la concititas,
armonia delle parti con il tutto.
◦Dopo il 1450 si dedica all’architettura
Palazzo Rucellai
PALAZZO RUCELLAI (Firenze, 1452)
Viene richiesto ad Alberti la modifica della facciata di una struttura già
esistente; il progetto è incompleto poiché, probabilmente, la famiglia
che richiese la modifica non riuscì a comprarsi il resto del palazzo.
Alberti prende ispirazione probabilmente dal Colosseo, la
sovrapposizione degli ordini che utilizza è caratteristica dell’architettura
romana; sono presenti sette campate (distanza tra paraste) uguali, ad
eccezione di quelle agli ingressi; il cornicione protegge la facciata che ha
un ritmo regolare: al pian terreno si hanno lesene con capitello tuscanico
che reggono una trabeazione a fregio continuo sulla quale si impostano
le lesene del primo piano coronate da capitelli ionici a volute ricurve
verso l’alto dove si poggia la trabeazione elaborata che fa da imposta
alle ultime lesene con capitelli corinzi; la restante superficie muraria è
fatta da un bugnato estremamente smaterializzato e ridotto ad un
semplice disegno che conferisce alla facciata un rigore geometrico; il
basamento è ornato dalla “panca di via” in pietra, tipica dell’architettura
civile fiorentina, il cui schienale imita l’opus reticulatum.
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