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RINASCIMENTO

Questo movimento artistico e letterario si sviluppa tra il 400 e il 500.


Il primo ad utilizzare il termine “rinascita” fu Giorgio Vasari.
Prima di essere definito così, viene chiamato con il termine gotico ma in
modo arrogante, perché si pensava che i Goti avessero distrutto la
tradizione artistica rendendo l’arte orrenda.
Vi è in questo periodo un ritorno all’arte classica e vengono nuovamente
presi in considerazione il greco e il latino. A livello artistico gli artisti
rinascimentali si sentono in dovere di dover superare gli antichi.
Il Rinascimento è un arte propria del suo tempo, perché ci sono elementi
nuovi come per esempio la collocazione dell’uomo come centro del
mondo, che conosce ciò che lo circonda tramite regole scientifiche e
matematiche, infatti sarà la visione matematica del mondo a favorire la
codificazione della prospettiva, attraverso leggi razionali e universali che
studiano l’occhio umano.
Il Rinascimento durerà circa 2 secoli.
La città in cui si manifesta è Firenze infatti saranno proprio i fiorentini ad
essere considerati i fondatori.

Tre artisti stabiliscono i principi fondamentali del nuovo stile:


Brunelleschi (Architetto e Scultore)
Masaccio (Pittore)
Donatello (Scultore)

La prospettiva e le proporzioni
Con il termine prospettiva agli inizi del quattrocento si intendeva una
prospettiva intuitiva e non scientifica, non basata su regole geometriche
e matematiche.
Con prospettiva si indica un insieme di proiezioni di oggetti su un piano,
che corrisponde a oggetti reali come noi li vediamo nello spazio. Il piano
però ha due dimensioni ovvero lunghezza e larghezza. Mentre gli oggetti
ne hanno tre, lunghezza, larghezza e altezza. Ciò significa che tramite un
procedimento grafico, è possibile rappresentare qualsiasi oggetto o
insieme di oggetti, in modo che sia simile a ciò che vediamo realmente.
Per far ciò è necessario che si verificano le seguenti condizioni:
● Che esista qualcosa da rappresentare (l'oggetto)
● Che qualcuno lo stia guardando (l'osservatore)
● Che si conosca la posizione esatta dell'osservatore rispetto all'oggetto.
● Che ci sia un supporto su cui disegnare. Questo deve essere
immaginato come una
pellicola trasparente posta fra l'oggetto e chi guarda. Dall'occhio
dell'osservatore partono dei raggi che vanno a circondare l'oggetto
(piramide visiva). Intersecando la pellicola trasparente i raggi vi
individuano una immagine simile all'oggetto, ma più piccola, di cui essa
costituisce la rappresentazione prospettica.
In una prospettiva:
● L'occhio dell'osservatore si chiama "punto di vista"
● La posizione dell'osservatore rispetto all'oggetto si dice "punto di
stazione"
● tutte le linee perpendicolari convergono nel punto di fuga, punto dove
passa la linea
dell’orizzonte.

Fu Filippo Brunelleschi agli inizi del secondo decennio del Quattrocento a


scoprire le regole geometriche della rappresentazione prospettica, egli
realizzò infatti due celebri tavolette prospettiche, andate perdute.
In una era rappresentata il battistero di Firenze vista dall’interno della
Cattedrale di Santa Maria del Fiore (raffigurato in controparte, ovvero
rovesciato), disegnando una veduta di piazza della signoria a Firenze con
palazzo vecchio e una veduta del battistero.
Nell’altra era invece raffigurato Palazzo Vecchio vicino alla Loggia de’
Lanzi.

La prospettiva costituiva lo strumento tecnico per eccellenza alla


portata dell’artista per studiare e indagare la natura.
Alberti riconosce a Brunelleschi la priorità della scoperta della
prospettiva. Egli scrisse un trattato di prospettiva, ma il primo vero
trattato interamente illustrato fu di Piero della Francesca, l’opera (De
Prospectiva Vincet) si compone di tre libri costituiti da esercizi complessi
dove dalla rappresentazione di figure piane si passa a quella di corpi
solidi, fino alla prospettiva della testa umana, tra i più difficili da
realizzare.

Alla fine del Quattrocento Leonardo da Vinci teorizza la prospettiva


aerea, consiste nel comprendere che, con l’aumentare della distanza dal
punto di osservazione, i contorni di un qualcosa vengono sfocati e i colori
risultano meno nitidi.

Nel rinascimento vi è una ricerca delle PROPORZIONI UMANE con lo


scopo di mettere in relazione le parti con tutto. Attraverso di esse gli
architetti volevano rendere le loro opere armoniche.

Proporzione: rapporto matematico tra 2 o più elementi in relazione.


(Venne introdotto il concetto di proporzione armonica da Pitagora).

• SEZIONE AUREA: numero ottenuto tra il rapporto di due misure diverse,


ovvero (a+b):a=a:b, questo rapporto approssimativamente è di 1,6180
(es. si chiama aureo il rettangolo i cui due lati sono legati da questa
proporzione).
Gli architetti rinascimentali sfruttarono molto la tecnica del triangolo
aureo, o in generale le proporzioni studiate.

Un esempio è esempio,l’uomo vitruviano è stato realizzato seguendo le


proporzioni stabilite da Vitruvio, architetto romano del I secolo d.c.
Vitruvio era un architetto a cui dobbiamo la conoscenza dell’architettura
del passato. Secondo il De architectura di Vitruvio, un edificio sacro
avrebbe dovuto rappresentare Il corpo umano(misura di tutto) perché
questo è ben proporzionato, quindi era logico che anche nella
progettazione architettonica ci si attenesse alle simmetrie e ai rapporti
esistenti fra le varie parti del corpo umano, Vitruvio inoltre afferma che
il centro del corpo umano è l'ombelico; infatti se un uomo si disponesse
supino con mani e piedi distesi; puntando il compasso sull’ ombelico si
potrebbe descrivere una circonferenza che toccherebbe esattamente le
punte delle dita di entrambe le mani e i piedi (uomo vitruviano).

Brunelleschi
Filippo Brunelleschi (1377-1446) fu uno dei grandi artefici del Primo
Rinascimento, un vero architetto.
Molti narrano della trascuratezza d’aspetto di Brunelleschi e lo
definiscono <sparutissimo della persona, ma di ingegno tanto elevato>
da rinnovare l’architettura che da secoli era decaduta. Inizialmente
Filippo si dedicò all’oreficeria e già nel 1399 ricevette una commissione
importante, il completamento dell’altare d’argento degli anni '300 nella
cattedrale di San Jacopo a Pistoia.
Il fiorentino Brunelleschi, aveva solo 24 anni quando partecipò al
concorso del 1401, anche se lavorava già in proprio come scultore.
Dopo questa sconfitta si rende conto, contemplando il lavoro di Ghiberti,
che doveva perfezionarsi tecnicamente quindi tra il 1410 e 1419 si
trasferisce a Roma e studia le architetture classiche ricercando le lezioni
di equilibrio, chiarezza e misura umana. Sempre negli stessi anni si
occupa di ottica ed elabora la nuova teoria sulla prospettiva lineare
come mezzo per dominare razionalmente l'ambiente circostante.
Con lui, l’arte diventa un modo per conoscere e razionalizzare la realtà.

Il Concorso del 1401


Nel 1401, a Firenze, l’Arte di Calimala lancia un concorso per scegliere
quale artista ha il compito di eseguire la seconda delle tre porte del
Battistero di San Giovanni, chiamata poi come Porta Nord. Ciascun
artista doveva rappresentare il Sacrificio di Isacco, perché era l’unico
tema per vedere le capacità, degli artisti, di ricostruire elementi difficili.
A noi sono pervenute solo le formelle di Filippo Brunelleschi e Lorenzo
Ghiberti, il vincitore.
GHIBERTI: Nella cornice di Ghiberti, personaggi e paesaggio sono inseriti
in un quadrato ideale, perfettamente contenuto nella cornice.
Uno sperone roccioso taglia verticalmente la scena e divide Abramo e
Isacco dai servi che conversano tranquilli accanto all’asino. Abramo è
come sospeso, con il braccio destro levato in una posa elegante e
sembra quasi aspettare l’angelo che arriva volando da destra; Isacco,
invece, pare accettare con eroica consapevolezza quel sacrificio
innaturale e, sfoggiando il suo corpo efebico da statuaria classica, sfida
il padre a colpirlo. Anche il montone in cima alla cresta rocciosa è
placidamente (tranquillo/calmo) seduto, contribuendo al clima generale
di distaccata e serena contemplazione (ammirazione).
In questa formella Ghiberti ha voluto proporre un’opera più composta ed
elegante.
BRUNELLESCHI: Nella formella di Brunelleschi, un asse orizzontale (posto
all’altezza dell’altare) divide la scena in due: Abramo e Isacco sono
collocati in alto e i servi con il cavallo in basso. Abramo, piegato in
avanti e con un atteggiamento aggressivo, punta il coltello sul figlio e
solleva il mento del ragazzo con il pollice della mano sinistra, pronto ad
affrontare la lama. Isacco, a differenza dell’Isacco di Ghiberti, non ha
alcuna intenzione di farsi uccidere e tenta di ribellarsi. L’angelo sbuca da
sinistra e ferma, con un gesto deciso, la mano di Abramo.
Anche il montone, inquieto, solleva la zampa posteriore destra, nel
vano tentativo di liberare le sue corna impigliate nel cespuglio. Sotto
l’altare, l’asino o cavallo bruca l’erba mentre i servi sono intenti nelle
loro faccende, uno si sta togliendo una spina dal piede. E’ una formella
con un forte impatto grazie allo sfondo liscio ma è anche stata
realizzata in modo più chiaro e dinamico.
Se Ghiberti raffigura l’episodio con pacata compostezza, Brunelleschi
presenta un dramma agitato, dando un’interpretazione molto profonda
di un esempio biblico duro, per certi versi difficile da comprendere, ossia
il sacrificio di un figlio.

DOPO LA SCONFITTA, BRUNELLESCHI SI RECA CON DONATELLO A ROMA,


DOVE RIMASE PER QUALCHE ANNO PER STUDIARE I RESTI DEGLI EDIFICI
DELL’ANTICHITA’.
DA QUESTA ESPERIENZA BRUNELLESCHI CONCEPISCE UN’ARCHITETTURA
RAZIONALE, BASATA SU FORME GEOMETRICHE SEMPLICI E RAPPORTI
PROPORZIONALI ARMONICI TRA LE PARTI.

La cupola di Santa Maria del Fiore


Nel 1418 la corporazione dell’Arte della Lana bandì il concorso per la
realizzazione della cupola del Duomo di Firenze, dedicato a Santa Maria
del Fiore. La grandiosa architettura di questo sacro edificio era stata
progettata oltre cento anni prima dall’architetto e scultore Arnolfo di
Cambio.
Il concorso del 1418 richiedeva proprio la risoluzione a un problema che
si era creato per quanto riguarda la cupola: non “se” fare la cupola o
meno, ma “come” farla.
Si presentarono diciassette architetti, Brunelleschi fu l’unico ad arrivare
in fondo alle selezioni. La sua idea era semplice e geniale insieme:
realizzare una cupola “autoportante”, costruita senza centine e capace di
sostenersi da sé in ogni fase della sua costruzione. Predispose un
modello e simulò la costruzione della cupola (ovviamente in scala) nella
Chiesa di San Jacopo Soprarno.
Ottenuto l’incarico, Brunelleschi costruì una struttura a doppia calotta,
ossia due cupole distinte, una dentro l’altra, connesse da ventiquattro
speroni (legati da archi orizzontali d’irrigidimento) che irrobustiscono
quella interna e scompongono in tre parti le facce molto larghe di quella
esterna.
L’aggetto costante di questi speroni garantisce il parallelismo delle due
calotte, all’interno delle quali fu realizzata una scala che porta fino in
cima alla struttura.
La cupola fu costruita in pietra nella parte inferiore, sino a quando la
curva delle pareti lo consentì; poi si usarono i mattoni, disposti non per
ricorsi paralleli concentrici, com’era usuale, ma con un sistema di
incastro detto a “spina di pesce”, che consisteva nel disporre i ricorsi di
mattoni verticalmente, di seguito ad altri collocati di piatto.
Per ragioni di ordine statico, per Brunelleschi fu obbligatorio realizzare
una struttura di forma ogivale, ossia non semicircolare ma con una
punta, come i tipici archi gotici. Nelle rifiniture, l’architetto diede grande
prova delle sue capacità progettuali. Scartando ogni soluzione mirata a
legare visivamente la sua costruzione alle preesistenti strutture
trecentesche, egli determinò l’immagine della cupola attraverso un
semplice ma efficacissimo effetto cromatico, ben percepibile anche a
molti chilometri di distanza; la superficie della struttura infatti fu
ricoperta con tegole rosse e spartita con otto creste di marmo bianco,
poste in corrispondenza dei costoloni angolari.
Tali creste, la cui raggiera è conclusa dalla lanterna, non hanno alcuna
funzione portante, eppure sembrano costituire uno scheletro leggero,
simile a quello di un ombrello, che fa apparire le pareti come fossero
membrane tese.
La cupola appare sospesa sulla città, oltre i profili dei tetti, senza però
risultare incorporea, grazie al suo congegno geometrico che ne
garantisce la necessaria consistenza tridimensionale. Il nitido profilo
della sua sagoma le conferisce un valore paesaggistico eccezionale; la
cupola è visibile da 70 km di distanza.
Lo spedale degli Innocenti
Nato nel centro di Firenze nel 1419,rappresenta il primo monumento
civile rinascimentale. Accoglieva e tutelava i bambini abbandonati, oggi
è sede di un museo.

Il progetto originale dell'edificio appartiene a Filippo Brunelleschi, che ci


lavorò fino al 1423, poi abbandonò i lavori. L'edificio è armoniosamente
inserito nella piazza della Santissima Annunziata.

All'interno dello Spedale si trovano, oltre al dormitorio dei bambini (oggi


usato per mostre e spettacoli), il Cortile delle Donne, il Cortile degli
Uomini, la Chiesa di Santa Maria degli Innocenti, il Verone (ampio
terrazzo) e La Galleria.

Lo Spedale presenta due ordini: il pianterreno e un primo piano con le


finestre.

Il loggiato di Brunelleschi è sul primo ordine, rialzato per mezzo di nove


gradini, composto da nove archi a tutto sesto sostenuti da colonne
corinzie.

Sul primo piano (realizzato da Francesco della Luna) troviamo invece


nove finestre rettangolari con timpani triangolari.

Il materiale scelto da Brunelleschi è la pietra serena grigia, usata per


archi, colonne e capitelli, abbinata al bianco delle pareti.

Ci sono inoltre dieci medaglioni azzurri in ceramica tra un arco e l'altro,


rappresentanti i trovatelli in fasce, realizzati da Andrea Della Robbia.

I modelli architettonici appartengono sia all'architettura medievale che


all'antichità romana, e Brunelleschi cerca (non invano) di "emularli", ossia
di superarli ed innovarli; egli introduce anche delle novità nello stile:

-proporzione. L'intera facciata è stata pensata sulla base di precisi


calcoli matematici, e sono state tenute in considerazione le proporzioni
del corpo umano.

Quest'ultimo è un aspetto molto importante nel rinascimento: l'uomo è


al centro di tutto.
In questo caso le proporzioni umane considerate sono quelle infantili.

Le campate sono perfettamente cubiche: hanno stessa altezza,


larghezza e profondità; questa misura, detta modulo, è la stessa del
fusto delle colonne e dell'intercolunnio (spazio compreso tra due
colonne).

⁃prospettiva. In questo monumento la prospettiva è stata usata da


Brunelleschi in modo illusionistico per far si che l'edificio sembrasse più
alto, ma che comunque offrisse un'immagine serena e non imponente ai
bambini che entravano nella piazza.

⁃ armonia e musicalità. Il ritmo dell'edificio è rappresentato da questa


scansione: arco - pausa della cornice - finestra timpanata, che è riferita
a una composizione musicale.

-eleganza della semplicità. Le forme geometriche utilizzate sono


poligoni regolari, caratteristici dell'arte rinascimentale.

La geometria, inoltre, è collegata a simboli religiosi: il quadrato


rappresenta l'uomo, il cerchio il divino, il triangolo la Trinità.

-leggerezza. Le colonne,per esempio, sono rialzate su pulvini, che


donano slancio.

Le colonne corinzie sono rinnovate: risultano più leggere rispetto a


quelle classiche.

Sagrestia Vecchia
La cosiddetta Sagrestia Vecchia venne realizzata a Firenze da
Brunelleschi, questo venne incaricato nel 1420 da Giovanni di Bicci dei
Medici di costruire una cappella funebre per la sua famiglia adiacente al
transetto sinistro della Basilica paleocristiana di San Lorenzo.
L’architetto lavorò dal 1421 al 1428 quindi ben 7 anni, portando la
sagrestia a compimento giusto in tempo per accogliere le spoglie del
committente, il cui sarcofago venne collocato al centro, sotto un grande
tavolo di marmo.
Quando Brunelleschi, negli anni a seguire, ricostruì anche l’intera
basilica, su commissione di Cosimo il Vecchio, la cappella venne
mantenuta come parte integrante del nuovo edificio.
La cappella si presenta come un semplice vano cubico. La sua pianta è
infatti quadrata e il lato misura come l’altezza, all’imposta della cupola.
Su questo ambiente principale si affaccia una scarsella, ossia un secondo
vano quadrato più piccolo, il cui lato misura 1/3 di quello maggiore. Tale
scarsella presenta tre piccole nicchie curvilinee ed è affiancata da due
ridotti ambienti di servizio voltati a botte.
La parete dell’altare, quella più importante, è divisa in tre parti,
costituite dal grande arco centrale a tutto sesto, che immette nella
scarsella, e dalle due porzioni di muro che lo affiancano. L’arco, sorretto
da due lesene corinzie scanalate, è affiancato dalle due classicheggianti
porte in bronzo che danno accesso ai locali di servizio, realizzate da
Donatello e Michelozzo.
I materiali a basso costo scelti per la costruzione della Sagrestia, ossia
la pietra serena per le membrature architettoniche e l’intonaco delle
pareti, creano un’equilibrata bicromia di grigio e bianco, un tratto
distintivo dell’architettura brunelleschiana che sarebbe diventato, negli
anni a venire, caratteristico del Rinascimento fiorentino in generale.

(Le altre pareti della cappella sono molto più semplici, perché
semplicemente attraversate dal motivo orizzontale della trabeazione
corinzia, decorata da un fregio con cherubini e serafini rossi e blu
La trabeazione è retta agli angoli da lesene piegate a squadra e al
centro da mensole rompitratta, poste a distanza regolare. Le mensole
sostituiscono gli elementi verticali di sostegno, come lesene o
semicolonne, la cui presenza avrebbe appesantito l’impianto
architettonico generale. Invece, con l’introduzione di questo sistema
portante non vero ma verosimile, il muro appare come smaterializzato,
ridotto visivamente a un immateriale e astratto tamponamento)

Il vano principale è coperto da una cupola, raccordata alle murature


sottostanti da pennacchi. Tale cupola presenta una struttura “ad
ombrello”, ossia a creste e vele, è innervata da dodici costoloni e ha
dodici finestre circolari sul piano d’imposta. Ogni singolo spicchio
murario, a vela curva, si appoggia sui costoloni. Sotto l’anello della
cupola, ossia sui pennacchi e fra gli arconi, si incastrano otto tondi
incorniciati di pietra serena, che Brunelleschi avrebbe voluto vuoti e che
invece, a partire dal 1428, furono decorati a stucco da Donatello.
(Brunelleschi riversò in questo progetto il suo interesse per il simbolismo
teologico attribuito sia alle forme geometriche del cerchio, del quadrato,
della sfera e del cubo, sia ai numeri tre, quattro e dodici. Il numero tre
rimanda alla natura divina della Santissima Trinità (costituita da Padre,
Figlio e Spirito Santo). All’interno della Sagrestia sono tre le parti
sovrapposte di uguale altezza: la prima arriva alla trabeazione, la
seconda include gli arconi, i tondi, le finestre e i pennacchi, la terza è
quella della cupola maggiore. Inoltre, sono tre le pareti che guidano lo
sguardo alla parete principale, a sua volta tripartita.
Il numero quattro, invece, simboleggia il mondo e lo spazio, giacché
quattro sono gli elementi naturali (fuoco, aria, acqua e terra) e quattro i
punti cardinali. Nella Sagrestia, quattro sono i lati della pianta e così i
tondi (4 + 4), gli arconi e i pennacchi. Il numero dodici, quello degli
spicchi della cupola maggiore e delle finestrelle circolari alla sua base, è
ottenuto moltiplicando il tre per il quattro, in modo da combinare il loro
significato simbolico: in un edificio sacro, intatti, il divino incontra la
dimensione dell’umano.)

Basilica di San Lorenzo


La Basilica di San Lorenzo fu eretta da Brunelleschi a Firenze nel 1420 su
una struttura preesistente.
Molto simile alla Basilica di Santo Spirito dello stesso Brunelleschi eretta
vent'anni dopo (1440) e simile alle molte altre chiese di stampo
medievale di Firenze quali Santa Croce, Santa Maria Novella o Santa
Trinità.
La pianta è a croce commissa (latina) e ha tre navate di cui le due
laterali più piccole. Ai lati di tali navate, ci sono cappelle rettangolari
che continuano in altre cappelle ai lati dell'abside (quattro).

All'interno della struttura, ci sono colonne a fusto liscio con capitelli


corinzi (tipici romani) che sono sormontate da un pulvino (elemento
dell'architettura lombarda e carolingia che consiste in un imbuto
scanalato o decorato che nell'architettura brunelleschiana è scanalato).
Sormonta quindi il pulvino un nuovo elemento architettonico introdotto
proprio dallo stesso Brunelleschi: il dado brunelleschiano, elemento
innovativo su capitello e pulvino a forma di dado decorato che ha il
compito di slanciare la colonna e di conseguenza alzare gli archi che
fanno sì che l'intera struttura si sviluppi in altezza per dare ariosità al
tutto. Infine, il soffitto è a cassettoni.
Basilica di Santo Spirito
È stata progettata tra il 1428 e il 1434 ma viene iniziata solo nel 1444,
la basilica venne condotta a termine dopo la morte di Brunelleschi con
numerose varianti rispetto al progetto originario.
È un edificio a croce latina, il trattamento dei bracci è uniforme perché il
paradigma del portico degli innocenti corre tutto intorno anche nella
parte presbiteriale, non con cappelle come in San Lorenzo.
La modularità è semplice, riportata sia in pianta che in rialzo, le navate
laterali sono 1/4 del quadrato grande della navata centrale mentre la
profondità delle cappelle è data dall'intersezione delle cappelle che
contornano il transetto e le cappelle che fiancheggiano la navata
laterale del lato lungo della croce e all'angolo si intersecano.
Teoricamente all'esterno dovevano essere presenti una serie di elementi
curvi, doveva essere estradossata, come le terme romane, ma alla fine
venne tutto chiuso da un muro rettilineo. L'intradosso della copertura è
una copertura piana con cassettoni quadrangolari.
La maggiore differenza è la parete di fondo che presenta, in San Lorenzo,
delle paraste che reggono la trabeazione mentre in Santo Spirito ci sono
delle semi colonne su cui poggia l'arco e riproduce esattamente ciò che
accade nella navata centrale. L’arco si trova sull’ordine architettonico e
siccome le semicolonne sporgono nello spazio presenta maggiore
tridimensionalità, che inizialmente voleva essere mantenuta anche
all'esterno con più plasticità dello spazio, San Lorenzo più lineare con
fregio decorato e Santo Spirito liscio con portico innocenti intorno.
Quindi è simile alla Basilica di S. Lorenzo, ma semplificata per via degli
archi laterali semplici.

Masaccio
Masaccio (1401-1428), soprannome di Tommaso di ser Giovanni di Mone
Cassai, è stato un pittore italiano.
Fu uno degli iniziatori del Rinascimento a Firenze, rinnovando la pittura
secondo una nuova visione rigorosa, che rifiutava gli eccessi decorativi e
l'artificiosità dello stile allora dominante, il gotico internazionale.
La sua pittura si caratterizza per:
• il recupero della lezione giottesca e l’ispirazione all’antico
• la coerente resa prospettica dello spazio
• la concreta volumetria dei corpi
• l’espressività di volti e gesti
• l’umanizzazione delle storie sacre

Il tributo
Il tributo è un affresco realizzato tra il 1424 e il 1425 da Masaccio nella
Cappella Brancacci, all’interno della Chiesa di Santa Maria del Carmine a
Firenze. Di dimensioni piuttosto ampie, fu eseguito in 32 giornate di
lavoro. Fa parte del ciclo sulle Storie di san Pietro.
La scena illustra una pagina del Vangelo di Matteo e ricorda quando a
Cafarnao, in Galilea, gli esattori della cosiddetta “tassa del tempio”
chiesero a Gesù di pagare quanto doveva. Cristo osservò che i figli dei re
non sono tenuti a pagare le tasse. Per non dare scandalo, però, ordinò a
Pietro di andare in riva al lago di Tiberiade, gettare l’amo per pescare,
tirare fuori il pesce che avrebbe abboccato e prendere la grossa moneta
d’argento che questo avrebbe avuto in bocca. Pietro obbedì e con la
moneta trovata pagò la tassa.
Il capolavoro presenta, in apparenza, una sola scena, unificata dal
paesaggio sullo sfondo, che l’osservatore starebbe osservando da uno
spazio porticato, indicato dalle due colonne poste alle estremità del
dipinto. In realtà, Masaccio ha voluto presentarci contemporaneamente
tre momenti di questa celebre pagina evangelica.
Al centro, circondato dagli apostoli, campeggia Gesù che,
imperturbabile, ordina a Pietro di andare a pescare mentre il gabelliere,
cioè l’esattore, gli porge una mano chiedendo il pagamento della tassa.
In fondo a sinistra, si vede di nuovo Pietro che estrae la moneta dal
pesce.
In primo piano a destra, troviamo nuovamente Pietro che paga il
gabelliere.
Quindi, l’apostolo, e primo papa, compare nella scena ben tre volte, e il
gabelliere due. Si noti che Masaccio ha scelto di relegare il miracolo in
una posizione secondaria, perché tale evento, nella concezione generale
dell’opera, ha in sé un’importanza relativa.
Cristo si trova al centro della composizione, in corrispondenza di un
ideale asse verticale, e a lui convergono tutte le linee prospettiche della
scena. Il gruppo degli apostoli circonda il Maestro formando una esedra
idealmente aperta dal gesto di Cristo e poi completata dalla figura del
gabelliere che vediamo di schiena. Questo circolo virtuale si espande
otticamente fino allo sfondo del paesaggio, verso il quale è attratto lo
sguardo, grazie anche all’espediente di alcuni alberi che decrescono in
progressione.
Anche le aureole dei personaggi sono rappresentate in prospettiva. Tutte
le figure sono illuminate da una precisa fonte di luce, coincidente con
quella reale della finestra della cappella (posta in alto a destra, rispetto
all’affresco); infatti, proiettano le loro ombre verso sinistra.

Sant’Anna Metterza
Nel 1423, Masaccio divenne socio di Masolino, pittore di formazione
tardogotica. I due realizzarono insieme, nel 1424-25, la cosiddetta
Sant’Anna Metterza, ossia una tavola con la Madonna e il Bambino
accompagnati da Sant’Anna. In quest’opera Masaccio dimostrò una
notevole perizia (abilità) nell’esaltazione della struttura delle figure
della Madonna e del Bambino ma anche nel saper rendere il senso del
rilievo, del volume e della luce che segna e definisce le forme. Masolino,
invece, dipinse Sant’Anna con un corpo privo di massa, raggiungendo
risultati assai meno naturalistici.
Il dipinto rappresenta la Madonna in trono con il Bambino e Sant’Anna,
messa come terzo personaggio, circondati da cinque angeli.
• A Masolino si attribuisce l’esecuzione della Sant’Anna e dei quattro
angeli. I due turiferari in primo piano e quelli reggicortina centrale e di
sinistra.
• A Masaccio invece si attribuisce l’angelo reggicortina di destra e la
Vergine con il Bambino. Il corpo di Maria assume una compattezza
percepibile anche attraverso la veste.
Tutti i personaggi grazie all’uso del chiaroscuro paiono dotati di un
volume proprio, occupando di conseguenza uno spazio reale. Anche il
piccolo Gesù presenta un chiaroscuro accentuato. Sant’Anna ha un senso
del volume meno accentuato.
Sant’Anna Metterza è stata commissionata da due venditori di stoffe,
infatti hanno richiesto un tessuto specifico da rappresentare (per
pubblicità).

La cacciata di Adamo ed Eva


Sullo spessore dell’arcone d’ingresso della Cappella Brancacci, nella
chiesa del Carmine, Masolino e Masaccio realizzarono due episodi della
Genesi: il Peccato originale, dipinto da Masolino a destra, e la Cacciata di
Adamo ed Eva, affrescato da Masaccio a sinistra.
L’affresco di Masolino mostra Adamo ed Eva in piedi, entrambi nudi, una
accanto all’altro, mentre stanno per mordere il frutto proibito che il
Serpente dal volto di donna ha offerto loro. Eva, ambigua e tentatrice,
abbraccia l’albero che anche il demonio sta avviluppando con le sue
spire: le due figure, in tal modo, si assomigliano e si identificano. Adamo
è impacciato e incerto, esita, forse argomenta debolmente, come sembra
indicare il gesto della mano sinistra. Sappiamo che alla fine cederà.
La scena risente fortemente del clima tardogotico in cui era maturata
l’arte di Masolino: le figure dei progenitori sono infatti elegantemente
composte, illuminate da un diffuso quanto generico bagliore e sono
come sospese a mezz’aria. I loro corpi, nell’intenzione dell’artista,
dovrebbero essere puri, eterni e celesti, giacché il peccato non è stato
ancora compiuto, ma risultano piuttosto privi di consistenza fisica. La
figura di Adamo, inoltre, parrebbe voler aderire a un certo canone di
bellezza classica ma il tentativo appare chiaramente un po’ maldestro,
anche perché le competenze anatomiche di Masolino non erano
abbastanza approfondite.

Nella Cacciata di Adamo ed Eva, Masaccio non si concesse alcun


compiacimento edonistico(materialistico). Infatti, l’opera, non colpisce né
per la bellezza né per le armoniose proporzioni dei personaggi:
Eva ha le gambe un po’ tozze, le natiche poco arrotondate, i fianchi
larghi; Adamo ha le braccia troppo magre in rapporto al torace ampio e
all’addome muscoloso. Insomma, Adamo ed Eva non sono “belli” in
senso classicistico e meno che mai idealizzati ma sono certamente
umani. I loro corpi, frustrati dalla luce che li investe frontalmente, hanno
una concretezza senza precedenti.
La pittura di Masaccio è sobria e sintetica ma proprio per questo non
lascia adito a fuorvianti interpretazioni. La porta del Paradiso è l’arco di
una cinta di mura, il mondo esterno è brullo e inesplorato, duro come
l’esilio cui la coppia è stata condannata. L’uomo e la donna, caduti nella
disperazione, cacciati con forza dal luogo che amavano e nel quale si
sentivano protetti, obbligati a farsi carico delle proprie responsabilità,
provano anche vergogna: Adamo ha le mani che coprono il volto,
esprimendo così sentimenti di dolore e di afflizione profondi ma dignitosi;
Eva assume la posa di una Venere pudica che nasconde il seno e il pube.
Entrambi mantengono, tuttavia, la dignità umana di chi ha la forza e la
possibilità di ricominciare, sia pure affrontando indicibili fatiche. Eva
urla, ma il suo è un grido in fondo liberatorio; Adamo singhiozza, ma
cammina con passo svelto e virile incontro alla sua nuova vita.
I piedi di entrambi sono saldamente appoggiati per terra, i due corpi
(pesanti in quanto consapevoli della propria finitezza) proiettano ombre.
Non si può fare a meno di notare e commentare la vigorosa mascolinità
di Adamo, così inconsueta per la pittura dell’epoca, scoperta negli anni
Ottanta del Novecento sotto fronde seicentesche, aggiunte a nascondere
la nudità troppo realistica e un tempo giudicata, per un luogo sacro,
decisamente peccaminosa.
L’angelo, che in alto li caccia armato di una spada un tempo luccicante
(grazie ad una foglia di metallo applicata sull’affresco, poi caduta), ha
un’espressione dura, da «maschera tragica e crudele, come di Furia dalla
ampia chioma scarmigliata, o di legionario imperiale romano
inesorabile».
Con la mano sinistra, tuttavia, il messaggero divino già indica la via del
riscatto.
Con la sua Cacciata, Masaccio realizzò un’immagine tragica fra le più
grandiose dell’arte occidentale.

Donatello
Donato di Niccolò di Betto Bardi, detto Donatello, scultore italiano,
nasce a Firenze nel 1386 e muore ottantenne (raro per questi tempi), nel
1466 sempre a Firenze.
Si forma a Firenze nella bottega di Ghiberti e divenne amico di Masaccio
e Alberti
Donatello divenne uno degli artisti preferiti di Cosimo il Vecchio de
medici.
Il lavoro di Donatello si svolge a Firenze, Prato, Siena e Padova e nella
sua attività sperimenta tutte le possibili tecniche (tuttotondo,
bassorilievo, stiacciato) e tutti i possibili materiali (marmo, bronzo,
terracotta, legno).
È stato il primo scultore a riallacciarsi alla tradizione scultorea
greco-romana, infondendo però nei suoi personaggi un’umanità e
un’introspezione psicologica che rimarranno uniche nella storia dell’arte.

Il San Giorgio di Donatello


Donatello, lasciata da poco la bottega di Ghiberti, ebbe l’occasione di
entrare a far parte di un gruppo di scultori attivi nei più importanti
cantieri di Firenze. Uno di questi era rappresentato dalla Chiesa di San
Michele in Orto, detta comunemente Orsanmichele.
Questo edificio gotico era stato costruito nel XIV secolo e presentava
all’esterno quattordici grandi nicchie, destinate a contenere le statue dei
santi protettori delle Arti cittadine: nicchie che, alla fine del secolo,
erano ancora vuote. Donatello fu incaricato di scolpire un San Marco e
un San Giorgio.
Il San Giorgio venne commissionato a Donatello intorno al 1416 dall’Arte
degli Spadai e dei Corazzai. Giorgio, infatti, era stato un guerriero e per
questo i fabbricanti di armi lo avevano scelto come patrono. La statua è
stata sempre considerata come la prima personificazione dell’eroe
rinascimentale.
Il giovane santo, dalla postura eretta e fiera, è mostrato vestito di una
bella armatura, parzialmente coperta da un corto mantello, e tiene di
fronte a sé un grande scudo crociato. Un tempo, impugnava anche una
spada. Il busto, leggermente ruotato verso la propria destra, fa perno
sulle gambe, aperte saldamente a compasso. Nel suo insieme,
l’atteggiamento del giovane esprime un’idea di fermezza morale.
Giorgio è colto nell’atto di guardare verso la sua sinistra, con uno scatto
della testa; il gesto, sottolineato anche dai tendini del collo e dalle
sopracciglia aggrottate, indica che il giovane vede il nemico avvicinarsi e
si prepara ad affrontarlo. La grande novità dell’opera risiede proprio in
questo. Mentre le sculture medievali, dagli occhi fissi e sgranati,
amavano rappresentante l’uomo che contempla passivo la trascendenza
divina, il San Giorgio di Donatello volge uno sguardo intenso e concreto
verso il mondo, ha l’atteggiamento attivo di chi, pur nella fede in Dio,
conta sulle proprie forze e diventa artefice del proprio destino.
Altrettanto originale è questo equilibrato contrasto fra stasi e
movimento in atto: la posizione sicura è mossa dalla vitalità
dell’espressione, mentre alla rigidezza dell’armatura si contrappone la
morbidezza del mantello, allacciato sulla spalla destra. Questa
contrapposizione fra la salda struttura e gli scarti dinamici improvvisi
produce una straordinaria tensione psicologica.
Nella bellezza un poco astratta del volto giovanile e nella delicatezza
aristocratica della mano sinistra si colgono i ricordi dell’educazione
gotica, probabilmente apprezzata dai committenti; d’altro canto, il
realismo dei particolari è assoluto. L’armatura del santo, ad esempio, è
una replica esatta di un modello quattrocentesco, e viene da pensare
che i membri della corporazione dei Corazzai abbiano fornito allo
scultore un originale da copiare.

Nella parte inferiore della nicchia che ospita il San Giorgio, si trova una
sorta di predella, cioè una formella a bassorilievo con San Giorgio e il
drago, dove l’artista ebbe modo di sperimentare le nuove regole della
prospettiva brunelleschiana.
Si nota subito che tutte le linee, quelle della tana del drago a sinistra e
quelle del porticato a destra, convergono verso la figura di san Giorgio a
cavallo. Ne risulta una nuova concezione dello spazio, che al centro
sembra andare in profondità mentre ai lati pare espandersi, oltre la
cornice dell’opera.
Questo bassorilievo è importante perché presenta il primo esempio
conosciuto di schiacciato donatelliano. Si tratta di un bassorilievo
estremamente appiattito, che riconduce la scultura alla pittura e
consente di applicare il metodo prospettico come in un disegno.
Il San Giorgio, nel 1854, fu danneggiato da un atto vandalico (una
sassata provocò la rottura del naso); nel 1891 si decise dunque di
trasferire l’opera al Museo Nazionale del Bargello. La seguì, nel 1976, la
formella del basamento. L’originale fu sostituito prima, nel 1892, da una
copia in bronzo e successivamente, nel 2008, da una copia in marmo.

Il Crocifisso di Santa Croce

Donatello tra il 1406 e il 1408, scolpì un crocifisso ligneo (privo di grazia)


per la Chiesa di Santa Croce Secondo un aneddoto raccontato da Giorgio
Vasari, Donatello chiese a Brunelleschi, che era suo grande amico di
esprimere un suo parere in merito a quest’opera, «parendogli aver fatto
una cosa rarissima»; e questi, ruvido e schietto come suo solito, gli
rispose che quel Cristo gli sembrava un contadino. Donatello ovviamente
si offese e lo rispose dicendogli che è molto più facile criticare che fare.
Quindi Brunelleschi scolpì a sua volta un crocifisso e lo mostrò a
Donatello, il quale umilmente affermò: «a te è conceduto fare i Cristi, e a
me i contadini».
I due crocifissi sono in effetti molto diversi, sia nell’impostazione che
nell’interpretazione del soggetto.
Il Cristo donatelliano presenta caratteri gotici evidenti, come
l’andamento sinuoso del perizoma e l’eccessivo allungamento delle
membra; è costruito secondo un asse centrale, come se la figura fosse
eretta, e richiede un punto di vista frontale. Allo stesso tempo, tuttavia,
il suo naturalismo è senza precedenti, soprattutto nel volto,
rappresentato nel momento dell’agonia con gli occhi socchiusi e la bocca
semiaperta. È chiaro che Donatello si concentrò sulla sofferenza e
l’umanità del Cristo, assecondando il gusto dei committenti francescani.
Il Crocifisso brunelleschiano presenta invece un modellato dolcissimo e il
suo volto, reclinato senza stanchezza, mostra un’espressione priva di
pathos (sofferenza). Il corpo ruota verso la propria destra, consentendo
numerosi angoli visuali. L’altezza, che coincide con la larghezza delle
braccia, ne fa il primo mirabile esempio di homo ad quadratum
rinascimentale, costruito secondo i dettami vitruviani.

Il crocifisso di Santa Maria dei Servi a Padova


Sebbene la paternità di questi crocifissi non sia mai stata messa in
discussione, parte della critica ritiene infondato l’aneddoto vasariano
della disputa. Le due sculture in questione, infatti, non sembrano avere
la stessa datazione. Secondo altri studiosi, invece, Vasari riportò un
aneddoto vero ma confuse le opere da confrontare. Il “Cristo contadino”
di Donatello sarebbe un altro crocifisso, contemporaneo a quello
brunelleschiano, che solo di recente gli è stato attribuito. L’opera è
conservata nel Convento del Bosco ai Frati, presso Firenze. Il crudo
naturalismo del corpo smagrito e affilato di Gesù, il viso macilento dagli
occhi semichiusi che affondano nelle orbite incavate, le ciocche di capelli
a ciuffi scomposti ne fanno una delle più alte interpretazioni sul tema
della morte offerte dalla scultura del Quattrocento.

Il banchetto di Erode
Il banchetto di erode si trova nella fonte battesimale del battistero di
Siena. Si tratta di una formella in bronzo realizzata da Donatello nel
1427. Raffigura il drammatico episodio dell’uccisione del Battista,
ambientato in una domus romana, durante una festa di corte. Questa
formella è interpretata da Donatello con un'eccezionale capacità di
coinvolgimento emozionale.
A sinistra troviamo un servo che offre a Erode un vassoio con sopra la
testa mozzata del battista, l'uomo, nonostante ne avesse comandato la
decapitazione, è rappresentato con le mani avanti quasi in segno di
orrore a quella vista, così il tutto assume dei tratti drammatici e il
banchetto diventa un delitto. Soltanto il re erodiade si protende verso di
lui indicandolo, mentre gli altri componenti si ritraggono, mostrando così
tutti i vari effetti che il delitto ha causato sui presenti. A creare un senso
di profondità e prospettiva ci pensano il vuoto che si crea al centro della
stanza, la fuga prospettica dal pavimento e la disposizione degli oggetti
nella tavola, ma anche il succedersi degli archi nello sfondo sempre più
schiacciati.
Al di là degli archi si stanno svolgendo altre due scene, in una un
suonatore di viola intona la danza dei sette veli che salomè sta
ballando, e in un altra abbiamo di nuovo il servitore che mostra la testa
ad erodiade e a due ancelle. In questo modo Donatello attraverso la
lontananza nello spazio scandisce anche quella nel tempo, ovvero ciò
che è avvenuto prima. E viceversa vicino nello spazio e vicino nel tempo,
ovvero ciò che è avvenuto dopo. Questo è il ciclo narrativo medievale.

Il david marmoreo
A questa fase giovanile di Donatello appartiene un suo primo David,
scolpito in marmo tra il 1108 e il 1110 per l'Opera del Duomo fiorentina.
Era, questa, un'istituzione laica, fondata dalla Repubblica di Firenze e
costituita da amministratori, artisti e maestranze impegnati nel progetto
di costruzione della cattedrale.
La statua era destinata alla tribuna del coro, una struttura ottagonale
che si trovava attorno all'altare centrale e che fu poi smantellata nel XIX
secolo. La scultura è a grandezza naturale e raffigura l'eroe biblico
vittorioso con la testa del gigante Golia ai suoi piedi. Donatello mostra
di conoscere già la scultura romana: infatti si notano elementi ripresi dal
repertorio classico, come il busto massiccio del ragazzo che tende la sua
veste attillata, oppure la corona di amaranto che gli orna il capo.
Tuttavia, altri dettagli riconducono l'opera a un contesto ancora
tardogotico. Le membra sono incredibilmente lunghe, le mani
elegantissime; i drappeggi cadono lungo la schiena e poi davanti, a
coprire le gambe aperte; la posa è fiera ma principesca. E gotica,
soprattutto, la particolare incurvatura del corpo longilineo, sia pure
equilibrata dalla posizione aristocratica delle braccia.
Il David bronzeo
Trent'anni dopo, intorno al 1440, Cosimo dei Medici commissionò a
Donatello un secondo David in bronzo: una piccola scultura, alta poco
più di un metro e mezzo, oggi conosciuta anche come David bronzeo.
Inizialmente destinata a Palazzo Medici, la statua fu esposta per qualche
tempo in una sala della residenza medicea e in seguito nel cortile. Il più
antico documento che la menziona risale al 1469, e la ricorda proprio
nel cortile di casa Medici in occasione delle nozze di Lorenzo il Magnifico.
La scultura era collocata su una colonna di marmi policromi, oggi
purtroppo perduta, decorata con foglie e arpie da Desiderio da
Settignano e descritta anche dal
Vasari. Nel 1495, con la cacciata dei Medici da Firenze, il David fu
trasferito a Palazzo Vecchio, come simbolo della conquistata libertà
repubblicana. Tra Sei e Settecento passò da Palazzo Pitti agli Uffizi e da
qui, nella seconda metà del XIX secolo, trovò sede presso il Museo del
Bargello, assieme al David marmoreo dello stesso autore.
Un tempo, la scultura era in buona parte dorata e appariva molto più
brillante e preziosa di oggi. Ma dopo più di un secolo di esposizione alle
intemperie, quasi tutto il rivestimento in foglia d’oro è andato perso. Nel
2007-8, un intervento di restauro ha restituito parte della doratura
antica ma soprattutto ha recuperato l’originario timbro cromatico del
bronzo, caldo e lievemente argentato.

La Maddalena penitente
Tra il 1453 e il 1455, il celebre artista Donatello si dedicò alla creazione
della Maddalena per il Battistero di San Giovanni a Firenze. Quest’opera
è un esempio straordinario di naturalismo e rappresenta un’evoluzione
significativa rispetto al classicismo giovanile di Donatello.
Ciò che rende questa scultura particolarmente unica è il suo materiale: il
legno di pioppo bianco. Questa scelta rappresenta una sfida per l’artista,
poiché a differenza della pietra o del marmo, il legno non permette
sfumature morbide, ma Donatello lo utilizzò sapientemente per creare
drammatici contrasti.
La Maddalena si allontana dall’iconografia tradizionale, mostrandoci
una figura che incarna la penitenza attraverso il digiuno e l’astinenza.
Questa scelta rappresenta un’evidente rottura con la rappresentazione
usuale di una giovane e bella Maddalena, in quanto l’artista ha voluto
mostrare la donna consumata dagli anni e dalle penitenze, avvolta solo
dai suoi lunghi capelli. È un’immagine potente, che mescola bellezza ed
espressività in un’unica creazione scultorea.
Maddalena penitente è in piedi su di una roccia. La donna è scalza e
indossa una pelle allacciata in vita che le ricopre il corpo fino alle
ginocchia. Le braccia sono aderenti al corpo e le mani giunte. I lunghi
capelli sono scomposti. Ricadono sulle spalle e in avanti sul busto. Il
volto è scheletrito e l’espressione addolorata e contrita.
Maddalena penitente è una scultura in legno di pioppo bianco. Il legno di
questo albero è molto duro. Difficilmente, infatti, è possibile ottenere
volumi morbidi e sfumati. La scultura in legno fu molto utilizzata nel
Medioevo. Nel Rinascimento, invece, fu abbandonata a favore della
scultura in marmo. Donatello scelse di ricorrere a tale tecnica per
rappresentare una Maddalena penitente, mortificata nel fisico e nello
spirito.

Michelozzo
Allievo di Ghiberti, nonché amico e collaboratore di Donatello,
Michelozzo (1396-1472) si era accreditato come uno dei più prolifici
professionisti fiorentini del Quattrocento.
Michelozzo fu l’architetto “dei signori”, colui che fu in grado d’interpretare
appieno la volontà di modernizzazione (in senso classicistico) espressa
dalle numerose committenze delle famiglie mercantili fiorentine.
L’opera michelozziana seppe incarnare l’ideale toscano che univa
semplicità ed eleganza, maestà e ordine, materiali comuni e nitore
formale.

Palazzo Medici
Michelozzo propose a Cosimo di edificare il palazzo in Via Larga e di
adottare un tipico rivestimento murario della tradizione fiorentina, che
nel Medioevo veniva normalmente usato per i palazzi pubblici, sedi dei
governi cittadini. Si trattava del bugnato, dove conci di pietra sono
lavorati in modo da creare una superficie convessa e sporgente (la
cosiddetta bugna). Cosimo ne fu assai soddisfatto.
Prima di essere sottoposto a ingrandimenti e ristrutturazioni, il palazzo
michelozziano appariva come un sobrio ma imponente cubo di pietra,
alleggerito da una loggia d’angolo e sviluppato attorno a un cortile
centrale. La facciata principale, divisa in tre piani separati da cornici
marcapiano, era scandita da dieci finestre bifore a tutto sesto ed era
larga quasi come il prospetto laterale, che presenta ancora oggi nove
campate. Le alte finestrelle che corrono al piano terra conferiscono al
palazzo un tono feudale, da castello trecentesco.
Michelozzo non rinnegò la tradizione costruttiva fiorentina ma riuscì ad
aggiornarla. Scelse, infatti, di graduare l’aggetto del bugnato,
lasciandolo sporgente al piano terra, appiattendolo al primo piano e
lisciandolo al secondo; così facendo, non solo mitigò il richiamo alla
caratteristica casa-fortezza medievale ma evocò la sovrapposizione
degli ordini romana.
Negli edifici di grande prestigio, come il Colosseo, gli antichi Romani
usavano gli ordini architettonici, ossia dorico, ionico e corinzio,
sovrapponendoli dal basso verso l’alto, dal più massiccio al più
leggiadro, per conferire un senso di progressivo alleggerimento della
struttura. Il bugnato di Michelozzo, agli occhi degli uomini di cultura,
certamente apparì per quello che era, ossia come una citazione non
esplicita.
Fu invece Leon Battista Alberti (1404-1472), con Palazzo Rucellai, il
primo, e l’unico a Firenze, ad adottare esplicitamente, e più
coraggiosamente, l’ordine architettonico classico per la facciata di un
edificio gentilizio privato moderno.
Il cortile di Palazzo Medici fu subito apprezzato per la sua eleganza e la
sua armonia. È circondato da un portico con colonne composite,
concluso da un alto fregio decorato con festoni ad affresco e medaglioni
che contengono lo stemma dei Medici e varie scene mitologiche
(attribuite a Bertoldo di Giovanni). Il secondo ordine è a parete piena,
aperta da bifore collocate in asse con gli archi sottostanti; l’ultimo piano
è composto da una loggetta trabeata.

Alberti
Nasce a Genova nel 1404 e muore nel 1472, di origine fiorentina, è uno
dei principali protagonisti del Rinascimento italiano.
• Si può definire un artista universale
◦Studia lettere a Venezia e Padova
◦Greco e diritto canonico a Bologna
◦1421 intraprende carriera ecclesiastica
◦Nel corso del soggiorno fiorentino (1434-1442) scrive trattato “Sulla
pittura”
◦Tornato a Roma (1447) studia e misura monumenti antichi e aspetti
topografici della città; scrive
“Descrizione della città di Roma” e “Sull’edilizia”, trattato in cui Alberti
grazie al suo studio dell’antico e alla sua capacità di rivisitarlo in chiave
moderna Alberti fornisce principi teorici all’operare artistico elevando
così sfera dell’arte dall’artigianale all’intellettuale; in questo scritto
teorizza anche principi della venustas, la bellezza, e la concititas,
armonia delle parti con il tutto.
◦Dopo il 1450 si dedica all’architettura

Tempio Malatestiano a Rimini


Tempio Malatestiano a Rimini
Primo intervento architettonico: trasforma chiesa medievale di San
Francesco a Rimini sotto commissione del signore Sigismondo Pandolfo
Malatesta. I lavori partono nel 1447 e mirano a trasformare la chiesa in
un mausoleo per il committente, l’amante e i cortigiani.
• Facciata è scandita da 4 semicolonne scanalate, appoggiate su un
basamento.
• Al centro vi è il portale centrale
• Tra le colonne ci sono 2 archi ciechi (sovrapposti a
una parete piena) che dovevano ospitare i sarcofagi di Sigismondo e
dell’amante
• Fianchi ritmati da aperture a tutto sesto
• Edificio rivestito in pietra d’Istria
• Lavoro di Alberti rimasto incompleto: parte superiore facciata sarebbe
dovuta essere sormontata da
un grande arco contenente una trifora (finestra con 3 aperture) e sopra il
presbiterio ci sarebbe dovuta essere una tribuna cupolata

Palazzo Rucellai
PALAZZO RUCELLAI (Firenze, 1452)
Viene richiesto ad Alberti la modifica della facciata di una struttura già
esistente; il progetto è incompleto poiché, probabilmente, la famiglia
che richiese la modifica non riuscì a comprarsi il resto del palazzo.
Alberti prende ispirazione probabilmente dal Colosseo, la
sovrapposizione degli ordini che utilizza è caratteristica dell’architettura
romana; sono presenti sette campate (distanza tra paraste) uguali, ad
eccezione di quelle agli ingressi; il cornicione protegge la facciata che ha
un ritmo regolare: al pian terreno si hanno lesene con capitello tuscanico
che reggono una trabeazione a fregio continuo sulla quale si impostano
le lesene del primo piano coronate da capitelli ionici a volute ricurve
verso l’alto dove si poggia la trabeazione elaborata che fa da imposta
alle ultime lesene con capitelli corinzi; la restante superficie muraria è
fatta da un bugnato estremamente smaterializzato e ridotto ad un
semplice disegno che conferisce alla facciata un rigore geometrico; il
basamento è ornato dalla “panca di via” in pietra, tipica dell’architettura
civile fiorentina, il cui schienale imita l’opus reticulatum.

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Palazzo Rucellai a Firenze


Nel 1446 avvia lavori al palazzo urbano di Giovanni Rucellai È un
parallelepipedo a 3 piani concluso con un cornicione aggettante.
L’edificio si apre sulla strada con 2 ingressi ed è scandito da 8 campane
da lesene in ordine architettonico.
Il primo piano è scandite da finestrelle quadrate mentre il primo e il
secondo piano sono scandite da finestre bifore sormontate da archi a
tutto sesto

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