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Diapress/Documenti

HOMO EDENS
OEDENS
REGIMI,MITIE PRATICHEDELL'ALIMENTAZIONE
NELLA CIVILTÀDEL MEDITERRANEO

a cura di
Oddone Longo e Paolo Scarpi

Diapress/Documenti
Questo volume raccoglie i contributi
del Congresso "Homo Edens" realizzato dalla
Fiera di Verona il 13-14-15 aprile 1987

© Ente Autonomo Fiere di Verona


© Diapress/Documenti
Diapress Sri, via Madre Cabrini 9
·Prima edizione novembre 1989
SOMMARIO

11 Presentazione
di Giuseppe Riccardo Ceni

13 Prefazione
di Oddone Longo e Paolo Scarpi

17 Prologo
di Carlo Tullio-Altan

23 Prima Sessione
cmo, CULTURA, SOCIETÀ
Presiede: Giuseppe Nenci
\
25!
_} PRATICHE ALIMENTARI E FORME DI DEFINIZIONE E DISTINZIONE SOCIALE NELLA ,<
GRECIA ARCAICA
di Giuseppe Nenci
Suola Normale Superiore - Pisa

31 DETERMINAZIONEALIMENTAREE RIDETBllMINAZIONELINGUISTICA
di t Giorgio Raimondo Cardona
Università di Roma - «La Sapienza»

39 DEL FRITTO E D'ALTRO


di Maurizio Bettini
Università di Siena

45 IL FRITTO NEL MONDO GRECO


di Giuseppe Pucci
Università di Siena

--5
49 IL «MILIC COMPLEX» FRA I BANTU ORIENTALI
di Piero Matthey
Università di Torino

.,~ LA RIVOLUZIONE DEI CEREALI E DEL VINO: DEMETER, OIONYSOS, ATHENA ;(


di Paolo Scarpi I -
Università di Padova

67 COLTIVAZIONE E NUTRIZIONE NEL MEDIO Evo MEDITERRANEO


di Franca Sinatti D'Amico
Università Cattolica
"Lotario 825" Centro Lombardo di Studi per la Storia dell'Istruzione e
della Scuola - Milano

73 Seconda Sessione
LE FILOSOFm DEL cmo
Presiede: Carlo Tullio-Altan
e
\
75 IL CIBO E IL CORPO NELLA DIATRIBA E NELLA SATIRA
di Adriano Pennacini
Università di Torino

81 CIBO E FORME DI SUSSISTENZA IN PLATONE, ARISTOTELE E DICEARCO


di Giuseppe Cambiano e Luciana Repici
Università di Torino

91 LE PROTEINE SIMBOLICHE: L'uso ALIMENTARE E POLmco DEL MAIALE NELLA


SOCIETÀ NIAS
di Pietro Scarduelli
Università di Torino

97 L'ALIMENTAZIONE NEL LINGUAGGIO DI PLATONE: IL "SIMPOSIO"


di Gianfrancesco Turano
"Lotario 825" Centro Lombardo di Studi per la Storia dell'Istruzione e
della Scuola - Milano

103 I SOGNI DELLA FAME DAL MITO ALL'UTOPIA GASTRONOMICA


di Lucio Berte/li
Università di Torino

115 Terza Sessione


PER UNA GEOGRAFIA ALIMENTARE
Presiede: Bernfried Schlerath

117 CIBO DEGLI DEI E CIBO DEGLI UOMINI NELLA TRADIZIONE VEDICA
di Bernf ried Schlerath
Libera Università di Berlino

6-----------------------------
123 ,' QUESTIONI DI GUSTO NELLE LINGUE: NOTE PRELIMINARI
'-....,/
// di Franco Crevatin
v Università di Trieste

131 LA PRODUZIONE DEL GRANO NEL BACINO DELLA VALLE DELL'Hn.mRA MERIDIO-
NALE NELL' ANTICIDTÀ
di Giuseppe Castellana
Museo Archeologico Regionale di Agrigento

141 DAI wANANDB AGU ANTROPOLOGI: cmo, ESSERE E ANTROPOFAGIA


di Francesco Remotti
Università di Torino

G CJBoDBOLI DBI E cmo DBOLI UOMINI: "MAGMENTUM" E "MACTARE",


ADULTUS" E "ADOLESCO-ADULBSCBNS"
di Aldo L. Prosdocimi
"ADOLERE-

Università di Padova

:~ TABÙ ALIMBNTARI E FUNZIONE ONIRICA IN GRECIA


<~j di Giulio Guidoriui
Università di Milano

177 Quarta Sessione


MERCATO, SCAMBIO, APPROVVIGIONAMENTO
Presiede: Giorgio Savio

179 I PRODOTTI ALIMBNTARI COME MERCI DI USO E DI SCAMBIO


di Giorgio Savio
Università di Parma

193 DIETA E GESTIONE DELLE RISORSE ALIMBNTARI IN ETÀ MICENEA


di Pia De Fidio
Università di Salerno

205 IL PANE QUOTIDIANO DELLE CITTÀ ANTICHE FRA ECONOMIA E ANTROPOLOGIA


di Carmine Ampolo
Università di Perugia

213 ALIMENTAZIONE URBANA E ALIMENTAZIONE CONTADINA NELL' ATENE CLASSICA


di Luigi Gallo
Scuola Normale Superiore - Pisa

231 IL DIGIUNO: MITI E REALTÀ NELLA CIVILTÀ CONTEMPORANEA


di Beatrice Bauer
Centro Studi del Comportamento - Verona

-----------------------------7
\
235 IL VENTRE DEL PARASSITA: IDENTITÀ, SPAZIO E TEMPO DISCONTINUO
...___,'di Elisa A veuù
Università di Padova

241 Quinta Sessione


LE DIETE
Presiede: Dario Sabbatucci

243 DIETA CARNEA E VEGETAllIANESIMO


di Dario Sabbatucci
Università di Roma - "La Sapienza.,

245 LE MODIFICAZIONI DELLA DIETA NEGU ULTIMI SECOLI.


PossmDJIMPUCAZIONI IN PATOLOGIA UMANA
di Ottavio Bosel/o e Tiziana Todesco
Università di Verona

251\ ALIMENTAZIONE E SALUTE SECONDO I MEDICI DEL MONDO ANTICO: TEORIA E


- .....
) R.EALTA
di Innocenzo Mazzini
Università di Macerata

265 INDAGINI P ALEONUTR.IZIONALI SU SERIE SCHELETRJCBE ANTICHE DEL BACINO


DEL MEDITERRANEO: UN TENTATIVO DI INTERPRETAZIONE
di Gino Fornaciari
Università di Pisa

275 MODEW ODONTOMORFOLOOICI:UN TENTATIVO DI INDAGINE NUTRIZIONALE DALLO


STATO DEI DENTI DI GRUPPI UMANI ANTICHI
di Francesco Ma/legni
Università di Pisa

285 LEGUMINOSE E STRUTTURE NUTRIZIONALI MEDITERRANEE


di Giovanni Ballarini
Università di Parma
295 CODICI ALIMENTARI, ROVESCIAMENTO, REGRESSIONE.
GNATONE NEL ROMANZO DI LoNOO SoFISTA
di Oddone Longo
Università di Padova

299 Sesta Sessione


IL CONVITO
Presiede: Mario Torelli
301 BANCHETTO E SIMPOSIO NELL'ITALIA ARCAICA: QUALCHE NOTA
di Mario Torelli
Università di Perugia

8------------------------------
311 PRATICHE DI COMMENSALITÀ E FOllME DI ORGANIZZAZIONE SOCIALE NEL MONDO
GRECO: "SYMPOSION" E "SYSSITIA".
di Mario Lombardo
Scuola Normale Superiore - Pisa

METAFORE PLAUTINE
di Gioachino Chiarini
Università di Venezia

IL CIBO DEL POTERE: Il. MITO DEI PELOPIDI E Il. "TIESTE" DI SENECA
di Giancarlo Mazzo/i
Università di Pavia

TOPI E PARASSITI, LA TllADIZIONE DI MANGIARE Il. CIBO ALTRUI


di Gianni Guaste/la
Università di Venezia

--9
HOMO EDENS
COLLOQUIO INTERUNIVERSITARIO

Presidente
Carlo Tullio Altan

Comitato scientifico
Maurizio Bettini - Università di Siena
Luigi Gallo - Scuola Normale Superiore di Pisa
Oddone Longo - Università di Padova
Adriano Pennacini - Università di Torino
Aldo L. Prosdocimi - Università di Padova
Francesco Remotti - Università di Torino
Paolo Scarpi - Università di Padova
Presentazione

Non c'è l'Homo Sapiens da una parte e l'Homo Edens dall'altra. Né


gli sta dinnanzi, opposto e contrapposto. Poiché da sempre, giorno dopo
giorno, milioni di uomini esercitano la ragione ripetendo il gesto del cibo,
dedicando tempo alla sua preparazione e al rito del suo consumo. In que-
sto gesto quotidiano si è depositata, stratificandosi, la saggezza e la sapien-
za, l'azzardo e la cultura dell'uomo.
Homo Edens è nato dalla legittima curiosità di chi, occupandosi di
Socrate e delle piramidi d'Egitto, dell'alfabeto etrusco e dei fellah ha infi-
ne avvertito l'esigenza di non limitarsi a sapere tutto del loro pensiero
ignorando pressoché tutto dei loro costumi alimentari. Ma ancor di più,
il colloquio "Homo Edens" è nato dalla necessità di recuperare questo
immenso patrimonio che è la gastronomia dei progenitori e l'humus cultu-
rale da cui essa ha tratto le mosse.
Questo colloquio interuniversitario lo ha fortemente voluto la Fiera
di Verona, che da 90 anni opera nel comparto agroalimentare. Essa è con-
sapevole che non si danno sfide alimentari nel 2000 ignorando tutto quello
che vi è stato fino a oggi ed eludendo la domanda sul perché degli attuali
regimi e pratiche alimentari. Dopo tutto, il cibo degli antichi, dei nostri
padri, è anche il cibo che ci ha generato. È cioè il nostro cibo. La natura
attorno al Mediterraneo non è cambiata troppo e, se lo vogliamo, possia-
mo trovare una straordinaria continuità tra il passato e il presente.
Questo libro concentra per lo più la propria indagine in quell'epoca
dell'uomo in cui la preoccupazione e il lavoro per procurare il cibo erano
larga parte dell'attività quotidiana. È per meglio conquistarselo e garantir-
selo che l'uomo ha costruito la sua capanna oppure ha compiuto trasmi-
grazioni, ha risalito fiumi, girato montagne e si è associato agli altri uomi-
ni. Qualcuno sostiene che per comprendere il passato dell'uomo e la sua
evoluzione occorre prestare ascolto, più che agli utensili e al comporta-
mento culturale, allo stomaco. Se tale provocazione contiene certamente
una iperbole, contiene anche una verità. Non esiste infatti da una parte

--------------------------- Il
HOMO EDENS------------------------

la cultura, la società, la religionee dall'altra l'alimentazione e il cibo. L'uomo


è un tutt'uno e non accetta d'essere scomposto in tante camere stagne.
Ripercorrere i regimi e le pratiche del cibo significa allora incontrare
il problema della salute e della medicina, il problema dell'organizzazione
sociale e politica, il problema del significato della vita. Accogliere le testi-
monianze del passato comporta una ricchezza in più per non ridurre a
banalità i nostri regimi e le nostre pratiche alimentari. Comporta infine
la consapevolezza che il dedicarsi alla commercializzazione dei prodotti
alimentari e favorirne l'interscambio significa partecipare anche a un avve-
nimento culturale che ha bisogno d'essere compreso e seguito. Perché, in
quest'epoca della comunicazione, la cultura è l'anima del commercio.

Giuseppe Riccardo Ceni


(Presidente Fiere di Verona)

12 ---------------------------
Prefazione

di Oddone Longo e Paolo Scarpi

L'idea di questo Colloquio nacque durante un banchetto, e non poteva esse-


re altrimenti. Forse perché l'occasione favoriva le riflessioni sulle abitudini
alimentari; forse perché da tempo il mondo moderno va interrogandosi sulle
proprie scelte alimentari e sente sempre più l'esigenza di confrontarsi con il
proprio passato e con il "diverso", quella primitiva idea cominciò a germi-
nare e coagulò rapidamente attorno a sé l'interesse di numerosi studiosi.
Se poi il Colloquio si è svolto a Verona, presso lo splendido Centro
Congressi dell'E.A. Fiere, non fu opera del caso. Fummo condotti a Verona
e all'E.A. Fiere dalla riflessione che questa città, in quanto centro tradizio-
nale per l'economia alimentare dell'Italia settentrionale e raccordo per la
produzione agro-alimentare dell'Italia centro-meridionale, sarebbe stata la
sede più opportuna e significativa per realizzare il progetto che si andava ac-
carezzando. L'ambizione era di mettere a confronto molti e diversi settori
del sapere umano, attorno al tavolo imbandito dell'uomo che mangia,l'ho-
mo edens, che pure evocava i nobili precedenti dell'Homo ludensdi Huizin-
ga e dell'Homo necansdi Burkert.
Affrontando la realizzazione di questo progetto si aveva l'impressione
che le forme dell'alimentazione e i suoi significati culturali nella storia del
Mediterraneo potessero rappresentare un punto di felice incontro per disci-
pline tradizionalmente lontane tra loro. Senza ambire a una unificazione del
"sapere", peraltro sempre auspicabile, eravamo e siamo tuttora dell'avviso
che le discipline "umanistiche", o, se si preferisce, le "scienze dell'uomo",
non possano venire radicalmente separate dalle discipline cosiddette "scien-
tifiche" o, forse meglio, dalle "scienze della natura". Le une e le altre, d'al-
tronde, applicano metodologie che seguono comunque un processo logico
nell'analisi dei loro specifici oggetti. E all'interno di questi il termine ultimo
di riferimento è pur sempre l'uomo.
In questa prospettiva si nutriva la convinzione, confermata poi dagli
esiti del Colloquio, che le conclusioni e le generalizzazioni a cui potevano
giungere le discipline "scientifiche" dovessero interessare anche le "nostre"

--------------------------- 13
HOMO EDENS------------------------

discipline umanistiche e che del pari i presupposti da cui queste ultime muo-
vevano intersecassero inevitabilmente il campo d'indagine delle prime.
Il nostro itinerario ci doveva dunque condurre attraverso i territori geo-
grafici, storici e culturali dell'uomo mediterraneo, che per la propria sussi-
stenza ha sfruttato e reso produttiva la natura e che su tali basi ha contempo-
raneamente costruito i propri sistemi di idee. Se l'alimentazione è uno dei bi-
sogni primari in grado di condizionare l'esistenza dell'uomo, nella civiltà
umana essa ha anche rappresentato un sistema simbolico attraverso il quale
sono stati espressi, e si esprimono ancora oggi, aspetti e situazioni sociali,
culturali, nonché le forme stesse di un'identità storico-culturale. Cosi l'an-
tropologia e la storia dell'alimentazione, le abitudini dietetiche e le loro con-
seguenze, le forme di produzione degli alimenti e il ruolo di merce assunto
da questi ultimi nel corso del tempo, si sono intersecati tutti in questo pro-
getto, che aveva nel Mediterraneo lo spazio geografico privilegiato.
Ma il Mediterraneo, con le sue grandi civiltà, non ha rappresentato, e
non doveva, un confine invalicabile, giacché sono state previste e realizzate
incursioni nel mondo religioso dell'antica India come in quello di culture
preletterarie dell'Africa centrale. E attraverso le forme dell'analisi compara-
tiva -eantropologica, implicate da tali sconfinamenti, ci proponevano aper-
ture sul "diverso", che permettessero una più articolata comprensione dello
specifico "mediterraneo".
Senza dubbio quella che abbiamo voluto chiamare "civiltà del Mediter-
raneo" si è andata costituendo a partire da quel crogiuolo di fermenti cultu-
rali che, preso avvio nell'antica Grecia, si sono intersecati con altri influssi
provenienti dal Mediterraneo orientale e meridionale, sono passati attraver-
so il filtro di Roma e alla fine hanno dato origine alla moderna civiltà occi-
dentale.
Nel corso del nostro viaggio lungo i regimi, i miti e le pratiche dell'ali-
mentazione, doveva essere quindi inevitabile attardarci all'interno del mon-
do antico, greco e romano, che appare attraversato da una tendenza alimen-
tare costante nel tempo, fondata su di un numero limitato di prodotti ali-
mentari di base: cereali, olio d'oliva, vino. È la "triade mediterranea", che
oggi sembra conoscere una rinnovata e meritata fama.
Di fronte a questa realtà fu quasi automatico renderci conto che attorno
a questi prodotti dovevano ruotare circuiti di idee, dai quali ci sembrava ve-
nissero affermati un'identità culturale e un grado di civiltà. E in generale si
.aveva l'impressione che la qualità del cibo come le scelte alimentari potesse-
ro contribuire alla costituzione di gerarchie sociali, sino a configurarsi come
status symbol. In altri termini, se il cibo è un bisogno primario dell'uomo, le
scelte alimentari potevano essere un fatto di cultura.
Sulla base di queste premesse ci si proponeva quindi di conseguire una
visione d'insieme che permettesse di descrivere nel modo più ampio possibile
la "civiltà mediterranea". E in questa prospettiva sarebbe stato inevitabile
aggredire anche temi di scottante attualità.

14 ---------------------------
------------------ ODOONE LONGO E PAOLO SCARPI

Nel corso dell'elaborazione progettuale del Colloquio, infatti, si andava


delineando davanti a noi la possibilità, sul piano di una coscienza diffusa ma
anche da un punto di vista culturale, di contribuire a sviluppare nell'uomo
moderno una maggiore attenzione verso le scelte alimentari e contempora-
neamente di renderlo cosciente del loro radicarsi nel passato. Del pari ci
sembrava di poter stimolare e favorire l'acquisizione di una consapevolezza
·nei confronti della "specificità" e "diversità" culturali, sottese alle varie
tradizioni alimentari diffuse nel mondo. Una presa di coscienza, questa, che
forse avrebbe potuto stimolare un maggiore rispetto per quelle stesse tradi-
zioni, di contro alle oggi prevalenti e nefaste tendenze di "colonialismo" ali-
mentare, favorite spesso anche da specifico difetto di conoscenza e informa-
zione.
Non spetta ora a noi dire se sono stati conseguiti i risultati a cui ci pro-
ponevamo di approdare nel corso della progettazione del Colloquio e di cui
questi Atti sono una testimonianza: ad altri "l'ardua sentenza".
Ma prima di congedarci dobbiamo ricordare l'impulso dato al Collo-
quio da Carlo Tullio-Altan, che ne fu il presidente, e l'opera attenta e signi-
ficativa del Comitato scientifico, che propose i relatori e decise l'organi-
gramma delle sessioni, che qui riproduciamo. Ringraziamo l'E.A. Fiere di
Verona, e in particolare il suo presidente, il suo vicepresidente e il suo segre-
tario generale, che hanno reso possibile prima il Colloquio, che è stato sen-
z'altro più di un Colloquio, fornendoci i mezzi e il personale indispensabile
alla sµa realizz.azione,e ora questi Atti.
Un ringraziamento va al ministero per l'Agricoltura e le Foreste, che ha
concesso il suo patrocinio. Un ringraziamento infine al ministero della Pub-
blica Istruzione, che con il patrocinio ha concesso anche l'esonero dal servi-
zio per i presidi e i docenti delle scuole secondarie, perché aveva ravvisato
nei lavori del Colloquio la possibilità di un aggiornamento scientifico e di-
dattico per tutto il corpo docente.
Alla fine, però, dobbiamo aggiungere anche una nota triste. Giorgio
Raimondo Cardona, a soli 45 anni, nell'estate del 1988, a un anno dalla rea-
ljzz.azionedel Colloquio, è scomparso, nel pieno del sùo vigore fisico e intel-
lettuale, lasciando in tutti un vuoto incolmabile.

- I.S
Prologo

di Carlo Tu/lio-Altan

Dell'uomo, per quanto fino ad oggi se ne conosce, si può dire, facendo uso
di una metafora, che esso sia l'unico animale che si trovi a vivere necessaria-
mente in una duplice dimensione. E infatti dai resti, che ci rimangono, del
suo lontano passato, che si misura ormai in milioni di anni, risulta che esso
sia stato da sempre - e cioè dal suo primo apparire sulla terra come uomo
- dotato tanto della capacità razionale di affrontare i problemi pratici della
sua difficile sopravvivenza, quanto di una specifica capacità creativa, che è
quella di elaborare immagini simboliche nelle quali esprime la sua sensibilità
estetica, cosi come la profondità delle sue intuizioni del mondo legate alle
varie forme del culto religioso e della magia. In termini di riflessione episte-
mologica, si può quindi affermare che esso sia stato da sempre fornito della
capacità logico-empirica di elaborare esperienze concrete, cosi come della
capacità di esprimersi attraverso figure dell'immaginario simbolico, grazie
alle quali egli trascende i limiti della sua individualità, per partecipare diret-
tamente e intimamente al mondo della natura e della società in cui vive. Così
che la sua vita è, al tempo stesso, pratica sociale di produzione di beni mate-
riali, così come celebrazione dei riti, e trasfigurazione e sublimazione simbo-
lica dei dati concreti dell'esperienza per tradurli in espressioni pure dell'arte
- nelle sue molteplici forme e maniere -, fruendo in tal modo tanto dei ri-
sultati del suo lavoro e delle sue fatiche, quanto del libero gioco delle imma-
gini, che sono fatte della stessa "sottile materia di cui sono fatti i sogni".
Ciò che attiene a una sfera, quella concreta degli oggetti, delle cose, può
rivivere in una tale esperienza, quella delle immagini e dei simboli, in una ve-
ste diversa da quella materiale. E così ciò che, per noi uomini moderni, dedi-
ti in prevalenza al ragionamento della scienza, appare quasi esclusivamente
come realtà naturale - una realtà determinata da leggi da scoprire con pro-
cedure logico-empiriche e logico-formali, e cioè scientifiche - può trasfigu-
rarsi, ed essere immediatamente vissuto e partecipato, attraverso l'immagine
infinitamente gratificante della divinità, sia essa maschile o femminile, inte-
sa come l'origine divina di tutte le cose naturali. Nella ,uai.çdei presocratici è

-17
HOMO EDENS-------------------------

implicato tanto l'uno quanto l'altro di questi aspetti, di queste due dimen-
sioni dell'esperienza, quella razionale e quella mitico simbolica. Le «hCcxL, in
cui essa si manifesta, sono al tempo stesso cause naturali, cosi come sono
mistiche forme generatrici di tutte le cose, che sono «piene di Dei», come
disse Eraclito. E il passaggio, che si ebbe in Grecia dal VI al IV secolo dal
1,L68oçal À6roç, dal mito al discorso razionale, rappresenta la vicenda dram-
matica di lacerazione di un'esperienza unitaria, lacerazione che si attuò allo-
ra per la prima volta e per sempre, nella civiltà occidentale, con la consape-
volezza di ciò che si era guadagnato e di ciò che si era perduto. L'u~pi.ç,l'of-
fesa impudente che gli uomini hanno così compiuto nei confronti della divi-
nità doveva necessariamente, e lo fu di fatto con durezza, venire espiata.
L'esperienza di ciò che noi ora chiamiamo l'irrazionale è nata a quel
punto, come il frutto di uno sguardo che si è negato alla totalità, e che può
scorgere quindi solo gli aspetti oggettivi, materiali o positivi del mondo, ri-
muovendo, come peccaminoso, il simbolico, l'affascinante, il tremendo,
sprofondandolo nell'inconscio collettivo, dal quale tende a emergere, spesso
nel segno vindice della follia.
Esiste una via per riscattarci, nonostante l'antica offesa, da una simile
condizione di separatezza dalla piena esperienza totalizzante, che ci restitui-
sca all'unità dell'essere? è pensabile - e soprattutto - esperibile un atto che
trasfiguri la "pura" - o forse "impura"? - oggettività naturale delle cose,
viste in quest'ottica dimidiata, per tradurle in realtà polisemiche, che non si
chiudano in loro stesse, ma rimandino ad altro da sé, in una vertigine di si-
gnificati?
Si pensi all'atto più primordiale della vita "naturale", all'atto sessuale,
che si arricchisce di significati poetici, sociali, religiosi, estetici e morali, che
sono la preziosa materia dei simboli e dei miti, quando dalla pura animalità,
attraverso l'immaginazione creativa, si sublima in un'esperienza che, senza
perdere nulla della sua originaria spontaneità naturale, ne fa una preziosa
opera della cultura.
Ora, se questo è possibile per l'amore come atto naturale, che cosa vi è
di più strettamente legato anch'esso alle origini della vita del cibo? del cibo
che noi metabolizziamo in energia di vita? Il cibo è natura, alimento del cor-
po assunto mediante i suoi organi e trasformato mediante i suoi enzimi, una
merce prodotta col lavoro, che si può vendere e comperare, e al tempo stesso
un'immagine simbolica al centro di una varietà di riti, celebrazioni, comu-
nioni.
Nell'esperienza umana, che continua a svolgersi in una simile ambiguità
- e non potrebbe essere altrimenti, senza di che l'uomo cesserebbe di essere
quello che è, e cioè una presenza capace di vivere in una duplice dimensione,
dell'oggettivo e dell'immaginario - esistono sfere deputate a restituire al-
l'uomo l'unità infranta dell'esperienza totale: l'arte, nella quale vivono di
vita vera le figure dell'immaginario, e la dimensione del "sacro" nelle sue
infinite e mutevoli rappresentazioni simboliche. E cosi il cibo, che nella di-

18 -
---------------------- CARLO TULLIO-ALTAN

mensione razionale, è inteso come oggetto e come merce, dimensione nella


quale giace come cosa morta, strappata alla terra o dal corpo e dalle viscere
di altri animali commestibili, può sublimarsi in una diversa esperienza che,
se non è esperienza di ciò che chiamiamo il "vero", è però un'esperienza
"vera" e potente, e può trasfigurarsi in forme dell'immaginario, come rap-
presentazione, come spettacolo d'arte, come banchetto, come rito, come
<ir«'JtTl,
fino a identificarsi con "il corpo e con il sangue di Dio".
Da questo i molti significati del cibo per l'uomo, oltre a quello specifi-
camente gastronomico, con le sue particolari delizie e le sue arti dotte, signi-
ficati che erano già presenti nei gruppi umani, quando l'uomo era ancora si-
mile a quel "bestione tutto sensi e fantasia", di cui parla Giambattista Vico.
L'elenco di tali significati, che investono praticamente ogni aspetto della vi-
ta, sarebbe troppo lungo e certamente tedioso. Ne ricordo solo alcuni, fra i
più affascinanti e al tempo stesso tremendi, come il consumo simbolico di
parti dei corpi degli anziani defunti della tribù, per conservare gelosamente,
e perpetuare nella stirpe, la loro saggezza antica e la loro forza generatrice e
guerriera, e renderli cosi immortali nella loro progenie, in un rito che è insie-
me pietoso ed esaltante; e così in altri casi il consumo delle carni dell'animale
totemico, quando ciò è ammesso dalle arcaiche norme tribali, per il fatto che
l'animale è vissuto autenticamente come la corposa immagine simbolica del-
la tribù, con la quale quegli uomini vengono, con quell'atto, totalmente ad
identificarsi, e confermano così, con questo rito fondamentale, la loro unità
sociale. Queste comunioni cariche di valenze simboliche prefigurano, in altri
e più affinati climi culturali, esperienze di unità mistica col divino raggiunte
attraverso riti tutti spirituali.
E cosi, nel campo delle società fondate sui lignaggi, il consumo in co-
mune di cibi pregiati, non solo per il gusto e la rarità, ma per i valori che
concretamente rappresentano sul piano del simbolico, stabilisce legami di al-
leanze fra le stirpi; oppure la gara feroce nell'offerta di cibi, che debbono es-
sere dagli altri lignaggi debitamente e in crescenti proporzioni restituiti, sta-
bilisce le gerarchie del potere all'interno della tribù, fra coloro che sono in
condizione di offrire di più, contro i soccombenti, che "perdono la faccia"
in questa gara di consumismo simbolico che è il rito del potlatch, delle tribù
del Pacifico. Dare, ricevere, restituire, una "prestazione totale", per usare
le parole di Marcel Mauss, che vincola a una obbligatoria restituzione il do-
natario al donatore dei beni simbolici, è una ferrea legge antica, la violazio-
ne della quale può essere mortale per il soccombente, così che l'alimento do-
nato, non debitamente restituito, può tramutarsi in veleno per l'inadempien-
te, così come puntualmente l'antica lingua germanica precisa con il termine
di Gift, che significa al tempo stesso dono e veleno. E nemmeno gli dei pos-
sono sfuggire al rischio, se non ricambiano con benefici il sacrificio del de-
voto sull'altare delle offerte.
Non è difficile rilevare anche nella moderna società dei consumi e nel-
l'antica civiltà contadina, nelle sue difficili sopravvivenze attuali, l'eco lon-

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HOMO EDENS-------------------------

tana di simili gare, nel rituale scambio natalizio dei doni nelle città, e negli
strepitosi banchetti nuziali delle campagne.
Come si vede lo spirito di queste pratiche antiche non si è perso del tutto
nella società moderna, cosi come non si è smarrita, anche se si è resa appa-
rentemente più povera, la dimensione, che è universale ed eterna per l'uomo,
del simbolico. Solo ha mutato di forme e di contenuti, nel riflettere i muta-
menti degli orizzonti culturali, sociali, politici ed economici, che hanno gra-
datamente, o precipitosamente, preso il posto di quelli più antichi, così come
la comunione cristiana, veicolo di un più diretto contatto con l'essenza del
sacro, ha preso il posto dell'atto di comunione magica con i resti mortali dei
defunti, per farli sopravvivere in noi.
Ma è soprattutto nella dimensione dell'arte che il senso più profondo
del cibo può essere recuperato nella società moderna - che ha la tendenza
ben nota di mercificare tutte le cose della vita, impoverendola grandemente
-, e la preparazione geniale delle pietanze offre a questo scopo un ottimo
terreno per lo sviluppo di un'espressione estetica specifica: la gastronomia,
l'arte della cucina, nelle sue forme più originali. E attraverso questa pratica
estetica il cibo prende le distanze da ciò che razionalmente chiamiamo la sua
materia naturale, data dalle proteine, dai grassi, dagli idrati di carbonio,
dalle vitamine, dagli zuccheri, dagli amidi ecc., elementi ben noti alle scien-
ze, e alla dietologia in particolare. Così come gli oli, le terre, le resine, le ani-
line e gli artificiali prodotti della chimica dei colori, si trasfigurano nell'ope-
ra d'arte pittorica nei toni, nelle vibrazioni delle luci, nello sfolgorio dei rit-
mi cromatici che costituiscono, nella loro armonia spesso contrastante, la
sua validazione estetica.
L'arte culinaria appare così una delle forme, nate con l'uomo che, in
forza della sua duplice ambigua natura di animale logico e di animale simbo-
lico, oltre che essere naturale, è un produttore di cose e di immagini.
In questo senso la grande gastronomia, così come la semplice ma origi-
nale produzione tradizionale di cibi preparati con sapienza antica, fanno
parte, come un ramo speciale, della storia dell'arte umana, nella sua varietà
e complessità. I suoi oggetti sono creazioni fruibili attraverso la vista, l'ol-
fatto ed il gusto, e cioè con i mezzi fisiologici dati all'uomo per esercitare la
sua capacità di predisporre e di "leggere", secondo codici particolari, le rea-
lizzazioni della gastronomia. La lista di cibi di una grande cucina è, in un
certo qual modo, analoga al catalogo di una galleria di opere d'arte, al pro-
gramma di un concerto o di una mostra di capolavori di ciò che convenzio-
nalmente si definisce l'arte in senso stretto, di creazione di forme e di imma-
gini.
Da tempo, attraverso queste strade, quelle della religione e dell'arte, gli
uomini ricostruiscono - nell'unità di un'esperienza di identificazione di sé
con le figure dell'immaginario - quella unità primordiale, l'«1te.Cpwv, l"'illi-
mitato», che l'u~p~çdegli uomini ha violato, con l'imperio esclusivo e muti-
lante della ragione concettuale, del À6yoç;tutte strade che riconducono il

20 ----------------------------
---------------------- CARLO TIJLLIO-ALTAN

"singolo" a Dio, se per Dio s'intende l'esperienza di dissoluzione dell'indi-


viduo nella totalità dell'essere " ... pagando cosi la riparazione dell'ingiusti-
zia reciprocamente, secondo l'ordine del tempo" (Anassimandro di Mileto,
frammento 12, 9 del Diels).

***
Le relazioni predisposte per questo convegno tengono conto della pluralità
di significati che il cibo può assumere e di fatto assume. Esso entra difatti
nella vita sociale in tutte le sue articolazioni, come conferimento di un senso
particolare ai suoi momenti cruciali. E per questo esso offre al ricercatore
uno strumento di analisi e di studio importante, di una tale complessità, che
ci permette di entrare meglio in certi suoi aspetti rilevanti. È cosi uno stru-
mento euristico efficace per conoscere e penetrare a fondo la trama del tes-
suto sociale. Il codice alimentare trasfigura, sul piano simbolico, le diverse
condizioni e gerarchie del potere; i momenti centrali delle interrelazioni
umane; si diversifica secondo i tempi e i luoghi, e il variare delle condizioni
di vita, legato spesso al nome e all'immagine di una divinità; risponde a esi-
genze dietetiche e farmacologiche variate. E per questo la materia del discor-
so è stata suddivisa dagli organizzatori del convegno in settori diversi: Cibo,
cultura e società; Filosofie del cibo; Geografia alimentare; Mercato, scam-
bio, approvvigionamento; le Diete; il Convito, raccogliendo in ognuna di ta-
li sezioni contributi originali e pertinenti, sul cibo nei suoi rapporti col corpo
che alimenta, sulla fame e sull'utopia gastronomica, sulle divinità associate
a cibi determinati, sulle figure umane tipiche della consumazione sfrenata e
parassitaria del cibo, sulle denotazioni e connotazioni linguistiche degli ali-
menti, sulla varia tipologia delle cotture dei cibi, sul linguaggio dei sensi che
ci danno il modo di gustarli, sul cibo come viatico di forze segrete e invisibi-
li, sui digiuni che preparano all'ascesi, sui cibi degli dei e degli uomini, sui
tabù alimentari, sulla produzione e commercio dei cibi nel mondo antico,
sulla varietà delle diete, sui codici di rovesciamento e di regressione. Da que-
sti sintetici accenni si può avere l'impressione, molto superficiale, ma tutta-
via indicativa, della varietà e dell'interesse degli argomenti trattati dagli spe-
cialisti delle diverse discipline, chiamate qui in causa nello studio di questo
centrale momento della vita degli uomini.
In conclusione, si può dire che questa iniziativa, nata in un clima convi-
viale, sviluppatasi nello studio e nella riflessione, espressa in un incontro e
scambio di idee e di informazioni che raramente ha avuto tanta varietà e am-
piezza, sia da considerare come assai felice e fruttuosa di molti stimoli di ri-
flessione, per comprenderci meglio, sia pure attraverso una via singolare e
insolita per gli studiosi della natura, ma ben nota ai letterati e ai filosofi,
quella del Convivio.

---------------------------- 21
PRIMA SESSIONE

CIBO, CULTURA,
SOCIETÀ
Presidente:
Giuseppe Nenci
PRATICHE ALIMENTARI
E FORME DI DEFINIZIONE
E DISTINZIONE SOCIALE
NELLA GRECIA ARCAICA

di Giuseppe Nenci

All'amico J.-P. Vernant


settuagenario

In quello che Myres I defini il primo modello di inchiesta antropologica, e cioè la


griglia usata da Erodoto (8, 144, 2) 2, per indicare un ethnos, accanto all'unità di
sangue, di lingua, di religione figurano gli ethea omotropa, i costumi analoghi, che
comprendono sia quelle che chiameremmo "tradizioni popolari", sia soprattutto
abitudini alimentari (diaita) e modo di vestire. E Tucidide (1, 5, 6) ricalcando Ero-
doto, precisa che sotto molti aspetti i Greci vivevano un tempo come allora i barbari
e usa, per il modo di vivere, l'espressione to diaitomenon; così come, per indicare
l'affermarsi progressivo di un vivere più raffinato, ricorre al termine to abrodiaiton
(l, 6, 3), che forse conia.
Questa estensione del termine diaita (letteralmente "proporzione") dalla sfera
alimentare più diretta, e cioè da quella della spartizione del cibo disponibile, a quella
del "modo di vita quotidiano", per indicare infine il carattere insieme descrittivo e
normativo della "dieta" vera e propria, basterebbe da solo a dire quanto l'alimenta-
zione nella sua centralità fosse nel mondo greco il cardine su cui ruotava il modus vi-
vendi. Un modus vivendi che per Erodoto è anche dato dagli indumenti indossati o
che si è in grado di indossare. Che poi il vestire sia meno importante del mangiare, si
potrebbe dedurre dal fatto che se per la sfera alimentare il greco ha coniato diaita,
per la sfera dell'abbigliamento non ha coniato un termine apposito plurisemantico.
L'abito non fa il monaco, l'alimentazione si. E ciò perché l'alimentazione fu
sempre vista come qualcosa di essenziale, destinato a trasformare gli uomini intus et
in cute. Si pensi a Senofane: nonostante sappia che gli uomini raffigurano gli dei co-
me se stessi (gli Etiopi camusi e neri, i Traci glauchi e rossicci) (fr. 18 Gentili-Prato)
e immagini che anche gli animali, se avessero le mani, farebbero altrettanto (fr. 19
Gentili-Prato), non dice mai che gli uomini li pensano simili nell'alimentazione, ma
solo nel vestire, nel corpo e nella voce (fr. 26 Gentili-Prato) 3•
E il fatto che il V secolo a.e., in cui si sviluppa l'antropologia greca già avviata
da Ecateo, sia anche quello che vede una grande fioritura di trattati sul regime ali-
mentare (Hipp., de regim. 1, 1), conferma il ruolo che l'alimentazione ha nell'oriz-
zonte culturale greco. Ma l'idea del cibo è anzitutto legata a quella della sua quanti-
tà rispetto al fabbisogno; né stupirà che ciò avvenga in una società sottoposta ai ri-
correnti flagelli della peste e della carestia (loimos e limos), da una stessa radice, di
cui già B. G. Niebuhr 4 lamentava la costante confusione nella tradizione manoscrit-
ta, una confusione che permetteva facili amfibolie oracolari s, ma alla quale sotto-
_____________________________ 25
HOMO EDENS---------------------------

stava una tragica connessione reale. Tanto che l'idea di siccità, causa primaria di ca-
restia, è legata a quella di povertà e sia auchmeros,che auos "secco", possono signi-
ficare "povero". E se, come è stato dimostrato 6, nell'indoeuropeo i termini connes-
si all'alimentazione si riallacciano a radici che indicano "dividere, misurare" e com-
portano la nozione di "porzione", ciò deriva dal fatto che nella società antica, e non
solo antica, l'idea di cibo è associata prima ancora che alla sua qualità, alla sua
quantità rispetto al fabbisogno. E Ateneo si sofferma a lungo (1, 20 c) sull'uso di ei-
sai per diaitai(pasti), apo tes isotetos, dall'uguaglianza (1, 21 e), un'eguaglianza che
si presuppone tale di fronte alla fame.
Per limitarmi alla Grecia arcaica, l'alimentazione è anzitutto (nel quadro del
mio discorso) un elemento che permette una distinzione a livello etnico, anche se
l'attenzione posta da un Ecateo e da un Erodoto alle abitudini alimentari altrui, non
è solo frutto dell'interesse etnografico, ma bisogno di prevedere il tipo di consumi
nei possibili mercati di esportazione, ben conoscendo i greci l'inutilità di portar vasi
a Samo. Di qui l'attenzione dedicata da Erodoto al problema dell'alimentazione;
dai Nasamoni, mangiatori di frutti di palma e locuste (4, 172; 4, 182), ai Lotofagi (4,
177), agli Etiopi trogloditi che si cibano di rettili (4, 183, 4), ai Gizanti, mangiatori
di scimmie (4, 194), ai Budini che si nutrivano di pinoli (4, 1091) agli Androfagi an-
tropofagi (4, 106).
E ancora si potrebbero citare alcune ingiurie, Schimpfwortero blasoni popolari
greci che prendono spunto dalla qualità dell'alimentazione prevalente. Ricorderò
solo i "porci" beoti, perché allevatori e consumatori di maiali (Pind., 0/., 6, 90) o i
Corinzi misuratori di chenici d'orzo (choinocometra1)per i loro schiavi (Athen., 6,
272 b), anche se l'offesa legata all'alimentazione è rara rispetto ad altre offese, a
conferma di una sostanziale omogeneità nelle consuetudini alimentari della Grecia
arcaica.
Ciò premesso, ci si può chiedere se anche a livello sociale, l'alimentazione per-
metta distinzione di gruppi e di classi. La risposta è affermativa.
Perché c'è intanto un livello primario, quello del sazio e dell'affamato. E se è
pur vero, con Dostoevskij, che neppure un affamato comprende un altro affamato,
resta pur certo che più difficile era e resta la comprensione fra il sazio e l'affamato.
Plenus venterfacile de ieiuniisdisputai, diceva S. Girolamo (Ep., 58, 2),tanto sensi-
bile ai problemi della povertà da affermare che la ricchezza è iniqua 7 •
Ora, proprio a questo livello nasce la convinzione che magro sia il povero, gras-
so il ricco; e se nel Plutos di Aristofane (vv. 557-561) Penie si vanta di rendere gli uo-
mini migliori nello spirito e nell'aspetto (smilzi, sottili come vespe - tanto è vecchia
l'immagine del vitino di vespa 8 -, terribili per i nemici) mentre con Plutos, la Ric-
chezza, gli uomini sono podagrosi, panciuti (gastrodeis,ma altrove askoi, otri) 9 ,
non c'è dubbio che questa antitesi di facile presa è passata a indicare la distinzione di
fondo fra classe abbiente e classe non abbiente. Né stupirà che a Penie si risponda in
Aristofane: «ma io, per Giove, voglio essere ricco per banchettare con i miei figli e
mia moglie e uscendo dal bagno, tutto lustro, far pernacchie agli artigiani (cheirote-
chna1)e alla povertà» (vv. 613-618). Anche se è bene chiarire che i greci distingueva-
no la condizione del lavoratore non abbiente, da quella che potremmo chiamare
"miseria"; anzi, proprio Penie (vv. 552-554) teorizza che altro è il ptochos, il "pi-
tocco" che nulla possiede, neppure un lavoro, e altro il penes il "lavoratore", la cui
unica risorsa sta nel lavoro, ma che risparmia e - almeno nella difesa che ne fa Pe-
nie -, se non ha nulla di superfluo, non manca del necessario. E qui forse dovrem-

26 -----------------------------
-------------------------- GIUSEPPE NENCI

mo smettere di rendere il greco penes con "povero"; se ponos è la fatica (brotesia


ergapenesthai, diceva Esiodo, Op., v. 773); penes è colui che non può vivere senza
dover lavorare, il "lavoratore", l'ergates,visto sotto il profilo della fatica e non del-
l'atto del lavorare, sia esso manovale (cheironax)o artigiano (cheirotechnes).
Nella Grecia arcaica è bene attestata del resto l'associazione di plutos, '' ricchez-
za", e pachytes, "grassezza" e, si noti, in due casi in cui la tradizione antica sottoli-
neava il carattere di vera e propria lotta di classe. Alludo alla Mileto del VI sec.
a.e. 10, che vide contrapposta la cheiromacha(la manovalanza) e la Plutis (la classe
ricca) e alla Sicilia che vide trattare diversamente da Gerone i pacheis, cioè i bene-
stanti, e i nullatenenti (aporo1)11• E a proposito di queste denominazioni spregiative
è bene notare che se da una parte, si indicano i "ricchi" come i "grassi", dall'altra
si disprezzano i lavoratori come coloro che non posseggono che le loro mani, cheiro-
nactes 12 e le usano per saziare il ventre.
Cosi per Erodoto, pacheis è d'uso corrente per indicare i benestanti a Nasso, in
Calcide, a Egina, a Megaradi Sicilia, fra gli Eubeesi di Sicilia in genere 13• Ma se l'u-
so dei soprannomi è una caratteristica costante di tutti i rapporti etnici e (aggiunge-
rei) sociali in cui prevalgono contatti categorici 14, ecco che nella cheiromacha,la ca-
tegoria che aveva come unica arma la propria mano e il proprio lavoro, negli apo-
cheirobiotoi(Hdt., 3, 42, 2) che vivono del lavoro manuale, nei cheironactes(Hdt.,
2, 141, 4), nei cheiroboskoi (Poli., 7, 7) nei cheirobioi, (Pap. Enteux., 82, 7) nei
cheirobanausoi(Poli., 7, 7) sono da vedere i lavoratori 'manuali' connotati spregia-
tivamente da chi non doveva lavorare.
Ovviamente per costoro il ventre da sfamare non poteva essere che l'esigenza
primaria, per cui essi sono tutti cheirogastores,«mani al servizio del ventre», quel
ventre al quale impreca il contadino stanco nelle Argonautiche di Apollonio Rodio
(1, vv. 1175-1176). E cheirogastores,«mani al servizio del ventre», (già in Ecateo,
fr. 382 Nenci), fu un termine cosi pregnante da dare il titolo, nel V sec. a.e., a una
commedia di Nicof onte. Superfluo aggiungere che queste denominazioni spregiative
furono assegnate ai lavoratori dai benestanti e che la Ionia d'Asia fu il terreno fertile
da cui nacquero e da cui si propagarono, quella Ionia che Callia Comico (CAF, I,
fr. 5) definiva trupherakai kallitrapezos,«gonfia di benessere e dalla bella tavola».
Ma qui è d'obbligo almeno un accenno ai «pastori solo ventre» della Teogonia
esiodea (v. 26). Se ha ragione Svenbro 15 a non vedervi affermata idealisticamente
una jaegeriana «sovranità dello spirito» e nel respingere l'interpretazione dualistica
che vi legge la prima divisione sociale del lavoro in 'intellettuale' e 'manuale', è pur
vero che non si può prescindere da una tradizione costante che vede il ventre legato
al lavoro della manovalanza e che sfocerà nel verso euripideo (Alexandros, fr. 35
Snell), chiara reminiscenza esiodea, che definisce volgare la razza dello schiavo, per-
ché «è solo ventre; ciò che viene dopo essa non vede». Infatti, se nel verso esiodeo in
questione, l'opposizione non è fra lavoro manuale e lavoro intellettuale, nondimeno
è presente l'antitesi fra chi deve lavorare per vivere e chi può permettersi di non la-
vorare.
Penso alla possibilità che i versi esiodei siano stati equivocati, sia vedendo nelle
Muse un atteggiamento offensivo verso i pastori, sia considerando che è l'insulto «a
situare l'intero discorso» 16• Viceversa, tutto il contesto dimostra che le Muse prova-
no semmai comprensione per i pastori (tanto che a uno di essi, Esiodo, fanno il do-
no del canto), una comprensione che si esprime soprattutto nel verso 26 della Teogo-
nia «pastori che avete dimora nei campi, voi che siete oggetto di vituperio, come so-

-27
HOMO EDENS---------------------------

lo ventre»; ma il vituperio, ripeto, non è delle Muse, ma di chi disprezza il lavoro


'manuale' perché placa il ventre (né a caso, il lessico di frequenza esiodeo, dopo
theos e anthrophos, vede al terzo posto la mano, cheir).
E se poi vogliamo restare nell'ambito delle metafore del ventre, ricordiamo che
esse presentano da una parte il ventre come l'esigenza quotidiana che non sente ra-
gioni: «AI ventre non si può rispondere a parole» suona un proverbio greco (Apost.,
IO, 73•) e spiegava Catone «È difficile parlare al ventre, perché non ha orecchi» (fr.
97 Jordan). E analogamente in Pindaro, cosi vicino ancora al mondo esiodeo, leg-
giamo (lsthm., l, 49) r«crtpt Si 1t«ç..~ «IJ.UY<,)\I «l«vij u't«-.«L: «ma ognuno è inten-
ÀL!J.Òv
to a fugare la molesta fame del ventre» (traduz. L. Cerrato).
D'altra parte il ventre, quello del benestante s'intende, è il simbolo dell'inope-
rosità: diceva Epimenide dei ricchi commercianti cretesi (fr. B I Diels-Kranz): «Cre-
tesi sempre bugiardi, brutte bestie, ventri inoperosi» (gasteres arga1)e l'argia noto-
riamente è indice di benessere.
La storia dei topoi mano-ventre magro-manovale da una parte, e lavoro non
manuale-ventre grasso-ricco dall'altra, da sola può documentare i rapporti all'inter-
no della società greca. Del resto, già Solone cercava il consenso sociale predicando
la fittizia uguaglianza (parimenti ricchi, parimenti poveri, fr. 19 Gentili-Prato) fra i
possidenti dal molto oro, argento, terreni produttivi, cavalli e muli e quanti devono
identificare invece il piacere con quanto può dare la tavola, il canto, la danza e il ses-
so (fr. 18 Gentili-Prato). E nelle fraintese metafore soloniane (ventre, polmoni, pie-
di), che penso stiano per "piacere della mensa", del "canto" e della "danza", man-
ca ovviamente la 'mano', strumento di lavoro, non di piacere. Ma può dirla lunga la
storia dell'alimentazione, a condizione che non la si consideri soltanto come vie
quotidienne o histoire marginale.
Vi sono poi due altre più sottili distinzioni sociali che nascono nella sfera ali-
mentare e sono quelle fra la qualità del cibo del ricco e la qualità del cibo del povero
e fra il modo di consumare il cibo, caratteristico dell'uno o dell'altro. Partirò da
questa seconda antitesi.
Ho altrove sostenuto che la tryphe 17, la "raffinatezza" - che è un topos ben
noto con cui si indicavano sia complessi fenomeni di innalzamento generale del livel-
lo di vita singolo o collettivo, sia le cause di decadenza sotto i colpi dell' hybris perso-
nale o di genti più rudi-, indica un insieme di forme raffinate di vita che compren-
dono l'abbigliamento, i monili, l'abitazione, la cura del corpo e sempre l'alimenta-
zione.
Orbene, questo concetto chiave del pensiero sociologico e antropologico greco,
prese le mosse proprio dalla sfera alimentare, con un processo analogo a quello che
ho indicato per diaita. Thrypto 18, donde tryphe, indica lo "spezzettare" e tryphos è
il "pezzetto", il "bocconcino" (thrymma, il frammento). Di qui il tryphon, che è
colui che spezzetta il cibo e lo spezzetta perché il suo è un cibo raffinato ed è un cibo
che può degustare senza fretta, senza fame.
E se vi fossero dubbi su questa mia interpretazione del concetto originario di
tryphe, nato in area ionica, ma presto diffusosi sul continente, potrei citare Esiodo
che nelle Opere e i Giorni, al v. 452, allorché vuole indicare il tipo di lavoratore
adatto per l'agricoltura, indica come ideale un uomo sui 40 anni «che mangia un pa-
ne spezzato in quattro in otto bocconi» e usa tetratryphon, un composto di tryphos,
"pezzetto", "boccone". E si può qui aggiungere che mentre l'affine habrosyne 19
indica un tipo di vita dedita alla mollezza, che certo presuppone il benessere, ma non

28 ------------------------------
-------------------------- GIUSEPPE NENCI

la sua ostentazione, tryphe indica l'agiatezza che solo il ricco può concedersi, e che
vede come centrale l'alimentazione; è però ad un tempo anche una forma di ostenta-
zione del proprio benessere, non solo benessere in sé, e spiegherei cosi Tryphosa, co-
me nome di donna e nome di nave.
Ma proprio dalla constatazione fatta già nella Grecia arcaica che oltre ad avere
o non avere cibo sufficiente, si può avere cibo di diverso genere (e costo) e lo si può
consumare in modi diversi (da sazi o da affamati, in primis) prima ancora che da so-
li (monophagein, Athen., 1, 14 e) o in compagnia, al desco o nel sacrificio, nasce al-
tresi la convinzione che il cibo sia uno degli status symbols, un elemento di distinzio-
ne sociale. Di qui la convinzione che il cibo degli dei, dei sovrani che li rappresenta-
no in terra e (almeno in certi casi) dei filosofi, non possa essere uguale a quello dei
comuni mortali.
Se poi ogni cosmologia è figlia di una determinata antropologia, non stupirà
che nei poemi omerici, così come si attribuisce agli dei una lingua diversa da quella
degli uomini 20 , si attribuisca loro altresi un'alimentazione diversa da quella dei
mortali (un regime 'semplice' lo giudicherà Ateneo 1, 16 f), fatta di nettare, di am-
brosia e della misteriosa erba moly (Od., 1O, 305).
Analogamente la basilike trapeza resterà costantemente simbolo di distinzione
per la regalità: distinzione così persistente da sopravvivere perfino in un imperatore
colto come Augusto che nell'invitare Orazio a passare dal circolo di Mecenate alla
funzione di segretario dell'imperatore, ricorrerrà, non senza humour, all'immagine
del passaggio ab ista parasitica mensa ad hanc regiam 21•
E infine, la più aristocratica fra le sette filosofiche greche, quella pitagorica, fa-
rà della distinzione alimentare degli adepti un elemento non trascurabile della sua
teoria, nella convinzione di uno stretto rapporto fra abitudini alimentari e attività
mentali perché come dice il proverbio «ventre grasso non genera mente sottile» 22•
E se i circoli ristretti vedono nella consuetudine alimentare una loro caratteriz-
zazione, ben si capisce come in altre società, come quella spartana, la consuetudine
dei pasti in comune con cibi uguali fosse concepita come una forma di egualitarismo
e di aggregazione sociale.
Alimentazione degli dei, alimentazione dei re, alimentazione del filosofo, e an-
cora cibo del ricco e cibo del lavoratore manuale, simboleggiato dalla maza, la fo-
caccia d'orzo 23 fino all'alimentazione schiavile. Tralascio la distinzione fra alimen-
tazione contadina e cittadina che la Grecia arcaica non sembra aver conosciuto e che
compare solo nell'Atene tryphosa della seconda metà del V sec. a.e., come frutto
della fioritura dei commerci che permette anche l'esotico alimentare. Tralascio al-
tresì il significato sociale del symposion e del syssition, né mi pare si possa parlare,
se non nel quadro delle prescrizioni dietetiche, di una alimentazione femminile una
maschile o giovanile rispetto a una senile.
Per concludere, direi che, per quel poco che l'avara documentazione letteraria
ci permette ancor oggi di riconoscere, le caratterizzazioni etnografiche, i blasoni po-
polari 24 , le classificazioni dei lavoratori, le contrapposizioni fra ceti sociali diversi
che ho cercato di delineare, non sono che altrettante spie del ruolo che l'alimentazio-
ne ha avuto per la definizione sociale nella Grecia arcaica.

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HOMO EDENS------------------------------

NOTE

1) L. MYRES,Herodotus and Anthropology, in ti», siano essi di origine nobiliare o meno.


Anthropology and the Classics, cd. by R. R. 14) Cfr. E. Gol'J'MAN,La vita quotidianacome
Marett, Oxford, 1903, 134. rappresentazione, trad. it. M. Ciacci, Bolo-
2) Cfr. il mio Économie et societé chez.Hérodo- gna, 1956, 197,n.8.
te, in "Actes du IX Congrès (Rome, 13-18 15) E. Svenbro, La Parola e il marmo. Alle origi-
avril 1973) de l'Association G. Budé", Paris, ni della poetica greca, trad. it. P. Rosati, To-
1975, I, 133-146. rino, 1984, 55.
3) Per Senofane (fr. 26 Gentili-Prato) il dio non 16) E. Svenbro, o. c., 57. In particolaresembra
è simile agli uomini né nel 3~. né nel W\'lf,UII• stonato l'insulto volgare sulla bocca delle Mu-
4) B. G. NIEBUHR, Vortriige uber alte Geschi- se. In Omero (Il., 2, 235 e 8, 228), sono rispet-
chte, Berlin 1848, Il, 5. tivamente Tersite e Agamennone furenti a
5) Ex. gr. THUc., Il, 54, 2. Cfr. il mio Il Pelasgi- usare la pesante accusa xix' Utn"11.E bensl
co (Thuc., Il, 17, 1-3, Parke-Wormell, Del- in 5, 787 anche Era ad accusare gli Argivi co-
phic Oracle, Il, n 1) e la 'zona di rispetto' nel- me xix' Utn"11,&t&ç ci-y«Go(, ma sotto le sem-
le città greche arcaiche, in "AilAPXAI. Nuo- bianze di Stentore (5, 785 I:uvwp1MCJ\111,Ml I"·
ve ricerche e studi sulla Magna Grecia e la Si- rcxl-/i,;op1xcxÀx&oq,611ft>
cilia antica in onore di Paolo Enrico Arias", 17) Cfr. il mio Tryphé e coloniuazioni in "For-
Pisa, 1982, I, 35-43, a p. 42. me di contatto e processi di trasformazione
6) Cfr. ex. gr. M. L. POllZIOGERNIA,Analisi e nelle società antiche. Atti del convegno di
ricostruzione. Un caso di unità concettuale Cortona 1981", Pisa-Roma, 1983, pagine
nel mondo indoeuropeo, in Studi italiani di 1019-1031.
linguistica teorica e applicata, II, 1973, 389- 18) Cfr. ex. gr., P. CHANTIWNE, Dictionnaire
424. étymologique de la langue grecque. Histoirr
7) Hm1t.0N., Ep., 120, I Unde et il/a vulgata sen- des mots, Paris 1968-1980, s. v. 9pu,m.).
tentia mihi videtur verissima: dives aut ini- 19) Cfr. M. LoMBAJt.DO, Habrosyne e habrà nel
quus aut iniqui heres. mondo greco arcaico, in «Forme di contat-
8) Cfr. AIUSTOPH.,Plut., 839. Cfr. J. TA.ll.LAR- to ... cit.», 1077-1109.
DAT, Les images d'Aristophane. Etudes de 20) R. LAZZEJt.ONI, Lingua degli uomini e lingua
langue et de style, Paris, 1965, 315. degli dei, ASNP, S. Il, XXVI, 1957, 1-25.
9) AIUSTOPH.,Ach., 1001. Cfr. J. TAJLLAJt.DAT, 21) SUET., De poetis, Horat., c. 22 cd. Rostqni.
op. cit., 128. 22) APosT. V, 22 a.
IO) Cfr. PLUT., Mor., 2, 298 c; EUJSTATH.,1425, 23) Cfr. ora M-C. AwoUJt.ETTI, Le pain et l'huile
64. dans la Gréce antique, Paris, 1986.
11) Per Megaradi Sicilia, cfr. HDT., VII, 156, 3. 24) Cfr. sull'argomento G. DuNST, Die Worter
12) Cfr. il mio Chomeurs (AfOPAIOI) et maneu- des Schimpfens in der iilteren griechischffl
vres (XEIPQNAKTEI:)dans la Grèce c/assi- Komodie, Diss. Berlin Humboldt - Universi-
que, DHA, VII, 1981, 333-343. Cfr. anche tal 1953 (datti!.]; ERNsT FJt.AENKE.L, Attische
Etym. M., 11, 8 s. v. x11pw~. Scheltreihen, Glotta, XLI, 1963, 285-286; I.
13) HDT., V, 30, I; V, 77, 2; VI, 91, I; VII, 156, 2 OPELT, Die lateinischen Schimpfworter und
per indicare non quello che viene erroneamen- verwundte sprachliche Erscheinungen.Eine
te reso con «popolo grasso», ma i «benestan- Typo/ogie, Heidelberg, 1965.

30-
DETERMINAZIONE ALIMENTARE
E RIDETERMINAZIONE LINGUISTICA

di t Giorgio Raimondo Cardona

Per un qualunque nostro trattato occidentale di culinaria i crostacei sono argomen-


to per almeno un ampio capitolo in cui si elencano i pregi di aragoste, gamberi,
scampi, astaci e altre suddivisioni ancora; per i pescatori dell'Oceano Indiano o del
Golfo di Guinea quelli che noi chiamiamo crostacei sono inutili e fastidiosi animali
che ingombrano le reti da pesca e che possono solo essere ributtati in mare; non han-
no nome (se non di prestito, somalo iskaanbe, dall'it. scampi), o ne hanno uno uni-
co (in nzema suzz&ke.).Da questa osservazione, che è stata per me una lezione dal vi-
vo di relativismo culturale, vorrei partire per le mie considerazioni.
Il mio oggetto è un problema specifico all'interno delle categorizzazioni che
una società dà dell'esperienza. Assai di rado ci è concesso di veder crescere una clas-
sificazione; in un momento dato la troviamo già costituita e solo in assai rari casi la
vediamo muoversi; una classificazione è fatta per rendere conto dell'esperienza e
quindi è in qualche modo autosufficiente quando ci si presenta; singoli e quasi im-
percettibili scatti avvengono semmai con l'importazione di elementi nuovi. E tutta-
via, proprio il campo dell'alimentazione offre qualche caso privilegiato; i costumi
alimentari sono tra quelli in più veloce movimento e quindi possiamo aspettarci di
cogliere i riflessi di questo mutamento anche nella categorizzazione linguistica.
È perfino ovvio che una categorizzazione linguistica possa essere messa al servi-
zio delle abitudini alimentari; le prescrizioni bibliche del Levitico o del Deuterono-
mio consistono sostanzialmente in una lista di animali, e questa è finalizzata a una
discriminazione dei cibi permessi o non permessi (cfr. CARDONA 1985a: pp. 95-99).
Non tutte le classificazioni sono finalizzate a scopi pratici, o immediatamente prati-
ci; sembrerebbe anzi che una classificazione del mondo naturale debba esistere di
per sé, perché gli animali sono "buoni da pensare"; e tuttavia si dovranno pur sot-
toclassificare e distinguere in qualche modo gli animali che sono anche "buoni da
mangiare".
Nasce cosi una dialettica tra due modi di classificare, quello che obbedisce a
un'esigenza conoscitiva generale, per la quale tutto ciò che rientra nel dominio del-
l'esperienza deve essere in qualche modo reso conoscibile attraverso un adeguato in-
quadramento linguistico; e quello che obbedisce invece all'esigenza di distinguere e
nominare ciò che può o non può essere mangiato. Ora, poiché i cibi si trovano a es-
sere piante o animali, ciò equivale ad avere per piante e animali una sorta di doppia
classificazione, conoscitiva e generale da un lato, utilitaristica e particolare dall'al-

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HOMO EDENS ---------------------------

tro; il primo aspetto non deve necessariamente modificarsi in tempi brevi, mentre il
secondo invece lo può.
La storia della gastronomia è anche la storia di un progressivo avvicinamento
del fuoco dell'obiettivo: si mangiano sempre più cose, e dunque si distinguono con
sempre maggior precisione le categorie corrispondenti. Una prima spinta all'avvici-
namento è quindi l'interesse alimentare che le sostanze via via acquistano; ma natu-
ralmente non si deve vedere questo ravvicinamento come la semplice applicazione di
un obiettivo sempre più potente, tale da permettere di vedere un numero sempre
maggiore di particolari nel tessuto della natura.
Si ricorderà infatti che l'attenzione conoscitiva legata all'alimentazione può
muoversi su diversi piani anche all'interno di una stessa fase temporale; una stessa
società può proiettare sul cibo un sistema composito, in corrispondenza di sue strati-
ficazioni interne; il gioco degli interdetti, permanenti e temporanei, divisi per caste,
o sessi, o stati di passaggio o altre variabili sociali (per esempio, la semplice apparte-
nenza di classe o il censo), porta a una visione a più livelli della natura commestibile.
La delimitazione complessiva che ne deriva fa parte dell'orizzonte conoscitivo, an-
che se ha un'immediata utilizzazione pratica, in termini di ciò che si può e ciò che
non si può mangiare. Il découpagedella natura che ne risulta è esso stesso specchio
di un découpagedel corpo sociale.
Se non mi inganno, mentre il tema degli interdetti alimentari e delle varie classi-
ficazioni alimentari è stato trattato più volte negli ultimi venti anni 1, il particolare
aspetto che qui interessa, e cioè la modificazione delle categorizzazioni naturali in
corrispondenza dell'uso alimentare, non è mai stato studiato espressamente; questa
scarsezza di studi scuserà quindi l'episodicità delle mie osservazioni.
L'innovazione nelle denominazioni di animali è un fatto ben noto agli studiosi
di lingue romanze: per un etimologista è sufficiente dire che a partire da una certa
data la tale denominazione latina viene meno, ed è sostituita da un altro termine,
che si afferma nelle varie lingue romanze. Ma questa è naturalmente una visione fer-
ma alla superficie dei fatti linguistici; basta far intervenire considerazioni relative al-
1'organizzazione e alle tecniche dell'allevamento per intuire le ragioni di questi appa-
rentemente bruschi cambiamenti: il tipo di allevamento porta a concentrare l'atten-
zione, all'interno della specie, ora sul maschio, ora sulla femmina (it. oca dal lat.
avica, sp. oveja da ovicula), ora sul piccolo (pollo, da pullus, porcello da porcellus),
ora sul castrato (fr. brebisda lat. vervex).
Qualche esempio di tale spostamento d'attenzione, legato a cambiamenti ali-
mentari e con riflessi nelle denominazioni: lo spagnolo ternero "montone" (dall'a.
1119), il port. terneiro vengono dall'aggettivo tierno "tenero", lo sp. carnero(dal-
l'a. 1049), il port. carneiro"montone" da un lat. carnarius,che sostituisce vervex.
E ancora, è fatto pressoché regolare che uno stesso animale interessi soprattutto
adulto dal punto della riproduzione, e invece soprattutto giovane dal punto di vista
dell'alimentazione: così oggi, nell'uso corrente italiano, parlando del cibo (al merca-
to o al ristorante o dando una ricetta) si tenderà a dire vitellino(l'animale) e vitellina
(la carne), tacchine/la,porcellino, galletto, coniglio/o (in Toscana) ecc. invece di
usare i termini propri all'animale adulto, e questo anche se l'animale non è difatto
così giovane, perché usare un termine "tenero" è già rendere più tenera e quindi
pregiata la carne 2•
Ciascuno di questi cambiamenti sembra puntiforme, non interessa un'intera
area dell'esperienza, e non dà quindi modo di valutare il processo di rideterminazio-

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--------------------- GIORGIO RAIMONDOCARDONA

ne. Più interessante quindi è il caso in cui un'area prima conoscitiva.mente amorfa,
non differenziata, viene ristrutturata sulla spinta di un'esigenza alimentare, molto
spesso causata essa stessa dall'esterno.
È evidente che ogni sistema di cibi deve essere visto nella sua organizzazione in-
terna; ma per dare un ordine sia pure soltanto esterno alla mia esposizione, ordinerò
i miei esempi secondo alcuni raggruppamenti tematici o "forme di vita".

D mondoanimale

/pesci
Un esempio generale è dato dalla forma di vita "pesci", forma non sempre usata
largamente a fini alimentari dai vari gruppi, anche dove è abbondantemente presen-
te nell'habitat 3 : la specializzazione raggiunta nella Magna Grecia e nella Roma d'e-
tà imperiale sembra un fatto eccezionale. In generale in tutto il Medioevo europeo
l'utilizzazione alimentare dei pesci (che evidentemente aveva perso in importanza e
articolazione interna) viene fortemente accentuata da un motivo religioso: la carne
degli animali cade sotto le varie interdizioni legate al digiuno, alle osservanze ecc.,
specie da parte dei regolati, mentre lo stesso non vale per i pesci; per solito la proibi-
zione di mangiare pesce non è esplicitata, il che porta a una corrente opposizione
(ancora viva fino ai nostri giorni) per cui se il mangiare carne cade sotto le prescri-
zioni, il mangiare pesce è un mangiare "di magro" ecc. (cfr. Zuo Tucc11985).
li lessico del medio inglese mostra con evidenza l'ingresso di nuove forme legate
all'adozione di nuove abitudini alimentari in seguito alla dominazione franconor-
manna; le classi popolari non modificarono probabilmente granché la loro dieta,
ma la corte acquisì abitudini di raffinatezza alimentare che influenzarono profonda-
mente il quadro delle sostanze alimentari (cosi come delle tecniche della cucina, del-
la suddivisione dei pasti); l'aspetto più noto è l'adozione di una seconda serie di ter-
mini per le carni degli animali considerate come cibo: pig/pork, sheeplmutton, oxl
veal; si tratta di animali già noti, ma evidentemente si incomincia a ca!~A.o~ar_li iJ!
altro modo una volta trasformati in ci.bo cotto, secondo l'uso fra.f!conorma~9.
Tra i camp(èhe -véngono completamente rideterminati è appunto quéìio dei pe-
sci; ecco un esempio di animali già presenti nell'habitat, ma evidentemente poco sa-
lienti dal punto di vista alimentare, tanto che non si sentiva la necessità di elaborare
una rete conoscitiva per categorizzarli; dobbiamo pensare insomma che, per chi se
ne cibava, questo o quel pesce non facesse molta differenza. I franconormanni in-
troducono l'uso di cucinare i pesci in modo diverso a seconda della specie, con pre-
parazioni diverse e elaborate, a noi note dai ricettari dell'epoca che ci parlano di pe-
sci in gelée (in gely), in civet (in cyueye), in brodetto (in bruelte) ecc., con una varietà
e una fantasia che non ha niente da invidiare a un raffinato manuale moderno.
Di qui la necessità di distinguere assai bene all'interno della prima pressoché in-
differenziata categoria "pesce" (tutt'al più di fiume o di mare): ed ecco che entrano
nei ricettari, dunque nella terminologia almeno delle classi superiori, i nomi del luc-
cio, del pesce persico, della carpa, di varie sogliole, dei diversi crostacei e così via,
tutti dal francese. L'operazione di rideterminazione appare particolarmente eviden-
te là dove il pesce era già conosciuto in inglese (magari già per un prestito dal latino
tardo); è il caso della lampreda (a. ingl. lamprede dal lat. lampreda, che diventa

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HOMO EDENS---------------------------

lampreye e varianti, per influsso del fr. lamproie), o della trota (a. ingl. truht, dal
lat. trutta, tructa, che diventa troit e varianti, per influsso del fr. troit).
Come era prevedibile, rimangono puramente germanici nomi come quello della
"razza", a. ingl. thornbake, mod. thornback, lett. "dorso spinoso", un pesce meno
interessante per la cucina e dotato di sue proprietà ben salienti, tali da giustificarne
comunque il nome (cfr. ted. Dornrucken, sp. raja de clavos ecc.).

I crostacei
Un analogo esempio di ricostruzione di un campo prima quasi sconosciuto è dato
dall'ungherese. Non esistono parole del ceppo ugrofinnico per indicare i crostacei:
hai, etichetta della forma di vita che possiamo glossare come "pesce", comprende
anche i crostacei; da una lingua slava entra poi come prestito rtik, di origine slava,
per indicare tutti i crostacei, indifferenziatamente; poi, per influsso ancora una vol-
ta di un uso alimentare esterno, si introducono languszta "aragosta" (fr. langou-
ste), homtir (fr. homard) e perfino osztriga (it. ostrica, o meglio ven. ostrega).
Il gioco delle opposizioni si modifica: le attribuzioni delle connotazioni di com-
mestibilità e non commestibilità si allargano, in quanto diventano commestibili spe-
cie che prima non lo erano; e all'interno di questa rete più ampia, che evidentemente
non può crescere illimitatamente, si creano altre opposizioni, per esempio di qualità,
o di modo di cottura. In un suo saggio Roman Jakobson mostrò come in campo ali-
mentare perfino il modo di cottura potesse differenziare profondamente due modi
culturali, quello ceco e quello polacco, e prendeva come esempio la ricetta del luccio
alla polacca contenuta in un ricettario medievale ceco (cfr. JAKOBSON 1965).

Gli uccelli
Gli uccelli costituiscono un'altra forma di vita che può fornire o non fornire cibo.
La grecità continentale non sembra far molto caso agli uccelli come cibo prelibato:
solo con l'adozione di abitudini alimentari più raffinate si cominciano ad apprezza-
re gli uccelli come leccornia; e lo studio delle denominazioni mostra che in gran par-
te questa spinta viene dalla grecità asianica, a sua volta debitrice di altre forme di vi-
ta raffinata, quelle sviluppatesi alla corte dei sovrani orientali, soprattutto iranici.
Molti nomi di uccelli commestibili sono in lpponatte, un autore che ci ha lasciato
una quantità di termini; anzi, molti dei suoi versi si sono conservati proprio perché
citati dai grammatici e dai compilatori come esempio di quelle forme (per il nome
del "francolino" cfr. CARDONA1985b).
Questa attenzione per gli uccelli gastronomici trova un perfetto riscontro in
oriente nel mondo cortese iranico; il dialogo tra il re Cosroe e il suo paggio, un tardo
testo pahlavi, è estremamente interessante da questo punto di vista; il dialogo è una
sorta di prontuario delle conoscenze cortesi, presentato sotto forma di domande e
risposte, com'è del resto abituale nella letteratura mediopersiana. Passando a inter-
rogare il suo paggio sui migliori cibi, Cosroe chiede anche degli uccelli (murv) e le ri-
sposte del paggio sono preziose perché ci mostrano quale fosse la categorizzazione
implicita in questo senso:

§ 23 ditTkarframllylt pursTtan ka murv i katllm xvaJtar ut pat metaktar


E di nuovo si degnò di chiedere: «Quali sono gli uccelli (murv) più buoni e più sapo-
riti?»

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§ 24 Govet rttak ka ano§akbavlt en hend murv r hamllk xva.f ut nevak


11paggio risponde: «Che tu possa essere immortale! Questi sono gli uccelli buoni e
pregiati»
§ 25 fra.famurv ut por ut kawk (ut) titar (ut) tehok ut spetdumbak (ut) sarparrak ut sr
Thast tugak ut sr Tparvartak ut kulang i yuvlln ut carz TtTrmllhTk(ut) kawkanJTrut
xJensllrut murv TllpTk
«Il pavone e il francolino e la pernice e il fagiano e la coturnice e il "codabianca" e
l"'alarossa" e l'oca tugak e l'oca domestica e la cicogna giovane e il bozzagro au-
tunnale e il francolino kawkan}Tre l'anatra xJensllre la papera» 4 •

D mondo vegetale
/funghi
Criteri analoghi a quelli esposti per il mondo animale valgono per il mondo vegetale,
con la sola differenza forse che per questo ha meno senso il concetto di impurità e di
immangiabilità; una pianta è difficilmente del tutto inutile, perché se non è mangia-
ta può essere usata per medicina, o per tintura, o come foraggio per gli animali; nel
mondo vegetale quindi il confine tra il lecito e l'illecito, il mangiabile e l'immangia-
bile è assai più tenue, se non, in certi casi, inesistente.
L'unico caso di area pericolosa è quella dei funghi; com'è noto, la loro catego-
rizzazione è estremamente variabile e incerta, oscillando perfino tra il regno vegetale
e quello animale (in tzeltal, per esempio, una lingua maya, essi sono categorizzati
come carne), tra la commestibilità e l'evitazione. Ma anche là dove i funghi sono
mangiati, com'è per i paesi mediterranei o slavi (per i Romani cfr. ANDRÉ1961, 43-
46), si impone comunque una divisione tra quelli commestibili e quelli velenosi.
L'etnomicologia rappresenta dovunque la storia di una lenta e sempre più ca-
pillare rideterminazione di questo campo cosi difficile; e se il grosso delle distinzioni
avverrà comunque su dati percettivi (forma, colore, odore), anche la rete delle deno-
minazioni ha la sua parte, introducendo elementi di distinzione facilmente memoriz-
zabili: il nome indica se il fungo è velenoso o comunque nocivo ifungaccio, ma/eti-
co, ovolaccio, peveraccio delle coliche, spargifamiglieecc.); una variazione del no-
me può avvertire se si indica una varietà meno pregiata rispetto a quella principale
(ilfinferlo è più pregiato dellafinferla).

La frutta e la verdura
Un'opposizione tanto comune come la nostra tra "frutta" e "verdura", priva co-
m'è di ogni motivazione intrinseca, è un buon esempio di indeterminatezza conosci-
tiva che può essere precisata soltanto in base agli usi alimentari. Incerto è lo spar-
tiacque tra le due categorie, sfumati ne sono i confini stessi; vi rientrano specie colti-
vate e specie spontanee, e da cultura a cultura è massima la variazione nella determi-
nazione (si pensi all'ampia utilizzazione delle "bacche", ted. Beere, ingl. berries,
che compensa il minor numero di piante coltivate, per motivi climatici).
Anche nelle denominazioni c'è scarso accordo tra le lingue indoeuropee, eque-
sto significa che possiamo aspettarci di trovare un buon margine di variazione nelle
singole culture di lingua indoeuropea. In persiano l'equivalente del nostro verdura
sarebbe sabza, che indica appunto tutto ciò che "verdeggia"; il termine, ripreso in
hindi, dove ha sostituito sllg (sans. sika, ogni erba commestibile, ma l'erba in sé,

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HOMO EDENS ---------------------------

non cotta, è raramente un cibo, lo diventa solo per opposizione) è stato ridetermina-
to; in hindi silbzr raccoglie tutti i vegetali commestibili, salvo quelli raccolti nella
classe dlll (i legumi, le lenticchie, certi tipi di fagiolo).
Ad ambedue si oppone un altro termine del sistema phal 'frutto'; tuttavia nel-
l'uso gastronomico dlll è un tipo di preparazione che può contenere legumi ma non
necessariamente, e sabzr è ogni preparazione cotta di verdure (e così, per esempio,
anche una che contenga pasta di fagioli essiccati, in partenza un dlll, o frutta che fre-
sca sarebbe pha/). Il cuoco che si occupa dei sabzr è distinto da quello "dei cibi dol-
ci" che è piuttosto il nostro pasticcere. Abbiamo qui, in una cucina elaborata come
quella jaina, un triplice anziché duplice sistema di categorie: il sistema alimentare si
sovrappone a quello naturalistico, e quello gastronomico a quello alimentare (cfr.
MAmAs 1985, pp. 71-72).
Anche i Romani distinguevano tra "frutta" e "verdura"; ma l'analisi di questo
doppio campo in latino mostra quanto siano forti le tendenze a ridistribuire i campi
conoscitivi. In linea di principio, sempre che si voglia tenere la propria indagine en-
tro un qualche binario metodologicamente corretto, è assai difficile rappresentarsi
secondo un taglio sincronico la concettualizzazione di un campo semantico quando
non siano gli stessi soggetti a definirlo per noi chiaramente. La stessa ampiezza dia-
cronica della latinità, che si è quindi allargata a conglobare forme delle più diverse
provenienze (regionali, alloglotte), è, per una volta, di impaccio perché non permet-
te di vedere con chiarezza un dominio cognitivamente circoscrivibile; e gli studi, per
quanto precisi e puntuali (come quello di ANDRÉ1961), sono stati orientati soprat-
tutto in senso lessicografico ed etimologico, non consentendo quindi di capire il va-
lore relazionale di ciascun termine.
I Romani distinguevano certamente, a uno stesso livello gerarchico, tra fru-
menta (i cereali), legumina (le piante di cui si mangiavano i grani: fave, ceci, lentic-
chie, ma anche, sembrerebbe, orzo, miglio, sesamo ecc.) e (h)olera, tutte le altre
piante di cui si mangiava invece la radice o la parte verde (ANDRÉ1961, p. 35). (H)o-
lus può anche essere semplicemente il cavolo: holus molle (AP1c10 3, 15, 1-3) sono
infatti le foglie del cavolo, commestibili.
Se questa sottoclassificazione sembra essere relativamente ben precisata, la de-
limitazione dei termini che rientrano nella prima categoria ha aspetti arbitrari, o di
proiezione di nostre categorie sulle categorie indigene; unica regolarità è quella mor-
fologica, per cui il femminile indica l'albero, il neutro il frutto. Ci saranno stati no-
mi italici o più generalmente ancora "preindoeuropei" per le piante locali che pro-
ducono frutti commestibili mentre il sistema latino sembra tutto d'innovazione: la
storia delle lingue romanze mostra poi il riemergere di parole non latine, mai elimi-
nate quindi, che si riaffermano: un esempio è la storia di it. marrone rispetto a ca-
stagna (cfr. TERRACINI 1954).
Il termine più inclusivo è pomus, pomum "frutto", prestito da una lingua sco-
nosciuta (anche nelle lingue romanze l'inclusività rimane, si confronti il fr. pomme
de terre, de l'air, de pin); al di sotto di esso si distingue tra malum (il gr. me/on, dori-
co mli/on) che indica ogni frutto con un nocciolo o semi, e, in opposizione, nux, che
è il frutto con guscio (nux è il solo termine che si confronta con altre forme indoeu-
ropee, e questo è spiegabile perché ha una notevole ampiezza di determinazioni): so-
no tali la nocciola (nux pontica o abeliana, nome questo che rimane nelle denomina-
zioni romanze), la mandorla (nux graeca o thasia), le castagne (castaneae nuces), la
pigna da pinoli (nux pinea) e inoltre n. amara, n. gallica, n. grandis, n. minor. Al di

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----------------------- GIORGIO RAIMONDO CARDONA

sotto vengono altre suddivisioni, che spesso sono segnate anche linguisticamente da
rideterminazioni dell'uno o dell'altro termine principale: così quelle a partire da ma-
lum: malum punicum (e poi malum granatum), la melograna, malum cotoneum e
altre varietà, la cotogna, malum assyrium, il cedro, malum persicum, la pesca, ma-
lum praecox, l'albicocco, malum armeniacum.
Altri nomi di piante, ormai ben determinati, soggetti a specifica coltivazione o
spontanei nella flora mediterranea, sono anch'essi di prestito, come pirus, pirum
(Catone; da una lingua sconosciuta), o ficus; anche uua "uva" e "bacche a grappo-
lo" (cfr. forse psi. jagoda "frutto", lit. uga "bacca"), sottocategorizzata come
agrestis, canina, coruina, lupina, taminia. Ma la "vite" ha caratteristiche sue pro-
prie perché la viticoltura si diffonde nel mondo latino da precisi centri di irradiazio-
ne, che è possibile seguire attraverso la storia della sua terminologia specializzata
(rumpus, opulus ecc., cfr. per esempio BELARDI e Pou 1975).

NOTE

I) I rimandi ormai classici sono a LBACH(1964), 3) Per esempio nella cultura cinese molte specie
DouOLAS(1967), TAMBIAH (1969); uno studio diverse di pesci si trovano tra i resti di cibo fin
recente è MABIAS
(1985), dedicato a un'analisi dalle più antiche facies archeologiche, cfr.
particolareggiata del sistema jaina. CHANG (1977, p. 30).
2) Faccio qui mia un'osservazione estemporanea 4) Il testo è, leggermente semplificato quanto ai
di CAJtLOA. MASTREur. Si noti anche che il segni di lettura, quello dato da MoNcm-ZA-
nome latino di un altro comune animale da OEH(1982), che è l'edizione più recente; ma si
carne, cuniculus, che allude probabilmente al- deve avvertire che gli specialisti considerano
l'abitudine di abitare in tane scavate, può tuttora insuperata l'edizione Unvala (s.d.); la
sembrare una forma diminuitiva, e i suoi esiti traduzione è puramente indicativa, in quanto
coincidono con quelli delle altre forme che ef- ogni nome richiederebbe varie righe di com-
fettivamente lo sono (sp. conejo come viejo mento; per due poi, lo spttdumbak e il Sflr-
da vetulus, it. coniglio con l'esito - gli - an- parrak, non è nemmeno possibile dare una
ziché- echi-). glossa.

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DEL FRITTO ED' ALTRO

di Maurizio Bettini

Secondo Varrone, (/. L. S, 109), la carne di maiale avrebbe seguito, a Roma, la se-
guente "progressione'' neilé pratiche culinarie: primo assam, secundo elixam, tertio
e j!-!_re_
uti COf!pisse n_a{uradocet. Dall" •arrosto"; irisòmmà;si s·arebbe· passati""à1
,flesso";-per finire nel "cotto-in· salsa". Questo, a Varrone, pareva diretto insegna-
mento della "natura": comunque stiano le cose, è certo che in questa triade sono
racchiusi i poli principali della cucina romana. E il "fritto", dove sta il "fritto" a
Roma? Per arrivarci, bisogna compiere un cammino abbastanza lungo.
L'arrosto, ciò che è assus, risulta anche a Roma da un contatto diretto (più o
meno ravvicinato) con la fonte di calore. Varrone, continuando il suo discorso I con
una tipica paretimologia ''varroniana'', spiega che dictum assum quod ab igni assu-
descit: si tratta di far "sudare" la carne mettendola a contatto con il fuoco, l'ignis.
Quanto al "lesso", l'elixus, anche a Roma un modo di cottura che interpone una
sorta di mediazionetra il fuoco e la vivanda da cuocere: un recipiente e dell'acqua.
Cosi per Festo (23 L) gli aulicoctaexta erano quae in ollis coquebantur, id est e/ixa.
Mentre secondo Nonio (48, 17) si dice elixum quidcquid ex aqua mollitur ve/ deco-
quitur.
Per cuocere "allesso" ci vuole insomma qualcosa di più, un po' più di tecnica,
rispetto a quel che occorre per l'arrosto: cosa che, evidentemente, spingeva Varrone
a considerarlo una 'tappa di sviluppo' successiva. Quanto al cuocere ex iure, infine,
si tratta di cuocere del cibo "in salsa" 2 • Così, Apicio 148 ci parla dipullum carptum
ex iure coctum (un pollo fatto a pezzi e cotto in salsa), oppure (219) suggerisce che
perdixpotest ex iure coqui ne indurescat(la pernice, perché non indurisca, è meglio
farla in salsa). E cosi via.
Ma vediamo meglio l'assus e l'elixus. Fra queste due polarità della cottura, la
rappresentazione linguistica del latino stabilisce infatti una simmetria che val la pe-
na di rilevare. Assus è infatti riconducibile ad areo "sono asciutto" "secco" 3: come
spiega ancora Varrone, ... sudando assum destillatcalore,et ut crudum nimiu habet
humoris, sic excoctumparum habet suci. Nel passaggio dal "crudo" al "cotto", la
carne "arrosto" viene condotta allo stadio di vivanda "prosciugata", che aret: si
elimina cosi quello humor, o meglio quel cruor "succo carneo" 4 che, diretta espres-
sione (anche linguistica) 5 della sfera del crudum, rende la carne incommestibile 6 •
Dunque, l'arrosto è linguisticamente un "asciutto", qualcosa a cui è stato sot-
tratto un liquido. Tutto il contrario per l'elixus. Come dice Nonio (48, 17), si elixum

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HOMO EDENS----------------------------

quidcquid ex aqua mollitur ve/ decoquitur; nam "lixam" aquam veteres esse dixe-
runt 1 • Dunque lixa è un antico nome per indicare l"'acqua" (da riconnettere a li-
quor, liquidus) 8 per cui, ciò che è elixus è, propriamente, qualcosa di "messo sot-
t'acqua", qualcosa di "acquato", si potrebbe dire.
Possiamo concludere che il "lesso" e l'"arrosto" stanno, in latino, in una rela-
zione simmetrica e inversa: è arrosto tutto ciò a cui è sottratto del liquido, che aret
(assus); è "lesso" tutto ciò a cu(è-inqualche modo aggiunto~dd.Jiquido._çiò--=cJie sia
"~:_•]~_iixus): Sr noti anzi eh~questa oppos~ione basilare q.g'!,.S'./__e/ÌXI!§ con-
serva una valenza culturalmente assai forte nella cucma romana.
Si sa bene che "lesso" e "arrosto" stanno ai due estremi opposti, e costituisco-
no come il rovescio l'uno dell'altro. Secondo Orazio (sat. 2, 2, 74) giovano allo sto-
maco i cibi semplici e non mescolati - anche il carmen, del resto, gli piaceva sim-
plex et unum! - mentre rovinano la salute le mescolanze, quelle che si usavano nelle
cene lussuose dei tempi suoi: at simus assis I miscueris elixa, simul conchylia turdis,
I dulcia se in bilem vertunt stomachoque tumultum I lentaferet pituita.
Mangiare insieme il lesso e l'arrosto è dunque una pratica paragonata a quella
(invero sconcertante anche per noi) di consumare tordi e frutti di mare simultanea-
mente. L'opposizione culturale fra "lesso" e "arrosto" è espressa in questo caso in
modo molto esplicito.
Veniamo infine al cuocere ex iure. Si tratta di un modo di cottura senz'altro più
complesso (Varrone ne faceva la terza e ultima tappa), ma che, almeno in parte può
essere considerato una variante più "raffinata" del lesso. L'analogia si vede anche
dal punto di vista linguistico: quell'ex di ex iure è infatti la stessa cosa del preverbio
e - che ricorre in e-lixus: là si trattava di cuocere "con acqua"; qui si tratta di cuo-
cere "con ius" o "sotto ius" 9•
In effetti, come nel "lesso", il cuocere "in salsa" presuppone l'aggiunta di de-
terminati liquidi di cottura, e la mediazione di un contenitore rispetto alla fonte di
calore. Solo che, contrariamente all'elixus, i liquidi di cottura sono conservati, e di-
ventano, di conseguenza, parte integrante del "piatto" preparato. Questa è la diffe-
renza. Ancora, la cucina ex iure permette la conservazione dei suci che la vivanda ha
· eliminato nel corso della cottura: dunque, è un mangiare più "conservativo" e nu-
triente.
Questo può forse spiegare perché Celso stabilisca la seguente gradatio (2,18):
res eadem magis alit iurulenta quam asso, magis ossa quam elixa (anche se spesso ri-
torna sul fatto che i cibi iurulenti sono più pesanti di quelli assi o elixi, e assai meno
indicati per chi soffre di stomaco o di pancia) 10• Si noti, di passaggio, che anche in
questa gradatio dietetica (e non "storico-evolutiva", come quella di Varrone) il
"fritto" continua a mancare.
Una certa "parentela", o meglio affinità, del cotto ex iure con l'elixus, potreb-
be infine risultare anche da questa osservazione. Almeno per ciò che riguarda il pe-
sce, infatti, si stabilisce frequentemente un'opposizione fra assus ed ex iure 11: ma
non fra elixus ed ex iure. In altre parole, sembrerebbe che l'ex iure possa subentrare
all'elixus nella classica opposizione con l'assus, come variante combinatoria: ma
non può funzionare in "distribuzione complementare" con l'elixus, opponendosi a
lui.
Giunti a questo punto, potremmo divertirci a disegnare il "triangolo culinario"
della cultura romana: sul modello di un più celebre "triangolo culinario" molti anni
fa tracciato da C. Lévi-Strauss 12:

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------------------------- MAURIZIO BETIINI

assus - Oiquido)+ eliscus

Dovremmo però avere l'avvertenza di sottolineare che gli scarti da cui questi tre poli
sono separati non hanno tutti la stessa forza. I poli "bassi" si oppongono fra loro in
maniera rigida, sia sul piano linguistico (areollixa), sia su quello culturale (divieto di
"mescolare" lesso e arrosto), sia su quello tecnico (contatto diretto col fuo-
co + privazione di liquidi/contatto mediato col fuoco + addizione di liquidi). Al
contrario, le opposizioni che intercorrono fra i poli "bassi" e il vertice dell'ex iure
sembrano essere di ordine un po' più debole e mediato: fra elixus ed ex iure c'è più
affinità che opposizione, mentre l'ex iure sembra entrare in opposizione con l'a.s:sus
come variante combinatoria dell'elixus.
Infine, non si dimentichi che l'intero triangolo tende in'realtà a indebolirsi, nel-
la cucina romana: e proprio neutralizzando le sue opposizioni interne a vantaggio
del polo ex iure. Basta sfogliare Apicio, infatti, per accorgersi che tuttc:>_!9s.fQfZOln-
ventivo _g_ella_g_~trgnQmia _raffinata si concentra proprio neU'e!aborare iura con cui
cospargere vivande altrimenti cucinate. La gastronomia romana ''colta 1-,-tènde ailo
1uru/entum. Ovvero, è come se, "dàlJ'alto" del nostro triangolo, lo iurulentum di-
scendesse a coprire assum ed elixum con un denso ed elaborato strato di ''complica-
zione" gastronomica.
Il momento sembra essere maturo per parlare del "fritto". Il verbo frigo, per la
verità, è ben lungi dal possedere l'univocità di significato che mostra l'italiano
"friggo". Non si può non meravigliarsi vedendo che i Latini potevano frigere ceci,
fave, lenticchie, orzo, addirittura sale, o fronde di cipresso ... 13• In casi come que-
sto, frigo costituisce evidentemente un sinonimo di torreo, e indica quello che noi
definiremmo la ''tostawra-'': Non mancano- natural'inente casi in cui questo verbo
viene riferito a vivande analoghe a quelle che anche noi "friggiamo": pesce, per
esempio, dolci, pezzetti di carne (le ofellae), e così via 14•
Ma vediamo cosa succede in questi casi. Apicio ci dice che si "frigge" in un mi-
scuglio costituito da garo, olio, vino (147); oppure da garo, acqua, aceto, olio (265);
ancora, si può friggere nel "miele cotto" (296), in un miscuglio di garo, olio, miele
(e.xc.3), nel garo misto a vino (e.xc.4), nel solo garo (exc. 5) ecc. Non mancano casi
in cui Apicio, o altri autori, consigliano difrigere ex oleo 15• Solo che questa pratica
costituisce evidentemente una parte di una pratica più vasta: non la totalità della
pratica, come sostanzialmente sarebbe per la nostra cucina. Dobbiamo concludere
che il "friggere", nella cultura romana, può essere realizzato sia utilizzando un li-
quido di cottura sia facendone a meno; e che questo liquido di cottura può essere co-
stituito sia da olio, sia da altri liquidi (o mescolanze di essi). Come minimo, la cultu-
ra romana utilizzava una nozione di "fritto" piuttosto diversa dalla nostra.
Il problema è reso più interessante dal fatto che talora Apicio, pur utilizzando
liquidi di cottura analoghi a quelli cui ricorre per frigere, designa questa operazione

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HOMO EDENS---------------------------

non con/rigo, ma con il verbo coquo. Per esempio, a 176 i bulbi sono fatti "cuoce-
re" nello stesso miscuglio (garo olio, vino) in cui a 147 l'apua viene "fritta". Cosi,
in exc. 6 le ofellae vengono fatte "cuocere" nel garo: eppure, a 5 "friggevano" nel
medesimo garo. Più chiari di tutti i casi di exc. 13, 14, 15, 19: in cui diversi tipi di pe-
sce "cuociono" nella stessa mescolanza di garo, vino, olio in cui le acciughe (apua)
"friggevano" a 147.
Ci viene dunque, il sospetto che l'azione del "friggere" sia indipendente tanto
dagli "ingredienti" (che possono servire anche a una normale "cottura") quanto
dal contesto specifico (si può "friggere" anche "tostando", come sappiamo). Ve-
diamo allora, se è possibile, che caratteristiche specifiche attribuivano i Romani alla
loro "frittura". Nonio (7, 9), per sostenere che/rigo può significare anchefriguttire
e fritinnire, cioè sussilire cum sono ve/ erigi et excitari 16, spiega cosi: quod quae-
cumque friguntur ... nimio calore... cum sono sussiliunt.
Dunque per Nonio ciò che "frigge" è qualcosa di sottoposto a un "fone calo-
re", motivo per cui "salta su" ed "emette un suono" . Anche Isidoro (or. 20, 2, 23)
la pensava allo stesso modo: frixum a sono dictum, quando ardet in oleo. Di nuovo
la presenza di un "forte calore" (ardet: stavolta esplicitamente in olio) che motiva
uno "sfrigolio": e questo, nell'invidiabile fantasia paretimologica di Isidoro, diven-
ta la ragione stessa dello "sfrigolante" nome che ilfrixum porta. È chiaro che, sia il
sussilire, sia il sonus che il "fritto" friggendo emette, sono conseguenza del forte ca-
lore di cottura a cui la vivanda è sottoposta. Questo, per noi, ha notevole interesse:
perché talune istruzioni dei gastronomi in materia di "fritto" ci rendono sicuri del
fatto che è proprio il fervère ciò che caratterizza il liquido di cottura allorché si
"frigge" .
Ecco la ricetta data da Apicio (147) a proposito dell'apua fricta: ... adicies li-
quamen, vinum, oleum, facies ut ferveat et, cum ferbuerit, mittes apuam. Mentre
per Plinio Valeriano (2, 30) la ruta viridis cotta nel vino si fa cosi: fervefacies, donec
ruta exjrrgi incipiat (si noti che stavolta lo "sfrigolio" è nel vino, non nell'olio o me-
scolanze con olio).
Ma può valere, questo modello, anche per i casi in cui /rigo si applica a opera-
zioni di "tostatura"? Parrebbe proprio di si. In casi come questi, infatti,/rigo fun-
ziona come sinonimo di torreo 17• Ma torreo significa non semplicemente "cuocere"
quanto "abbrustolire": tant'è vero che spesso si usa addirittura come sinonimo di
urere "bruciare" 18• Per altro verso, si rammentino i rischi cui andavano incontro i
primi (e ingenui) coloni allorché tentavano di tostare il far senza l'ausilio prezioso
della dea Fornax (Ov. fas. 2, 521): modo verrebant nigras pro /arre favillas. Il far
"ardeva": nella "tostatura" - proprio per la quantità e la vicinanza del calore - il
discrimine che separa il giusto "abbrustolimento" dei semi dalla loro "bruciatura"
è così sottile che si fa molto presto a superarlo.
Dunque, anche in casi come questo frigo presuppone la presenza di un calore
forte, analogo a quello che fa fervere i liquidi di cottura quando si "frigge" con il
loro ausilio. Ma la cosa interessante è che, anche in casi in cui/rigo viene usato per
designare la tostatura, ricorre il tratto del sonus emesso da ciò che sta "friggendo".
Columella (12, 21, 2) ci spiega in questo modo come ottenere il salfrictum 19: si met-
ta il sale in un orcio sottile, senza pece, e lo si lasci sul fuoco sin quando continua a
"emettere un suono" (tamdiu torretur quamdiu strepitum edit). Anche nel caso del-
la "tostatura", dunque, alfrigere si associa il tratto dello 'sfrigolio'.
Ci pare dunque che il "fritto" non abbia nella cucina romana (ma mi domando

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------------------------- MAURIZIO BE1TINI

se lo abbia davvero anche altrove) uno statuto autonomo e indipendente. Per inqua-
drarlo nel sistema, non c'è bisogno di rompere il nostro triangolo gastronomico: ba-
sta collocarlo all'esterno di esso, immaginandolo come una forma rinforzata, alter-
nativamente, del polo assus (quando si tratta difrigere "tostando") e del polo ex iu-
re (quando si tratta di frigere in liquidi di cottura). In altre parole, per ottenere un
Jrictum è sufficiente ''abbrustolire'' qualcosa che potrebbe semplicemente risultare
"prosciugato" (areo), ovvero fare in modo che degli usuali liquidi di cottura rag-
giungano lo stadio del fervere: questa sembrerebbe essere l'armatura 'logica' ele-
mentare delfrigere.
Si aggiunga però che, come nel caso dell'elixum, il liquido di cottura non viene
concepito come facente parte della vivanda, che ne è estratta al momento della con-
sumazione. Questo differenzia nettamente ilfrictum dall'ex iure, e lo avvicina, co-
me si diceva, all'e/ixum. Si potrebbe quasi dire che, da tale punto di vista, ilfrigere
risulta un e/ixareviolento, a tutto calore, in liquidi diversi dall'acqua.
Il modello che abbiamo proposto colloca il fritto in una posizione in qualche
modo ambigua, o meglio subalterna, nella cucina romana: il suo statuto non sembra
essere cosi ben disegnato come nella nostra cultura. Questo carattere, però, corri-
sponde bene a una serie di tratti concomitanti, che val la pena di analizuu-e in chiu-
sura di queste osservazioni. Per esempio, accanto all'assenza di un liquido preferen-
ziale che caratterizzi questo genere di cottura (cosa abbastanza inconcepibile, per la
nostra tassonomia), andrà ricordato il fatto che in Apicio le ricette del "fritto" sono
quantitativamente poche, e limitate a un numero ristretto di alimenti 20•
Ciò mostra che, almeno nella cucina di tipo "alto", il fritto svolgeva un ruolo
abbastanza secondario. Ma è un'altra, singolare assenza che colpisce la nostra atten-
zione. Scomponendo il "fritto" nei suoi tratti distintivi, infatti, noi non potremmo
evitare di mettere in primo piano il carattere "croccante": come immaginare un frit-
to di tipo "molle"?
Al contrario, alcuni indizi mostrano che questo tratto non era ritenuto partico-
larmente rilevante nei fritti Romani - almeno, al solito, in quelli di Apicio. Non so-
lo, infatti, l'assenza dell'olio come liquido preferenziale avrà automaticamente ini-
bito una certa assenza del carattere "croccante"; ma, regolarmente, i fritti di Apicio
vengono ricoperti da uno ius, o da qualche altro liquido, che immediatamente avrà
provveduto a renderli umidi e molli 21•
Spesso accade, anzi, che vengano fritte vivande già precedentemente "lessa-
22
te" : anche questo, va contro ogni possibilità di ottenere un fritto molto croccante.
Il fatto è che le vivande fritte spesso non vengono neppure consumate a questo sta-
dio, ma entrano nella composizione di piatti ulteriori 23: subendo cioè un processo di
seconda cottura. In altre parole, il fritto sembrerebbe esser concepito frequentemen-
te come un punto di passaggio, uno stadio intermedio: non come una vivanda com-
pleta in sé. Allo stesso modo di quando lo si ricopre di uno ius che ne ammorbidisca
i contorni troppo rilevati, e lo trasformi in qualche cosa d'altro: di non "croccante"
(noi diremmo: "di non fritto").
Sappiamo che ai bambini romani - come, crederei, a qualunque bambino - il
cibo "croccante" risultava particolarmente gradevole 24 : quale sarà stata, allora, la
loro opinione sui fritti di Apicio?

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HOMO EDENS-----------------------------

NOTE

1) Loc. cit. Gloss. 5,650, 26: v. anche Ism. or. 20, 2, 22.
2) Su quest'uso di ex, cfr. M. 8ETJ1N1,Bruto lo 8) Cfr. EJlNoUT-MEIU.BT s. v. lixa;
sciocco:in casi come ex me/le, ex resina,ex vi- 9) Cfr. supra n. 2.
no ecc. si indica che un certo alimento è "ac- 10) I, 6, I; 2, 26, I; 2, 28, I ecc.
compagnato da", messo "sotto a" ecc. 11) Pl.AUT.as. 179 sg. eum (scii.piscem recentem)
3) Non certo ad ardeo (ard-tus>ar(s)sus),come quovis pacto condias ve/ patinarium ve/ as-
si legge in A. EllNoUT, Notes de philologie sum: Hoa. sat. 2, 4, 38: ignarum qu/bus at
Latine, Genève-Paris, 1971: e vedi ERNOUT- ius aptius et quibus assis;APuL. ap. 39 qua/i-
MEILLETs. v. Infatti, la sequenza • ar(s)sus ter assusaut iurulentusoptimesapiat.
non avrebbe avuto nessun motivo per assimi- 12) Originedelle buone manierea tavola, trad. it.
larsi in assus: cfr. arsi, arsum ecc. D'altro la- Milano, 1971, 440 (ma già apparso ne
to, anche con la semantica non ci saremmo "L'arc" 26, 1965, 38 sgg.).
per nulla: il rapporto con ardeo renderebbe 13) Cfr. CATOagr. 106, 1; OV. med. 70; PuN. n.
infatti inspiegabili espressioni come assa nu- h. 18, 72; PBLAOON. 460; CHJllo. 441 ecc.
trix "balia asciutta" (cfr. infra, n. 6). Resta 14) AP1c. 12, 122, 137, 147, 148, 204, 265, 267,
comunque il fatto che - se pure più prossimo 295 ecc.
ad areo che ad ardeo - il termine assus lascia 15) AP1c. 298, 301, 306, 323 (si tratta di dolci,
aperta qualche perplessità sul suo rapporto bulbi e lumache); per le uova, cfr. PuN. n. h.
fonetico con as-. Si veda però cassus "privo 29, 43.
di", da intendersi forse come aggettivo colle- 16) Si tratta naturalmente di pseudoetimologie: in
gato a careo, con raddoppiamento 'espressi- fritinnio, friguttio, la -i- è breve, cosi come lo
vo' ·SS· (cfr. ERNOUT-MEILLET s. v.): e tutta è nel f riges("vagire", o forse emettere picco-
una serie di forme aggettivali in -assuse -os- le grida: di una bambina) di AFRAN.247.
sus (lassus, crassus, Bassus (bassus), cossus, 17) Cfr. p. es. PuN. n. h. 18, 98 e 72; Th. I. L.
grossus)che possono appartenere a uno stesso Sulla "tostatura" dei cereali cfr. J. M. AN-
paradigma aggettivale 'espressivo' con rad- DllÉ, L 'alimentationet la cuisineà Rome, Pa-
doppiamento della -s-. ris, 1961, 57 sgg.
4) F. MENCAcc1, Sanguislcruor. Designazioni 18) Cfr. p. es. Tm. 1, 10, 49; Ov. pont. 2, 9, 44
linguistiche e classificazione antropologica ecc.
del sangue nella cultura romana, "Nat. disc. 19) Sul salfrictum cfr. la nota di J. M. ANDRÉ ad
an. testi class." 17 (1986), 25 ss. AP1c. 6 (Apicius, L'art culinaire, Paris,
5) Cruor appartiene, come noto, allo stesso radi- 1974).
cale di crudus:cfr. F. MBNCACCI,op. cit., 44- 20) Si tratta soprattutto di pesci, alcuni ortaggi
45. (cucurbilaee carote) uova, fave fresche, ofel-
6) Il rapporto fra assused areo è anzi in grado di lae, dolci, «bulbi, lumache.
motivare un uso linguistico del latino a tutta 21) Cfr. p. es. 77 e 79 (cucurbitaefrictae cum iu-
prima sconcertante: ossia il sintagma assanu- re), 204, 298 e 30 I (dolci fritti e ricoperti poi
trix (cfr. Th. I. L.): non si tratta evidentemen- con miele) ecc.: cfr. ANDllÉ, L'alimentation,
te di una nutrice "arrostita", ma di una sem- cit., 111.
plice "balia asciutta": quae lac non praestat 22) Cfr. p. es. APtc. 295, 306: ANDRÉ, L 'alimen-
infantibus, sed solum diligentiam et mundi- tation, cit., 223.
tiam adhibet. (schol. luv. 14, 208). La balia 23) Cfr. p. es. AP1c. 137, 140, 150.
asciutta è una nutrice che aret: una nutrice 24) Si rammenti la simpatia infantile per i crustu-
che non ha in sé quel sucus che costituisce il la: HoR. sat. I, I, 25 ut pueris olim dant cru-
lac da praestareal bambino. stula blandi I doctores; SBN. ep. 99, 27: sic
7) Cfr. anche VA.llll. I.L. 5, 109; Non. 62, 8; conso/amurcrustulopueros.

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IL FRITTONEL MONDO GRECO

di Giuseppe Pucci

Abbiamo fin qui visto un modello di tassonomia culinaria - il modello romano -


nel quale il fritto appare una pratica che non riesce in sostanza ad acquisire una va-
lenza autonoma, a collocarsi all'esterno dell'opposizione primaria tra arrosto e bol-
lito 1• Quanto a queste due polarità, sembrerebbe dimostrato che l'arrosto è una car-
ne prosciugata dei suoi umori, mentre il contrario è - o dovrebbe essere - per il
bollito.
Ma i Greci come la pensavano in proposito? Presi tutti insieme non saprei, ma
qualcuno la pensava certamente in modo diverso. Nei Problemata (865b, 884b,
966), ma soprattutto nel IV libro dei Meteorologica) (380b) - di cui pochi tutto
sommato contestano l'autenticità 2 -Aristotele sostiene decisamente che l'arrosto è
più umido del bollito. L'apparente paradosso è cosi spiegato: nel processo di bolli-
tura il calore del liquido esterno estrae l'umidità dal cibo sottoposto a cottura, che
risulta quindi essiccato, mentre nell'arrosto la formazione di uno strato secco ester-
no consente la conservazione all'interno di tutti gli umori originari.
E il fritto? Aristotele ammette che il cibo cotto sulle padelle (epf tf>n ti!gdnDn)
pone qualche problema classificatorio. Nonostante cuocia in un liquido, esso non si
può considerare propriamente bollito. Il liquido infatti viene assorbito dal cibo, e
non viceversa, come nel bollito. La pietanza dunque optata, viene arrostita, o me-
glio rosolata dal calore esterno 3•
Aristotele parla di liquido (hygrdn), ma non nomina esplicitamente la frittura
in olio (anche se di olio parla subito prima e subito dopo).
Esplicito è per fortuna Alessandro di Afrodisia, commentatore del 11/111sec.
d.C. 4 , forse perché imbarazzato dalla scotomizzazione da parte del Maestro di una
pratica culinaria diffusa. Interpretando Arist., 380b, egli ribadisce che i cibi fritti
sono cotti dal calore esterno secco del fuoco che riduce il liquido posto nella padella
- e qui nomina finalmente l'olio - a vantaggio del cibo che l'assorbe. L'olio in-
somma non vince l'umidità di ciò che in esso è fritto, ma è vinto da essa. Quindi i ci-
bi fritti sono più umidi dei cibi lessi, e in ciò più simili ai cibi arrostiti.
È il caso di ricordare qui che l'olio ha posto più di un problema alla scienza gre-
ca, tant'è che per Galeno (de simpl. medie., II, 25) esso sta a metà tra gli elementi
caldi e quelli freddi, e ancora a metà tra quelli essiccanti e quelli umidificanti.
Ma quello che più importa notare è che da Aristotele-Alessandro emergechia-
ramente una divergenza rispetto al modello romano. Il fritto si oppone al bollito in

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HOMO EDENS ---------------------------

maniera netta, accostandosi invece - se non dal punto di vista culturale certo da
quello chimico e biologico- al polo opposto, quello dell'arrosto.
Però c'è anche un punto di tangenza. Alessandro dice infatti che si può friggere
in olio come in altra sostanza umida 5 • Frittura si direbbe pertanto ogni processo che
abbia come risultato il formarsi di una crosta rosolata e l'assorbimento del liquido
di cottura (o quanto meno la non cessione dell'umidità interna). Qualcosa di simile
al nostro brasato 6,e dunque a certi tipi di cottura ex iure, laddove ilfrictum latino
appunto in ciò si differenziava dall'ex iure, nel non doversi considerare il liquido di
cottura facente parte della vivanda.
Ne segue anche che, proprio perché conserva in misura maggiore l'originaria
umidità, un cibo fritto è in certo senso più vicino allo stato naturale di un cibo bolli-
to. Non a caso nella società indiana il cibo fritto si colloca tra il cibo crudo, che può
essere dato e preso da ogni casta perché non trasmette nessuna impurità, e il cibo
bollito nell'acqua, che invece presenta maggiori pericoli di contaminazione nei rap-
porti tra caste diverse 7 •
A proposito di caste, viene in mente quanto afferma spiritosamente Brillat-Sa-
varin nella sua celebre Physiologie du gout (1825): «Les professeurs ne mangent ja-
mais du bouilli, par respect pour les principes et parce qu'ils ont fait entendre en
chaire cette vérité incontestable: le bouilli est de la chaire moins son jus» 8 • In altri
passi della stessa opera si loda il fritto perché mentre «l'eau dissout et entraine les
sucs intérieurs des aliments qui y sont plongés [... ] l'huile ne peut pas les dissoudre».
E si spiega: «Tout le mérite d'une bonne friture provient de la surprise; c'est ainsi
qu'on appelle l'invasion du liquide bouilliant qui carbonise ou roussit, à l'instant
meme de l'immersion, la surface extérieure du corps qui lui est soumise. Au moyen
de la surprise, il se forme une espèce de voute qui contient l'objet, empeche la grais-
se de le pénétrer, et concentre le sucs, qui subissent ainsi une coction intérieure qui
donne à l'aliment tout le goOt dont il est susceptible» 9 • Si direbbe quasi una profes-
sione di aristotelismo.
Ma lasciando da parte filosofi e intellettuali, ci rimane sempre da chiederci cosa
pensavano del fritto gli antichi in generale. Il mondo romano, lo abbiamo visto, non
lo teneva in gran conto in quanto tale. In Apicio quasi sempre le pietanze fritte ven-
gono ricoperte da salse varie e rimesse al fuoco. Evidentemente non piaceva il gusto
del croccante, quello stesso che invece oggi noi indiscutibilmente amiamo, come ha
mostrato Roland Barthes in un celebre saggio - che però per le sue dimensioni è po-
co più che un assaggio 10•
La categoria di crisp - che si oppone per Barthes a quella di sweet - compren-
de non tanto ciò che è salato ma tutto ciò che è croccante, secco, friabile (pensiamo
alle chips). Al crisp attribuiremmo addirittura «une vertue presque magique, un cer-
tain pouvoir de reveil opposé au caractère liant, lenifiant des nourritures sucrées».
Ma in generale neanche oggi il fritto è associato all'idea di gastronomia, bensì a
quella di tavola calda, di cibo economico e senza pretese da consumare magari per
strada: patatine, suppli, crocchette, frittelle. L'odore pesante del fritto è un odore
plebeo. Inoltre la frittura è un modo di cottura sbrigativo, che di per se stesso non si
rapporta all'alta cucina.
E in Grecia? L'impressione è che anche qui il fritto sia tutto sommato una pra-
tica culinaria debolmente connotata e meno apprezzata di quanto ci si potrebbe
aspettare in una regione mediterranea, in cui l'olio occupa un posto di spicco nella
dieta.

46------------------------------
-------------------------- GIUSEPPE PUCCI

Non è forse un caso che i pochi giudizi qualitativi che la letteratura greca ci ha
lasciato sul fritto siano giudizi negativi: Menandro, riportato da Polluce (10, 98) de-
finisce i tegenismoi, i piatti fritti, come hypophauloi, ossia mediocri, volgari. Ate-
neo (90E), parlando di certi molluschi, dice che si mangiano bolliti o fritti, ma che
sono molto meglio quelli arrostiti sulla brace. Del resto, chi non sa cucinare il pesce
lo frigge, dice un nostro proverbio 11• I medici poi hanno sempre messo in guardia
contro i cibi fritti, per la loro pesantezza (HIPP., de regime, 541; GAL., de protis pra-
visque alim.).
Ma cosa si friggeva infine nell'antica Grecia? A parte pesci, molluschi (ATBEN.
107 sq.) e uova (ATBEN. 91), perlopiù focacce. Il teganltes drtos, pasta fritta in olio
con ripieno di formaggio (HESYCH., ATBEN. 115 E) è l'antenato dell'odierna tiropi-
ta, una specie di calzone venduto da bancarelle o da ambulanti.
In olio si friggevano anche i dolci, come certi tipi di pémmata o plakofJntes (in
latino placentae) e il ldganon, ma si dà il caso che per Orazio (Sat., I, 6, 115) anche
quest'ultimo sia un cibo ben modesto! Una cosa però va chiarita: il fatto che il fritto
non godesse di alta considerazione gastronomica non vuol dire che fosse poco usato
nella vita di tutti i giorni, specie dagli strati sociali più bassi.
Qualcosa di più in proposito può dire l'archeologia. Uno studio sulle padelle
antiche purtroppo ancora non esiste 12• Quelle metalliche in genere non si sono con-
servate, tranne che a Pompei, dove ne esistono parecchie, ma inedite 13• Sono me-
glio conosciute le padelle in terracotta. In particolare ne conosciamo un tipo in cera-
mica piuttosto pesante e poco depurata, a fondo piatto con bassa parete svasata e un
breve manico provvisto di foro per l'inserzione di una prolunga in legno, un partico-
lare questo che si spiega proprio con l'alta temperatura che si raggiungeva durante la
frittura, e che manca in altri vasi usati per cuocere in acqua (figg. 1-2).
Questo tipo di padella si trova prevalentemente in Grecia e nell'Egeo: Atene,
Corinto, Perachora, Demetriade di Tessaglia, Sifno, Thera, Cnosso, Berenice, Le-
sbo, Pergamo, Tarso ecc. Ma si trova anche a Sibari, a Pompei, a Ostia e a Cosa. La
sua cronologia va all'incirca dal I al III secolo 14.
L'interesse di questi oggetti è duplice: il fatto che siano in terracotta, molto po-
co raffinata, ci conferma che il fritto aveva piena cittadinani.a nelle cucine più mo-
deste; d'altra parte è molto interessante il fatto che sembrano provenire da un unico
centro di produzione. Alcune particolarità tipologiche ts e le analisi mineralogiche 16
indicherebbero questo centro nell'isola di Egina.
Ci sarà stato pure un motivo per cui degli oggetti così umili erano esportati su
lunghe distanze e preferiti ad altri di produzione locale. Il segreto stava forse in
un'argilla particolare, che le rendeva particolarmente adatte a friggere?
Purtroppo il caso vuole che mentre molti autori menzionano, per esempio, le
Patellae di Cuma 17, nessuno, neanche il pedante Ateneo, ci parla delle padelle di
Egina 18• Si direbbe che anche i cocci habent sua fata.

Fig. I. - Padella In terracotta dell'Agorà di Atene (n. Fig. 2. - Padella in terracotta da Knossos (da Hayes,
inv. G. Il4) art. cit., n. 102).

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HOMO EDENS-----------------------------

NOTE

I) Tralascio ogni ulteriore riferimento al trian- cucina di Pompei, in L 'instrumentum dome-


golo culinario di Lévi-Strauss anche alla luce sticum di Ercolano e Pompei nella prima età
delle critiche di J. GoooY, Cooking, cuisine imperiale, Roma, 1977, tav. LI, 6. Qualche
and class,New Yor'k, 1984, p. 22 sgg. altro esemplare è presentato in La quincaille-
2) Cfr. P. LoUIS, Aristotele, Meteorologiques, rie antique, a cura del Oroupe "Archeologie
livres Ili et IV, Les Belles Lettres, Paris, antique" du Touring Club de France, Paris,
1982, pp. X-XVIII. Altre edizioni importanti 1979, pp. 50-51. Si veda anche il disegno in A.
di quest'opera sono quelle di F. H. FoBES, P1ce, Dizionario delle antichità grechee ro-
Aristotelis Meteorologicorum libri quattuor, mane, ed. ital., Milano, 1869, s. v. sartago.
Cambridge, 1934 e, relativamente al IV libro, 14) Parte della bibliografia relativa è riunita in J.
di I. DURINO,Aristotle's Chemical Treatise RILEY,The Coarse Pottery, in Excavations at
Meteorologica, Book IV, Goteborg, 1944. Sidi Khrebish, &nghazi (Berenice),Suppi. to
3) Il LoUIS,op. cit., p. 39, traduce appunto "ris- "Libya Antigua" V, 2, Tripoli, 1979, p. 254
solé", laddove il DURINO,op. cii., p. 38, tra- sgg. Ai lavori ivi citati vanno però aggiunti i
duceva "broiled". seguenti: H. DRAGENDORFF, Thera Il, Berli-
4) Cfr. Alexandri in Meteorologicorum libros no, 1903, p. 297, fig. 486; s. LOESCHCltE,Die
commentarium, ed. P. Wendland, Berlino, Arbeiten zu Pergamon 1910-1911, in "Athe-
1901. Si veda anche la traduzione inglese a cu- nische Mitteilungen", 1912, p. 393-4, fig. 10,
ra di V. C. B. CoUTANT,Alexanderof Aphro- 10; M. OIANNELLI,Ostia I, "Studi Miscella-
disia, Commentary on Book IV of Aristotle's nei", 13, Roma, 1968, p. 94, tav. 19; K. Su-
Meteorologica, New York, 1936 e quella lati- NE Wright, A Tiberian Pottery Deposit /rom
na di Ouillaume de Moerbeke edita da A. J. Corinth, in "Hesperia" 49, 1980, p. 155, n.
SMBT,Alexandre d'Aphrodisias, Commentai- 77, tav. 31; J. EIWANOBll,Keramik und Klei-
re sur le Meteores d'Aristotele, Lovanio-Pari- funde aus der Demokratia-Basilika in Derne-
gi, 1968. trias (Demetrias IV), Bonn, 1981; J. W. HA-
5) Thermainoménou gàr toQ en ti> tag!no YES,The Villa Dionysos Excavations, Knos-
ela(ou enhl>dn hygrl>. sos: The Pottery, in "Annals of the British
6) Il Lessico Universale Italiano dell'Istituto del- School at Athens", 78, 1983, p. 107, fig. 9, p.
l'Enciclopedia Italiana definisce il brasato co- 127, nn. 99-102.
me una carne «cotta a fuoco lento, in modo Un riesame di questa classe è stato condotto
che lo strato abbrustolito alla superficie impe- da Caterina Coletti per la pubblicazione dei
disca ai succhi interni di andare dispersi». reperti delle Terme del Nuotatore di Ostia (in
7) Cfr. R. VALBNSI,in Enciclopedia, Torino, Ostia V, in c.d.s.). Desidero ringraziarla per
1977, s. v. Alimentazione, p. 354. avermi messo a disposizione i dati risultanti
8) Physiologie du Gout, Des aliments en generai, dal suo lavoro.
sect. II, par. 2. 15) Cfr. HAYES, art. cii., p. 107.
9) lbid., Theoriedelafriture, par. 1-2. 16) Eseguite da T. Mannoni, dell'Università di
10) Pour une psycho-sociologie de l'alimentation Genova, che ringrazio per le informazioni an-
contemporaine, in "Annales E.S.C" 16, cora inedite.
1961, pp. 977-86. 17) Cfr. O. Pucc1, Comunae testae, in "La Paro-
Il) Cfr. Atlante paremiologico italiano, "Studi la del Passato", 164, 1975, p. 368 sgg., dove
urbinati", Suppi. linguistico 3, Urbino, 1981- se ne stabilisce l'identificazione con i vasi "a
84, 5. 3. 18. 3. Debbo questa e tante altre in- vernice rossa interna" o "a engobe rouge
formazioni al collega Pietro Clemente, che pompeien".
qui ringrazio. 18) Tuttavia Egina fu famosa per la produzione
12) Un punto di partenza è lo spoglio delle fonti di terraglie, tanto da meritare l'epiteo di chy-
letterarie fatto da W. HILOERS,Lateinische tropolis. Cfr. Comicorum Atticorum Frag-
Gefaessenamen, Bezeichungen, Funktion und mento III, p. 527, nr. 669 Kock. Che si trat-
Form roemischer Gefaesse nach den antiken tasse di produzioni poco raffinate si desume,
Schrijtquelle, Dusseldorf, 1969. oltre che dai comici, da STRABONs 8, 376. De-
13) Una è pubblicata in fotografia come confron- vo all'amicizia di O. Nenci la segnalazione di
to da M. ANNECCHIN0,Suppellettile fittile da queste fonti.

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IL ''MILK COMPLEX''
FRA I BANTU ORIENTALI

di Piero Matthey

L•espressione milk complex evoca quella, molto più nota e affermata, di cattle
complex, usata da Melville J. Herskovits alcuni decenni fa. Essa costituì infatti il ti-
tolo di un lungo articolo, The Cattle Complex in East Africa, comparso nel 1926
sull"'American Anthropologist". Lo studioso americano mise in evidenza l'impor-
tanza cruciale che il bestiame, i bovini in particolare, aveva presso varie popolazioni
dell'Africa orientale dal punto di vista economico, sociale, religioso. In opere più
tarde, Herskovits ribadì il suo punto di vista, sottolineando come tale complesso
esercitasse un ruolo dominante sul loro modo di vivere e fosse il fattore principale,
che dava senso e coerenza alla loro esistenza.
Recentemente, in una breve lettera alla rivista "Man" (dicembre 1985) Lucy
Mair ha ricordato le vicende, che portarono alla nascita della frase citata. Hersko-
vits fu uno dei primi etnologi americani a lavorare in Africa, più esattamente nel
Kenya. In America predominava allora una visione della cultura, intesa quale som-
ma di elementi. Si procedeva al confronto globale di cultura, come fece Ruth Bene-
dict in Patterns of Culture (1934), oppure si indagava se determinati tratti culturali
fossero sorti indipendentemente in luoghi diversi oppure si fossero diffusi da un uni-
co centro. Era importante quindi identificare complessi culturali, in modo analogo a
quanto aveva fatto per lungo tempo la scuola viennese della Kulturkreislehre.
Un simile complesso era tipico di popoli allevatori. Ciò fu osservato da Hersko-
vits nell'Africa orientale. L'articolo citato comparve quando le opere di Sigmund
Freud venivano conosciute in Gran Bretagna e, di riflesso, anche nei territori colo-
niali inglesi. Fra i coloni europei in Kenya diventò familiare la frase: «They bave a
cattle complex», con riferimento alle popolazioni indigene pastorali. Secondo i cri-
teri economici moderni, l'allevamento deve essere rivolto a un fine essenziale: fare
degli animali la fonte costante e sicura di latte e carne, e soddisfare così le necessità
alimentari degli uomini. I criteri seguiti in altri continenti sono molto diversi dai no-
stri, ma per tale motivo non sono meno fondati e ragionevoli. L'ossessivo interesse
per gli animali, per mandrie le più numerose possibili, la loro rara macellazione, li-
mitandosi prevalentemente a sfruttare i prodotti delle bestie vive, vale a dire il latte,
tutto ciò presenta aspetti di ostentazione, ma contemporaneamente è sensato da un
punto di vista economico.
Milk complex vuole sottolineare invece il fatto che al latte viene attribuito il va-
lore supremo, non tanto come unico alimento, anche se cibo preferito, quanto come

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HOMO EDENS ---------------------------

il bene che riassume in sé ciò che di positivo e desiderato esiste sulla faccia della ter-
ra. La sua mancanza equivarrebbe a un disastro e alla fine di quel mondo, che lo ha
innalzato a proprio emblema e simbolo. La sua preminenza è di carattere culturale.
Ne consegue che esso è considerato superiore ai cibi solidi, cui si trova deliberata-
mente contrapposto.
Nella regione dei grandi laghi in Africa orientale si incontravano varie società
stratificate, in cui un'aristocrazia pastorale, talora numericamente esigua, domina-
va sulla maggioranza dei coltivatori. Tale situazione era comune ad alcuni regni tra-
dizionali dell'Uganda, cioè Bunyoro, Toro, Ankole e tipica, in modo particolare,
del Burundi e del Rwanda. I Bantu interlacustri sono stati oggetto di numerose e ot-
time indagini etnografiche. Esse offrono la possibilità di sistematiche comparazioni
e permettono di ricostruire, e capire bene nel complesso, la successione degli eventi
che hanno portato al costituirsi dello stato di cose studiato dagli etnologi in questo
secolo. Mi limiterò a prendere in esame il Rwanda.
Un profondo conoscitore della regione, il belga Jan Vansina, ha riassunto a
grandi linee L 'évolution du royaume rwandades originesà 1900. Cosi suona il titolo
di una sua opera del 1962. Ci si trova di fronte a un fenomeno tipico di questa parte
del continente africano. Gli autoctoni sono cacciatori e raccoglitori, oggi sparuta
minoranza dell' 1% , i Twa; immigrati più recenti sono i coltivatori, gli H utu; ultimi
giunti, provenendo dall'Est, gli allevatori, i Tutsi.
Non si deve pensare a campagne belliche folgoranti, a vittorie decisive seguite
da trattati di pace che modificano confini e insediano una nuova autorità politica. I
Tutsi, come gli Hima in Uganda, sono penetrati lentamente in una regione dove esi-
stevano piccoli stati o principati hutu, retti da un re divino (umwaam1),simbolo e re-
sponsabile rituale del benessere del suo dominio. Nella regione del Mutara, nell'e-
stremo nord-est del R wanda, sembra che i pastori abbiano occupato le pianure e che
gli Hutu si siano ritirati a coltivare i terreni collinosi più fertili. La loro coesistenza
era basata solo su rapporti di ordine commerciale, con scambio di prodotti della ter-
ra e dell'allevamento. Pare che gli Hutu avessero, sia pure in quantità limitata, del
bestiame. È significativo che i capi dei piccoli domini hutu fossero sepolti avvolti in
una pelle di toro.
In una fase successiva si ebbe la colonizzazione del paese da parte tutsi e l'esten-
dersi della loro supremazia. Ma questo fenomeno è stato sensibilmente diverso nel
Rwanda, da regione a regione. Tuttavia il problema del pieno dominio economico e
politico dei Tutsi sugli Hutu non si pone per il momento. Più tardi si hanno razzie
tutsi, e abbastanza facilmente viene sconfitta la debole organizz.azione militare bu-
tu. Inoltre il prestito di bestiame da parte di piccoli lignaggi tutsi agli Hutu, sotto
forma di ubuhake (il contratto di clientela), avrebbe dato origine a esigui domini
comprendenti alcune colline. Dalla riunione di vari domini ne sarebbero nati di più
grandi, quindi si ha la costituzione di stati tutsi. Questa lenta evoluzione, che pare
abbracciare almeno uno o due secoli, ha visto l'affermarsi della minoranza tutsi
(170/o). In ultimo essa giunge a prevalere sulla stragrande maggioranza hutu (830/o).
Tale processo si conclude nel '400 e nel '500 con la nascita del Mubari, Gisaka e del-
lo Nduga.
Nello stesso periodo, all'inizio appunto del '500, il Rwanda propriamente det-
to, quello centrale, è un piccolo stato, confinante con quelli dello Ndorwa e del Gi-
saka, e gravita ancora nell'orbita del vicino Bugesera. Nonostante le grandi difficol-
tà incontrate nel tentare di ricostruire le vicende della regione, i limiti delle fonti ora-

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-------------------------- PIERO MATIHEY

li su cui ci si deve basare, le alterazioni e manipolazioni subite da queste nel corso del
tempo, almeno a grandi linee ne conosciamo la storia.
Il regno del Rwanda si è costituito a partire da un nucleo, un esiguo territorio,
al cui esterno si trovavano zone di conquista dai limiti incerti, ed oltre regioni razzia-
te, quando se ne presentava l'occasione. Le sue mire espansionistiche si rivolsero sia
ad altri territori governati da Tutsi sia ai domini hutu. I Tutsi del Rwanda si videro
costretti ad adattare la loro conquista alle popolazioni sottomesse. Lo dimostra la
varietà delle istituzioni amministrative, create qua e là. Essi amministrano pertanto i
territori inglobati nel Rwanda con criteri disuguali, a seconda delle circostanze e del
luogo.
A Ovest del Rwanda centrale, gli Hutu non tollerarono la perdita della loro so-
vranità e l'essere poi ridotti in una situazione di netta inferiorità sociale, sancita una
volta per tutte. La forza delle armi tutsi li domò ma non in modo definitivo, come è
dimostrato dalle numerose rivolte. Tale situazione perdurava ancora all'inizio del
secolo attuale. Nel Rwanda centrale il dominio tutsi fu indiscusso e nacque una so-
cietà di caste.
Si è molto discusso sulla opportunità di evocare un'istituzione propria del sub-
continente indiano per rendere conto di fenomeni sociali di questa parte dell'Africa.
A ogni modo, un aspetto comune è costituito dai postulati, su cui si basano i rappor-
ti fra le quattro caste indiane e, in Rwanda, fra Tutsi, Hutu e Twa. Questi sono stati
riassunti da parte di J. J. Maquet a conclusione di una fra le migliori opere dedicate
al Rwanda, comparsa prima in francese nel 1954: Le système des relations socia/es
dans le Ruanda ancien, e poi in inglese nel 1961: The Premise of /nequality in Ruan-
da: A Study of Politica/ Relations in a Centrai African Kingdom.
I principi basilari sono delle premesse, nel senso che automaticamente determi-
nano e reggono i rapporti umani, fanno parte dell'ordine considerato naturale e
quindi non possono essere alterati. Maquet li ha enunciati in dieci teoremi, inten-
dendo per teorema, sulla scorta dello Shorter Oxford English Dictionary «una pro-
posizione o un'affermazione generale, non evidente di per se stessa» ma che pervade
senza scampo ogni aspetto dell'esistenza umana. Tutto ruota intorno al fatto che l'i-
neguaglianza è essenziale (I 954, p. 190).
Ciò è ribadito dai miti delle origini, di ovvia matrice tutsi. Essi sanciscono una
volta per tutte le differenze fra i tre strati della società rwandese. È reso evidente an-
che dal diverso aspetto fisico di Tutsi, Hutu e Twa. I primi, di razza etiopide, dalla
pelle relativamente chiara, sono individui alti, slanciati, nel complesso esili e magri,
non adatti - si afferma - al lavoro manuale, ma solo alla nobile arte del governo.
Quanto conta è lo stereotipo, che viene cosi a essere creato e socialmente accettato,
anche se la realtà non coincide pienamente con esso.
Gli Hutu sono invece più bassi, tozzi, robusti, con fisionomia più grossolana.
Ne consegue, nella visione del mondo tutsi, che essi siano naturalmente adatti ad af-
frontare le fatiche della coltivazione della terra e dell'allevamento del bestiame, con-
cesso loro dall'aristocrazia dominante sotto forma di contratto di clientela. I diritti
ultimi sui capi di bestiame restano però nelle mani dei Tutsi. Più in basso ancora so-
no i Twa; il loro stereotipo fisico è di fatto più animale che umano.
Di pari passo procedono le qualità morali e spirituali: i Tutsi sono maestri sul
terreno difficile dell'attività politica, destinati a comandare, capaci di dominare i lo-
ro sentimenti e di apparire distaccati, dotati di un gusto raffinato. Gli Hutu sono
estroversi, facili ad adirarsi, obbedienti, privi di buone maniere. I Twa, leali ai loro

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HOMO EDENS ---------------------------

signori tutsi, ma pigri e privi di qualsiasi senso del limite. Ciò appare chiaro soprat-
tutto nella loro tendenza a divorare il cibo in grande quantità. È possibile ora torna-
re all'argomento accennato all'inizio, al tema del milk complex.
Nel Rwanda l'agricoltura e l'allevamento costituivano la base dell'alimentazio-
ne, con sensibili differenze tuttavia a seconda del gruppo sociale di appartenenza.
La caccia aveva un'importanza secondaria; offriva ai Tutsi un'occasione di diverti-
mento, pelli e avorio, mentre la carne degli animali uccisi era riservata ai Twa. La
pesca era inesistente, i pesci essendo rifiutati come cibo da tutte tre le caste.
Le piante alimentari comprendevano cereali quali il sorgo, l'eleusine e il mais,
patate dolci, zucche, fagioli, banane, queste ultime consumate dopo averle fatte bol-
lire. Molto diffuse e popolari erano le bevande fermentate, preparate di solito con
prodotti vegetali: birra di sorgo oppure banana, ma anche idromele.
Da parte sua l'allevamento contribuiva in misura limitata, in quanto i bovini
non erano tenuti per essere sistematicamente macellati e consumati. Il loro ruolo nel
creare e mantenere rapporti sociali era ben superiore a quello economico. Solo le
mucche con vitelli erano munte. La produzione media risultava molto bassa: oscilla-
va fra un litro e un litro e mezzo per animale, comprendendo quanto era consumato
dal vitello. Proprio la rarità del latte contribuiva a fame il cibo per eccellenza, l'ali-
mento preferito e sognato in particolare dai Tutsi. Per imitazione lo stesso punto di
vista era condiviso dagli Hutu, ma soddisfarlo avrebbe richiesto un notevole nume-
ro di capi di bestiame, al di là ovviamente delle possibilità concesse dal contratto di
clientela.
Vale la pena di mettere a confronto le diverse diete dei Tutsi, Hutu e Twa, ma
soprattutto il modo in cui erano considerate e valutate. Quella dell'aristocrazia pa-
storale era nel complesso più liquida che solida, basata su latte fresco e cagliato, bir-
ra di banane e idromele. A1 mattino e al mezzogiorno predominava il latte cagliato;
idromele e birra rendevano più piacevoli le lunghe conversazioni con amici e clienti.
Di solito esse avevano luogo nelle ultime ore del pomeriggio e nella tarda serata, do-
po la cena. Proprio all'unico vero pasto della giornata, quello serale, erano riservati
banane e fagioli bolliti, conditi con burro caldo. La carne vi compariva molto di ra-
do. Va da sé che mentre si mangiavano questi cibi solidi, si beveva latte.
Sono quanto mai significativi i dati di un'inchiesta riguardante i consumi ali-
mentari, svolta nel 1968 fra i pastori Hima, nell'estremo Nord-Est del Rwanda, non
lontano dal confine con l'Uganda. Gli apporti energetici e quelli proteici, calcolati
in percentuale rispetto ai bisogni teorici dell'organismo umano, erano rispettiva-
mente del 1.70Joe 1.60Jo,nel caso di un cereale, il sorgo. Si passava al 5.30Joe 9.IOJo
per i fagioli, ma per latte e derivati si balzava al 62.80Joe addirittura al 132.30Jo.La
dieta degli Hima era quasi esclusivamente lattea. Gli autori dell'indagine sottolinea-
no come il regime alimentare fosse relativamente povero da un punto di vista ener-
getico, ma ricchissimo di proteine di buona qualità (VIS, Y OUR.ASSOWSICY e v AN DEll
BoROHT, 1972, pp. 93-94).
L'alimentazione degli Hutu comprendeva invece poco latte, ed era basata su
due pasti principali nel corso della giornata. Vi figuravano piatti solidi, vale a dire
polente di mais, fagioli o piselli, oltre a patate dolci. Birra di banana e di sorgo era-
no le bevande più diffuse. I Twa vivevano di caccia e raccolta, consumavano senza
ritegno quanto veniva loro dato in cambio dei servizi resi ai signori tutsi, accettava-
no perfino la carne di montone rifiutata sdegnosamente da Tutsi e Hutu.
Riprendendo i termini della lingua tedesca, si può dire che nel Rwanda tre verbi

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diversi riassumono l'atteggiamento nei confronti del cibo di ciascuna delle caste lo-
cali: trlnken si addice ai Tutsi, essen agli Hutu,fressen ai Twa. L'ultimo evoca il de-
generare degli uomini a un livello inferiore, lo scadere in un mondo animale. Pro-
prio nell'ambito dei paesi europei di lingua tedesca, si incontrano due casi interes-
santi. Nel centro storico di Bema si trova una fontana dominata da una statua: l'or-
co intento a inghiottire intero un piccolo bambino, spingendolo con la mano destra
nella grande bocca spalancata, mentre due altri attendono lo stesso triste destino. In
Schwyzer Dutsch è detto der Kindlifresser. Inoltre, come ci fece presente il compian-
to Ernesto de Martino in una conversazione di molti anni fa, un soprannome dato
agli abitanti di Zurigo era quello di Totenfresser, i necrofagi. In entrambi i casi, le
norme del vivere civile sono state infrante e calpestate e l'animalità ha preso il so-
pravvento. Non a caso nel Rwanda, per Tutsi e Hutu, i Twa erano più simili alle
scimmie che agli esseri umani.
Non deve stupire allora che i Tutsi mantenessero un atteggiamento quanto mai
riservato e negativo verso i cibi solidi. Mangiare era quasi un atto di cui ci si dovesse
vergognare. Il pasto serale era consumato nell'intimità dell'abitazione con categori-
ca esclusione di estranei, anche se appartenenti allo stesso gruppo sociale, a maggior
ragione di tutti coloro che avessero uno status inferi ore. Come si è già detto, quando
un signore tutsi si intratteneva nel pomeriggio o nella tarda serata con clienti e ami-
ci, offriva loro delle bevande, birra e idromele, non cibo solido.
La logica sottostante è chiara. La limitata produzione di latte non consentiva,
anche a chi deteneva le mandrie, di basarsi solo su di esso. Una volta affermato che i
Tutsi sono adatti esclusivamente alla nobile arte del governare, negati al duro lavoro
dei campi e dell'allevamento, non si poteva apertamente ammettere che dovessero in
parte nutrirsi esattamente come gli Hutu sottomessi. La realtà indigeribile non pote-
va essere eliminata, poteva essere nascosta e negata. Si ribadiva che un autentico
Tutsi vive solo di latte e birra. Si affermava che un Tutsi in viaggio non mangiava ci-
bo solido. Se il tragitto richiedeva due o tre giorni al massimo, spesso realmente non
lo faceva. Beveva soltanto. Maquet parla di uomini anziani, che se ne vantavano.
Lo stereotipo prevale sui fatti. Un'identità sociale è costituita non solo da certe ca-
ratteristiche, ma anche dalla loro netta contrapposizione rispetto a quelle dei vicini.
Nel primo teorema della premessa dell'ineguaglianza, Maquet ha sottolineato
che superiorità e inferiorità erano principi basilari della struttura sociale del Rwan-
da. I miti delle origini facevano provenire i Tutsi da un altro mondo; essi erano scesi
dal cielo sulla terra. Le ineliminabili differenze somatiche non potevano non avere
una controparte nel modo di vita. Liquido è superiore, solido è inferiore. La diversa
umanità di Tutsi, Hutu e Twa era messa in evidenza in modo costante e ossessionan-
te. L'immagine stereotipata degli Hutu, cui si attribuiva una gran voglia di mangia-
re, e lo smodato e incontrollato divorare dei Twa, sono pienamente coerenti con tut-
to ciò.
Non deve però essere sottovalutato un altro fatto. I domestici hutu che presta-
vano servizio presso i loro signori tutsi, preparavano anche il pasto serale. Non po-
tevano non conoscere quanto accadeva. Non stupisce che fosse loro vietato di par-
larne. Se il divieto fosse stato infranto, sarebbero seguite automaticamente gravi
sanzioni magiche. Dovevano comportarsi come se la realtà fosse del tutto diversa.
Nello stesso tempo qualcosa di molto più importante era in gioco. Nel terzo
teorema della premessa dell'ineguaglianza, Maquet ricorda che un superiore ha l'in-
discusso diritto di controllare ogni settore della vita personale di un inferiore. Questi

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HOMO EDENS---------------------------

non può opporsi né, d'altra parte, si verifica il contrario. Mai un inferiore potrebbe
intromettersi nella sfera privata di un superiore. Tuttavia la presenza necessaria di
domestici e clienti hutu nelle abitazioni dei Tutsi costituiva una costante minaccia.
Potevano ascoltare, riferire. Delicate decisioni a proposito di altri Tutsi oppure Hu-
tu dovevano essere prese al riparo da orecchie indiscrete e da occhi attenti.
Peter J. Wilson ha intelligentemente messo in evidenza tale fatto: «It is therefo-
re very significant that Batutsi masters deliberately dismissed their Bahutu servants
in the evening, when they partook of their main meal. This was the only time they
ate solid food, and what is more, according to Professor Codere, they ate in the
dark. Now one of the most important and symbolic ways by which the Batutsi main-
tained tbc doctrine of their natural superiority, and hence their power, was that they
never needed to eat solid food.» (1974, p. 12).
Segue la ragionevole ipotesi che, proprio nel momento di completa segretezza
del pasto serale, venissero prese importanti decisioni politiche riguardanti i giochi di
potere nella società rwandese.
L'ossessione per il latte, il suo valore di bene supremo, il suo essere, come ricor-
dava recentemente Pierre Smith, «substance riche et généreuse par excellence» e
«une source intarissable d'abondance» (1979, p. 29), appaiono evidenti anche nel vi-
cino regno del Burundi. Qui si ritrovano Tutsi, Hutu e Twa, disposti nel medesimo
ordine gerachico. Non vi è esempio più pertinente di quello citato da una studiosa
americana, Ethel M. Albert, che ivi svolse una ricerca sul terreno nel 1956-1957.
Anche nel Burundi si riteneva che i Tutsi avessero un fisico e un animo più deli-
cati. Non sono fatti per i lavori pesanti e non è loro conveniente il cibo solido dei
coltivatori. Sono tanto delicati che solo i liquidi, preferibilmente latte e birra, sono
gli alimenti adatti a loro. Questo era il punto di vista prevalente, indipendentemente
dal fatto che tutti sapessero che i Tutsi consumavano anche carne, cereali, legumi.
L'aspetto più paradossale ma coerente di tale modo di raffigurare la situazione è co-
stituito dall'affermazione di coloro che erano domestici presso famiglie europee.
Sostenevano che la cucina europea era "liquida" e non garantiva la forza e l'energia
necessaria per il lavoro fisico.
Tale tesi è molto più logica di quanto possa sembrare. Se i Tutsi che si trovano
sul gradino più alto della scala sociale, nel Burundi come nel Rwanda, bevono sol-
tanto e disdegnano i cibi solidi, a maggior ragione ciò deve valere per gli europei, si-
gnori indiscussi negli anni Cinquanta, ben prima del conseguimento dell'indipen-
denza nazionale da parte del Burundi.
È proprio l'avvicinarsi della fine del dominio coloniale e l'approssimarsi del-
l'indipendenza ad ingigantire i timori dei Tutsi circa il loro futuro. La minoranza del
160'/onon poteva non essere cosciente del divario numerico rispetto alla schiacciante
maggioranza dell'83G/oe, di conseguenza, dell'automatica vittoria degli Hutu, nel
caso di elezioni sulla base del principio "un uomo, un voto". Nel Rwanda si giunge
alla rivoluzione sanguinosa del novembre 1959 e alle stragi di Tutsi da parte degli
Hutu, e nel settembre 1961 al referendum, che sancisce la fine della monarchia tutsi.
Ho parlato di un Rwanda che oggi non esiste più, di una aristocrazia pastorale
le cui supreme aspirazioni traspaiono evidenti dai testi del codice segreto (ubwiru),
consegnato a uno studioso belga, Marcel d'Hertefelt, subito dopo il referendum dcl-
i' autunno 1961, pietra tombale del dominio tutsi. Si riferiscono ai rituali che dove-
vano essere compiuti per garantire il benessere e la prosperità del paese. Mi limiterò
a citare un breve passo tratto da La voie de l'abreuvage (1964, p. 111, vv. 299-303):

54 ------------------------------
--------------------------- PIERO MATIHEY

Voicidu lait: que le roi ait toujours du lait,


Que /es tambours du Rwanda aient toujours du lait,
Que /es hommes du Rwanda aient toujours du lait,
Que lesfemmes du Rwanda aient toujours du lait,
Que le Rwanda entier ait toujours du lait!
Ma i venti del mutamento, come diceva Harold MacMillan, hanno soffiato sull' A-
frica e investito anche questa parte del continente nero. La via lattea dei Tutsi si è
inaridita per sempre. Il milk complex appartiene al passato, non è più una realtà vi-
vente.
Il rilievo che aveva è messo chiaramente in luce anche da quanto Pierre Smith
scrive in proposito: «Le lait, par exemple, n'est jamais traité de façon purement
utilitaire et sa production, sa conservation, sa transformation et sa consommation
sont sans cesse marquées de restrictions évocatrices qui exigent bien plus d'atten-
tion et de précautions que son importance réelle dans l'alimentation ne le méri-
te ... » (1979, p. 45).

BmLIOGRAFIA

E. R. ALBmlT,La/emme en Urundi, pp. 173-205, in D. PAULME (ed.), Femmes d'Afrique Noire, Paris,
1960.
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M. D'HnTBPBLT e A. CoUPBZ,La royauté sacrée de l'ancien Rwanda, Tervurcn, 1964.
M. J. Hnsx:ovrrs, The Cattle Complex in East Africa, in "American Anthropologist" 28, 1926, pp. 230-
272, 361-388,494-528, 633-664.
L. MA.m,The Cattle Compio;, in "Man" (N.S.) 20, 1985, p. 743.
J. J. MAQUJrr,Le systlme des relations socia/es dans le Ruanda ancien, Tervurcn, 1954.
ID., The Premise of /nequality in Ruanda: A Study of Politica/ Relat/ons in a Centrai African Kingdom,
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P. SMJTB, L'eff,cacitédes interdits, in "L'Homme" 19, 1979, pp. 5-47.
J. VANSINA, L 'évolution du royaume rwanda des origines à 1900, Bruxelles, 1962.
H. L. VJS,C. YoURASSOWSltY e H. VAN DBR BoaOHT, Une enqulte de consommation alimentaire en Ré-
pub/JqueRwandaise, Butare,1972.
P. J. WJLSON, Hidden Aspects of Power in Rwanda (unpublisbed manusaipt), pp. 1-25, 1974.
LA RIVOLUZIONE DEI CEREALI
EDEL VINO:
DEMETER, DIONYSOS, ATHENA

di Paolo Scarpi

Pentbeus, sovrano di Tebe, vive l'ingresso di Dionysos come un'esperienza scon-


volgente, che trasforma i costumi degli abitanti della città, delle persone a lui più vi-
cine, del vecchio Kadmos, della madre Agave; esperienza che conduce proprio lui,
Pentheus, a perdere la propria identità e a smarrirsi nella dimensione del dio 1• Non
meno sconvolgente è la ribellione di Demeter, che mette in crisi il sistema olimpico
quando scopre che il rapimento della figlia Kore è il frutto di una transazione matri-
moniale intercorsa a sua insaputa tra il padre della fanciulla, Zeus, signore dell'O-
limpo, e lo zio paterno (e materno) della stessa, Aidoneus, signore dell'Ade 2 •
Ma Teiresias, il cieco mantis che attraversa gran parte della tradizione mitica
greca, reticente accusatore di Oidipus 3, uomo e donna e ancora uomo secondo una
tradizione 4, colpevole d'aver visto nuda Atbena come d'aver rivelato agli uomini i
mysteria degli dei 5 , inquadra proprio Demeter e Dionysos in un teologema che defi-
nisce la posizione e la funzione di queste due figure divine nel sistema politeistico
greco (EUR., Bacch. 274-285). Per l'uomo, dice Teiresias, non ci sono divinità più
importanti di Demeter e Dionysos. Demeter. la terra, con gli alimenti secchi nutre
l'uomo mortale, al quale Dionysos, a sua volta, ha insegnato l'uso dell'umido frutto
della vite, solo rimedio contro i mali della vita umana. E proprio Dionysos, che pure
è nato dio, è l'oggetto delle libagioni che gli uomini compiono in onore degli dei per
impetrarne i benefici, nella forma del succo della vite.
È possibile che il senso di sconvolgimento, da cui sembra permeato ogni rac-
conto mitico centrato sulla figura di Dionysos e analogamente che il senso di un'in-
combente e tragica minaccia, da cui pare accompagnato ogni racconto centrato sul
ratto di Kore, dipendano da fatti realmente accaduti in un remoto passato. Ma non
sapremo forse mai né quando né come questo avvenne.
In ogni racconto mitico si condensa un sapere antico, funzionale alla società
che lo ba elaborato e sottoposto a continue trasformazioni correlate alle mutazioni
del sistema culturale. E se anche si potesse mai individuare il momento e la causa, il
quando e il come da cui sono decollate le tradizioni mitiche che vedono Dionysos e
Demeter come protagonisti (forse la cosiddetta "rivoluzione" agricola del Neolitico
nel bacino del Mediterraneo?), non si spiegherebbe in alcun modo il significato che
questi racconti hanno assunto per la Grecia dell'età classica.
Quale dunque sia stata l'origine di questa e simili tradizioni mitiche, attorno ai
prodotti "offerti" come doni da Dionysos e Demeter, il vino e i cereali, l'uomo gre-

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HOMO EDENS ---------------------------

co ha elaborato un sistema mitico che lentamente è andato assumendo precise impli-


cazioni ideologiche e politiche. Ma la Grecia classica, e forse l'intero mondo antico,
non sembra aver prodotto una netta discriminazione tra sfera mitico-religiosa e sf e-
ra politico-ideologica. Quello che emerge è piuttosto un sistema mitico-ideologico
che, centrato sui doni di Dionysos e Demeter, si rivela dialetticamente integrato con
un complesso rituale, al quale viene demandato il compito di attualizzare periodica-
mente la "crisi" del sistema culturale, risolta una volta per tutte nei racconti mi-
tici 6 •
Discorsi diversi, quello mitico e quello rituale, entrambi convergono nella con-
figurazione dell'universo delle poleis greche, le quali, attraverso di essi, esprimono e
affermano la propria identità culturale. Un'identità che trova nelle linee di un regi-
me alimentare un codice, anche se non il solo, di espressione e nel quale non pare
contemplata una dieta di tipo carneo.
Nella seconda metà del V secolo a.e., con l'affermarsi del pensiero razionale, il
regime alimentare proposto da Dionysos e Demeter (e in particolare da quest'ulti-
ma), spogliato del suo addobbo mitologico, verrà assunto dalla scuola ippocratica
come prodotto dal processo di civilizzazione dell'uomo. E il pane, frutto del com-
plesso procedimento a cui è sottoposto il frumento, sta al centro di questo schema
alimentare presentato come il più adatto per l'uomo (HIPP., Vet. med. 3).
Lo stato ideale di Platone vede i suoi abitanti nutrirsi di prodotti vegetali e di
formaggi, bere moderatamente vino, trascorrendo in tal modo una vita pacifica e in
buona salute, sino a un'età avanzata (Resp. 372 a-d). Se si trascura la proiezione
ideale del passo platonico, da esso emerge una società fondata su un sistema integra-
to di produzione cerealicola, orticola, vitivinicola e casearia, secondo uno schema
che è centrale nell'economia e nella società greca fin dall'età arcaica. Ma per Plato-
ne il consumo di tali prodotti non sembra poter prescindere dalla concordia tra gli
dei e gli uomini (ibid. 372 b), forse non diversamente da come Esiodo aveva inteso il
lavoro agricolo 7 •
Ancora per Senofonte nessuna attività agricola poteva prescindere dalla con-
cordia con gli dei (Oec. 5.20; 16.3), che avevano insegnato proprio quell'attività agli
uomini (ibid. 17.3) e continuavano a indicare loro i momenti opportuni per eserci-
tarla (ibid. 17.2, 4). Si può così riconoscere una stretta relazione tra attività, che ge-
nericamente potremmo chiamare agricole, e pratica religiosa. L'attenzione richiesta
all'agricoltore non è diversa dall'attenzione e precisione indispensabili nelle opera-
zioni rituali. Il complesso di accorgimenti che Esiodo suggerisce per assolvere le di-
verse operazioni contemplate dalla vita dei campi (Op. 765 ss.) - si tratti del rispet-
to dei giorni «che provengono da Zeus», o dell'avvertenza di distinguere quelli adat-
ti alla semina da quelli in cui conviene coltivare le piante (vv. 780 ss.); dell'accortez-
za con cui si deve gettare sull'aia spianata la sacra spiga di Demeter, del momento in
cui si deve preparare il pithos per il vino ovvero del momento in cui lo si deve sturare
(vv. 805 ss.) -, sfocia in una sorta di "beatitudine" del contadino. Senza commet-
tere trasgressioni e capace di interpretare i segni che provengono dagli uccelli, attra-
verso il suo lavoro egli si rende innocente agli occhi degli dei: e allora ecco che il con-
tadino diviene eudaimon e olbios (vv. 826-828).
Se nell'Antica medicina della scuola ippocratica il conseguimento di un'alimen-
tazione bilanciata è il frutto di un progresso della civiltà umana fondato sulla speri-
mentazione, per Platone e Senofonte sono ancora gli dei che guidano l'attività del-
l'uomo 8• Anche se queste divinità sembrano proiettate in una lontananza che le ren-

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-------------------------- PAOLO SCARPI

de quasi inavvicinabili, per cui all'uomo non rimane che tentare di ottenerne la be-
nevolenza; anche se non molto più tardi Aristotele affermerà che forma e struttura
del mondo degli dei sono una proiezione fantasmatica dell'uomo (Poi. 1252 b 23-
27), tuttavia in età classica e fino all'inizio almeno del IV secolo a.e. ogni forma di
attività agricola si rivela ancora racchiusa entro un reticolo di rappresentazioni reli-
giose 9 • E questo sistema trova la sua espressione più efficace nel complesso mitico
centrato sulle figure di Dionysos e Demeter.
L'uomo, per ottenere un raccolto abbondante, deve in primo luogo conciliarsi
gli dei, placarli (hilaskestha1), dice Esiodo (Op. 338) e ribadisce Senofonte (Oec.
5.20) 10• Nell'inno a Demeter (vv. 273-274), la dea promette di insegnare agli uomini
gli orgia, perché essi riescano a placare (hilaskestha,) il suo animo celebrando scru-
polosamente l'atto rituale. E quando una violenta carestia colpisce il territorio di Fi-
galia, l'oracolo della Pythia ammonisce gli abitanti perché rispettino le norme rituali
e rendano i dovuti onori a Deo-Demeter, al fine di placarne (hilassestha,) l'animo
(Paus. 8.42.6). La pratica dell'agricoltura non può prescindere dunque da una scru-
polosità di ordine evidentemente religioso 11•
Come il contadino di Esiodo è alla fine eudaimon e olbios (Op. 826), cosi anche
l'uomo che è venuto a conoscenza del rituale eleusino a sua volta sarà, nell'inno
omerico a Demeter, olbios (vv. 480, 486), e alle sue case Demeter e la figlia, delle
quali ha ottenuto la benevolenza, invieranno Ploutos, dispensatore di abbondanza
(vv. 486-489). Se poi nell'inno a Demeter è indubbio il collegamento di olbios con il
rituale eleusino, in Esiodo è olbios il contadino che non ha colpe nei confronti degli
dei, in quanto a conoscenza dell'indispensabile scrupolosità rituale che qualifica la
sua attività.
Traspare cosi un circuito di idee, in cui l'abbondanza dei raccolti discende dalla
protezione che gli dei accordano agli uomini "saggi", sophrones, in cambio del cul-
to loro tributato (XBN., Oec. 5.20). Ed ecco allora che i prodotti della terra sono un
dono degli dei 12, un dono di Dionysos e Demeter.
I prodotti della terra, ma soprattutto i prodotti legati a Demeter e Dionysos, i
cereali e il vino, hanno rappresentato per quello che, con un termine oggi di moda,
potremmo chiamare l'immaginario greco, il segno tangibile e concreto della vita ci-
vilizzata, dell'identità culturale greca, di contro alla brutalità ferina, allo stato sel-
vaggioe alla barbarie 13 •
Tuttavia le due figure divine, in questo immaginario mitico, percorrono itinera-
ri diversi anche se analoghi. In entrambi i casi, infatti, l'introduzione e la diffusione
del dono divino implica una trasformazione radicale delle forme di vita. Ma è una
trasformazione che, nel momento in cui investe il mondo degli uomini, colpisce an-
che il pantheon olimpico, da cui Dionysos e Demeter appaiono "separati". Diony-
sos, figlio di Zeus e Semele, colpito da mania per volere di Hera, è costretto a un
lungo pellegrinaggio attraverso le più lontane contrade sino ai confini dell'India con
il suo seguito di Menadi, prima di poter nuovamente approdare in terra greca 14 • De-
meter, sorella e sposa di Zeus (una delle sue spose-amanti), si allontana dall'Olimpo
perché adirata con il fratello che a sua insaputa aveva concesso la figlia Kore ad Ai-
doneus 15, ovvero si allontana mossa semplicemente dal desiderio di ritrovare la fi-
glia 16,
Nel panorama offerto dalle tradizioni mitiche, Dionysos sembra quasi in lotta
per affermare il proprio diritto a "esistere" come divinità, quasi a reclamare un pro-
prio posto nel consesso degli Olimpi e il diritto per i suoi fedeli a celebrarlo ritual-

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HOMO EDENS---------------------------

mente. E in questa "lotta" egli si configura come lo "straniero" per eccellenza 17•
Più discreta senza dubbio, Demeter non è meno xene quando si presenta alle case di
Keleos, il sovrano di Eleusi, o degli altri suoi ospiti 18, né meno conflittuale è la sua
posizione nei confronti-dell'Olimpo. Quello che a Demeter manca, in quanto don-
na, è il riconoscimento di una timé, che alla fine Zeus dovrà concedere assieme al ri-
torno periodico di Kore per risolvere la "crisi" che minacciava di distruggere l'equi-
librio cosmico 19• Ed è nel corso dei loro vagabondaggi tra gli uomini che Dionysos e
Demeter concedono il dono delle piante alimentari.
Il dono della vite segue, nelle tradizioni mitiche, due grandi direttrici, tra loro
in opposizione dialettica, che sfociano nell'accoglimento o nel rifiuto di Diony-
sos 20• Sono due linee che si trovano condensate nell'indatabile inno omerico a
Dionysos 21, dove il dio si manifesta attraverso thaumatà érga, che sconvolgono i pi-
rati, i quali l'avevano rapito credendolo un ricco giovane di nobili natali. Spaventa-
ti, essi si tuffano nel mare, dove divengono delfini, mentre al timoniere, che nel gio-
vane aveva riconosciuto la divinità, il dio concede una prospera sorte.
Da questo breve testo si è quasi condotti per mano a riconoscere nelle due diret-
trici le linee e le conseguenze dell'atteggiamento umano nei confronti del dio. Il
mancato riconoscimento di Dionysos come il suo rifiuto conducono a una perdita ir-
reversibile dei connotati umani, a una caduta senza ritorno nel territorio della be-
stialità. I pirati divengono dunque delfini, analogamente alle Minyades, che tardano
a riconoscere il dio e si trasformano in uccelli 22• Lykurgos, che insegue Dionysos e
le sue nutrici già nell'Iliade (6.130-140), diventa cieco e muore, ovvero è colto dalla
mania inviatagli dal dio, commette o tenta di commettere incesto con la madre, ucci-
de la moglie e il figlio, si mutila di un piede, si uccide, muore sbranato dai propri ca-
valli ... 23• E una delle conseguenze immediate, accanto alla morte dell'antagonista
di Dionysos, è la disgregazione e dissoluzione dell'universo familiare.
Non diversa pare la sorte che colpisce Pentheus, il quale si traveste da donna,
ma non sarà donna, mentre la sua personalità si frantuma quando decide di assistere
ai riti delle Menadi; e cosi si affievolisce e perde consistenza anche la sua ostilità nei
confronti di Dionysos. E quando, sul Citerone, è scoperto dalle Baccanti, egli appa-
re a esse non più come un uomo, ma come una fiera (EUR. Bacch. l 108), un leone
montano (v. 1142), un vitellino (v. 1185), per divenire alla fine, nelle mani della pro-
pria madre, la vittima sacrificale necessaria all'instaurazione del "nuovo ordine"
portato da Dionysos. Al contrario, riconoscere la divinità di Dionysos, accoglierlo e
accettarlo assieme al suo dono, equivale a compiere una scelta culturale, scelta che
però si rivela senza alternative, giacché il rifiuto del dio conduce a perdere inevitabil-
mente e irreversibilmente ogni identità e dimensione umana 24 •
L'ingresso di Dionysos comporta comunque, anche là dove il dio è oggetto di
ospitalità, uno sconvolgimento del sistema familiare attivo in quel momento. Come
il dono del vino deve essere fatto circolare, divenendo strumento di relazioni sociali,
così la famiglia si deve aprire agli scambi matrimoniali 2s. È in quest'ottica che si de-
ve leggere la vicenda mitica delle Proitides, dove si trascorre da una sopravvaluta-
zione dell'oikos paterno a una economia esogamica, conseguente all'introduzione
dello scambio matrimoniale 26•
In analoga prospettiva si colloca la vicenda di Oinopion, figlio di Dionysos, che
ha appreso dal padre l'arte della vinificazione ed al quale Orion seduce o violenta la
figlia 27• Ma in questa tradizione si avverte anche una forma di conflittualità latente
con il sistema culturale rappresentato da Orion, la caccia 28• Così, anche se la circo-

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-------------------------- PAOLO SCARPI

lazione delle donne è frutto della "violenza" di Orion, provocata dal suo stato di
ebbrezz.a, è sull'eroe cacciatore che viene scaricata la responsabilità della ''crisi'' che
ha colpito la casa di Oinopion, "crisi" di cui il vino è l'elemento scatenante.
A loro volta anche le vicende di Demeter e Kore investono l'istituto familiare,
ma in una prospettiva diversa da quella proposta dall'intervento dionisiaco. Già nel
rapimento di Kore, cosi come esso si configura nell'inno omerico a Demeter, si pos-
sono riconoscere i tratti di un "atto matrimoniale" 29 • E che comunque si tratti di
un matrimonio è sottolineato sia dalla terminologia - Zeus "concede" (dlìken) la
fanciulla ad Aidoneus (v. 3), che la "conduce" (agein è verbo tecnico, corrispon-
dente al lat. uxorem ducere: vv. 20, 30, 81) nel suo regno-, sia dalla risposta di He-
lios a Demeter, in cerca di spiegazioni sulla sorte della figlia: Zeus «la concesse ad
Hades perché si chiamasse sua fiorente sposa» (v. 31) 30• Cosi, indipendentemente
dal fatto che Kore va sposa al fratello del padre, il "matrimonio" della fanciulla si
rivela come uno strumento per instaurare un sistema di comunicazione e di scambio
tra due "gruppi", qui rappresentati da Olimpo e Inferi, e in cui la donna (Persepho-
ne) agisce come elemento di mediazione.
Questo schema conosce però anche un registro espressivo nei termini di un ''co-
dice alimentare'', in cui alle piante alimentari precerealicole è affidata una funzione
referenziale o cognitiva nel momento in cui esse paiono scandire le diverse fasi attra-
versate dalla fanciulla Kore (e si potrebbe allora parlare di schema iniziatico 31). In
questo modo le rose, il croco, le viole, le iridi, i gigli, il giacinto e il narciso, piante
che rientrano tutte nell'antho/ogia di Persephone (hymn. in Cer. 6-8) 32, possono
contribuire a definire lo status di Kore prima del rapimento. Si tratta infatti di pian-
te commestibili che però sono il prodotto di una "raccolta" e sono proiettate perciò
in una fase precerealicola, se nell'ottica greca la cerealicoltura appare come l'ele-
mento che ha permesso all'uomo di approdare alle forme della vita civilizzata 33• Ec-
co allora che Kore occupa uno spazio pre-culturale definito dalle piante dell'antho-
logia, spazio che si disgrega definitivamente quando Hades riesce, forse seducendo-
la, a farle ingoiare un chicco di melagrana (vv. 372-374). E proprio questo fatto, at-
traverso la successiva sanzione di Zeus, determinerà i cicli stagionali (vv. 445-447).
Al di là del fatto che il chicco di melagrana si possa configurare come "cibo dei
morti", da cui un "vivo" in visita agli Inferi si deve astenere se vuole ritornare nel
suo mondo 34 , l'accettazione del cibo favorisce l'instaurazione di un rapporto defi-
nitivo tra Olimpo e Inferi attraverso Persephone-Kore. Ma la melagrana appartiene
anche alla simbologia cultuale demetriaca a Eleusi ed è frequentemente associata a
Kore sui monumenti figurati 35• La sua consumazione era tuttavia vietata agli inizia-
ti ai Misteri di Eleusi ed era parimenti vietata nel corso degli Haloa, festa della treb-
biatura in cui, accanto a Demeter e Kore, si onorava anche Dionysos.
Una festa, questa, celebrata in dicembre, quando, dopo la prima fermentazio-
ne, il vino era pronto per essere bevuto, e nel corso della quale i fedeli approdavano
a Eleusi in un clima di sfrenata libertà 36 • Al contrario, nei Thesmophoria, festa
squisitamente femminile in onore di Demeter e dalla quale erano rigorosamente
esclusi gli uomini, le donne si cibavano dei chicchi di melagrana, fatta eccezione per
quelli caduti a terra, in quanto ritenuti proprietà dei morti, ovvero perché esse cre-
devano «che il melograno / osse germinato dalle gocce di sangue di Dionysos»
(CLEM.AI.Ex., Protr. 2.19.3).
Cosi ci si imbatte nuovamente in Dionysos, ma attraverso i Thesmophoria si è
anche ricondotti alla famiglia, che nel periodo di celebrazione della festa sembra dis-

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HOMO EDENS---------------------------

solversi per lasciare spazio a una società di sole donne 37• E il pericolo della dissolu-
zione della famiglia sembra costantemente aleggiare, minaccioso e inquietante, pro-
prio alle spalle della famiglia eleusina, visitata da Demeter nel corso della sua dispe-
rata ricerca della figlia. Un pericolo che però è proiettato in una dimensione paralle-
la e speculare rispetto alle vicende che coinvolgono il modello fornito dalla famiglia
di Keleos, il sovrano di Eleusi, nelle cui case trova ospitalità Demeter, la quale con-
cede, in segno di riconoscenza, con il dono dei Misteri, il dono della cerealicoltura
perché fosse diffusa tra tutti gli uomini 38 •
Al modello offerto da Keleos, l'uomo dal nome d'uccello, ottimo padre, marito
fedele e garante dell'equilibrio familiare, ma anche guida del popolo e difensore del-
la città, si contrappone l'immagine trasgressiva della famiglia di Pandion, sovrano
di Atene, il quale concede in moglie al barbaro Tereus la figlia Prokne 39• E qui la
dissoluzione e disintegrazione dei legami familiari è già implicata nelle nozze con il
barbaro, che successivamente violenta la cognata e si ciba delle carni del figlio che
per vendetta la moglie gli aveva imbandito, straziando travolta dall'odio il frutto
delle proprie viscere.
E se una variante di questa vicenda mitica conduce in terra d'Asia, a Efeso, do-
ve il marito fedifrago e cannibale viene alla fine tramutato nell'uccello di cui il so-
vrano di Eleusi porta il nome (ANT. Lm., Met. 11), il destino che travolge Pandion e
la sua famiglia occupa la scena di un'Attica che assiste contemporaneamente anche
all'arrivo di Demeter alle case di Keleos e di Dionysos a quelle di Ikarios (A.PD.
3.14. 7).
Spazio della trasgressione e della non-cultura, l'Atene di Pandion non conosce
ancora i doni di Demeter e di Dionysos. Ma successivamente Atene si approprierà
degli uni e degli altri, sia pure attraverso una situazione conflittuale che vedrà, per
quanto concerne Eleusi, Atene contrapposta alla città di Keleos 40 • Se dalle case di
Keleos prende avvio un movimento centrifugo, quasi determinato dall'infrazione
della moglie del sovrano che impedisce l'immortalazione del figlio ·0 , movimento
che favorisce la diffusione dei cereali e della civiltà tra gli uomini e di cui proprio
Atene si approprierà, l'ingresso di Dionysos nelle case di lkarios fa decollare un
analogo processo di diffusione. E anche questo investe l'Attica dapprima in forma
conflittuale, quando Ikarios, per diffondere il dono ricevuto da Dionysos, «giunge
presso alcuni pastori, i quali, gustata la bevanda e tracannatone abbondantemen-
te ... , lo uccisero, credendo di essere stati avvelenati» 42•
La configurazione dell'Attica come terra di pastori è probabilmente il frutto di
una periodizzazione in cui la pastorizia viene collocata al livello di civiltà degradata
e anteriore rispetto al prodotto della viticoltura e rispetto a quanto questa compor-
tava. Ciò anche se il quadro offerto sembra collocare Atene e l'Attica in una fase di
civiltà evoluta. Ma essa non è ancora la civiltà per eccellenza: mancano i cereali,
manca il vino e manca la circolazione dei beni - lo stesso Pandion, sovrano di Ate-
ne, sposa la zia materna Zeuxippe 43 •
Anche l'ingresso del vino, analogamente all'introduzione dei cereali, doveva es-
sere sentito come un fatto culturale in grado di trasformare le forme della preesi-
stente civiltà. Una fonte tarda, del II secolo d.C., Arriano di Nicomedia, attribuisce
a Dionysos l'introduzione di ogni forma di civiltà, in stretta dipendenza dal dono
del vino e in dichiarata opposizione con la missione di Triptolemos, che aveva invece
ricevuto da Demeter l'incarico di diffondere in tutta la terra l'uso del grano. Non so-
lo. Il dio insegnò agli Indiani, che erano nomadi, pastori e cacciatori alla stregua de-

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gli Sciti, anche a seminare la terra e fu il primo ad aggiogare i buoi, trasf armando
quella popolazione in sedentari agricoltori, ai quali insegnò pure il culto degli dei
(lnd. 1.7 .4-8).
Quale sia stato il motivo che ha indotto Arriano a coagulare attorno a Dionysos
i connotati e gli attributi del dono demetriaco (e non si può certo parlare di sincreti-
smo tout court, giacché egli oppone Dionysos a Triptolemos), ciò non sarebbe stato
possibile se già al dono di Dionysos non fosse stato attribuito e riconosciuto un si-
gnificato civilizzatore. Paniassi (ap. Athen. 2.37 a-b = frgg. 12.12; 14 k.), ma non il
solo, riconosceva già nel vino il dono migliore che gli dei potevano fare agli uomini,
per i quali era un vantaggio pari al fuoco. Ed è un vantaggio che, secondo una tradi-
zione mitica (schol. Lycophr. 570), raggiunge i Greci agli albori della loro storia,
nell'epoca in cui essi collocarono la definizione della propria identità di Hellenes,di
contro al "diverso" che occupava il "paese d'oltremare", quand'essi partirono per
la conquista di Troia 44 •
Sono le Oinotropoi, Oinò Elals e Spennò, a cui Dionysos aveva concesso di tra-
sf onnare in vino, in olio e in semi di frumento qualunque cosa avessero voluto, che
provvedono al nutrimento dei Greci durante il loro soggiorno nell'isola di Delo, pri-
ma dello scontro decisivo con Troia. Ma le Oinotropoi sono le figlie di Anios, a sua
volta figlio di Rhoiò, la "melagrana" o meglio «che dà i frutti del melograno», fi-
glia di Staphylos, dal quale prenderà nome il "tralcio di vite", figlio a sua volta di
Dionysos. Il cerchio dunque si apre e si chiude con Dionysos, che in questo caso evi-
dentemente controlla i tre prodotti fondamentali dell'alimentazione greca, prodotti
nei quali i Greci riconoscevano il segno della loro "superiore" civiltà.
Se ora si riconosce in Dionysos un ruolo dinamico che introduce lo scambio nel
complesso sociale, che instaura relazioni con l'esterno e trasforma la società, ren-
dendola capace di assorbire le crisi che l'incontro con ciò che è a lei esterno può de-
terminare, cosi da trasformare tali crisi in fatto culturale attraverso l'aggregazione,
per cui lo scambio (il "dono" di Dionysos) diviene un prodotto, è possibile cogliere
anche il senso dell'attribuzione al dio di valori culturali che la tradizione antica ha
prevalentemente assegnato a Demeter e al suo dono.
E quello dei cereali era un dono che veniva fatto coincidere con l'introduzione
delle norme civili 45,attraverso cui l'uomo era stato allontanato dall'abbruttimento
di una vita ferina, quando ancora il suo cibo era la carne e praticava addirittura il
cannibalismo. Conseguenza di tutto questo sono i riti in onore di Demeter e i matri-
moni, ai quali sono preposte le Melissai, le "api", il cui frutto, il miele, proprio De-
meter aveva inventato, laddove le donne che celebravano i Thesmophoria in onore
delladea portavano il titolo di mélissai 46 •
Se con il dono di Dionysos si è di fronte alla dinamica dello scambio matrimo-
niale e della socializzazione 47 , con i doni di Demeter si è di fronte alla stabilità del-
l'istituto matrimoniale, che trova il modello eccellente nella famiglia del sovrano di
Eleusi. È questo un modello che da Eleusi si estende ad Atene, la quale quel modello
riproduce e moltiplica. E Atene, a un certo momento della sua storia, si proporrà
come depositaria dei doni di Demeter e veicolo di cultura per tutta la Grecia, attra-
verso l'uso e la coltivazione del grano 48 • Ma alle spalle della città di Atene si erge la
dea poliade, Athena, che dall'alto dell'Acropoli volge il suo sguardo vigile e discreto
sulle attività degli Ateniesi. Atene, la città aperta, senza segreti né discriminazioni
per gli str~eri, dispensatrice di benefici, modello per gli altri popoli (THUc.,
2.37 .1; 39.1; 40.4), trova in Athena, già legata alle tecniche come Ergane ed Hephai-

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HOMO EDENS ---------------------------

stia 49, l'inventrice dell'aratro, che rende più agevole per gli abitanti dcli' Attica la
coltivazione del grano, dono di Demeter (SERV.,Aen. 4.402).
Ma Athena è anche la divinità che, all'epoca della contesa con Poseidon per il
possesso dcli' Attica, ha fatto spuntare per la prima volta la pianta dell'olivo proprio
sull'Acropoli 50 • È un legame antico quello della pianta con la dea 51 : pianta g/auké
se non addirittura glaukopis, come glaukopis è Athena 52• E come la dea è legata alla
città e ha sull'Acropoli la sua sede, cosi l'olivo, e/aia, è asté, della città, e risiede sul-
1'Acropoli 53.
Coltivato solo in Attica all'epoca del conflitto tra Atene ed Egina (HDT. 5.82),
l'olivo risorge prodigiosamente dal ceppo carbonizzato, dopo l'incendio dell'Acro-
poli provocato dai Persiani (HDT. 8.55). Né alcuno poteva sradicare dal proprio
campo un ceppo d'olivo sacro, pena la morte (in epoca arcaica: AlusT., Ath. resp.
60.2; cfr. Lvs., Areop. 2 e passim). Pianta imperitura, all'olivo sono legati i destini
della città, che come l'olivo si radica saldamente nel suolo dell'Attica 54 • Il premio
per i vincitori panatenaici era costituito dall'olio ricavato dalle moriai, gli olivi sacri;
un olio che veniva custodito dai tesorieri di Athena (AlusT., Ath. resp. 60.1-3). Do-
no degli dei, anche l'olivo sembra collegato, come le piante cereali e la vite, all'intro-
duzione della vita civilizzata, di cui Athena si fa garante.
Si va cosi delineando un sistema in cui le conquiste alimentari si propongono
come conquiste culturali, che incidono inevitabilmente anche sul sistema sociale.
Sono tuttavia conquiste che si collocano al polo opposto delle conquiste ottenute at-
traverso Prometheus o Tantalos, attraverso cioè un furto o un inganno perpetrati ai
danni degli dei olimpici. Sono anzi questi ultimi che, nelle figure di Demeter Diony-
sos e Athena, concedono agli uomini i prodotti della terra. E se le technai sono il ri-
sultato di un dolos del titano Prometheus (A.Esce., Prom. v. 459 ss), Athena, come
Ergane e Hephaistia, riscatta l'uomo anche da questa colpa.
Ma anche Demeter insegna agli uomini a placare il suo animo e del pari Diony-
sos insegna ad Amphyktìon, re dì Atene, a mitigare con l'acqua il vino, così che gli
uomini potessero berlo senza subirne gli effetti disgreganti (ATHEN.2.38 c). Athena,
da parte sua, inventa l'aratro e pure entra frequentemente in gioco come elemento
risolutore proprio nella tragedia, che inserita nel culto dì Dìonysos è rappresentata a
spese pubbliche ~~. E la tragedia, infine, ha per oggetto vicende che coinvolgono pre-
valentemente il contesto familiare (cf. AlusT., Poet. 1453 b 10-26)
In questo modo sembra quasi dì essere di fronte a un circuito senz.asoluzione di
oontinuità, in cui le diverse tradizioni si intersecano per via interstiziale e dove la
oonquìsta alimentare si configura come conquista culturale che investe direttamente
il nudeo della ,ita associativa: la famìglia. Così Dionysos sì coniuga allo scambio e
alla dr'--olazione; Demeter alle leggi e alla famìglia esemplare; Athena alla città, mo-
dello dì civiltà e della quale gli uomini sono le mura!+. Ma Athena si coniuga anche
al ,ino. che favoriS\.-ela socìaliuazìonc, ai cereali che nutrono e arriocbiscnl\o, all'o-
lin.1 imperituro che radica saldamente i cittadini al suolo della patria.

NOTE

l I l''..7 L:r ~.-.-~ .:i1: ..:i1.t; .:i1~. .:i~: ~ ;-.;s.<1"'l. l ·,,;~,, '"'7<''"1,'t'
a Demerer.Firenze. 1976. pp.
J'. ~: ,~F'l. 1 c::urr _q.;;., ,r,;.c1,,lllt" ,Ìù.~k'tJ. .4-36: lo.. .VN111f'lptlS~ i "'miracoli" di

M------------------------------
---------------------------- PAOLO SCARPI

Dionysos, in Perennitas. Studi in onore di A. 26) Cfr. ScARPJ,Melampus e i "miracoli" di


Brelich, Roma, 1980, 431-444, p. 442. Dionysos, cit., pp. 438-439.
2) P. ScAllPI, Letture sulla religione classica, 27) Apd. 1.4. ss.; Id. Epit. 1.9; Eratosth. catast.
cit., pp. 109 s. 32; Parth. qff. amai. 20; schol. Arat. 322;
3) Soph. O.R. 316-462. Athen. 1.27 b-c; Hygin. astr. 2.34; schol. Nic.
4) Apd. 3.6.7 = Hes. frg. 275 (M.-W.); Lyco- ther. 15a (dove però si tratta della moglie di
phr. Alex. 682 ss. Oinopion). Cfr. MAssmmo,op. cit., pp. 29-
5) Callim. hymn. 5.67-102; Apd. 3.6.7. 35.
6) Cfr. M. M.usl!NZJO,Cultura e crisi permanen- 28) GltJLL\PICCALUOA, Minuta/. Saggi di Storia
te: la "xvria" dionisiaca, Roma, 1970, pp. delle religioni, Roma, 1974, pp. 77 sgg.
103-104; D. SABBArocc1,li mito, il rito e la 29) Cfr. ScAllPI, Letture sulla religione classica,
storia, Roma, 1978, pp. 315-344. cit., pp. 109 sgg.
7) Cfr. M. DimENNE, Crise agra/re et attitude 30) Cfr. Hygin. /ab. 146: Pluton petit ab love,
religieusechff. Hbiode, Bruxelles, 1963, pp. Proserpinam {... } In coniugium dant.
4lepassim. 31) Cfr. B. LJNCOLN,The Rape o/ Persqhone: a
8) P. ScAllPI, li picchio e il codice delk api, Pa- Greek Scenario o/ Women's /nitlation,
dova, 1984,p. 162. HThR 72 (1979), pp. 223-235; ScAllPI,li pic-
9) M .. l>BTDINNE, Crise agra/re et attitude reli- chio e il codice delle api, cit., pp. 117-135,
gieuse, cit., pp. 55-56. 149, 166 n. 49.
10) L'uso del termine con questo valore è già atte- 32) Il giglio compare solo nella seconda antholo-
stato a partire da Omero: cfr. L.S.J. s.v. gia: vv. 426-428.
11) Cfr. M. DJmBNNE, op. cit., pp. 45 sgg. 33) Per i fiori dell'anthologia come piante com-
12) Hes. Op. 320, 336-341. Cfr. DBTmNNE, op. mestibili, cfr. ScARP1,Letture sulla religione
cii., pp. 49 sgg. classica, cit., pp. 49-52; per il rapporto della
13) Già in li. 13.322. In generale cfr. J.-P. VEll- cerealicoltura con la vita civilizzata cfr. Isocr.
NANT,Introduzione a M. Dim:BNNE,/ giardi- 4.28-29; Cic. legg. 2.36; schol. Luc. DMeretr.
ni di Adone, trad. it. Letizia Berrini Pajetta, 2.1 (p. 276 Rabe). Cfr. CmllAssl CoLOIOO, /
p. XIV. Cfr. ILBANA CBDlASSICOLOUBO, / do- donidiDemeter, cit., p. 190epassim. Cfr. n.
ni di Demeter: mito e ideologia nella Grecia 45.
antica, in Studi Stella, Trieste, 1975, 183-213, 34) È un motivo topico ben attestato, noto dalla
p. 193. comparazione storico-religiosa: cfr. ScAllPI,
14) Eur. Bacch. 13 ss.; Id. Cycl. 1-4; Apd. 3.5.1 Letture sulla religione classica, cit., p. 97.
ss. Cfr. H. JJ!ANIWIU!,Dioniso. Religione e 35) O. E. MnoNAS, Eleusis and the Eleusinian
cultura in Grecia, trad. it. G. Olaesser, Tori- Mysteries, Princeton, 1961 (ma 1962), pp.
no, 1972, pp. 198 sgg., 512-513 (con biblio- 158-159, fig. 56; cfr. ILBANACmllAssl, Ele-
grafia). menti di culture precereali nei miti e riti greci,
15) Hymn. in Cer. 91 sgg. Roma, 1968, p. 76.
16) Cfr. Apd. 1.5.1. 36) Cfr. M. P. NJLSSON,Geschichte der griechi-
17) Seguo la tesi di M.usl!Nzio, Cultura e crisi schen Religion, I, Miinchen, 19673, p. 467;
permanente: la "xenia" dionisiaca, cit., pas- W. BUUBJlT, Griechische Religion der ar-
sim e in particolare pp. 105-106. chaischen und kla.ssischen Epoche, Stuttgart-
18) Cfr. ScARP1,Letture sulla religione classica, Berlin-Koln-Mainz, 1977, p. 397.
cit., pp. 86, 144, 148, 151, 156, 159, 193. 37) DBTmNNE, / giardini di Adone, cit., pp. 103-
19) Hymn. in Cer. 327 ss.; cfr. ScARPJ,op. cit., 108.
pp. 121-122. 38) Apd. 1.5.1-2; Ov. fast. 4. 425-620; Hygin.
20) Cfr. M.usl!Nzio, Cultura e crisi permanente: /ab. 147. Cfr. inoltre A. Buucu, Nascita di
la "xenia" dionisiaca, cit.,passim. miti, "Religioni e civiltà" 2(1976), 7-80, pp.
21) H. Hom. VII (Allen). La datazione dell'inno 67 sgg., il quale esamina il problema del dop-
proposta dagli studiosi oscilla tra i secc. VIII- pio dono di Demeter, i cereali e i Misteri.
VII a.e. e l'età ellenistica. 39) Apd. 3.14.7-8; cfr. ScAJlPl,/lpicchio eilcodi-
22) ScAllPI, Melampus e i "miracoli" di Diony- cedelleapi, cit., pp. 18-27 e passim.
sos, cit., p. 441 n. 40. 40) Ibidem, p. 146.
23) Apd. 3.5.1; Hygin.fabb. 132,242. La discus- 41) Hymn. in Cer. 242-274 ss. Cfr. ScAllPI,Il pic-
sione in M.usl!Nzio, op. cit., pp. 49 sgg.; una chio e il codice delle api, cit., pp. 145.
sintesi in G. A. Plt.MTBRA,Dioniso in Omero 42) Apd. 3.14.7; cfr. Hygin./ab. 130.
e nella poesia greca arcaica, Roma, 1970, pp. 43) Apd. 3.14.8.
14 sgg. 44) Cfr. Hdt. 1.1-5.
24) Cfr.MASSENZJo,op.cit.,pp. lOOss., 104sgg. 45) Cfr. Callim. hymn. 6.18.21; Ov. met. 5. 341-
25) Ibidem. 343; Orph. hymn. 40.8-9 (Quandt); Plat.

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HOMO EDENS-----------------------------

782 B-C; Isocr. 4.28; cf. n. 33. 1.1.2; Hygin.fab. 164; Paus. 1.24.2, 27.2.
46) Cfr. ScAllPI, li picchio e il codice delle api, SI) Cfr. Od. 13.372.
cit., pp. 110-111. 52) Per l'olivo glaukopis: Euphor. frg. J.40Mei-
47) Non intendo in alcun modo riferirmi alle tesi neke = ISO Powell; per l'olivo glauké: Pind.
di M. MAPFBsoLJ, L 'ombre de Dionysos. eon- 01. 3.13; Soph. o.e.101.
trlbution à une sociologie de /'orgie, Paris, 53) Cfr. Eustath. ad Od. I, p. 1383.7; Hsch. s.v.
1982, in particolare pp. 169 sgg., il quale sem- astlelaill; Poll. onom. 9.17.
bra piuttosto proiettare in una dimensione 54) Cfr. M. DlmENNE,L 'olivier: un mythepoliti-
metastorica la funzione socializzante del dono co-religieux, RHR 178 (1970), pp. S-23; E.
di Dionysos. MoNTANAlll, li mito dell'autoctonia. Linee di
48) lsocr. 4.28-29, 31. Cfr. ScAllPI, li picchio e il una dinamica mitico-politica ateniese, Roma,
codice delle api, cit., pp. 147-148. 19812,pp. 43-47.
49) Cfr. L. MALTEN,Hephaistos, RE VIII/I SS) Cfr. MONTANAlll, op. cit., pp. 115-116; SAB-
(1912), 311-366, cll. 349-350; Nn.ssoN, Ge- BATUcc1, li mito, il rito e la storia, cit., pp.
schichte der griechischen Religion, 13,cit. pp. 145 sgg., 159-169.
439, 440 e n. 3; L. l>EuBNml,Attische Feste, 56) L'identificazione tra uomini, città e mura ~
Berlin, 1932, p. 35. Aesch. Prom. v. 461; stata messa chiaramente in luce da O. LoNoo,
Paus. 1.24.3. Ad Alceo J12./0 L.-P.: per la storia di unto-
SO) Apd. 3.14.1; Soph. o.e. 694-705; Cic. legg. pos, BIFO 1 (1974), 211-228, pp. 219 sa.

66-------------------------------
COLTIVAZIONE E NUTRIZIONE
NEL MEDIO EVO MEDITERRANEO

di Franca Sinatti D'Amico

Se si dovesse dare un'esatta collocazione cronologica al riaffiorare nella storiogra-


fia medievistica italiana e anche europea del problema alimentazione ci si troverebbe
in difficoltà. Fin dai risultati emersi dall'incontro a Spoleto, promosso dal Centro
italiano di Studi sull'altomedioevo dedicato al mondo rurale e all'agricoltura sem-
brò riaffermarsi la tendenza a dare alla nutrizione un'attenzione del tutto margina-
le, presi come si era a studiare le tecniche agricole, le strutture, le stesse condizioni
demografiche. Duby accolse l'osservazione di Braudel che legava la causa di ogni
trasformazione politica, culturale, demografica allo sviluppo agrario e completava
il pensiero con un rilievo espresso come dato di fatto: «La tradizione alimentare im-
pose di coltivare i cereali» 1•
Forse dovremmo chiederci il perché di questa asserita "imposizione": alla base
di questo parlare di tradizione alimentare come elemento del tutto certo, quindi di
poco interesse per l'indagine storica, vi è l'impostazione moderna dei nostri studi,
comune anche a tutta l'Europa contemporanea. La storia dell'agricoltura - almeno
fino a poco più di un decennio fa - non ha considerato fra i propri settori quello
della storia dell'alimentazione, o per meglio dire ne ha considerati alcuni aspetti sol-
tanto quando essi siano apparsi determinanti per una valutazione delle trasforma-
zioni demografiche o delle condizioni nelle campagne. Pare quasi che l'agricoltura,
elemento portante di una storia economica medievale, non abbia da risolvere intrin-
secamente, dentro di sé, il problema alimentare.
Sebbene il respiro breve di una comunicazione non ce lo consenta in modo ade-
guato, tuttavia almeno per brevi cenni non possiamo non cercare le cause di questa
impostazione e tentare il ~rcorso nuovo da seguire. Uno dei primi motivi si colloca
al di fuori dell'ambito propriamente storiografico: esiste una ben precisa divisione
negli studi superiori fra agricoltura e nutrizione. Le scienze agrarie mirano a poten-
ziare la produttività della terra, con una coltivazione sempre più fruttuosa e specializ-
zata, la scienza dell'alimentazione riguarda la crescita e il mantenimento dell'uomo,
anche in fase patologica, ed è stata studiata fra le scienze biologiche e mediche 2•
Queste due scienze divaricate hanno provocato, almeno fino a qualche tempo
fa, una divisione anche nella ricerca storica e l'interessamento che si è manifestato
nell'ultimo decennio attorno alla storia dell'alimentazione risente ancora della pre-
senza storica di questa dicotomia. D'altra parte va detto anche che la storia europea
non sempre ha diversificato, per il Medioevo, le aree continentali da quelle mediter-

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HOMO EDENS---------------------------

ranee, non soltanto rispetto all'aridità maggiore delle ultime, ma per la diversa for-
ma d'insediamento e di conoscenze colturali che non sempre s'identificano esclusi-
vamente con le tecniche di coltivazione.
Ne consegue la necessità di un avvicinamento alle fonti continentali e mediter-
ranee per un confronto almeno di metodo. Dobbiamo certamente al Montanari una
vera e propria apertura verso il tema dell'alimentazione negli anni vicini a noi, so-
prattutto per l'area centrosettentrionale italiana. Dalle molte ricerche emerge so-
prattutto che «il progressivo espandersi dei coltivi, il continuo regredire degli spazi
incolti mettono in evidenza il carattere sostanzialmente estensivo dell'agricoltura
medievale. L'aumento di produzione si ottenne soprattutto mediante l'allargamento
delle superfici coltivate, più che con l'aumento della produzione che rimase assai
bassa» 3•
La ricerca delle motivazioni di questo stato di fatto non è semplice, tuttavia ap-
pare sempre più necessario tentare un'impostazione degli studi nel proposito di
comprendere se a ciò si giunse per insormontabili difficoltà, oppure se invece il pro-
blema alimentare non abbia avuto un'importanza rilevante nel determinare alcuni
rapporti fra coltivazione e uso del territorio.
Alcune osservazioni, còlte fra la letteratura che si fa sempre più ricca, relativa
all'alimentazione del ricco e del povero, ci riconducono costantemente al motivo
economico della diversità di usi alimentari del contado e della città. Fino dalle più
lontane considerazioni del Jones ricorre costantemente l'affermazione - del resto
esatta e attestata dalle fonti - che «per i ceti contadini e per le classi più povere, che
formavano il nucleo più consistente della popolazione, né il pane diventò l'alimento
fondamentale, né il frumento il più importante tra i grani: a seconda dei luoghi, la
dieta alimentare normale consisteva in zuppe, "polenta" o "pane rustico" prepara-
to a partire da "misture" varie dei cereali più poveri (ivi inclusa la spelta) e di legu-
mi» 4.
Queste le caratteristiche dell'alimentazione medievale alla quale ovviamente
dovettero corrispondere anche canoni di coltivazione relativi: e stante il fatto che
ogni cereale ha le proprie peculiarità di messa a dimora per ambiente e tempi, non-
ché per la rotazione e per la raccolta, ci sembra che si profili sempre più necessario
pensare i due temi uniti. Ancora di più questa impostazione sembra da rispettare se,
lasciando la recente storiografia medievistica, giungiamo alle soglie della nostra era
e troviamo che proprio ancora presso gli enciclopedisti francesi il pane di segale ave-
va buona fama, e si celebravano le polentine di avena e di miglio, per non dire che si
elencavano fra i cereali in coltivazione oltre al frumento, la segale, la spelta, il mais,
il grano saraceno, il sorgo, l'avena e fra le preziose leguminose i ceci, la veccia, le fa-
ve: per ultime ma sempre ricordate per l'alimentazione, le castagne e le ghiande 5•
Si potrebbe dire dunque che - consolidatosi l'assioma che il frumento è "roba
da signori", per di più cittadini 6 - la tradizione alimentare povera, ma anche la più
diffusa, basa la propria articolazione nutrizionale sulle varietà dei cereali e sui legu-
mi, per giungere fino a noi. Per arrivare ai trattati del XVIII secolo trascorrono
quindi almeno sette secoli di storia europea senza che il mercantilismo che porta al-
cuni cereali a essere "moneta", prima il frumento poi il riso, almeno in alcuni terri-
tori, riesca a introdurre nell'alimentazione europea questi prodotti "fini" a base
della nutrizione più diffusa 7 •
Se si rifletta al fatto indiscutibile che i cereali-moneta erano tuttavia coltivati da
coloro che poi si nutrivano diversamente, e quindi, anche se in misura molto ridotta,

68------------------------------
---------------------- FRANCA SINA1Tl D'AMICO

era sempre possibile averne una piccola disponibilità, c'è da chiedersi se debba sem-
pre ricondursi alla povertà la scelta dei cereali minori per l'alimentazione.
Perché i coltivatori seminavano ancora orzo, avena, miglio, farro (troppo spes-
so non ricordato in alcuni elenchi), occupando aree cosi preziose e non estendevano
il frumento anche ai piccoli appezzamenti che venivano seminati, quasi come un
mosaico, con tutti gli altri cereali o con le leguminose?
Per l'Italia centro-settentrionale gli studi si omologano quasi tutti su motivazio-
ni di carattere economico, la povertà, e su questa linea corrono alcune osservazioni
sulla "politica annonaria" molto "raffmata" nella quale appare al centro del con-
trollo sulle coltivazioni l'imposizione nei patti colonici di una percentuale più eleva-
ta rispetto agli altri cereali minori, dei quali tuttavia il proprietario è a conoscenza
della messa a dimora e della coltivazione sul ''suo'' terreno 8 •
Non è chi, se un poco addentro all'economia agraria, ma soprattutto alle cono-
scenze agronomiche, non rilevi la contraddizione insita in questo rapporto, se non vi
sono alla base di questo "permissivismo" elementi non strettamente legati a un red-
dito diretto. Infatti la logica economica avrebbe suggerito di estendere le coltivazio-
ni a cereali maggiormente commerciabili, ma anche edibili - se il frumento o il riso
erano davvero il meglio - abbandonando le altre colture. E ciò anche se le rese in
percentuale nelle aree centro-settentrionali erano più basse per il frumento. Di que-
sta logica abbiamo un riscontro quotidiano nelle monocolture a mais dell'agricoltu-
ra contemporanea.
Invece questo non avviene, e non avvenne neppure ove le rese cerealicole erano
molto alte. Concorre a rafforzare l'esigenza di capire meglio i me('Panismi di queste
scelte il fatto che "stati" signorili come quello di Milano regolarono minutamente
l'alimentazione con l'uso di tutte quelle produzioni cosi varie, ma cosl persistenti,
proteggendole, coordinandole, dandogli sbocco su quello che chiameremmo volen-
tieri il "mercato" dell'autoconsumo, o meglio interno al sistema alimentare locale 9•
Diventa allora indispensabile riprendere le ricerche da questo rapporto costan-
te, presente in ogni circostanza politico-economica, e ricondursi a una storia delle
conoscenze del tempo e a quelle che sono state le motivazioni di questi fenomeni.
Ci si accorge allora che, se è oramai detto da tutti che con la caduta della civiltà
romana si ha un mutamento profondo dell'agricoltura, soprattutto nelle aree dove
si immettono le concezioni dell'uso del terreno e della gestione della forza produtti-
va, per le quali l'estensivo diventa canone e scelta, ci dovremo rivolgere allo studio
comparato, anche cronologicamente, di quelle aree dove l'estensione non era possi-
bile per la struttura morfologica del territorio e del rapporto uomo-insediamento.
La concezione di un'agricoltura estensiva in aree a regime siccitoso non può es-
sere la stessa di quella di aree più fresche e destinate a riprodurre spontaneamente le
graminacee, e anche gli arborati. L'estensivo diventa in terre italiane come le Pugile
o la Sicilia e la Sardegna semideserto: di qui l'utiH:uazione misurata del suolo, assi-
dua nelle coltivazioni agrarie con l'utilizzazione sempre attenta del bene primario,
l'acqua.
Tuttavia questa perizia nella scelta dei modi di coltivare che ritroviamo intorno
al Mille non soltanto in Sicilia, ma anche nell'attuale Spagna e Portogallo, nelle ter-
re meridionali della Francia c'impone di valutare il peso avuto dalla presenza araba:
se molto si è detto nella storiografia contemporanea dell'alto livello di conoscenze
matematiche e filosofiche degli Arabi, molto meno è stata studiata la cultura agro-
nomica 10•

-69
HOMO EDENS---------------------------

Se invece raffrontiamo cronologicamente non soltanto le situazioni concrete


delle quali iconografia e documenti sono ricchi, ma consultiamo la letteratura relati-
va, ci troviamo di fronte non soltanto a conoscenze ben dettagliate di scienze agra-
rie, ma alla riflessione su di esse. Ricordiamo in questa sede esclusivamente i testi
che l' Amari ci ha fornito nella Biblioteca Arabo-Sicula editi nel 1881 11• Le cogni-
zioni geografiche, le descrizioni delle caratteristiche ambientali, presenti in autori
del IX e X secolo, ci conducono alla certezza di una cultura che non trascurava l'am-
biente e valutava con molta precisione anche le potenzialità produttive del suolo e le
ricche risorse di territori dotati di acque buone e soprassuoli vigorosi.
Quando si giunge alla lettura del Libro dell'agricoltura di Ibn al Awwim 12,
probabilmente vissuto nell'XI secolo, nel quale i raffronti fra le colture - ad esem-
pio il cotone in Sicilia e in Spagna - sono sempre sostenuti da ogni tipo di cono-
scenza tecnica, e si commisura questo patrimonio culturale con "il buio" agricolo
delle terre continentali, così almeno appare dalla storiografia, si è turbati da molti
dubbi.
Il primo quesito deriva dal porsi il perché dell'attenzione cosi intensa per i pro-
blemi della coltivazione da parte di un popolo la cui economia non era preminente-
mente agraria: l'agricoltura era un'attività, - i testi lo ripetono, - che era destina-
ta all'alimentazione, un'arte per la qualità della vita. Il quesito sembra trovare la
sua prima soluzione se seguiamo la ricerca affannosa della medicina araba dal IX se-
colo in poi volta a riscontrare il patrimonio di conoscenze greche con il proprio. Il
principio che emerge da quel poco fin qui studiato è che l'uomo deve curarsi in anti-
cipo con una corretta alimentazione, un concetto quindi di prevenzione che l'Euro-
pa teorizzerà scientificamente molti secoli dopo.
Lo studio di tutti i cereali, la proposta costante di coltivare ogni tipo di ortag-
gio, suggerendo costantemente che la varietà fa bene, si collega a una scienza medica
che cerca ovunque cognizioni e rimedi 13• Si salda in questa epoca nell'area mediter-
ranea l'agricoltura alla medicina, attraverso l'alimentazione. La tradizione medica
greca era nota.
Tuttavia questi testi cosi importanti erano scritti in una lingua incomprensibile:
se in Spagna alle corti arabe si andavano cercando ovunque persone bilingui, che
potessero tradurre dal greco in arabo, e siamo nel IX e X secolo 14, in Italia Lotario
imperatore sacro e romano cercava di riorganizzare le scuole disperse dal lungo tace-
re della lingua latina. Il patrimonio agronomico arabo non poté quindi essere trasfe-
rito come conoscenza colta, però ebbe molte vie di penetrazione per uso, presenti gli
Arabi come furono nelle terre meridionali non soltanto italiane, ma anche della
Francia, per non dire della penisola iberica.
Sela storiografia che si è occupata d'idraulica, sia come drenaggio che come ir-
rigazione, assegna agli Arabi la diffusione in Europa di molte pratiche per la distri-
buzione e la regimazione delle acque, sembra lecito pensare che si siano diffuse an-
che le coltivazioni possibili, dopo che l'acqua venne distribuita 15•
Ne consegue che uno studio dell'alimentazione diventa sempre più di ampiezza
europea se vogliamo risalire al possibile trasferimento di conoscenze, ma soprattut-
to non possiamo tralasciare d'indagare se questa particolare cultura araba, legata al-
la conquista del terreno per produrre generi alimentari, con particolari doti nutrizio-
nali, si sia estesa, abbia potuto trasferirsi, sia pure attraverso l'uso, privo di rifles-
sione scientifica, alla nostra agricoltura.
Certamente il Regnum Siciliae fu permeato da questa cultura: i rapporti con Fe-

70 ------------------------------
---------------------- FRANCA SINA1TI D'AMICO

derico Il, ma anche con Corradino e Manfredi sono ampiamente attestati nelle fonti
arabe e il piano di trasformazione fondiaria impostato da Federico Il con una costi-
tuzione che risale alla prima metà del secolo XIII ci dimostra che il principio della
varietà delle specie non soltanto cerealicole, ma anche degli allevamenti minori, è
sancito come prima regola della produzione 16•
Se questa visione articolata del territorio ci mise qualche anno fa sull'avviso,
oggi sempre di più sentiamo l'esigenza di uno studio comparato, proprio perché la
diffusione da parte del "principe" di proposte e per una politica annonaria ci sem-
bra appartenere alla nostra civiltà mediterranea, e pertanto merita di essere studiata
in un'impostazione metodologica che rompa gli angusti confini del regionalismo,
senza per altro perdersi nel generico.
Consegue allora l'altra necessità di studiare il territorio nella sua intierezza,
proprio in quei canoni alimentari che ebbero una prof onda influenza, almeno nelle
aree mediterranee nella scelta dei modi di coltivazione: allorché nel Libro di agricol-
tura di 'al Awwim si avverte che con il distribuire l'acqua con canali che devono es-
sere difesi da piccoli argini fatti a mano, sicché l'acqua evapori più lentamente, si ot-
tengono due risultati, il primo la parsimoniosa erogazione di un bene raro com'è
l'acqua in queste aree, il secondo che gli ortaggi cosi coltivati "fanno bene" alla sa-
lute, dobbiamo necessariamente rileggere queste pagine in un'ottica diversa da quel-
la fin qui seguita.
Anche di recente un incontro dedicato all'agricoltura e alla trasformazione del-
l'ambiente in Europa 17 ha considerato l'utilizz;azione del suolo in una prospettiva
tecnico economica che lascia poco spazio al problema che cerchiamo qui di propor-
re. Si è levata soltanto la voce di Vanzetti a sollecitare una collaborazione maggiore
fra diverse discipline 18, ma il taglio dei contributi, pur legandosi alla necessità dico-
noscere alcuni motivi delle trasformazioni dell'ambiente tiene lontana la tematica
alimentare come un argomento che non abbia una sua problematicità.
Ci sembra invece necessario ripensare alle stesse trasformazioni ambientali non
sempre guidate dalla necessità di lucro, o quanto meno non sempre guidate da una
logica certa, che veniva a determinarsi per motivazioni economiche. Basterebbe ap-
punto riflettere agli statuti rurali di molte comunità, dettati nel Medioevo, ma in vi-
gore fino al Settecento, nei quali s'imponevano alcune colture ortive: non certo per
fini speculativi, ma per la certezza che fosse compito del legislatore provvedere an-
che alla tutela della salute degli agricoltori. Qui non c'è spazio altro che per dire che
la connessione coltivazione-alimentazione è un tema tutto aperto, e tutto da essere
considerato legando assieme i problemi dei due settori, per evitare il rischio di priva-
re sia l'una che l'altra ricerca della propria vera logica.

NOTE

1) O. DuBY,Le prob~me des techniques agrico- ne è stata istituita in Italia nel 1938 per le fa-
les in Agricoltura e mondo rurale in Occiden- coltà di chimica nell'indirizzo organico biolo-
te nell'Alto Medioevo, 22-28aprile 1965, XIII gico, nel 1940 un altro decreto la estese alle
Settimana di Studio del Centro Italiano di facoltà di medicina, di scienze, di farmacia e
studi sull'alto Medioevo, Spoleto, 1965, pp. scienze biologiche. Cfr. il primo corso di G.
267-283. QuAOLWU!LLO,Scienza dell'alimentazione,
2) La prima cattedra di scienza dell'alimentazio- Napoli, 19532 •

- 71
HOMO EDENS-----------------------------

3) M. MoNTANAJU,L'alimentazione italiana nel- in corso di stampa). Il Manzoni ha tracciato


l'alto medioevo, Napoli, 1978. L' A. ha poi un profilo di tutte le istituzioni inlerite nella
sempre seguito questo importante settore, e in legislazione milanese per l'alimentazione, la
questa occasione citeremo soltanto quegli distribuzione delle derrate nel Ducato, il con-
scritti pertinenti al tema specifico in esame. trollo delle stesse produzioni, istituzioni che
Le parole riportate sono lette in M. MONTA· dimostrano una conoscenr.a approfondita an-
NARI,Espansione de/l'agricoltura, trasforma- che delle rese cerealicole.
zione del paesaggio, modificazione dei rap- Su quest'ultimo argomento ricordiamo qui al-
porti di lavoro. L'esempio delle campagne cune osservazioni molto acute del Rossini che
imolesi, in Campagna medievale. Strutture dovrebbero sempre essere tenute presenti da
produttive, rapporti di lavoro, sistemi alimen- chi fa della storia agraria. E. Rossoo, Tra
tari, Torino, 1984, pp. 32-54, alla p. 37. geogrqfia e storia: territorio, comunitd e mer-
4) PH. JoNBS,La societd agraria medievale all'a- cati del Garda nei secoli XV e XVI in E. Ros-
pice del suo sviluppo in Storia economica s1N1-G.ZALIN, Uomini, grani e contrabbandi
Cambridge, L'Italia, voi. I, L'agricoltura e la sul Garda tra Quattrocento e Seicento, Vero-
societd rurale nel Medioevo, Torino, 1976, na, Istituto di storia economica e sociale, p.
pp. 412-526; p. 451. 45 sgg.
5) Cfr. C. Fmuwu, Il cibo e l'alimentazione in IO) È veramente questo un campo ancora tutto da
Collezione dell'Enciclopedia, Milano, 1981, esplorare anche sotto il profilo delle fonti, an-
p. 12 sgg. cor oggi in gran parte inedite: ad esse fra l'al-
6) Rinviamo a un lavoro molto attento alle fonti tro viene dato un rilievo scarso anche dalla
che conferma la impostazione fin qui seguita stessa storiografia contemporanea dei paesi di
dalla storiografia italiana: A. M. NADA PA- lingua araba, presenti nel Mediterraneo, an-
TRONE, Il cibo del ricco e il cibo del povero. che se alcuni studi recentissimi dei rapporti
Contributo alla storia qualitativa dell'alimen- degli Arabi con l'Europa medievale aprono la
tazione. L'area pedemontana negli ultimi se- via a queste ricerche.
coli del Medio Evo, Torino, 1981. L'attenzio- 11) Biblioteca arabo-sicula. Raccolta di testi arabi
ne alle due produzioni basilari per l'alimenta- che toccano la geografia, la storia, la biogra-
zione "povera", cereali e ortaggi, mette in lu- fia e la bibliografia della Sicilia, raccolti e tra-
ce una scelta di coltivazioni, gli ortaggi so- dotti in italiano da MICHELEAMAlu,Torino,
prattutto che premiano, su piccole aree impe- 1881.
gnate, soprattutto l'abilità nel lavoro e le co- 12) Kit8b 'el Falahah (Libro dell'agricoltura) di
noscenze agronomiche. sayl) 'AbO ZakariaYal)ari 'ibn Mul)ammad
7) Un'opera di notevole rilievo, edita in questo 'ibn 'Ahmad 'ibn 'al 'Awwim, 'al Hbilt in Bi-
anno, mette ancora una volta in luce la diffi- blioteca, cii., voi. li, p. 304 sgg.
coltà di comunicare con le scienze agrarie da 13) Cfr. Storia della scienza a cura di M. DAUKAS,
parte degli economisti. Questa ricerca tuttavia P. BRUNET, Le scienze nell'Antichitd e nel
ha il grande pregio di proporre studi compa- Medioevo, Bari, 1976, p. 116 sgg.
rati fra le varie aree europee e quindi risulta 14) Cfr. AMAlu, op. cit., c. LXVI. L'opuscolo
utilissima per individuare singole aree sin qui sulle Sorgenti di notizie su le biogref,e dei me-
non studiate. The medieval and early-modern dici narra appunto che l'opera di Dioscoride
Rural Landscape of Europe under the lmpact fu tradotta nel 952 con l'aiuto anche di un
of the Commerciai Economy, ed. by H. J. medico siciliano che conosceva arabo e greco.
Nrrz, Departement of Geography, University 15) Il primo storico dell'irrigazione lombarda, il
of Gottinger, contributi dell'incontro della Lombardini, ipotizzava nello scorso secolo
Permanent European Conference for tbc che i primi rudimenti di scienza idraulica pe-
Study of tbc Rural Landscape (Rastede and netrati in Italia intorno al Mille dovessero es-
Hagen, Federai Republic of Germany, 2-9 sere legati al patrimonio di conoscenze tra-
September 1985). smesse dagli Arabi, probabilmente attraverso
8) G. PtNTo,Coltura e produzione dei cereali in la comunicazione di monaci.
Toscana nei secoli XIII e XIV in Civiltd ed 16) F. SINATTID'AMICO, Territorio, cittd e cam-
economia agricola in Toscana nei secoli XII/- pagna in epoca f edericiana: exemplum Apu-
XIV: problemi della vita delle campagne nel liae in "Archivio Storico Pugliese", 37, 1984,
tardo Medioevo, Bologna, 1981, p. 259 sgg. pp. 5-44.
Cfr. anche M. MONTANARI, op. ult. cii. 17) Agricoltura e trasformazione dell'ambiente.
9) A. MANZONI,La politica alimentare nella Si- Secoli XIII-XVIII, Istituto int. di storia eco-
gnoria milanese attraverso le istituzioni (tesi nomica "F. Datini", Prato, li, Firenze, 1984.
di laurea dell'Università Cattolica di Milano, 18) C. VANZErn, L 'utilisation du sol in Agricol-
Facoltà di Scienze Politiche, anno 1984/1985, tura, cit., p. 111.

72 ------------
SECONDA SESSIONE

LE FILOSOFIE
DEL CIBO
Presidente:
Carlo Tullio-Altan
IL CIBO E IL CORPO NELLA DIATRIBA
E NELLA SATIRA

di Adriano Pennacini

Nel III secolo a.e. in Grecia tra le scuole socratiche si distinse sia per i suoi atteg-
giamenti generali sia per le sue specifiche posizioni verso le realtà naturali e tecniche
la setta dei cinici. Questi univano a un radicalismo estremo duttilità e pragmatismo.
Nell'ambito di un'amplissima contestazione delle tradizioni e dei valori vigenti
- insomma: della civiltà, intesa come fonte di corruzione - essi afferma vano la ne-
cessità di ritrovare i semplici criteri di una vita secondo natura predicando per le
piazze con le parole e con l'esempio che per vivere secondo natura, cioè nella felici-
tà, l'uomo deve saper rinunciare agli elementi più significativi e caratteristici della
cultura e della civiltà del suo tempo. Da una parte i beni materiali, cioè gloria, nobil-
tà, ricchezza, potere, forza fisica, salute, bellezza e non ultimi i piaceri e i lussi della
tavola, le gioie del mangiare e del bere; dall'altra parte i beni culturali, cioè le arti
cosiddette liberali: grammatica, retorica, storia, dialettica, matematica e geometria,
scienze fisiche (per esempio astronomia), musica, medicina.
Questa rinuncia agli studi delle "arti liberali" o discipline "enciclopediche",
quelle che nel Medioevo si organizzeranno nel trivio (grammatica, retorica, dialetti-
ca) e nel quadrivio (geometria, aritmetica, astronomia e musica), non è motivato dal
rifiuto delle conoscenze che si possono acquisire attraverso quegli studi, ma dalla
considerazione che una sola cosa è importante apprendere: la virtù, che i cinici pen-
savano si potesse appunto insegnare nel corso di una generale formazione filosofica;
ma filosofia per i cinici significava sostanzialmente etica pratica.
Infatti i criteri della vita secondo natura si concretano in precetti e divieti ben
precisi riguardanti, per esempio, la scelta e l'assunzione di cibi e bevande: completa
astinenza da vino, carne, bevande raffreddate con neve o con ghiaccio; è consentita
una dieta vegetariana di ortaggi e di legumi, in particolare di lupini; la sola bevanda
lecita è l'acqua; comunque nell'alimentazione valgono i precetti della semplicità e
della sobrietà: mangiare e bere poco: fame e sete sono i migliori condimenti del cibo.
I cinici trovarono uno strumento di successo per la predicazione popolare nella
composizione orale all'improvviso o estemporanea: la diatriba I che qualcuno inter-
preta "lezione", ma è certamente meglio tradurre "conversazione": in latino ser-
mo, titolo puntualmente scelto per le loro composizioni dai poeti satirici Lucilio e
Orazio, cioè discorso di propaganda o dibattito caratterizzato da taglienti battute
umoristiche, dall'aggressione satirica e dalla polemica espressa in dialoghi con un
interlocutore fittizio: da questo può derivare il nome di diatriba, ma anche dalla si-

----------------------------- 1S
HOMO EDENS ---------------------------

tuazione di conversazione e di scambio (anche questo fittizio) di opinioni con il pub-


blico.
Questa composizione all'improvviso o estemporanea, caratteristica della filoso-
fia popolare cinica (popolare perché presentata nelle piazze in forme semplici e di
facile comprensione) è attribuita in particolare a Bione di Boristene 2 (città sita sulla
costa settentrionale del Mar Nero, alla foce del Dniepr, ora scomparsa). Bione, fi-
glio di una prostituta greca e di uno schiavo, vissuto nel III secolo a.e., amico e
ospite di Antigono Gònata, dal 277 re di Macedonia, la cui morte nel 239 costituisce
un terminusante quem per la data della morte di Bione (infatti Antigono assistette
Bione morente), venduto schiavo con la famiglia perché il padre aveva frodato il da-
zio, fu acquistato per il suo gradevole aspetto da un retore, alla morte del quale rice-
vette la libertà e ne ereditò tutto il patrimonio, che vendette per recarsi a studiare fi-
losofia ad Atene; verosimilmente negli anni in cui servi presso il retore apprese la re-
torica.
Secondo Eratostene, Bione per primo fece indossare alla filosofia una veste a
fiori, perché più facilmente suscitasse il desiderio degli uomini e li attraesse a sé; l'at-
trazione avviene attraverso il piacere estetico prodotto dall'applicazione di procedi-
menti stilistici e retorici destinati a ritrovare la verità o quella che Bione credeva fer-
mamente essere la verità. L'abito a fiori è l'ornato del discorso o, se si preferisce, la
retorica.
Il procedimento con il quale Bione ritrova il vero o conduce l'uditore a scoprire
la verità o ad accogliere il messaggio etico del cinismo (vivere secondo natura, rico-
noscere le cose nella loro realtà naturale) è la frustrazione dell'attesa: attraverso lo
straniamento prodotto da questo procedimento l'uditore giunge alla conoscenza del
vero. La sorpresa, la frustrazione dell'attesa sono prodotte dallo straniamento del-
l'oggetto descritto: mediante l'introduzione di un elemento impertinente viene mu-
tata l'angolazione dalla quale l'oggetto è descritto. L'impertinenza di solito provoca
il riso e comunque consente di dire la verità o di illuminare l'oggetto in un aspetto
inconsueto o ignorato o di porne in luce una caratteristica considerata fondamentale
dall'oratore o scrittore. Attraverso lo straniamento il satirico e il filosofo ci fanno
conoscere l'oggetto nella sua realtà attuale e nella sua autenticità, sia essa valore o
disvalore.
Il fine dello straniamento è la percezione dell'autentico; in termini di retorica lo
straniamento è precipuamente figura di pensiero; ma la retorica antica conobbe uno
straniamento che si realizza in forma di figura di parola: quello di cui tratta Aristo-
tele nella Poetica22 dichiarando che esso si realizza con l'impiego della metafora o
di qualsiasi vocabolo usato impropriamente. Lo straniamento attraverso i procedi-
menti del simile (metafora, similitudine, esempio) e l'impiego di vocaboli designanti
realtà tecniche, corporali, fisiche consente a Bione di attingere la percezione dell'au-
tentico, che nei testi e nei discorsi filosofici è una verità intellettuale o spirituale col-
locata fuori del tempo o un'affermazione assiologica diretta a contestare i valori
della cultura e della società contemporanee, che vengono risolutamente scavalcati
per pervenire ali' adesione immediata alla natura.
Metafore, similitudini, paradigmi nelle sentenze di Bione sono attinti dalla real-
tà sensibile, concreta, sper~entale: dall'area del fare naturale e dell'operare tecni-
co; non con dimostrazioni di logica astratta, ma con esempi di comportamenti natu-
rali e pratici Bione prova l'importanza della filosofia; come la validità di afferma-
zioni relative a realtà morali e psichiche è dimostrata e corroborata dal riferimento a

76 ------------------------------
----------------------- ADRIANO PENNACINI

realtà corporali e sensibili, della cui verità e naturalezza si pensa che verosimilmente
nessuno dubiti. D'altra parte apprendere a vivere secondo natura significa prima di
tutto occuparsi della propria quotidiana vita individuale.
La superiorità o preferibilità della filosofia sulla retorica è adombrata mediante
l'introduzione di due metafore distanti, ma non dure, che istituiscono una compara-
zione di attività o operazioni o realtà tecniche e fisiche (quali l'importazione e la
vendita di derrate alimentari) con attività o realtà culturali o spirituali. «A Rodi, do-
ve gli Ateniesi si esercitavano nella retorica, egli insegnava filosofia: a uno poi che
gliene faceva una colpa disse "Ho portato grano e vendo orzo?"».
Bione usa la retorica per persuadere gli uditori che la filosofia vale di più della
retorica; e conduce l'uditore a questa persuasione attraverso lo straniamento delle
immagini sia della retorica sia della filosofia mediante la sostituzione a esse di due
metafore: in luogo della filosofia il frumento, in luogo della retorica l'orzo. Il mes-
saggio delle metafore è questo: maggiore il potere nutritivo del frumento, minore
dell'orzo, come maggiore il potere della filosofia, minore il potere della retorica di
nutrire la mente e lo spirito. Quindi la filosofia come il frumento e la retorica come
l'orzo. Nella cultura greca è attestata la considerazione dell'orzo come surrogato:
chi non ha vino di vite beve vino d'orzo (birra).
Metafore e similitudini attinte dalle aree dell'operare tecnico e del fare naturale
appaiono a Bione come i riferimenti piu autorevoli per persuadere l'uditore della
credibilità delle proprie affermazioni. Un'altra sentenza attinge il senso della verità
da uno degli atti più naturali della realtà corporale: il coito. La sentenza, riportata
da Plutarco, si ispira ai poemi omerici: «Spiritoso il detto del filosofo Bione, che so-
steneva che come i Proci, dal momento che non riuscivano a giacere con Penelope,
se la facevano con le sue serve, cosi coloro che non sono in grado di apprendere la fi-
losofia, si consumano nello studio di discipline di nessun valore».
In sostanza Bione sostiene che gli studenti, che non hanno successo nella filoso-
fia, si dedicano alle altre discipline che non valgono niente, e si consumano nel loro
studio. La similitudine implica, come sempre, il possesso da parte degli uditori, di
un patrimonio di informazioni specifiche. La sentenza secondo l'uso cinico unisce
alla citazione omerica il gusto dello scherno e dello scandalo.
Bione suggerisce ai suoi uditori che la filosofia, come Penelope, è una regina, la
regina degli studi; poi rappresenta studenti e studiosi come degli innamorati, che de-
siderano di congiungersi carnalmente con la regina; quindi l'apprendimento e il pos-
sesso della filosofia sono immaginati come il possesso carnale della regina. Bione
suggerisce che la vera conoscenza, quella che funge da modello per tutte le altre, è la
conoscenza carnale; le altre discipline sono come le serve della regina, ma non per-
ché siano funzionalmente integrate in un processo di apprendimento che passando
attraverso di esse conduca alla filosofia, bensi sono delle serve perché non valgono
niente.
Serva e regina dunque come vocaboli indicatori di valore, non di funzione. An-
cora una cosa suggerisce Bione: lo studioso che riuscirà a giacere con la regina rice-
verà da questa copulazione la prova del suo valore e diventerà quindi un filosofo; gli
altri si consumeranno senza ottenere alcun compenso nella frequentazione delle ser-
ve, donne di nessun valore intrinseco. Dunque una raffinata tecnica retorica in una
similitudine insolente e scandalosa, dove la descrizione di un comportamento natu-
rale, che tutti gli uditori verosimilmente conoscono, prova la verità di un'afferma-
zione astratta.

- 77
HOMO EDENS ---------------------------

Il punto essenziale, come nella satira di Bione cosi nella satiradi Lucilio, roma-
no del I secolo a.e. 3, resta che le operazioni tecniche attinenti a realtà fisiche conta-
no tanto che lo scrittore assegna loro la funzione di convalidare il vero filosofico o
spirituale. Come in questo frammento: Cocus non curai cauda insignemesse illam,
dum pinguis siet,·I sic amici animum quaerunt,rem parasitiac ditias («Il cuoco non
cura che essa abbia una bella coda, purché sia grassa; cosi gli amici cercano l'animo,
i parassiti il patrimonio e la ricchezza»).
Provocatoria questa comparazione tra cuoco e uomo che sa essere amico e sce-
gliere bene gli amici; come si può pensare a dire che allo stesso modo che il cuoco
palpando sceglie la bestia grassa, cosi un uomo scrutando l'animo scopre l'amico?
Questa è operazione etica e intellettuale, quella sperimentale e sensibile.
Ma appunto di qui passa la provocazione di Lucilio: se sapiens è chi conosce
l'animo di un uomo e ne diviene amico, allora sapiensè anche il cuoco che riconosce
la bestia grassa; oppure non è la sapientiail criterio che presiede all'una e all'altra
delle due scelte. È insomma qualcosa che un uomo, sia mentre esplica mansioni di
cuoco, sia nel suo personale e privato vivere, quando si fa un amico, possiede e usa.
Anche il cocus, che non è doctus, pure ha un sapere, un criterio di giudizio che gli
consente di fare delle scelte. Sia Lucilio stesso a parlare o faccia dire questi due versi
da un personaggio, credo che il giuoco della lingua e dello stile mostri bene il suo
pensiero: vi è un'etica anche nei rapporti tra uomo e cose.
Il medesimo criterio presiede a un'operazione tecnica appartenente all'umile
mondo dei cuochi e delle cucine - la scelta della bestia grassa - e a un atto etico-
sociale - la scelta degli amici-; l'equivalenza o identità di sostanza tra un'opera-
zione tecnica e un atto morale legittima la proposta avanzata da Lucilio nelle sue sa-
tire di aprire la cultura e la letteratura romana al mondo dei mestieri e degli affari
(artesac negotia).
La concreta, percettiva considerazione del corpo umano come di un autentico
irrinunciabile dato dell'esperienza del vivere passa anche attraverso l'analogia, ma-
linconicamente invocata, tra la salute del corpo e la salute dell'animo: si tam corpus
loco validumac regionemaneretI scriptoris,quam veramanet sententiacordi («Se
il corpo dello scrittore tanto durasse valido al suo posto e nella sua positura, quanto
dura vero il giudizio del suo cuore»). Se pure in forma ipotetica il paragone viene
stabilito tra la verasententia, che risiede nel cor, sede del senno e dell'intelligenza, e
la sanità del corpo. A questa viene trovato un analogo nella autenticità del sentire,
interiore e spirituale, criterio che consente a un uomo di giudicare rettamente. Le
condizioni del corpo, benché, secondo Lucilio, siano del tutto indipendenti da quel-
le dell'animo, tuttavia sono tanto importanti quanto le condizioni di quello: ciò è
provato dall'analogia istituita tra i due. La realtà fisica e biologica è analoga a quel-
la psichica e spirituale.
Osserva Michail Bachtin in Epos e romanzo che un procedimento caratteristico
del genere serio-comico è l'annullamento della distanza alla quale è collocato l'og-
getto - cosa, situazione, personaggio-; la creazione e la descrizione comica lavo-
rano in una zona di massima vicinanza. Il riso avvicina l'oggetto, lo sottopone a un
rude contatto, nel corso del quale l'autore «si prende delle libertà», cioè lo tasta, lo
rivolta da tutte le parti, lo spela per vedere com'è dentro, lo smembra, lo denuda, lo
smaschera. Il riso distrugge paura e rispetto; consente una conoscenza realistica di
persone e cose, permette di abbassare personaggi illustri al livello comune, di sot-
trarre gli eroi all'aura della gloria e all'immobile lontananza dell'epos.

78 -----------------------------
------------------------ ADRIANO PENNACINI

In alcuni frammenti di satire Lucilio descrive le eroine dell'epica nel loro aspet-
to fisico, indagandone da vicino difetti e bruttezze impressionanti o ridicoli. La de-
scrizione da vicino a scopo demistificatorio si avvale, come di un elemento privile-
giato, del corporale. Il corpo demistifica gli ideali, i difetti fisici abbassano le eroine
al nostro livello di comuni e ignobili mortali: «Pensi forse che sia impossibile che
una signora dalla bella chioma e dalla belle caviglie abbia le mammelle che toccano
la pancia e perfino gli inguini, che Alcmena, la consorte di Anfitrione, avesse gambe
e piedi storti, e che altre, Elena stessa infine ... non voglio dirlo: vedi da te e scegli
una parola qualsiasi di due sillabe, e che una damigella d'alto lignaggio non avesse
qualche im.perfezione, una verruca, un neo, un puntolino, un dente più sporgente
degli altri?» (Num cences calliplocamon callisphyron ul/am I non licitum esse ute-
rum atque etiam inguina tangere mammis, I conpernem aut varam Juisse Amphi-
tryonis acoetin I Alcmenam, atque alias, Helenam ipsam denique ... nolo I dicere:
tute vide atque disyllabon elige quodvis I xoupY1Y eupatereiam aliquam rem insignem
habuisse, I verrucam, naevum, punctum, dentem eminulum unum?).
La descrizione serio-comica, l'aggressione polemica e satirica, realizundosi sul
piano della specificità letteraria mediante mistioni di stili e di strati linguistici, inve-
ste le tradizioni culturali e letterarie più venerande. Il corporale, visto da vicino, de-
mistifica gli ideali, che sono e restano lontani e fuori del tempo. Il risultato non è
una semplice critica razionalistica conclusa con un rifiuto del mondo epico-tragico,
delle sue cristalline e incontaminate idealizuzioni, delle sue sublimità stilistiche; ma
consiste nell'indicazione di un'umanità corporea da acquisire come irrinunciabile
dimensione della conoscenza dell'uomo.
Ali 'umanità astratta, ali' homo dei filosofi e dei letterati, che hanno studiato
Aristotele, Teofrasto e Menandro, ma anche al vir del costume avito dei Romani
Lucilio oppone e affianca l'umanità corporale e sensuale, la rappresentazione delle
condizioni soggettive e oggettive, delle realtà fisiche degli uomini e delle donne.
Queste realtà fisiche e corporali mettono alla prova, saggiano e verificano la solidità
e la pienezza dei valori e degli ideali; spesso mostrano quanto sia vuoto il sublime.

NOTE

l) A. 01.nAMAlll!,Les orlglnesde la diatribe ro- tati in questa relazione sono pubblicati nell'o-
maine, Ginevra, 1926, pera citata.
2) J. F. K.nmsnAND,Bion o/ Borysthenes, Up- 3) Lucn.ros, Satires, 2 voll., a cura di F. Char-
psa]a, 1976. Testimonianze e frammenti trat- pin, Parigi, 1978-79.

----------------------------- 79
CIBO E FORME DI SUSSISTENZA
IN PLATONE, ARISTOTELE
EDICEARCO

di Giuseppe Cambiano e Luciana Repici *

Lungo la strada della costruzione di un'immagine di sé, orientata a mettere in luce


aspetti di eccezionalità e di superiorità rispetto ai valori diffusi e alla condotta co-
mune, i filosofi antichi s'imbatterono ben presto anche nel problema del cibo. La
costruzione di un'etica dell'autodominio e del contenimento dei bisogni, capace di
situare il filosofo in una zona rarefatta inaccessibile ai più, ravvisò nel cibo, accanto
al sesso, uno dei suoi termini di riferimento.
Ma nel momento in cui, soprattutto con Platone, il filosofo aspirò a presentarsi
come figura egemone entro un modello di città giusta, il problema del cibo si svinco-
lò da una prospettiva esclusivamente individuale o di piccolo gruppo, per ancorarsi
all'orizzonte della città.
Nel libro II della Repubblica - in una sezione che talora è stata scambiata per
una descrizione storica - Platone costruiva un modello logico di città mediante l'in-
dividuazione delle condizioni necessarie (anche se non ancora sufficienti) per il co-
stituirsi di essa 1• La matrice della formazione di una città era ravvisata nei bisogni,
che il singolo è incapace di soddisfare integralmente da sé; e il bisogno primo e mas-
simo (megiste) appariva a Platone quello del cibo (369 b S d 2).
Nel Sof,sta egli avrebbe suddiviso il genere della techne nei due ambiti ben di-
stinti della produzione e dell'acquisizione. Ma nella Repubblica, per illustrare i mo-
di in cui la città rispondeva al problema dell'alimentazione, egli puntava la sua at-
tenzione sulla produzione e, in primo luogo, sull'agricoltura (369 d 6-10). Le dimen-
sioni acquisitive della raccolta o della caccia erano assenti da questo primo momen-
to dell'analisi platonica.
Accanto all'agricoltore erano menzionate altre figure: i pastori, in primo luogo
di buoi e di peéore. Platone stabiliva qui un'associazione non molto frequente nella
cultura greca tra agricoltura e pastorizia, che non apparivano come forme alternati-
ve di sussistenza. Ma la cosa significativa è che la finalità della pastorizia era ravvi-
sata nell'acquisizione non di cibo, ma di strumenti per arare i campi ed effettuare
trasporti di pelli e lana con cui tessere abiti o fabbricare scarpe (370 d 9-e 3) 2•
Questo fatto è strettamente collegato al tipo di alimentazione che Platone attri-
buisce a questo primo momento della città. Si tratta di una dieta, dalla quale le carni

• I primi due paragrafi sono scritti da Giuseppe Cambiano, gli ultimi due da Luciana Repici, ma il sag-
gio ~ risultato di lavoro e discussione comune.

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HOMO EDENS ---------------------------

sono assenti. Dapprima sono menzionate farina d'orzo (krithòn alphita) e farina di
frumento (pyròn a/eura) 3 , sottoposte a operazioni di impastamento e cottura per
dar luogo a focacce e pani; il tutto è accompagnato da vino (372 b 1-c 1). Alla rimo-
stranza di Glaucone sull'assenza di companatico, Socrate aggiunge alla lista: sale,
olive, cipolle, lattuga e una serie di leccornie quali fichi, ceci, fave, oltre a bacche di
mirto e ghiande di faggio abbrustolite (372 c 2-d 1). Questo tipo di alimentazione
avrebbe l'effetto di rendere sani e longevi (372 d 1-3).
Ma sarebbe affrettato trarre la conclusione che questo quadro vegetariano
comportasse l'adesione di Platone a forme di vegetarianismo totale o parziale, quali
erano praticate in ambienti orfici e pitagorici 4 • Infatti la città sin qui delineata non è
ancora il modello di città, anche se ne contiene alcuni elementi. L'interlocutore di
Socrate la definisce, com'è noto, una città di porci (372 d 4-e 1). Su questa espressio-
ne sono fiorite le speculazioni. Alcuni hanno ravvisato in essa un'allusione al primi-
tivismo di Antistene e dei cinici: la vita umana sarebbe qui abbassata a un livello pu-
ramente animale, esemplificato dal porco 5 •
Ma non è esatto identificare questo primo nucleo della città platonica con la di-
mensione della natura, opposta o distinta o antecedente alla cultura. In realtà qui
siamo già sul piano della cultura e della città, se non altro per quanto riguarda la di-
visione dei mestieri e la loro integrazione; e non siamo a conoscenza di rappresenta-
zioni greche di un mondo preculturale caratterizzato da questo tratto. Né si può rav-
visare nell'espressione "città dei porci" un riferimento all'età dell'oro, proprio per-
ché la situazione analizzata da Platone è contrassegnata dai bisogni e dalle attività
per soddisfarli, un aspetto questo assente nelle rappresentazioni di quell'età 6 •
Ma perché ricorre il porco e non un altro animale per descrivere questa città?
Per Gigon è difficile credere che il riferimento alle ghiande come cibo preferito dai
maiali abbia condotto a paragonare il modo di vita dcli' Urstaat a quello dei maiali 7 •
In generale agli interpreti moderni di Platone riesce sempre difficile pensarlo legato
anche ai problemi della vita materiale. Ma in questo caso sono essi forse che contri-
buiscono a chiarire l'espressione "città dei porci". Glaucone la introduce proprio in
riferimento all'elenco di alimenti appena menzionati da Socrate, qualificandoli
adatti a nutrire e ingrassare (echortazes) una città di maiali. E proprio per questo
chiede che siano introdotti anche gli opsa e i tragemata come specifici di un'alimen-
tazione che differenzi gli uomini dalla città dei porci.
Per quel che ci risulta, per interpretare l'espressione platonica non si è mai fatto
esplicito riferimento a quanto è detto nel libro VIII - non attribuibile con sicurezza
ad Aristotele - della Historia animalium. Qui l'alimentazione per ingrassare i
maiali include, oltre a radici, cucurbitacee, grani d'orzo e di miglio e pere selvatiche,
proprio gli alimenti menzionati da Socrate, ossia ghiande, fichi e ceci 8• Natural-
mente a partire da questa base materiale è poi possibile speculare su altre implicazio-
ni della metafora, ma resta il fatto che il tipo di alimentazione appare un tratto deci-
sivo.
Già Wilamowitz aveva richiamato l'attenzione sul fatto che il maiale nella cul-
tura greca denota in primo luogo assenza di intelligenza 9 • E anche nei testi platonici
non è impossibile trovare cenni a un'inversione del rapporto maiale-asino rispetto al
tipo di associazione per noi abituale di asino con stupidità e porco con dissolutez-
za 10• Ma la città dei porci non è contraddistinta da una stupidità totale: in essa com-
paiono forme di intelligenza tecnica. Quelle che non compaiono sono invece le di-
mensioni della politica e soprattutto della filosofia. È difficile dunque sostenere che

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questo primo abbozzo di città - pur essendo definita vera e sana (372 e 2-8) - sia la
città che Platone sta ricercando, anche se ne possiede condizioni impreciscindibili 11•
È comunque significativo che nell'estensione della prima città in una città lus-
suosa (tryphosa) facciano la loro comparsa, oltre a cuochi e macellai, anche i guar-
diani di porci e i cacciatori (373 b 1-c 4). La caccia non compariva al livello del sod-
disfacimento dei bisogni fondamentali, che nella prima città era invece assicurato
fin dall'inizio soprattutto dall'agricoltura. Ora invece la caccia appariva come
un'attività volta a soddisfare piaceri alimentari, ossia bisogni lussuosi. E nel seguito
della Repubblica sarebbe anche comparsa come tecnica di addestramento per i futu-
ri custodi della città. Ciò era del resto conforme a una valutazione diffusa nel mon-
do greco, se è vero che la caccia era considerata una sorta di status symbol e di attivi-
tà ludica, anziché come fonte primaria di acquisizione dei cibi di base 12•
Come si è visto, nella città dei porci l'allevamento di alcuni animali era finaliz-
zato a soddisfare bisogni diversi da quelli alimentari e non includeva i maiali, che in-
vece ora apparivano con una destinazione alimentare. Diversamente dal bue, per
esempio, il maiale è allevato non per essere impiegato nei lavori agricoli e nei tra-
sporti, ma per essere mangiato 13• Tra l'altro ciò conferma che non è il modo di vita
del maiale ciò che consente di qualificare come città dei porci la città i cui abitanti
sono invece caratterizzati dal fatto di lavorare. Come avrebbe detto Artemidoro (I
70), la carne di maialino è la migliore: il maiale è l'unico animale a essere più utile da
morto che da vivo. Ma già Crisippo aveva sottolineato che il maiale serve soltanto
per essere mangiato (SVF II 1152 e 1154).
L'alimentazione che comprende la carne e, in particolare, anche la carne di
maiale era propria secondo Platone di una città lussuosa e malata e generava il biso-
gno di una nuova figura sociale, il medico (372 e 2-8, 373 d 1-2). Contrariamente al-
l'autore dello scritto La medicina antica, che aveva ravvisato nella medicina una
specializzazione ulteriore, lungo una linea progressiva, rispetto alla cottura propria-
mente umana degli alimenti, Platone sembrava considerare la nascita della medicina
come l'effetto di una dieta errata. Ma ciò non significa che egli auspicasse una ripre-
sa integrale dell'alimentazione vegetariana della città dei porci; piuttosto questa do-
veva essere integrata con quella della città dei porci, ma depurata dagli aspetti lus-
suosi e patologici.
In un unico passo, pare, Platone fa riferimento al cibo dei custodi della città
giusta. Ma esso non coincide né col cibo della città dei maiali, né con quello della cit-
tà lussuosa: rispetto alla prima è eccedente, rispetto alla seconda deficiente. In Re-
pubblica 403 e 4-404 e 5 emergono, infatti, da una parte il divieto di eccedere nel vi-
no e di seguire la dieta degli atleti (che produce sonnolenza), nonché di ogni tipo di
cucina lussuosa (siracusana e siciliana), caratterizzata dalla poikilia degli alimenti 14,
e dall'altra l'assunzione del modello dietetico degli eroi omerici, il quale tace di con-
dimenti, esclude il pesce (anche per gli abitanti in riva al mare) e carni lesse, consen-
tendo soltanto quelle arrostite.
Non è dunque auspicata alcuna forma di vegetarianismo e il divieto riguarda
soltanto la modalità di cottura, non la carne in quanto tale 15• La città della Repub-
blica ha la sua base nell'agricoltura: le acquisizioni della città dei porci non scom-
paiono, ma sono soltanto integrate con la caccia e l'allevamento del bestiame anche
in funzione alimentare 16•

NellaRepubblicaci troviamo di fronte a scansioni logiche più che cronologiche. La

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dimensione temporale - ma con una compresenza di tempo mitico e tempo storico


- fa invece la sua comparsa in altri due quadri platonici. Nel Politico Platone di-
stingue il tempo di Crono e il tempo di Zeus, caratterizzati rispettivamente dal go-
verno degli dei e dei demoni e dall'assenza di tale governo.
Il tempo di Crono presenta aspetti, che potrebbero richiamare la città dei porci,
in particolare l'alimentazione vegetariana 17• Ciò pare anche inferibile dal fatto che
in esso non ci sono guerre e gli animali, non essendo agrioi (in quanto guidati dai va-
ri demoni), non si cibano gli uni degli altri (271 d 7-e 2). Questa affermazione vale
anche per i membri di specie diverse (oltre che della stessa specie): ognuna è guidata
da un demone e non può dunque entrare in conflitto con le·altre. Ritorna una ricor-
rente connessione platonica tra guerra e caccia, sicché assenza di guerra comporta
anche assenza di quella parte della guerra che è la caccia.
D'altra parte, come già nella città dei porci, l'alimentazione vegetariana sembra
contrassegnare una situazione pre-politica e pre-filosofica 18• Ma tra il tempo di
Crono e la città dei porci esiste un tratto decisivo di differenziazione ed è che il pri-
mo ignora, al tempo stesso, la città e l'agricoltura. In esso, infatti, la terra genera
spontaneamente (automate) i suoi frutti in quantità capace di soddisfare ampiamen-
te i bisogni (271 d 1-3, 272 a 2-5; cfr. anche Leggi 13 c-d). Il tempo di Crono non era
una situazione di scarsità: un'altra ragione forse per spiegare l'assenza in esso di
conflitti.
Il tempo di Zeus, invece, era caratterizzato dall'inselvatichirsi delle fiere, ab-
bandonate a se stesse. Per gli uomini ciò significava debolezza nei confronti delle ag-
gressioni animali. Forse ciò è interpretabile come un indizio di assenza della caccia
nella fase iniziale. Ma nel tempo di Zeus gli uomini erano anche privati degli alimen-
ti, che prima nascevano spontaneamente dalla terra; soprattutto non disponevano
neppure degli strumenti per soddisfare i bisogni che non potevano più essere soddi-
sfatti automaticamente (274 b 5-c 4). L'abbondanza del tempo di Crono non aveva
preparato ad affrontare l'emergere di una situazione di scarsità. E ciò sembrava pe-
sare soprattutto sugli uomini.
Il punto chiave della transizione dalla dieta vegetariana, assicurata da una rac-
colta di prodotti spontanei della terra, all'approvvigionamento mediante l'agricol-
tura era ravvisato da Platone nell'estrazione di metalli, nell'acquisizione di legname
e di pelli dagli animali, ossia di materiali con i quali predisporre gli strumenti da im-
piegare nelle attività agricole (274 c 4-d 6, 288 d 7-e 6). Ma ancora una volta era la
terra il punto di riferimento essenziale. Gli animali apparivano soltanto di sfuggita e
non come fonte di alimentazione, bensi soltanto per le pelli che potevano fornire. Se
a ciò provvedesse la caccia o l'allevamento Platone non diceva.
Gli animali riprendevano invece una posizione rilevante nella vicenda racconta-
ta nel libro III delle Leggi. Il punto di partenza era un diluvio. Già nel Timeo ricor-
reva questa nozione di cataclisma, che conduceva a individuare i sopravvissuti non
negli abitanti delle città, ma nei pastori delle montagne 19• Anche nelle Leggi i so-
pravvissuti erano montanari pastori e non gli abitanti delle città, con i quali erano
perite anche la politica e le tecniche (677 b 1-c 2, 676 a 3-5). Ma anche la maggior
parte degli animali periva, ad eccezione di poche mandrie di buoi e di pecore, in ogni
caso scarse (spania) per i loro pastori. Questa scarsità sembrava compensata da una
quantità enorme di terra disponibile rispetto al numero dei sopravvissuti (677 e 6-
676 a 1).
In questa descrizione platonica non è del tutto chiaro quale sia il tipo di sussi-

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stenza dei sopravvissuti: da una parte si parla di pastori, ma con scarso bestiame e,
dall'altra, di abbondanza di terra, ma senza alcun cenno a forme di agricoltura (del
resto impensabili, se le tecniche erano scomparse). Si potrebbe dunque pensare o a
terra abbondante per le necessità del pascolo o a terra abbondante anche nel produr-
re spontaneamente frutti raccolti dai pastori. Ma in quest'ultimo caso avremmo una
stretta affinità con il tempo di Crono. E anche il seguito del testo sembra favorire la
prima alternativa, in quanto si precisa che il cibo non era oggetto di conflitto (peri-
machetos) tra i sopravvissuti, perché non c'era scarsità (spanis) di pascolo, se non
forse all'inizio per alcuni.
La maggior parte allora viveva di pastorizia. Infatti non mancavano di latte e
carni e inoltre mediante la caccia si procuravano un cibo non da poco né scarso (678
e 9-679 a 4). Credo che questo passo confermi come nella fase successiva al diluvio
la forma fondamentale di sussistenza fosse la pastorizia, integrata dalla caccia, sic-
ché l'alimentazione appare di origine animale (latte e carne), senza alcun riferimento
al consumo di prodotti spontanei della terra 20 •
La scansione cronologica delle forme di sussistenza elaborata nelle Leggi era
dunque diversa da quella del Politico. Qui si passava immediatamente dalla raccolta
di vegetali nel tempo mitico di Crono all'agricoltura del tempo di Zeus, ma nessun
cenno era fatto alla pastorizia e alla caccia. Queste forme erano invece introdotte
nelle Leggi, ma senza riferimento a un'età dell'oro vegetariana e come forme antece-
denti l'agricoltura e la ridiscesa verso le pianure e la ricostituzione di città (680 e 6-
681 a 3) 21• Anche se accennava alla bontà e semplicità dei sopravvissuti al diluvio
(679 b 3-c 8), Platone non descriveva la fase pre-agricola con i connotati dell'età del-
l'oro; soprattutto non la descriveva caratterizzata da un'alimentazione vegetariana.
L'agricoltura appariva non tanto come un faticoso surrogato per procurarsi il cibo
che nell'età dell'oro era automaticamente assicurato, quanto come una forma radi-
calmente nuova di sussistenza, una sostituzione del vegetale all'animale.
Nel modello di città costruito nelle Leggi la posizione centrale era occupata da
«quanto l'agricoltura dà e produce» (743 d). Secondo Platone, mentre la maggior
parte degli Elleni si procurava il cibo dalla terra e dal mare, gli abitanti della città
delle Leggi l'avrebbero tratto soltanto dalla terra (842 c 4-6). Ciò non significa anco-
ra una volta che Platone si orienti verso un vegetarianismo totale e che la caccia sia
assente. Tra gli oggetti del mercato, ai quali gli agoranomoi dovranno sovrintende-
re, rientrano anche gli animali (849 a-850 a), verosimilmente anche per l'alimenta-
zione. Ma la legislazione sulla caccia e sulla pesca - quest'ultima tollerata soltanto
in certi ambienti e la caccia limitata solo a animali terrestri e non praticata di notte
- mostra che la caccia appare più come una tecnica di addestramento dei giovani
che come tecnica per procurarsi il cibo (822 d 3 sgg). 22•

In un passo del libro I della Politica Aristotele tematizza una relazione di dipenden-
za delle forme di vita (bio1) animale e umana dal tipo di cibo proprio di esse. Se il ci-
bo è indispensabile per vivere, le differenze di cibo differenzieranno anche i modi di
vita corrispondenti (18, 12S6 a 19-22). Gli animali (theria) sono qui distinti in grega-
ri (agelaia) e isolati (sporadikà) in base all'utilità che queste due forme di vita pre-
sentano in relazione all'acquisizione di cibo. Ma l'utilità del cibo è determinabile a
sua volta in base alla linea di demarcazione naturale che differenzia gli animali in
carnivori, erbivori e onnivori (1256 a 23-30) 23•
Secondo Aristotele l'uomo è onnivoro e ciò può significare che la gamma di cibi

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che egli può assumere è più ampia di quella degli animali soltanto carnivori o soltan-
to erbivori. E ciò si riverbera di conseguenza anche sulla gamma dei modi di vita
corrispondenti al tipo di cibo. Nel caso dell'uomo il fatto di essere onnivoro non le-
ga costitutivamente a un'unica forma di vita. Per caratterizzare i tipi di vita praticati
dall'uomo in relazione all'acquisizione di cibo diventano allora necessarie altre va-
riabili. Questo punto appare particolarmente chiaro nella trattazione aristotelica
della pastorizia.
Aristotele distingue tre tipi fondamentali di vita per procurarsi direttamente il
cibo, ossia non attraverso forme mediate di scambio: pastori nomadi, cacciatori,
agricoltori (1256 a 30-b 2) 24• Per spiegare l'assunzione del primo tipo di vita egli in-
voca una variabile psicologica, la pigrizia e la ricerca di scholé senza fatica 25 • La ba-
se dell'alimentazione è costituita in questo caso dagli animali domestici, che richie-
dono sempre nuovi pascoli e obbligano quindi i pastori al nomadismo.
Definendo questa forma di vita una sorta di "agricoltura vivente", Aristotele sta-
biliva una certa affinità tra pastorizia e agricoltura - anche se differivano per la di-
versa base alimentare e per il carattere stanziale o mobile della loro pratica - forse
nel senso che gli animali apparivano l'equivalente della terra come fonti di approvvi-
gionamento non violento, diversamente per esempio dalla caccia. La pastorizia ve-
niva così a distinguersi dalla caccia nelle sue varie forme (inclusa la pesca), la quale
acquisiva l'alimento direttamente senza mediazioni. Inoltre, mentre la pastorizia ap-
pare espressamente collegata alla mobilità, la caccia può risultare ambivalente. Per i
pescatori, ad esempio, Aristotele parla esplicitamente di "abitare" presso laghi, pa-
ludi, fiumi o mari. Ma sono anche possibili forme di caccia, quali il brigantaggio e la
pirateria, che non comportano necessariamente una residenza stabile. Questa è inve-
ce una caratteristica decisiva della terza forma, ossia dell'agricoltura, della quale vi-
ve, secondo Aristotele, la maggior parte degli uomini.
Pastorizia, caccia, agricoltura si muovono entro due poli: da una parte il fine
dell'autosufficienza, che ognuna persegue in modi diversi, e dall'altra il bisogno
che, per soddisfare questo fine, costringe a scegliere un tipo di sussistenza e, se ne-
cessario, più di un tipo (1256 b 2-7). La novità maggiore del discorso di Aristotele
consiste, infatti, nell'ammissione di una cumulabilità di più forme di sussistenza,
sicché i tre tipi da lui individuati sono suscettibili di essere combinati tra loro. Que-
sto conferma che l'obiettivo della sua analisi non è quello di fornire una storia né di
stabilire una sequenza cronologica di stadi. Aristotele menziona espressamente le
combinazioni di pastorizia nomade o brigantaggio/pirateria (ossia una forma di
caccia) e di vita agricola e caccia 26 •
Quest'ultimo caso è particolarmente significativo, perché mostra che Aristotele
non concepisce affatto l'agricoltura come costitutivamente legata a un'alimentazio-
ne soltanto vegetariana. Si potrebbe invece inferire che ai suoi occhi una prevalenza
di alimentazione carnea potesse contrassegnare la vita pastorale nomade. Ma in ge-
nerale egli tiene ferma la qualificazione dell'uomo come animale onnivoro né sem-
bra pensare a fasi di transizione da un'alimentazione vegetariana a una carnea o mi-
sta. L'impressione è che più decisivo dovesse apparirgli il carattere mobile o stanzia-
le del procurarsi i mezzi di sussistenza: su questo piano l'agricoltura mostrava la sua
connessione stretta con la forma per eccellenza di residenza stanziale, che era la
città.
Un ulteriore elemento può confermare che l'immagine di un'età dell'oro esclu-
sivamente vegetariana era lontana dall'orizzonte concettuale della riflessione aristo-

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telica. Com'è noto, Aristotele presuppone l'esistenza di una scala naturae (vegetali,
animali, uomini), secondo cui gli esseri più complessi, oltre ad avere funzioni pro-
prie, posseggono anche quelle degli esseri meno complessi, rivelandosi come struttu-
re compendiate anche dei livelli inferi ori del vivente. Una sequenza analoga sembra
valere anche sul piano dell'assunzione del cibo, nel senso che gli esseri inferiori di-
ventano l'alimento destinato a quelli superiori: da questo punto di vista i vegetali
esistono in vista degli animali e questi ultimi, sia domestici sia selvatici, in vista del-
l'uomo (1256 b 15-22).
Questo passo della Politica presenta una concezione del finalismo della natura,
che pare contrastare con quella dominante negli scritti biologici aristotelici, secondo
cui ogni specie animale è finalizzata alla propria sopravvivenza e a riprodursi 27 • Ma
all'interno del nostro discorso esso conferma che per Aristotele l'uomo è definito da
un'alimentazione sia vegetale, sia animale. Né abbiamo elementi per sostenere che
egli collegasse uno di questi tipi di alimentazione univocamente con uno dei tre modi
di sussistenza da lui delineati.

L'età dell'oro e il vegetarianismo riafforavano invece in allievi di Platone o di Ari-


stotele, quali Senocrate e Teofrasto. Ma questi temi erano qui collegati in primo luo-
go al problema del sacrificio cruento e sullo sfondo si stagliava il revival del pitago-
rismo sia nell'Accademia, sia nel Peripato. Già Platone, in un passo delle Leggi (182
e 5-d 1)- a documentare la molteplicità delle vicissitudini umane e la varietà dei de-
sideri umani anche in relazione al cibo, con i conseguenti mutamenti - aveva evoca-
to ombre di un lontano passato, nel quale l'assenza dei doni dell'agricoltura si ac-
compagnava all'allelofagia tra gli animali, ma nel quale erano presenti anche forme
di vita che richiamavano quella orfica e consistevano nell'astensione dalle carni e dai
sacrifici animali e in una dieta a base di alimenti esclusivamente inanimati.
Un'analoga dicotomia istituiva Eforo a proposito degli Sciti e dei Sarmati: al-
cuni arrivavano a mangiare carne umana, altri si astenevano anche dalla carne degli
animali 28• Teofrasto istituiva una sequenza temporale nei sacrifici, che avevano per
oggetto prima i vegetali, poi gli uomini, infine gli animali 29• Il vegetarianismo si ri-
proponeva come modello etico anche all'interno dell'Accademia e del Peripato, con
una forza di attrazione rimasta estranea ad Aristotele e in fondo anche a Platone,
che avevano preferito insistere sul controllo, la limitazione e la misura, anziché sul
divieto totale dell'alimentazione carnea.
Con un altro discepolo di Aristotele, Dicearco, queste problematiche conduce-
vano a una costruzione della sequenza storica delle forme di sussistenza. Dicearco
attingeva ai modelli elaborati da Platone e da Aristotele, ma con un atteggiamento
valutativo che ravvisava la perfezione nell'inizio, anziché nella fase più recente del-
l'agricoltura. Egli individuava tre stadi fondamentali: l'età di Crono, la pastorizia e
l'agricoltura (fr. 48-51 Wehrli). Questa sequenza appariva come una combinazione
dello schema del Politico, nel quale erano presenti l'età di Crono e l'agricoltura, con
quello del libro III delle Leggi, nel quale alla pastorizia succedeva l'agricoltura.
Rispetto ad Aristotele, invece, la differenza più vistosa era data dalla reintrodu-
zione dell'età di Crono e dalla sostituzione della tipologia con una successione cro-
nologica. Stando alle fonti che ci forniscono notizie sulle tesi di Dicearco, in partico-
lare a Varrone e a Porfirio, la caratterizzazione della pastorizia e dell'agricoltura
non sembra presentare novità particolarmente rilevanti rispetto ai quadri che abbia-
mo già incontrato. Varrone associa la pastorizia soprattutto alle pecore come fonte

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di cibo Oatte e formaggio) e anche di lana e pelli; Porfirio invece accenna anche a
una bipartizione degli animali, alcuni oggetto di addomesticamento e altri di guerra.
Quest'ultimo aspetto riprende un collegamento tra pastorizia e caccia, anche se non
necessariamente a scopi alimentari 30 •
Di primo acchito anche l'età di Crono appare descritta da Dicearco con i con-
sueti connotati: la terra produce spontaneamente i suoi frutti, il cibo è vegetariano,
le fatiche, le malattie e le guerre sono totalmente assenti. L'appreu.amento di Di-
cearco per essa era massimo: qui gli uomini erano più vicini agli dei, avevano una
natura migliore e conducevano una vita migliore. Anche la dieta vegetariana s'inte-
grava perfettamente in questo quadro di compiuta feticità. Forse seguendo tesi ela-
borate da non meglio precisati "medici esperti", Dicearco riconduceva l'assenza di
malattie proprio a questo tipo di alimentazione che non produceva residui (peritto-
mata) e manteneva i corpi puri (fr. 49 Wehrli).
Per comprendere la portata di questa tesi, occorre tener conto del fatto che per
Aristotele l'assunzione del cibo e il conseguente processo digestivo, equiparato a
una cottura (pepsis), danno sempre luogo alla formazione di residui, che possono
anche essere fattori patologici 31• La rappresentazione dell'età di Crono in Dicearco
sembrava dunque smentire la spiegazione aristotelica dei processi fisiologici della di-
gestione. Gli effetti non patologici dell'alimentazione vegetariana erano ricondotti
da Dicearco a due fattori, uno qualitativo e uno quantitativo. Il primo dipendeva
dal fatto che il cibo era meno forte della natura del corpo che lo ingeriva, sicché era
facilmente padroneggia bile e totalmente assimilabile.
Il fattore quantitativo, invece, dipendeva dalla disponibilità, ma anche dalla
scarsità (spanis) degli alimenti prodotti dalla terra, il che teneva il livello di alimenta-
zione al di sotto di una certa soglia. Ma la scarsità era, al tempo stesso, la causa del-
1'assenza di conflitti, perché veniva meno, secondo Dicearco, l'oggetto del conten-
dere 32 • Tradizionalmente la scarsità di cibo era stata associata all'insorgere di con-
flitti e guerre, per esempio già in Platone 33• Il libro IX dell 'Historia animalium -
quasi sicuramente non attribuibile ad Aristotele - ipotiu.ava addirittura che, se il
cibo fosse stato abbondante, gli animali temuti e selvatici sarebbero vissuti pacifica-
mente con gli uomini e tra loro. E come esempio adduceva la convivenza pacifica tra
i sacerdoti egiziani e i coccodrilli, da essi abbondantemente nutriti (IX 1, 608 b 19-
609 a 2).
Per Dicearco, invece, la scarsità diventava elemento decisivo per il costituirsi di
una dieta sana e frugale e, quindi, di una vita migliore, non funestata dai conflitti
tra gli uomini. Ma in questo modo l'età dell'oro doveva abbandonare l'orizzonte
utopico dell'abbondanza e rivestire i panni austeri della scarsità.

NOTE

l) Su questo modello cfr. G. CAMBIANO, Platone pretation von Platons "Staat", Zurich, 1976,
e le tecnicM, Torino, 19792, pp. 172-175; cfr. p. 161.
già un breve cenno in F. M. CoRNPOao, The 3) Contro l'opinione corrente secondo la quale
Republic of Plato, Oxford, 1941, p. 52. l'orzo sarebbe un alimento tipico degli schiavi
2) Questo punto è stato sottolineato da O. 01- e destinato in gran parte al bestiame cfr. L.
00N, Gegenwiirtigkeit und Utopie. Eine Inter- GALLO, Alimentazione e classi sociali: una no-

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------------------- GIUSEPPE CAMBIANO E LUCIANA REPICI

ta su orio e frumento in Grecia, in "Opus" 2, la terra gli uomini, Venezia, 1987, p. 71 e Le


1983, pp. 449-472. Egli mostra anche come il regole della caccia nel mondo greco-romano,
disprezzo per l'orzo come alimento, espresso in "Aufidus" 1, 1987, pp. S9-91.
in alcuni testi antichi, riguardasse i grani d'or- 13) Cfr. M. HAiuus, Cannibali e re. Le origini
zo interi, non macinati. Nel passo in questio- delle culture, trad. it., Milano, 1979, p. 144.
ne della Repubblica anche Platone non forni- 14) Cfr. anche Repubblica 5S9 a 11 sgg.
sce valutazioni diverse della farina d'orzo e di 15) Sul pesce come alimento cfr. W. BuaDllT,
quella di frumento. op. cii., p. 154; M. DlmENNE,Pratiche culi-
4) Su tali correnti cfr. M. DBTDoora,/ giardini di narie e spirito di sacrificio, in M. Dl!TIBNNE -
Adone, trad. it., Torino, 197S, pp. S0-80, J .-P. VERNANT, La cucina del sacrificio in ter-
113-114. Non si deve dimenticare che nella ra greca, trad. it., Torino, 1982, p. 203 n. 5;
Repubblica tra i cibi sono menzionate anche O. LoNoo, art. cit.
le fave, che per i Pitagorici equivalevano al 16) Nel mito del Protagora (322 a 7-b 6), invece,
mangiare carne e all'allelofagia. la scoperta del modo di acquisire alimenti dal-
S) Cfr. anche il commento ad loc. di J. ADAM, la terra - forse si deve intendere già mediante
The Republic of Plato, Cambridge, 1902, do- l'agricoltura - avviene in condizioni di vita
ve questa ipotesi, enunciata da Zeller e isolata (sporaden), ancora fuori da aggrega-
Diimmler, era respinta. Un riferimento ad zioni cittadine. E ciò antecede non soltanto il
Antistene era escluso anche da U. voN WJLA- dono della politica, ma anche la parte della
wowrrz-MoELLENOOllF,Platon, Berlin, 1920, politica consistente nella guerra agli animali.
voi. Il, p. 217, che pensava piuttosto a qual- Se questa interpretazione è corretta, ci trovia-
che modello reperibile nella commedia. Su mo di fronte a un caso unico di teorizzazione
questa linea cfr. anche O. O100N, op. cit., p. dell'antecedenza dell'agricoltura rispetto alla
167. Un ritorno alla vecchia tesi anti-cinica è caccia.
invece in U. DmllAUBll, Tier und Mensch im 17) Su questi temi del Politico e sul loro orizzonte
Denken der Antike, Amsterdam, 1977, pp. culturale, a partire dalla matrice esiodea, è es-
180-181, ma i passi di Plutarco e Luciano con senziale il saggio di P. VmAL-NAQUET, ripub-
i quali egli l'appoggia non sono probanti, an- blicato in Le chasseur noir, Paris, 1981, pp.
che perché si riferiscono ad animali in genera- 361-380.
le e non specificamente al porco. 18) Platone esclude che nel tempo di Crono ci fos-
6) Secondo O. G100N, op. cit., pp. 1S9-16Sil te- sero politeiai e ironiu.a sull'assenza di dialet-
sto presenterebbe ambivalenze: da una parte tica allora (cfr. G. CAMBIANO,op. cit., p.
tratti dell'età dell'oro (assenza di guerra, di 232).
medici e di magistrati e vegetarianismo), ma 19) Timeo 22 d 3-e 2. Esattamente inversa è la si-
dall'altra la preoccupazione per la sopravvi- tuazione del mito di Fetonte, dove l'arsura
venza. consenti la sopravvivenza degli abitanti pres-
7) Op. cii., pp. 166-167. so i fiumi e il mare e non sulle montagne e in
8) VIII 6, S9S a 13 ss., in particolare S9S a 28-29 genere nei luoghi elevati e secchi.
e VIII 21,603 b 27-32. Cfr. anche Odissea X 20) O. LoNoo, op. cii., p. 70 sottolinea giusta-
241-243, dove Circe dà da mangiare ghiande mente come non a caso l'associazionealleva-
ai compagni di Odisseo trasformati in porci. mento-caccia, cosi inconsueta nell'etnografia
Sui fichi come cibo vile cfr. lpponatte fr. 26 e nel mito greco, sia collocata da Platone in
West (cit. in L. GAU.O,art. cit., pp. 4S6-4S7). un tempo mitico. Questo tempo tuttavia non
9) Op. cii., voi. Il, pp. 214-217. Ingenerale sulla coincide immediatamente con l'età dell'oro,
valutazione del maialee della sua carne presso caratterizzata da una dieta vegetariana.
i Greci cfr. O. Km.uill, Die antike Tierwelt, 21) Anche nelle Leggi (618 c-d) il fattore decisivo
Leipzig, 1909, voi. I, pp. 388-40S; sui prover- della transizione all'agricoltura era ravvisato
bi cfr. C. S. KOHLER,Das Tierleben im Spri- nella disponibilità di metalli e legname per
chwort der Griechen und Romer, Leipzig, foggiare strumenti. Sulle differenze tra Politi-
1881, pp. 167 sgg. co e Leggi nel collegare queste situazioni alla
10) Cfr. per esempio Fedone 81 e-82 a, Repubbli- formazione di città e costituzioni politiche
ca 53S d 9-e S, Leggi 819 d S-e I. cfr. P. VIDAL-NAQUET, op. cii., pp. 376-377.
11) Quando si tratta di definire il politikòn ghe- Nelle Leggi Platone collegala pastorizia a una
nos tra gli animali, Platone menziona formi- forma di organizzazione politica, consistente
che, ragni, vespe, ma non i maiali (Fedone 82 sostanzialmente nel dominio dei più anziani e
b). Cosi anche Aristotele nella Historia ani- chiamata dynasteia, che egli ritiene corrispon-
malium. dente al mondo dei Ciclopi descritto nell' O-
12) Su ciò cfr. W. BURKERT,Homo necans, trad. dissea (Leggi 680 b 1-3, dov'è citata anche
it., Torino, 1981, p. 48; O. LoNoo, La storia Od. IX 112-115). Sull'alimentazione dei Ci-

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HOMO EDENS -----------------------------

clopi cfr. O. LoNoo, op. cit., pp. 63-77. Ma zia) e bellissimo, invece, il vivere di guerra e
qui nelle Leggi la polis sembra risultare dal- pirateria. Ma occorre ricordare che Aristotele
l'associazione non tanto di individui singolar- connette invece la pigrizia alla vita nomade
mente presi (come avveniva nella Repubbli- dei pastori e non alla pirateria (che egli inclu-
ca), quanto di piccoli gruppi patriarcali. Pa- deva tra le forme di caccia).
storizia e caccia comportavano dunque, se- 26) Secondo O. LoNoo, op. cii., p. 70 per Aristo-
condo Platone, già forme di associazione, con tele sarebbero più accettabili le combinazioni
un certo livello di cooperazione e di organiz- pastorizia-brigantaggio e agricoltura-caccia,
7.aZionesotto il potere del più anziano. mentre ci sarebbe una netta contrapposizione
22) Cfr. n. 12. tra vita pastorale e vita venatoria. Forse ciò
23) Secondo W. L. NEWMAN, ThePolitics o/ Ari- deve essere in parte corretto, in quanto per
stotle, Oxford, 1887, voi. l pp. 167-168, forse Aristotele il brigantaggio è una forma di cac-
questa tripartizione non sarebbe esaustiva cia (cfr. Poi. 12S6 a 3S-36;anche se è chiaro
nella prospettiva di Aristotele, che nella Hi- che il greco thera è semanticamente più esteso
storia animalium a karpojhaga aggiunge poe- del nostro termine "caccia"). Inoltre Aristo-
phaga e rhizephaga(VIII 6, S9Sa 13-17) e an- tele non esclude la possibilità di altre combi-
che idiophaga (I 1, 488 a 14). Del resto anche nazioni oltre le due menzionate (12S6 b 6).
la distinzione in agelaia e sporadikà appare 27) Cfr. M. VEOBTT1, li coltello e lo stilo, Milano,
più complessa in Hist. An. I, 1,487 a 11-488a 1979, p. 120. Forse un precedente di questo ti-
21, dove gli agelaiasono distinti dai monadi- po di finalismo è ravvisabile in Senofonte
kà e si ammette la compatibilità tra i due mo- (Memorabili IV, 3, 10), ma con la differenza
di di vita, ma si distingue anche tra politikà e che, mentre per Aristotele la maggior parte
sporadikà, senza che gli agelaia coincidano degli uomini vive di agricoltura, in questo te-
totalmente e necessariamente con i politikà. sto l'allevare e trarre nutrimento dagli animali
Cfr. anche Depart. an. IV 6,682 b 7-8. sembra avere maggiore universalità.
24) Secondo P. VmAL-NAQUET,op. cit., pp. SO- 28) Citato in P. VIDAL-NAQUET, op. cit., p. 364.
SI, questa tripartizione corrisponderebbe per 29) Cfr. la documentazione in Theophrastouperi
Aristotele a una scala di valore crescente, ana- eusebeias, hrsg. von W. P0tscher, Leiden,
logamente a quanto avviene nell'episodio dei 1964.
Ciclopi dell'Odmea. Questo è indubbio per 30) Varrone collega la pastorizia anche alla rac-
l'agricoltura; meno immediatamente evidente colta di alimenti vegetali (fr. 48 Wehrli), men-
è per gli altri due tipi di sussistenza, ma forse tre Porfirio non accenna a ciò. Cosi a propo-
una gerarchia di valore può essere inferita dal sito della fase agricola Varrone afferma che in
fatto che in seguito, tra gli abbinamenti possi- essa furono conservate (retinuerunt) molte
bili, Aristotele menziona esplicitamente quelli cose degli stadi (gradibus)precedenti, ma non
tra agricoltura e caccia e tra pastorizia e cac- precisa quali.
cia, ma non tra agricoltura e pastorizia. Se 31) Cfr. Gen. an. I 18, 72S a 10 sgg; V 4, 784 b 28
l'agricoltura rappresenta il polo di massima sgg. Su questo problema cfr. A. TmvEI., La
positività, il secondo posto potrebbe essere doctrine des perissomata et sesparai/i/es hip-
conferito alla caccia, che è abbinabile ad essa, pocratiques, in "Revue de philologie" 39,
e non alla pastorizia, che non lo è. 196S,pp. 266-282.
2S) W. L. NEWMAN,op. cit, voi. II, p. 169 ricor- 32) Sul tema della scarsità in Dicearco ha oppor-
da a questo proposito un passo di Erodoto (V tunatamente richiamato l'attenzione P. V1-
6) sui Traci, che consideravano indegno il la- DAL-NAQUET, op. cit., pp. 361-362.
voro della terra (in quanto opposto alla pigri- 33) Cfr. Repubblica 373 d 4-e 1.

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LE PROTEINE SIMBOLICHE:
L'USO ALIMENTARE E POLITICO
DEL MAIALE NELLA SOCIETÀ NIAS

di Pietro Scarduelli

lt problema della rilevanza simbolica che certi animali assumono nel contesto dei si-
stemi di pensiero primitivi ba attirato l'attenzione degli antropologi fmo dai tempi
in cui la chiave concettuale per l'interpretazione di tali sistemi era costituita dalla
nozione di totemismo. Per decenni il ricorso a questa nozione ha condizionato l'os-
servazione etnografica inducendo gli antropologi non solo a inquadrare in modo ar-
tificioso entro schemi precostituiti i fenomeni osservati, ma persino a precludersi la
possibilità di individuare la presenza di configurazioni simboliche non riconducibili
ai topoi della teoria totemica, topoi identificabili con l'associazione di clan e specie
animali sulla base di un rapporto di discendenza, con le proibizioni alimentari atti-
vate nei confronti degli animali-totem e con il divieto di rapporti sessuali fra membri
dello stesso clan.
Solo il ripensamento critico del totemismo operato da Radcliffe-Brown (1952)
negli anni cinquanta e le aperture teoriche realizzate dallo strutturalismo di Lévi-
Strauss negli anni sessanta banno modificato le prospettive di ricerca e gli antropo-
logi hanno cominciato a studiare in modo nuovo l'uso simbolico degli animali nel
contesto dei sistemi di pensiero primitivi. L'importanza attribuita alle associazioni
mitiche fra uomini e animali e ai tabù alimentari che, insieme alle interdizioni matri-
moniali fra membri dello stesso clan totemico, si configuravano come gli elementi
portanti del totemismo, è stata ridimensionata ed è stato invece evidenziato da Uvi-
Strauss (1962) e poi da numerosi altri studiosi (come Leach, Mary Douglas e Tam-
biab), il ruolo svolto da piante e animali all'interno di sistemi di significati elaborati
per interpretare, attraverso i fenomeni naturali, l'universo delle relazioni sociali.
Gli studi di antropologia simbolica e cognitiva negli ultimi vent'anni hanno
messo a fuoco le modalità attraverso cui i sistemi di classificazione primitivi prendo-
no a modello le discontinuità naturali costituite dalle specie per pensare le disconti-
nuità culturali: le piante e gli animali, nonché le loro manipolazioni alimentari, sono
utilizzate per elaborare un codice mediante il quale vengono pensate ed espresse le
differenze che ogni società provvede a tracciare al proprio interno.
Il meccanismo istitutivo del codice, che consiste nell'individuazione di scarti
differenziali sul piano della natura e nella loro trasposizione sul piano della cultura,
produce come risultato un sistema di classificazione basato su un criterio di omolo-
gia fra discontinuità naturali e discontinuità culturali: alla differenza che esiste, nel-
l'ambito della natura, fra la specie A e la specie B corrisponde, nella sfera sociale,

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HOMO EDENS ---------------------------

una differenza omologa fra il gruppo X e il gruppo Y. A partire da questo schema-


base risultano possibili numerose varianti; infatti grazie soprattutto al contributo di
Lévi-Strauss, l'antropologia ha acquisito consapevolezza della complessità dei siste-
mi classificatori, i quali sono generalmente caratterizzati da una struttura pluridi-
mensionale basata sull'utilizzazione simultanea di più codici (animale, vegetale, spa-
ziale, cromatico) i quali organizzano, in un gioco di rimandi reciproci, più livelli di
realtà.
I progressi compiuti grazie a Lévi-Strauss, Mary Douglas (1970), Tambiah
(1969), Berlin (1969), Bulmer (1967), e molti altri nello studio dei sistemi classifica-
tori e delle tassonomie naturali hanno reso gli antropologi che si dedicano alla ricer-
ca sul campo particolarmente attenti ad aspetti dell'universo simbolico una volta
trascurati, e in particolare alle tassonomie naturali; oggi si è consapevoli che lo stu-
dio dell'uso rituale e alimentare degli animali permette di portare alla luce aspetti
importanti del sistema cognitivo e degli schemi categoriali elaborati da una cultura.
Nel caso dei Nias dell'Indonesia esiste un nesso significativo fra le norme che
regolano la combinazione dei cibi durante i pasti e il sistema simbolico per mezzo del
quale viene concettualizzata la totalità delle relazioni sociali nelle sue molteplici arti-
colazioni: rapporti interni al gruppo familiare, rapporti fra gruppi associati nello
scambio matrimoniale, rapporti gerarchici interni al villaggio, rapporti fra villaggi
diversi. Questo nesso è individuabile nell'uso simbolico della carne di maiale. L'ali-
mentazione dei Nias è costituita esclusivamente dal riso, dalla carne dei maiali (che
sono gli unici animali il cui allevamento sia compatibile con l'ecosistema dell'isola),
dalle banane, dall'ubi (Batata edu/is) e dal poco pesce che gli indigeni, scarsamente
dotati di attitudini marinare, riescono a procurarsi. Regole precise stabiliscono I' ac-
costamento di questi cibi: la carne di maiale (che viene cotta esclusivamente con la
tecnica della bollitura) può essere accompagnata solo dal riso; per un Nias sarebbe
impensabile servirla insieme alle banane o all'ubi, benché questi cibi facciano parte
a pieno titolo della dieta quotidiana e, anzi, nei periodi precedenti il raccolto del ri-
so, quando questo alimento scarseggia, costituiscano la parte preponderante della
dieta familiare.
Questo divieto non si basa però sulla convinzione, diffusa nelle culture occiden-
tali, che la carne sia più pregiata dei vegetali, perché l'etichetta proibisce ai Nias di
servire agli ospiti del pesce, considerato un cibo modesto. I Nias affermano, in pro-
posito, che è meglio offrire un piccolissimo pezzo di carne di maiale piuttosto che un
grosso pesce. Queste norme alimentari delineano una classificazione dei cibi basata
su una duplice dicotomia; all'opposizione cibo vegetale/cibo animale se ne sovrap-
pone infatti una seconda che distingue i cibi ai quali è attribuito un valore elevato e
cibi modesti. L'intersezione delle due coppie di opposizioni individua quattro tipi di
cibo: cibo animale prestigioso (carne di maiale, di cinghiale e di cervo); cibo vegetale
prestigioso (riso), servito con la carne; cibo animale di scarso valore (pesce) e cibo
vegetale di scarso valore (ubi, banane), che non può accompagnare la carne.
Per comprendere il significato di questa classificazione gerarchica dei cibi e in
particolare del prestigio di cui gode la carne di maiale bisogna estendere l'osserva-
zione al processo di riproduzione sociale e identificare gli aspetti e i momenti della
vita collettiva in cui il maiale assume un particolare valore simbolico. Se spostiamo
l'attenzione dalla sfera del consumo a quella dello scambio, possiamo osservare una
significativa distinzione fra gli alimenti; mentre il pesce, le banane, i tuberi di ubi
vengono consumati direttamente dal gruppo domestico che ha provveduto a colti-

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----------------------- PIETRO SCARDUELLI

varli e quindi non sono mai oggetto di scambio, il riso e i maiali sono beni converti-
bili e svolgono un ruolo rilevante nei processi di scambio. I suini e il riso sono inseri-
ti in un circuito che include anche gli strumenti di ferro (utensili agricoli come asce e
coltelli e armi come lance e spade) e il bene più prezioso di cui i Nias dispongano:
l'oro.
Oro, strumenti di ferro, suini e riso sono reciprocamente convertibili sulla base
di parametri rigidamente fissati che stabiliscono le corrispondenze in termini di peso
(per il riso e l'oro), di diametro (per i maiali) e di funzione (per gli strumenti di fer-
ro). Ad esempio un maiale del diametro di 58 cm può essere scambiato con 180 Kg di
riso, oppure con 6,25 grammi d'oro o con una lancia (Scarduelli, 1986: 116). Il riso e
i maiali vengono anche usati per pagare multe, risarcimenti e interessi sui prestiti; ad
esempio il furto comporta una sanzione consistente nel risarcimento del doppio del
valore della refurtiva e nel pagamento di una multa costituita da un certo quantitati-
vo d'oro, variabile da villaggio a villaggio, e da un grosso maiale. Praticamente per
ogni crimine o infrazione alle norme della convivenza (dall'assassinio all'uccisione
accidentale, dall'incendio doloso di un'abitazione al furto, dal ratto di una donna
all'adulterio) sono previste sanzioni consistenti in un risarcimento di varia entità,
costituito da oro e suini.
I maiali, quindi, oltre a essereutilizzati nei reticoli di scambio basati sul barat-
to, svolgono un ruolo rilevante anche in un circuito in cui i beni circolano sotto for-
ma di ammende e multe. Ma la loro utilizz:azione si estende oltre le sfere del consu-
mo, del baratto e del controllo sociale. I suini, infatti, sono una componente essen-
ziale anche dei reticoli di scambio attraverso i quali si instaurano alleanze, si legitti-
ma la gerarchia dei ranghi, si acquista prestigio e si migliora il proprio status, dei re-
ticoli di scambio, cioè, attraverso cui si opera la riproduzione dei rapporti sociali a
tutti i livelli: comunità di villaggio, gruppi di rango diverso all'interno della comuni-
tà, gruppi di discendenza di pari rango.
Questi circuiti sono caratterizzati da flussi di doni costituiti da quantità più o
meno ingenti d'oro e di maiali. I circuiti attraverso cui vengono attivate relazioni di
alleanza sono rappresentati dagli scambi matrimoniali, che uniscono gruppi di di-
scendenza generalmente appartenenti a villaggi diversi.
La regola del matrimonio con la cugina incrociata matrilaterale (la figlia del
fratello della madre, cioè dello zio materno) istituisce un sistema di scambio genera-
lizzato fra gruppi di discendenza in cui le relazioni sono orientate in modo univoco,
in cui cioè, secondo la ben nota formula elaborata da Lévi-Strauss, le donne del
gruppo di discendenza A vengono cedute al gruppo B, il quale cede le proprie a C,
che a sua volta le offre a un altro gruppo il quale cede le proprie ad A, saldando una
catena che, qualunque sia il numero delle unità scambiste coinvolte, presenta sem-
pre la caratteristica di essere chiusa.
Naturalmente lo schema non riflette la complessità reale degli scambi, sia per-
ché ogni gruppo può istituire relazioni matrimoniali con più partner, sia perché la
regola del matrimonio con la figlia dello zio materno, pur essendo imposta dalla tra-
dizione, non è rispettata in un numero elevato di casi, nei quali svariati fattori con-
tingenti ne rendono impossibile l'applicazione. Ma non è questo il punto su cui in-
tendo soffermarmi; ciò che invece è rilevante in relazione al tema trattato è l'esisten-
za - nella società nias - di un'ideologia dello scambio matrimoniale che identifica
la scelta del coniuge con la stipulazione di un'alleanza fra due gruppi di discenden-
za, che concettualizza il rapporto cosi istituito in termini di asimmetria sociale fra

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HOMO EDENS ---------------------------

un gruppo datore di donne e un gruppo prenditore e che assegna al gruppo datore


uno status più elevato.
La superiorità dei gruppi datori di mogli è espressa dall'obbligo imposto al
gruppo prenditore di pagare un prezzo alla sposa molto elevato, costituito da monili
aurei. La stipulazione di un matrimonio comporta una lunga trattativa che coinvol-
ge vari membri dei due gruppi e che si svolge prevalentemente nella dimora della fa-
miglia della futura sposa; ogni fase di questa trattativa, che si protrae per settimane
e che si articola in una serie di riunioni, è scandita dall'uccisione di numerosi maiali
e dal consumo collettivo della loro carne in vari banchetti che riuniscono i parenti
dello sposo e quelli della sposa.
La cessione delle donne è dunque parte di un reticolo di scambi al cui interno
circolano i beni più preziosi di cui i Nias dispongono: oro e maiali. L'oro, ceduto
sotto forma di prezzo della sposa al padre e ai fratelli della giovane, circola nella di-
rezione contraria a quella seguita dalle donne, mentre invece il flusso dei maiali, che
nella maggioranza delle occasioni cerimoniali associate alla trattativa e alla stipula-
zione del matrimonio sono offerti dal padre della ragazza, procede nella stessa dire-
zione delle donne.
È quindi evidente che nei circuiti di scambio matrimoniale la superiorità di sta-
tus è associata all'atto di offrire carne di maiale; analogamente nei circuiti di scam-
bio attivati dalle feste ridistributive è l'offerta di carne suina ad assicurare l'acquisi-
zione di prestigio. Infatti l'ascesa nella gerarchia degli status nella società nias è su-
bordinata all'organizzazione di feste collettive in cui ingenti quantità di carne di
maiale e di riso vengono offerte ai membri della comunità e anche - in determinate
circostanze - a ospiti provenienti da altri villaggi. Nessuno status sociale, nemmeno
il più basso (quello di membro adulto della comunità e capofamiglia) può essere ot-
tenuto senza l'allestimento di almeno una di queste feste, che si configurano quindi
come i canali istituzionali per l'acquisizione di prestigio.
Il conseguimento degli status più elevati impone l'allestimento di un numero di
feste che è proporzionale al rango cui si aspira e che varia da un minimo di due a un
massimo di undici. Anche il numero dei maiali macellati dipende dallo status che
l'organizzatore della festa intende acquisire e varia da pochi capi a un centinaio. Ov-
viamente le feste più sontuose sono quelle imbandite dai membri dei lignaggi nobili
che mirano alla carica di capo: esistono precise aspettative nei confronti di un aspi-
rante capo, il quale non può sottrarsi all'obbligo di immolare, in occasione di queste
celebrazioni, varie decine di maiali.
La quantità di cibo distribuito in tali occasioni dimostra come le feste costitui-
scano modalità rituali in un processo di ridistribuzione attraverso il quale i capi ri-
nunciano, a favore della comunità, a una parte dei beni da loro accumulati. Offerte
e tributi versati dai sudditi in numerose occasioni permettono al capo l'accumulazio-
ne di un surplus che viene poi parzialmente ridistribuito in occasione delle feste; ma
poiché la ridistribuzione è la condizione per ottenere uno status più elevato, ciò che
viene perduto in beni materiali (suini), viene recuperato sotto forma di riconosci-
mento sociale; si può quindi affermare che le feste ridistributive funzionano come
meccanismi di riconversione della carne di maiale in prestigio.
Quanto si è detto dimostra che il significato della classificazione gerarchica dei
cibi non può essere individuato attraverso un'analisi limitata alla loro funzione e al-
la loro incidenza nella dieta indigena e che la rilevanza simbolica di determinati ali-
menti si chiarisce solo alla luce del ruolo da loro svolto nei processi di riproduzione

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----------------------- PIETRO SCARDUELLI

sociale. La carne di maiale non è - in termini quantitativi - una componente di ri-


lievo dell'alimentazione nias e il prestigio di cui gode è comprensibile solo in relazio-
ne alla sua funzione di strumento privilegiato di espressione dei rapporti sociali nel
contesto dei processi di accumulazione, di scambio e di consumo. Escluso dalla die-
ta quotidiana e mangiato solo in occasioni cerimoniali connesse con la stipulazione
di alleanze matrimoniali e con l'acquisizione di prestigio, il maiale si presta a un
consumo al tempo stesso alimentare e simbolico.
In occasione del banchetto nuziale il maiale viene suddiviso e le sue parti vengo-
no distribuite dal padre della sposa ai parenti dello sposo, cioè da colui che assume il
ruolo sociale di datore di donna a coloro che si configurano come prenditori di don-
na, secondo una rigida etichetta che associa a ogni parte anatomica un ruolo sociale:
la parte a cui è attribuito il maggior prestigio (ma che è anche quella meno appetibile
dal punto di vista alimentare) è la testa, che viene suddivisa fra la madre e il padre
dello sposo e il capo del suo villaggio; la divisione della testa avviene secondo un cri-
terio gerarchico che assegna al padre dello sposo la parte più prestigiosa: la mandi-
bola; il cranio, diviso a metà, viene ripartito fra la madre e il capovillaggio. Le spalle
dell'animale sono riservate ai fratelli, alle sorelle dello sposo e ai loro mariti, mentre
gli altri ospiti ricevono pezzi del tronco e delle zampe posteriori; ai bambini vengono
lasciate le estremità delle zampe.
Nei banchetti che si svolgono in occasione di una festa ridistributiva organizza-
ta da un capo le mandibole dei maiali uccisi sono riservate al capo stesso, il quale
provvede poi ad appenderle alle travi del soffitto della sua abitazione, a perenne te-
stimonianza della propria generosità; le altre parti sono distribuite ai partecipanti: i
crani vengono offerti ai capi degli altri villaggi e ai notabili; le spalle, le zampe e il
tronco toccano ai membri della comunità, mentre gli schiavi ricevono gli intestini.
La divisione del maiale in occasione dei banchetti nuziali e nel corso delle feste
ridistributive risulta quindi basata sui medesimi criteri, che rivelano come il corpo
dell'animale venga utilizzato come metafora del corpo sociale; ogni parte anatomica
occupa una posizione precisa in una scala di valori al cui vertice è situata la mandi-
bola, seguita dal cranio, dalle spalle, dal tronco, dalle zampe posteriori e dalle inte-
riora. Ogni parte è assegnata, in base al suo valore, a individui che occupano una de-
terminata posizione nella gerarchia dei ranghi. Nell'ambito del banchetto nuziale
l'assegnazione delle parti delinea la gerarchia degli status all'interno del gruppo pa-
rentale; invece in occasione delle feste ridistibutive, che vedono la partecipazione di
tutti i membri della comunità e anche di ospiti provenienti da altri villaggi, le parti
del maiale sono utilizzate per coprire l'intera gamma dei ranghi in cui si articola la
società nias: capi, notabili, gente comune e schiavi.
Nella sfera del consumo la funzione del maiale è dunque identificabile con quel-
la di una metafora globale della società: l'animale viene concettualizzato come una
totalità scomponibile in parti, le relazioni fra le quali esprimono rapporti sociali di
tipo gerarchico; invece nella sfera dello scambio il pensiero indigeno sembra com-
piere sull'animale un'operazione diversa; in questo ambito il maiale è utilizzato co-
me parte di una totalità, o meglio come componente di un sistema dinamico di flussi
in cui circola come bene. In questo contesto il significato non risulta associato alla
struttura anatomica dell'animale, ma alla direzione del percorso che compie fra i
gruppi sociali; offerto dai datori ai prenditori di donne o dal capo ai suoi ospiti e ai
suoi sudditi, il maiale definisce il rapporto fra i due poli del suo percorso in termini
gerarchici.

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HOMO EDENS ----------------------------

Se infine prendiamo in esame il processo di accumulazione dei maiali - pre-


messa indispensabile alla loro utilizzazione nei reticoli di scambio e nei processi di ri-
distribuzione - possiamo osservare una terza modalità di consumo simbolico dei
suini. I Nias sono soliti ricorrere ai loro animali per definire i propri rapporti con
Lowalani, il potente spirito celeste che occupa una posizione preminente nel loro
pantheon; gli uomini - sostengono i Nias - sono i maiali di Lowalani, il quale di-
spone a proprio arbitrio degli esseri umani esattamente come questi fanno con i loro
animali; perciò se gli uomini di tanto in tanto uccidono uno o più maiali, Lowalani
non si comporta diversamente nei loro confronti. Quando si scatena un'epidemia e
gli uomini muoiono in gran numero, gli indigeni sostengono che Lowalani ha deciso
di organizzare una grande festa, simile a quella in cui un capo fa uccidere decine di
suini.
In questo contesto il maiale non si configura né come sistema di relazioni né co-
me parte di un sistema, ma come termine in un'equivalenza che articola secondo
modalità gerarchiche i rapporti umani con le potenze fantasmatiche: i maiali stanno
agli uomini come gli uomini stanno allo spirito celeste. Oggetto di un'accumulazio-
ne che svolge una funzione essenziale nella strutturazione del rapporti sociali, i suini
divengono strumento atto a concettualizzare, in termini di accumulazione, anche i
rapporti dei Nias con la divinità.
Così come sul piano alimentare i Nias sfruttano completamente il prezioso ap-
porto proteico fornito alla loro dieta dai maiali cucinandone anche il sangue e le in-
teriora, cosi sul piano simbolico ne fanno un consumo non meno intenso. Il rappor-
to che i Nias intrattengono con i loro maiali appare quindi un'ulteriore conferma
della rilevanza simbolica degli animali nei sistemi cognitivi, rilevanza felicemente
sintetizzata nella celebre frase di Tambiah: gli animali sono buoni da mangiare ma
anche da pensare.

BIBLIOGRAFIA

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96------------------------------
L'ALIMENTAZIONE NEL LINGUAGGIO
DI PLATONE: IL ''SIMPOSIO''

di Gian/rancescoTurano

«Infatti godo, o Lisimaco, a stare con Socrate e non credo affatto sia male ricorda-
re che non abbiamo vissuto e non viviamo bene» 1•
Il Kcv.&>çnoutv (tradotto "vivere bene" con approssimazione) di questo passo
del Lachete costituisce senz'altro una porzione fondamentale dell'orizzonte platoni-
co. Nella sua voluta indeterminatezza il verbo introduce a un piano progettuale non
meno etico-filosofico che specificamente normativo.
Il dialogo platonico ci pone di fronte a un progetto enciclopedico di enorme
portata le cui linee sono spesso apparse poco nette o ambigue nel confronto con lo
svolgersi del dettato aristotelico. Se anche il tentativo di Platone era il più vasto per
l'epoca, tuttavia aveva dei precedenti: il filosofo ateniese si confronta con una tradi-
zione scientifica che aveva indagato i diversi campi dello scibile, giungendo a elabo-
razioni sistematiche di varie proporzioni.
Gli orientamenti esposti nei dialoghi sono, di volta in volta, diretti a respingere,
a mantenere o a innovare le tesi dei predecessori. In più, nell'età in cui il sapere era
ancora unito, non poteva essere secondario il concorso della letteratura e dell'arte
alla definizione critica di quella che E. A. Havelock chiama )'"enciclopedia platoni-
ca" 2.
Nel corpus dei dialoghi la scelta del Simposio come unità d'analisi ai fini di que-
sta ricerca è, allo stesso tempo, vantaggiosa e svantaggiosa. Da un lato, infatti, que-
st'opera è tutta basata sul bere: nell'alimento vino si trovano concentrate prescrizio-
ni pratiche e, soprattutto, simboli e teorie filosofiche in misura quasi inesauribile a
un esame critico. Su questi valori del vino nel Simposio esiste una vasta bibliogra-
fia 3• D'altro canto, però, la precisa separazione del momento nutritivo (&,rnvov) dal
momento simposiale propriamente detto, dedicato al bere comune e ai discorsi, fa di
questo dialogo una base incerta e non del tutto stabile ai fini della ricerca sull'ali-
mentazione.
Tuttavia, poiché questa situazione rappresenta in modo ottimale il rapporto
che Platone intende istituire con il suo pubblico 4, sarà proprio questa l'origine del-
l'analisi. A conclusione poi dell'esame riguardante il Simposio e a parziale accresci-
mento del materiale di studio, saranno addotti quei passi di altri dialòghi che tratta-
no più apertamente i problemi legati alle norme sul &,rnvov.
Il dialogo chiamato Simposio contiene, in realtà, una pluralità di incontri con-
viviali che ne costituiscono la struttura, di per sé significativa. Individuando e se-

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HOMO EDENS--------------------------

guendo l'impostazione architettonica dell'opera, emergono, come si vedrà, sia gli


elementi polemici - la pars destruens - sia i valori nuovi e positivi del momento
conviviale. In particolare, è possibile parlare di struttura tripartita dei simposiognu-
no dei quali è provvisto di un richiamo secondario.
Il primo simposio (174b sgg.), introdotto da una citazione omerica la cui im-
portanza sarà posta in risalto più avanti, è quello cui partecipano Socrate e Aristo-
demo e che si svolge a casa di Agatone per festeggiarne la vittoria nell'agone tragico.
Questo simposio rimanda a un altro: infatti, il festeggiamento vero e proprio è già
avvenuto, in assenza di Socrate, immediatamente dopo la proclamazione del vinci-
tore. La bevuta è stata di tali dimensioni da sconsigliare, a breve distanza di tempo,
un nuovo eccesso. Si decide dunque di bere con misura e di promuovere una specie
di gara di discorsi in onore di Eros. Già questo primo elemento strutturale rivela una
contrapposizione fra una riunione dedicata alla parola e una dedicata all'ubriachez-
za. Tale modello si ripropone regolarmente nelle altre due parti della struttura.
Il secondo simposio (203 sgg.) è descritto da Diotima: si tratta del mitico convi-
vio nel corso del quale Poros - ubriaco e incapace di controllarsi - e Penia genera-
rono Eros. Il riferimento all'altro simposio si trova poco più in là (217c): Alcibiade,
che è facile identificare con Penia, invita a cena Socrate al fine di «tendergli una
trappola» (imj3ouÀW6>). Socrate però, che non è Poros, non cade nel tranello e svela
la sua natura di Eros ossia di vero filosofo.
Il terzo e ultimo elemento strutturale - quello che conclude il dialogo - è il
simposio che possiamo chiamare "dei comasti" (223b): l'irruzione finale di una co-
mitiva in preda all'ebbrezza decreta la conclusione del simposio "dei À6yot", anche
se non del tutto. Nel terzo e ultimo rimando (223c) il convivio filosofico sopravvive
nella discussione - descritta in pochissime righe - che si svolge fra Socrate e i due
drammaturghi, Agatone e Aristofane.
La struttura appena descritta, dunque, si fonda su una successione di tre coppie
opposte: l'alternarsi di simposio dei ).6yote simposio dei comasti ne fa fede. Tale di-
cotomia viene riprodotta in tutto il corso del dialogo, come a indicare un tracciato
da seguire rigorosamente. Sul piano linguistico si riscontra poi un analogo codice bi-
nario che fa capo all'opposizione ).6yot/i,d8-rie dà luogo a una lunga serie di altri ele-
menti che fanno parte dell'una o dell'altra famiglia 5 • Si può dire pertanto che l'a-
spetto terminologico e le situazioni conviviali descritte producono un gioco di rifles-
si reciproci che definisce sempre più chiaramente la polemica contro la civiltà simpo-
siaca attuale.
Nell'aspetto elentico, ovvero nella confutazione dei falsi valori, ritroviamo il
momento fondamentale dell'attività filosofica di Platone. Il lavoro critico sui mo-
delli in vigore - siano essi modelli politici, etici, retorici, teoretici o estetici - è la
prima pietra per la ricostruzione del mondo su basi solide cioè razionali. La questio-
ne, tuttavia, non è cosi semplice: infatti, mentre il simposio filosofico è certamente
uno, esistono più tipi di simposio volgare 6 •
Per il Simposio - e per altri dialoghi - si può parlare di raccordo polemico
omerico-dionisiaco 7 • Circa la condanna dcli' aspetto dionisiaco il seguente brano
sintetizza mirabilmente i motivi del rifiuto: «II fenomeno dionisiaco ... se, per certi
versi, ha saputo combinarsi con la religione della polis, in altri casi appare come una
forza pericolosa che minaccia l'integrità e l'equilibrio del corpo sociale» 8 •
Dalla duplice irruzione dei comasti nel convivio dei ).6rot solo Socrate, colui che
non può essere ubriacato se non di sapienza, resta incontaminato al termine della

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---------------------- GIANFRANCESCO nJRANO

notte (223d) 9• Quanto all"'enciclopedia omerica", essa riassumeva tutto il patri-


monio culturale e scientifico, nonché tecnologico, di una società ancora allo stato
tribale 10• Quanto Platone considerasse adeguato questo modello alla società in cui
viveva è possibile vedere nei ben noti passi di Repubblica che bandiscono la poesia,
in quanto veicolo di errate conoscenze, dallo Stato ideale. Il sapere politico, il sapere
nuovo deve essere fondato su basi scientifiche, non può più essere affidato agli esa-
metri epici, come non può che essere minacciato dagli invasamenti bacchici dei co-
masti che del vino fanno un uso scorretto 11•
Nel testo che stiamo considerando la critica al concetto omerico di convivio
prende avvio fin dall'ingresso in scena di Socrate. La deformazione dell'esametro
che funge da invito per il testimone Aristodemo - uomo privo di meriti culturali e
sociali che lo pongano al livello del consesso riunito a casa di Agatone - è molto più
che una semplice freddura abbastanza banale 12•
Il gioco di parole di Socrate contiene, in forma estremamente sintetica e appa-
rentemente ridicola, secondo le parole di Alcibiade 13, la polemica di Platone contro
le eterie, ancora legate a un modello di simposio - e di società - da superare ••.
Anche in questo caso due rimandi strutturali interni al dialogo chiariscono le
dimensione della critica. Dopo avere invitato Aristodemo al banchetto, Socrate lo
lascia entrare per primo in casa di Agatone. Il filosofo, dal canto suo, si sofferma
nel vestibolo dei vicini immergendosi nella meditazione. Dopo ripetuti inviti che non
sortiscono alcun risultato, i convitati cominciano il loro 001CYOv senza Socrate che,
infine, dopo essersi cibato di sapienza, si decide a entrare per consumare da solo il
suo pasto (l 7Sa-176a).
Il secondo esempio non è meno degno di interesse: durante la campagna di Po-
tidea (220c-d), Socrate si astiene dal partecipare al 81tffll0\Idei guerrieri ateniesi osser-
vando il digiuno e meditando in disparte 15• Non sono solo politici i motivi del rifiu-
to nei confronti del banchetto omerico e del banchetto delle eterie, che di quello è la
più diretta filiazione. I convivi cui Socrate non partecipa comportano, come si ve-
drà, anche uno scorretto uso dell'alimentazione.
Il Simposio, in sostanza, solleva il problema del 8,tffl/0\Iin modo ellittico, quasi
per contrarium, lasciando alla Repubblica e alle Leggi il compito di completare la
critica e di affrontare la pars construens della questione alimentare.

Nei confronti del 81t1M>v Platone ha una posizione complessa che non può essere ri-
condotta a un rifiuto generalizzato. Il 8,tm,ov,cosi come è praticato nelle diverse si-
tuazioni, è senza dubbio l'unica forma di alimentazione esistente e lo stesso Socrate,
come si è visto, vi si adatta. Questo tipo di alimentazione, tuttavia, anche senza con-
siderare le varianti più pericolose, non deve essere accettato totalmente né dal punto
di vista politico né dal punto di vista dell'educazione alimentare.
Di conseguenza, è necessario riformare gli usi della tavola sia come momento di
incontro di un nucleo sociale - la famiglia o l'eteria -, sia come quantità e qualità
degli alimenti da consumare. Sul primo problema, com'è naturale, Platone insiste in
notevole misura: l'importanza politico-educativa del cnxm'M\I - il pasto preso in co-
mune da tutti i cittadini dello Stato ideale, senza distinzioni di sesso o di rango -
garantisce uno spazio preponderante a questo aspetto del problema. Ciò non toglie
che anche la questione specificamente tecnica sull'alimentazione venga affrontata.
L'origine dello scorretto uso degli alimenti, secondo Platone, è duplice. È mo-
derna, per quanto attiene l'arte culinaria o gastronomica, che ha i suoi capisaldi nel-

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HOMO EDENS---------------------------

le raffinatezze della pasticceria attica e nella varietà della tavola siciliana 16• È antica
perché in parte risale ai precetti dcli' età omerica, che prevedevano una dieta quasi
esclusivamente fondata sulla carne di bue arrostita.
In Repubblica III, 404d Platone sembra proporre quest'ultimo tipo di dieta co-
me ottima per gli atleti. Però, sia gli atleti - come il pancraziaste Pulidamante 17 -
sia gli eroi sono troppo più forti dei comuni mortali per potere essere presi a model-
lo. Per di più, la forza dei campioni del momento non è veramente tale: essi, infatti,
hanno la tendenza ad ammalarsi non appena vengano sottoposti a un regime solo un
po' diverso da quello che seguono normalmente 18• In realtà, Omero è stato frainte-
so: l'unico motivo per cui gli eroi dell'epopea tenevano un tale regime stava nella co-
modità pratica di arrostire il cibo sul fuoco senza impaccio di stoviglie e pentole 19•
In sostanza, sia l'aderenza nostalgica al modello omerico, sia la perversione
della gastronomia, sono le due facce di una stessa medaglia. Nel primo caso, le con-
seguenze dello squilibrio alimentare saranno un eccesso di aggressività dannosa alla
conservazione della pace e priva di vera energia alla prova della guerra. Nel secondo
caso, la corruzione e l'indebolimento delle risorse fisiologiche, provocati dall'ecces-
siva raffinatezza nel mangiare, sarà direttamente proporzionale all'aumento dei me-
dici nello Stato 20 •
L •alternativa concreta è proposta da Platone in un passo di Repubblica 21 che
vale la pena di citare integralmente: «Si nutriranno di farine ricavate dall'orzo e dal
frumento, ora cuocendole ora impastandole, e serviranno belle focacce e pani su
canne o foglie pulite ... banchetteranno bene in compagnia dei loro figlioli e ci ber-
ranno sopra vino ... E Glaucone entrò a dire - Mi sembra che tu faccia pranzare la
gente senza pietanze. Giusto - ammisi-. Mi sono scordato che dovranno averne e
cioè olive, sale, formaggio e si cuoceranno gli alimenti propri della campagna, cipol-
le e legumi. Serviremo loro anche pasticcini di fichi, ceci e fave; e abbrustoliranno al
fuoco bacche di mirto e ghiande, bevendoci sopra con moderazione. Cosi passeran-
no la vita, com'è naturale, in pace e buona salute, moriranno in tarda età e trasmet-
teranno ai discendenti un sistema di vita simile a questo».
Un trattato ippocratico risalente alla fine del V secolo 22 aveva affermato il
principio che il buon medico deve conoscere le usanze alimentari e i loro effetti sul-
l'uomo. Il filosofo, in quanto possessore di una competenza enciclopedica, è il vero
medico, così come è il vero legislatore, il vero politico e il vero amante 23•
Platone non si limita a formulare questo principio teorico, ma arriva a modifi-
care profondamente l'insegnamento ippocratico, dal quale pure aveva tratto indica-
zioni di primaria importanza. Il corpusdelle opere che vanno sotto il nome di Ippo-
crate aveva fornito una base relativistica alla cura delle malattie. Il regime dietetico
andava stabilito np6c;·n, osservando le reazioni del singolo 24 • Inoltre, l'assunzione
dei grassi animali viene minuziosamente regolata in base alle stagioni 25•
Platone sconvolge questo sistema alimentare, istituendo per tutti i cittadini un
regime vegetariano che la scienza moderna ha recentemente rivalutato con il nome
di "dieta mediterranea". Come sempre accade, non è possibile scindere i motivi fi-
siologici di questa innovazione da quelli politici: il brano sopraccitato ne è testimo-
nianza. L'uso della carne avrebbe creato problemi di allevamento del bestiame, so-
prattutto per la necessità di accrescimento del personale di servizio da adibire a que-
sta cura: «Quel territorio che prima era sufficiente a nutrire i suoi abitanti, da suffi-
ciente sarà diventato piccolo» 26 •
Né il pesce, dallo stesso punto di vista, comportava minori problemi, anche se è

100---------------------------
------------------------ GIANFRANCESCO TURANO

significativo - credo - che i dialoghi non forniscano mai ragioni scientifiche che
sconsiglino tale alimento. L'esclusione del pesce dalla tabella dietetica di Platone è
quasi certamente da cercare nella "talassofobia" di cui l'inizio del IV libro delle
Leggi 27 ci fornisce un esempio pregnante. Per lo Stato ideale il mare rappresenta so-
lo un pericolo: dal mare i nemici trovano la strada per l'assalto e, quand'anche que-
sto rischio sia scongiurato, si tratta comunque di «una molto amara e salata vicinan-
za, perché ciò riempie lo Stato di traffici e piccoli affari commerciali, facendo nasce-
re in esso, nei suoi cittadini, costume di incostanza e promesse di falsità» 28•
Concludendo, a esclusione di questa particolare idiosincrasia per un alimento
in sé privo di controindicazioni, la ''dieta'' platonica risulta essere non solo parte in-
tegrante di un progetto educativo vastissimo e innovatore, ma anche un programma
alimentare degno a tutt'oggi della massima attenzione. Al di là delle prescrizioni
normative che spetta agli specialisti valutare al meglio, l'impostazione metodologica
del problema da parte di Platone colloca la dieta nel suo ambito più opportuno e in-
teressante per i moderni, quello che consiste nell'insegnamento di una disciplina di
vita materiale e spirituale allo stesso tempo.

NOTE

1) Lachete, 188a. 5) Tra i tanti campioni d'analisi possibili ne sce-


2) E. A. HAVBLOCi.:, Cultura orale e civiltà della gliamo due. Il brano 176a-e introduce la teo-
scrittura, Roma-Bari, 1983. In questo testo ria del bere, mangiare e libare correttamente
fondamentale viene sviluppata, fra le altre, la per contrasto con l'ubriacatura del primo fe-
tesi che il dialogo platonico sia la risposta del- steggiamento. Abbiamo perciò: 8"1M)CJUo6«1
la cultura filosofica moderna e razionalistica l:wxp«Wllç ... O'll:OIIMç
ff oq,«C1t011)0CLo6«1 ••• hln,-
all'"enciclopedia tribale", cioè a quel com- 't«t; -mv hòv XCLl-c&>.M ~ voµi,t6iuvat... 't'~
plesso di insegnamenti contenuti nei poemi KpÒçwv 1'6- (cfr. la triade simposiaca 1&1v,
omerici che, fmo al V secolo, costituirono la mva1v, &w.ty,a&n proposta da Pausania,
principale guida culturale e tecnologica del 181a) e ancora: ~ nvoç ... ~ ~ m-
mondo greco. llOlj.l.lY... ~6M)Y nv« ~ 1WGl6)(.Qualche rigo
3) Ci limitiamo qui a citare P. BoYANCB,Platon più avanti incontriamo: w ,rol.w m1111v otVOY •••
et le vin, "Bulletin de I' Association Ouillau- mpi 't'OIÌ µa&liax&o&!t... XCIÀIKÒY~ µL8'J... x,m-
me Budé", N.S. 4, 1951, pp. 3-198. ~ ... µfl &II̵t°'i( e infme cill'okw ,r(-
4) Secondo i recenti studi della cosiddetta "scuo- utt; ,rpòç~v. Ancora più ricco di elementi
la di Tubinga", gli scritti costituiscono sem- lessicali appartenenti all'ambito del bere è il
plicemente una prima parte dell'insegnamen- brano 213e-214c dove Alcibiade descrive la
to platonico, che si sarebbe sviluppato appie- bevuta pantagruelica che ha preceduto la sua
no solo nelle lezioni tenute in Accademia. An- visita ad Agatone: ~ µLy01,1rouov, lf6.
che gli studiosi che respingono questa tesi non <JIW(, 1tC'IJ't'a,ilmiirv, irxuv, txitu:w,µgllllc,6;j, iy-
possono non ammettere che la tecnica ironica xi011.rtoç,µ,fluovt« !v3p01 contro y1Jcpa1v, IITJ·
- il qualcosa che dissimula qualcos'altro - è f6vtwv. Socrate respinge l'abbandono bacchi-
concepita al fine di stimolare e raffol"7.lll'eper co al vino propugnato da Alcibiade: m~
gradi lo spirito critico del lettore. In questo waapol &i+ci>vnç 1ri6µ&8ot. Nessuno dei codici
senso, è molto raro che i dialoghi platonici ha liuxvc.iç(cfr. Gorgia, SOia) che, se si accet-
espongano in modo univoco un ragionamento tasse la correzione, significherebbe in modo
o una teoria. più pregnante l'aspetto "tecnico" del bere.
Come appunto nel Simposio è detto di Socra- 6) Un brano del Protagora (347c-e) assimila due
te, anche i dialoghi devono essere aperti per tipi di simposi: quello in cui si parla di poesia
rivelare il loro vero significato. Cfr. K. GAI• e quello ,:«;w cp®À<aw XCLl Mpwm.w.
i-yopcx!c.iv È
SEll, Protreptik und Pariìnese bei Plato, Stutt- interessante notare come questo passo, in cui
gart, 1959 e, dello stesso autore, Platone co- si condanna fermamente il ricorso a flautiste,
mescrittorefilosojico, Napoli, 1984. citarede e danzatrici nei convivi, spieghi l'e-

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HOMO EDENS ------------------------------

spulsione della flautista che si verifica all'ini- partono, ovviamente, da presupposti di tipo
zio del Simposio (l 76e). politico. Per quanto riparda il rapportofra
7) Intendo qui il termine "dionisiaco" nel senso Platone e il simposio aristocratico, cfr. F.
in cui lo usa Nietzsche. L'aderenza filologica SA1tro1U,Platone e le eterie, "Historia", 7,
del filosofo tedesco su questo punto partico- 1958, pp. 157-171.
lare è tale da evitare l'anacronismo. Fra l'al- 15) Che si tratti di un banchetto omerico è eviden-
tro, la radice di questo abbinamento è lettera- te non solo per la situazionein se stessa ma,
ria. L'epica era considerata la progenitrice ancora una volta, grazie a una citazione intro-
della poesia tragica (Repubblica X, 595b-c; duttiva (Odissea, IV, 242). Per un raffronto
598e; 607a), tradizionalmente legata al culto diretto con il banchetto omerico, cfr. Iliade I,
dionisiaco (Minosse, 320a). 402 sgg.; VII, 463 sgg., IX, 89 sgg., XXIII, 35
8) F. VJAN,La religionegrecain epocaarcaica e sgg.; e Odissea I, 248 sgg.; IX, 5 sgg.; XIV,
classica, in Storia delle religioni, Il mondo 463 sg.; XVI, 110 sgg.; XVlll, 288 sgg. Di
classico, Bari, 1976. L'i"8o11aux<11'6çdionisiaco utile consultazione K. BIELOHA wu, Precetti-
non poteva essere gradito al legislatore Plato- stica conviviale e simposio/e nei poeti greci, in
ne che ne fornirà il modello positivo nel Fe- Poesia e simposio nella Grecia antica, Bari,
dro. Detto questo, è peraltro opportuno nota- 1983.
re come Platone non avèsse nulla in contrario 16) Repubblica III, 404d.
al mantenimento dello spazio rituale già esi- 17) Repubblica I, 338c.
stente per il culto dionisiaco, anzi solo in oc- 18) Repubblica lii, 404a.
casione delle feste dedicate al dio del vino è le- 19) Repubblica lll, 404c.
cito eccedere nel bere: cfr. Leggi VI, 775b. 20) Repubblica III, 404e-405a.
9) In Simp., 218b Alcibiade dice dei convitati so- 21) Repubblica li, 372b sgg. La traduzione italia-
bri che sono accomunati dalla «follia e dal fu- na riportata è quella di F. S.UrolU, Bari,
rore bacchico del filosofo». cf>IÀ~ e &x- 1971.
xd« sono, ancora una volta, due termini con- 22) li Ile.p!lìi«(ffiç li-yti!YTK,
XX, ripreso da Fedro,
trapposti che caratteri.u.ano il personaggio di 270c-e.
Alcibiade, incapace di concepire la fl4Y{«al di 23) Non a caso, nella prosecuzione del passo di
fuori della dimensione dionisiaca. Repubblica citato per esteso, Platone affron-
10) Cfr. E. A. HAvELOCK, op. cit. ta i temi più importanti cui era connessa la
11) Le virtù del vino, esaltate da un uso modera- funzione educativa del legislatore-filosofo.
to, vengono compendiate brevemente in Leg- 24) Cfr. Ile.pì't~ç. XIX.
gi I, 649a-b. 25) I primi due capitoli del Ilspt 3wffK lirti!YTK si
12) È appena il caso di rilevare che una citazione occupano del regime alimentare del privato
omerica - lungi dall'essere il connotato di cittadino (tlìiwffK), graduando la quantità di
un'aristocrazia intellettuale come ai tempi di carne da mangiare e stabilendo il modo (arro-
Goethe o di Holderlin - era alla portata di stita o lessata) di cucinarla. In manieraanalo-
ogni ateniese, anche illetterato. ga vengono trattate le verdure e il vino.
13) Simp., 22le. 26) Repubblica li, 373d.
14) I passi di Repubblica e delle Leggiche formu- 27) LeggilV, 704a-707d.
lano il nuovo modello conviviale, il Ollffl'tWV, 28) Leggi IV, 705a.

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I SOGNI DELLA FAME: DAL MITO
ALL'UTOPIA GASTRONOMICA

di Lucio Berte/li

La questione del cibo in una terra povera come quella greca è sempre stata di attua-
lità: è una storia che si può iscrivere in un triangolo formato dalla naturale scarsità
di risorse, dalla necessità di mezzi di sussistenza per una popolazione in costante cre-
scita, dai sogni di evasione da una realtà quotidiana sottoposta alla legge della lesina
e dell'oculato consumo. Le eccezioni a questa vicenda di povertà sono poche e di so-
lito si trovano al di fuori della Grecia continentale: in Occidente nel mondo colonia-
le - la proverbiale "tavola siracusana" 1 -; in alcune città dell'Asia Minore, fa-
mose per la loro habrosyne e per la loro tryphé 2• In Grecia solo Atene - e per il
breve periodo di una cinquantina d'anni - gode di una relativa abbondanza, dovu-
ta ai vantaggi del suo impero marittimo che faceva affluire nell'Attica tutte le ric-
chezze del Mediterraneo, come osservava in un dettagliato elenco di merci il comico
contemporaneo Ermippo 3, ricchezze di cui si avvantaggiava soprattutto il demos
trasformato in "rentier" dello stato 4 , come malignamente sottolineava l'aristocra-
tico autore dell'anonima Athenaion Politeia s.

Uaa dietamolto parca


Ma anche all'epoca della maggiore prosperità era vita non certo lauta per il medio
contadino attico, proprietario di un piccolo appezzamento di terra, il quale non go-
deva certo fama di gourmand, come i suoi vicini beotici o i lontani tessali e siculi: la
sua dieta quotidiana rendeva pienamente onore alla fama che «i Greci si alzavano da
tavola ancora affamati» 6 o poteva equamente giustificare le battute di un personag-
gio comico che confrontava gli usi alimentari greci con quelli persiani in questa ma-
niera: «Ma che cosa possono mai combinare questi Greci mangiatori di erbe, con la
loro misera tavola? Presso di loro tu potrai avere al massimo quattro bocconi di car-
ne da un soldo. Ma presso i nostri antenati [i Persiani] si usava arrostire un intero
bue, un porco, cervi e agnelli. Come piatto finale il nostro cuoco arrostiva un intero
mostro e serviva al Gran Re un cammello caldo.» 7 •
«La dieta base di un greco erano i farinacei: pane, pappe d'orzo, grande varietà
di verdure, fagioli, aglio, lenticchie, ravanelli, bietole, insalate, tutti cibi di poca
spesa. Pesce sia fresco sia salato, come anguille del Lago Copaide, pesciolini del Fa-
lero, tonno, acciughe, sardine del Ponto, costituivano il piatto principale e ... in epo-
ca classica erano la delizia del palato. La carne - bue, agnello, porco, capra - era
consumata meno frequentemente e la principale occasione in cui si mangiava carne

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HOMO EDENS ---------------------------

era il sacrificio religioso ... ma salsicce di budello di maiale o di altri animali riempite
di intestini ... si trovavano nelle case sia dei ricchi sia dei poveri. Formaggi e olive
erano derrate di largo consumo. si mangiavano uova cotte e crude, per addolcire si
usava il miele. come dessert erano molto apprezzati datteri fichi mele.» 8 Questa in
rapida sintesi la dieta normale di un ateniese medio del V secolo.
La questione del cibo. con tutte le sue implicazioni economiche. sociali e politi-
che. è una specie di crocevia obbligato per tutte le soluzioni che in Grecia si sono
escogitate nel corso del tempo per superare la condizione naturale della stenochoria.
come la chiama Platone 9 • e della scarsità di mezzi di sussistenza: ma essa fin dalle
origini è anche un punto di passaggio privilegiato di eventi culturali e fatti di menta-
lità. che con un percorso complicato partono da una storia di ventri e di invenzione
mitica del cibo umano fino ai sogni di evasione dalla penuria quotidiana o. inversa-
mente. dalla schiavitù del ventre. nei Paesi di Cuccagna o nelle revisioni filosofiche
dell'età dell'oro. Un dramma con molti attori. dunque. della cui trama cercheremo
qui di ricostruire soltanto alcune delle parti più significative.

Ventriaffamati
E cominciamo con la storia dei ventri affamati. Nella Teogonia di Esiodo le Muse ri-
volgono ai pacifici pastori dell'Elicona uno strano rimprovero: «Pastori. che vivete
nei campi. triste vituperio: altro non siete che ventri.» 10 Le Muse esiodee non inten-
devano certo accusare i pastori di essere dei volgari materialisti. insensibili ai richia-
mi dello spirito. come pure hanno interpretato non pochi critici 11• Con l'evocazione
dell'obbrobrio del ventre veniva richiamata una tradizione epica (omerica) dove la
gastèr. la pancia. aveva un duplice ruolo ben definito nell'antinomia di valori che
rappresentava in relazione alle diverse situazioni sociali. Semplice il ruolo del ventre
per il nobile guerriero: esso deve essere adeguatamente riempito - soprattutto di
abbondante carne 12 - per fornire vigoria nel combattimento. dove il guerriero si
lancia come il lupo «dal ventre ben disteso» 13 pronto allo scontro; l'altra funzione
del ventre guerriero è quella di essere la zona preferita dai mortali colpi di lancia 14•
Il guerriero omerico non ha problemi di sussistenza: la sua fame di carne (bou-
brostis) trova sempre sicura soddisfazione in monumentali arrosti di carne bovi-
na 15• Ma nel mondo omerico esistono altri personaggi per i quali il ventre è una pre-
senza scomoda. maligna e inquietante nell'incertezza di trovare il modo e la materia
per soddisfarlo: questi sono i mendichi e i vagabondi. i ptochoi. che spinti dal biso-
gno sono alla costante ricerca di cibo per il loro ventre «insaziabile» 16 e «consigliere
di male azioni» 17•
I canti XVII e XVIII dell'Odwea - i canti di Odisseo mendico di ritorno a Ita-
ca sotto mentite spoglie e della sfida con l'altro celebre pitocco dal «ventre furioso».
Iro - sono un compendio di filosofia della mendicità secondo i valori del mondo
epico-aristocratico. Il povero vagabondo senza protezione o collocazione stabile al-
l'interno della comunità e senza garanzie di sicurezza derivanti da rapporti di ospita-
lità - o di dipendenza servile -. spinto dal bisogno 18 deve sopportare tutte le umi-
liazioni per assicurarsi il fabbisogno alimentare. Può essere insultato sia dai servi 19•
che godono di una sicura vita sotto la protezione di un padrone. sia dai loro signori.
ai quali egli apparirà non un essere bisognoso di conforto materiale. ma un "man-
giaufo" (molobros) 20 impenitente. che preferisce mendicare gli avanzi della mensa
piuttosto che guadagnarsi da vivere col proprio lavoro.
E per nutrire il suo «ventre maligno. rovinoso. vera sciagura per gli uomini» 21

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è disposto ad affrontare tutte le angherie che deve subire chi non ha beni propri o la
protezione di un padrone. La sua posizione è la più bassa nella scala gerarchica della
società omerica, inferi ore a quella dello stesso schiavo, il quale per lo meno in cam-
bio del sacrificio della sua libertà personale e dei suoi servizi ha almeno il cibo assi-
curato. La logica del ventre mai sufficientemente sazio lo colloca anche in una zona
di «inciviltà» e di «stato di natura» selvaggio, come quello delle fiere che assalgono
le prede spinte dalla fame 22 •
li ptochos è escluso dalla simbiosi di alimentazione e consumo culturale propria
del banchetto omerico - preludio all'estetica del simposio della Grecia arcaica e
classica -, dove esaurita «la voglia di cibo e bevanda» ci si compiace di rivolgere
l'animo a «musica e danza», «ornamenti del banchetto»: la sua sfera vitale resta al
di qua, nella zona soltanto materiale del bisogno del cibo 23•
Nel quadro dei valori sociali omerici la gastèr, quando non si tratti del «ventre
eroico», sta dalla parte di connotazioni tutte negative: fame insoddisfatta perché
non può contare su beni propri - o altrui legittimamente sfruttabili - asocialità,
ozio parassitario. Il mendico vagabondo si trova nella posizione di colui cui Zeus ha
riservato solo «doni luttuosi», destinandolo al disprezzo e alla «cattiva fame» (kakè
boubrostis) che lo insegue per tutta la terra 24• Ma è anche evidente che nell'epica
omerica aristocratica la fame è una realtà marginale, riservata ai déracinés all'ulti-
mo livello della scala sociale.

Una storiamiticadel dbo


Fame e bisogno di cibo diventano una questione centrale della condizione umana
con Esiodo: con la sua poesia «un elemento amaro entra a far parte dell'esistenza
della gran maggioranza degli uomini: la preoccupazione individuale per i mezzi di
sussistenza» 25• Esiodo non solo «scopri la fame come parte della condizione uma-
na» 26 , ma - insieme agli strumenti per combatterlo - questo costante rischio per
l'uomo diventa anche il nucleo centrale di una storia mitica della «sussistenza
umana».
Il divario di mentalità rispetto a Omero e alla tradizione epica eroica traspare
anche nettamente dalle scelte linguistiche attraverso le quali Esiodo esprime questo
nuovo elemento della condizione naturale dell'uomo: non più la boubrostis - il de-
siderio di carne omerico - ma la ricerca del bios, termine che indica insieme la vita e
i mezzi per sostentarla, identificati in prima istanza con i prodotti della cultura ce-
realicola. La sussistenza si incarna in quel bios che è il frutto della terra, la «messe di
Demetra», raccolta al tempo giusto e tenuta oculatamente in riserva per i tempi del
bisogno (Opere, 31 s).
Consumatori guerrieri - o nobili - di carne contro contadini consumatori di
cereali r17È certo in ogni caso che la «nuova legge» del cibo strappato col faticoso
lavoro alla terra trova in Esiodo la sua prima e complessa giustificazione tradotta
ancora in termini mitici. Nel grande quadro dei miti di Prometeo e Pandora e delle
cinque età Esiodo cerca di spiegare perché la vita dell'uomo sia legata alla dolorosa e
ingrata ricerca dei mezzi di vita.
Il poderoso meccanismo mitico cui Esiodo ricorre si regge sulla contrapposizio-
ne polare tra un'età originaria dell'uomo, piena di beatitudini (abbondanza di cibo
spontaneamente offerto dalla terra, assenza di malattie e di decadimento fisico, as-
senza ovviamente di lavoro, pace e tranquillità assicurate), e un presente segnato
dalla fatica, dal male, dall'ingiustizia, dalla decadenza fisica, dalla precoce sene-

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HOMO EDENS ---------------------------

scenza e dalla morte penosa. Da uno stato originario semidivino, in cui gli uomini
spartivano il loro cibo con gli dei, si è passati attraverso le "colpe" di Prometeo e di
Pandora - o, nella versione corusca della decadenza elaborata nel mito delle cin-
que età, a causa dell'espandersi progressivo della violenza e dell'ingiustizia - alla
presente "età del ferro", in cui l'uomo non ha più scampo dai dolori e dai mali.
Tutta la felicità in i/lo tempore - sotto il "regno di Crono" -, tutto il dolore hic et
nunc.
Senza addentrarmi nei complessi e tortuosi meandri di questa storia mitica 21,
mi limiterò a segnalare i significati più evidenti dei vari episodi in ordine al problema
dell'alimentazione e della sussistenza dell'uomo:
1. il banchetto di Mecone e il trucco dell'ineguale spartizione delle porzioni di carne
tra uomini e dei operato da Prometeo 29 equivale nell'intenzione eziologica del
racconto all'invenzione del sacrificio e alla separazione tra cibo umano e divino,
simbolicamente alluse nelle parti carnose offerte agli uomini e nelle parti ossee
della bestia, ricoperte di grasso, destinate agli dei, da consumarsi attraverso il
fuoco;
2. furto del fuoco che ha ancora Prometeo come protagonista in veste di "trick-
ster" 30: spiega il passaggio dall'alimentazione spontanea e naturale al fuoco ali-
mentare, alla cottura dei cibi;
3. creazione della donna - l'anonima vergine della Teogonia (S70-89), la Pandora
delle Opere e i Giorni (S9-82): segna l'emergere della generazione umana bises-
suata, ma anche l'inizio dei mali dell'uomo attraverso la divisione dei ruoli tra
maschio produttore, equiparato all'ape, e donna parassita e consumatrice dei
frutti del suo lavoro, paragonata ai fuchi, con una strana inversione della distri-
buzione naturale dei sessi tra l'animale e l'uomo 31 •
La storia del ventre affamato si ritrova in questo mito dalla parte della donna sulla
quale ricade il ruolo della "cattiva fame" omerica, ma inquadrata ormai nell'ambi-
to istituzionale del matrimonio e della famiglia.
Nella versione delle Opere e i Giorni (47-89) il mito di Prometeo subisce espansio-
ni destinate a sottolineare la sua valenza alimentare: per le colpe di Prometeo gli dei
«hanno nascosto i mezzi di sussistenza agli uomini» (Opere, 42); l'alternativa a que-
sta condizione di carenza alimentare è presentata in duplice forma: prima come ipo-
tesi di abbondanza 32, poi come visione mitica delle felici origini: prima che la scia-
gurata curiosità inducesse Pandora ad aprire il famoso vaso, «gli uomini vivevano
lontani dai mali, dalla penosa fatica, dalle funeste malattie che portano morte»
(Opere, 90 ss.).
Nel mito delle cinque età (Opere, 109-201) Esiodo ribadisce l'opposizione tra
un'età di Crono o dell'oro, in cui gli uomini vivevano felici nei campi godendo dei
frutti che generosamente la terra arata forniva loro spontaneamente 33 , benedetti da
un'eterna giovinezza e da una dolce morte simile al sonno, non tocchi da malattie,
fatiche, dolori (Opere, 109-201), e un tempo presente che è il perfetto contrappasso
dell'età dell'oro (ibid., 174-201).
La realtà quotidiana dell'uomo è dunque rappresentata da un bios - un cibo
- rimosso dagli dei, non più disponibile naturalmente come in origine: ma le Opere
e i Giorni non sono un'apocalissi giudaica ed Esiodo lascia qualche scampo alla so-
pravvivenza di questo mondo presente. C'è un solo modo per sottrarlo alla condi-

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zione di povertà e di fame: anche se non è vita molto amena, il destino di tribolazio-
ne del contadino, la sua totale «servitù verso la terra», gli concede almeno di ricava-
re sufficienti frutti dal «rigore della vicenda delle stagioni e della vita vegetale» 34•
Sottoponendosi a quest'ordine naturale, sfruttando lo spirito di competizione che
procura guadagno 35, nel rispetto della legge di Zeus e di Dike sua custode (ibid., 2S6
sgg.), l'uomo aveva la Speranza 36 di sopravvivere con sufficienti mezzi di vita.

D dbo tra antropologia,evasioni


pstronondcbee ucetlsmoffloaoflco
Il quadro corusco e deprimente di Esiodo corrisponde a una situazione storica di ef-
fettiva crisi della piccola proprietà contadina, crisi che si evolve rapidamente tra il
VII e il VI secolo a.e., stimolando la formazione di tirannidi - di solito filo-popo-
lari - più o meno stabili e la nascita di regimi più solidi come le oligarchie e la de-
mocrazia ateniese. L'atteggiamento filo-popolare di certe tirannidi - i Cipselidi a
Corinto, Pisistrato ad Atene - trova talora una rappresentazione a livello popolare
nel segno di una rinnovata "età di Crono": cosi - a quanto attesta Aristotele 37 -
era definito dai contadini attici il governo di Pisistrato, particolarmente disponibile
a provvedere alle loro necessità. La "questione del cibo" - o per meglio dire la ridi-
stribuzione delle risorse (isomoiria) 38 - è mediata sul piano politico dove trova
soddisfazione nell'eguaglianza di fronte alla legge (isonomia) 39•
Lo spettro della fame, che per altro esisteva ed era impellente ancora almeno fi-
no ai tempi di Pisistrato, come ci assicura la testimonianza di Solone, è esorcizzato
dalla cultura aristocratica creatrice di quella poesia simposiaca, dove l'urgenza del
bisogno di cibo è rimossa a favore dell'estetica e dell'etica delle buone maniere a ta-
vola, espressione di una solidarietà di alto lignaggio e di una corrispondente visione
di vita.
Il sympotein, i canti e i discorsi pieni di grazia e di saggezza, che stabiliscono
l'essenza e la qualità del sodalizio aristocratico - o almeno cosi ci vuol far credere
la nota dominante di questo tipo di poesia - cominciano quando le mense sono sta-
te sgombrate, il pavimento pulito, e il cibo lascia posto al vino da bere con ordinata
moderazione e i cibi del banchetto sono sostituiti dai dessert con cui accompagnar-
lo 40 • Anche se lpponatte sembra irrompere con plebea virulenza in questo equilibra-
to gioco di gusto raffinato evocando tematiche da "morto di fame" in assidua ricer-
ca di beni materiali, in realtà la sua esibizione di elementari bisogni e di brutalità ri-
sponde a un gioco parodico altrettanto raffinato e stilizzato 41 •
La città democratica - cioè l'Atene del V secolo - sembra essersi lasciata defi-
nitivamente alle spalle la scarsità di mezzi che angosciava Esiodo o costringeva a una
vita servile una buona parte della popolazione attica ai tempi di Solone. L'impero
procura ormai un sufficiente fabbisogno alimentare a prezzi moderati, lo sviluppo
tecnico assicura espansione al commercio ateniese, e dove non arrivavano le risorse
naturali - la terra - o quelle artificiali - lavoro e commercio - sopperivano le
ricchezze dello Stato, che trasformavano la partecipazione politica in un mestiere re-
tribuito, anche se a livello minimo 42 •
L'ideologia egemonica della democrazia periclea è quella del progresso: e in
questa prospettiva la "questione del cibo" si trasforma in un tema vincolato alla
meditazione sulle fasi di sviluppo della civiltà. Nella teoria delle "origini della civil-
tà" - punto di incontro di molte voci nella cultura filosofica e parafilosofica del V
secolo - il cibo viene a occupare il ruolo non più simbolico ma antropologico, di

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HOMO EDENS--------------------------

passaggio obbligato nell'evoluzione dell'umanità dallo stadio ferino - il famoso


bios theriodes di Euripide e di altri 43 - alla fase della civilizzazione: rovesciando la
concezione esiodea, la cultura illuministica e progressista del V secolo concepisce le
origini dell'uomo in termini di vita selvatica del tutto analoga a quella animale, con-
notata ovviamente con segno negativo.
Il cibo naturale di esiodea memoria resta si spontaneo, ma subumano: sono le
erbe e le radici adatte a bestie, non a uomini. Il passaggio dal "crudo" al "cotto"
per un medico come l'autore della Antica Medicina 44 segna anche l'evoluzione dal-
l'umanità ferina all'umanità civilizzata. È un tema questo su cui concordano i più il-
luminati pensatori "laici" del periodo, non a caso tutti favorevoli alle istituzioni de-
mocratiche, che diventano da questo punto di vista il culmine dell'evoluzione civiliz-
zatrice: Anassagora, Protagora, Democrito sono i nomi più illustri di questo com-
posito milieu culturale; ma anche un oligarca come Crizia, che non nutriva certo
simpatie per la democrazia ateniese, scandiva nel suo Sisifo (88 B 25 D.-K.) la storia
dell'uomo nella fase primitiva della «vita disordinata e ferina», non sottoposta ad
alcuna regola, e nello stadio successivo dominato dal «timor degli dei», introdotto
da qualche «uomo ingegnoso e saggio» per tenere a freno gli istinti aggressivi e sub-
dolamente delittuosi.
Accanto a questo coro esaltante le umane sorti progressive troviamo alcune vo-
ci dissonanti, non convinte che la città come centro di civiltà sia la sufficiente con-
tropartita nel presente della mitica età aurea, e che essa possa offrire una vita divina
come quella immaginata negli antichi miti. Sono voci che cercano la piena soddisfa-
zione dei bisogni lontano dalla città, dai suoi costumi e dalle sue istituzioni, voci che
trasmettono messaggi elaborati in ambienti molto diversi, come possono essere
quelli del teatro comico e delle scuole filosofiche.
L'erudito Ateneo nei suoi Filosofi a banchetto (Deipnosophistai, VI,
267e-270a) presenta un'ampia antologia di passi ricavati da una serie di commedie
attiche messe in scena tra gli anni 440-400 a.e. 45: gli autori in parte sono noti, come
Cratete e Cratino, ma in parte sono anche minori o poco noti, come Teleclide, Fere-
crate, Nicofonte, Metagene. Un gruppo molto eterogeneo dunque, ma accomunato
da una tematica ricorrente che costituisce lo scheletro dell'antologia di Ateneo: tutti
i frammenti hanno come argomento la rappresentazione della vita "ai tempi di Cro-
no" o - con terminologia moderna - del Paese di Cuccagna, caratterizzata dalle
variazioni sul leit-motiv della grande bouffe e dell'assenza di schiavi - o di lavoro
-, sostituti dal cibo spontaneo, precotto nelle più svariate ricette, fornito gratuita-
mente in massiccia quantità da una natura molto disponibile, cibo che non attende
altro che di cadere letteralmente in bocca ai fortunati beneficiari di questo Bengodi:
anzi nelle Bestie di Cratete l'automatismo si estende alle stoviglie e alle suppellettili
della cucina e del bagno ~.
La spontaneità del cibo è un evidente repèchage dal mito dell'età aurea di Esio-
do, mito esplicitamente richiamato in causa da Crono nella sua rievocazione del ge-
nere di vita da lui stesso in principio assicurato ai mortali negli Anfizioni di Telecli-
de 47 e nei Ploutoi di Cratino 48 , dove i personaggi del coro di tal nome sono appunto
discendenti dei Titani compagni di Crono e assimilabili agli uomini della aurea stir-
pe esiodea, post mortem già da Esiodo trasforma ti in benigni demoni «donatori di
ricchezze» (ploutodota1) 49 •
Ma piuttosto che insistere sulle ripetute immagini dei fiumi di polenta, di bro-
do, sui tappeti di salsicce e di carni saporose, sui delicati manicaretti a base di pesce,

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che attirarono l'attenzione di Ateneo, dal canto nostro è più interessante sottolinea-
re la collocazione di questi paradisi della gola rispetto alla geografia del quotidiano.
E sotto questo profilo si deve notare che essi si configurano per lo più non come
mondi alla rovescia, desiderati contro una realtà angosciosa, ma o come modi di vi-
ta originari, ormai irrimediabilmente perduti, ma qualitativamente superiori al pre-
sente 50, o come mondi collaterali situati in regioni proverbiali per la loro ricchezza,
come la Persia st, o come la favolosa - ma non troppo - Thuriopersia,combina-
zione della fertilità di Turi con le traboccanti ricchezze persiane, una terra nella qua-
le il Cratis e il Sibaris portano sulle loro onde focaccine ben cotte, involtini di becca-
fichi, arrosti, aragoste, calamari, frittelle e via desiderando 52• Questi sogni di un go-
la insoddisfatta o si orientano verso paesi di proverbiale - ma fantasticamente rivi-
sitata - ricchezza, o sognano un ritorno al passato felice dell'età aurea, o ricorrono
al mito aureo per criticare situazioni deprecabili nel presente.
In questa rassegna del trionfo dei ghiottoni due casi meritano una menzione
speciale per certe loro particolarità nella soluzione fantastica. Ferecrate nei Minato-
ri s3 collocava il solito Paese di Cuccagna, ricco dei consueti menù gustosi, sotto ter-
ra, ali' Ade, un Ade tuttavia molto speciale in quanto si trovava nelle miniere del
Laurion S4, il posto più infernale immaginabile da un ateniese per le inumane condi-
zioni di lavoro, che ovviamente ricadevano sulle spalle di masse di schiavi dal ciclo
vitale piuttosto breve: insomma un oltretomba nel regno non di Crono, ma di Ni-
cia 55• Ancor più strano è il fatto che a descrivere quel luogo dove «tutto è mescolato
di ricchezza e impastato in forma di ogni genere di bene» 56 sia una donna, elemento
estraneo a quell'inferno del lavoro servile, a meno che non si tratti di una vivandiera
o una taverniera, data la sua abilità nel descrivere i manicaretti di laggiù 57•
Sappiamo troppo poco di questa commedia per capire con certezza quale fosse
la funzione di questo scenario da Paese di Bengodi, trasferito in ambiente minera-
rio: certo è che esso doveva suonare cinica irrisione delle condizioni di lavoro là vi-
genti, a meno che non si tratti di una specie di critica a rovescio proprio di quelle
condizioni disumane. In ogni caso qui si che ci troviamo davanti al totale contrappe-
so rispetto alla realtà quotidiana nota, a un mondo alla rovescia.
Cratete nelle Bestie introduceva un dialogo tra due personaggi, uno dei quali
proponeva l'abolizione della schiavitù in sostituzione della quale avrebbe reso «se-
moventi» (hodoiporounta) tutte le cose, evidente riedizione delle favolose statue
animate che lavoravano nella fucina del divin fabbro Efesto. A parte questo sugge-
stivo sogno di automazione, che facilitava le operazioni culinarie e balnearie, la
commedia prendeva il titolo e l'argomento dalla protesta delle Bestie- costituenti il
coro - che cercavano di convincere gli uomini ad adottare una dieta a base di ver-
dure e di pesci con con~guente astensione dalle carni animali: Cratete con questa
proposta sconfinava dal Paese di Cuccagna a base carnivora per approdare a un'al-
tra interpretazione dell'età aurea in chiave sempre alimentare, ma votata a una dieta
vegetariana per rispetto dei "fratelli" animali ss.
È una concezione questa che ci introduce all'ultimo atto della "sacra rappre-
sentazione'' della sussistenza dell'uomo nella sua versione ascetica, nata in ambito
religioso orfico e nelle sette pitagoriche. Secondo un antico discorso orfico, ricorda-
to da Platone s9, «vi fu un tempo in cui non si osava neppure assaggiare carne di bue
e non si facevano sacrifici di animali agli dei, ma si offrivano loro focacce, frutti in-
zuppati di miele e altre simili pure offerte, un tempo in cui ci si asteneva dalle carni
per la credenza che non fosse cosa santa mangiarle tanto quanto contaminare di san-

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HOMO EDENS-------------------------

gue gli altari degli dei... insomma gli uomini allora vivevano cibandosi di cose inani-
mate e astenendosi da tutti gli esseri animati».
Questa descrizione di una primivita età di purezza vegetariana, incontaminata
di spargimento di sangue animale, altro non è che il verbo del bios orphikos, secon-
do il quale le origini dell'uomo sono macchiate dall'allelophagia 60 - il mangiarsi
reciprocamente - comprendente anche il sangue animale versato per il sacrificio o
per l'alimentazione: simbolo di questa "colpa" originaria era l'uccisione e lo sbra-
namento di Dioniso da parte dei feroci Titani, i primi uomini. Per raggiungere una
vita santa e felice non solo bisognava rifiutare la pratica del sacrificio cruento, ma
astenersi anche nella vita quotidiana dal consumo delle carni animali, in quanto por-
zioni mistiche del corpo smembrato di Dioniso 61•
Gli Orfici non erano i soli a pensarla a questo modo: Empedocle nell'ordine co-
smico primitivo, dominato da Philia o Afrodite, sognava di una fratellanza tra uo-
mini, fiere e uccelli 62, nel quale gli uomini ricambiavano la benignità dei fratelli ani-
mali giudicando «massimo obbrobrio mangiare le nobili membra del toro dopo
avergli strappato la vita» e, pertanto, sugli altari spargevano offerte di aromi, di
mirra, di biondo miele, senza contaminarli con il sangue dell'amico animale 63•
Il divieto di mangiar carne è uno dei tabù fondamentali di quel sistema di prati-
che alimentari a finalità ascetica che costituisce uno degli aspetti più esclusivi e ca-
ratteristici della setta pitagorica. Le pratiche dei seguaci di Pitagora cercano di ri-
creare una condizione di unità con la divinità attraverso alimenti primitivi, ma nello
stesso tempo dotati di virtù soprannaturali: tra gli a/ima e gli adipse - i cibi cioè
consigliati per togliere la fame e la sete e avvicinare l'uomo allo stato di grazia - i
Pitagorici attribuivano un ruolo rilevante a due vegetali le cui virtù erano già state
esaltate da Esiodo, la malva e l'asfodelo 64 • Coerentemente anche per gli adepti della
setta vale la proibizione di immolare il «bue aratore» e gli animali in genere, atto as-
similato a un vero e proprio assassinio. L"'uomo divino" pitagorico offre agli dei
figurine di pasta, favi di miele, incenso 65•
Su questa linea del rifiuto di mangiare come gli uomini e del bisogno di cibo di-
vino si colloca anche la scelta del famoso prof eta e purificatore cretese Epimenide, il
quale per superare la fame e la sete ricorreva a pillole di un composto di malva e
asfodelo; la sua scelta alimentare, uscendo dal circolo della nutrizione normale, gli
permetteva di insultare i suoi conterranei con un adattamento degli improperi delle
Muse esiodee: «Cretesi, sempre bugiardi, animali nocivi, ventri oziosi...» 66 •

ConclaslonJ
A questo punto il cerchio si chiude: il problema del cibo evocatore di sogni di Para-
disi perduti nei miti esiodei si trasforma in una cosciente reazione ascetica alla legge
del ventre sempre in cerca di soddisfazione materiale - possibilmente abbondante
carne - della città reale e delle sue evasioni gastronomiche. L'astensione dal consu-
mo della carne e parallelamente dalla celebrazione del sacrificio cruento assume il
senso di una netta separazione dal cosmo della città, rispetto alla quale proprio la
celebrazione del sacrificio e la consumazione della vittima erano gli atti simbolici per
eccellenza esaltanti la solidarietà della comunità umana di fronte agli dei.
La ricerca di un cibo divino tra gli elementi vegetali spontaneamente offerti dal-
la natura sottolinea il bisogno di una condizione dell'uomo solidale non con i suoi
concittadini, ma con gli esseri naturali, un bisogno di ricreare le condizioni dell'età
dell'oro contro la civiltà della polis. Il legame del ventre che unisce l'uomo a questo

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...
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cosmo politico - legame fortissimo in quanto è richiesta di sussistenza biologica -


deve essere interrotto sostituendolo con un restaurato vincolo con la natura, cioè
con ciò che sta fuori della città.
A questo punto si chiude la storia mitico-ideologica della sussistenza dell'uomo
e comincia quella più propriamente filosofica. La scelta della malva e dell'asfodelo
- scelta ascetica anti-politica - apre la via alla relegazione del bios, del bisogno di
cibo e bevanda, di mezzi di sussistenza, di tutto ciò che ha a che fare con la vita or-
ganica, al livello più basso della sfera umana, alla sottomissione della gasteral logos
operata da Platone. Il bisogno di cibo viene esorcizzato eliminandolo dal centro del-
le preoccupazioni umanee riservandolo magari soltanto alla «vita da schiavi», op-
pure relegandolo alla periferia della città, tra gli elementi destinati a procurare cibo
al resto della comunità.
Nella contesa tra gastrimarghia67 e predominio dell'intelletto, dopo gli entusia-
smi materialistici del V secolo - e in ambito filosofico c'è appena bisogno di ricor-
dare che i Sofisti in fatto di sussistenza materiale avevano idee molto chiare, anche
se queste non godevano dell'approvazione di Platone- sappiamo come sono anda-
te le cose: i trionfi dei Paesi di Cuccagna si spengono di fronte ai pallidi e macerati
seguaci di Diogene, di Epicuro, di Zenone, anche se dalla scena la commedia conti-
nua imperterrita a sciorinare menù e liste complicatissime di cibarie e a esaltare le
tecniche culinarie come tecniche prometeiche donatrici di civiltà all'uomo 68 , ma con
uno spirito ben diverso rispetto ai comici dell' Archaia.
Infatti le interminabili liste di cibi dei vari Nicostrato, Anassandrida, Eubulo,
Antifane, Alesside, più che fughe verso il Paese di Cuccagna danno l'impressione di
essere raffinate classificazioni gastronomiche, che fanno il verso agli astrusi elenchi
di "cose simili". gioco prediletto dagli Accademici contemporanei.

NOTE

I) Sulla «tavola sicarusana» (Syrakoslon trape- VsOETTJ,L'Ideologia della cittd, "Quaderni .


za) v. AluSTOPANB, Daltales, fr. 216 Ed- di Storia", I, 2, 197S, p. lS (poi in: D. LAN·
monds; PI.ATONE, Resp., III, 404dl, Epist., ZA-M.VBOBTTl·C.CAIANI-F. SlllCANA,L'i•
VII, 326b-d. In Gorgia, Sl8b Platone ricorda deologiadellacittd, Napoli, 1977, p. 18.
un certo Miteco, autore di un trattato sulla S) Cfr. in part. Ps.-XBN., Ath. Poi., I, 16 e il
«cucina siracusana». commento di E. FLolll!S,li sistema non rifor-
2) Per l' habrosyne dei Colofoni, degni allievi dei mabile. La pseudosenof on tea "Costituzione
Lidi, v. Senofane, fr. 3 Diehl. In generale cfr. degli Ateniesi" e l'Atene periclea, Napoli,
S. MAzzA.luNo,li pensiero storico classico, v. 1982, pp. 23 sgg.
I, Bari, 1966, p. 82; 8. Gmmu, Poesia e pub- 6) Opinione attribuita da Erodoto, I, 133, 2, ai
blico nella Grecia antica, Bari, 1984, p. 113. Persiani.
3) Nella commedia 1 facchini, fr. 63 Edmonds, 7) Le battute sono pronunciate da Pelope nella
scritta con ogni probabilità intorno al 42S commedia Pelope o Enomao di Antifane (fr.
a.e. L'immagine di Atene - democratica e 172 Edmonds).
imperiale - importatrice a buon mercato di 8) Cfr. B. A. SPARXES,The Greek Kitchen,
«tutte le delizie di Sicilia, Italia, Cipro, Egit- "Joumal of Hellenic Studies", 82, 1962, p.
to, Lidia, Ponto» è anche ben presente nella 123.
pseudosenofontea Athenaion Politeia, Il, 7. 9) Cioè "ristrettezza del suolo": Leges, IV,
Per il raffronto tra il testo di Ermippo e quel- 708b.
lo dello Ps.-Senofonte. Cfr. MAZZAIUNo,op. IO) Teogonia, 26.
cii., p. S69. 11) Per la critica alle interpretazioni "spirituali-
4) La felice formula è proposta da D. LANZA-M. stiche" del discorso delle Muse esiodee rinvio

-111
HOMO EDENS------------------------------

a J. SVl!NBllo,La parola e il marmo. Alle ori- ne, forse di <>risine miceneae coUepto con
gini della poetica greca, tr. it., Torino, 1984, l'atto di mangiare un bue, non proprio, ma di
pp. SS sgg. Anche per la semantica epica della altri. Insomma la ka/cè boubrostis sarebbe
gaster utilizzo ampiamente gli ottimi suggeri- stata la conseguenza di un atto di abigeato
menti di Svenbro. (boelasie). Quanto al consumo di carne bovi-
12) «Combattere è il lavoro dell'eroe; mangiare e na da parte dcll'eroe omerico, la deroga a
bere sono i suoi peculiari piaceri, e arrosti di questa norma coincide di solito con situazioni
carne e vino sono il suo peculiare cibo e be- nelle quali l'eroe si trova in condizioni di par-
vanda»: cosi lapidariamente F. H. ST11B- ticolare necessità, eccezionali rispetto al suo
BINOS, Food and Agricoltura, in A. J. B. WA- normale stile di vita, come Odisseo e compa-
CB-F.H. STUBBINOS (cds.), A Companion to gni in Sicilia, i quali, una volta esaurite le
Homer, London, 1968, p. 523. Ma lo stesso scorte della nave, si danno alla caccia e alla
A. riconosce che questa è un'impressione pesca (Od., 12, 325 ss.), o Menelao in Egitto
fuorviante della dieta omerica, in quanto il in analoghe circostanze (Od., 4, 368 sgg.).
consumo abbondante di carne avviene solita- 16) Gastèr dnaltos: l'espressione compare solo
mente in occasioni rituali (sacrifici), mentre il nell'Od. (17,228; 18, 36-4)e esclusivamente ri-
cibo tipico dell'uomo omerico è il «pane e il ferita al ptochos che mendica il cibo: è ovvio
vino» (li., S, 341s) o la farina d'orzo e di gra- che essa non appaia nell' li. dove si suppone
no (alphita kai aleiata), «midollo degli uomi- che l'eroe non abbia di questi problemi.
ni» (myelon ton andron) (Od., 20, 108). Del 17) Gastèr kakoergos: Od., 18, 53 s.
resto anche Telemaco nel suo viaggio a Pilo 18) Od., 17,502.
carica sulla nave vino e «fior di farina di gra- 19) Od.,17,219sgg.
no ben macinata» (Od., 2,349 sgg.). In effetti 20) Od., 17, 219s; 18, 26.
ha buoni motivi Thalia P. HoWE, Liner Band 21) Od.,17,473s.
Hesiod's Breadwinners, "Trans. Procccd. of 22) Od., 6, 133.
Amer. Philol. Ass.", 89, 1958, pp. 44-65, nel 23) Il banchetto omerico - in situazioni normali,
proporre il confronto tra i Micenei allevatori quclle cioè descritte nell'Odissea-, anchese
di bovini e «mangiatori di carne» e gli uomini non è ancora strutturato con le rigide regole
omerici soprattutto «mangiatori di pappe» di del symposion eterico del VII-VI secolo, pre-
farina di varia composizione. senta già tuttavia una netta demarcazione tra
13) li., 16, 163. Per il significato della similitudi- momento della soddisfazione fisica di cibo e
ne «lupo-guerriero» cfr. M. OBTIENNE-J. bevanda e momento "culturale" del canto ae-
SVENBllO, / lupi a banchetto o la città impossi- dico, «ornamento del banchetto» Od., I, 152:
bile, in M. DBTIBNNE-J.-P. VB11.NANT, La cu- cfr. 8, 99, dove è lo strumento del cantore, la
cina del sacrificio in tella greca, tr. it., Tori- phorminx, a essere definita «compagna del
no, 1982, p. ISO. ricco banchetto». La cesura tra i due tempi
14) Il colpo «nel mezzo del ventre» possiede nel- conviviali è sottolineata dal verso formulare
l'Iliade un apparato formulare (cfr. Il., 4, «come la voglia di cibo e di vino cacciarono»
531; 13, 506; 16, 465, 17, 313 e varianti). Per Od., I, I SO;3, 67, 473; 4, 68; 8, 72 etc.). L'e-
la tipicità delle scene di ducllo e di ferimento stetica del banchetto omerico (odisseico) è
cfr. B. FBNix, Typical Battle Scenes in the espressa pienamente da Odisseo durante la fe-
/liad, Wiesbaden, 1968. sta nella reggia di Alcinoo: «E io ti dico che
15) Boubrostis è glossa rara in Omero: essa com- non esiste momento più amabile / di quando
pare solo in Il., 24, 532, dove chiaramente de- la gioia regna fra il popolo tutto, I e i convita-
nota la fame che perseguita il mortale perse- ti in palazzo stanno a sentire il cantore, / se-
guitato da Zeus. E nel senso di magna fames duti in fila; vicino son tavole piene / di panee
la intesero anche i commentatori antichi (cfr. di carni, e vino al cratere attingendo, / il cop-
p. Scholia A ad //., I.e.): in realtà, come ha piere lo porta e lo versa nei calici: / questa in
messo ben in evidenza L. J. D. R1cHAllDSON, cuore mi sembra la cosa più bella» (Od., 9, 5-
Mycenaean Boubrostis?, "8.1.C.S.", 8, 11, trad. it. di R. Calzecchi Onesti). Per il ri-
1961, pp. 15-22 (dello stesso A. sul medesimo tuale simposiaco greco cfr. M. VETTA, Poesia
argomento v. anche The origin of the pref IX e simposio nella Grecia antica. Guida storica
BOU-in Comedy, "Hermathena", 95, 1961, e critica, Roma-Bari, Laterz:a, 1983: in part.
pp. 53-66), il significato originario doveva es- cfr. saggi di M. VETTA Poesia simposiale nella
sere quello di «mangiare in modo sproporzio- Greciaarcaicae classica, pp. XIII-LX, e di K.
nato» dove il prefisso bou- doveva essere un 81ELOHJ..AWES:, Precettistica conviviale e sim-
maggiorativo. Richardson avanza l'ipotesi posio/e nei poeti greci (da Omero fino alla sil-
che già l'impiego aedico del termine avesse loge teognidea e a Crizia), pp. 95-131, 14648
perso di vista il significato iniziale del termi- (Gastmahls-und $ymposionskhren bei grie-

112 ----------------------------
---------------------------- LUCIO BERTELLI

cJùac/tenDiclttm,. (Yon HofMT bis t:.11r Theo- Pandora (Opere, 96 sg.).


gnissammhlng und Kritias), "Wiener Stu- 37) Ath. Poi., XI, 7.
dien", 58, 1940,pp. 11-30. 38) Questa doveva essere la diffusa richiesta del
24) Il., 24, 531 s. demos nella crisi del VI secolo per quanto si
25) K. POLANYI, La sussistenz.adell'uomo, trad. può dedurre dalla testimonianza diretta di So-
it. Torino, 1983, p. 194. lone: «A mc non piace compiere qualcosa con
26) /bia. la violenza di un tiranno né che nobili e plebei
27) Cfr. T. Pmu.ms HoWB, art. cit., pp. 55 sgg. avessero egual parte (isomoiria) sulla fertile
28) Sul complesso mitico che ha come prota,oni- terra patria» (fr. 23, 19-21, Dichl). Cfr. A.u-
sti il titano Prometeo e la "prima donna" STOTBLB,Ath. Poi., Xl, 2 («il popolo pensava
Pandora esiste ormai un florido fùone erme- che Solone avrebbe fatto una ridistribuzione,
neutico, che non oessadi rinnovarsi: oltre ai anadasta, di tutti i beni».
contributi classici raccolti da E. Hmnca, He- 39) Per questa interpretazione cfr. LANZA-VBOET-
siod. "W.d.F" 44, Dannstadt, 1966, pp. 327 n, art. cit., p. 14.
sgg., non si possono dimenticare le nuove ten- 40) Cfr. la descrizione del simposio di SBNoPANB,
denze interpretative rappresentate soprattutto Elegie, fr. I Diehl.
dai contributi di J.-P. VBJlNANT (cfr. in part. 41) Per una caratterizzazione generale della poe-
Il mito di Prometeo in Esiodo, in: Mito e so- sia aiambica di lpponatte cfr. in part. E. DE-
cietà ne/l'antial Grecia, trad. it., Torino, GANI, Note sulla fortuna di Archiloco e di Ip-
1981, pp. 173-191; Alla tavola degli uomini: ponatte in epoca ellenistica, "Quaderni Urbi-
mito difondaiione del sacrificio in Esiodo, in nati di Cultura Classica", XI, 1973, pp. 79-
l>BnBNNB- VBJlNANT, La cucina del sacrif,cio, 104.
cit., pp. 27-89, 206-216); su questa linea cfr. 42) V. la lista delle funzioni politiche retribuite -
recentemente anche GBNEVIÌIVBHoFPMANN, i «cittadini nutriti con i fondi comuni della
Plllldora, la jarre et l'espoir, Quaderni di Sto- città» - in ARISTOTl!LE, Ath. Poi., XXIV, 3.
ria 24, 1986, pp. 55-89. A proposito dell'in- 43) Supplici, 195 sa: cfr. gli cl<>si del progresso
terpretazione vernantiana sono utili le preci- in Escim.o, Prometeo, 436 sgg.; SoPOCLB,
sazioni polemiche di F. FBB.IWU,Prometeo, Antigone 334 sgg .. Nella cultura filosofica del
Esiodo e la "lectun! du mythe" di Jean-Pierre V secolo è una tematica molto diffusa, come
Yernant, Quaderni di Storia 7, 1978, pp. 137- attestano Anassagora (fr. 21b Dicls-Kranz),
45. Cfr. inoltre P. Pucc1, Il mito di PQlldora Democrito (fr. 5 Dicls-Kranz), Prota,ora (in
in Esiodo, in Il Mito Greco, a curadi B. Gen- PI.A.TONB, Protagora, 320c ss.), Crizia (fr. 2S
tili e G. Paioni, Roma 1977, pp. 207-229. Diels-Kranz). Sul problema cfr. W. U:u.uu.-
29) Teogonia, S35-S51. Gyllenband, Griechische Kultur-Entstehung-
30) Per questa definizione cfr. K. Knmm, Eplle- slehren, Berlin, 1924.
gomma, in P. RADIN-C. G. JUNo-K. Kl!uN- 44) Cfr. lPPOCR.ATE, Antica Medicina, lii.
YI, Il Briccone Divino, trad. it., Milano, 1979, 45) Per la cronologia e l'analisi complessiva di
p. 216. questi frammenti di commedie v. in part. H.
31) Teogonia, 591-602. C. BALDaY,The ldler's Paradise in Attic Co-
32) Opere, 42-46: «Gli dei tengono nascoato il ci- medy, "Greecc & Rome", XXII, 1953, pp.
bo qli uomini: infatti sarebbe facile anchese 49-60.
tu lavorassi un solo giorno avere di che vivere 46) Nei frr. 14-15 Edmonds dei Theria ("Le be-
per un anno, anche standotene in ozio: subito stie") Cratete immaginavauna situazione in
sopra il focolare potresti appendereil timone cui gli schiavi domestici non esistessero più in
e alla malora il lavoro dei buoi e delle mule quanto sostituiti da stoviglie e suppellettili se-
avvezze alle fatiche». moventi (hodoiporounta) e da cibi che si cuo-
33) La terra che offre spontaneamente (automate) cevano e si servivano da soli in tavola: la "ri-
i suoi frutti qli uomini è <'-biamata aroura, voluzione" tecnologica maggiore avveniva
cioè «terra arata», con una contraddizione tuttavia nel bagno, dove non solo arrivava au-
solo apparente: infatti l'espressione zeidoro.s tomaticamente l'acqua calda, ma questa si
aroura è un nesso formulare esiodeo per desi- versava spontaneamente nella vasca. Per l'in-
gnare la terra ferace di frutti, sia essa lavorata terpretazione di questo strano sogno "avveni-
omcno(cfr. Opere, 173,237). ristico" cfr. M. G. BoNANNO, Studi SII Crate-
34) POLANYI,op. cii., p. 197. tecomico, Padova, 1972, pp. 8S sgg.
35) La «Buona Contesa» (agathe Eris) di cui 47) Tl!LBcUDB, A,if,zioni, fr. I Edmonds: oltre ai
Esiodo parla in Opere, 17 sgg., quella che in- soliti beni della pace e della mancanz.a di ma-
cita al lavoro e al guadagno. lattie, «tutte le cose neoessarie erano sponta-
36) Cosi si può intendere la Elpis che resta chiusa nee»; e segue l'elenco dei consueti ingredienti
nel vaso dopo che questo è stato aperto da del Paese di Cuccagna: fiumi di vino, pani e

-113
HOMO EDENS ------------------------------

focacce che facevano a gara per essere in- attestatada Empedocle(31B141Diels-Kranz)


ghiottiti, pesci già cotti che si presentano sulle e nei precetti pitagorici (cfr. Diogene Laerzio,
tavole, fiumi di brodo e di intingoli scorrenti VIII, 34 = 58C3 Diels-Kranz):kyamon àpo
lungo i letti della sala da pranzo ecc. ecc., per cheiras echesthai.
concludere che «a quei tempi gli uomini erano 59) uges,VI, 782.c-d. Per l'orphikosbioscui al-
grassi e gran pezzi di giganti». lude il testo platonico cfr. W. K. C. GUTBJI.IB,
48) Cfr. CUTINo, Plutoi, fr. 162A Edmonds. Orpheus and Greek Religion, London, 1952
49) Cfr. Opere e i giorni, 121-126. (Il ed.), pp. 194 sgg. Anche Aristofane nella
SO) Tale doveva apparire, p. e., il mondo dei Sel- piccola "enciclopedia poetica" di Rane, 1030
vaggi di Ferecrate, nel quale non esistevano sgg., attribuiva ad Orfeo l'invenzione dei riti
schiavi, ma i lavori domestici erano compiuti iniziatici e la nonna dell'astensione dalle ucci-
dalle donne e il cibo era costituito da ghiande sioni di animali. Cfr. D. DBLCoRNo (a cura),
e frutti selvatici (cfr. frr. 10, I0A Edmonds), Aristofane. Le Rane, Vicenza, 1985 p. 219.
o la «vita ai tempi di Crono» degli Arif,zioni 60) Sull'alle/ophagia cfr. (Orfeo) fr. 292 Kern,
di Teleclide, di cui sopra. cit. da SBSro EMPuuco, Adv. mathem.11, 31.
51) Cfr. i Persiani di Ferecrate, dove un perso- 61) Il comandamento orfico dell'astensione dalle
naggio opponeva alla dura fatica dei campi, carni trova fondamento nella dottrina della
necessaria ai Greci per avere di che vivere, trasmigrazione delle anime: infatti il consumo
l'abbondanza spontanea della sua terra, bene- di carne equivaleva a un atto di cannibalismo,
detta dai soliti ruscelli di brodetto, focacce in quanto nel corpo dell'animale poteva esse-
desiderose soltanto di essere mangiate, piogge re trasmigrata l'anima di qualcuno. Cfr. Gu-
di vino, alberi carichi di arrosti e altre leccor- TBJUE, op. cit., p. 196. Il tabù della carne era
nie (fr. 130 Edmonds). rafforzato a livello teologico con la storia del-
52) Cfr. MliTAOENB, Thuriopersai, rr. 6 Ed- l'uccisione di Dioniso da parte dei Titani, i
monds. quali non si erano accontentati di farlo a bra-
53) Cfr. fr. 108 Edmonds: la commedia secondo ni, ma ne avevano anche mangiato le carni
Edmonds dovette essere scritta tra il 431 e il crude; gli uomini, in quanto composti in parte
415. dall'elemento titanico, devono attraverso le
54) Cosi almeno interpreta EDMONDS,The Frag- pratiche rituali riscattare questa loro colpa
ments o/ Attic Comedy, Leiden, 1957, voi. 1, originaria. Cfr. (Orfeo) fr. 232 Kem e Gu-
pp.246s. TBJUE, op. cii., pp. 82 sgg; inoltre M. DlmBN-
55) Per gli interessi minerari di Nlcia, grande ap- Nl!, Dioniso e la pantera profumata, trad. it.,
paltatore di schiavi per le miniere del Lau- Roma-Bari, 1987 (lii ed.), in part. pp. 123
rion, cfr. SBNOPONTB, Entrate, IV, 14-15 (do- sgg.
ve è associato al nome di lpponico, altro illu- 62) Cfr. 31 B 130 D.-K.: «Ed erano tutti mansueti
stre rappresentante di una famiglia anch'essa e benigni nei confronti degli uomini, fiere ed
arricchitasi con lo sfruttamento delle miniere, uccelli, e la benevolenza brillava». (trad. it. di
quella dei Callia di Alopece) e PtUTAllCO, Ni- G. Giannantoni).
cia, IV. 63) Cfr. B 128D-K.
56) Fr. 108, 1-2 Edmonds. 64) Opere, 41.
57) Non vedo la necessità di pensare con l'ED- 65) Su queste pratiche alimentari e sacrificali cfr.
MONDS, op. cit., p. 247, che a fare la descrizio- in part. M. l>BTIBNNl!, I giardini d'Adone,
ne di questo Paese di Bengodi sotterraneo sia trad. it., Torino, 1975, pp. 47 sgg.
Persefone. L'esistenza di bettole nell'area mi- 66) La fonte dello strano cibo di Epimenide è
neraria del Laurion per il vettovagliamento PtUTAllCO, Convito dei sette sapienti, 157 D.
degli schiavi è supposta da S. LAUPFBll,Die Il verso citato sarebbe l'inizio dell'opera di
Bergwerkssklaven von Laureion, "Abh. d. Epimenide - Teogonia o Oracoli crete.si-,
Ak. d. Wiss. u. Lit.", Mainz, 12, 1955, p. 60. citato da S. PAOLO,ad Titum, I, 12 (cfr. 3 B 1
58) Bestie, fr. 17 Edmonds: il consiglio che gli Diels-Kranz).
animali davano agli uomini di nutrirsi di ver- 67) Cfr. PLATONl!,Timeo, 73a ("insaziabilevora-
dure e di pesci, ma di «tener lontane le mani cità").
da loro» (hemon àpo cheiras echestha1), non 68) Si veda soprattutto l'elogio dell'arteculinaria
soltanto appare come un evidente richiamo come generatricedi progresso nei Samotraci
alle dottrine pitagoriche dell'astensione dalle del comico Atenione (lii sec. a.C.) in ED-
carni, ma nel tipo di espressione impiegata MONDS, op. cit., IIIA, p. 252, fr. 1, e il com-
suona - come ha giustamente osservato Bo- mento di H. Do1111,Magelros. Die Rolle des
NANNO,op. cit., p. 100- come un «calco pa- Kochs in der gri«hisch-romischen Komodie,
rodico» della famosa interdizione delle fave, Miinchen, 1964, pp. 169 sgg.

114 ------------------------------
TERZA SESSIONE

PER UNA GEOGRAFIA


ALIMENTARE
Presidente:
Bernf ried Schlerath
CIBO DEGLI DEI E CIBO DEGLI UOMINI
NELLA TRADIZIONE VEDICA

di Bernf ried Schlerath

Vorrei gettare qui uno sguardo sulla cultura del mangiare e del bere, quale risulta
dai più antichi testi indiani, ossia quelli vedici. Come in molte altre letterature, an-
che in quella vedica accade che proprio ciò che vogliamo sapere non si trova nei te-
sti.
Gli autori hanno costruito per mezzo della lingua un mondo proprio, ma que-
sto mondo ci è estraneo. Esso si trova in rapporti di reciproco influsso con strutture
sociali che noi conosciamo soltanto imprecisamente, - e queste strutture sociali
poggiano su una base economica che noi solo a fatica intravvediamo attraverso la ri-
cerca scientifica. La base socio-economica determina naturalmente l'ideologia, ma
si tratta di un influsso generico. Più importante è l'altro aspetto dei rapporti: lo spi-
rito umano interpreta il mondo circostante in modo sempre diverso. Quest'interpre-
tazione prende forma in una struttura, si coagula in un organismo. Grazie all'azione
dello spirito, il mondo esteriore si trasforma in un fenomeno di cultura. Quest'azio-
ne si rivela nel linguaggio.
Lo spirito umano ha oltre a ciò la forza di trasformare le condizioni materiali
secondo le sue idee. La curiosità umana (e quindi la curiosità del ricercatore) ab-
braccia molte cose, che i testi non offrono spontaneamente, cosi che urge una lettu-
ra della storia, per cosi dire "contropelo". Sul significato del sacrificio come ban-
chetto stilizzato sappiamo relativamente molto, ma molti sono anche i particolari
che ci sfuggono.

Lefond
Il Veda si compone di diversi generi letterari. Lo strato più antico è il Rigveda, una
collezione di più che mille inni, che si recitavano (naturalmente non tutti insieme!)
nel corso del sacrificio. In questi inni i poeti esaltano le gesta degli dei e glorificano
le loro qualità. Nella successiva collezione di canti, I' Atharvaveda, troviamo un ar-
gomento nuovo rispetto al Rigveda, ossia gli inni magici.
Quanto all'alimentazione il Rigveda e I' Atharvaveda offrono pochi dati con-
creti. All'età del Rigveda e dell' Atharvaveda, segue nella letteratura vedica quella
dei Brahmana, testi dedicati quasi esclusivamente alla spiegazione filosofica dei sa-
crifici. I Brahmana costituiscono assieme ai Sutra Oo strato più recente)- manuali
per i sacrifici - la fonte principale per l'impiego dei cibi nel sacrificio vedico.
Apparentemente i Sutra descrivono i sacrifici con ogni cura fin nei minimi par-

- 117
HOMO EDENS--------------------------

ticolari: per esempio in quale direzione un sacerdote debba andare e quanti passi
debba fare, in quale posizione debba tenere le mani, come e quali strumenti del sa-
crificio debba prendere, e persino che cosa debba pensare in un determinato mo-
mento.
Ma se si vuole realizzare un sacrificio vedico - cosa che fu tentata come rico-
struzione erudita per esempio una volta in Poona - si constata che molti dettagli ci
mancano. Perciò è molto importante la scoperta di una tradizione sacrificale inin-
terrotta fatta in India meridionale da F. Staal e pubblicata con tutta la documenta-
zione nel 1983. Ma anche in questo fortunato caso, manca per esempio una descri-
zione del modo di preparare una torta sacrificale.

Le originiindoeuropee
La ricerca delle origini indoeuropee del sacrificio vedico e per questa via anche del-
1'origine del banchetto solenne, è un obiettivo affascinante. Naturalmente, non pos-
siamo ricostruire gli elementi della civiltà indoeuropea nella stessa maniera con cui
ricostruiamo gli elementi della grammatica indoeuropea. Ma è possibile comparare
le forme del sacrificio come esse si vedono in parecchi popoli indoeuropei e porre in
rilievo l'essenza comune. Nella maggior parte dei casi tali ipotesi non godono delle
garanzie che dà l'etimologia.
Sebbene non sia possibile definire il significato esatto di una parola ricostruita,
ciononostante è necessario fare tutti i tentativi per trovare un appoggio etimologico
a un pattern culturale che riteniamo di origine indoeuropea.
Per il banchetto sacrificale abbiamo soltanto l'indoeuropeo • dap-, • dapno-
(gr. 3cxMYJJ "spese", lat. daps, a. isl. tafn "sacrificio d'un animale, sacrificale", ar-
men. tawn "festa"). Del significato di dap- si è occupato G. Benveniste. Egli giunge
alla conclusione che • dap- significhi «banchetto che aveva luogo dopo un sacrifi-
cio». Quindi non il sacrificio in sé, ma un'azione collegata a una festa. Benveniste
colloca • dap- fra le feste che gli etnologi chiamano potlatch, nelle quali si elargiva
cibo a prof usio ne a una gran quantità di gente, allo scopo di scremare il sovrabbon-
dante e con ciò raggiungere una relativa uguaglianza degli uomini a livello sociale.
Per diversi motivi io ritengo che il grande studioso francese in questo caso abbia
torto.
Noi sappiamo dalle ricerche di W. B. Leist e di P. Thieme che cosa veramente
fosse il sacrificio tra i popoli indoeuropei. All'origine il sacrificio non è altro che un
banchetto. A tale banchetto sono invitati gli dei, proprio come si invitano gli ospiti
terreni. Gli dei si accostano al fuoco e si siedono al posto che viene loro offerto. Du-
rante il pranzo si offrono cibi e bevande e aedi cantano le imprese degli dei e degli
eroi.
In generale l'ospitalità ha avuto un grande significato nella vita sociale. In via
di principio non esiste differenza fra sacrificio e banchetto. Il banchetto e il sacrifi-
cio sono sullo stesso piano nell'ideologia e nella pratica quotidiana. La solennità del
sacrificio rispecchia l'importanza dell'ospitalità. L'ospitalità raffinata e quasi ritua-
lizzata, che è generalmente un tratto caratteristico del feudalesimo, dobbiamo sup-
porre sia esistita nell'età indoeuropea.
Il centro della casa è costituito dal fuoco e dall'acqua. Questi due elementi fon-
dano la comunione della casa: aquae et ignis communio, come si sarebbe detto più
tardi a Roma. Senza fuoco e senza acqua una casa non può esistere, perché mancan-
do loro non sarebbe possibile sacrificare, cioè preparare i cibi per gli dei e per gli

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---------------------- BBRNFlllED SCHLERATH

ospiti terreni. Con il pranzo si onorano in primo luogo gli dei, che vengono cosi in-
corporati nella società feudale e nella famiglia; quindi si onorano gli antenati defun-
ti; seguono gli ospiti, i membri della famiglia, e infine il padre e la madre, che man-
giano i resti del banchetto.

India:vegetarianismo,non-violenzae adorazionedei bovini


Prima di dare uno sguardo generale ai cibi impiegati nel sacrificio vedico, vorrei esa-
minare un fenomeno tipico dell'India, che ha attirato l'attenzione di tutti coloro che
si sono occupati di questo paese, voglio dire il vegetarianismo, la non-violenza e l'a-
dorazione della vacca (o per meglio dire di tutti i bovini). Tre studiosi hanno esami-
nato questo triplice fenomeno: L. Alsdorf (1961), Hanns-Peter Schmidt (1968) e A.
Wezler (1978). Do un rapido quadro dei risultati cui essi sono giunti.
Gli Indù e anche i Buddhisti sono vegetariani. Il vegetarianismo è praticato nel
modo più coerente dai seguaci del giainismo, che con grande consequenzialità ri-
spettano persino i parassiti.
Nei particolari la situazione è però molto differenziata; le prescrizioni si artico-
lano soprattutto per caste. Gli esperti presumono che solo meno della metà degli In-
dù siano effettivamente vegetariani.
Naturalmente il mancato consumo di carne, pesce e in molti casi anche di uova,
riveste una notevole importanza economica. Ciò vale anche per il comandamento
che proibisce di uccidere i bovini, cosa che ha come conseguenza la realtà di innume-
revoli bestie denutrite e malate che senza ragione popolano il paese. Si è calcolato
che se si riuscisse a ridurre alla metà il numero dei bovini in India (la terra più ricca
di bovini in tutto il mondo), basterebbe ciò a eliminare la cronica denutrizione di
questa popolazione.
Chiunque conosce i testi, sa bene che vegetarianismo e rispetto dei bovini in In-
dia non sono fenomeni antichissimi. Ci sono numerosi passi dai quali risulta che nel-
l'età vedica si è mangiato carne, che si sono fatti arrosti di manzo, e che anche nel
buddhismo e nel giainismo all'origine mangiar carne era cosa del tutto normale.
Ben nota è la prescrizione che a un monaco buddhista è consentito mangiar car-
ne e pesce, ma a tre condizioni: che egli non abbia visto uccidere la bestia per lui, che
non gli sia stato detto e che non ne abbia alcun sospetto. Che molte volte si uccides-
sero animali esclusivamente per l'ospite, lo sappiamo da fonti vediche, nelle quali
l'ospite è chiamato apertamente goghna-, uccisore di bovini. Ossia: uno non poteva
eludere il costume di uccidere un bovino per l'ospite, anche quando in situazione
normale non l'avrebbe fatto o non ne avrebbe avuto assolutamente voglia.
Lo sviluppo del vegetarianismo in India si può ricostruire molto bene dal codice
di Manu. Nello strato più antico di questo testo è consentito mangiare animali puri;
in un secondo strato si proibisce l'uso della carne nella vita quotidiana ma esiste l'as-
soluta prescrizione di uccidere gli animali nel sacrificio: e quindi è ovvio che nello
svolgimento del sacrificio si sia mangiato carne; infine s'incontra un terzo strato te-
stuale che prescrive un vegetarianismo rigoroso e che implicitamente prende posizio-
ne contro il sacrificio vedico.
Negli scritti più antichi si trovano liste di animali impuri, che non è consentito
mangiare. Queste liste variano fortemente nei particolari. L'esempio più importante
di una prescrizione alimentare è costituito da un versetto che consente di mangiare
cinque animali a cinque unghie: riccio, istrice, lepre, tartaruga e lucertola. Se ne de-
duce che è proibito mangiare tutti gli altri animali a cinque dita, uomo compreso. H.

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HOMO EDENS---------------------------

Liiders ha ricercato questa prescrizione in tutta la letteratura giuridica, nell'epica e


nel canone buddhistico in lingua pali.
Si dànno anche prescrizioni su singoli vegetali che non è consentito mangiare,
per esempio aglio, cipolla e funghi. Alsdorf riteneva che il vegetarianismo e la vene-
razione dei bovini fossero un'eredità dello strato preariano, e che la proibizione di
mangiar carne, normale nelle protopopolazioni, sia nel corso dei secoli lentamente
penetrata e si sia imposta fra gli indoeuropei. Ma noi abbiamo prove certe che nella
civiltà non i.e. dell'Indo (Mohenjo Daro) era del tutto normale mangiar carne. Si
può aggiungere che ancor oggi presso le tribù non-indo-ariane del subcontinente
non c'è traccia di vegetarianismo.
Al contrario i sacrifici estremamente sanguinosi per Kali e Durga risalgono al
substrato. I Giaina vanno ancora oltre: non è loro permesso distruggere neppure le
piante (ma naturalmente possono mangiare verdura e frutta raccolte da altri). Il loro
rapporto con gli elementi terra, fuoco, acqua e aria è molto limitato. Non è loro per-
messo di battere o scaldare l'acqua, né di avere contatti col fuoco, né di adoperare
ventagli, perché in tal modo potrebbero ferire le anime dell'acqua, del fuoco e del-
l'aria.
H.-P. Schmidt ha mostrato con tutta chiarezza che questo rigoroso animismo
dei Giaina non è uno sviluppo tardo, ma ha le sue radici nell'età dei Brahmana. In
questi testi l'espressione «sacrificare un animale» è tabù e viene sostituita da un'al-
tra, cioè «prendere l'animale»; invece di uccidere si dice «far si che l'animale sia
d'accordo», e l'uccisore diventa il «mitigatore». L'animismo rigoroso s'esprime
specialmente nell'idea di un mondo alla rovescia. Ogni uomo patisce nell'aldilà la
stessa sorte che ha procurato ad altri in questo mondo.
Cosi nell'altro mondo gli alberi segano gli uomini e le piante li mangiano. Per
evitare simili conseguenze quando si taglia un albero per farne un palo sacrificale, si
usa mettere fra la scure e il tronco un filo d'erba, in modo che la violenza non colpi-
sca direttamente l'albero. Nei due stadi della vita, quello dell'iniziazione al Veda e
quello della fuga dal mondo, l'uomo è obbligato all'assoluta non-violenza: non può
accendere il fuoco, e conseguentemente non può fare alcun sacrificio. I doveri dell'i-
niziato vengono identificati con le azioni rituali del sacrificio. Il respiro dell'eremita
viene identificato col fuoco del sacrificio e cosi egli mangiando compie automatica-
mente un sacrificio.
Dalle ricerche di Schmidt risulta chiaro che si deve immaginare uno sviluppo,
per cui il vegetarianismo è all'inizio solo un comandamento per i due suddetti stadi
di vita (iniziazione e fuga dal mondo); poi, in un secondo momento, si estende a tut-
ti i brahmani, e poi quindi a tutti gli uomini, cioè a tutti gli Indù. Il vegetarianismo
dei Buddhisti e dei Giaina è una parte di questo grande sviluppo.
Quindi il rigoroso comportamento dei Giaina, che includono entro il comanda-
mento della non-violenza anche le piante e gli elementi, non è un'estensione secon-
daria del vegetarianismo bensi la conservazione conseguente a una visione animisti-
ca del mondo. Al contrario, il vegetarianismo degli Indù è una poco coerente devia-
zione determinata da ragioni pratiche.
La venerazione dei bovini non è da vedersi nel contesto del vegetarianismo ma
ha un'origine diversa. In questo contesto occorre rinviare all'appassionato rifiuto
fatto da Zarathustra del sacrificio sanguinoso e crudele dei bovini. È assai probabile
che Zarathustra non abbia rifiutato del tutto il sacrificio dei bovini, ma che abbia
sostenuto solo un altro tipo di uccisione, verosimilmente senza versamento di san-

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gue, cosi come si sacrifica in India. In ogni modo l'origine della venerazione dei bo-
vini resta oscura.

Le offerte sacrificali
a) Burro La civiltà dell'India vedica è contrassegnata dall'allevamento dei bovini.
Per poter dire di aver realizzato una vita perfetta occorre aver posseduto mille bovi-
ni, raggiunto l'età di cento anni e messo al mondo dieci figli. La reputazione di un
uomo dipende dal numero dei bovini che possiede. Il possesso di bovini presuppone
anche la disponibilità di un ampio spazio, nel quale le vacche possano pascolare in-
disturbate.
L'importanza economica dei bovini è rispecchiata nella poesia vedica, e - pos-
siamo aggiungere - in quella indoiranica. All'importanza economica dei bovini
corrisponde l'importanza dei latticini nel sacrificio. Al primo posto sta il ghee, qual-
cosa come il burro fuso. Ogni indiano vedico deve più volte al giorno versare ghee
nel fuoco come cibo per gli dei. Il fuoco, Agni, coincide per l'occasione col sacerdo-
te stesso, e, personificato nel dio Agni, porta agli dei le offerte votive versate nel
fuoco.

b) Latte Le menzioni più frequenti del latte si incontrano nel contesto di una meto-
nimia di vasto uso, laddove spesso non si capisce bene dove finisca la metafora poe-
tica e dove cominci l'identificazione ancorata all'ideologia. Cosi il latte e l'acqua
erogatrice di vita sono posti sullo stesso piano. Il latte si trova anche nella pianta e
quindi si identifica con la linfa. Anche con la linfa della pianta Soma che si spreme
nel rito. Anche la pioggia viene identificata col latte.
In principio gli dei posero il latte nella mucca, affinché gli nomini se ne potesse-
ro servire come alimento. Il poeta vedico è rimasto particolarmente affascinato dal-
l'idea che il latte si può immediatamente gustare, mentre la mucca è 'cruda', e si può
mangiare solo dopo che sia stata arrostita. Parole del poeta: "Voi dei, avete posto il
cotto (vuol dire il latte) dentro il crudo" (che sarebbe la mucca). Più tardi si è posto
l'accento sul fatto che gli dei hanno messo il bianco latte dentro la mucca nera, rossa
o a più colori.
Vorrei ora passare a un rito col latte - il pravargya - che è ricordato più volte
nel R V e che poi è descritto minutamente nei Sutra. In primo luogo si descrive atten-
tamente la fabbricazione rituale dei vasi di argilla necessari al sacrificio. Quindi i va-
si vengono posti su un fuoco di legna e carbone fino a farli diventare rossi e a questo
punto si versa dentro burro liquido. Si aggiunge poi latte di mucca e di capra.
Quando questo latte bolle, viene offerto agli Asvin, che sono i Di6scuri vedici.
Quindi si versa ancora una volta nei vasi latte freddo e lo si fa nuovamente bollire.
Quando il latte va fuori dal vaso, in quel momento il sacerdote pronuncia la formu-
la: «Trabocca in abbondanza per la linfa, trabocca per la forza, per la casta dei sa-
cerdoti, per i guerrieri, per l'acqua, per le erbe, per gli alberi, per la terra e il cielo,
per il benessere, per il buon nome dei sacerdoti, per il promotore del sacrificio, tra-
bocca per me, si che io possa diventare il primo, trabocca».
Si può dedurre che anche in ambito profano si sia bevuto latte bollito. Come si
può ricavare da un passo del RV, esisteva l'idea che il latte, che secondo l'immagina-
zione vedica era già "cotto" (cioè potabile) dentro la mammella della mucca, sul
fuoco subisse una seconda cottura, e che fosse proprio questa doppia cottura insie-
me con l'alta temperatura della bollitura a dargli una efficacia particolare. Un'im-

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HOMO EDENS---------------------------

portanza minore aveva nel sacrificio il dadhi, che è una specie di ricotta.
Un ruolo particolare gioca anche il latte come additivo nella bevanda che si ri-
cava dal soma. Quello del soma era il sacrificio più grande e più solenne. Questa
pianta, botanicamente non identificata, veniva spremuta ~ liberata dei resti delle fi-
bre attraverso un filtro. Ne veniva fuori un succo concentrato dal sapore molto for-
te, che si poteva bere solo se allungato con acqua. Tuttavia, anche cosi il sapore re-
stava troppo forte e aspro, e perciò in alcune cerimonie veniva mescolato con latte.
Questo uso era già indoiranico.

e) Cereali In numerosi sacrifici si spargono anche chicchi, soprattutto di riso e d'or-


zo. L'orzo è specialmente sacro al dio Varuna. Durante il sacrificio spesso veniva
macinato grano e con la farina che ne risultava si facevano torte, verosimilmente fo-
cacce, che poi venivano offerte alla divinità su piatti. Nel rito questa torta spesso ve-
niva sbriciolata, per es. nell'offerta alla dea Anumati, che è la personificazione della
Grazia, mentre la sua antagonista, la dea Nirrti, cioè la personificazione della sven-
tura, la riceveva intera. Gli gnocchi di farina e burro erano riservati ai Mani. Già nel
RVè nota l'offerta sacrificale di un piatto di riso cotto nel latte.

d) Carne In molti testi si descrive accuratamente l'uccisione della bestia sacrificale.


Un ruolo importante giocava il palo sacrificale, al quale l'animale era legato. L'uc-
cisione avveniva per strozzamento con una corda o per soffocamento con un panno.
Quindi l'animale veniva sdraiato sul fianco destro, gli si apriva il ventre all'altezza
dell'ombelico, se ne estraeva l'omento (la rete), e lo si arrostiva come offerta agli
dei. Dopodiché la bestia veniva tagliata a pezzi. Delle interiora si utilizzava solo il
cuore, per arrostirlo allo spiedo. Viene menzionata carne di bovini, di capre, ma mai
di maiale.

Per concludere questo quadro necessariamente frammentario, io credo che lo svi-


luppo della civiltà alimentare in India, dall'età vedica fino al moderno induismo,
mostri chiaramente che una cultura non dipende soltanto dai rapporti economici e
sociali. Nei particolari - e i particolari contano - la cultura non è determinata dal-
le condizioni esterne; essa offre invece uno spazio libero all'ingegno umano, che mi-
ra a conoscere il mondo e a rappresentarlo secondo le sue idee.

BIBLIOGRAFIA

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dcr Akad. dcr Wisscnscbaften und dcr Litcratur in Mainz", Jabrgang 1961, n. 6.
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teratur in Mainz", Jahrgang 1978, n. S.

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QUESTIONI DI GUSTO NELLE LINGUE:
NOTE PRELIMINARI *

di Franco Crevatin

Sottopongo all'attenzione dei colleghi alcune riflessioni, basate su un discreto cam-


pionamento di lingue prevalentemente africane, relative alla categorizzazione dei sa-
pori. L'argomento non è stato molto studiato, probabilmente perché, a prima vista,
i dati sembrano spesso ripetitivi: nel campo delle lingue naturali, inoltre, quando es-
se abbiano come correlato culture alimentari di poco eccedenti il livello di sussisten-
za, le terminologie del gusto non sono né numerose né varie. Ragioni di interesse, a
mio avviso, peraltro non mancano. Prima di affrontare il tema, ricorderò - anche
se è cosa a tutti nota - che la degustazione avviene tramite chemocettori, ripartiti in
zone diverse della lingua, sensibili ai quattro gusti fondamentali, cioè dolce, amaro,
acido e salato; inoltre il sapore (o i sapori) del cibo viene fondamentalmente arric-
chito e precisato dalla percezione olfattiva.

1. Tratterò innanzi tutto il caso dell'egiziano antico (incluso il copto): avanzata tec-
nologicamente e fortemente stratificata nell'assetto sociale, la cultura egiziana mo-
stra attenzione per una cucina elaborata sin dall'Antico Impero; ciononpertanto la
terminologia del gusto è molto povera, anche ammettendo lacune nella documenta-
zione. Come agg. e v. ndm indica la piacevolezza soprattutto della percezione di gu-
sto e olfatto: cibi, bevande, fiori, profumi, legni aromatici.
Già dal medio egiziano, peraltro, ndm sembra estendere il suo àmbito d'uso a
una piacevolezza sensoriale che supera gusto e olfatto: l'aria, l'acqua sono 'piacevo-
li', il canto, le disposizioni d'animo, ma l'uso è coerente con la semantica di derivati
molto antichi come ndmm.t ''piacere sessuale'' (Testi delle Piramidi).
L'agg. bnr (o, forse meglio, bnJ) indica invece specificamente il gusto "dolce",
ed è inapplicabile ad altre percezioni. Naturalmente, sia ndm che bnj possono essere
usati come traslati, senza peraltro estensioni al giudizio morale ("buono") o alla
gradevolezza visiva.
È l'aggettivo nfr che sin dalle epoche più antiche mostra un'estensione semanti-
ca amplissima: esso qualifica la gradevolezza al gusto, all'olfatto, all'udito (il canto,
ad esempio), alla vista (la bellezza, cioè) ed è usuale come giudizio morale o di valo-
re. Il contrario di bnj è d/:lr, usualmente tradotto come "amaro": «il miele, dolce

• La ricercapubblicata in questo volume è parte di un più ampio lavoro sulla categorizzazione linguisti-
ca delpercettosensoriale.

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HOMO EDENS---------------------------

per gli uomini, è dl;,r per i morti», si sostiene in una formula magica recitata a prote-
zione dei bambini (Mutt. u.Kind C 2, 4).
Per inciso, si rilevi la tipica inversione che l'aldilà rappresenta per alcune cor-
renti di pensiero egiziane: secondo tali scuole, di tradizione molto antica, il defunto
nell'aldilà rischia di trovarsi in posizione rovesciata, di camminare sulla testa, man-
giare escrementi ecc. Oltre all'inversione, che in sé la morte è rispetto alla vita, l'idea
era motivata dalla concezione del cielo notturno come immagine dell'aldilà, pensato
in posizione speculare (e dunque invertita) rispetto al cielo diurno.
Ci sono però attestati casi nei quali - con senso traslato - dl;,r si oppone a
ndm (Ani 8, 7): usualmente però a ndm si oppone (soprattutto per l'odorato) dw,
"sgradevole" (con ampi usi di valutazione morale o fisica), mentre a nfr si oppone
bjn, "cattivo, di poco pregio, inutile, dannoso", prevalentemente usato come giudi-
zio di valore o morale. Non è attestato nell'egiziano storico un aggettivo che valga
"acido" o "salato" (v. però oltre).
La storia di queste designazioni è molto istruttiva; nel tardo neo-egiziano le de-
signazioni antiche sopravvivono solo nella tradizione dotta oppure subiscono, quan-
do si continuano nel parlato, una considerevole ristrutturazione, il cui esito finale è
ben riflesso nel copto: natam ( < ndm) indica ancora la piacevolezza sensoriale (gu-
sto e udito), ma per lo più è legato, come mlfar ( < n/r), al giudizio di valore ("buo-
no, caro, utile"). Tho ( < dl;,r) significa solo "essere moralmente cattivo", come
bl>on( < bjn; "cattivo, malvagio") e cu-akb- (< dw: "il male"). Designazioni speci-
fiche di gusto sono hlok' ( < dem.h/g) "dolce", usato anche come traslato, s'TJe
"amaro" ( < dem.s!Jj, antico s!Jw, nome della bile) e hmoc "essere acido": que-
st'ultima voce è però un prestito neoegiziano del semitico (ebr. J;,ome(l"aceto"; ar.
/;,amai)"essere agro"; neoeg. /;,md"aceto", copto hmc) nel senso specifico di "ace-
to", per cui è probabile che la designazione più genuina sia taf "aspro", amaro,
acido, piccante" < neo-eg.ldem. d3Jldwf "bruciare". L'equivalenza "amaro= a-
cido", molto comune, potrebbe essere addebitata (con continuità di struttura se-
mantica) all'antico dl;,r, usualmente reso con "amaro".

2. La percezione del gusto Baw/é (Costa d'Avorio) obbedisce a un'opposizione fon-


damentale, tra ciò che è gradevole (ffi) e ciò che è sgradevole (ql) al palato: lo "sgra-
devole" è per lo più l"'amaro", senza però che l'equivalenza abbia valore di neces-
sità. Per indicare l'acido o il dolce si ricorre invece agli ideofoni (blsìblsl e mllmli):
di fatto, però, anche l'acido può essere fi a meno che esso non provenga dal deterio-
ramento di un sapore originariamente diverso <,,a"inacidire", ad esempio del vino
di palma); altrettanto gradevole può essere considerato il "salato", quando esso
non sia eccessivo. Tale gradevolezza riguarda però gusto e udito (più raro), non la
vista (kldmd "bello") né l'odorato (kpa "buono"). Ft può essere impiegato per in-
dicare la gradevolezza di una sensazione interiore, mentre kpa è estensibile al giudi-
zio di valore: di più, il giudizio che porta a riconoscere che una cosa è tale da provo-
care una piacevolezza interiore è assimilato al "mangiare/gustare" (d1).
I due casi sopra delineati sembrano sufficienti a circoscrivere i problemi genera-
li; essi sono in sintesi i seguenti: 1) i gusti fondamentali, 2) le sinestesie, 3) le ten-
denze nella strutturazione del campo semantico.
Quanto segue si basa su un ampio spoglio di vocabolari, i quali, naturalmente,
non sono di eguale valore: dunque i miei dati sono largamente incompleti, anche se
significativi. Ho avuto modo di controllare i dati con informatori per le seguenti lin-

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------------------------- FRANCO CREVATIN

gue: bawlé, sara (kaba), bobo, somalo, chi-Miini (swahili, Somalia), wolof, kikuyu,
zigula (Somalia), gw~ (Camerun).

3. Rarissima è la lessicalizz.azione del concetto di salato con un tipo indipendente


dal nome del "sale" (marino, minerale o vegetale): dinka lèi, lai, zande k~td "esser
salato", bobo (Alto Volta) nyàmà "esser troppo salato" [il bobo del Mali non sem-
bra conoscere il tipo; F. C.]. In tutti i casi (cfr. anche .?t,tela bU, ideof. "troppo sa-
lato''), la categorizzazione si riferisce a un sapore ritenuto sgradevolmente intenso,
non semplicemente al gusto "salato": difatti in molte lingue (bambara, bamileke,
g<a>i ecc.) è usuale dire "dolce/saporito come il sale" (es. bambara timi "zucchera-
to/salato"). Nella lingua g<a>i il sale è considerato ridf: ("gustoso, dolce"), ma l'ec-
cesso di sale è llc/;t5,cioè "amaro". L'equivalenza troppo salato=amaro è abba-
stanza comune (somalo, chi-Miini, dogon ecc.): nel tuaregh l'acqua salmastra (ku-
sem) è definita con un derivato dalla radice che vale "amaracido"; in gi "salato" si
dice véjè, letteralmente "amaro di sale", come in molti dialetti italiani. Inoltre in
tutti i casi a me noti la designazione si inserisce in sistemi complessi che distinguono
tra "buono al gusto" e "dolce" e tra "amaro'' e "acido".

4. In linea di massima non pare prevedibile in termini statistici la presenza di ideo-


foni legati al gusto rispetto alla globalità degli ideof oni di una lingua data; parrebbe
peraltro lecito sostenere, almeno come ipotesi di lavoro, che la loro presenza sia
sempre a basso profilo, e ciò sarebbe coerente con la constatazione che il gusto è di
gran lunga meno informativo di altri sensi (vista, udito, tatto) e che esso, al fondo,
si basa su una semplice opposizione "piace": "non piace".
Nel sotho meridionale, su un totale di diverse centinaia, gli ideof oni legati al gusto
sono cinque, tre col senso di "gustoso" (phba, gha, }leketh, [anche "piacevolmente
salato")), e due col senso di "gustosissimo, dolce" (tswé,besebese). Il sistema del
gusto nella lingua logbara, apparentemente complesso, può essere descritto in termi-
ni abbastanza semplici. Il gusto (àdzf; anche "odore") può "essere buono" (alu va-
lido solo per il gusto; non valido per l'odorato, per cui si usa ndri) o cattivo (="non
buono"): ciò che è buono "è gustoso" (aso, cioè ben condito), e può essere "dolce"
(kàlfkàlf; ideof.), "molto gustoso" (otsàklJtsà), o di un piacevole gusto "amaraci-
do" (ndz:iandz:ia), definito allora da alu.
Altri ideof oni contribuiscono a rendere la piacevolezza del gusto (f(àjfà; òsukò-
su,anche "quieto"), e sue gradazioni (òndròkòndrò "abbastanza buono"; per indi-
care "insipido", oltre ad az.avo (che probabilmente significa originariamente debo-
le, difettoso), sono noti altri cinque ideofoni (con varie estensioni semantiche, "ac-
quoso", "debole" ecc.). Per indicare i gusti di "amaro" e "acido", il logbara ricor-
re a due parole che però hanno lo stesso significato dra (anche verbo) e :,kd (v. § 7) e
a due ideofoni (ndz:,andz:,a; w:xlow:xlo: contrariamente al precedente, questo ideo-
fono indica solo l'amaracido sgradevole e l'odore repellente); lo "sgradevole"
(="non buono") è spesso "amaro", à'lsiro (propriamente "disgustoso di sale"; v.
sopra), o "acido", draa1.aro (di cibo o bevanda fermentati).
In linea di massima gli ideof oni indicano la saturazione di un sapore, e dunque
gradi estremi, oppure l'assenza di sapore ("insipido", "mal condito" e sim.), cioè il
grado zero. Il loro interesse non consiste tanto nella loro distribuzione ma, in gene-
rale, nell'integrazione che essi forniscono al campo lessicale e nelle conseguenti in-
formazioni semantiche. La lingua zande fornisce un esempio significativo. La piace-

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HOMO EDENS---------------------------

volezza al gusto può esser resa con due verbi, nzinziri e doroca, di diversa estensione
semantica; il primo indica la percezione di qualunque sensazione piacevole (ad
esempio grattarsi quando prude), il secondo la piacevolezza al gusto, all'udito e al
tatto (''esser morbido" e sim.).
Il gusto dolce è focalizzato da un ideof ono (nzikpinzikp1). Due sono i verbi che
indicano il gusto acido (kiia,·à kundo), accanto a due (o tre) ideofoni, uno dei quali,
(n)yaku(n)yaku, indica sia l'acido che il rancido e l'amaro. Un verbo (nirii) indica il
gusto amaro, con tre ideofoni, dei quali due (ii; hfhìf) indicano il (troppo) salato/a-
maro e uno l'amaracido. Un verbo designa il gusto salato (kvta) e tre ideofoni e un
verbo (kpasira) lo scipito. Gli ideofoni, dunque, mostrano quanto meno distinzione
incerta tra amaro/acido/salato, ed è legittimo ritenere che essi riflettano uno studio
linguistico anteriore (per innere Sprachjorm) a quello riflesso dal sistema semantico
dei verbi.

S. Il concetto di dolce non è un concetto primario, in quanto molte lingue non lo di-
stinguono da quello che si potrebbe definire un gusto piacevolmente marcato: que-
sto, almeno, allo stato attuale delle mie conoscenze. Cito alcuni esempi, nei quali
sembra mancare anche una focalizzazione con ideofoni: gwt lidi: (solo per cibi e be-
vande; anche per il gusto decisamente salato ma piacevole); sogay kan ("esser molto
saporito", con vari usi metaforici; valido anche per l'olfatto); more noma (''esser
gradevole", > nosem "sapore", nogho "saporito" [anche traslato e per l'odore]),
bolboto "buonissimo da mangiare", ndogo liki "gustoso, piacevole''; wolayta mal-
lia "saporito"; mbai mbé "esser buono al gusto" [anche per la vista, "bello"]; san-
go a nzm "ha buon gusto" ecc. Si ricorderà quanto sopra affermato, che cioè in
molte lingue il sale è definito "dolce", ossia molto gustoso.
Sono, naturalmente, molto più numerose ancora le lingue nelle quali la focaliz-
zazione del gusto dolce avviene tramite ideofono.
Si impone un'osservazione di una certa importanza, ossia nelle lingue che pur
non hanno sviluppato una designazione autonoma (e non ideofonica) del concetto
di dolce sono variamente presenti i concetti di "amaracido" (es. ndogo) o, differen-
ziati, di "amaro" e "acido". Nella lingua 'afar, nella quale il dolce non è ben distin-
to del saporito (sa/fa), compare oltre all'acido e all'amaro anche il salato; ma forse
questo dato andrebbe rivisto. Va segnalata inoltre la situazione presente nella lingua
mbaI, nella quale esiste accanto al "saporito, buono" il solo àt:J "cattivo al gusto;
amaro; acido".

6. È opportuno considerare una categoria congiunta "amaracido"; essa è nota in


un discreto numero di lingue: logbara, karimojong [+troppo salato; piccante], ndo-
go, berbero tamazight [ihnarr, gusto amaro, acido, piccante; v. oltre], guro di Zue-
nula nyanS.nS < nyfma "cattivo; malvagio"], dyola, murle, dogon. È ragionevole
supporre che essa preceda la scissione - invero molto comune - tra amaro e acido:
riconosco peraltro che il ragionamento sottostante è desunto dalla tipologia seman-
tica già nota per il campo del colore.
Categorie separate "amaro" e "acido" sono note nella maggioranza delle lin-
gue; in linea di massima si può ammettere che esse sono categorie semantiche prima-
rie, non derivate cioè da altre motivazioni o altri segni linguistici. Indubitabilmente
il concetto di acido è spesso legato etimologicamente al concetto di "fermentare"
(latte, birra, frutta) o "irrancidire", ma ci sono diversi casi nei quali è dato di distin-

126 ----------------------------
------------------------- FRANCO CREVATIN

guere tra l'acido come sapore proprio di uno stato originale (es.: il limone) e quello
derivato da un processo troppo avanzato (fermentazione) o non ancora concluso
(immaturità del frutto: "aspro", "acre").
Citeremo il l)Wi ml>ih "esser acido" ( < fermentazione), distinto da lftii "aci-
do" (naturale; anche aspro, piccante); logbara dradra "esser acido" ( < inacidire) e
":>kd"acido"; zande Kiia "esser acido" (stato) rispetto a kundo "esser (diventato)
acido"; berbero tamazight tb.arr"esser acido" ( +amaro, piccante) rispetto a eh-
D)a8"esser (diventato) acido" (+molto salato); nell'aizi Ji indica il gusto acido (di
un frutto o anche del vino di palma) mentre z:, o sa indica il gusto inacidito (soprat-
tutto del latte). Come si vede la situazione è molto diversa rispetto alle molte termi-
nologie recuperabili per "salato" che però sono semplici derivati dal nome del sale.
Mentre la categoria "amaro" è concordemente giudicata sgradevole, quella
dell'acido può essere ritenuta piacevole, almeno entro certi limiti; ciò è abbastanza
comune come giudizio alimentare, ma ne è molto rara una sua lessicalizzazione: log-
bara ndz;Jandz.,a(v. § 5); l'élé n'ono (vb.) "gradevolmente agro" rispetto a bwéré o
nàmboboro "sgradevolmente agro" (+amaro).

7. Per quanto non sia definibile propriamente un sapore, lo "scipito, insipido" è


noto in pressoché tutte le lingue da me esaminate, ed è espresso anche con ideofoni
collegati esclusivamente al gusto. Segnalo una curiosa concordanza onomasiologica
tra il l'élé tata/ ed il pende lahu che valgono, oltre che insipido, "tiepido", forse
semplicemente una temperatura né calda né fredda, come il gusto né buono né cat-
tivo.

8. Non considero invece in questa breve esposizione il gusto "piccante", poiché es-
so è in realtà una sensazione sostanzialmente tattile, e come tale viene trattata da
moltissime lingue (che brucia, pizzica, punge, scotta e sim.), pur se talora viene inse-
rita nella classe "amaracido".

9. Quanto sin qui detto, comunque in modo sintetico, non esaurisce che gli aspetti
generali del problema. In questo paragrafo noterò qualche particolare: in prima
istanza è chiaro che l'approccio sopra sbozzato parte da un referente oggettivo della
dimensione semantica, ossia i chemocettori della lingua; l'approccio è euristicamen-
te lecito ma semanticamente ambiguo, poiché tiene solo parzialmente conto dell'ar-
bitrarietà del segno. Per fare un esempio, che più oltre sarà ripreso, sinora non si è
tenuto conto della categoria "rancido", e ciò non perché essa non abbia una sua in-
dividualità come percetto, ma semplicemente perché non identifica un gusto fonda-
mentale; naturalmente, un approccio semanticamente corretto deve invece tener
conto anche di designazioni come questa. Per tentare di dare un ordine accettabile
alla tipologia generale sarà inoltre opportuno tenere in considerazione il giudizio dei
parlanti sul percetto, almeno quando esso ci sia noto. Riprendo dunque in conside-
razione il problema da queste prospettive.
Esistono situazioni semantiche estremamente semplici, nelle quali si oppongono
binariamente, senza ulteriori distinzioni, il gradevole allo sgradevole: mbai mbe
"buono/àtà "cattivo, amaro, acido"; nubiano (dongolawi, kenzi) irJgrr-buono!/
naddi- "sgradevole" ("amaro, acre, acido, troppo salato"]; una situazione non dis-
simile sembra esistere, in kikuyu, dove a -ega "buono" si oppone ndoro "sgradevo-
le, amaracido": la radice verbale etimologica "proto-Bantù • -rç,r "esser amaro" si-

---------------------------- 127

"
HOMO EDENS ---------------------------

gnifica "avere un percetto troppo intenso" (salato, acido, amaro, pepato, dolce[!)).
Tracce di strutture analoghe sono probabilmente reperibili in altre lingue che,
apparentemente, hanno articolazioni più elaborate. Nel mlJre al "gradevole" (n6-
gho; con ulteriore specificazione, bolboto, "molto gradevole") si oppone l' "essere
amaro", toma, che però vale contemporaneamente "spiacevole al gusto": l' "aci-
do" (mrsa: vb.) è legato etimologicamente al concetto di "fermentare" (mik1) e non
ha accezioni traslate, a differenza di nlJgho e toma (essere moralmente piacevole/
spiacevole); inoltre l' "amaro", a livello di ideofoni (gègè, giis giis), è inclusivo
dell' "aspro".
L'evoluzione della categoria "gradevole al gusto" sembra chiara: la focalizza-
zione (anche attraverso ideofoni) del grado superiore "molto gradevole" e/o "dol-
ce" rende automaticamente il grado inferiore aperto a giudizi di cultura alimentare
molto ampi, resi evidenti da frasi usualmente tradotte "dolce = gradevole come il
sale". Sembrerebbe, inoltre, che la costituzione a livello lessicale del "dolce" sia po-
steriore a quella della categoria "amaracido".
Quest'ultima categoria è abbastanza complessa, e ciò a causa di due fattori: in-
nanzi tutto in essa confluiscono sia sapori propri di uno stato naturale (acido come il
limone; amaro come l'assenzio ecc.) sia sapori che precedono o seguono quello dello
stato naturale stesso (aspro come un frutto immaturo; acido come il latte fermenta-
to ecc.). Inoltre non sempre l'arcisema dell'amaracido equivale a "sgradevole al gu-
sto": se questo è vero per l'amaro, sull'acido - come si è visto - il giudizio può es-
sere variabile. In ngizim, ad esempio, si distingue tra/au "di sapore acido, forte",
con valore positivo o negativo, e gdFtlà "di sapore amaracido, forte", con valore
negativo: alla categorizzazione negativa sembrano pertenere l,àgwaagwàk "amaro,
aspro" e l'ideofono cal.ak "molto acido", mentre ambiguo sembra zhòm "(divenu-
to) acido".
Un'altra caratteristica frequentemente rilevabile è lo squilibrio presente in mol-
te lingue nelle categorie "gradevole" /"sgradevole", per cui quest'ultima è spesso
più articolata della prima: nel pende ci sono due designazioni per l'amaro (Iuta
[vb.], samu) due per l'acido, aspro (buabua, khua) e un ideofono per il molto amaro
(kakaka), contro una per il saporito (fu/a) e due ideof oni (?) per il dolce (mbembem-
be, nzenzenge); analoga ricchezza in mende ecc. Siccome lo stesso avviene anche
nella categorizzazione degli odori, per cui la terminologia più o meno discreta di
quelli cattivi supera di gran lunga quella dei positivi, sarei prudentemente portato a
credere che, analogamente, la categoria "amaracido", pur con qualche ambiguità,
pertenga all'arcisema "sgradevole al gusto".
In base ai dati sinora in mio possesso, sono portato a credere comunque che la
distinzione tra acido e amaro sia l'unica fondamentale all'interno della categoria, in
quanto entro di essa si collocano gusti come il "(troppo) salato", l'aspro e il ranci-
do, quando non siano equivalenti a "che ha troppo sale dentro", "acerbo", "putri-
do, guasto", cfr. chimiini haraarisi [ < somalo] "amaro" lsuta "acido, salato",
ecc.).
Per contro non mi è ancora del tutto chiaro se esista o meno una prevedibilità
nelle successive articolazioni della categoria; in altre parole, se l'acquisizione di un
lessema autonomo per "salato" segua o preceda quello per "aspro" o viceversa. Sa-
rei tentato di ritenere che - come sopra ho lasciato intendere - ogni ulteriore di-
stinzione segua quella fondamentale tra acido e amaro: esiste però almeno una lin-
gua, lo shillukh, che sembra costituire un'eccezione. In essa esistono infatti i termini

128 ----------------------------
------------------------- FRANCO CREVATIN

per "gustoso" (mtt), "amaracido" (kaJ), "sgradevole" (l}ieTo) e "aspro, troppo


salato" (mar). Si vedano per contro i sistemi propri del dinka ("gustoso" [mit],
"dolce" [/im], "acido" [wac], "amaro" [kec], "salato" [/aid]), bobo ("gustoso"
[drà], "dolce" [dlnà], "acido" [Slnl], "amaro" [sDgD],"aspro, amaro astrigente"
[mugu], "salato" [nyDmà]) e del bambara ("saporito" [timi], "dolce" [wanawana],
"acido" [kùmu], "amaro" [kuna], "aspro" [basi]).

10. Come è noto, i cibi si assaporano per l'interazione tra gusto e olfatto, e ciò ha
una precisa controparte sia nella terminologia del "sapore", spesso equivalente a
"odore", sia nelle sinestesie semantiche degli aggettivi che esprimono un giudizio.
Sapore e odore si confondono in shillukh (yomo), dinka (ngir), logbara (Ddzl),
berbero cabilo (*n\' "aver odore/sapore"), babaju (ja?a), zande lfuo), wolayta (sa-
wo1), ecc.
Non è possibile intrattenersi a lungo sull'importante tema delle sinestesie se-
mantiche nel giudizio, per cui mi limito ad accennare solo cursoriamente alla que-
stione. Le lingue possono esprimere il giudizio positivo sul percetto ("è buono, bel-
lo" e sim.) con sistemi molto diversi - e trascuro qui come ininferente se ciò avven-
ga con categorie nominali o verbali: alcune lingue hanno una sola designazione (pro-
pria, non traslata) che copre quasi l'intero ambito sensoriale (per quanto ne so, tatto
di norma escluso), ad esempio il uwt mbSIJ,egiziano nfr, estensibile, ma non di ne-
cessità, al giudizio morale; per lo più, tuttavia, la designazione è sinestesica e di soli-
to congiunge gusto/odore e vista/udito ("buon cibo/odore": "bel disegno/can-
to"). Rare sembrano le sinestesie gusto/udito (asante, otatala) o gusto/odore(udito
(sara kaba, wo/oj). Naturalmente non considero, per quanto posso, designazioni
banalizzanti del tipo 'piacevole' e simili.
La sinestesia parrebbe raggruppare ragionevolmente i sensi più informativi (vi-
sta/udito) e quelli meno informativi: stranamente, il tatto sembra essere il grande
assente, poiché sono pochissime le lingue che estendano a una sensazione tattile una
designazione propria di altro ambito sensoriale, come il francese doux e il berbero
cabilo ihtliw "dolce; liscio", mentre è proprio il tatto a fornire gran copia di termi-
nologie traslate al gusto/odorato (es. "ruvido; duro" per il gusto acre, e sim.).
Si rileverà inoltre che terminologie riguardanti specificamente il percetto piace-
vole del singolo senso sono di gran lunga più frequenti il gusto o per la vista ("buo-
no" /"bello"), come del resto si anticipava prima quando si sosteneva l'esistenza
della categoria "gradevole al gusto": ciò non avviene, tuttavia, senza curiose dis-
simmetrie, come ad esempio nel logbara, dove la gradevolezza al gusto (alu, vb.) è
ben distinta da quella dell'olfatto (ndrl: esteso anche alla vista ["bello"] e al giudi-
zio morale e di carattere ["gentile"]), mentre "sapore" e "odore" confluiscono in
un unico segno (àdz().
Le dissimmetrie sono però molto accentuate tra le sinestesie relative al giudizio
positivo rispetto a quello negativo: nel kikuyu -éga è positivo per cibo/odore e guòa-
kara per vista/udito, mentre -oni è negativo per cibo/ odore/udito e -òoku per la vi-
sta; nello sloveno dialettale (S. Croce [Trieste]) il positivo per il gusto è duobro per
la vista /jep, per l'udito/olfatto/eist, ma il negativo per il gusto è "nonfeist" e il sa-
pore/odore è definito duh. Sarà opportuno riprendere altrove questo tema.

11. Per quanto esista buona copia di studi sull'alimentazione e sui suoi connotati
culturali, mancano ancora studi non impressionistici sui gusti nelle società tradizio-

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HOMO EDENS--------------------------

nali (ad esempio S. BAHUcHET,Les Pygmées Aka et la forlt centroafricane, Paris,


1985), che pur sarebbero utili per stringere più da vicino il problema qui discusso.
Vorrei, dunque, avviarmi a concludere con un'ultima osservazione: come si è
detto, il giudizio di "buono al gusto" può essere esteso al giudizio morale, e lo stes-
so vale per il giudizio negativo. Ebbene, la situazione è abbastanza complessa: nelle
lingue gur e mande sud della Costa d'Avorio su un totale di 32 varietà solo S mostra-
no di aver uniformato il giudizio; per contro etimologicamente i tipi sono spesso
molto vicini. In altre parole, la tendenza ad assimilare i due valori è costantemente
bilanciata e frenata: il gusto consente ampie possibilità di usi linguistici traslati, che
però entrano in conflitto con altre categorie, prima di tutte quella dell' "essere adat-
to, utile, giovevole, di valore". È, questo, un guardare al concetto di 'buono' in un
modo dissimile da quello al quale siamo ormai abituati culturalmente.

STEMMA DEL GUSTO

GUSTOSO----- MOLTO
GUSTOSO
-- DOLCE
[SALATO
GIUSTO]

DISGUSTOSO
---- MOLTO
DISGUSTOSO
L.
DIGUSTO
CATTIVO
~~-<:::~ AO [TROPPO

"'ASPRO.
ACa<
SALATO]

RANCIDO

130 ----------------------------
LA PRODUZIONE DEL GRANO
NEL BACINO DELLA VALLE
DELL'HIMERA MERIDIONALE
NELL'ANTICHITÀ

di Giuseppe Castellana

In assenza di fonti dirette riguardanti l'antichità sulla produzione di grano con le


sue fasi di incremento e di crisi, salvo il dato quantitativo indiretto che ci dà Cicero-
ne nelle Verrine 1, l'indagine presente vuole essere un tentativo di individuare attra-
verso i dati che ci provengono dai caricatori medievali via mare delle linee di tenden-
za come indice indiretto sulla produzione cerealicola in evo antico nelle zone della
valle dell'Himera meridionale, tradizionale serbatoio cerealicolo della Sicilia. In età
medievale attraverso i caricatori, pubblici magazzini in prossimità dei luoghi di im-
barco, passava il surplus destinato alla esportazione sia per il mercato interno (infra
regno) sia per il mercato internazionale (fuori regno).
Premesso che «l'incremento della produzione può reaJizzarsi o attraverso tra-
sformazioni tecniche che migliorino le rese e la produttività, oppure con l'allarga-
mento di talune coltivazioni a danno di altre, e in particolare dei pascoli e dei bo-
schi» 2 , il tipo di conduzione della terra e di sfruttamento della stessa in questo terri-
torio è rimasto per secoli immutato; come è rimasta immutata la pratica agricola che
è consistita da sempre o «nel cosiddetto sistema celtico, in cui il frumento è la sola
pianta che ritorni sul terreno con uno o due anni di riposo o nella rotazione trienna-
le: leguminosa (fava) o maggese, frumento, pascolo» 3•
Per quanto riguarda l'aspetto ecologico che presentava la Sicilia, essa ancora
all'inizio del '400 appariva ricca di boschi 4 • I boschi coprivano le catene montuose
delle Madonie, dei Peloritani, il massiccio dell'Etna, gli lblei, le montagne alle spal-
le di Monreale. L'interno dell'isola fino a quasi tutto il '400 appariva abbandonato
alla pastorizia e l'agricoltura era limitata soprattutto ai terreni migliori delle zone
costiere, in prossimità delle città e dei caricatori marittimi; nella seconda metà del
'400, grazie certamente a una maggiore utilizzazione delle fasce costiere e dell'entro-
terra più immediato, l'agricoltura era riuscita a soddisfare la maggiore domanda in-
terna e internazionale di generi alimentari causata dall'incremento demografico del-
la seconda metà del quattrocento. ·
Nelle zone dell'interno tuttavia la granicultura stentava a decollare; il modesto
ruolo della granicultura nei feudi dell'interno era dovuto ad alcuni fattori, tra cui il
basso prezzo del grano, la scarsità dei capitali, l'alto costo dei trasporti che finiva
col rendere la produzione dell'interno poco competitiva rispetto a quella delle zone
costiere. Per quanto riguarda quest'ultimo aspetto, si può riscontrare una simile si-
tuazione in età romana al tempo di Verre, quando i coltivatori preferivano dare una

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HOMO EDENS ---------------------------

maggiore quantità di grano rispetto alla decima che doveva essere consegnata allo
scalo marittimo indicato dai decumani (deportatio ad aquam) quando questo era
troppo distante dal luogo di produzione.
La crisi della granicultura nelle zone interne era in rapporto anche con la crisi
del patrimonio bovino. La mancanza di animali rendeva più difficile la messa a col-
tura di nuove terre. «L'espansione della cerealicultura era, infine, vivacemente con-
trastata dai grandi allevatori, dai pastori, da taluni proprietari terrieri che riteneva-
no ancora più vantaggioso l'allevamento, e persino dagli abitanti di centri rurali ai
quali la granicultura riduceva gli spazi per l'esercizio degli usi civili di pascolo (ius
pascend1)» s. «I contrasti tra pastori e coltivatori sono tuttavia la prova più sicura
che già alla fine del XV secolo i rapporti tra pastorizia e agricoltura cominciavano a
modificarsi anche nelle zone dell'interno. E lentamente, gli ostacoli costituiti dai
rapporti di produzione favorevoli ai contadini e dagli alti costi di trasporto, che nel-
le zone dell'interno avevano bloccato lo sviluppo della cerealicultura, cominciavano
via via a venire meno, a causa dell'aumento della popolazione, e quindi del numero
dei contadini, che ne riduceva la forza contrattuale e bloccava i salari, e a causa del-
1'aumento del prezzo del grano su cui il costo dei trasporti finirà con l'incidere in
maniera sempre più ridotta. La resistenza dei pastori finì anch'essa con l'affievolirsi
di fronte all'avanzata dell'arativo, determinata dalla necessità di incrementare la
produzione granaria per soddisfare l'aumentata domanda interna ed esterna. Unico
grosso ostacolo rimaneva la crisi del patrimonio bovino, che per parecchi secoli con-
dizionerà pesantemente lo sviluppo dell'agricoltura siciliana» 6 •
L'incremento della popolazione nei tre Valli della Sicilia nel '500 provocò una
forte espansione delle aree coltivate a grano per soddisfare l'aumentato consumo in-
terno e le maggiori richieste dell'Europa mediterranea, anch'essa in una fase di no-
tevole crescita demografica. La considerevole espansione della coltura granaria at-
torno la metà del secolo avvenne a danno del ricco patrimonio boschivo destinato a
pascolo.
La preminenza anche in evo antico della pastorizia sull'agricoltura nell'isola è
attestata da parecchie fonti. Pindaro chiama l'isola «ricca di armenti» 1r0Àuµ.«Àoç
(O/ymp. I, 12) e 1,1.71À6~oç Agrigento (Pyth., XII, 2). Aristofane, nelle Verpe,si fa
portavoce dell'opinione popolare di Atene, che celebrava la pastorizia siciliana. Il
fondo ambientale della poesia teocritea ci porta in un paese in cui la pastorizia è do-
minante. E in Diodoro v'è cenno chiaro che questo primato si è continuato anche
dopo la conquista romana, quando a proposito delle guerre servili (XXXIV, 2, 27,
sgg.) dipinge vivamente la suggestiva vita di pastori nei pascoli della montagna 7 •
Questo lungo preambolo si rende necessario per comprendere per analogia la si-
tuazione della Sicilia in evo antico e in maniera particolare del serbatoio granario
più ricco della Sicilia, l'altipiano cerealicolo centro-meridionale dell'isola, compreso
oggi tra la provincia di Agrigento e quella di Caltanissetta, solcato dall'Himera me-
ridionale (l'attuale Salso) 8 •
Lungo il tratto di costa che va da Sciacca a Terranova (l'antica Gela 1Npof6poç
dall'epitaffio di Eschilo), in età medievale erano dislocati i più importanti caricatori
della Sicilia per la quantità di grano che a essi affluiva dai campi geloi e dall'imme-
diato entroterra. Sulla base di dati statistici del 1407-8, attraverso i caricatori di
Sciacca, Agrigento e Licata passava il 430Jodel grano di esportazione di tutta la Sici-
lia 9 • Nel complesso il Val di Mazara, in cui erano compresi i tre caricatori agrigenti-
ni, dava il 74,80Jodell'esportazione complessiva, il 23,70Joil Val di Noto e appena

132 ----------------------------
---------------------- GIUSEPPE CASTELLANA

l'l,50Jo il Valdemone. Il caricatore di Licata (l'antica Phintia), situato alla foce del-
l'Himera, dava una quantità di grano pari a salme 19 731.11, cioè quasi il 200Jodi
tutta la produzione esportabile della Sicilia.
I dati che si riferiscono alle annate del 1451-52 e del 1456-57 confermano al pri-
mo posto in Sicilia per l'esportazione di grano il caricatore di Licata '0, dove af flui-
va l'eccedenza cerealicola di gran parte del bacino del Salso e del territorio di En-
na II da dove sappiamo che in antico proveniva una parte della produzione cereali-
cola di questa città (Cic., Ve". 2, 3, 192). A questo caricatore arrivava parte della
produzione proveniente dal territorio di Montechiaro e in modo particolare dalla
piana di Gaffe. Si deve pensare che l'apertura del nuovo caricatore di Montechiaro
determinò una minore affluenza delle eccedenze cerealicole che poteva riversarsi pri-
ma di allora o verso il caricatore di Girgenti (Agrigento) o verso quello di Licata in
relazione alla distanza.
In un documento di lamentela dell'anno 1433-34 indirizzato al re Alfonso, da
parte degli agrigentini si chiedeva la chiusura dei novelli caricatori di grano di Sicu-
liana e della baronia di Montechiaro 12• Può spiegarsi in parte cosi la diminuita
esportazione in termini percentuali dei cereali anche dal caricatore di Licata. La
quantità di grano esportata restò, tuttavia, elevatissima, superiore a quella dei primi
anni del •400 13• Il dato complessivo di esportazione dai tre caricatori regi della costa
agrigentina nel periodo 1522-30 ammonta alle 100.000 salme l'anno contro le 30.000
del 1465-66 14 • Dai dati che abbiamo dopo il raccolto del 1554 e del consumo presun-
to si ricava che le sole province di Caltanissetta e di Agrigento avevano un surplus di
produzione pari a 87 .234 salme; tutte le altre province della Sicilia presentano gravi
mancamenti che venivano compensati per importazione intra regno. Le province più
bisognose appaiono quelle di Palermo, Messina e Catania dove era concentrata gran
parte della popolazione dell'isola 15•
La situazione non sembra cambiare molto in termini percentuali cinque secoli
dopo. Dai dati del 1930, sulla base della superficie agraria e forestale della Sicilia la
disponibilità di grano appare molto bassa, appena O,79 hl/ha con scarti notevoli tra
una provincia e l'altra. Solo la provincia di Agrigento ha una disponibilità di 1,58
hl/ha, seguita dalla provincia di Caltanissetta con lo 0,97 ed Enna con lo 0,92. Nei
territori delle province di Messina, Catania e Siracusa si aveva un modestissimo svi-
luppo della granicultura, con un indice rispettivamente dello 0,35, 0,64, 0,45 hl/
ha 16.
Ritornando ai caricatori agrigentini, non si mette nel computo la quantità di
grano che doveva essere imbarcata, lungo la costa, nelle cale naturali della Tenda
Grande del Giudeo della Spina della Ba/atelia e in quella dei Frumenti, denominata
cosi, secondo la testimonianza tardo-cinquecentesca del Camilleano, perché in que-
sto luogo «solevano per l'addietro le navi prendere il carico di frumento» 17•
Nella mancanza di dati statistici che riguardano l'evo antico, si insiste su questi
dati medievali perché si tenti di cogliere per analogia la situazione della produzione
di grano in età antica. Capita sovente che il tempo modifichi determinate situazioni
ambientali, ma questo forse non riguarda la chora di Agrigento, dove «l'economia
della città era legata ab antiquo al commercio, interno e di esportazione, di prodotti
agricoli - del vino, dell'olio e del grano-, che dagli anni del Basso Impero fu indi-
rizzato precipuamente verso la Penisola italiana, ma che già era stato rivolto larga-
mente verso l'Africa, e in taluni momenti verso la Grecia» 18•
Dal punto di vista morfologico, il bacino dell'Himera è caratterizzato da rilievi

- 133
HOMO EDENS --------------------------

di modesta altitudine, da altipiani terrazzati di natura prevalentemente gessoso-zol-


fifera, da ondulazioni collinari che non assicuravano facilità di comunicazione. Il
fiume con il suo corso costitul la principale via di comunicazione tra gli insediamenti
costieri e quelli situati sulle colline e negli altipiani dell'interno; esso fu considerato
dagli storici e dai geografi antichi come una barriera con cui si vollero segnare zone
di influenza politica ed etnica 19• Dice Livio (XXIV, 6) a proposito di questo fiume:
amnis qui ferme dividit insulam, e come lui anche gli altri da Strabone (VI, 226) a
Mela (Il, 7), da Silio Italico (Punic, XVI, 233) ad Antigono (Mirab, 133), da Vitru-
vio (VIII, 3) a Vibio Sequestre (deflumin, s. v.) esprimono analoghi concetti consa-
pevolmente accettati da umanisti e topografi di grande autorità, come Fazzello e
Cluverio, 20 nel considerare l'Himera una demarcazione approssimativa fra Sicani e
Siculi.
La spaccatura della Sicilia in due tronconi segnata dal corso dell'Himera meri-
dionale e da quello dell'Himera settentrionale (l'attuale Fiume Grande) in larghez-
za, fu alla base tra l'altro della delimitazione tra i territori dei Siculi a Oriente dei
due fiumi e quelli dei Sicani a Occidente. Il che, se trova una giustificazione da un
punto di vista amministrativo in età medievale, fino a determinare quella configura-
zione giuridico-territoriale dell'ultra et cifra Salsum e quella suddivisione del Val di
Mazara con il Val di Noto, non corrisponde in età antica in maniera netta alla distin-
zione territoriale tra i due popoli più antichi della Sicilia, se si pensa che città sicane
come Maktorion (Herod. VII, 153) e Omphake (Paus. VIII, 46) erano situate a
Nord di Gela e a Oriente dell'Himera 21•
Le stesse fonti antiche ci legittimano a parlare dell'Himera settentrionale e del-
l'Himera meridionale come di una unità geografica. È ben noto il passo di Vitruvio
(VIII, 37) in cui si dice che l' Himeras... a fonte cum est progressum, dividitur in
duas partes, delle quali l'una sfocia nel mare Tirreno e l'altra in quello Africano. Le
fonti di Vitruvio sono, come si crede, Posidonio e Antigono di Caristo; pertanto alla
scienza ellenistica era ben chiara l'unità geografica dei due Himera; ma, per fortu-
na, noi sappiamo, grazie a un autore latino, Vibio Sequestre, che tale tradizione ri-
sale a epoca ben più antica, almeno fino ai tempi di Stesicoro. È probabile che sia
stato proprio il poeta imerese ad affermare per primo l'origine comune dei due Hi-
mera, poiché se tale affermazione ebbe così vasta risonanza ciò si deve non solo alla
autorità della fonte, ma anche probabilmente, al fatto che essa era una novità asso-
luta 22•
Il corso dell'Himera meridionale, le cui sorgenti vanno riconosciute nel cuore
stesso della Sicilia verso le estreme propaggini delle Madonie, delimitò in gran parte
i confini geografici del dominio di Akragas rispetto a quelli di Gela già nel VI secolo
a.e. La politica di Falaride fu intesa a stabilire nella sua spinta verso oriente dei li-
miti ben precisi, che dovettero corrispondere grosso modo al corso dell'Himera 23•
La fondazione del Phalarion, da collocare presso l'"ExvoµoçÀ&poç24, ubbidi molto
probabilmente a fortificare una vera e propria linea di confine, che partendo dalla
costa, alla foce dell'Himera meridionale, si addentrava verso l'interno costeggiando
il fiume. Centri come Monte Saraceno di Ravanusa, Vassallaggi, Gibil Gabib, Sabu-
cina, Capodarso, Terravecchia di Cuti si snodano l'uno appresso l'altro lungo il cor-
so dell'Himera e dominano dall'alto, in posizione assolutamente strategica, il cam-
mino del fiume.
La conquista dell'ampio bacino dell'Himera dovette avvenire ai danni dell'ele-
mento indigeno 25• Polieno (V, 1.3-4) e Frontino (lii, 4.6) ci hanno tramandato la te-

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stimonianza storica di guerre vinte da Falaride contro le popolazioni sicane e il ri-


cordo di tali eventi è significativo per comprendere forse uno degli aspetti della fer-
ma politica falaridea 26• Occupando questa fertilissima fascia dell'entroterra sicano,
si mettevano le mani su una risorsa economica vitale di questo popolo, il grano 27•
Polieno, a questo riguardo, è molto esplicito; afferma che Falaride, non riuscendo a
sconfiggere i Sicani che «possedevano molto frumento», ricorse all'ingegnoso stra-
tagemma di far marcire i loro cereali, per averne ragione.
Quando avvenne questa occupazione, è chiarito dagli scavi che l'Istituto di Ar-
cheologia di Messina conduce da diversi anni a questa parte a Monte Saraceno di
Ravanusa 28• Il sito, che domina la valle dell'Himera meridionale nel suo corso ter-
minale, fu una borgata indigena abitata da popolazioni sicane, come dimostra il li-
vello protostorico a contatto di roccia, caratterizzato da ceramica dell'età del Ferro
della Cultura di S. Angelo Muxaro-Polizzello. Di questo insediamento dell'VIII-VII
secolo a.e. non si conosce fino a oggi l'estensione né si ha un'idea della sua consi-
stenza. Quello che si conosce con certezza è che il monte venne occupato dai Geloi
già a partire dalla metà del VII secolo a.e., configurandosi come un centro di vita
greca con la sua acropoli e la città che si sviluppa con un assetto urbanistico regolare
con orientamento NW-SE.
Le abitazioni vengono costruite «in una modesta tecnica di pietrame e ciottoli,
che richiama le coeve strutture di Gela» 29 • A partire dalla metà del VI secolo a.e., si
coglie il momento dell'occupazione acragantina, che si manifesta con la costruzione
di tre edifici sacri sull'acropoli e con una nuova organizzazione dello spazio abitato
che viene delimitato da strade con percorrenza Nord-Sud. La città inoltre si amplia
estendendosi sul terrazzo inferi ore, che viene a costituire cosi la «estrema propaggi-
ne meridionale naturalmente fortificata del monte». Questa fase rappresenta il mo-
mento dell'intervento falarideo lungo la via di penetrazione dall'Himera meridiona-
le, il cui corso fece da vera e propria frontiera dello stato acragantino.
Risultati analoghi vengono dallo scavo di Sabucina, il grande centro indigeno
situato nella media Valle dell'Himera. A un abitato dell'ultimo Bronzo con capanne
circolari subentra nell'VIII-VII secolo a.e. un insediamento indigeno, che subisce la
progressiva ellenizzazione da parte dell'elemento geloo, ma con una sua straordina-
ria resistenza culturale alle forme di contatto greco e una sua originale trasformazio-
ne e incomprensione dell'arte coloniale.
Nel VI secolo a.e. il centro indigeno di Sabucina entra nell'orbita politico-mili-
tare degli acragantini, che si sostituiscono ai geloi 30• Lo stesso dovette avvenire per
il centro di Capodarso 31, che con la sua piattaforma rampante domina dal versante
orientale la gola dell'Himera nel punto in cui il fiume si districa tra il colle di Capo-
darso appunto e quello di Sabucina, posto sul lato occidentale. Lungo la via di pene-
trazione segnata dall'Himera, sul versante occidentale, i centri indigeni di Gibil Ga-
bib e Vassallaggi completano il quadro di conquista operata da Falaride nel medio
bacino dell'Himera meridionale.
Gibil Gabib 32, le cui testimonianze più antiche si riferiscono a un insediamento
castellucciano del Bronzo antico, diventa sede nel VII-VI secolo a.e. di un centro di
vita greca, che perdura sino alla fine del IV secolo a.e. Vassallaggi 33, con le sue abi-
tazioni articolate su un rilievo montuoso formato da cinque colline rocciose, ebbe
una storia analoga a quella di Gibil Gabib. Sede dapprima di un insediamento riferi-
bile al Bronzo Antico, con tracce di vita del Medio e Tardo Bronzo, nel VII secolo
a.e. accoglie un centro indigeno che attorno la metà del VI secolo a.e. si trasforma

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HOMO EDENS ---------------------------

in polis greca per effetto della colonizz.azione acragantina. Anche questo centro si
spegne alla fine del IV secolo a.e.
L'ultimo grande centro, situato nell'alta valle dell'Himera meridionale, a essere
interessato dal processo di ellenizzazione geloo-acragantina e dalla conquista falari-
dea nella sua spinta verso il Tirreno, fu il centro indigeno di Terravecchia di Cuti 34,
posto a cavaliere tra le vallate dell'Himera e il Torrente Barbarigo-Bélici, che è un
affluente del Platani.
La ellenizzazione e la colonizzazione di questo ampio territorio portò a una ca-
pillare occupazione delle fertili terre prevalentemente collinari con la creazione di
una fitta serie di fattorie agricole, che fanno pensare a una agricoltura particolar-
mente intensiva. Le indagini condotte soprattutto dall' Adamesteanu 35 nella piana
di Gela e sulle colline che delimitano a Nord e a Ovest la stessa piana, veri e propri
avamposti al più arretrato sistema collinare dell'Himera nel suo medio corso, e le in-
dagini condotte da chi scrive 36 nella piana di Gaffe e nella conca di Palma di Monte-
chiaro lungo il fianco occidentale dello stesso fiume, hanno evidenziato una fre-
quenza straordinaria di insediamenti rurali sin dall'età della prima colonizz.azione
greca, che dovevano spesso essere collegati da sentieri e trazzere e la cui vita doveva
assomigliare a quella delle nostre masserie siciliane.
Sono note le fattorie scavate dall' Adamesteanu nel territorio di Butera in locali-
tà Priorato, Milingiana, Suor Marchesa, Ficuzza e Gurgazzi 37• Le fattorie sono si-
tuate su collinette di natura prevalentemente calcarea, su poggi e spuntoni rocciosi
in posizione assolutamente dominante. È questo quello che emerge anche dalle ricer-
che nel territorio di Palma di Montechiaro dove i coloni si attestano lungo tre linee
di percorrenz.a, l'una data dalla via che collegava Gela ad Akragas, l'altra dal corso
del Palma, l'altra ancora dalla via interna che portava verso il medio bacino dell'Hi-
mera fino a Monte Saraceno di Ravanusa 38 •
Dal punto di vista della granicultura si sfruttavano le distese vallive e collinari e
i terreni variamente ondulati di natura argillosa che si estendevano attorno le fatto-
rie. Questo tipo di organizzazione e di lottizzazione agraria dovette perdurare per di-
versi secoli fino al III secolo a.e., quando si assiste al fenomeno dell'abbandono di
gran parte di queste fattorie. Necessità diverse di tipo politico ed economico, legate
a uno sfruttamento forse estensivo del territorio, portarono all'abbandono di queste
piccole comunità agricole, che dovettero cedere il posto a insediamenti più vasti ma
anche più ridotti.
Questo fenomeno è constatabile un po' ovunque in Sicilia 39 ; sembra emergere
anche dalle ricognizioni nel bacino dell'Himera e in quei campi geloi che dovevano
allora indicare l'attuale piana di Gela e quella di Licata. È il caso della fattoria di
Manfria 40 la cui vita va dalla seconda metà del VII secolo a.e. sino agli ultimi anni
del IV secolo, con una interruzione causata alla fine del V secolo a.e. dalla marcia
cartaginese contro Gela e Camarina. La fattoria di Milingiana 41 testimonia una
continuità di vita che va dalla seconda metà del VI secolo a.e. sino agli inizi del III
secolo a.e., quando «la gente che l'occupava dovette spostarsi verso l'aggregato che
si stava formando più a occidente, a Suor Marchesa e Agrabona». Lo stesso si può
dire per la fattoria di contrada Priorato, fondata intorno alla metà del VI secolo
a.e. e poi profondamente ristrutturata nella seconda metà del IV secolo a.e., allor-
ché venne operato lo spianamento per creare il grande ambiente a cortile assieme ai
lavori di escavazione negli ambienti orientali.
La gente che viveva nella zona si avvicina alla grande sorgente di «Isabella» ove

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sorge proprio in questo periodo di tempo, un'altra o più fattorie, le cui necropoli
della fine del IV e del III secolo a.e. si trovano sul pendio meridionale della collina
Ficicchia. Con i primi anni dell'Impero, a Sud della trazzera che collega Butera, at-
traverso Fiume Mallo e la vallata Monaco, con M. ludeca e Perni, sorge un aggrega-
to umano, probabilmente una statio sulla naturale via romana che doveva condurre
i prodotti della zona verso il porto di Gela, quel Refugium Gelaedi cui abbiamo no-
tizia nell' ltin. Anton. La probabile statio raccoglie, per sei secoli, tutta la gente delle
antiche fattorie che si estendono da Priorato fino a Passarello. Anche a Vassallaggi,
il centro indigeno grecizzato di cui si è detto sopra, si verifica un simile abbandono
alla fine del IV secolo a.e. 42• La gente allora si trasferisce nelle vicine località di Ga-
dira e Petrosa fondando fattorie e borgate.
Passando all'agro di Palma di Montechiaro, pochi sono i centri di età greca che
continuano a vivere fino a età romana 43; uno di questi è il sito di Casserino dove sui
resti di un piccolo stanziamento greco che si può far risalire alla fme del VII secolo
a.e. si sviluppò un centro più vasto in età romana. La diffusa presenza di ceramica
sigillata attesta il perdurare dell'abitato fmo a età bizantina. Un altro caso è rappre-
sentato da insediamenti in località Narasette, lungo la sponda destra del fiume Pal-
ma dove l'aggregato romano che continuò a vivere fino a età bizantina, sfruttando
le fertilissime terre circostanti, si sovrappose a una fattoria di età greca di V-IV seco-
lo a.e.
La gente, che aveva abitato fino agli inizi del III secolo a.e. sulle alture del Ca-
stellazzo, di Piano della Città, di Sirone, della Galla, di Ragusetta e del Carrubito
dove sono state rintracciate numerose fattorie agricole, scende nelle zone pianeg-
gianti della conca e si aggrega a Narasette attorno la sorgente di acqua solfurea. Un
altro grosso nucleo si concentrò a Casserino, di cui si è detto sopra, vicino la omoni-
ma sorgente.
Dall'altro versante della conca, a Nord-Ovest dell'altipiano di Ragusetta, l'in-
sediamento romano della Fiotta dovette aggregare,nelle feracissime terre nere della
pianura ricche di sorgenti, le popolazioni che vivevano sulle soprastanti colline. An-
che l'insediamento romano di Cignana, situato nella omonima vallata vicino la sor-
gente del Vullo, dovette raccogliere la gente che viveva sparsa nelle numerose fatto-
rie delle terre della Piana, dove sono state individuate numerose fattorie di cui una
in fase di scavo. Lo scavo di una di queste fattorie, in località Roba maia di Granci-
fone, ha evidenziato due fasi: la prima quella più antica, pertinente ai primi decenni
del V secolo a.C.; la seconda agli ultimi decenni del IV secolo a.e. Mentre della fat-
toria di V secolo è stata scavata fino a ora una parte del cortile, della fattoria di IV
che si sovrappose a quella di V secolo a.e. sono stati portati alla luce alcuni ambien-
ti destinati alla conservazione e alla trasformazione dei prodotti agricoli (grano, vi-
no e olio).
La pianta che si può cogliere - lo scavo è appena agli inizi - è quella di am-
bienti disposti attorno a una corte centrale secondo una disposizione che anticipa
quella dei medievali bagli, ancora presenti tipologicamente nelle campagne siciliane.
Con tutto ciò si vuol dare il senso di un intenso popolamento rurale durante l'età
greca e fino al III secolo a.e. 44 di uno dei serbatoi granari più ricchi in ogni tempo
della Sicilia, quale fu il bacino dell'Himera meridionale.
Alla luce di quanto detto, si comprenderanno forse meglio le ragioni della pene-
trazione operata dai geloi e poi dagli acragantini lungo il corso dell'Himera meridio-
nale dalla costa verso l'interno, il cui habitat ambientale in evo più antico non dove-

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HOMO EDENS---------------------------

va essere diverso da quello che il geografo Edrisi ci descrive nel XII secolo al tempo
del dominio normanno, quando ancora la Sicilia si presentava con le caratteristiche
boscaglie che coprivano tutti i rilievi e la pastorizia in alcune zone prevaleva come
attività economica sull'agricoltura, la quale era limitata, come si è detto sopra, alle
zone prevalentemente costiere prossime alla città e agli empori via mare in prossimi-
tà della foce dei fiumi. Il controllo dell'altipiano cerealicolo solcato da questo fiu-
me, assicurò in antico il possesso di uno dei granai più ricchi della Sicilia, se non il
più ricco.
L'utilizzo di questa risorsa alimentare oltre il fondamentale fabbisogno locale,
da parte di Gela e di Acragante, permise a queste città di potere intrattenere proficui
scambi commerciali col mondo mediterraneo. Alcuni di queste rotte mercantili non
vennero mai meno anche sotto il dominio romano; mi riferisco ai rapporti con l'A-
frica settentrionale e con l'isola di Malta. Si sa, del resto, come per lunghi periodi
del Medioevo, una parte del grano siciliano andò a soddisfare la domanda prove-
niente da questi territori, specie nei periodi di crisi.
È opportuno chiudere con il riferimento al culto delle divinità della terra f econ-
da in terra geloo-acragantina e in modo particolare a quello di Demetra generatrice
di biade che in Acragante e a Gela ebbe carattere popolare 45 • La diffusione di tale
culto trova la sua ragione non solo perché esso si legò al prestigio politico dei Dino-
menidi e degli Emmenidi, le potenti famiglie di Gela e di Acragante, ma anche per-
ché nella terra delle messi anche gli indigeni non potevano non avere una loro divini-
tà della vegetazione, assimilabile alla divinità greca con cui i Sicani identificarono il
culto, esaltandolo con particolari riti di acculturazione 46•
A questo proposito diventano emblematici i numerosi santuari urbani ed ex-
traurbani che presenta la chora geloo-acragantina. Il culto di Demetra e Core che in
tutta la Sicilia ebbe uno straordinario fervore tale da rappresentare, con le parole di
Biagio Pace 47 , «un elemento soverchiante di tutta la vita religiosa», in questo terri-
torio assunse caratteri di tale intensità che non si trova fattoria o borgo rurale che
non ci abbia conservato testimonianze di tale culto. A parte i noti santuari di Gela e
di Acragante, tutti i centri greci o ellenizzati del bacino della Valle dell'Himera meri-
dionale presentano santuari consacrati al culto delle divinità della terra, da quello di
Casalicchio-Agnone 48 nel territorio di Licata, databile tra la 2° metà del VI e la 2°
metà del IV secolo a.e., a quello situato sul Castellazzo di Palma di Montechiaro 49,
databile tra la fine del VII secolo e la 2° metà del IV secolo a.e., a quello di Monte
Saraceno di Ravanusa 50 rinvenuto dal Mingazzini assieme a una piccola stipe voti-
va, databile nella 2° metà del IV secolo a.e., al santuario di Vassallaggi 51, per finire
con i santuari di Sabucina 52 e quello extraurbano di Terravecchia di Cuti 53 nell'alto
bacino dell'Himera.

NOTE

I) Cfr. A. Hoiw, Storia della Sicilia nell'Anti- bliografia specializzata.


chità, 111,pp. 71-172; B. PACE, Arte e Civiltà 3) B. PACE, op. cit. I, pp. 375-376.
della Sicilia antica, I, pp. 368-369. 4) o. CANCILA, op. cii., p. 13.
2) O. CANCILA, Baroni e popolo nella Sicilia del S) 0. CANCILA, op. cii., p. 30.
grano, Palermo, 1983, p. 6. A questa eccel- 6) o. CANCILA, op. cii., pp. 30-31.
lente opera si fa riferimento anche per la bi- 7) B. PACE, op. cii., I, p. 387.

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8) Vedi o. ÙSTIILLANA,Nota sul bacino ckl Sal- tica di Falarick, "La Parola del Passato",
so (Himua) e il surplus di grano dall'antichità LIX, 1956, pp. 262 sgg.
ai noslri caricatori marittimi, "Sicilia Ar- 24) Cfr. E. DB Mmo, art. cit., p. 269; di diverso
cheologica", 57-58, XVlll-1985, pp. 87-90. parere i: D. ADAMBSTIIANU, Due probkmi to-
9) O. CANCILA,op. cii., pp. 15-17. pogref,c/ del retroterra geloe, "Rendiconti
10) O. CANCILA,op. cii., p. 20; C. C.urrA, I/por- dei Lincei" s. VIII, voi. X, 1955, pp. 201-202;
to di Licata, Licata, 1978; p. 73; G. M. Co- G. CAPUTO,Daedalium, "Notizie Scavi" a.
LUMBA, I porti cklla Sicilia, Roma, 1906, p. Vili, voi. XIX, 1965, p. 188, nota I.
129. 25) Cfr. J. A. DB WA.l!lJ!, Acraga.s graeca,Gra-
li) I. Pu.l, La Sicilia dopo il Yapro, Uomini, venbage, 1971, p. 106.
città e campagne1282/1376, Bari, 1982, p. 26) Cfr. E. DB Mmo, art. cit.
70, 74. 27) Cfr. B. PACB,op. cit., I, p. 367 sa., in part. p.
12) Libro di tutti li privilegi, CONJWtudini'e parti- 369; G. CAPUTO,Sale, zolfo, grano, tresicane
colari ordinationi di questa Magnifu:a Città di risorse, "Sicilia Archeologica" XI, 37, 1978,
Girgenti, 1634, rr. 7a-7b, Cfr. I. PBIU,Gir- pp. 7-9.
genti Porto del sale e del grano, in "Studi in 28) Per una visione complessiva AA. VV ., Greci e
onore di A. Fanfani", Milano, 1962, p. 88. indigeni nella Valle ckll'Himera. Scavi a
13) O. CA.Neo.,.,op. cit., p. 20 tab. 2; L. VrrALJ, Monte Saraceno di Ravanusa, Università di
Licata città demaniale, 1974 (rist. anastatica), Messina, 14 aprilc-9 maggio 1985, Messina,
p. 134. 1985, cui si rimanda per la bibliografia prece-
14) O. CANcD.A,op. cii., p. 34 tab. 4; le fosse ara- dente.
narie del porto di Licata «si aprivano a metà 29) E. DB Mmo, Monte Sara«no di Ravanusa, in
della via Santamaria, all'alteu.a del palazzo Greci e indigeni, cit., p. 16.
Frangipanc-Verdcrame» (C. C.urrA, op. cit., 30) P. Olu.ANDJNI, Sabllcina. Scoperte varie. Pri-
p.67). ma campagna di scaYO(1962), rapporto preli-
15) o. CANCD.A, op. cit., p. 49 tab. 9. minare, "Arch. Cl." 15, 1963, pp. 86-96.
16) o. CANCILA, op. cit., p. so. 31) D. AoAWESTBANU, EAA, VII, s. v. Sicilia p.
17) Cfr. G. A. MAasA,La Sicilia in prospettiva, 269.
Palermo, 1709, p. 379. 32) P. 01U.ANDINI, s. v. Gibil Gabib, in "PECS",
18) I. Pu.l, op. cit., p. 12. Le fonti antiche (vedi Princeton, 1971, p. 353.
B. PACE, op. cit. I, pp. 365-372) esaltano al- 33) P. Oil.LANDoo,Yasaalklfgi (S. Cataldo) Scavi
cune zone della Sicilia per il loro prodotto 1961. 1: la n«ropoli meridionale, "Not. Sca-
frumentario; tra queste vengono annoverati i vi" 1971, XXXV, Suppi., pp. 7-220.
campi geloi, tra i quali sono da individuare, a 34) Per le ultime ricerche E. EPIFANIO,Terravec-
mio avviso, estese porzioni del bacino dell'Hi- chia di Cuti. Campagna di scavo 1977-1978,
mera meridionale. "Sicilia Archeologica", 40, 1979, pp. 50-52;
19) Cfr. B. PACB, op. cit., p. 110; pp. 127-128, EAD Terravecchia di Cuti Scavi e ricerche ne-
dove in maniera esemplare viene riassunta la gli anni 1977-1979, BCA (Beni Culturali e
problematica antica sull'Himera, con la di- Ambientali) Sicilia, I, 1980, pp. 105-108.
stinzione anche delle sorgenti che alimentano 35) Vedi D. ADAMESTBANU, Butera. Piano della
i due corsi, quello settentrionale corrispon- Fiera, Corsi e Fontana Calda, "Mon. AL"
dente a Fiume Grande e quello meridionale 44, 1958, pp. 205-208; IDEM, "Not. Se." Xli,
corrispondente al Salso che sfocia nei pressi di 1958, pp. 364-379; P. 01U.AND1N1, L 'espansio-
Licata. ne di Gela nella Sicilia centro-meridionale,
20) Sulle fonti antiche si rimanda a E. MANNt, "Koltalos" VIII, 1962, pp. 69-121.
Geografia f,sica e politica della Sicilia antica 36) G. CASTELLANA, Nuove ricognizioni nel terri-
(Testimonia Siciliae Antiqua, I, 1, passim). torio di Palma di Montechiaro, "Sicilia Ar-
21) Cfr. P. Oil.LANDoo,Omphalce e Maktorion, cheologica", 1983, pp. 119-146.
"Koltalos" 8, 1962, p. 69; G. CAPUTO,Tradi- 37) Cfr. nota n. 35.
zione corrente architettonica "dedalica" nella 38) Cfr. D. ADAMESTEANU, Monte Saraceno ed il
Sikania, "Kokalos", X-Xl, 1964-1965, pp. problema della penetrazione rodio-cretese
99-100. nella Sicilia meridionale, "Arch. Cl." 8,
22) O. BBLVBDllllB, // ruolo dell'lmera settentrio- 1957, pp. 121-146.
nale e dell'lmera meridionale nel quadro della 39) Cfr. P. Pl!uOArn, L'attività della Soprinten-
colonizzazione greca, in Atti della 2° giornata denza alle antichità della Sicilia orientale.
di Studi sull'Archeologia Licatese e della zona Parte Il, "Kokalos" (Atti V Congresso) XX-
della Bassa Valle dell'Himera», Licata, 19 VI-XXVII, 1980-1981, t. Il, I, p. 723 ss.; G.
gennaio 1985, Palermo, 1986, pp. 91 sgg. DI STBPANO, Ricerche nella provincia di Ragu-
23) Vedi E. DB Mmo, Agrigento arcaica e la poli- sa, "Kokalos" (Atti V Congresso) XXVI-

139
HOMO EDENS------------------------------

XXVII, 1980-1981, t. II, 1, p. 756 sgg. pp. 234-243; IDEM, Il tempietto votivo fittile
40) D. ADAMBSTBANU, "Not. Scavi" 1958, pp. di Sabucina e la sua d«orazione figurativa,
290-334; P. 01U.AND1NJ, L 'apansione di Gela "Rivista di Archeologia". 1983, pp. 5-11. Ma
cii., p. 74. soprattutto vedi lo scritto di religione siceliota
41) D. ADAMJ!STJ!ANU,"Not. Scavi" cii., pp. 350- dell'occidente dell'isola nel suo amalgama: G.
361. PuoUBSE-CAllllATEW, L'oggetto storko di
42) P. OllLANDINJ,Vassallaggi (S. Cataldo), op. Selinunte, V. TuSA, La scultura in pietra di
citata, p. 13; C. MBIUOHI, Note sulla moneta- Selinunte, 1983, pp. 7-25.
zione di alcuni centri greci o ellenizzati in pro- 47) B. PACE, op. cit., I, p. 367.
vincia di Caltanissetta, "Arch. Cl" XV, 1963, 48) A. DB MDlo, Il santuario greco di località Ca-
1-2, pp. 97-101. salicchio presso Licata, in "Atti 2• giornata
Nuove
43) Su questi aspetti cfr. G. CASTELLANA, di Studi su/l'archeologia licatese e della zona
ricognizioni, cit. della Bassa Valle dell'Himera", Licata 19
44) Sulla disamina generale del problema G. gennaio 1985, Palermo, 1986, pp. 97-124.
BEJoll,Aspetti della romanizzazione della Si- 49) G. CASTELLANA, Nuove ricognizioni, cit.
cilia, in Forme di contatti e processi di tra- SO) P. MINOAZZINI, Su un'edicola sepolcrale del
sformazione nelle società antiche (Atti Con- IV secolo rinvenuta a Monte Saracfflo praso
vegno Cortona 24-30 maggio 1981), Pisa-Ro- Ravanusa (Agrigento), "Monumenti Antichi
ma, 1983, pp. 345-374. dei Lincei", XXXVI, 1938, cc. 621-692.
45) Cfr. R VAN CoMPllJlNOLLE,Les 1"inomenides Su questo vedi anche A. SlllACUSANO, L'area
et le culte de Dèmèter et Kore à Gela, in Hom- sacra e il muro di cinta a oriente dell'abitato,
mages à W. Deonna, Collection Latomus 28, in Greci e Indigeni nella Valle dell'Himera,
Bruxelles, 1957, pp. 474-479. P. 01U.ANDINI, cit., p. 431.
Lo scavo del thesmophorion di Bitalemi e il SI) P. 01U.ANDINJ, Vassallaggi (S. Cataldo), op.
culto delle divinità Etonie a Gela, "Kokalos" cit., p. 9; IDEM, "Kolakos" VIII, 1962, tav.
12, 1966, pp. 8-35; J. DE WAELE,op. cit., pp. LVI.
192-200. 52) E. DB Mlllo, Forme di contatto e processi di
46) Cfr. G. CASTELLANA, Tre indagini sulla cultu- trasformazione nelle società antiche: esempio
ra indigena di Sicilia, in "Miscellanea Macz- da Sabucina, in Forme di contatto e processi
ke", I, pp. 211-227. IDEM, Sull'origine del di trasformazione nelle società antiche, (Atti
culto di Ejesto- Vulcano nel territorio agrigen- Convegno Cortona) 24-30 maggio 1981, Pisa-
tino, "La Parola del Passato" CXCIX, 1981, Roma, 1983, pp. 335-344.

140----------------------------
DAI WANANDE AGLI ANTROPOLOGI:
CIBO, ESSERE E ANTROPOFAGIA

di FrancescoRemotti

Devo subito ammettere che nel momento in cui ho iniziato a preparare questa rela-
zione si è verificato un mutamento di obiettivo. L'obiettivo originario - quale figu-
ra nel titolo a suo tempo consegnato agli organizzatori del convegno - doveva con-
sistere in un'analisi del nesso "cibo e essere" presso un'etnia di coltivatori bantu, i
WaNandedello Zaire. Avendo però pubblicato nel frattempo un articolo sull'argo-
mento (La semantica del cibo nella cultura nande, "Rassegna Italiana di Sociolo-
gia", 1986), ho dovuto scegliere tra due possibilità: o un approfondimento etnogra-
fico di questo tema, presso questa stessa etnia, oppure sfruttare i dati affrontati nel-
1'analisi precedente come un punto di partenza per una divagazione antropologica,
anzi- come si vedrà-di antropologia dell'antropologia. È quanto alla fine ho de-
ciso di fare.
Beninteso, sono convinto che i più importanti e solidi risultati antropologici
vengano acquisiti mediante lo scavo etnografico e che i cunicoli etnografici siano la
sede più appropriata dei discorsi antropologici. E tuttavia vi sono dei momenti in
cui è bene, o è addirittura inevitabile, che i discorsi antropologici vengano allo sco-
perto. Per questo, ho preferito mutare in parte il titolo della relazione. Dato che l'o-
biettivo non saranno più soltanto i WaNande, ma anche gli antropologi che si occu-
pano di WaNande o di qualsiasi altra etnia, il titolo suonerà Dai WaNande agli an-
tropologi. Si continuerà ancora a parlare del nesso tra cibo e essere; ma dato che
non sarà più in questione questo nesso soltanto in un'etnia, bensi si cercherà di coin-
volgere anche l'antropologia, il titolo si completa in questo modo: Dai Wanande
agli antropologi: cibo, essere e antropofagia.
Se si pone in questione l'antropologia allorché si tratta di "cibo", è pressoché
ineluttabile che il discorso vada a finire sull'antropofagia. È un po' come dire che se
gli antropologi si mettono a parlare di cibo, prima o poi finiranno col parlare dian-
tropofagi (l'ha già detto Tullio-Altan nella prolusione a questo convegno). Infatti
uno dei maggiori ispiratori e antesignani del pensiero antropologico moderno, Mi-
chel de Montaigne, non ha forse esposto le sue tesi più rilevanti da un punto di vista
antropologico proprio in relazione ai "Cannibali" (cap. XXXI degli Essais)?
E per riferirsi a un autore cronologicamente molto più vicino a noi, William
Arens, non ha forse egli cercato di dimostrare l'esistenza di un nesso inscindibile tra
"antropologia e antropofagia" (l'espressione appare come sottotitolo del suo The
Man-Eating Myth, 1979; trad. it: Il mito del cannibale, Torino, 1980)? Del resto, in

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HOMO EDENS ---------------------------

un convegno dedicato al "cibo" e al "mangiare", cosi fitto di relazioni e di studiosi


illustri di diverse discipline, sarebbe stato sorprendente se non si fosse fatto almeno
un accenno al tema, sempre inquietante, dell'antropofagia.
Non vorrei che, a questo punto, si fosse ingenerata una falsa impressione, e
cioè che, visto che i WaNande sono il nostro punto di partenza, e visto che il discor-
so andrà a parare sull'antropofagia, allora i WaNande sono dei cannibali. No, i Wa-
Nande non sono cannibali, non mangiano carne umana, anche se pure i WaNande
- come un po' tutte le società umane, ivi compresi naturalmente gli antropologi -
conoscono e trattano il tema dell'antropofagia.
Il settore della cultura nande in cui affiora questo tema coincide in larga misura
con un insieme di credenze che si riferiscono a esseri marginali: si ritiene infatti -
ma è solo una credenza - che certe donne, perlopiù giovani, non sposate o senza fi-
gli o che, sposate e con figli, hanno mal accettato i tipici ruoli femminili, si radunino
fuori della società, o del villaggio, di notte, per cibarsi di carne umana, carne di
bambini o carne di cadaveri, ossia di individui che non sono ancora entrati a pieno
titolo nella società (i bambini) o di individui che ne sono usciti (i morti).
La marginalità sociale di queste donne "mangiatrici" (cosi infatti le chiamano i
WaNande con il termine avah) si rispecchia o si manifesta nella loro azione e nel lo-
ro supposto, immaginato comportamento cannibalico, cosi come è richiamata dalla
marginalità degli esseri verso cui si rivolge il loro cannibalismo. Come spesso succe-
de nelle varie società umane, il cannibalismo - reale o, il più delle volte, immagina-
rio - si coniuga con la marginalità.
I WaNande offrono però un punto di partenza anche in un altro senso, non già
collegando semplicemente il cannibalismo a forme di marginalità (donne marginali
le quali mangiano esseri marginali, non ancora o non più veramente umani), bensi
collegando esplicitamente il mangiare all'umanità, all'essere umano, all'essere degli
uomini. Probabilmente si potrebbe applicare ai WaNande la formula Homo est
quod est, «l'uomo è ciò che mangia», che noi conosciamo soprattutto nella versione
feuerbachiana e a cui diamo perlopiù un significato riduttivamente materialistico.
In effetti, tra i WaNande vi sono vistose tracce o spunti di pensiero che potrem-
mo - per intenderci - definire materialistico: per esempio, la loro insistenza sulla
voracità umana e sulle figure che più la esprimono - come I' omuli mubi, letteral-
mente il "mangiatore cattivo", che è smodato e non sa controllarsi e che non rispet-
ta un limite quantitativo nell'ingestione di cibo e a cui corrispondono, sul versante
femminile, donne che per la stessa voracità infrangono invece limiti qualitativi, ov-
vero tabu alimentari relativi a certi tipi di cibo.
L'intera vita umana è tratteggiata dai WaNande come una lotta, una "guerra"
(o/uhi) in cui protagonista è il "ventre": enda ni /uhi, "ventre è guerra" o - dicono
sempre i WaNande - enda ni tumo, "ventre è lancia". Sono i bisogni alimentari del
"ventre" (enda) i motivi che stanno alla base di quella fosca visione hobbesiana che
i WaNande esprimono con la tesi omundu-mundu ni /uhi, "l'uomo in quanto uomo
è guerra".
Si potrebbe cogliere un riflesso di questo materialismo o - per meglio dire -
alimentarismo nande in quella che definiamo una convergenza semantica, oltre che
fonetica, e che costituisce uno dei nuclei centrali del nostro discorso: in kinande il
termine obu-ndu significa, insieme, "umanità" (l'essere, la realtà, la condizione es-
senziale dell'uomo) e un cibo che non sapremmo tradurre meglio che con "polen-
ta": obundu per i WaNande è infatti quel cibo che si ottiene mescolando in acqua

142 ----------------------------
----------------------- FRANCESCO REMOTTI

bollente farina di maioca, di miglio, di mais, o di banane e che, col suo aspetto di
massa piuttosto consistente ed elastica, accompagna qualsiasi altro cibo (carne di
gallina e di capra, pesce affumicato, fagioli, funghi ecc.) e che, a differenza di altri
cibi, non manca mai nei loro pasti.
Curiosa questa coincidenza di "umanità" e di "polenta"; tanto più che con
tutto il loro alimentarismo o materialismo alimentare, ci si poteva forse aspettare
che il concetto di "umanità" venisse fatto convergere da parte dei WaNande, o
quanto meno posto in connessione, con il "cibo" in generale. Invece il "cibo" in ge-
nerale (eby-a/ya) si trova collegato, oltre che con il verbo "mangiare" (eri-rya), con
la "mano" (eby-ala), la quale è tanto la mano destra quanto la mano sinistra e -
esattamente come il cibo - è termine tanto singolare quanto plurale. Alla genericità
e neutralità del "cibo" e della "mano" (e del "mangiare") fa contrasto la particola-
rità del cibo obundu (la "polenta") con cui viene fatta convergere o coincidere lin-
guisticamente I' "umanità".
L'alimentarismo nande comincia cosi ad assumere connotazioni più specifiche;
e nel momento in cui non soltanto ricordiamo che il cibo obundu è onnipresente sul-
la tavola nande, ma soprattutto collochiamo i WaNande in un contesto etnologica-
mente appropriato, queste specificazioni divengono culturalmente più significative.
Il contesto etnologico è l'area dei Bantu interlacustri, e i WaNande si trovano al bor-
do occidentale di quest'area, a contatto diretto con la grande foresta equatoriale.
Ma un contesto culturale, o un'area etnologica, non è un mero contenitore na-
turale di una pluralità di etnie; è invece uno spazio in cui si condividono alcuni luo-
ghi e alcuni principi e in cui, però, ci si divide su certi altri. È uno spazio polemico
(potremmo dire) di convergenze e di divergenze, in cui la propria identità etnica o
culturale può essere guadagnata soltanto mediante differenziazioni, opposizioni,
negazioni, rivendicazioni, oltre che condivisioni e partecipazioni.
Nell'area dei Bantu interlacustri - come è stato dimostrato da Piero Matthey
nella sua relazione - ci si divide, ci si oppone, ci si differenzia mediante il cibo; il ci-
bo è criterio di identificazione e quindi di differenziazione. E se il cibo si configura
come criterio di identificazione, è inevitabile che il cibo e il mangiare diventino og-
getto di selezione. Ne ha già parlato Matthey; ma qui non possiamo non ricordare
sinteticamente il quadro assai nitido che ci presenta il Rwanda con la sua stratifica-
zione sociale.
Alla base della piramide sociale i BaTwa - i pigmei o pigmoidi - che amano
mangiare enormemente, di tutto e in maniera molto irregolare, quando capita, e so-
no disprezzati proprio per questa irregolarità e casualità del mangiare e perché man-
giano anche carne. A un gradino superiore i contadini Hutu, i quali mangiano due
pasti al giorno e soprattutto prodotti vegetali. Infine gli affilati pastori Tutsi, i quali
riducono la propria dieta a un pasto serale e la cui alimentazione è più liquida che
solida: per i Tutsi è quasi vergognoso il bisogno di nutrirsi e non confacente con la
loro dignità. Anche nell' Ankole i pastori BaHima privilegiano nettamente la dieta
liquida (birra di miglio e latte) e separano accuratamente l'assunzione di cibi cotti di
origine vegetale,tipici dei contadini, dall'ingestione di latte, in modo che i due tipi
di cibo (quello dei contadini e quello dei pastori) non s'incontrino e non si mescolino
nel loro stomaco.
Su questo sfondo etnologico va collocata l'idea nande della convergenza o coin-
cidenza di "umanità" e di "polenta", cioè di un cibo particolare e tipicamente con-
tadino, antipastorale (si potrebbe dire). Con questa convergenza i WaNande com-

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HOMO EDENS --------------------------

piono un'operazione non solo di identificazione, ma anche di rivendicazione; come


se i WaNande, i quali nel passato hanno lasciato alle loro spalle i regni interlacustri,
spingendosi sempre più verso Ovest, volessero non solo affermare la loro identità
contadina, ma anche rivendicare a sé il senso dell'umanità.
La vera umanità è quella che coincide con quel particolare cibo che è obundu; si
diventa uomini reali e veri, autentici, non già ingerendo latte - e quasi solo latte, e
per giunta latte crudo (come fanno i pastori, e i bambini)-, bensl mangiando quo-
tidianamente quel cibo di origine vegetale, che si ottiene facendo essicare manioca o
banane, pestandolo e riducendolo in farina, mescolandolo all'acqua bollente sul
fuoco: cibo vegetale, trattato a lungo e cotto (i WaNande disdegnano i cibi crudi e
trovano inconcepibile che gli Europei mangino verdure non cotte: mangiare insalata
- mi è stato fatto notare con disgusto - è porsi sullo stesso piano delle capre che
brucano l'erba).
Insomma, se il mangiare non è semplicemente il mangiare comunque e qualsiasi
cosa (secondo un modello pigmeo), ciò significa: 1) che vi è una variabilità, ma an-
che, e più radicalmente, una sorta di revocabilità e di precarietà dell'essere umani; vi
è un "ne va", ovvero la possibilità di porre in questione il senso dell'umanità: dal ci-
bo che si mangia dipende l'essere o meno umani, o l'essere più o meno umani; 2) che
proprio per questa variabilità e precarietà occorre ribadire, confermare e realizvue
quotidianamente questo senso di umanità (obundu è per i WaNande la dieta giorna-
liera): tutti i giorni a tavola si afferma, si decide come si debba essere umani.
Questa dipendenza dell'umanità, del tipo o del senso dell'umanità da ciò che si
ingurgita e si introietta è - credo - un insegnamento di saggezza,ma anche uno
stimolo teorico fecondo che ci proviene dai WaNande, dai Bantu interlacustri o da
altri ancora. La messa in questione dell'umanità in dipendenza dal cibo, dal tipo di
cibo, fa capire che non si tratta soltanto di cibo, o meglio che nel cibo e nelle modali-
tà specifiche di trattamento e di assunzione del cibo è in gioco il rapporto tra ciò che
noi siamo (o che intendiamo e decidiamo di essere) e ciò che introduciamo in noi per
essere quelli che siamo o, meglio, per divenire ciò che intendiamo essere: parlando di
cibo, si parla di essere e di umanità. WaNande e altri "primitivi" in fondo ci dicono
che non è affatto indifferente ciò che si introietta rispetto a ciò che si vuole mantene-
re o perseguire, che è sempre problematico il rapporto tra il materiale che introiettia-
mo e le forme che dovrebbero riceverlo per alimentarsene.
Formati sulle Critiche kantiane, coltiviamo abbastanza spesso l'immagine di
"noi" come aventi uno stomaco di ferro: non importa cosa ci ficchiamo dentro, tut-
to viene triturato, sminuzzato e digerito senza che ciò provochi un'alterazione delle
strutture formali. L'immagine dello stomaco formale, indifferente ai contenuti che
via via vi passano, è fatta propria da un antropologo come Lévi-Strauss in un capi-
tolo della sua prima Antropologia strutturale. Ma oserei dire che quest'immagine
dello stomaco formale, inattaccabile dai cibi che vi transitano, è più filosofica che
antropologica; corrisponde più al pensiero filosofico occidentale, nella misura in cui
ha significativamente messo in ombra il tema dell'alimentazione, di ciò che passa
dall'esterno all'interno, per tendere invece al salvataggio della purezza dell'essere e
delle strutture.
Corrisponde meno al pensiero antropologico, il quale è, al contrario, un tenta-
tivo continuo di fagocitazione, una disposizione a cibarsi assai più sregolata e impu-
ra, meno tabuizzata e selettiva. Con tutta la loro selettività, con tutto il loro senso
della purezza, con tutti i loro alimentari e intellettuali, con tutto il loro sapere cosi

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------------------------ FRANCESCO REMOTII

cosi affilato, i filosofi occidentali moderni ricordano un po', in certi casi, i pastori
del Rwanda e dell' Ankole, per i quali il bisogno dell'alimentazione era disdicevole.
Non v'è dubbio che, più del ventre e della sua capacità di assimilazione, la nostra
cultura, specialmente filosofica, ha privilegiato l'occhio e la sua capacità di esplora-
zione. Se n'era accorto Michel de Montaigne, il quale all'inizio del saggio sui "can-
nibali" aveva affermato: «Ho paura che abbiamo gli occhi più grandi del ventre, e
più curiosità che capacità. Abbracciamo tutto, ma non stringiamo che vento.»
È probabile che, proprio in un'ottica che risale a Montaigne, l'antropologia
possa configurarsi come il "ventre" della civiltà occidentale, o meglio come un'im-
presa il cui scopo è esattamente quello di procurarsi cibo umano, "proteine simboli-
che" e culturali (rubando l'espressione alla relazione di Pietro Scarduelli), una sorta
di ''caccia alle teste'' praticata in ogni angolo del mondo per alimentare un corpo-
quello della nostra civiltà - il quale, proprio cosi, viene modificando le proprie
strutture.
L'antropologia insomma come una sorta di antropofagia culturale, nobile e ge-
nerosa come i cannibali di Montaigne? Oserei dire di si, perché alla base di questa
fame di umanità che anima tanto gli antropologi quanto gli antropofagi vi è la sen-
sazione più o meno segreta, ma comunque tormentosa, che l'umanità che essi rap-
presentano è pur sempre soltanto un pezzo di umanità, un'umanità parziale e ineso-
rabilmente limitata. Antropologia e antropofagia sono il riconoscimento di questi li-
miti intrinseci e anche il tentativo, più o meno nobile e generoso, ancorché in certi
casi repellente, di conquistare o di assimilare altri pezzi, altri bocconi di umanità.
Esse sono dunque l'ammissione che le società umane non bastano mai a se stes-
se e che, per quanto contemplino le proprie forme o strutture, non possono mai rite-
nersi appagate e debbano sempre ricercare altrove, presso gli altri, una qualche altra
umanità o - se si vuole - disumanità, come un cibo di cui nutrirsi, fosse anche di
nascosto. Essenziale all'umanità non è soltanto la preservazione delle proprie strut-
ture, la regolazione a priori del flusso dell'esperienza, la selezione e la tabuizzazione
del cibo e dell'alimentazione, la limitazione e modellazione di ciò che passa dall'e-
sterno all'interno; essenziale è anche - per ricorrere ancora una volta a Montaigne
- la degustazione di queifruicts sauvagesche, proprio per essere cosi diversi dai no-
stri, sembrano tanto "eccellenti".
Montaigne riteneva che il sapore di questifruicts sauvagesfosse dovuto al fatto
che non erano coltivati, mentre i nostri lo sono; ora noi sappiamo che anche quei
Jruicts sauvagessono prodotti della cultura e non della natura, esattamente come i
nostri. Ma nonostante che la differenza tra i nostri frutti e i loro sia soltanto più una
differenza di cultura (e non di natura/cultura), il loro sapore e la loro «delicatezza»
(per usare sempre le parole di Montaigne) non sono venuti meno e - quello che più
conta - non è venuta meno, anzi si è vieppiù rafforzata in noi, l'esigenza di cibarse-
ne, cosi come si è accresciuta la consapevolezza che questa antropofagia culturale,
questa alimentazione inter- o trans-culturale non è peculiare ed esclusiva, e dunque
non è riservata soltanto alla nostra civiltà: la praticavano anche i "cannibali" di cui
Montaigne ha cosi bene intravista la nobiltà e la generosità.

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CIBO DEGLI DEI E CIBO DEGLI UOMINI:
''MAGMENTUM'' E ''MACTARE''
''ADOLERE-ADULTUS''
E ''ADOLESCO-ADULESCENS''

di Aldo Prosdocimi

Questo scritto, già troppO lungo, risponde solo alla seconda parte della comunica•
zione. Richiamo solo i temi esposti nella prima parte in rapporto all'Italia antica;
più che come temi sono presentati come un repertorio problematico da proporre a
riflessioni e approfondimenti (alcuni di questi sono o saranno sviluppati dall'autore
in altre sedi). In particolare:
1) L'epoca di confezione della mola tra 7 e 14 maggio, tramite spighe in fiore o ap.
pena defiorite, e non tramite grani (non ancora formati, neppure in nuce); il loro
essere conditae(rapporto con Opiconsivia?)per poi essere salate in certe date per
la mola salsa;livello di conoscenza o confusione di questa mola con altri prodotti
cerealicoli da grani per uso sacro.
2) Status negativo delle conoscenze sulla cucina del sacrificio a Roma rispetto alla
Grecia; esemplificazione nelle exta au/icocialctalesse accanto a quelle arrostite
(in veru), esemplificazione nel popa "vittimario, che ha il coltello" ma che cuoce
(*k"'ok"'adella radice di coquo) in quanto, prima, taglia.
3) L'opposizione "carni - cereali" nei riti italici delle iovile capuane e in un rito
iguvino di distribuzione compartecipativa delle carni, tipo Latiar, con in più lo
scambio proporzionale di pezzi di carne da parte del collegio sacerdotale con ra-
zioni di farro da parte di comunità paganiche.
Richiamavo infine, come transizione al fuoco della relazione, la misconosciuta dot-
trina del sacrum dare (vs. sacrafacere) che è alla base dell'etimologia di sacerdos
"qui sacrum dat": ovviamente "dà agli dei". Questo "dare" agli dèi è condizione•
conseguenza dell'essere sacrum e ha come conseguenza e fine la distruzione (ciò è
vero anche nell'Italia antica, ed è particolarmente chiaro nel rituale iguvino). Di ciò
tratto in lavori specifici (cfr. nota 29).
Il passo ulteriore era, se possibile, di vedere la motivazione ideologica, oltre il
banale richiamo al quasi•universale della distruzione nel sacrificio (ometto la copio-
sa bibliografia, segnalando però che anche quella generale si fonda o esalta la greci-
tà, trascurando, banalizzando o subordinando la romanità); si trattava di vedere
cioè se vi fosse una ideologia specifica, magari latente od obliterata come sovente o
normale nel rituale romano.
L'identificazione di questa ideologia, risalente a un passato remotissimo ma

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HOMO EDENS----------------------------

forse continuata più addentro del previsto nella teologia romana, è venuta da una
suggestione comparativa dall'India tramite il termine mactus che già J. Gonda (cita-
zioni appresso) aveva accostato all'antico indiano mah- di mahati, più spesso nel
causativo mahayati, ma che Lazzeroni - lasciando da parte le inclinazioni 'manai-
ste' di Gonda (sul "mana", v. più avanti) e attenendosi all'India, con esclusione
quindi della comparazione con mactare - ha decisamente riportato all'idea del "far
crescere", tramite il cibo sacrificale (e la preghiera e altro assimilabile al cibo), quin-
di riportando un principio interpretativo anche per il romano mactus e quanto vi è
collegato lessicalmente o semanticamente.
(So che l'amico Lazzeroni, cui dedico questo saggio, sta lavorando allo stesso
tema: ci siamo proposti di non parlare né delle vie né dei risultati per vedere se vi sa-
ranno delle identità - quindi conferme euristiche - e ciò non per sterile o vano lu-
dismo ma anche per un po' di divertissement).

Mactus/mactaree magmentum
Mactus/mactare è dagli antichi e dai moderni più o meno chiaramente, più o meno
implicitamente e/o con imbarazzo collegato a magmentum. È da qui che si deve ini-
ziare, perché qui vi è più confusione o equivoco nella dottrina (moderna più che an-
tica); di contro credo che proprio qui si possa trovare un iniziale ubi consistam.
Cito verbatim la voce magmentum del Thesaurus I.I.

magmentum, In. [cf. mactus, macto et ad formationem augmentum. J. B. H.] de origi-


natione et notlone: V Allo ling. 6, 112 v. supra I. 46. PAVL. FBST.p. 126 M. -um (magmenta-
tum Miiller) magis augmentatum (SBllV.auct. Aen. 4, 57 verbum [se. mactum) ... quasi magis
auctum, unde et -um dicebant, quasi maius augmentum). AllNoa. nat. 7, 24 p. 258, 14 (in ca-
talogo prosiciarum) -a, ... augmina. Gwss.t IV P. Plac. M 7 -um alii pinguissimum extorum,
alli secunda prosecta. Cornutus: 'quidquid mactatur', id est quidquid dis datur (distatur ve/
distratur ve/ distraitur codd.). t. t. in sacrificiis (cf. Liibbert, comm. ponti/. p. 129; Mar-
quardt-Mommsen, Rom. Staatsverw. 1/P p. 184; Wissowa, Rei. u. Kultus1 p. 418): LBx arae
Iovis Salon. (cn. III 1933) 7 si quis hic hostia sacrum faxit, quod -um nec protollat (i. quamvis
exta non deponat), idcirco tamen probe factum esto (cf. LEXarae Aug. Narb. [cn. XII 4333) 2,
16).

La dottrina antica su magmentum denuncia chiaramente la difficoltà di raccordare


il segmento trasparente mag- di magis con la funzione sacrificale, per cui tutto ciò
che cerca di spiegare mag- come semantica pertinente in quanto ideologia latina è a
priori sospetto (il che non vuol dire falso) e comunque è da subordinare a ciò che de-
finisce magmentum indipendentemente da mag-.
Ciò premesso si danno le seguenti caratterizzazioni (non necessariamente reci-
procamente esclusive):
1) È la parte sacrificale ( = data agli dei come distruzione) per eccellenza o la parte
sacrificale tout court.
2) È la parte sacrificale in quanto è magis auctam, con le eventualità:
a) senza specificazione;
b) in quanto aggiunta ad altra e quindi come "accrescimento"; in questo caso:
e) viene in collisione con augmentum: sinonimia o diversa funzionalità?
3) Viene collegata con mactare all'insegna del mag(is) augere.
Malgrado od oltre le soluzioni tentennanti dei moderni I la soluzione 1) è assicurata:

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------------------------ ALDO L. PROSDOCIMI

1) dall'apriori posto sopra: ove non ci siano tentativi paretimologici, il magmentum


è tout court la porzione sacrificale destinata agli dei;
2) nella /ex arae la prescrizione relativa al non protollere magmentum ha senso solo
se è una offerta normale non una offerta accessoria: significa che si può sacrifica-
re sull'ara in onore degli dei senza riservare loro una parte (secondo la dottrina
delle hostiaeanima/es)2; evidentemente non è una parte aggiuntiva ma la parte di
massima a loro spettante.
3) Anche dove magis auctum è dato come spiegazione non compare sempre che sia
"aggiunto": segno che magis auctum poteva essere una spiegazione anche ideo-
logica corretta (appresso) ma senza comportare l'accessorietà o, almeno, l'ag-
giunta. Lascio per ora da parte il fatto che magis auctum varrebbe ''ingrandito''
e non "aggiunto".
4) Decisivo (e conferma di 1) è l'aggettivo derivato magmentarius(anche sostanti-
vato), tanto più significativo perché non vi corrisponde •extarius riferito al sa-
crum normale e centrale, gli exta.
Anche qui riprendo verbatimil Thesaurus:
magmentarius, -a, -um a magmentum. i. q. ad magmentum pertinens: VAlUlO ling. S, 11:
magmentum (magn-f) a magis, quod ad religionem magis pertinet; itaque propter hoc -a fana
constituta locis certis, quo id imponeretur n. subst. magmentlrium, -um (Gw.u.L Il Pbilox.
MA24 -um if 'ovTekcmÀ«yxYU -n84uvcxToiç~ ~cxi): Cic. 31 putant ... ad me nonnulli
pertinere -um (se. fanum) Telluris aperire, nuper id patuisse dicunt. lbid. is quid illud -um su-
stulit (ac-codd.) utroque loco, corr. Mommsen.

Di per sé, secondo pura logica, un derivato riferito al sacrificio difficilmente si rife-
rirebbe a un elemento in quanto aggiunto. In più, in tutti e tre i casi, si tratta di of-
ferteTOTALI:
a) i magmentariafananon saranno, evidentemente, ifana delle offerte aggiunte ma
i fana delle offerte sacrificali, cioè i/ ana costituiti esclusivamente o preminente-
mente per sacrifici;
che, oltre che esserela "cosa", è
b) la glossa parla da sé, specialmente con <ntÀ«Y)(YCX
la normale resa del lat. exta (cfr. Char. gramm. p. 372.B ... exta. cm:À«Y)(YCX
T« ...
v. Thes. I. I. s. v. exta).
x«'ttm84',tv«13w110Tç;
e) il magmentarium Telluris,qualsiasi cosa sia 3, è certamente il contenitore di ciò
che è sacro di per sé e non per essere magisauctum = aggiunto.
Risulta che il magmentum è il sacrum che si dà agli dei, in quanto tale, la parte che
nel sacrificio viene distrutta 4 •
Questa constatazione è indipendente dalla dottrina (moderna?) per cui le prosi-
ciae sarebbero solo i pezzi degli exta tagliati e confezionati e il resto sarebbero addi-
tivi alle prosiciae:siano o no prosiciaesolo gli exta tagliati o gli exta con altri pezzi 5 ,
tutto questo in quanto si dà agli dei è magmentum.
Inoltre il concetto di "aggiunta" è assente dalla concezione antica sia per que-
sto termine sia per augmentum cui è correlato «augmentum quod ex immolata ho-
stia desectum in iecore < imponitur > in por(r)iciendo augendi causa»: non è tarda
la spiegazione di Varrone (/./. V. 112), quanto il fatto che si riferisca allo iecur che,
exta per eccellenza, NON Può rientrare nelle aggiunte.

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HOMO EDENS----------------------------

Posta questa acquisizione restano comunque gli aspetti collaterali connessi con
la spiegazione mediante "magis augere" (indipendentemente dall'aggiunta) e cioè il
rapporto con augmentum e con mactare. Si può porre a priori che il concetto di au-
gere non può essere una mera speculazione etimologica, tanto più che l'etimologia
porta evidentemente su magis, mentre augere non avrebbe ragione di entrarvi, co-
munque non più che, poniamo, un •agere:augeredeve pertanto avere avuto un va-
lore pregnante per il concetto di magmentum; poiché questo "augere" (o prossimo)
non è un "aumento-aggiunta" ne va restituita la pertinenza semantico-istituzionale.
La connessione con mactaregià istituita dagli antichi all'insegna del magis au-
gere può essere una faute-de-mieux per collegare termini non più trasparenti appar-
tenenti a uno stesso ambito ideologico, ma è estremamente improbabile: un magis
auctus per mactus è anche più inspiegabile che per magmentum, quindi ha probabi-
lità di essere significativo e pertanto "magis augere", li congiunge in un ambito fat-
tuale e ideologico comune, si rivela un buon filone di collegamento. Si aggiunga che
il collegamento formale all'insegna di una radice mag-di un verbo perduto •maglre,
già posto per mactllre/mactusnon solo è corretto ma è l'unico ragionevole.

Mactus/mactare
Mactare è all'evidenza un derivato di mactus; una presunta derivazione tramite
macte (Risch 1979) non ne infirmerebbe il principio, ma solo le modalità della trafila
(su ciò appresso). Pur essendo descriptus di mactus ne è autonomo per quanto con-
cerne i valori d'uso, non solo per aver sviluppato una semantica propria e una gam-
ma d'uso diversa dalla parola fondatrice - il che è la normalità nella diacronia -
ma per semantica e gamma d'uso non dovute a sviluppi: queste costituiscono per
una certa vulgata un punctum dolens tale da aver separato due mactare, omofoni
ma indipendenti, o da essere ricorsi a una derivazione particolare (mactaresacrifica-
le tramite la formula macte: Risch cit.). Crediamo invece che il punctum dolens,
correttamente inquadrato, sia il punctum explanans.
Mactus è essenzialmente forma di antiquaria e/o di formula (dal Thesaurus
1.1. con omissioni):
1. mactus, -a, -um. [a •magere 'augere' ve/ 'magnificare', quod quidam co,iferunt c. ma-
gnus, magis (v. Osthoff, Morph. Unters. 6,218 sq.), a/ii c. sanscr. ma.bayati 'tklectat, venera-
tur', lituan. mégti 'alicui piacere'. J. B. H.] de origine et notione: PAVL.FBST.p. 125 M. -us
magis auctus (PORPH.Hor. sat. I, 2, 31 magis aucte id est cumulate. NoN. p. 247, 36. SEav.
Aen. 9, 638 magis aucte, adfecte gloria [Ism. orig. 10, 165 m. auctus g.]. PIUSC.gramm. II
183, 8. GLOSS. L lII Abstr. MA S-6 magis aucte, maior facte. cf. eliam p. 21, 45). AaNoa. nat. 7,
31, p. 265, 9 amplificatus. ScnoL. Stat. Theb. 7,280 '-e animo' ut si diceret perfectae indolis
iuvenis; ... '-e nova virtute puer' (VERO.Aen. 9, 638) id est perfecte. Puc. Gloss.L IV M 8 -e
verbum est bene alicui optantis, ut Virgilius dicit '-e nova virtute puer', id est multum aucte,
hoc est magne puer et sublimis (Gtoss. L I Ausil. MA 108 multum auctus). GLOSS. L III Abol. MA
37 -e (mante codd.) amplissime.

A pertinet ad deos (a/iter p. 24, 29): /ere i.q. auctus, honoratus (ubique c. imp. esto (estote)
praeter I. 83: add. rei (rerum) ergo: CATOagr. 132, I. 134, 3. 139. 141, 3. 4 AcT. lud. saec.
Aug. I. 7S): NoN. p. 247, 36 est vocabulum sacratum. SEllv. Aen. 9, 638 est sermo tractus a
sacris, quotiens enim aut tus aut vinum super victimam fundebatur, dicebant '-us est taurus
vino vel ture', hoc est cumulata est hostia et magis aucta (lsm. orig. 10, 165). auct. ibid. in
pontificalibus sacrificantes dicebant deo '-e hoc vino inferio esto'. CAro agr. 132, 1 hac illace
dape pollucenda ((132, 2). 139 hoc porco piaculo inmolando. 141, 3 ter. Act lud. saec. Aug.
(cn. VI 32323) 141 heis )ibis libandis.98 -e hac agna femina inmolanda estote (cf. p. 24, 41)).
132, 2-e vino inferio esto (134, 3 -e isto ferto esto, -e vino inferio esto).

150 -----------------------------
--------------------------- ALDO L. PROSOOCIMI

B pertinet ad homines (res? p. 24, 34): at vox cum gratu/atione sa/utantis praeter CE 1519, 14
(v. i'lfra I. 46); primitus sermonis mUitarispropria est. I usussollemnis (-e c. sing.; esto addi-
tur I. 9. 13. 20. 22. pertinet ubique ad 2. pers. praeter Crc. Att. 15, 29, 3 i'lfra I. 35): a c. ab/.
causae(c. ab/. instrum. I. 47; I. 13 c. ab/. caus. et instr. coniunctis?): D01~.gramm. IV 378, 2
dignus munere, -us virtute (POMP. gramm. V 173, 10. 188, IO CoNSBNT.gramm. V 353, 11
Pmc. gramm. Il 550, IO OaAKM.suppi. 87, 4). filo. Bob. gramm. VII 544, 6 -e illa re dici-
mus, non illius rei. Vmo. gramm. epit. 5 p. 36, 14 H. laude digni, ane -i. PAcvv. trag. 146-e
esto virtute (fvu1L. com. 7 -e v. e. [Ho11..sat. l, 2, 31 LIV. 4, 14, 7, 22, 49, 9. 23, 15, 14. SBN.
epist. 66, 50 sanguinulentis ex acie redeuntibus dicitur. PETllON.94, I]. Ace. trag. 473 -e bis
armis, -o v. patris [Lvc1L. 225 -e ... v. simulque bis viribus (versibus a/.) esto. LIV. 7, 10, 4 ac
pietate (10, 40, 11)). Crc. Tusc. I, 40-e v. [Alt. 12, 6, 3 CALP.dee!. 3 Hm11..epist. 53, 8, 2. 60,
13, 1.141, 2CILXIII 10017, 30, VBllo. Aen. 9, 638-enova v. puer. SIL. 10,277-eov. pater-
na)».

Mactare,pur essendo considerato dall'antiquaria (ma molto meno che mactusle) è


forma viva nell'uso antico (cito excerpta dal Thesaurus/./.):
macto, -lvi, -Atus, -Ire. [a mactus; eo sensu q. e. 'immolart!' quidam vv. dd. separant a mac-
tare 'auctare, honorare', non recte J. B. H.) de notione (v. etiam p. 22, 15. 56) et origine:
NON. p. 341, 34 magis auaere (SBllV.Aen. 4, 57. 6,248 DIFF.Suet. p. 314, 22 al.). Su.v. Aen.
8, 85 auget, perficit (ScHOL. Stat. Theb. 7, 280 sacrum perfecisse). GLOSS.t III Abol. MA 26
(cf. I Ansi!. MA 93)-tae caesae (ve/-ti caesi); alias (-are) augere ((mactae:) -tae, caesae; alias
auctae ci. Linds., qui glossam ad Fest. p. I 25 M. revocat).

A i. q. auctare, ampliare, notione debilitata i. q. afflcere (cf. Hey, ALL 13, 1904, 223) ali-
quem aliqua re (ab/. instr. supplendo p. 22, 11): I bonis rebus (praecipue honoribus) i. q. ho-
norare, donare (NoN. p. 341, 23 honorare): a homines: ENN. ann. 301 inde redit magno -tus
triumpho. Ace. carm. frg. 8 M. sapientiae ... gratiaatque honoris pateraNestorem -vit aurea.
Crc. rep. 1, 67 eos .•. ferunt laudibus et -ant honoribus (LACT.inst. 5, 9, 11. cf. I, 15, 2 sum-
mis laudibus ac novis honoribus). b deos: NoVIVsAtell. 39 -o te bis verbenis, macta tu illanc
infortunio. Crc. Vatin. 14 puerorum extis deos manis. AllNOB.nat. 1, 41 p. 27, 13 Liberum .•.
fanorum consecratione. 1, 64 p. 44, 19 pulvinaribus, aris, templis, atque alio ... cultu. 7, 14 p.
248, 25 honorari ab homine deus dicitur et muneris alicuius oblatione -ari. 7, 16 p. 250, 5 ... 7,
22 p. 255, 21 si Minervae convenit virgines hostias immolari, ... ergo et musicis Apollo ... de-
bet ... -ari. 7, 23 p. 256, 12 honore .... c. bestias.VAUO Men. 2 grundit tepido lacte satur mola
-tus porcus (se. in sacrificio {cf. p. 22, 21}? ani. q. saginatus?). d res Crc. carm. frg. 3 (de
consul.), 14 laeto -asti lacte Latinas (se. ferias). AllNoa. nat. 2, 28 p. 71, 14 animas immortali-
tatis condicione -tas. 5, 8 p. 180, 20 hanc historiam perpetuitatis honore -astis. CE 1531 A9
(ca.a.450) Nymfa, ... nostra salutifero tu -as predia fonte. 2 malis (NoN. p. 342, 6 malo adfice-
re): a. generatim: ENN. scaen. 333 qui illum di deaeque magno -assint malo! ([A.PII.AN. com.
264 POMPON.Atell 137). PLAVT.Aul. 535 dotatae -ant et malo et damno viros. Most. 61 mala
re magna. Crc. Vatin. 36 quo etiam maiore -es malo -andus, quod. CYP11.. GALL.iud. 610 tam
gravibus -ta malis). PLAVT.Amph. 1034 te -o infortunio ([Hey cft. Rud. 654 infortunio dona-
bilem). Bacch. 364. 886 Cure. 537 Poen. 517 Trin. 993 TEa. Phorm. 1028 NoVIVsAteli. 39 [v.
I. 62). LAcT. inst. 5, 10, 14 divinitas ... gravii). V ... Amph. frg. I ego te cruce et cruciatu (cf. p.
22, 3)-bo Crc. Catil. I, 27 summo supplicio (1, 33 aeternis. Moo. dig. 48, 9, 9, I capitis poena
plectentur aut ultimo supplicio -antur. DECL.in Catil. 17 summis suppliciis summisque crucia-
tibus mulctandum ac -andum.

Bi. q. sacrificare, offerre, immolare (alicui) aliquid (NoN. p. 341, 27 immolare. SYNON.Cic.
Char. gramm. p. 431, 12, B. immolat. litat ... -at. victimat sacrificat adolet. OLOSS.t li
Philox. MA 6 Cl'P«YIGl;u):I proprie: CAro agr. 134, 2 fertum Iovi ommoveto et -to sic (134, 4).
134, 4 lano struem ommoveto -toque. VAUo frg. Non. p. 312, 16 dis vinum. 341, 34 fabatam
pultem dis. hostias caedendo (SEav. Aen. 4, 57 verbum sacrorum, lCCl't ,~qnui.u,µòv dictum [c/.
6, 248). auct. Aen. 4, 57 hostiae immolatae dicebantur mola salsa tactae; cum vero ictae et ali-
quid ex illis in aram datum, -tae dicebantur per t:,oni ominis significationem. Dln. Suet. p.

ISI
HOMO EDENS ----------------------------

314, 22 immolari dicitur bostia, cum mola salsa in caput adiecta est; -tum autem quasi magis
auctum, id est ampliatum [indepartim co""pte lsm. diff. app. 181 OIPF. gramm. suppi. 283,
15:)) PAcvv. trag. 289 coniungem -o inferis (PaoÌ>. 3, 7, 24 pro qua -ta est lphigenia mora.
Ov. met. 13, 185.448 placet Achilleos -ta Polyxena mancs. lb. 465 al. LIV. 9, 40, 9 hostes se
Orco -are [i. devovere; cf. 4, 19, 3. IO, 28, 13 iam ego mecum bostium legioncs -andas Telluri
ac diis manibus dabo.

Ci. q. interficere (SYNON. Cic. Char. gramm. p. 415, 3 B. prostravit. perculit. -vit... abiecit
elisit GLOSS.L Il Pbilox. MA 7 -ari CÌYcxr.pi~1): I proprie: a strictiore sensu (subi. res.:I. 62. 74.
p. 23, 8): Ace. trag. 52 utinam me suis Diana telis -asseti ([SBN.Oed. 872). cf. ac. cann. frg.
22 [div. 2, 64), 26 avis taetro -tas dente draconis.

Clc. Pis. 16 in Catilinae busto ... -tus cssem tamquam hostia (SALL.rep. 2, 4, 2 multi adule-
scentcs sicutei hostiae -ti sunt [VAL. MAx 2, 7, 6, 9, 7 mii. Rom. 2). Vuo. Aen. 2, 667. LIV.
39, 43, 4 -tam humanam victimam esse [42, 29, 2, 42, 40, 8 0cTAVIA 146). cf. CI.AVD.DoN.
Aen. 10, 412). Lvca. 6, 1241. hos poenibat ... turpi morte (cf. supra/. 4) ••• desertos, opis ex-
pertìs incuria -ans (cf. 6; 805 plagae mactabilis).

Mactare"interficere" è evidentemente un valore derivato da mactare"sacrificare".


Restano i due valori "auctare" e "sacrificare" apparsi inconciliabili cosi da sepa-
rarli "non recte", secondo J. B. Hofmann, che però né qui né, a quanto mi consta,
altrove (WALDE-HOFMANN II s.v. mactus), offre motivazioni oltre l'affermazione,
cosi che RlscH (1979 cit.) cerca di risolvere il dilemma (che, si vedrà, è pseudodilem-
ma) mediante una nuova proposta per l'origine di mactare "sacrificare". Egli ipo-
tizza l'incrocio di due formule, tipo «mactus (hoc/erto ... ) esto» e «macte (hoc/er-
to)» (vocativo). Dalla formula macte hoc/erto deriverebbe come verbo delocutivo 6
mactare,che significherebbe« ... nichts anders als "die macte-Formelsprechen"».
La derivazione proposta implica due diverse derivazioni di mactare:
□ mactllre"sacrificare" da "macte" come delocutivo
□ mactllre"auctare" da "mactus" come denominativo.
Se da un punto di vista genetico (della genesi remota) l'origine è comune, da un pun-
to di vista della genesi prossima - che è quella pertinente - quindi a maggior ragio-
ne dal punto di vista sincronico, Risch è per due mactare.
L'idea è suggestiva ma - prima delle considerazioni semantiche che si produr-
ranno appresso - ha una difficoltà intrinseca dirimente in senso negativo; secondo
il parallelo:
denominativo salvus ➔ salvare'salvare'
delocutivo salve ➔ salvtre 'salutare' = 'dire la formula 'salve'
si sarebbe dovuto avere:
denominativo mactus ➔ mactare'auctare'
delocutivo macte ➔ *macttre'dire la formula 'macte'
E ciò è dirimente in senso negativo, poiché non si tratta di un parallelo fortuito o oc-
casionale, tale da essere disatteso secondo il principio che ogni derivazione può ave-
re una sua storia (quindi un proprio iter morfologico), ma perché si tratta di un pa-
radigma strutturale e/ o funzionale: dove è possibile, in quanto si danno determinate
condizioni di partenza, denominativo e delocutivo assumono morfologia diversa.
Il tipo di lat. salutarenon è una controbbiezione, ma una conferma: salutareè
prevalentemente, quasi esclusivamente delocutivo (o della 'casella' del delocutivo),

152 ----------------------------
------------------------ ALDO L. PROSDOCIMI

come si evince dalla voce del Lewis-Short: salutare"to keep safe" è praticamente
inesistente rispetto a "to great, wish health to" ecc. (e derivati). Ciò risponde a due
premesse congiunte: la base di partenza non offriva - di per sé - una forma diffe-
renziata; il derivato doveva tendere a corrispondere a un solo valore, nel caso quello
delocutivo (o paradelocutivo): l'esclusione pressoché totale del valore denominativo
è il corrispettivo in absentia della polarizzazione sa/verevs. salvare.
Un mactaredelocutivo di macte in presenza di un mactaredenominativo di
mactusè pertanto escluso formalmente.
Resta però il fatto che l'ingegnosa soluzione di Risch rispondeva a un dilemma
semantico, la conciliabilità dei due valori di mactarein sé e in rapporto a mactus.
(Per quanto concerne macte ne resta la problematicità: ma questo è un problema
specifico e successivo; è un obscurius da spiegare se si può, da lasciare nei limiti delle
ipotesi o da lasciare inspiegato se non si può: su ciò anche appresso).
Si è anticipato che il dilemma dei due valori è uno pseudod.ilemma: si può mo-
strare che come mactare"uccidere" deriva da mactare"sacrificare", cosi mactare
"sacrificare" deriva o è specializzazione di mactare"auctare".
La configurazione
"magis auctus (> honoratus)"
mactus(-e)
0
rispetto al derivato
"magis augere, auctare ( > honorare)"
mactlire
"sacrificare"
indica che l'equivalenza sincronica è una sequenza di diacronica propria del derivato
di mactus,mactare:«magis augere, auctare (> honorare)» > "sacrificare".
A parte la figura per cui mactusconserva - anzi come non più vitale se non in
formule e linguaggio sacrale (da cui l'antiquaria e la poesia) non può che conservare
il valore più antico - il buon senso (che, tradotto in pillole, si chiama anche 'meto-
do') ci dice che "sacrificare" è valore derivato in quanto più vitale e in espansione
(cosi da produrre il valore "interficere") e, insieme, perché meno motivato rispetto
alla partenza mag-, che, a sua volta, era motivata nel contesto di magise magnus.Il
tutto con la premessa che si abbia uno stesso verbo, il che, a rigore, è ancora da di-
mostrare; meglio, sono da precisare i termini per cui non può che essere genetica-
mente lo stesso verbo, con specializzazioni semantiche che hanno importato coesi-
stenze sincroniche dei valori, ma con un andamento diacronico "auctare" > "auc-
tare-sacrificare" > "(auctare) sacrificare" > "(auctare) sacrificare, interficere"
(ritengo sia esistita anche una fase "(sacrificare) interficere" testimoniata in forme
romanze come spagnolo matar:ma di questo, che va contro antiche e nuove spiega-
zioni [Malkiel) tratterò altrove).
Il discorso è semplice: una omofonia di due mactllrenon geneticamente connes-
si è impensabile. Esclusa la trafila mactusvs. mactedi Risch, non resta che l'unita-
rietà genetica, quale denominativo, poi differenziatosi nel senso visto. La differen-
ziazione è logicamente successiva non solo a una simultaneità sincronica dei valori
ormaidistinti, ma a una simultaneità di valori entro una unità concettuale non anco-
ra distinta, o, meglio, distinta forse come applicazione semica ma compresente nel-
1'unità concettuale: e questo è un livello di cui va fissata, se possibile, la cronologia
relativa non tanto perché è una meta della ricostruzione, ma perché, in quanto rico-
struita, è una spiegazione, oltre che per il livello sincronico cui pertiene, anche per
gli sviluppi che ne conseguono.

---------------------------- 153
HOMO EDENS ----------------------------

Questo "punto" o "livello" di unità concettuale trova rispondenza nella confi-


gurazione semantica di magmentum che, come si è mostrato sopra, è insieme un
"magis augmentum" e l' "offerta agli dei": "offerta agli dei" porta la tessera man-
cante al collegamento fra mactare"auctare" e mactare"sacrificare", e precisamen-
te quella tessera che la componente semica "honorare" del valore "auctare" faceva
prevedere: l' "auctare" diventa (o "è" anche) "sacrificare" tramite l'area concet-
tuale di "offerta agli dei".
Tornando a mactus, è da riaffermare che il "magis auctus" - al pari che per
magmentum, ove non sia interpretato come "aggiunta" - è una etimologia conte-
nutistica non più capita dagli antiquari latini che risponde perfettamente a una im-
peccabile etimologia formai e: mactus è il participio di un •maglre non attestato, al-
la base di magnus, quasi-participio come dDnum, a. ind. diJna-lo è della radice diJ
(•deH3). mactus è dunque 'l'accresciuto', 'l'ingrandito' in uso nella terminologia sa-
crificale e mactare, denominativo, significa "accrescere, ingrandire" e insieme "sa-
crificare''.
Ciò è vero prima e indipendentemente dal problema posto da macte nei giri sin-
tattici in cui si trova: mactus è la spiegazione e macte è l'obscurius che può essere o
no spiegato ma che non può, come obscurius, essere fonte di spiegazione quando si
sia escluso che mactarene sia un delocutivo.
Riassumendo: mactus "magis auctus" è termine sacrificale; mactare "magis
augere" e "sacrificare" riproducono la figura semantica di magmentum "magis
auctum" e "parte sacrificale": la congiunzione preservata dagli antichi sulla base
della corradicalità ancora trasparente è dunque valida in assoluto.
Il latino documentale conserva dunque la semanticità di una serie lessicale or-
mai disintegrata, ma non è in grado di restituirne le applicazioni pragmatiche: si sa
che magmentum è un "accrescimento", come mactus è l'"accresciuto" e mactareè
l'accrescere-ingrandire, ma non si sa perché questo è detto, anzi è per lo più specia-
lizzato, di quello che si offre o sacrifica alla divinità. L'assenza di motivazione nel
rituale di Roma non è una particolarità di questo caso. Tuttavia questo caso, per ac-
cidentalità o fortuna, permette di proseguire tramite la comparazione.
J. GoNDA(1959) ha rivendicato l'unità di sscr. mahas nel senso di "offerta agli
dei" intesa come 'accrescimento' e, insieme, di vedico mah- (pp. 472-3)

The eight different meanings of mah-, mdhati etc. given by Grassmann 7 resolve themselves
into one: "to make (orto be) great(er)" which, in the religious and ritual sphere comes to: "to
fortify, to strengthen, to a being's greatness or majesty - i.e. superiority to common condit-
ions" maintain. The verb - which in the atmanepadam may mean: "to become or be great":
8, 12, 6 - admits, generally speaking, of a double construction: either the name of the god
whose greatness is to be maintained 8 is the accusative, or an object which is to be presented to
the god. In translation the choice of the most suitable English equivalent may of course
depend on the context.

L'inizio dell'articolo si apriva con un interrogativo di comparatistica relativa al


rapporto tra sscr.mah-e latino mactas/mactiJre;dopo la lunga peregrinazione di fi-
lologia indiana l'articolo si chiude ritornando a mactus (pp. 481-2):

Let us finally return to the above-mentioned controversy with regard to the Latin verb
mactare. Like mahati this verb occurs in double construction: deos extis mactare means "to
strengthen the gods through sacrifices", i.e. "to magnify, glorify, honour, worship"; but also
beyond the religious sphere: to present, rcward, or honour with anything good or bad:

154 ----------------------------
--------------------------- ALDO L. PROSDOCIMI

macto:rehonoribus "to heap honours on, extol" etc. deis hostiam mactare originally means
"to strcn,thcn a sacrifice on behalf of the gods", i.e. "to sacrifice ... " 9 • This verb obviously
derives from the adjective mactus which, in religious language, means "glorified, honoured
(by presents etc.)", whereas, beyond that sphere, it is an exclamation of applause or congratu-
lation •0 • The expression mactus vino therefore originally meant "stregthened by means of
wine" (in a religious sense), mactus virtute "fortified by (deeds of) valour or courage"; being
a formula of congratulation the latter pbrase may, with or without the imperative, be trans-
lated by "increase in valour, go on in excellence". The adjective mactus no doubt belonged to
a no longer extant verb • mag-ere which must bave meant "to make great(er)" (cf. mag-is
"grater, more"), The adjective has no doubt been preserved in a specialized sense, the deriva-
tive macto:realso admitting of a "bad meaning", viz. "to afflict or trouble a person with .. ":
cf. e.g. magno mactare malo "to afflict with great evil", which, I suppose, may bave 'origin-
ally' meant: "to make somedoby greater (to increase him) with a great evil, to heap evil on
him"'. In consideration of alJ this is beyond doubt that • magere, mactus, mactare belong to
magnus "great" and to the above Sanskrit words. lf I bave been right in assuming the identity
of mdhas "gréatness, majesty" and mdhas "religious festival or ceremony" and in regarding
mahayati "to make great, magnify etc." as closely relateci to mah- "great", there is no longer
any rational ground for the much discussed alternative: does the Latin mactus belong to
m4has "greatness" orto mdhas "festival"? 11•

Secondo questa prospettiva si avrebbe un primitivo valore astratto dell"'accrescere


= essere grande", conservato in entrambe le tradizioni ma con una fissazione tutta
romana nel concreto "sacrificare" a Roma. Questo valore astratto era stato rivendi-
cato per Roma poche righe sopra contro la concretezza già sostenuta dal Wagen-
voort (1947 "Rom. Dyn." p. 119 sgg.).
Ma il discorso è parziale perché non rende conto di magmentum che, come of-
ferta può si essere una concretizzazione romana di un concetto astratto, ma che invi-
ta comunque a una revisione generale. La materialità di mah- in ambito indiano è
stata rivendicata da R. LAZZERONI (pp. 48-50; anche al seguito di H. LODERS,Varu-
na II pp. 555 sgg. e 559; sulla ideologia di vrdh "crescere").
Dopo alcuni esempi relativi a mahas come crescere materiale, Lazzeroni ripren-
de Liiders e conclude (cito eliminando le note implicite nei riferimenti già dati):

H. Liiders ha mostrato che nell'ideologia vedica l'inno rituale, la preahiera, sono equiparati al
cibo e alla bevanda sacrificale e producono sul corpo degli dei lo stesso accrescimento mate-
riale: «proprio come la bevanda e il cibo sacrificale saziano nutrono e rafforzano il dio nel
corpo, cosi anche per mezzo del canto si ottiene un rafforzamento non del suo senso soggetti-
vo di forza, ma della sua forza e grossezza oggettiva».
R V, III, 34, 1: brahmajatas tanvll vllvrdhllnobharidlltrailpf(lad rodasTubhe «Stimolato dal
brahman-, accresciuto nel corpo, il munifico (se. lndra) riempi i due mondi»
RV, VII, 19, 11: nQ indra Jara stavamllnaQ/1brahmajatas tanvll vavrdhasva«Ora, o signore
lndra, invocato per l'aiuto, stimolato dal brahman-, rafforzati nel corpo».
L'equiparazione del componimento religioso al cibo sacrificale sta, dunque, alla base del va-
lore concreto di mah-: la preghiera, proprio come il cibo sacrificale, è il nutrimento degli dei e
li rafforza nel corpo rendendoli capaci di rafforzare, a loro volta, chi li prega 12• Se, dunque, è
vero che mah-, riferito agli dei, caratterizza la loro superiorità rispetto alla condizione uma-
na 13, è anche vero che questa superiorità implica una precisa nozione fisica.
Il principio non è privo di riferimenti tipologici: nel pensiero cosiddetto primitivo, ha os-
servato S. Eitrem ", le dimensioni superumane caratterizzano spesso la rappresentazione de-
gli dei e dei eroi 15•

[Faccio notare - qui en passant ma con pregnanza più sotto a proposito di alo:
•- oleo - che mah- compare più spesso al causativo senza sostanziale differenza di si-

155
HOMO EDENS -----------------------------

gnificato: esempi in Gonda cit., cfr. Lazzeroni cit.]. La tesi di Lazzeroni (-Liiders)
ha tanto più valore perché è del tutto svincolata da lat. magmentum; ma una volta
che si è dimostrato che latino magmentum - connesso con l"'augere" (cfr. il deri-
vato mactllre).......
è il sacrum che 'si dà' agli dei (e quindi si distrugge, v. Pltosoocno
1985, "Sacerdos"; 1984, "Rite", cit.), il tutto viene a configurarsi nel senso che ciò
che si dà agli dei li 'accresce': questa ideologia indeuropea antica e tipologicamente
arcaica si è poi fissata nelle singole tradizioni in armonia coll'evoluzione ideologica
specifica: verso l'ideologizzazione e l'astrazione in India (anche in connessione con
le fonti innologiche), con conservazione della concretezza nello strumento sacrifica-
le a Roma (anche in connessione con le fonti rituali che, però, conservano il senso
dell'augere).
Adoleree connessi
Da quanto visto finora il sacrificio concerne la distruzione di una parte per gli dei
(sacrumdare);questa parte, come si desume da mactus e magmentum, era concepita
come strumento che "fa crescere" gli dei. Questa "crescita" potrebbe restare nel-
l'ambito di un crescere del "mana" che, qui come altrove, prima che errata, è una
non spiegazione (cfr. anche appresso). La giunzione dei fatti vedici e italiani propo-
ne che lo strumento della crescita sia stato il cibo, qui cibo degli dei.
Si può mostrare che il cibo dei dèi era differenziato dal cibo degli uomini per es-
sere "degli dei" cioè a loro destinato ("sacrum" in termini italici) ma non per essere
un cibo speciale, cioè non era un cibo speciale nella funzione che è propria allo sta-
tuto di 'essere cibo'. Ciò porterà lontano, fino alla ricostruzione di una articolata
unità concettuale di cui sarà da valutare oltre o più che la posizione ideologica e
strutturale, l'evoluzione.
Il termine chiave dell'operazione è il verbo adoleo 16 di cui va rivista la posizio-
ne, chiarissima agli antichi ma oscurata o banalizzata dai moderni etimologi. Ri-
prendo verbatim la prima parte della voce del Thesaurus(I, col. 793) contenente le
testimonianze erudite e grammaticali (tenuemente commentate):
adoleo -!vi, -ultum, -ere. [cf. esse videtur cum umbr. w;Jetu 'incendito, adoleto ', fortasse cum
o/ere Th.J Non. 58 adolere verbum est proprie sacra reddentium, quod significat votis vel sup-
plicationibus numen auctius facere, ut est in isdem 'macte esto' (c/. Serv. Aen. 4, 57), et intel-
legi debet ab eo, quod est 'adolevit' id es: crevit, et 'adultum', quod est auctum et aut aetate
aut aliqua causa maius solito factum, ducere proprietatem. /audat deindelocos Vergilianos.
similia affert p. 247, ubi vertit augere honorare propitiare praemittit tamen adolere est urere.
Serv. Aen. I, 704 adolere proprie est augere. in sacris autem XC11't',ùfY111.10J1ÒY
adolere per bonum
omen dicitur; nam in aris non adolentur aliqua. sed cremantur (similia SceoL. Stat. Theb. I,.
514). SERv. ccl. 8, 65 adole: incende. sed XC11ÙÙfTlll.10J1ÒY dicitur, nam 'adole' est auge. cf.
GLOSS.V S49; 4 nimirum subest doctrina vetustioris grammatici, qui adoleo et adolesco utique
eiusdem stirpis et abolere et adolere contraria esse voluit.
Dtow. gramm. I 373, 18 'adolui' volunt quidam in sacrificio dici et venire ab eo quod est 'ado-
leo'. sed et in sacrificio active (Accius codd.) Cassius ad Tiberium secundo 'adolevi' dicit sic
(v.l. 61) et in passiva declinatione 'adulta', non 'adoleta'. Probi observationes ridetur turbas-
se PlUSC.gramm. Il 439, 4, cuius codices habent adoluerunt. addii idem: passivi quoque parti-
cipium 'adultus' pro 'adolitus' prolatum est (sequitur focus VAL.ANT. I. SJ). praecedit p. 488,
19 aboleo abolevi, adoleo adolevi. cf. tamen Gwss. Il 564, 19 adoletum victimatum bustum.
Il 382, 23 ~ÀolCCIUO'to(v) adolitum. V 437, 20 adoleta quae in areis sunt combusta. de structura
dat vilia ARvs-MEss. gramm. VII 457, 24, verbum priscum et religiosum (hoc verum inest in
NONISERVItestimoniis) casu nobis non agnosciturante VAL.ANT., nam de ENNIOresesi du-
bia.

Un primo dato fondamentale: nessuna connessione è data con oleo 'sapere odore

156 ---------------------------
-------------------------- ALDO L. PROSDOCIMI

di ... », unico verbo semplice che pure si sarebbe prestato semanticamente alla trap-
pola in cui sono caduti gli studiosi moderni, a partire dall'estensore della voce del
Thesaurus che premette gli esempi: «accendere comburere, plerumque de hostia ture
inferiis, quorum/umus odorque dis sunt accepti (corsivo nostro)». Le decine di cita-
zioni che seguono mostrano chiaramente che «plerumque etc.» è una invenzione
esplicativa pseudoetimologica su odor e ollre. [Anche qui riprendo verbatim il se-
guito della voce del Thesaurus:]
I accendere, comburere, plerumque de hostia ture inf eriis, quorum fumus adorque dis sunt
accepti: ENN. (si suntipsius verba) Lact. inst. I, Il, 63 hostiam ... totam adolevit. VAL.ANT.
ann. frg. 61 eo omnes hostiae vituli viginti et septem coniecti et ita omnia adulta sunt (Corp.
Xl 1420 bosque et ovis ..• mactentur eaeque hostiae eo loco adoleantur). VEllo. ecl. 3, 65 ver-
benasque adole (NON. 58 adde cumula GLOSS.113, 31.-v,falsum utrumque; recte NoN.
247 SEav. r.l. 3,f) pinguis et mascula tura. Aen. 3, 547 lunoni Argivae iussos adolemus
(Gwss. turificamus) honores. Ov. met. 8.739 qui divum spemeret et nullos aris adoleret odo-
res (honores ç). CASSIVS Diom. gramm. I 373,20et Prisc. gramm. 11489,4 est (at Prisc.) contra
Aegyptiis maximum sacrificium, ubi integrum anserem adoleverunt (adoluerunt Prisc.
codd.). PI.IN.nat. 28, 27 in mensa utique id (cibum e manu prolapsum) reponi adolerique ad
Larem piatio est. TAC. ann. 6, 28 subire patrium corpus inque Solis aram perferre atque ado-
lere narratur phoenix. PAVL.FBST.5 altaria sunt quibus igne adoletur. 181 equum ventis im-
molant ibidemque adolent. C.AllM.adv. Mare. 3,147 incenditque aras adolenda cada vera lucos
(lignis ed. princ.). AII.NOB. nat. 7, 25 (bis). PACIAN.par.Stura DtcT. 5, 8. VVLO.exod. 30, 1
thymiama (lii reg. 9, 25). exod. 30, 1 thymiama (lii reg. 9, 25). exod. incensum (6uy.~1v: 40,
5. 40, 25 et saepissime in VVLO.).lev. 2, 11 nec quidquam fermenti ac mellis adolebitur. 4. 26
adipem. num. 15, 3 adolentes (mxi'pot1)odorem suavitatis domino de bobus sive de ovibus.
Pavo. Symm. 1, 222 tura. Cl.Avo. 10,210 fiamma lucos adolete Sabaeos. MACll. sat. l, 16, 3
hostiam. SmoN. epist. 3, 14, 4 incensum. dicitur de ipsis flammis igni ara: 0v. epist. 15, 333
adolebunt cinnama flammae. fast. I, 276 baec (ara) adolet flammis cum strue ferta (farra
codd.) suis. 3,303 viscera qui tauri flammis adolenda dedisset. PEnoN. 115 Licbam ... rogus •.
adolebat. VAL. Ft. 3,443 APVL. met. 3, 18. transjertur ad ipsa loca, quibus accenditur
quaeque fumo et odore complentur: Lvca. 4, 1237 sanguine ... conspergunt aras adolentque
altaria donis. VERO.Aen. I, 704 flammis adolere (Ssav. colere) penates (MAca. sat. l, 24,
22). 7, 71 castis adolet dum altaria taedis Lavinia. Su.. Il, 276 adolere focos. TAC. hist. 2, 3
precibus et igne puro altaria adolentur. ann. 14, 30 cruore captivo adolere aras. Awn. losepb
3, 17 thymiama, quo adolent altaria (ace.) piae mentis. CYPJl.GALL.gen. 326 iud. 267. OJlEST.
33 Minervales donis adolebat (addebat codd.) Athenas. STAT. silv. 2, 4, 34 Assyrio cineres
adolentur amomo. PAVIL.NoL. carm. 6, 37 antistes sacros adoleverat ignes. ENNOD.opusc. 9
p. 417, 15 turicremis Panchaeus adoletur ignis altaribus. audacius i. q. colere: Avo. civ. 10, 3
deum suavissimo adolemus incenso. u.sulatiore in re non sacra: de accendendo ignem, con-
quendo comburendo materiem: MollET. 37 fiamma gelidos adolere liquores. Ov. met. l, 492
leves stipulae demptis adolentur aristis. CoLVM.12, 31 corpus bestiolae igne adoleatur. GELL.
17, 10, 7 petivit ut Aeneida ... adolerent. ACTA Arv. a. 224 5 arbor(um) ... adolendar(um).
TEllT. nat. 2, 17 vellet luno Punicam urbem ... ignibus adoleri (-ere Agob.). Hsoss. 5, 20, 2
subiectis ignibus ... instrumenta. STAT.Theb. l, 514 focos. SoLIN. 15, 3 ossibus adolent ignes
focorum (alant MELA2, 15). APVL. met. li, 24 flammis adultam facem. EVTllOP.10, 18 pru-
nas (PRvo. Symm. 2, 1087). AvsoN. 466, 4 ignem (AMBR.off. l, 25, 119 fug. saec. l, 3. HE-
OBS. 5, 42, 3 igne adulto). Aloa. exam. 2, 3, 14 flamma adolet ignem. ibid.: ignis adoleverit
lumen. transiate: PANEo. 12, 23 cum pauci homines ... totius incendium continentis adolerent.
AVJEN.Arat. 389 tribus stellis adoletur dextera Cancro chela. 1280 aurea cacio ... adolent Pi-
sces incendia. 1357 Titan istud astrum adolet flammis. AMBa. exam. I, 8, 31 libidines. S, 3, 7
fotu ... sui caloris animare et spiritu adolere (alere cod. interp.) suofetus. Noe 16, 57 insipien-
tis anima ferinos acuit motus atque adolet venena serpentum. paenit. l, 13, 63 luxuria ... car-
nis culpam adolet. in psalm. 118, 6, 18 amoris ... vim .. sermonibus. 18, 19 vaporem fidei et de-
votionis (syn. infiammare, accendere). HBOES.5, 3, I Titus bellum adolebat (c/. p. 802, 29.
Pttvo. Symm. 2, 1076 resides ... faces amorls.

A parte gli esempi assolutamente preponderanti in cui non vi è questione di odori, è

---------------------------- 157
HOMO EDENS----------------------------

significativo in negativo che proprio dove si parla di profumi l'accento sia posto sul-
la loro combustione e non sul loro profumo. Data la pseudotrasparenza con ollre è
poi sbalorditiva la rarità di casi come il gioco pseudoetimologico di Ovidio ''olere
odores" e la tardività del conferire con ollre. Anche qui è istruttiva la citazione inte-
grale del Thesaurus (in cui si noterà l'insistere sugli odori in modo del tutto defor-
mato e deformante).

O recentiora: I confertur cum oleo (afjinis est usus antiquus de ture sim.); oritur sensus fra-
grandi: Ps. APVL. herb. 42, 7 codas tres, quae adolent suavitcr. GLOSS.IV 304, 43 adolet in-
cendit vel valdc olct. adolentpro olent cod. B. PLAVT.Cas. 236.

La sfortuna di questo verbo negli studi moderni è testimoniata dal lemma dell'Er-
nout-Meillet5 (p. 9) (qui è anche riassunto un precedente studio di Ernout):

adol~. ~. eur, adultum (adultus dans Ics Gramm., cf. Thcs. 1793, 41 sqq.; adolitus, adoJl..
tus dans Ics Gloss. ), -ere: fairc brQler, consumer par le fcu. Appartient surtout à la langue reli-
gicusc; n'apparalt dans la langue communc quc cbcz Ics écrivains dc l'Empirc, surtout chcz Ics
poètcs. Verbc rare, de coulcur arcba.lque.
Le sens dc «faire bnller» est bien attesté, tant dans Ics textes que par Ics Gloses; cf. Vg.,
B. 8, 6S, uerbenasque adole pinguis; Ae. 3, S47; 7, 71, etc.; et, entre autres, Festus, 190, 24,
Lacedaemonii in monte Taygeto equum uentis immolanl, ibidemque adolent, ut eorum fatu
cinls eius per jinis quam latissime differatur. C'est ce scns qui est conservé aussi dans l'iodigi-
tamentum Adolenda et le composé adolefaciD (Acta Aru. 16, a. 224). Toutcfois, en raison de
la rareté et du caractère technique du verbc, le scns ancien a cessé rapidement d'ètre compris et
l'étymologie populaire a rattaché adoleD à adollscD, l'opposant à aboleD, sur le modèlc fourni
par Ics groupes adeo, abeD, etc. Ainsi Servius, Ae. 4, S7, et Nonius interprètent adollre par
auctius facere, auglre, et Tacite écrit, A. 14 30, captiuo cruore adol~ penates. lnversement,
adoleD semble avoir déterminé certains emplois dc aboleo; v. Emout, Pbilologica, I, 53 et s.
Plus tard mème, a été rapproché de o/eo«scntir».

Se c'è una cosa evidente è che gli antichi conoscevano benissimo gli usi di questo ver-
bo malgrado non ne capissero più (cioè non fossero più in condizione di capirne) le
precondizioni semantiche e pragmatiche che avevano portato agli usi e significati at-
testati; e ciò è riprova della bontà dei significati portati: "auctius facere", "magis
augere'' non può essere un autoschediasma e il collegamento con mactus non può
essere una causa ma è una conseguenza del significato (tanto più che come si è visto
sopra lo stesso valore di mactuslmactare come "magis augere" costituiva già una
difficoltà).
Serie di etimologie disperate si hanno per quanto concerne quelle comparative
in WALDE-HOFMANN (I pp. 13-14), mentre sono da prendere in considerazione il
confronto con umbro ufetu da sempre avanzato (AUFR.ECHT-KnlCHHOFF e seguenti
"adoleto"; eccezioni: PAULI, DEVOTO; difficoltà in ERNoUT,1961) 17 e la spiegazio-
ne come causativo di alo, •oleo "mache wachsen", avanzata dal Tm.nlNEYSEN
(1907, p. 800) ma poi dallo stesso abbandonata per oltre (nel Thesaurus; sia pure
"fortasse" cfr. anche ALL 13, p. 13).
Umbro ufetu (imperativo) non può essere trattato in questa sede perché il suo
valore non può essere definitivo etimologicamente e neppure contestualmente, ove
- quale hapax nelle tavole lguvine - "contesto" sia ristretto a quello immediato;
per le caratteristiche sia di redazione che di contenuti del rituale in cui occorre il ter-
mine (PROSDOCIMI, 1978, Umbro ad TI III-IV, completamente rivisto in TI 11-111),il

158 ----------------------------
------------------------ ALDO L. PROSDOCIMI

termine non può essere discusso che nel contesto più ampio, quale implicazione (da-
re e avere) del senso del rituale, ancora da chiarificare.
Per quanto concerne il nostro ufetu, può significare "accendere o alimentare il
fuoco" (quindi con -oleo di adoleo:v. sopra e appresso) e anche, sia pure meno ve-
rosimilmente per semantica (valore contestuale) e per morfosintassi (transitivo con
oggetto e non intransitivo) "odoribus inbuere" (DEvoro, cit. per presunta corri-
spondenza con lat. oleo, intrinsecamente intransitivo); quello che pare escluso è un
valore "sacrificare".
Quale ne sia il valore e il rapporto con ad-oleo, umbro ufetu è come minimo
neutro per l'etimologia latina esposta sotto, mentre non è vero Pinverso: un suo col-
legamento all'insegna del "bruciare, accendere" (altamente probabile) sarebbe di
grande significato per lo sfondo ideologico italico in quanto comune al latino in una
evoluzione semantica non ovvia.
[Su Adolenda, dea-indigitamento degli Arvali, v. l'Appendice A]
Il valore d'uso di lat. adolereè "accedere, comburere", di sacrifici; la spiega-
zione di questo valore come "auctius facere" degli antichi, non essendo giustificata
da niente, deve essere fondata su una dottrina antica di cui si era persa la ratio ma
non il dettato. Sul collegamento - prevedibile da quanto si è visto per mactus - ri-
torneremo; prima è da considerare la chiusa "auctius facere": questo valore rende
sicura anche semanticamente l'etimologia formale quale causativo di alo avanzata
da THUllNEYSEN e rifiutata senza motivo nel W ALDE-HoFMANN che, quasi contraddi-
cendosi, trova difficile spiegare quel vocalismo o che il causativo spiega, anzi esige;
il residuo di difficoltà tra a e o si risolve qui con una corretta notazione faringale:
• Hiel- in alo vs. • Hz<>/- in -oleo 18 (il causativo su un verbo già transitivo ha un pa-
rallelo nell'indiano mah-, di norma come causativo come si è visto sopra: non do-
vrebbe essere una pura coincidenza, ma dovrebbe essere insita nella specificità della
semantica connessa con una determinata ideologia di questo "far crescere").
Quanto al valore "auctius facere" questo deve essere primario e non invenzio-
ne dei grammatici e/o antiquari perché non era fondabile su niente; non solo alo
non è menzionato nelle spiegazioni antiquarie e/o grammaticali, per le quali non sa-
rebbe nella logica dell'etimologia antica - basata più su assonanze .vocaliche che
consonantiche - un congiungimento con alo; in più, e decisivo, i grammatici tendo-
no a espellere le forme come adultus che portano al paradigma di alo per adoletus(o
adolltus) "far crescere" del causativo si appaia perfettamente allo stativo incoativo
ado/escoe a tutta la famiglia: il modello di crescoha fornito verisimilmente il para-
digma -evi,-etum che per la specularità della coppia adoleo-adolesco(specularità ar-
rivata fino all'uso di adolescoper adoleo in VERO., Georg:IV, 379, su cui SERVIO,
anche auct.), è entrato nel paradigma di adoleo.

Adoko "auctius facere" > "bruciare" (agli dei).


La riprova della spiegazione data sopra per ado/eoviene da aboleo che ne è l'antoni-
mo formale nell'opposizione ad- - ab- e ne è pure l'antonimo semantico ove si rico-
nosca la radice• Hiel- di alo nella morfologia di causativo: se adoleo è il "far cre-
scere", aboleo è il "far decrescere" > "annullare". Anche qui l'Ernout-Meillet 5
(p. 4; evidentemente Ernout che ne aveva trattato in precedenza) stravolge dati e ra-
gionamento

abollo, -llscO ont formé couplc antith~quc avec ado/esco,adolelJquc l'étymologic populairc

--------------------------- 159
HOMO EDENS----------------------------

avait rapprochés (cf. adoleo); et l'on peut se demander si ce n'est pas le sens de «auglre» don-
né à adoleo qui a amené la création de aboleo; cf. Emout Philologica, I, 53 et s.

Non è etimologia popolare, nel senso di giunzione di quanto era disgiunto, ma è eti-
mologia propria che, all'opposto, la storia (sinonimo di quella dizione pessima- in
quanto connotata da un giudizio di valore - che è "etimologia popolare") ha di-
sgiunto: adolere"bruciare" e abolere"distruggere" non sono associati, né possono
esserlo, perché l'antonimia di ab- vs. ad- ne rende incomprensibile la quasi-sinoni-
mia; l'antonimia è possibile solo al livello di adoleo "auctius facere" vs. aboleo
"• minus facere". Resta però un punto del ragionamento, e cioè che vi deve essere
stata correlazione tra i due verbi per importare in aboleo il paradigma in -evi, che
tuttavia non è arrivato ad• aboli!tumper abolitum di causativo (cfr. monitum e no-
ta 18).
Ma ciò, nella corretta prospettiva significa solo che "auctius facere" degli anti-
quari/ grammatici come valore di adoleo - condizione di antonimia con aboleo e
non più esistente nel valore "bruciare" - doveva essere presente e vitale in data re-
lativamente recente, anche se la documentazione letteraria porta il solo valore "bru-
ciare'': ciò non solo conferma che gli antiquari si fondavano su una buona tradizio-
ne, ma pone la questione di antichità e conservatività della tradizione teologica
"esplicativa".
Adoleo come "far crescere" restituisce non per "etimologia popolare" - cioè
per convergenza secondaria- la originaria specularità della coppia adoleo ''far cre-
scere" vs. adolesco "crescere" (cito qui dal Thesaurussolo le attestazioni antiqua-
rie; gli usi nelle fonti sono ben noti):
2. adolesco, -evi, -ultum, -ere. (cps. ex ad et alescere, cf c. ab-in-ex-olescere. Th] cf VAB.Ilo
rust. 1, 44, 4 p. 801, 42. NoN. 248 adolescere crescere, unde aduliscentem dicimus. PAVL.Fl;-
ST. S 'adolescit' a graeco il&fiox,.,(aliso cod.) id est adcresco venit. unde fiunt 'adultus adule-
scens'; 'altare', eo quod in ilio ignis excrescit, et 'exoletus', qui excessit olescendi id est cre-
scendi modum, et 'inolevit' id est crevit. cf. p. 80 sub 'exoletus'. AoROBC. gramm. VII 118, 21
adolescere augmenti est, inolescere coaugmenti, exolescere evanescendi. DroM. gramm. I 373,
17 adolesco adolevi facit. legituradolui apudVAB.It. I. IS, quodPJusc. gramm. 11480, 2prave
ad ad oleo re/ ert.

La morfologia di preteriti e participi in -ui e -ulto- nei paradigmi dei due verbi è un
indice della storia morfologica: un causativo •-oleo che avrebbe dato un paradigma
• o/ui (* -ulu1),-ultum, ha le forme "normali" comuni con lo stativo -o/esco,ma ha
pure -olui, attestato e attribuibile a entrambi.
Ciò significa una storia morfologica complessa basata sul presente dove si è im-
posto -i!-che ha fornito la base per un perfetto "regolare". cioè automatico o alme-
no formato secondo un determinato automatismo sul tema di presente, il che è ca-
ratteristico della ristrutturazione del sistema formale indoeuropeo come sistema lati-
no e italico; -i!- in adolevidi adoleo non può provenire che dalla specularità di adole-
sco dove -i!-può essere, insieme, primario di stativo e per influsso di cresco,nel qua-
le però -i!-appartiene alla radice; a sua volta il grado o di adolescopotrebbe essere
primario, ma può anche essere dovuto a un incrocio (o fondazione) su -o del causati-
vo ad-oleo. È una storia complessa, in cui pare impossibile ricostruire la sequenziali-
tà- se sequenzialità c'è stata - ma di cui si possono ricostruire le relazioni logiche.
Lo schema dei rapporti, anche senza l'indicazione delle frecce che segnalano possi-
bili sequenze o direzioni logiche, rende iconicamente l'evidenza dell'antico sistema

160----------------------------
------------------------ ALDO L. PROSDOCIMI

che riuniva col rapportodi transitivo-causativo vs. intransitivo, adoleovs. ado/esco.

-ui moneo
~
-ui -- (ad-) oleo ( -- ?) (ad-) o/esco - ollVi
/\ i
-l- crl-sco -- crevi
-ui . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . (pateo)

Anche in questo caso vi è la questione della cronologia relativa e, potendo, as-


soluta: quando il sistema ha cominciato a dissolversi? Vi sono indizi - come già per
ado/eopreso isolatamente - che il sistema antico, o almeno la possibilità di risalir-
vi, sia arrivato a fonti cui potevano attingere gli antiquari. E con questa indicazione
di massima chiudo il discorso "fonti". Vi aggiungo un possibile indizio cronologi-
co. È possibile, forse probabile, che vi sia una traccia formale o di cronologia relati-
va nel vocalismo -()- di adolescorispetto a -u- di adulescens(molto più raro -o-): al-
tamente significativa è la compresenza di -o- in adolescerevs. -u- di adulescensnei
grammatici/antiquari - cioè nelle loro fonti - proprio nel proporre la connessio-
ne, anzi la derivazione dell'uno dall'altro. Una -èJ-si è oscurata in un caso e non nel-
l'altro, ed era una -èJ-che non era in condizioni di oscurarsi in quanto seguita davo-
cale -e- e, comunque, non si vede il perché di un oscuramento in un caso e non nel-
1'altro.
Vi sono vari livelli di spiegazione:
1) (sicuro) adu/escensnon ha seguito adolescoperché da vecchia data ha seguito
una sua via semantica, andando a fissarsi in una casella tecnica della tassonomia
dell'età dell'uomo; ma ciò non spiega -o-vs. -u-; quindi:
2) se adulescensè termine uscito o autonomizzato rispetto al paradigma di adolesco
il fenomeno gli è proprio: -o- diviene -u-perché uscito dal paradigma, e quindi
fonetico, mentre -o- di adolesco,in quanto nel paradigma, deve essere morfolo-
gico; ciò significa:
3) la presenza di condizioni morfonologiche diverse, e queste probabilmente dove-
vano esserci dei verbi oleo e o/escocome autonomi e sufficientemente vitali. Se
ciò è vero tra molti possibili il termine discriminante è l'apofonia latina: adule-
scenssi è autonomizzato prima e quindi -o- ha subito la sorte di una breve atona
preliquida ("pinguis") mentre -o-,non in composizione, in quanto tonico è rima-
sto • -o- e di qui ha mantenuto il paradigma dei composti: pertanto un • oleo
causativo rispetto ad a/eredeve essere stato vitale durante e almeno appena dopo
la apofonia latina 19•

Nutrirecome "far crescere"


Finora si è parlato genericamente di "(far) crescere"; ma non è un far crescere gene-
rico bensi un (far) crescere per nutrimento, come è evidente dal latino a/ere20•
Ciò ha profonde implicazioni ideologiche sia per il versante "laico" che per
quello "religioso". Per il versante religioso l'idea del "far crescere" come "onora-
re, sacrificare" la divinità è stato associato all'idea di "mana" sia per sscr. mah- lat.
mactus che per augere21 sia per adollre tramite Adolenda (W AOENVOORT 1947,
Rom. Dyn, p. 80 sg. v. anche appresso 'Appendice'). A parte le rezioni anti-manai-

----------------------------- 161
HOMO EDENS---------------------------

ste di DUMBZIL su sscr. mah- presuppone un'interpretazio-


22 , il saggio di LAZZBlloNI

ne più concreta sia per il cibo che fa crescere sia per l'implicazione che la divinità che
cresce grazie al cibo si configura come antropomorfa è neaativa, ma non esclusiva
per il "mana".
La nostra interpretazione di mactus e magmentum congiunta al sacrificio come
distruzione della porzione sacrificale in quanto "(dis) sacra" conferma un'interpre-
tazione concreta, poi dissolta a Roma (e probabilmente dell'Italia) in correlazione
alla assenza di mitologia o alla diversa configurazione che assume a Roma (e in Ita-
lia) la funzione che altrove è espressa dalla mitologia. Quale sia la motivazione di ciò
è evidente che l'assenza di una mitologia di tipo indiano o greco toglie le premesse,
- molte se non tutte - alla concezione per cui "far crescere= sacrificare gli dei" si
configuri come un nutrirli allo stesso titolo in cui si nutrono e quindi crescono i mor-
tali.
Ritengo utile qui riprendere il concetto di "mana" in termini negativi, e ciò per
evitare la trappola che il "mana" presenta come termine esplicativo, anche ove sia
negato: la reazione al manaismo del tipo di quella di Dumezil va in senso opposto,
ma sta nello stesso binario dei sostenitori del "mana" specialmente per quanto con-
cerne la trasformazione di concetti ideologici in giudizi di valore, come è nell'uso del
termine "primitivismo" per l'esplicarsi del numinoso in un modo piuttosto che un
altro. Non neghiamo, anzi sosteniamo fermamente 23, che nell'asse assoluto dell'e-
voluzione ci siano forme sociali - ideologie e correlato modo di darsi - che nasco-
no e che quindi rappresentano una evoluzione assoluta, dal più primitivo ( = prima
assoluto) al meno primitivo (=dopo assoluto). Ma riteniamo che ciò sia applicabile
a momenti cruciali e assoluti dell'evoluzione filogenetica (anche qui ancora senza
giudizi di valore): non pare il caso di Roma e dell'Italia antica.
A parte il discorso tutto da verificare (e per me altamente discutibile) che mito-
logia e antropomorfismo rappresentino qualcosa di "non-primitivo" - o di meno-
primitivo - la questione centrale non è se vi sia "mana" ma delle modalità in cui
può manifestarsi il divino in assenza di mitologia e di correlate personalità divine
ben disegnate, come non è il caso storico di Roma (e dell'Italia antica) che non ha (o
ha perduto) la mitologia: è evidente che non può configurarsi che come manifesta-
zione di "forza divina", e ambito di azione, che è allo stato puro ove non ci siano
precedenti figure divine ('teologia dell'Atto') e che tende a espandersi a detrimento
delle figure là ove ci sono 24•
La restituzione del sistema a/o-(ad)oleo porta un dato importante se non decisi-
vo: la pertinenza del "crescere-far crescere" è del cibo, non come cibo degli dèi, ma
semplicemente in quanto cibo. Solo in quanto "cibo degli dèi" - per dèi che si con-
figurano allora in termini antropomorfi - il "(far) crescere" assume caratteristiche
particolari quali "sacrificare", "bruciare", "onorare".
Per attenerci alla radice •Hiel- di a/o/adoleo, le specializzazioni semantiche dei
suoi derivati - dal germ. alt a lat. altus, indoles, pro/es etc. - implicano una ecce-
zionale centralità del "far crescere" in quanto dovuto al cibo. Ciò potrebbe reintro-
durre il concetto di "mana" spostato sul "cibo". Si tratterebbe comunque di una
questione diversa e di un altro orizzonte ideologico e cronologico. Per ragioni gene-
rali, anche oltre quanto detto sopra, non ritengo utile - se non a fini di euresi intel-
lettiva - la sovrimposizione di concetti esterni quali il "mana"; ritengo più corret-
to, comunque utile, di trarre le implicazioni dalla restituzione di relazioni-identità
che portano alla pregnanza eccezionale di concetti poi banalizzati. Non sta peraltro

162 ----------------------------
----------------------- ALDO L. PROSOOCIMI

a me restituire il quadro cronologico e culturale in cui il "cibo" può avere avuto


questa centralità: ricordo solo che può essere una costante che si è rinnovata a se-
conda delle varie situazioni (anche "stadi") storico culturali, e che solo di recente
nella cultura borghese occidentale, di norma ben pasciuta, si è banalizzato.
Alla luce di quanto detto ritengo sia da riprendere i collegamenti semantici e
ideologici che sottostanno al filone lessicale che unisce lat. Ceres, creo, cresco, gr.
xops-ecc. (convenzionalmente da comprendere sotto la radice • ker H1) 25• Lo sfon-
do ideologico e culturale qui pare evidente, la cultura cerealicola; quello che è da ve-
rificare è se vi sottostia solamente il lato "crescere-far crescere" o se questo non sia
collegato, fino a una possibile quasi identificazione, con il cibo "cereale".
Per porre la questione si deve ricorrere a un altro lessema del campo semantico del
"crescere", quello rappresentato dalla radice • leudh- che riporta un "crescere in-
terno" 26 quindi con una potenziale polarizzazione rispetto al "crescere per sommi-
nistrazione di cibo (i.e. dall'esterno)". Il filone di Ceres sembra appartenere al tipo
di aloladoleo: ciò pare suggerito da alcuni indizi del filone in Italia (Cerls è anche il
pane) ed è confermato da xop,- del greco.
Ciò pone il problema della posizione reciproca nell'ambito semantico tra
• Hiel- e• KerHr cosi come •!eudh- deve essere correlato con •teu(H).
Vi è un'ulteriore correlazione: tra auglre e • maglre e, attraverso questo, il sen-
so del "crescere" di auglre rispetto a tutto il resto: non si dimenticherà che con au-
glre è connesso augur(ium), augustus e, in India, l' ojas-.
Ma, a questo punto, il tema che ha già richiesto parecchia carta richiederebbe,
oltre a nuova e molta più carta, che sarebbe il meno, molte più forze ed impegno. Mi
limito a un ultimo punto: l'etimologia di •Hiel-.
•H,el- di alo/(ad-)oko "crescere/far crescere"come "nutrire" e ittita hallcl- "ce-
reali,grano".
Tramite la restituzione del sistema alol(ad-)oleo siamo arrivati a postulare un
•Hiel-, fornendo non ancora un'etimologia, ma un indice di collegamento formale
con un contenuto semantico che porta al "crescere (tramite cibo)": anche cosi non
si è ancora al minimo di ciò che si intende (o almeno io intendo) come "etimologia"
e tanto meno a quello che si intende come etimologia remota, cioè il riscontro di for-
me apparentate in altre lingue (qui specificamente l'indeuropeo).
Una etimologia di questo tipo esiste con l'ittita; ma quello che è importante, an-
zi centrale, non è il fatto che esista, ma i termini in cui - oltre che esistere, che può
esseredovuto a una conservazione lessicale casuale - è stata raggiunta: come risul-
tato, e non come partenza, di quanto si è identificato all'interno del latino tramite
una predittività, a partire dalla postulata radice • Hiel- in altre lingue indeuropee,
verificabile praticamente solo per l'ittita, lingua per cui in casi di questo tipo la rico-
struzione con laringali è significativa rispetto alla ricostruzione tradizionale; la pre-
dittività, cioè la proiezione in ittita di • Hiel-, trova un riscontro formalmente preci-
so, semanticamente rispondente alle attese (che conferma e precisa) e, infine, tale
che fornisce di etimologia una parola ittita già considerata di etimologia oscura (o
con più etimologie senza fondamenti validi, il che è lo stesso).
Ciò ha due conseguenze rilevanti:
1) conferma dall'esterno, anzi ne è riprova a mio avviso decisiva, l'etimologia inter-
na di alol(ad-)oleo, tramite •Hiel 'crescere (per cibo)';

--------------------------- 163
HOMO EDENS -----------------------------

2) apre nuove prospettive culturali per fasi remote e contribuisce a riproporre gli
aspetti tassonomici e/ o areali di ciò che implica la cerealicoltura per la nutri-
zione;
3) propone un nuovo motivo per le conservazioni che accomunano il latino e l'it-
tita.
Secondo la dottrina corrente - comune a tutti i "laringalisti", da quelli minimali
che ammettono una sola laringale, a quelli che ne ammettono di più - -H2-dovreb-
be dare in ittita h-; in quanto segue dovrebbe rispondere a -e/- o -al-. E l'ittita ri-
sponde puntualmente 27•

ha/ki- c. 'Oetreide, Kom' (entsprechend akkad. u1{atum), gelegentlich auch in der Bedeutung
'Emte (ertrag)', sowie spezieU 'Gerste' ( = akkad. le'um, s. ausf. HoFPNER.Alimenta S. 60-64
mit. Lit.); auch vergèittlicht dHalki (entsprechend ideogr. dNISABA, ph. Kait, s. LAllOCHB
Recherches S. 26, 73, 103, vgl. auch lat. Ceresals Personifikation der Nahrung).
Als Kulturwort wohl fremder Herkunft, Ktl0NASSER VLFH 22S; EHS 211 (wo weitere Kultur-
wèirter und religiose Termini mit fremdem Suffix -k(k)i-) denkt an das Hurrische als aebende
Sprache; vgl. auch SoMMEllHuH 9S; RoSENUANZ, in: JEOL 19, 1967, S06; GuSMANILI 30.
Das Wort scheint dann auch in andere Sprachen weiter gewandert zu scin; NEUMANN(brief-
lich) match auf gr. .O.içm. 'Speltgraupen' (nur ben Chrysipp von Tyana (bei Athen. 14, 647
d), also einem kla. Autor) aufmerksam, daraus wiederum wird lat. a/ica, halica 'Speltgrau-
pen' entlehnt scin (W. - HoPMANN129; Flusx GEW 173); auch etr. ha/xZll'Bier' kann damit
zusammenhigen (PFIFFIG, Religio lguvina, 1964, 77 Anm. 228).

La parola ha avuto molte etimologie, di cui nessuna evidente (il che significa che, fi-
nora, è senza etimologia):

Von den zahlreichen indogermanistischen Erklarungsversuchen vermag keiner zu iiberzeugen,


vgl.:
HaoZNt SH 12 (zu gr. XÀ6'1J 'Gras, Kraut'; phryg. C(Àxia. À«XClVOt
(Griinkohl, so Hesych); aksl.
zlakb 'Gras' usw.; wiederholt von MAllST1lANDBR 134, 145; PBDBRSBN Groupement 46; Hitt.
177; SPBCHTUrsprung 187; DucHBSNB-GUILLEMIN 86; HAMMBRICBS6; aber schon von
CoUVJtBURH S9; W. - HoPMANNI 514; SZEMERÉNY 1942, 398 abgelehnt).
JUllBT,in: REL 16, 69 f. (zu lat. legumen, schon von W. - HoPMANN1871 abgelehnt).
JUllBT 12 (als Erbwort zu lat. alica, halica 'Speltgraupen', s. o.; wiederbolt von PotoMÉ, in:
Lg 28, l 9S2, 451).
HAMP,Evidence 132 (zu gr. ciÀf'l n. 'Gerstengraupen'; alban. elb 'Gerste').
CoP, Hethitica 4, 1971, 31 f. (aus idg. +a/g"h- in ai. drhati 'ist wert'; gr. «Àf'l'Erwerb'; lit. a/-
gà 'Lohn' usw., s. P 32 f.; semantisches Bindeglied ist dabei heth. t,alkuel§ar 'Emte', als N.
act. zu einem verbalen +f}alcu11ai-;ganz analog CAllRUBA1976, 130 'mit Matathesc der
Aspiration'). EtCBNBR,in Mss 31, 1972, S4 (zu idg. +a/-'mahlen' P. 28; wohl in Analogie zu
der von FRJSx I 73 aufgenommenen Erklarung von WALDELsw 2 25 von ciliç 'Speltgraupen'
als zu ciì.tw'mahle').
Hierher t,alkuellar n. rln-St. 'Emte', pluralisch 'Erst-lingsfriichte' (der Emte als Opfergabe;
vgl. auch H0PFNBRAlimenta 2S ff.); kollektiviertes Nominalabstraktum (mit unklarem -u-,
vgl. LAllOCHB,in: RHA S2, 1950, 39 f.; KtlONASSl!R EHS 290; ein denominales Verbum als
Zwiscbenglied anzunehmen (ROSBNUANZ, in: JEOL 19, 1967, 503 und COP I. c.:
+ t,alku11ai-),beseitigt diese Schwierigkeit nicht).

Pare evidente che• Hzelol- "crescere, far crescere" del latino corrisponde a• Hzel
o/- dei "cereali" e del "grano" dell'ittita: il cibo che è connesso alla nutrizione è il
prodotto della cerealicoltura. Ciò fornisce, come detto, una nuova e convincente eti-
mologia al termine ittita; delle "etimologie" precedenti può essere recuperato o
reinterpretato quanto rientra nel quadro posto senza sforzi formali o semantici (cosi
lat. (h)alica, gr. «Àq>TJ
alban. alb ecc.).

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-------------------------- ALDO L. PROSDOCIMI

Ciò fornisce anche uno sfondo culturale che riporta, almeno per il mondo in-
doeuropeo, al farsi dell'agricoltura nella correlata dimensione culturale e nella
proiezione lessicale; ciò apre prospettive nuove in assoluto e in rapporto al concor-
rente •ker(H)- di lat. Cerls, crlsco ecc. (ben oltre, s'intende, ai richiami occasionali
o generici quali "vgl. auch lat. Ceresals Personifikation der Nahrung").
Con questa indicazione di massima si chiude questo scritto, ma non cosi la pro-
spettiva che si è aperta.
AppendiceA - Adoleoda
Questa divinità è ricordata in due occasioni negli atti degli Arvali insieme con altre
della stessa struttura formale e, sotto, ideologica. Negli atti del 183 a causa di un fi-
co nato sul tetto e nel 224 per una caduta di alberi per il fulmine si prescrivono dei
sacrifici. Riprendo anche qui il lemma interpretativo del Thesaurus.
Adolenda, -ae dea adolendo praef ecta. hanc una cum Commolenda (sive Coinquenda) et De-
ferunda pro uno numine fratres Arva/es colebant, cf. Henzen, Acta fr. Arv. p. 147. AcTA
Arv. a. 183 p. II S jici (in fastigio aedis deae Diae innatae) eruendae atque operis incohandi
causa Adolendae Commolandae Deferundae oves II immolavit. 13 operis perfecti causa Ado-
lendae Commolandae Deferundae oves II. a. 224, 12 arborum (ictu fulminis attactarum)
eruendarum, ferro fendendarum, adolendarum, commolendarum causa Adolend(ae)
Coinq(uendae) ov(es) li immolaverunt. periit hoc nomen in lapidefracto a. 218, 4.

Su ciò vi è il commento di K. LATTE(1960 'Rom. Rei.' p. 54; sostanzialmente segui-


to da DuMÉzn. 1966, Rom. Rei. cit. p. 49).
erhalten in den Akten von 183 Adolenda, Commolenda und Deferunda, in denen von 224
quod vi tempestatis ictu fulminis arbores sacri l(uci) d(eae) D(iae) attactae arduerint earumque
arborum eruendarum, ferro fendedarum, adolendarum commolendarum Adolend(a) und
Coinq(enda) ein Opfer. Die alphabetische Ordnung, die zu dem Vorgang selbst im Widerspru~
cht steht (nattirlich muBste das deferre der Zweige dem Zerhacken und Verbrennen vorange-
hen), zeigt hier bereits priesterliche Konstruktion. Die Feminina und die Gerundivfonn, die
mediopassivische Bedeutung haben muB, lassen keine andere Erklirung zu, als daJ3arbor zu
erginzen ist. Das hat Wagenvoot (Roman Dynamism 80 ff.) mit Recht betont. Eine Schwie-
rigkeit ergibt sich aus dem spiten Aufreten dieses Opfers, von dem die ilteren Arvalakten,
auch soweit sich die Gottheiten des Lustrum aufzihlen, nichts wissen. Dazu tritt die Bedeu-
tung, "verbrennen" fiir adolere, die sich erst spiter entwickelt haben kann (oben 45, 2). Es
wird sich also nicht vermeiden lassen, in diesen Reihen eine kaiserzeitliche Neuschopfung zu
sehen».

L'utilizzazione dell'ordine alfabetico significa molto di più e in più sensi di quanto


abbia visto il Latte: ·
1) significa che i nomi delle divinità devono preesistere e non essere neoformati, ve-
risimilmente in una sequenza alfabetica di indigitamenta;
2) la sequenza di indigitamenta come alfabetica doveva essere un residuo antiqua-
rio; questa ipotesi è avvalorata dalla comparsa in epoca post antoniniana, cioè
duecento anni dalla (ri)fondazione del culto arvalico congiungendo I e 2 si
evince:
3) l'utilizzazione è spuria ma i nomi - e con essi i contenuti - sono antichi. Ciò ha
due conseguenze:
4a) per il culto arvalico e la sua 'genuinità' (di ciò altrove) 28;
4b) per il senso delle divinità chiamate in causa in rapporto alle azioni rituali sot-
tese:

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HOMO EDENS ---------------------------

5) "bruciare" (adolenda) e "fare in poltiglia" (commo/enda) si spiegano male co-


me sequenza, anche ammesso l'ordine alfabetico; si spiegano male anche in rap-
porto alla "cosa", perché se si vede come dei rami siano da bruciare (adolenda),
non si vede perché prima o dopo siano da fare in poltiglia (commolenda); quindi:
6) le due divinità, ormai puri nomi (o poco più: da individuare) sono state recupera-
te impropriamente da un contesto perduto per la Roma antoniniana e forse già
per quella augustea della restaurazione del culto. Ma non forse per chi integri
quanto visto finora, dal sacrificio-distruzione (specialmente per fuoco) al com-
plemento nel rituale iguvino che all'erus dirsti "si dia il sacrum" (distruzione) fa
sempre seguire il comolom "fare poltiglia" 29 • Da ciò discende:
7) una fase originaria in cui Adolenda è la dea della distruzione sacrificale per fuoco
e Commolenda è il complemento di distruzione per poltiglia dei residui, come ri-
sulta nel rituale iguvino nella coppia erus dirstu - comoltu;
8) la struttura di questi nomi in -nd- è stata spiegata (Sommer, Kr. Eri. p. 183, se-
guito da RADKE,Gotter s. v. p. 56) come un participio di necessità senza significa-
to passivo "colei che deve ... ". La spiegazione di WAOENVOORT (1947 Rom.,
Dyn. p. 80 sgg.) ripresa dal LATTE(1960 cit.) è una non spiegazione: non si vede
perché «dass Arbor zu erganzen ist». La spiegazione è più semplice se integrata
nella "teologia dell'Atto", per cui il teonimo è Atto, cioè è attivo, quale semplice
trasposizione dell'atto cui si riferisce: non è la struttura morfologica ma l'ideolo-
gia che vi opera. La iguvina Torso, "il Terrore > Fuga" è colei che mette in fuga
non per la struttura morfologica (tipo i teonimi in -tor d'agentis del sacrum Ce-
riale) 30 ma per essere "il Terrore" come trasposto. Cosi Adolenda è la trasposi-
zione di 'ciò che si deve bruciare', Commolenda 'ciò che si deve fare in poltiglia
ecc. Resta un ultimo punto:
9) l'utilizuazione degli Arvali è stata impropria per Adolenda e Commo/enda che
sono costanti, mentre è stata propria per Deferunda e Coinquenda che non sono
costanti e alternano, precisamente per il fatto che rispondevano all'azione speci-
fica di asportare o ripulire, atti di ben altra evidenza quanto alle trasparenze lessi-
cali rispetto ai due spettri del passato, Adolenda e Commolenda.

AppendiceB - Veneticomagetlone augar


La rivendicazione di un lat. •maglre alla base dell'offerta sacrificale apporta nuova
luce al venetico magetlon oggetto di un verbo di dono (tolar) in un'iscrizione del
Nord 31• Tra le varie ipotesi, il valore contestuale di "dono" mi aveva fatto propor-
re il confronto con vedico magha- "Gabe, Geschenk", e avestico maga "Gabe, Op-
fergabe" (secondo HUMBACH"MSS" II 1952 (1957) pp. 15-24); a questo punto la
questione concerne solo se e come le forme indoiraniche citate appartengono al filo-
ne • meg(h)- (più esattamente • megH-) 32•
La forma venetica si spiega meglio con lat. mactus, magmentum: tale accosta-
mento era stato proposto da LEJEUNE(1952 in "REA" p. 175), ma senza un adegua-
to inquadramento della parola latina era una non-spiegazione, tanto che lo stesso
Lejeune pensa a un valore sacrale generico. Al contrario: i precedenti indicano un
valore tecnico nell'offerta agli dei che li "accresce" e la forma in -tlo- di strumento
indica il mezzo mediante cui la divinità viene accresciuta, precisamente il dono. Re-
sta da vedere se magetlon su una laminetta votiva indichi come dono la laminetta

166---------------------------
--------------------------- ALDO L. PROSDOCIMI

stessa o un oggetto su cui la laminetta fosse applicata (escluderei la memoria di un


sacrificio).
La nuova probabile isoglossa lessicale latino-venetica mentre contribuisce a
stringere sempre di più le due lingue, pone però questioni in sé e in rapporto al fatto
che in venetico - nella stessa località - è attestato augar(Gt 5; la forma costituisce
tutta l'iscrizione) all'apparenza da collegare ad aug-di a. ind. ojas, lat. augurecc. In
questa sede (e in chiusura) ci limitiamo alla segnalazione.

NOTE

I) MilQUAllDT 1889 'Culte' I, p. 221; WJSSOWA una classe di verbi che derivano da locuzioni
1912 'R.u.K.' 2 p. 418; LATTE 1960 'Rom. già fatte, e non da nomi come i denominativi:
Rei.' p. 389 n. 2: sono sostanzialmente inclini cosi it. salutare da "salute; fr. (re)mercierda
all"aggiunta'. Le quantità non sono di nonna merci, lat. salvtre da salvl, questo in opposi-
segnalate, salvo il caso di una loro pertinenz.a zione a salvllre denominativo di salvus: come
nell'argomentazione (ove la quantità non sia si vedrà appresso in testo, questo esempio è
ovvia come per esempio nei verbi in -iJreetc.). decisivo per escludere mactare come delocuti-
2) Cioè in relazione alle hostiae che si sacrificano vo da macte della formula.
senzadistruzione di carni (in onore degli dei), 7) H. GIWISMANN, Worterbuch zum Rig-veda
(cfr. M.uQUARDT1889 'Culte' I, p. 222 n. 3). (1872), l011 f. These eight meanings are: «to
Come in altri casi, la dottrina esegetica tra no- be happy, glad; to make glorious, beautiful;
mi e realtà è confusa, ma traspare una classe to glorify; to make happy, glad; to give, pre-
di hostiae di cui nessuna parte (neppure gli ex- sent; (mcd.) to show oneself great; to rejoice
ta?) sono offerti agli dei: questa classe di ho- (in); to put somebody in possession or».
stiae dovrebbe corrispondere a quelle di cui 8) lnstead of a divine being a useful object (im-
non 'protollitur' il magmentum. plement) etc. may be the object of the verb.
3) In un altro lavoro avanzo l'ipotesi che possa 9) See F. PJllsTBR,in Pauly's Real-Encyclopiidie
identificarsi col mundus (Cereris) o con una der Xlassischen Altertumswissenschaft, ed.
sua sezione, come ripostiglio di ciò che è pro- by G. Wissowa and W. Kroll,.Stuttgart, 1986
prio di Ceres/Tellus, i frutti della terra (Pao- ff., Xl, 2171 f.; the same, Die Religion der
soocna, Date ftsse e date mobili nel ciclo del Griechen und Rlimer, 1930, p. 118; H. J. Ro-
grano, in stampa). In ogni caso il magmenta- SB, in "The Classical Quarterly", 22, Lon-
rium Telluris non può esserealtro che il (fa- don, 1938, p 220 ff.
num) contenitore del magmentum di Tellus, 10) For particulars about tbc construction see(M.
evidentemente non quali parti aggiunte - Leumann) J. B. HoFMANN, Lateinische
tantomeno di parti aggiunte di vittime sacrifi- Grammatik, Mùnchen, 1928, p. 405.
cate - ma di ciò che è sacro a Tellus (-Ceres): 11) Contemporaneamente LATTE 1960 'Rom.
i frutti della terra e quanto vi è correlato. Rei.' p. 45 e nota 2 « ... mactare ... "mehren"
4) r>..osoocna 1978, Umbro pp. 620-621, 656; bedeutet. Objekt ist alter Sprache regelmiissig
1984 •Rite'; 1985 'Sacerdos'; il tutto ripreso der Gott, das Opfer steht im lnstrumentals.
con modifiche in TI 11-111. Es heisst also: den Gott mit dieser Darbrin-
5) Per la dottrina moderna delle prosiciae e delle gung mehren, seine Kraft verstarken»; segue
parti aggiunte(?) v. MilQUAllDT 1889 'Culte' il rimando a nota 2, dove vengono date fonti
I, p. 219-220; con minore precisione WJSSOWA antiche e bibliografia moderna: qui Latte ri-
1912 'R.u.K.' 2 p. 418; LATTE 1960 'Rom. tiene "jungere" il costrutto alternativo, che
Rei.• p. 389-390. Siamo convinti che tutta la compare« ... zuerst Pacuv. 289 R., wohl nach
dottrina romana degli exta e delle prosiciae Analogie von immolare». La nostra tesi è in-
sia da riprendere sia per i dati interni sia per dipendente dalle questioni di coesistenza e/o
una revisione dei dati provenienti dall'ester- di priorità delle costruzioni, ma le scelte di
no, specialmente dal rituale umbro di Gubbio Latte nel giudicarne una seriore non sembra-
(su cui Paosoocna TI 11-111). no sufficientemente motivate, o, almeno, non
6) Come è noto E. BBNVENISTB (in Mélanges è dato il significato della seriorità, special-
Spitzer 1958, pp. 57-63, poi in Probl~mes de mente rispetto al parallelo (esterno) iniziano e
llnguistique générale 1966, =pp. 332-342 del- al parallelo (interno) di adolere (su cui nota
la trad. italiana,Torino 1971) ha identificato seguente): cosa significa seriorità? Seriorità

167
HOMO EDENS ------------------------------

cronologica? o seriorità logica= seriorità mag- aug- risponde a una"crescita" carisma-


( = secondarietà, sequenzialità) concettuale? tica.
Il parallelo indiano è per la seconda alternati- 22) Le molte prese di posizione sono condensate
va: quando 'aumentare' assume una determi- nella Religion romaine archa1que, Parigi,
nata specializzazione rituale, può assumere 1966, p. 33 sgg.
anche una correlata (=più rispondente) 23) PaOSDOCoa, Lingua e preistoria. Appunti di
espressione morfosintattica. lavoro, in Miscellanea Manni, Roma, 1979,
12) L'autore cita se stesso in "St. e Saggi Ling." pp. 1833-1890.
XXI, 1981, p. 25. 24) La "teologia dell'Atto" è esposta in Paosoo-
13) Cfr. J. GoNDA,art. cit., p. 449. CIMI, Le religioni de/l'Italia antica, sezione
14) Symb. Osi., vm, 1929, p. 53 ss. (citato da J. dell'opera Die Religionen der Welt, a cura di
GoNDA,art. cit., p. 482). H. KANCIX(in stampa), e, più condensata-
15) Concordano con questo assunto le formule in mente, nella monografia Le religioni degli
cui mah- e vrdh- hanno per oggetto il sacrifi- Italici, in Italia omnium terrarum a/umna li
cio, cfr. J. HAUDRY,L 'emploi des cas en védi- (a cura di O. Pugliese caratelli), Milano 1989.
que, Lione, 1977, p. 228 ss.; J. GoNDA,art. 25) •kerH1lkreH1 con H=Crientra nello Schwe-
cit ., p. 459 ss.: ingrossare la vittima sacrifica- beablaut tipo •perklprek-: v. Paosoocoa.
le, anche se figurata, vuol dire accrescere l'of- Latin nel lavoro miscellaneo sulla fonologia
ferta agli dei e favorire il loro accrescimento. dell'indeuropeo curato da W. WINTEJl(in
16) LATl1!1960 'R6m. Rei.' pp. 45-46 n. 2. a pro- stampa).
posito di mactare osserva che «Die g)eiche 26) Cfr. PotWRNY,lndogermanische Etymologi-
Konstruktion hat adolere in den iiltesten Bele- sche Worterbuch s.v. Significativo al proposi-
ge [seguono esempi per cui v. sotto alla voce to l'a.irl. luss < •1udh-to- 'pollone'.
del Thesaurus), was fiir die Ableitung von 27) Riprendo da TrscHLl!ll...
o/ere, subo/es espricht (gegem Walde-Hof- 28) In una comunicazione tenuta nel marzo del
mann Wb. s.v.)»: per l'affermazione finale - 1978 presso l'Istituto di Filologia classica del-
dal Latte non ulteriormente perseguita - v. l'Università di Firenze (tuttora inedita) ho so-
appresso. stenuto che il Carmen Arvale è un pastiche
17) A partire da AUFllBCHT-KlllCIDIOPP, Die um- (forse di Verrio Fiacco) per un culto ricreato
brischen Sprachdenkmiiler, li Berlino, 1851 da Augusto per ragioni politiche (su ciò v. an-
p. 369 e, al loro seguito, tutti, con le eccezioni che ScHEm, Les frères arvales, Parigi, 1975).
di PAULI("aspergito") e DEVOTO,Tabulae Non è necessario per quanto qui si sostiene
lguvinae, Roma, 1937, p. 375 sgg.: "odoribus questa tesi radicale; basta il fatto - comune,
inibuito"); tentativo di mediazione da parte anche se implicito, talvolta inconsciamente, a
di PoULTNBY,The bronze Tables of /guvium, tutti gli storici - che il culto è una rifondazio-
Baltimora, 1959, p. 203. Tra i "mots de sens ne talmente radicale da essere propriamente
obscure" in ERNOUT,Le dialec:tombrien, Pa- una fondazione.
rigi, 1961, p. 138. 29) Per la dottrina dell'erus e del comolom v.
18) Cole-jo/e- è la normale morfologia del causa- Paosoocoa: Umbro in (A. L Paosoocoa
tivo; per il latino cfr. moneo < • mone-jole ed.), Lingue e dialetti dell'Italia antica, Ro-
rispetto alla radice men- di memini; per possi- ma-Padova, 1978, pp. 585-787; Rite, in Mi-
bili metaplasmi rispetto alla flessione in -e-v. scellanea Guarino ... ; Sacerdos, in stampa nel-
più avanti; cfr. anche nota 19. la Miscellanea Polomé. Alcune correzioni nel-
19) La cronologia dell'apofonia latina è fissata, le Religioni citata a nota 17 e in Prosdocimi
salvo eccezioni ribassiste fino all'arrivo dei Tavole lguvine li e 111,in stampa.
Galli all'inizio del IV secolo, al VI sec. a.e. in 30) Fabio Pittore in Servio auct. ad Oeorg. I 21;
connessione storica con l'influenza etrusca su cfr. LATTB1960 "R6m.Rel." p. 208.
Roma e con essa dell'accento protosillabico 31) Su venetico tolar cfr. Paosoocoa,Il Veneti-
etrusco: v. PROSDOCIMI 1986 •Accento'. co, in Le lingue indeuropee di frammentaria
20) Si lasciano da parte altri aspetti semantici del- attestazione, Atti del Convegno SIO-ldg. Oe-
la crescita come età, tipo ted. alt (su cui MA- sellscbaft, Pisa, 1983, p. 153-209 e in G. Fo-
STIU!W in "AGI", 1961); all'interno del lati- OOLARI-A. L. Paosoocoa, / Veneti antichi,
no è da rilevare l'antichità di specializzazioni Lingua e cultura, Padova 1987.
semantiche indice di una semanticità pregnan- 32) Per questo vedi in particolare PaOSDOCoa,
te del "nutrire/crescere": alumnus con il par- Latin, cit. a nota 18, e Sy/labicity as a genus,
ticipio in -mno- residuale solo in pochissimi Sievers' Law as a spec:ies,in Papers /rom the
casi (tipo columna; Vertumnus), rimanda a 7th lnt. Coriference on Historical Lingui-
una remota antichità. stics, Amsterdam-Philadelphia, 1987, pp.
21) Per la semanticità differenziale, rispetto a 483-505.

168 ---------------------------
TABÙ ALIMENTARI
E FUNZIONE ONIRICA IN GRECIA
di Giulio Guidorizzi

È naturale, scriveva Galeno 1, che chi ha fame sogni di mangiare senza mai sa-
ziarsi e chi ha sete di bere senza fine. Questa situazione onirica, vagamente da
Paese della Cuccagna, è spesso ricordata in altre fonti antiche 2 : ed è verosimile
che in una società esposta al rischio di carestie, e di alimentazione certo non iper-
calorica (come in generale fu quella antica), un sogno come questo fosse ricorren-
te, perlomeno nell'ambiente dal quale Artemidoro ricavava le sue informazioni:
un ambiente - è stato notato 3 - di condizione sociale modesta, costituito preva-
lentemente da proletariato urbano, contadini, schiavi, per i quali il soddisfacimen-
to dei desideri fisiologici primari è uno schema onirico perfettamente verosimile.
Una situazione analoga è stata registrata da Roger Bastide presso le popola-
zioni negre, di degradate condizioni sociali, delle / avelas brasiliane, dove il tipo
di sogno più frequente è quello non simbolico, infantile, grazie al quale trovano
./ diretta soddisfazione alcune pulsioni elementari: ubriacarsi, fare l'amore, mangia-
re abbondantemente 4 •
Questa forma di immaginazione appartiene alla categoria che gli esperti di
onirocritica definivano enjpnion: un sogno sprovvisto di funzioni semantiche, per
cosi dire una forma inferiore di sogno (almeno, secondo la concezione degli anti-
chi) poiché non offre alla psiche del dormiente nulla se non il riflesso dei bisogni
alimentari dell'organismo.
Ma il rapporto tra sogno e alimentazione si può osservare, nella cultura gre-
ca, anche per altri e certo più significativi aspetti. Nel sistema elaborato dagli
interpreti, sognare cibo occupava una serie di valori simbolici che si possono,
in parte, recupeiàre anche aallibro df Artemidoro, nel quale le spiegazioni che
1'1mtl5feattfiouisce· aÌle immagini oniriche riflettono in generale associazioni sim-
boliche largamente condivise dal suo pubblico e dunque in qualche modo cultural-
mente significative: cosi, leggiamo che i legumi sono un segno funesto (I, 68),
le carni sono buon segno, le mele indicano· i piaceri d'amore -in.quanto sono sacre
ad 1irtodtte, ilhel()gràrii servitù e sòttomissione «a causa del mito di Eleusi» (I, 73).
---n-puntò di partenza del mio discorso è la nozione di «tabù alimentare», ossia
il divieto di accedere a una serie di cibi o bevande esteso a particolari gruppi
della comunità (ad esempio, i membri di una setta) o a particolari momenti dell'e-
sistenza individuale (ad esempio, prima della consultazione di un oracolo o nel
corso di un rito iniziatico).

- 169
HOMO EDENS ---------------------------

Il dibattito sulle origini e le funzioni del tabù è stato un argomento centrale


della ricerca antropologica sin dalle origini di questa scienza 5 ; certamente, la no-
zione di tabù è fondamentale per comprendere i meccanismi sociali di una civiltà
tribale, in quanto investe primariamente le due sfere, quella sessuale e quella ali-
mentare, che toccano, caricandoli di una significazione emotiva e simbolica, i due
rapporti sociali fondamentali: la produzione e la riproduzione.
Certamente non si potrà discutere che il tabù vada connesso con il problema,
più vasto, del funzionamento dei sistemi simbolici, e questo è tanto più evidente
nel caso del tabù alimentare; cibarsi significa infatti anche essere partecipe di un
codice di comportamento che non è solo dietetico, ma socioculturale, mitologico,
e perciò necessariamente anche simbolico.
Se il cibo degli dei è distinto da quello degli uomini ed esiste tra queste due
comunità un sistema incrociato di divieti 6 , anche il modo di accedere al cibo
di un iniziato si contrappone a quello di un profano; per la Grecia, valga il caso
dei Pitagorici, il cui tenore alimentare era sottoposto come si sa a una serie di
restrizioni, oppure quello del sistema alimentare di Sparta arcaica, dove le modali-
tà di consumazione del cibo erano collegate alle classi d'età: gli adulti, che aveva-
no superato l'iniziazione militare, consumavano il pasto comune nei sissizi, i gio-
vani in forme individuali e semiclandestine 7 •
Tutto questo giustifica, spero, la mia escursione nel campo del sogno, non
solo perché esso è per definizione il campo del simbolico, ma anche perché il
simbolismo onirico, come Freud ha dimostrato, è esso stesso il prodotto di un
sistema di tabù, consistenti nell'azione di quella che egli chiama la "censura oniri-
ca", la quale permette che in un sogno filtrino solo quelle forme che non sono
messe al bando dalla morale collettiva 8 •
Il nesso tra divieti alimentari e attività onirica era percepito nella cultura gre-
ca a vari livelli: non solo si riconosceva comunemente che il cibo (o la sua man-
canza) potesse determinare un sogno in cui si realizza un soddisfacimento fisico,
ma anche che la qualità del cibo potesse interferire con la produzione simbolica
della psiche addormentata.
Il trattato pseudo-ippocratico Sulla Dieta 9 si conclude con una sezione dedi-
cata ai sogni, che vengono concepiti nello stesso tempo come il prodotto di una
determinata dieta e come un segnale di natura fisiologica: il presupposto è che
l'alimentazione inneschi nell'organismo una serie di secrezioni umorali le quali
a loro volta influiscono sulle fantasie notturne. Se nell'organismo predomina una
pienezza di bile gialla (l'umore che era collegato alle qualità del "caldo" e del
"secco") compariranno tipicamente in sogno immagini calde e luminose, come
fuochi e incendi; mutando la dieta in modo da compensarla con alimenti di natura
opposta, si modifica pure la simbologia onirica. I medici ritenevano anche che
esistesse un preciso rapporto tra il temperamento dominante nell'organismo e la
produzione onirica: a questa sfera d'idee va ricondotta anche la tesi (che si man-
tenne sino alla medicina rinascimentale) secondo la quale le persone maggiormente
predisposte a sogni "veri" (ossia, profetici) fossero quelle di temperamento me-
lancolico 10• ·
Ma, al di là della medicina, era una credenza generalmente diffusa anche
a livello popolare che l'alimentazione tendesse a inibire certe forme, per cosi dire,
superiori di sogno: per chi ricercava un sogno divino diventava dunque necessario
controllare l'alimentazione.

170 ----------------------------
------------------------ GIULIO GUIDORIZZI

L'eccesso di cibo e di vino provoca sogni confusi e inattendibili in cui la


fmezza della mente prof etica risulta ottenebrata: di qui deriva la credenza che
i sogni più veri compaiono al mattino, quando gli effetti dell'alimentazione sono
completamente smaltiti e l'anima è finalmente sola con se stessa O , e anche l'idea
che i sogni visti in autunno, cioè nella stagione di maggiore disponibilità alimenta-
re siano falsi, mentre quelli veraci compaiano preferibilmente a primavera, quan-
do (per usare le parole di Alcmane) «tutto fiorisce, ma non si può mangiare in
abbondanza»: lo stesso schema di credenze si trova tra certe popolazioni africane
(i "Cafri") presso le quali si crede che i sogni veri compaiano in estate, quelli
falsi in inverno 12•
Nella lingua greca, l'antitesi sogno vero/sogno falso è semanticamente espres-
sa da una coppia di aggettivi (w8uov1tpoç/ 3uaov,c.poç) e pare significativo che men-
tre il secondo è attestato prevalentemente in rapporto all'alimentazione, il primo
non lo è mai: dunque, mentre non vi sono cibi che «producono sogni veri», altri
sono indicati esplicitamente come contrari alla comparsa di essi. Uno di questi,
secondo Plutarco (Quaest. conv. 8, 10), era la testa del polipo (forse, per il valore
afrodisiaco che veniva attribuito a questo alimento?).
La comparsa di sogni con contenuto sessuale, definiti 6v,~orµot, era dalla
medicina antica ritenuta un sintomo patologico, al punto che si usavano erbe e
pozioni per controllare questo tipo di manifestazione onirica 13; le fave, secondo
Dioscoride (I, 105), un argomento su cui converrà ritornare in seguito.
In generale, il cibo è considerato inversamente proporzionale alle capacità
profetiche della psiche: tanto più essa è alleviata dalla necessità di subire i disturbi
dovuti alla digestione, tanto più è libera di esprimere nel sogno la sua naturale
potenza divinatoria. Si riconoscerà in questo un aspetto della ben nota dottrina
"orfica", secondo la quale l'anima dell'uomo diviene maggiormente padrona di
se stessa, il che equivale a dire maggiormente vicina al divino, nei momenti in
cui riesce a liberarsi dagli opprimenti legami della materia: quando evade dal cor-
po durante il sonno o l'estasi, oppure quando si avvicina al momento della morte 14•
In questa prospettiva, il discorso sulla funzione culturale dei rapporti tra so-
gno e alimentazione può procedere solo se viene connesso con un più generale
campo di fenomeni, ossia quello delle manifestazioni estatiche. Nella cultura gre-
ca, è generalmente escluso l'impiego di sostanze alimentari o erbe in funzione
allucinogena, per indurre artificialmente stati psicologici paranormali; condizioni
di estasi e trance sono fenomeni ben noti anche in Grecia, ma ottenuti senza il
ricorso a droghe, come invece avviene sovente presso altre culture. Ciò non deri-
vava né dalla mancanza di erbe o piante allucinogene, che naturalmente cresceva-
no nelle terre abitate dai Greci come in ogni altro luogo, né dalla mancanza di
nozioni sulle loro qualità, poiché anzi la potenza allucinogena di talune piante
era ben nota ai botanici antichi; Dioscoride parla del giusquiamo (IV, 88: toax6<x-
µoç), dell'erba apollinaria (IV, 64; IV, 72: cnpCxvoçWll<,),;urov)
di cui dice che, stem-
perata nel vino, produce per alcuni giorni «sogni non sgradevoli» (oùx &7181tç),
della mandragora (IV, 75).
Tra le sostanze alimentari impiegate per ottenere esperienze allucinatorie, un
posto importante è spesso occupato dai funghi. È soprattutto un fungo, l'Amanita
muscaria che assume un'importanza di rilievo antropologico presso una serie di
culture primitive: è noto infatti che diverse popolazioni paleo-asiatiche (Kamcha-
dal, Koryak, Yukaghir) ne praticavano una consumazione rituale, e gli riservava-

---------------------------- 171
HOMO EDENS--------------------------

no un culto, a causa delle sue proprietà allucinogene. Altri funghi allucinogeni


sono consumati tuttora in Indonesia (come ho avuto modo io stesso di osservare)
e in alcune regioni del sud-America. Secondo una recente teoria 15, inoltre, la
sacra bevanda del Soma, di cui parlano i testi vedici, sarebbe stata costituita ap-
punto dal succo dell'Amanita muscaria, opportunamente trattato.
L'importanza dei funghi come ingrediente dell'alimentazione culturale è tale,
che M. R. G. Wasson 16 è giunto a distinguere le culture tra "micofile" e "mico-
fobe", a seconda della loro attitudine verso i funghi: e quella greca antica andreb-
be certamente inclusa nella seconda categoria. In effetti, non solo i funghi ebbero
in Grecia un'importanza alimentare assai ridotta, e anche Dioscoride, che è una
miniera di notizie botaniche, riserva ai funghi una trattazione veloce e assai super-
ficiale. Un altro indizio della scarsa importanza simbolico-culturale che i funghi
avevanoin Grecia è il fatto che Artemidoro, estremamente minuzioso nel determi-
nare le altre categorie oniriche, ignora completamente i funghi.
Se in Grecia vi era una sostanza impiegata per produrre stati di esaltazione
psicologica, questa era il vino (com'è ovvio in una società mediterranea): ma nep-
pure il vino, che consente a un individuo durante l'ebbrezza di valicare i limiti
angusti della propria personalità, aveva una funzione oniropoietica: esso non era
generalmente una bevanda profetica, come d'altra parte Dioniso non era un dio
mantico 17• Al contrario, il vino era considerato un elemento perturbante dell'atti-
vità onirica: le fonti sono concordi nel separare le fantasie prodotte dall'ebrezza
da quelle oniriche, determinate da un'attività spontanea della psiche.
Il passo più significativo è nella Repubblica di Platone: sotto l'impulso del
vino - afferma il filosofo 18 - l'elemento ferino dell'anima si eccita, e sfoga
i suoi istinti, producendo sogni in cui ogni inibizione morale cade, si che l'anima
immagina ogni sorta di delitti: incesti, stupri, ogni genere di bassezza, mentre
solo chi si addormenta in uno stato di sobrietà può accedere alla visione di sogni
divini e profetici. Non era, del resto, solo un'opinione di Platone: nei rituali incu-
batori (come ad esempio quello di Amfiarao) il vino era sottoposto a un tabù
analogo: prima di essere ammessi alla sacra incubazione, era necessario astenersi
dal vino per almeno tre giorni 19•
Tutto questo indica che il problema era di natura culturale: non si trattava,
infatti, di ricercare sogni o allucinazioni comunque fosse, ma di ottenere uno spe-
cifico tipo di sogno; e per la cultura greca, il sogno significativo, quello "vero",
è il sogno profetico, in cui l'anima prevede il futuro ricevendo la visita diretta
di un dio (nel caso dell'incubazione) o attraverso un messaggio simbolico affidato
alla decifrazione di un interprete.
Questi sogni banno in comune una caratteristica fondamentale: che le forme
oniriche sono in qualche modo omologhe a quelle del mondo desto. Nei santuari
d'incubazione, il dio appariva «simile alle statue di culto» 20 , come una proiezione
dell'immagine cultuale, era benevolo e mite, si comportava dunque con manifesta-
zioni simili a quelle che si.osservano nella veglia; al contrario, immagini confuse
e perturbate, come sono quelle prodotte da sostanze allucinogene, erano esatta-
mente il contrario di quanto questo tipo di sognatori andasse cercando 21 •
In sostanza, la "verità" di un sogno era considerata direttamente proporzio-
nale alla sua somiglianza con il linguaggio cosciente, mentre un sogno confuso
e perturbato era ritenuto inattendibile: e tali appunto sono i sogni allucinati dei
malati e degli ebbri, in cui le immagini si mescolano creando forme mostruose.

172 ----------------------------
------------------------ GIULIO GUIDORIZZI

Questo fatto trova un perfetto riscontro nel modo di descrivere i sogni che è tipico
della letteratura greca e dell'antica onirocritica: amputato delle sue più caratteristi-
che trasgressioni spaziali e temporali al reale, nella rielaborazione secondaria di
chi lo scrive, un sogno narrato in una testimonianza greca ba sempre qualcosa
di troppo realistico, nella sua forma che elimina ogni aspetto incongruo o para-
dossale, che sarebbe tipico dell'immaginazione onirica.
In questo senso, il problema era dunque di limitare quelle sostanze che potes-
sero incidere sulla libera elaborazione delle immagini da parte della psiche addor-
mentata, la quale doveva essere lucida e pura per potere accogliere la divina rivela-
zione; i tabù alimentari relativi al sogno vanno collegati con lo stesso sistema
di prescrizioni rituali che riguardano la consultazione oracolare e i riti iniziatici:
e in effetti, anche un sogno incubatorio ba qualcosa in comune con un rito inizia-
tico, poiché consente una visione diretta del dio tanto atteso, e sovente modifica
profondamente la condizione esistenziale di chi ha potuto ottenere un tale pri-
vilegio 22 •
Quanto noi sappiamo dei riti preparatori all'incubazione conferma che nei
santuari incubatori esistevano pratiche, rituali e alimentari, finalizzate a condurre
il supplice verso l'esperienza onirica in uno stato di purezza rituale. La testimo-
nianza forse più ampia e suggestiva è quella di Pausania 23 che conobbe per diret-
ta esperienza i rituali connessi con la consultazione di Trof onio a Lebadea, in
Beozia. Qui, il supplice alloggiato in un edificio apposito, era sottoposto per alcu-
ni giorni a una dieta prefissata (u~V<i>v 3!mt<tcxv
11µ.&p<i>v Lv olx-fi~ rx,t).
Notizie su questa dieta sacra, per quanto riguarda il V secolo a.e., sono
offerte da Cratino nel Trofonio 24 : erano interdetti alcuni pesci, come la triglia,
il trigone e il melanuro. Va notato, tra l'altro, che anche in Artemidoro tali pesci
erano collegati a esiti infausti, mentre il melanuro rientrava tra i tabù alimentari
pitagorici (Diogene Laerzio VIII, 33) e viene da pensare, a questo proposito, ai
tabù sui pesci diffusi presso il clero egiziano 25 : va detto, d'altra parte, che tali
pesci erano normalmente consumati, e anche ritenuti prelibati 26 ; secondo Porfi-
rio, inoltre, i pesci erano interdetti nei riti eleusini 27 •
Al contrario, nella dieta del santuario di Trof onio, la carne era ammessa,
e anzi - come assicura Pausania - consumata con particolare abbondanza. Si
osserva dunque in questo caso una precisa contrapposizione simbolica: la carne
è ammessa, il pesce è interdetto; il sangue (delle vittime sacrificali) è puro, il non-
sangue (dei pesci, che non manifestano perdite ematiche) è impuro, il che del
resto è coerente con la sfera simbolica dei riti ctonii.
In un altro famoso santuario d'incubazione, quello di Amfiarao a Oropo,
erano invece interdette principalmente le fave 28 • Le fave erano d'altra parte consi-
derate generalmente contrarie alla comparsa di sogni veritieri: secondo Dioscoride
(I, 105) producono sogni cattivi (il che, come abbiamo visto, equivale a dire per-
turbati); Cicerone (De divinat. I, 30, 62) ribadisce l'idea, offrendone una spiega-
zione rabelaisiana: questo cibo produce una grande gonfiezza, che si oppone alla
tranquillità dell'anima e alla ricerca della verità; lo stesso concetto si ritrova nei
Geoponica (II, 35).
Le fave erano inoltre proibite ai pitagorici, e anzi ne costituivano il principale
tabù alimentare, sul quale le fonti antiche si sono diffuse con un ventaglio d'inter-
pretazioni che vanno dal simbolico al razionalista: perché costituiscono un punto
di passaggio tra l'Ade e il mondo dei vivi (Diogene Laerzio VIII, 34); perché

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HOMO EDENS--------------------------

sono collegate con la sfera della sessualità (Clemente Alessandrino, Strom. 3.3;
Luciano, Vit. auct. 6; Porfirio, Vita Pyth. 44); perché esse distruggono e isterili-
scono la vegetazione (Teofrasto, De caus. plant. 5, 15; Geoponica II, 35); perché
contengono la vita (Origene, Contra Cels. 5, 41) e viceversa sono associate agli
spiriti dei morti (Plinio, NH 18, 118).
Le fave erano sottoposte a una serie di divieti rituali: erano tabù, a Roma,
per il jlamen dialis (Gellio, 10, 15, 121), ed escluse dai riti orfici ed eleusini;
si ricordano divieti relativi alle fave anche nella cultura egiziana 16• I Pitagorici
spingevano il divieto sino all'interdizione di attraversare un campo di fave, una
circostanza che l'antica aneddotica poneva in rapporto con le circostanze della
morte di Pitagora (Tertulliano De Anima 31; Diogene Laerzio VIII, 45; Giambli-
co, Vita Pyth. 188-194).
Si tratta per la verità di un dato che, se appartiene alla dietetica sacra, ba
una sua ragion d'essere nell'igiene alimentare; entrambe le caratteristiche che la
cultura greca attribuiva alle fave, ossia d'essere contrarie ai sogni e di essere impu-
re, trovano infatti conferma in una serie di funzioni che la scienza moderna ha
osservato.
Le fave sono infatti causa di una grave forma di decomposizione dei globuli
rossi, e danno origine alla malattia nota, a partire dal secolo con il nome di "favi-
smo", che è stata osservata scientificamente per la prima volta negli ultimi decen-
ni del secolo scorso; essa consiste in una grave forma di decomposizione dei glo-
buli rossi, e si verifica in soggetti geneticamente predisposti. L'area di diffusione
ereditaria di questo male comprende le regioni meridionali dell'Italia, la Grecia,
la costa africana mediterranea.
Il divieto di attraversare un campo di fave mostra una sorprendente nozione
di questa patologia: infatti, se l'azione tossica delle fave scompare al momento
della cottura, è proprio la loro infiorescenza che, a causa di un agente chimico
non ancora identificato, innesca nei soggetti predisposti i disturbi correlati alla
sindrome del favismo.
Altrettanto pertinente è il tabù delle fave in rapporto alla produzione onirica:
esse contengono infatti in dosi elevate una sostanza (il levodopa) la cui peculiarità
consiste nell'aumentare la concentrazione di dopamina nel sistema nervoso centra-
le, e questo può determinare ansia, insonnia, aumento dell'attività sessuale, alluci-
nazioni.
In conclusione, pare sufficientemente accertato che, tra le altre forme di di-
vieti alimentari presenti nella cultura greca, fosse stato elaborato un sistema di
tabù rivolti a difendere l'attività oniropoietica della psiche. Tali divieti si articola-
no secondo due direzioni, una quantitativa (eccesso di cibo/mancanza di cibo),
che si fonda su una concezione etico-filosofica: la temperanza favorisce i sogni
veritieri, l'intemperanza li inibisce; la seconda qualitativa (puro/impuro), che si
fonda su una concezione magico-rituale: alcuni alimenti sono ammessi (ad esem-
pio, prima del rituale incubatorio) perché neutri - dal punto di vista della simbo-
logia religiosa - altri sono interdetti per il motivo opposto.
Tutto ciò, naturalmente, rappresenta solo un aspetto della questione; e deve
essere collegato con un sistema più vasto - che ancora richiede di essere identifi-
cato - per il quale l'alimentazione e le sue modalità costituiscono, nella cultura
greca, un sistema complesso e articolato, non solo a livello sociologico, ma anche,
contemporaneamente, a livello simbolico.

174 -----------------------------
--------------------------- OIULIO OUIDORIZZI

NOTE

1) GALBN,~ dignotione a insomniis (VI, 843 li) All'l'BIO.DORO, I, 7; CicBRONB, ~ Divin, l,


K. =r. 30, ed. O. GumoaJZZJ,L'opuscolo di 60. Gli effetti del digiuno come stimolo al-
Galeno «~ dignotione a insomniis», «Bol- l'attività oniropoietica della psiche erano os-
lettino per la preparazione dell'edizione na- servati da Aristotele ~ insomn.
zionale dei Classici Greci e latini» N.S. XII, 12) Sogni autunnali fallaci: PLUTAllCO,Quaat.
1973). Nello stesso opuscolo, Galeno racco- Conv. 8, IO; SBRVIO,ad Aen. 6, 248; inoltre,
mandava al medico di tener conto, per deci- A. 8oUCBB-LBCJJ31lQ, Histoire de la divina-
frare il valore di un sogno, degli alimenti as- tion dans l'antiquiti, Paris 1879 (reprint Bru-
sorbiti in precedenza: infatti, chi sogna gelo, xelles 1963), I, p. 287. Per le credenze dei
freddo e brividi sarà facilmente sotto l'influs- "Cafri", cfr. L. UvY-B ..UBL, La Nntalitd
so di una secrezione flegmatica nel ventre, per primitiva (trad. it.), Torino 1966 (La menta-
effetto di un certo tipo di alimenti (~ liti primitive, Paris 1922), p. 97, che cita C.
~). anche se tale umore non prevale H. CAIJ.AWAY,Tlle religious system of the
anchenel resto dcli' organismo (VI, 833 K. =r. Amazulu, pp. 178 sgg.
IO sg. Gu.). 13) Pumo, NH 26, 94 afferma che pozioni di
2) Ad esempio, ps. IPPOCRATE, Sulla Dieta IV, Nymphaea Heraclia erano inlpiegate per ini-
93; AllTIOODORO I, I. bire i sogni erotici; cfr. anche J. PioBAUD,
3) R. A. PACK:,Artemidoros and his waking Le rive erotique dans l'antiquiti greco-romaine
world, "TaPhA" 1955, pp. 280-290. "M6dicine, Littérature, Societé".
\ -4) R. 8AS11DB,Le rive, la tranCt!, la folie, Paris 14) Cfr. ad es. PINI>Allo, fr. 131 b Sn.-M.; ps.
,, 1972 (trad. it., Sogno, trant:t!,follia, Milano IPPOCliTE, ~ Victu 86; PI.ATONE, Ph«d.
1976, pp. 28-3,4). 65c-67c.
S) La parola, di origine polinesiana, fu usata per 15) Cfr. M. R. G. WASSON,Soma, Divine Mu-
la prima volta da James Cock, che ne era ve- shroom of lmmortality, New York 1968.
nuto in contatto durante il suo ten:o viaggio 16) M. R. G. WASSON,Mushrooms, Russia and
intorno al mondo (J. Coos:.,A Voyage to the History, New York 1957; anche C. LiM-
pacific Ocean, Dublin 1784, voi. II, p. 40 e STR.Auss,Les champignons dans la culture,
2-49; voi. III p. IO sg.: cf. anche G. FRAzll, in Anthropologie Structuraledt!ux, Paris 1973,
voce Taboo in Encyclopaedia Britannica (9a. pp. 263-279.
ed., 1875) e il capitolo Taboo and the perils 17) L'unica notizia di una divinazione oniroman-
of the Soul in Tlle Golden Bought, Londra tica operata da Dionisio è quella relativa al-
1911 (trad. it. Il ramo d'oro, Torino 1973). i' oracolo di Amficlea, dove i sacerdoti inter-
Un'esposizione sintetica delle principali teo- pretavano i sogni in stato di estasi, cfr. PAU·
rie relative al tabù (sino agli anni cinquanta) SANJA, 9.
in F. B. STBINBR,Taboo, London 1956 (trad. 18) PI.ATONE, rt!Sp. 57lc-572b.
it. Tabù, Torino 1980). 19) Cfr. L. l>BuBNBR, ~ incubatione, Leipz.ig
6) Cfr. il sistema dei miti relativi alla fondazione 1900, p. 17.
del rito sacrificale, come ad es. HBS. Tlleog. 20) Cfr. l>BuBNBR, op. cit. p. 9-10; O. WJIINJIBICB,
535 sgg.; cfr. in generale M. DBTmNNB, La Antike heilungswunder, Giessen 1909, pp.
cucina del sacrificio in terra greca (trad. it., 155-158; inoltre, ad esempio, Ovm10, Met.
Torino 1982: La cuisine du sacriflCt!en pays XV, 654; LoNOO SoPISTA, II, 23, I.
gm:, Paris 1979). 21) Cfr. AlusTOTBui, ~ insomniis 461 a (chi è
7) SBNOPONTE, Resp. Lacedem., II, 6-7: secondo sottoposto all'influsso di una secrezione di bile
le leggi di Licurgo, i fanciulli spartani devo- nera, o ammalato o ebbro sogna visioni mo-
no procurarsi il nutrimento rubando; cfr., an- struose e prive di consistenza).
che PLUTAllco, Lyc. 17. 22) Come riferisce sovente Elio Aristide (ad es.,
8) S. Fuuo, L'interpretazione dei sogni, trad. it., 48, 31). .
Roma 1968, pp. 469 sgg. 23) PAUSANIA,9, 39, 5-14.
9) Ed. R. JoLY, Paris 1967; cfr. G. CAMBIANO, 2-4) Fr. 236 Kassel-Austin.
Une interprétation matérialiste des rlves: «Du 25) Cfr. PLUTARCO,~ lsld. et Osir. 353 c.
Régime»IV, "Actes du Colloque de Paris 26) In modo particolare il melanuro, che ricorre
(sept. 1978)", Paris 1980, pp. 87-96. negli antichi ricettari e al quale Matrone (Sup-
10) Aurorm.B, ~ divinai. per somn. 464 a.; Eth. plementum hellenisticum 534); 6 ~
Eud. 1248 a; Alu!TBo Morb. Chron. I, S; jl,Ù.cM>lipoç 3ç x«Ì 9v7}wç WY lit' lx9u<nv
AuissANJ>ao DI TllALLIISI, SII, 591 Puschm. ~tmY

---------------------------- 175
HOMO EDENS----------------------------

27) Cfr. PAUSANIA, I, 37. ~--· WYWxlG8c XWML walc~


28) DlroBNml,op. cii., pp. IS sa.; cfr. anche PLu- 'tijç 81«'t(,)V 6vc(pc.>v
f,IAIMLXfic.
TAllco, Sympos. VIII, 10, I 734 f Ml 3'm! 29) Cfr. da ultimo OJUOJt, Le mamtt~ all'alba
~1,14't(.,>Yr- ~ Ml UlpCIX'tlXGt
't(,)V 't<i>v della civiltd occidentale, trad. it., Bologna
x.«G'Gnvov &p.c.,v, ~iç i)(p(imo wiç ff 1983.

176 -----------------------------
QUARTA SESSIONE

MERCATO, SCAMBIO,
APPROVVIGIONAMENTO
Presidente:
Giorgio Savio
I PRODOTTI ALIMENTARI
COME MERCI DI USO E DI SCAMBIO
di Giorgio Savio

Non è semplice collocare questa relazione nell'ottica del Colloquio su "Homo


Edens", nel cui ambito sono state chiamate a confrontarsi discipline umanistiche
e discipline scientifiche con la finalità di indagare sui complessi rapporti fra ali-
mentazione e cultura. Il contributo che il merceologo può proporre a questo sti-
molante confronto è quello di evidenziare le dinamiche dei costumi e degli stili
alimentari in relazione ai fatti economici, alla realtà economica.
In questa prospettiva è utile richiamare il significato che la scienza economica
attribuisce tecnicamente al termine "merce": merce è ogni bene o servizio che
viene scambiato contro moneta. Questa definizione permette di distinguere fra
il concetto di baratto e quello di scambio monetario.
Il baratto è la forma rudimentale e forse iniziale con cui ba cominciato a
manifestarsi all'interno dei primi gruppi sociali, e fra gli stessi, la volontà di scam-
bio di beni materiali destinati a soddisfare i reciproci bisogni. Certamente questa
forma di scambio sussiste ancora fra gruppi e tribù di popolazioni che si trovano
a stadi di sviluppo primitivi.
Tuttavia, inteso in questa ottica, un bene non può essere definito come "bene
economico" nel senso tecnico della parola. Esso lo diventa quando lo scambio
avviene vtilizzando, come bene intermediario, una misura comune del valore, in
particolare la moneta: è solo a questo stadio di sviluppo della struttura sociale
che l'attività di scambio diventa mercato e che il bene economico diventa merce,
il cui rapporto di scambio ne determina il prezzo.
Gli alimenti sono beni materiali che soddisfano il bisogno primario per eccel-
lenza. È accettabile pensare che nel periodo di tempo in cui l'uomo cominciò
la sua evoluzione di adattamento con le piante e gli animali, quando cioè circa
diecimila anni fa le comunità di viaggio passarono gradualmente a comunità con
residenza fissa, l'unica forma di economia che si potesse manifestare era l'autar-
chia della singola economia domestica o di gruppo; una economia senza scambio,
di sussistenza, nel cui ambito oltretutto il numero di specie animali e vegetali
disponibili si andava riducendo mano a mano che la domesticazione evolveva nella
direzione di intensificare le produzioni e di concentrare le stesse sulle specie più
produttive.
Prima che i prodotti alimentari possano diventare oggetto di una qualche
forma di scambio, è necessario prefigurare orgaoiZZBzioni sociali abbastanza evo-
____________________________ 179
HOMO EDENS --------------------------

Iute in cui cominci a disegnarsi una certa divisione del lavoro, una differenziazione
delle funzioni nell'ambito della collettività, una separazione degli interessi. È ne-
cessario, in altre parole, pensare a fonne di civiltà che avessero già sviluppato
in certo grado sia mezzi e tecniche di produzione, sia conoscenze sulla fissazione
di pesi, misure e valori di scambio, sia capacità di reddito e conseguente potere
d'acquisto.
Né è da pensare che i prodotti alimentari potessero fonnare oggetto dei primi
scambi a distanza: nelle loro prime manifestazioni, tali scambi dovevano necessa-
riamente essere circoscritti a beni che, in piccoli volumi, incorporassero il più
elevato valore possibile (quelli che oggi chiameremmo "articoli di lusso").
Solo a stadi più avanzati di sviluppo sociale, con una relativa sicurezza delle
vie e dei mezzi di comunicazione su terra e su acqua e con l'uso della moneta
come intermediario di scambio, si può immaginare un progressivo allargamento
dei traffici a merci di grande massa, comprendenti anche prodotti alimentari.
Possiamo, in ultima analisi, aff ennare che ogni popolazione e ciascun gruppo
etnico ha sviluppato, nel corso della propria evoluzione storica, modelli e compor-
tamenti alimentari fortemente condizionati dalle risorse naturali del proprio habi-
tat, potendo contare in modo pressoché autarchico sulle disponibilità alimentari
indigene.
Questi modelli, rimasti pressoché inalterati per millenni, stanno radicalmente
mutando nelle regioni e nei paesi più avanzati verso forme che tendono ad allonta-
narsi sempre più dalla tradizione, sotto la spinta di fattori diversi che influenzano
in vario modo gli aspetti quantitativi e qualitativi dei comportamenti abituali.
Scopo della relazione è di tentare una interpretazione di tali dinamiche mu-
tuando gli strumenti dell'analisi dalla teoria economica, nella consapevolezza pe-
raltro dell'errore di prospettiva storica che è facile commettere quando si introdu-
cano delle semplificazioni o quando si guardi alle cose dal punto di vista ex post.

I fattori di produzione e la domanda


Alcune delle variabili prese in esame per sviluppare l'esposizione attengono più
propriamente all'offerta, altre alla domanda: si tratta di due aspetti distinti della
realtà economica che, tuttavia, si influenzano e si determinano reciprocamente.
Dal lato dell'offerta, la prima variabile che interessa considerare è costituita dalle
risorse naturali.
Non sono disponibili dati quantitativi che ci permettano di conoscere le pro-
duzioni di alimenti presso le più antiche popolazioni, mentre sono numerosissime
le testimonianze da graffiti, bassorilievi, affreschi, papiri, terrecotte e da tutta
l'ampia raccolta di materiale archeologico, che ci permettono una ricostruzione
qualitativa di quanto nelle diverse epoche era disponibile come cibo e come bevan-
da. Più che indugiare in una elencazione che riuscirebbe sempre incompleta, con-
viene concentrare l'attenzione sul fatto che sono ormai numerose le prove accu-
mulate in anni recenti circa la possibile indipendenza dei centri di domesticazione
di diverse specie animali e vegetali.
Fino a non molto tempo fa era accreditata l'ipotesi che la deliberata domesti-
cazione da parte dell'uomo di piante e animali per ricavarne alimenti fosse da
considerare una scoperta cosi radicale e cosi complessa da essersi potuta sviluppa-
re soltanto una volta (o forse due) nella storia dell'umanità, dopodiché il sistema
si sarebbe diffuso per stimolo naturale.

180-----------------------------
-------------------------- GIOROIO SAVIO

Figun1 1 - Diffusione deU'agricoltun1 in Europa ricavata da un'analisi di regressione secondo due


ipotesi: a) velocità di diffusione costante nel tempo e nello spazio; b) velocità di diffusione non isotro-
plca (linee marcate).

HOO 6(X)()

(da Ammerman e Cavalli-Sforza dt. in 17) 7000 7500 8000

Lo schema innovativo che si va ora delineando è che diverse specie animali e


vegetali possano essere state domesticate indipendentemente e ripetutamente in
più regioni, in epoche diverse o simultanee. L'effetto di estensione e di diffusione
per molte specie dovrebbe essere stato pertanto più lento e forse anche più limitato
di quanto si pensasse qualche tempo addietro. In un'ottica economica, è impor-
tante sottolineare la distinzione fra il concetto di origine e di domesticazione. La
domesticazione è infatti un processo selettivo e adattativo indotto dall'uomo con
la creazione di un ambiente artificiale che porta a una stretta interdipendenza
fra sé e le specie animali e vegetali domesticate, al punto da condizionare la reci-
proca sopravvivenza.
Sembra in ogni caso abbastanza chiaramente documentato che l'area mediter-
ranea sia stata interessata dall'avanzamento dell'agricoltura e dell'allevamento con
una diffusione iniziale dal vicino Oriente all'area della Grecia e dei Balcani e,
in seguito, a ventaglio in tutta Europa (fig. 1).

Quando inizia la crescita e lo sviluppo delle prime grandi civiltà mediterranee,


sono già domesticate tutte le specie di animali e vegetali che sono allevate e colti-
vate ai nostri giorni, seppure con le varianti che l'ibridazione e la selezione geneti-
ca naturale, o intenzionale dell'uomo, hanno indotto sulle razze ancestrali.

--------------------------- 181
HOMOEDENS--------------------------

Le favorevoli condizioni pedoclimatiche contribuirono a rendere disponibile


per le popolazioni dell'area mediterranea una vastissima gamma di risorse alimen-
tari. Sono relativamente pochi i nuovi prodotti alimentari che gli Europei impare-
ranno a conoscere a seguito della scoperta delle Americhe e dei contatti diretti
con l'Oriente: dalle Americhe principalmente il mais, la patata, il pomodoro, il
caffè, il cacao; dalla Cina il tè. Fatta eccezione per questi prodotti "nuovi", le
antiche popolazioni mediterranee potevano contare sulla disponibilità di alimenti
vegetali e animali non molto dissimili da quelli dei nostri giorni.
La variabile principale che dal lato della domanda si correla con la disponibi-
lità di risorse alimentari è la popolazione. Valutazioni indirette e molto approssi-
mate della popolazione nel periodo storico in cui ebbero inizio le pratiche dell'a-
gricoltura e della domesticazione degli animali (ossia, come generalmente si ritie-
ne, intorno all'8000 a.C.) stimerebbero in circa otto milioni di unità la dimensione
assoluta degli abitanti della terra.
Numerosi antropologi e storici concordano su questo ordine di grandezza sul-
la base del numero di individui che, nelle condizioni sociali e tecnologiche allora
presumibili, potevano sopravvivere. Supposta valida questa stima sulla dimensione
assoluta della popolazione in quel momento storico, è abbastanza agevole rico-
struire le linee generali dell'incremento della popolazione umana, ricorrendo a sem-
plici relazioni matematiche riguardanti il tasso di incremento e i fattori che lo
determinano.
Senza entrare nel merito della statistica demografica, la ricostruzione suddetta
evidenzia che la storia della popolazione umana può essere grosso modo divisa
in due periodi: un lunghissimo periodo di incremento lento e un brevissimo perio-
do (in pratica gli ultimi duecento anni) di incremento rapido (/ig. 2).
Numerose indicazioni fanno supporre che, nel lungo periodo di incremento
lento della popolazione, siano aumentati sia il tasso di fertilità sia il tasso di mor-
talità, con un leggero margine in più del primo rispetto al secondo, ma con au-
mento della speranza di vita media pressoché inavvertibile. È probabile che, nel
lungo periodo, le diverse regioni abbiano presentato andamenti oscillanti della
popolazione, con una alternanza di periodi fortuiti di bassa mortalità seguiti da
periodi di mortalità più elevata causata da epidemie e carestie ricorrenti.
Anche per questa variabile non disponiamo di dati quantitativi per misurare
gli effetti del fenomeno nello spazio-tempo delle epoche più remote, tuttavia essi
devono essere stati comuni alle piccole concentrazioni di villaggi sparsi come alle
più complesse organizzazioni sociali urbane delle grandi civiltà del passato. Il più
antico periodo per il quale sono disponibili dati utili (e non per questo certi) è
l'inizio dell'era cristiana, con i censimenti che Roma decretava per raccogliere
informazioni sull'entità della popolazione della Cina e dell'India.
Ma è solo nel secondo millennio dell'era moderna che si cominciano ad avere
stime meno approssimative sulla popolazione urbana e rurale di alcune aree circo-
scritte. Ed è da questo periodo che sono ampiamente documentate anche le gravi
pandemie che hanno colpito l'Europa pre-industriale, provocate da peste, colera,
vaiolo, tifo, febbri e altre malattie misteriose.
Il grande balzo demografico che si avrà a partire dalla metà del '700 in avanti
sarà determinato dalla diminuzione del tasso di mortalità reso possibile da miglio-
ramenti delle condizioni sanitarie, dell'igiene pubblica, della medicina e da una
maggiore disponibilità di cibo e di altre risorse materiali.

182 ----------------------------
-------------------------- OIOROIO SAVIO

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Ancora dal lato della produzione, una variabile importante da considerare è la


tecnologia. Un illustre studioso contemporaneo di storia economica sintetizza mol-
to efficacemente i mutamenti radicali intervenuti nella storia dell'uomo con queste
parole: «La Rivoluzione neolitica e la Rivoluzione industriale cambiarono il corso
della storia, creando ciascuna di esse una discontinuità nel processo storico. La
Rivoluzione neolitica trasformò l'umanità dallo stadio selvaggio a quello civile,
ma il mondo dell'uomo rimase per millenni un mondo di piante e di animali.
L'essenziale continuità che caratterizzò il mondo pre-industriale, pur attraverso
rivolgimenti grandiosi, è stata drammaticamente interrotta tra il 1750 e il 1850
- nel giro quindi di tre generazioni - attraverso il controllo di vaste fonti di
energia inanimata.»
Da uno stretto punto di vista tecnologico-economico, l'affermazione è piena-
mente giustificata. Sembra anzi che tutte le tecniche di base dell'agricoltura e del-
l'allevamento, come pure quelle relative alla trasformazione e alla conservazione
di diversi prodotti vegetali e animali, fossero già ampiamente conosciute e diffuse
presso le civiltà rurali non ancora urbanizzate dell'Età del Bronzo. Siti mesopota-
mici ed egiziani del quinto millennio confermano la conoscenza dei metodi di
irrigazione a flusso. Lo sviluppo delle attività artigianali ha già affmato gli stru-

-------------------- 183
HOMO EDENS---------------------------

menti e gli utensili da lavoro. Il valore dei terreni è stimato sulla base della qualità
e della produttività del suolo. Si conoscono le tecniche di fertilizzazione, di rota-
zione delle colture, di selezione degli animali. Si pratica la pesca con reti a strascico.
Ma ciò che più conta è che l'uomo diventa biotecnologo senza saperlo. La
prima tecnica di trasformazione alimentare da lui appresa è stata probabilmente
la manipolazione del latte per ottenere formaggio e burro. I nostri biotecnologi
avanti lettera imparano presto a ottenere da liquidi dolciastri e poco tentatori
qualcosa di ben più gradevole che conferisce anche una insospettata euforia: il
vino dal succo d'uva, il pulque da quello dell'agave o, fatto tecnologicamente
molto più complesso, il saké dal riso e una specie di birra dai cereali. Notano
che il vino qualche volta si trasforma in aceto ma che quello stesso aceto ha
la straordinaria proprietà di mantenere inalterati certi alimenti. Apprendono la
tecnica di lievitazione del pane, la tecnica di conservazione degli alimenti per essic-
cazione e per immersione in salamoia.
In definitiva si ha ragione di credere che una lunga e ininterrotta serie di
innovazioni tecnologiche si sia sviluppata in campo agro-alimentare fino alla metà
circa del secondo millennio prima di Cristo: al confronto, il periodo greco-romano
può essere considerato un intervallo temporale caratterizzato da una strana inerzia
innovativa e da un ristagno tecnologico che si prolungherà per diversi secoli suc-
cessivi.
Sarà necessario attendere i primi contributi della scienza alla tecnologia per
avere, nel corso del Settecento, uno spettacolare progresso dell'agricoltura tanto
da far parlare anche di Rivoluzione agricola oltre che di Rivoluzione industriale.
Scienza e tecnologia investono anche il settore alimentare, che vede nel secolo
scorso i primi tentativi di industrializzazione. Lo sviluppo delle conoscenze scienti-
fiche comincia a far coniugare il concetto di alimentazione con quello di nutrizio-
ne e dietetica.
Dal lato della domanda, altre variabili da considerare sono i livelli e le distri-
buzioni dei redditi, insieme con i livelli e le strutture dei prezzi. La scienza econo-
mica definisce "reddito" la remunerazione dei fattori della produzione in un de-
terminato periodo. Ovviamente la percezione di reddito implica la partecipazione
a un processo produttivo.
Nelle strutture economiche delle primitive società rurali il processo produttivo
era limitato a soddisfare i bisogni primari di sopravvivenza; la terra e gli altri
mezzi di produzione erano solitamente di proprietà comune della tribù o del vil-
laggio e la distribuzione dei prodotti avveniva sulla base di una remunerazione
generica e convenzionale. In pratica l'economia rurale era pianificata.
Durante il periodo pre-classico inizia nel Vicino Oriente quel processo di ag-
gregazione sociale ed economica che sfocerà nella cosiddetta "rivoluzione urba-
na", sul cui modello evolveranno in seguito, seppure con connotazioni differen-
ziate, le varie civiltà mediterranee. Prima ancora che un fatto demografico e urba-
nistico, la "rivoluzione urbana" è un fatto economico; rappresenta cioè la
concretizzazione - avvenuta attraverso processi secolari - di un nuovo tipo di
organizzazione della produzione, basata sulla divisione specialistica del lavoro.
Sarà questo il processo che innescherà in seguito la gerarchizzazione delle
classi sociali e l'accentramento nel nucleo urbano della struttura più evoluta, più
efficiente e più complessa che, utilizzando ai propri fini la produzione delle comu-
nità di villaggio, potrà ottenere "eccedenze" di prodotti e di forze lavorative che

184 -----------------------------
-------------------------- GIORGIO SAVIO

le avrebbero consentito di funzionare e di controllare sempre più saldamente il


potere politico ed economico delle comunità. La massa del reddito comincia a
differenziarsi fra quelle grandi categorie che oggi conosciamo con i termini di
salari, rendite, interessi, profitti, imposte.
Le prime indagini statistiche sulle funzioni di consumo e di spesa hanno per-
messo di evidenziare, ancora alla metà del secolo scorso, il fenomeno (noto come
legge di Engel) secondo cui quanto più basso è il reddito disponibile tanto più
elevata. è la quota dello stesso destinata alla spesa per alimenti e, nell'ambito di
questi, più alta è la percentuale assorbita dagli alimenti cosiddetti "poveri".
Nei secoli e nei millenni, per la massa della popolazione il reddito fu rappre-
sentato dal salario e, data la scarsa produttività del lavoro (unitamente ad altre
circostanze di carattere istituzionale) il livello dei salari rispetto al livello dei prezzi
è rimasto mediamente molto basso.
È vero che nelle diverse organizzazioni sociali del passato, una delle maggiori
preoccupazioni dei governanti è sempre stata quella di intervenire sulla program-
mazione dell'attività agricola, sulle importazioni in caso di necessità, sulla distri-
buzione della produzione, sulla regolamentazione di salari e prezzi per cercare
di soddisfare i bisogni essenziali della popolazione. Ma è altrettanto vero che in
qualsiasi società agricola tradizionale uno dei maggiori caratteri di contrasto che
distingueva l'opulenza dei ricchi dalla miseria dei poveri era costituito dall'abbon-
danza e dalla ricercatezza di cibi e bevande dei primi in confronto con la scarsa
razione alimentare dei secondi.
Gli stretti legami fra struttura della dieta e reddito sono ancora oggi puntual-
mente verificabili. L'elaborazione dei dati aggregati sulle disponibilità medie di
nutrienti e sul PIL pro-capite nel nostro paese è sintetizzata nel grafico della Figura
3. Un esame più approfondito della situazione permette di evidenziare un altro

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HOMO BDENS---------------------------

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PIL pro capite
(103 S media 1980-82)

elemento conoscitivo di notevole interesse. Nella Figura 4 sono riportati, in fun-


zione del PIL pro-capite, i valori della quota media energetica coperta da prodotti
di origine animale in paesi a livello di reddito diverso.
Come si nota dalle linee che interpolano questi dati, l'appiattimento verso
il massimo si riscontra per valori di PIL pro-capite superiori a 4.000 $ e su quote
di copertura energetica da prodotti animali intorno al 400/o. Dal punto di vista
nutrizionale, la posizione del nostro paese in questo grafico è abbastanza soddisfa-
cente qualora il dato si consideri in termini relativi; desta qualche perplessità se
considerato in termini assoluti, in quanto la nostra disponibilità energetica media
eccede largamente i fabbisogni raccomandati.
Per ultime, vengono considerate alcune delle variabili che la scienza economi-
ca definisce "variabili esogene" e che il Demaria distingue in due specie: variabili
esogene esplosive (o entelechiane) e variabili esogene ambientali (o di propagazio-
ne). Le variabili entelechiane sono quelle forze e quei fattori che, presentandosi
improvvisamente, producono effetti non determinabili a priori. Esse rompono l'e-
quilibrio delle situazioni, modificano le psicologie degli operatori economici, la
disponibilità dei fattori produttivi e i livelli dei prezzi. Ci si riferisce in particolare
alle carestie. È difficile per noi oggi renderci conto di cosa sia la fame ma è
sufficiente scorrere i documenti del passato e le cronache che anche ai nostri giorni
ci giungono da certe regioni dell'Asia e dell'Africa per capire la situazione delle

186 ----------------------------
------------------------- OIOROIO SAVIO

popolazioni prive di cibo e la loro estrema vulnerabilità a tali agenti calamitosi,


oggi e ancor, più in passato.
Numerosi studi, compiuti con riferimento a città italiane ed europee nel pe-
riodo compreso fra il XIII e il XVII secolo, permettono di rilevare gradi di con-
cordanza molto significativi, nei periodi di carestia, fra alti prezzi del frumento,
crisi alimentari e aumento della mortalità. Nei momenti e nelle aree in cui le care-
stie si manifestavano in concomitanza con le epidemie o quando, non di rado,
una maggiore frequenza o una maggiore intensità di queste erano conseguenza
indiretta delle guerre, l'effetto sinergico era devastante. Carestie, epidemie e guer-
re hanno provocato di continuo e in tutti i tempi punte di mortalità catastrofiche.
Tralascio di commentare il fatto che, ai nostri giorni, il problema di diversi paesi
è costituito dalla scarsità di alimenti, mentre per i paesi industrializzati costituisco-
no un problema le eccedenze di alimenti.
Un breve e rapido cenno si rende infme necessario su alcune variabili di pro-
pagazione che influiscono sulla domanda individuale e aggregata di diversi beni,
fra cui gli alimenti, in un determinato spazio-tempo. Le variabili di propagazione
sono definite come un complesso di coltivazioni alternative attraverso le quali
le variabili endogene possono agire sul sistema produttivo.
Interessano al nostro scopo le componenti di quei fattori di tipo psicologico,
religioso, folkloristico, che sono state analizzate e studiate solo in tempi relativa-
mente recenti, anche se caratterizzano il comportamento dell'uomo da sempre.
È stato definito effetto di traino o di imitazione (hand-wagon effect) quello
che spinge il consumatore a manifestare una certa domanda semplicemente perché
anche altri la manifestano. È stato definito effetto snob quello che fa abbandona-
re un prodotto qualora l'incremento e la diffusione del consumo di questo non
sia più ritenuto come espressione di gusto raffinato.
L •effetto di desiderio di ostentazione è quello che indirizza la domanda di
certe categorie di persone (generalmente di recente e rapido arricchimento) su certi
prodotti costosi perché conferiscono distinzione e sono simbolo di stato sociale.
Xenofilia e xenofobia possono influenzare la domanda di prodotti provenien-
ti dall'estero o di prodotti ottenuti all'interno del proprio paese, indipendentemen-
te dalla convenienza di prezzo a parità di quantità e di qualità. Lo stesso può
ripetersi per altri fattori legati a credenze religiose, superstizioni, costumi, che
nella scelta dei cibi fanno agire i consumatori magari in modo contrario alla logica
economica, pur essendo essi informati delle alternative di prezzo, quantità e quali-
tà offerte dal mercato.

D .-odello alimentare del nostro tempo


I cardini della cultura alimentare mediterranea, e italiana in modo specifico, sono
rappresentati dall'eredità di una esperienza che si è riprodotta nei secoli senza
variazioni di rilievo fino alla soglia dei nostri giorni e che è stata influenzata e
modellata nel corso del tempo dalle variabii economiche sopra considerate. Questa
esperienza aveva elaborato un comportamento alimentare improntato a una po-
vertà quantitativa ma a una diversificazione qualitativa che rispondeva anche a
particolari condizioni geografico-climatiche, oltre che di civilinazione.
Nel nostro tempo alcune di quelle variabili economiche hanno diminuito il
loro peso, mentre altre si sono rinforzate e hanno contribuito a modificare sensi-
bilmente i nostri stili alimentari: sono quelle determinate dai condizionamenti strut-

---------------------------- 187
HOMO EDENS -----------------,.-----------

turali, organizzativi, sociali, tipici di una società complessa e in via di rapida tra-
sformazione. Si è ampiamente differenziata e variegata non solo la domanda di
alimenti ma anche il modo con cui tale domanda si manifesta: pensiamo solo
alla frequenza del pasto consumato fuori casa per soggetti appartenenti alle più
diverse fasce di età e categorie sociali.
Il delinearsi di queste nuove tendenze è stato certamente espressione di mi-
glioramenti dell'apparato produttivo e distributivo e della possibilità di accesso
a beni un tempo preclusi a larghe fasce della nostra popolazione. Tuttavia, con
i cambiamenti del tenore di vita, sono saltati i termini di riferimento, ossia le
abitudini, le tradizioni di oculata e parsimoniosa utilizzazione delle risorse su cui
era fondato il codice di comportamento alimentare delle nostre popolazioni. Ab-
biamo abbandonato un modello tradizionale, certo perfetti bile, per perseguirne
un altro, da società opulenta, che fra l'altro ha fatto rapidamente emergere il
problema del sovraconsumo, almeno per parte della popolazione.
Come si può notare dai dati delle Tabelle l, 2 e 3, negli ultimi vent'anni
al forte incremento dei consumi, indotto da maggior reddito disponibile, si è ac-
compagnato un mutamento dei modelli di consumo che si sono rivolti sempre
più a prodotti ricchi, in particolare carni e grassi. Le difficoltà di adeguamento
dell'offerta, maggiori proprio per produzioni come quella zootecnica che richiedo-

Tabella 1 - Evoluzione dei consumi alimentari medi della popolazione Italiana


con riferimento ad alcuni periodi (chUoarammi per abitante per anno)

Periodi
Prodotti
1901-/905 /951-1955 1981-1985

DI ORIGINE VEGETALE
Frumento 150 165 165
Altri cereali 55 27 7
Patate 32 36 42
Legumi secchi 14 5 4
Ortaggi 39 74 160
Frutta fresca 25 43 122
Frutta secca 32 IO 7
Olio oliva e semi 6 9 21
Zucchero 3 15 28

DI ORIGINE ANIMALE
Carni 15 19 76
Uova 5 7 12
Latte 34 52 85
Formaggi 3 7 16
Burro I I 2
Lardo e strutto 3 l 3
Pesce 4 7 12

BEVANDE
Vino (litri) 121 95 91
Birra )) I 3 20

188
------------------------- GIORGIO SAVIO

no strutture, hanno indotto crescenti flussi di importazione per quei prodotti, pre-
senti nelle diete ricche, come carni, latteo-caseari, olii. Nel 1985 sono stati impor-
tati nel nostro paese prodotti agro-alimentari per un valore di circa 22.000 miliardi

Tahella 2 - E•olazioae del COIIIUli lllmenwi medi della popolazione Italiana


con riferimento ad alcani periodi (natrlead per abitante per atomo)

Periodi
NMtrienti
1901-1905 1951-1955 1981-1985

DI ORIGINE VEGETALE
63 55
Proteine
Grassi
Carboidrati
(g.)
»
»
35
375
34
388
"
68
416
kcal 2140 212.S 2550
Energia
MJ - 8.8· - 8.8 - 10.6

DI ORIGINE ANIMALE
14 21
Proteine
Orassi
Carboidrati
(g.)
»
))
22
5
21
7
"
58
12
kcal 280 305 800
Energia
MJ - 1.2 - 1.3 - 3.3

TOTALI
Proteine (g.) 77 76 110
57
Grassi
" 126
))

Carboidrati » 380 395 428


kcal 2390 2430 3350
Energia
MJ - 10 - IO.I - 14

T..._ 3 - lnddeaa percntllllle di dmnl aatrlllld ..ua copertan


dell'.... azloae eaeqetlca. COD rlferimeato ad akani periodi

Periodi
Nutrienti
1901-1905 1951-1955 1981-1985

CARBOIDRATI 65.1'lt 66.611/o 52.4D/e


di cui: complessi (61.8) (58.1) (42.4)
semplici ( 3.3) ( 8.5) (12.0)

PROTEINE l3.2'1t 12.8'1t 13.4'1t


di cui: vegetali (10.8) ( 9.3) ( 6.7)
animali ( 2.4) ( 3.5) ( 6.7)

GRASSI 21.7'1t 20.6'1t 34.2'1,


di cui: vegetali (13.3) (12.7) (18.5)
animali ( 8.4) ( 7.9) (15.7)

189
HOMO
EDBNS--------------------------

di lire; i comparti dei prodotti zootecnici, della pesca e degli olli avevano una
incidenza del 68'10 circa sul totale delle importazioni alimentari.

Alcune consideruloal condusive


Nella presentazione del nostro Colloquio è scritto: «Homo Edens vuole essere
un modo per recuperare consapevolezza nei confronti delle scelte alimentari». L'af-
fermazione sottintende che le scelte alimentari del nostro tempo sono inconsapevo-
li o poco consapevoli.
Dal lato dell'offerta premono interessi tutt'altro che trascurabili se si conside-
ra che i consumi alimentari coinvolgono un "business" nel nostro paese valutabi-
le, a prezzi correnti, intorno a 120.000 miliardi di lire. Quando però gli interpreti
delle statistiche sui confronti internazionali affermano che i consumi di diversi
prodotti (tanto per fare un esempio, quello delle carni) sono notevolmente cresciu-
ti nel nostro paese ma sono ancora inferi ori alla media dei consumi degli altri
paesi della Comunità Europea, viene da chiedersi quale sia la logica che fa consi-
derare tali consumi come indicatori significativi dello stato di benessere di una
popolazione.
D'altra parte, se un riorientamento della domanda si ritiene necessario, sia
per migliorare la nostra bilancia dei pagamenti, sia per riequilibrare in termini
nutrizionali la nostra dieta, quali strumenti si offrono all'operatore economico
"consumatore" per rendere più razionali le proprie scelte?
Nonostante la mia ipotesi possa sembrare troppo ottimistica, sono convinto
che si vada sempre più diffondendo la consapevolezza che una corretta alimenta-
zione può contribuire in maniera determinante allo stato di salute. Se questo è
vero, significa che non sono stati vani gli sforzi lunghi, spesso misconosciuti se
non addirittura dileggiati, di tutti quegli operatori che hanno creduto al significato
dell'educazione alimentare nell'ambito della più ampia educazione sanitaria. I fon-
damenti della dieta mediterranea, sempre sostenuti negli appelli dei nutrizionisti
e che paradossalmente ci sono rimbal7.8ti indietro dagli Stati Uniti, non sono più
solo una moda ma cominciano a far presa sulla base di un substrato culturale
della domanda divenuto più maturo, forse "più consapevole".
Non sarebbe tuttavia realistico proporre quale approccio al riorientamento
della domanda di alimenti il solo aspetto nutrizionistico ed economico. Il cibo
ha anche un uso non alimentare, un uso sociale e culturale: in sintesi, un valore
simbolico che si articola alle concezioni della vita, ai rapporti collettivi, alle cre-
denze, ai gusti. Insieme con la funzione relativa alla utilità, tipica del valore d'uso,
e con la valutazione monetaria, tipica del valore di scambio, il bene cibo si associa
e si apre a tutte le valenze simboliche tipiche del valore di consumo, che lo risco-
prono in tutte le sue potenzialità che vanno dalla utilità, all'estetico, al culturale,
all'intimistico.
Ma l'uomo consumatore del nostro tempo non è facilmente riducibile alle
linee di razionalità che connotano il tipo ideale di "homo oeconomicus". E poiché
la nostra società, la si voglia indicare come post-industriale o post-materialistica,
è una realtà pluricentrica e frammentata, anche il cibo si propone a una serie
di letture simboliche a seconda delle etnie e dei gruppi di appartenenza del consu-
matore.
L'analisi economica cede qui il passo all'analisi sociologica e antropologica:
il recupero delle valenze simboliche del cibo può stimolare la rivitalizuzione di

190---------------------------
---------------------------- GIOROIO SAVIO

quel patrimonio ricco e vario del nostro paese, che si è fonnato con i frutti della
nostra terra e che si contrappone alla uniformità che, fra l'altro, è cosi poco
fisiologica.

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---------------------------- 191
DIETA E GESTIONE
DELLE RISORSE ALIMENTARI
IN ETÀ MICENEA
di Pia de Fidio

I dati essenziali sulla dieta delle popolazioni egee dell'Età del Bronzo sono ormai
noti da tempo. Ne va attribuito il merito soprattutto all'indagine archeologica,
che al costante perfezionamento dei metodi di scavo ha saputo unire una crescente
sensibilità per le testimonianze di viµi materiale per la ricostruzione del quadro
complessivo delle società antiche, ptostrandosi sempre più aperta alla collabora-
zione di discipline scientifiche quali l'antropologia e la paleodemografia, la paleo-
botanica, l'osteoarcheologia, la paleopatologia. Un contributo insostituibile alle
nostre conoscenze in questo campo è venuto inoltre dalla decifrazione, nel 1952,
della lineare B a opera di Michael Ventris, che rese improvvisamente accessibile
un prezioso patrimonio d'informazioni sulla vita quotidiana dei palazzi micenei,
nel cui ambito un posto di spicco è occupato proprio dai movimenti di derrate
alimentari, in entrata e in uscita dai depositi palatini.
Nella breve sintesi abbozzata in queste pagine l'attenzione sarà dedicata non
tanto ai singoli ingredienti della dieta, quanto alle modalità di accesso ai beni
alimentari, ossia ai criteri che ne regolavano la distribuzione e, prima ancora,
la produzione. Nondimeno, la chiarezza dell'esposizione rende opportuna una ra-
pida ricapitolazione dei dati materiali che fanno da supporto all'indagine 1 •
Lo studio dei resti ossei animali e le analisi dei pollini, dei frutti e dei semi
carbonizzati, e in qualche caso delle impronte da essi lasciate sull'argilla dei conte-
nitori, hanno reso evidente che quasi tutte le specie tipiche dell'habitat mediterra-
neo erano coltivate o in via di domesticazione in Grecia sin dal neolitico, e comun-
que al più tardi nella fase di transizione dal tardo Neolitico alla prima Età del
Bronzo, o Protoelladico.
In particolare, negli strati del Neolitico sono presenti, tra i cereali, sia il fru-
mento (nelle varietà del triticum dicoccum e, quest'ultima meno diffusa, del triti-
cum monococcum), sia l'orzo (specialmente esastico, o hordeum vulgare), ma con
uno spostamento, all'interno del periodo, dalla predominanza del frumento a quella
dell'orzo, dovuto probabilmente alle maggiori rese dell'orzo e alla sua migliore
adattabilità ai terreni leggeri e scarsamente irrigui caratteristici della maggior parte
dei suoli greci. Anche le leguminose erano coltivate sin dal Neolitico antico, so-
prattutto le vecce, seguite per numero da lenticchie e piselli, mentre la fava accusa
qualche ritardo e compare solo verso la fine del periodo in Tessaglia (SeslclO)
e poco dopo nell' Argolide (Lerna) 2 •

--~------------------------- 193
HOMO EDENS ---------------------------

In alcuni ritrovamenti viene segnalata la presenza di semi di cereali accanto


a quelli di leguminose e viceversa, che potrebbe già indicare l'uso del maggese
verde e sovescio, ossia della rotazione delle colture con alternanza di cerali, e
legumi, e dunque una non trascurabile padronanza delle tecniche agricole 3 • La
stessa introduzione dell'aratro sembra riconducibile a questo periodo, sebbene la
prima attestazione della conoscenza di tale strumento la si abbia solo nella prima
Età del Bronzo, in uno dei segni della scrittura ieroglifica cretese (MM 1-11)4 •
Va ricordato inoltre un deposito di numerosi semi di lino, usati forse per
ottenerne olio, proveniente dal terzo strato di Lema, del Protoelladico 5 , e abba-
stanza precoci sembrano esser stati, tra gli alberi da frutta, peri, fichi e mandorli.
Anche la vite era già domestica se non alla fine del Neolitico almeno agli inizi
dell'Età del Bronzo 6 , mentre l'olivo fa la sua comparsa fra le specie coltivate
solo nel Tardo Elladico, in Tessaglia (lolco), in Eubea (Lefkandi), a Thera, Creta
e via via in tutto il mondo greco-egeo 7 • Per questo periodo almeno sei varietà
di cereali sono note ad esempio da Tirinto, dove tra le leguminose compaiono
anche ceci e cicerchie, e inoltre semi di papavero, di melograno, di melone 8 •
A completare il quadro vengono ad aggiungersi numerose testimonianze ico-
nografiche e figurative, come la statuetta fittile della "dea di Gazi", dalla testa
cinta da una corona di capsule di papavero 9 , modelli di frutta (prugne, melagra-
ne), e dipinti vascolari e affreschi con raffigurazioni di spighe d'orzo, foglie d'oli-
vo e di fico, palme da dattero, melagrane, lupini, mirto, fiori di croco o zaff era-
no 10• E, principalmente, si aggiungono i testi scritti in lineare B, dai quali si
ricava la terminologia relativa non solo ad alcune delle specie vegetali già archeo-
logicamente documentate, ma anche ad altre non ancora rintracciate.
Com'è ovvio, tali denominazioni sono per lo più le medesime passate poi
nel lessico greco del primo millennio. Ad esempio sitos designava il cibo o la
razione di cereali in genere (orzo e frumento) 11 , artos il pane 12 , meleuron la
farina 13, krithai l'orzo (manca invece sinora pyrlJs: il frumento è indicato soltan-
to mediante l'ideogramma • 120) 14 , hyiewes le piante di vite, e/aia ed elaion l'ulivo
e l'olio 15, sykia l'albero e il frutto del fico 16 ; e ancora, woinos il vino e dleykos
il mosto 17, linon e meli il lino e il miele, e cosi via 18 •
Le tavolette menzionano infine una variopinta serie di erbe aromatiche e spe-
zie: cumino, sesamo, coriandolo, finocchio, sedano, cipero, salvia, cartamo, giun-
co odoroso, crescione, menta, zafferano, di uso culinario e in parte anche offici-
nale e industriale 19 • Nell'assenza di qualsiasi indicazione di cibi cotti (ad eccezio-
ne del pane), qui se non altro s'intravede qualcosa del notevole grado di raffinateu.a
raggiunto dall'arte culinaria almeno nell'ambito palatino.
Nella Grecia del Tardo Bronzo sono quindi presenti tutti gli elementi caratte-
ristici della policultura e della dieta mediterranea. I cereali e i legumi fo miv ano
probabilmente quasi l'intero fabbisogno calorico in carboidrati e proteine, l'olio
d'oliva e di semi di lino quello di lipidi, e fichi, miele, vite e altra frutta quello
di zuccheri e vitamine. Naturalmente non mancavano gli animali da allevamento:
bovini, ovini, capre e suini, con i relativi derivati in carne e latticini, ed è ben
attestato il consumo di pesci e molluschi.
Ma è convinzione diffusa e condivisibile che il consumo di carne restasse
accessorio ed eccezionale rispetto alla dieta base, essenzialmente vegetale. Beninte-
so, questa drastica conclusione andrà sfumata a seconda dei casi, in dipendenza
non solo da fattori geofisici come la conformità dei suoli e la disponibilità di

194------------------------------
-------------------------- PIA DE FIDIO

pascoli più o meno ricchi, ma anche dalle forme di organizi,azione sociopolitica


esistenti nei singoli territori. Da entrambi i tipi di condizionamento poteva infatti
derivare un'eventuale specializi,azione pastorale, spontanea o indotta dall'autorità
statale, di determinate aree e gruppi di popolazione, nonché una differenziata
possibilità di accesso ai diversi tipi di produzione agropastorale da parte dei pro-
duttori diretti e di coloro che della produzione primaria esercitavano il controllo
e la direzione 20 •
Elementi utili all'approfondimento di questo genere di problematica emerge-
ranno, come si vedrà meglio tra breve, dall'esame della documentazione scritta.
Per il momento importa ancora osservare che il progresso delle tecniche di coltiva-
zione e la radicale innovazione rappresentata dalla domesticazione, nel corso della
prima metà del secondo millennio, della vite e dell'ulivo, furono accompagnati
- con un rapporto che s'intuisce essere di causa ed effetto - da due fenomeni
di grande rilevanza.
Il primo è di ordine materiale, e consiste in un generale incremento demogra-
fico (purtroppo difficilmente quantificabile) 21 , evidente nella dimensione e nella
moltiplicazione dei siti abitati. E il secondo concerne la trasformazione delle strut-
ture politiche delle comunità greche nel corso del secondo millennio, che vide
l'affermarsi, in forme via via più accentuate e culminanti nei complessi organismi
palatini cretesi e micenei, di procedure di centralizzazione e ammasso delle scorte
alimentari e, parallelamente, di controllo e contabilità scritta delle medesime (ta-
volette, cretule e sigilli).
In teoria, se le tecniche di misurazione della capacità dei sili e delle giare
custodite nei magazzini dei vari palazzi fossero all'altezza del compito, e se le
tecniche di studio dei resti vegetali talvolta ancora in esse contenuti fossero appli-
cate in modo più sistematico, sarebbe possibile tentare una valutazione approssi-
mativa, anche solo per questa via, del grado di accentramento delle scorte da
parte dell'autorità palatina, di quali derrate fossero oggetto di requisizione, del
numero di persone che per il loro sostentamento dipendevano dal palazzo, delle
eventuali eccedenze destinabili - almeno nel caso di prodotti pregiati come vino
e olio - ad attività di scambio.
Allo stato attuale della ricerca, nell'assenza totale di dati per alcuni palazzi,
e di fronte a stime volumetriche fortemente discordanti nel caso di altri, sembra
tuttavia consigliabile rinunciare ad avvalersi di questo dato 22 • Ci si limiterà quindi
a segnalare la significativa differenza di impianto architettonico dei palazzi mice-
nei rispetto ai minoici, che non è solo di ordine estetico o di razionalità struttura-
le, ma investe anche la diversa ripartizione degli spazi interni, con un'incidenza
proporzionalmente alquanto minore dello spazio economico, rappresentato da ma-
gazzini e depositi, nei palazzi micenei rispetto ai minoici 23 •
Ma, come si è accennato, per il chiarimento dei problemi attinenti alla gestio-
ne politica delle risorse alimentari qualche buon argomento di riflessione è offerto
dai testi scritti. Al riguardo sono però necessarie alcune avvertenze di metodo,
derivanti essenzialmente da due fattori: ossia il carattere fortemente lacunoso -
per vari motivi - della documentazione, e la sua provenienza esclusivamente pa-
latina. Ciò significa che per nessuno dei siti palaziali che hanno consentito il recu-
pero di testi scritti è possibile ricostruire la situazione globale della produzione
alimentare annuale del rispettivo territorio, e tanto meno ricavare indici di produt-
tività o statistiche, se non in termini talmente generici da risultare tutto sommato

- 195
HOMO EDENS--------------------------

di scarsa rilevanza rispetto a quanto è già implicito nel materiale archeologico.


Inoltre, le comunità agricole e pastorali sono interessate da questo tipo di
testimonianze solo nel momento in cui entrano in rapporto con il palazzo, in
quanto cioè contribuenti o soggette a determinate obbligazioni di lavoro. Il loro
tenore di vita si evince pertanto solo per via indiretta, da ciò che risulta ad esem-
pio circa il tipo di economia delle aree di appartenenza, oppure dalle razioni ali-
mentari percepite dalla manodopera impiegata dal pal~o. Infine proprio la fram-
mentarietà dei dati fa si che, al comprensibile scopo di ottenere un quadro d'insie-
me il più possibile completo, le lacune nella documentazione relativa a uno o
più dei contesti palaziali vengano di solito integrate mediante il ricorso a dati
provenienti da un sito differente.
Tale modo di procedere, se in parte è giustificato dalla sostanziale omogenei-
tà dei fattori ambientali esistente grosso modo nei paesi mediterranei, rischia d'al-
tro canto di livellare proprio quelle eventuali variazioni regionali, siano esse di
orientamento produttivo o anche solo di organizzazione del prelievo tributario,
che sarebbero di maggior interesse per un'analisi storica più penetrante.
Con la cautela che i suddetti limiti della documentazione richiedono, i testi
saranno dunque esaminati sotto tre aspetti principali. Innanzi tutto si rileveranno
le tracce dell'attività di controllo della produzione, prestando attenzione ai tipi
di produzione soggetti a controllo; ci si soffermerà quindi rapidamente sui criteri
che presiedevano alla redistribuzione, per accennare infine al problema più specifi-
co delle razioni alimentari.
Riguardo al primo punto sono indicativi testi come quelli che a Cnosso inven-
tariano buoi da lavoro (wergata1), destinati probabilmente ai lavori di aratura
e al trasporto dei raccolti e di materiali agricoli e da costruzione in varie località
cretesi, e registrati per gruppi (da sei a cinquanta in KN Ce 59) o anche a coppie
("gioghi", zeugea nella serie Ch) 24 ; o i testi della serie Gv, anch'essa di Cnosso
e purtroppo molto frammentaria, che sembrano recensire piantagioni miste di viti
e fichi, per almeno 2.700 piante di fico e 700 di vite. A Pilo un conteggio analogo
è fatto per gli alberi del terreno di Ekera 2 wo, personaggio di alto rango, per più
di un migliaio di fichi ed altrettante piante di vite 25 •
La funzione di controllo è esplicitata anche nell'ispezione dei lavori di aratura
eseguita da Akosota nel territorio del distretto pilio di Akerewa (PY Eq 213).
Non diversamente dal conteggio degli alberi da frutta, la si direbbe preliminare
a una stima del raccolto e della relativa contribuzione, e alla medesima logica
fiscale obbedisce probabilmente il catasto delle terre "abbandonate" (kekemena),
stilato - stavolta in previsione di un minore introito - per alcuni distretti della
Messenia 26 •
Bisogna dire però che registrazioni di terreni agricoli sono nel complesso piut-
tosto rare, relative a zone spesso situate non lontano dal centro palaziale e legate
a circostanze in parte eccezionali, perché assegnate a persone vicine alla corte,
o perché destinate a culture pregiate (frutteti), o perché, al contrario, improdutti-
ve. Diversa, per questo aspetto, si presenta la situazione per quanto riguarda le
terre destinate alla linicultura, le quali, almeno nel regno di Pilo, erano tutte scru-
polosamente censite, località per località, fino a segnalarne anzi, quando necessa-
rio, lo stato incolto o il regime giuridico di temporanea esenzione fiscale 27 •
L'attenzione con cui i funzionari tenevano nota di queste superfici coltivate
a lino non trova riscontro in altre amministrazioni micenee, e se si considera la

196-----------------------------
-------------------------- PIA DE FIDIO

possibile utilizzazione dei semi di lino anche per la produzione di olio, la diffusio-
ne capillare della linicultura nell'area messenica rende forse legittima l'ipotesi di
un uso alimentare di quest'olio in concorrenza, in questa regione, con quello d'oli-
va, soprattutto tra le popolazioni agricole estranee al centro urbano 28 •
Eloquenti sono anche i titoli di alcuni funzionari della burocrazia palatina.
Opisuko, il "preposto ai fichi", sembra infatti esser stato delegato alla sorveglian-
za delle piantagioni e alla direzione delle operazioni di raccolta, ammasso e redi-
stribuzione dei fichi. Parlante è pure il nome dei meli dumar, il "sovrintendente
al miele", mentre le krithewiai, le "addette all'orzo", formavano sia a Pilo sia
a Cnosso dei collegi con connotazioni sacrali, ai quali era forse demandata la
custodia e l'amministrazione delle scorte di cereali destinate alle razioni 29 •
E rientrano ovviamente in questo stesso discorso, sebbene in prospettiva lieve-
mente diversa, le annotazioni relative a raccolti veri e propri o a stime di raccolti,
quali le serie E ed F di Cnosso per grano e olive 30 , e a consegne o contribuzioni
da parte di singoli e, più sovente, di comunità di villaggio. I prodotti agricoli
inventariati in questo tipo di testi e soggetti verosimilmente all'obbligo tributario
(non sappiamo però in quale proporzione rispetto al raccolto globale) sono fru-
mento, fichi, olive e olio, lino, cipero, coriandolo e altre spezie.
Nel caso delle piantagioni di lino a Pilo risulta inoltre chiaramente l'applica-
zione di rapporti fissi tra le estensioni coltivate, con le relative unità di prodotto
grezzo e lavorato (stoffe), e il numero di uomini che le rispettive comunità locali
erano tenute a fo mire al sovrano per il servizio militare e civile, e una contabilità
molto rigorosa contraddistingue anche altri prodotti, in primo luogo le spezie 31 •
L'autorità centrale dunque non solo aveva una nozione esatta della capacità pro-
duttiva del proprio territorio ma, o direttamente o indirettamente attraverso la
pressione tributaria, esercitava anche una funzione di direzione e orientamento
della produzione agricola.
Quanto incisiva sia stata questa interferenza palatina è purtroppo impossibile
giudicare. A tale proposito merita di essere ricordato uno studio recente di H.
Kroll sul materiale paleobotanico di Tirinto, che ha posto in rilievo un certo impo-
verimento dei raccolti verso la fine del Mie. 111B(fine XIII secolo), evidente nelle
ridotte dimensioni dei semi e nelle tracce di infestazioni parassitarie 32 • L'autore
propone di mettere in relazione questi fatti (che scompaiono nel periodo successi-
vo) con i danni di una prolungata monocultura e con la rinuncia alla sperimenta-
zione e all'introduzione di nuove specie più resistenti, dovuti appunto alla doman-
da del palazzo e alla sua esosità. Questa linea d'indagine, senza dubbio assai pro-
mettente soprattutto ai fini di un migliore intendimento delle ragioni della crisi
che colpi l'insieme del mondo miceneo al passaggio dal 111Bal IIIC, attende tutta-
via di essere approfondita maggiormente e, se possibile, estesa al materiale di
altri siti.
Sotto stretto controllo era anche l'allevamento del bestiame, dal quale erano
attese determinate contribuzioni annuali in pelli, tendini, coma e specialmente la-
na 33 • È interessante osservare che le attività pastorali, certo sotto la spinta di
fattori ambientali, mostrano talvolta una tendenza a concentrarsi in determinate
località o distretti (per esempio Maropi, Tino e Asiatia nel regno di Pilo), talaltra
a frazionarsi in una serie di siti altrimenti sconosciuti, come accade nel regno
di Cnosso. S'intende che in questo caso specifico frazionamento e concentrazione
non sono di per sé antitetici, rappresentando solo la diversa fenomenologia di

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HOMO EDENS ---------------------------

una stretta vocazione economica, non agricola e in certo senso marginale delle
aree interessate 34 •
Ora, anche tenuto conto della probabilità che una buona parte, comunque
non quantificabile in percentuale, della rispettiva produzione fosse sottratta ai pro-
duttori diretti, sembra difficile che la specializzazione pastorale non avesse qual-
che ripercussione (neppur essa evidentemente quantificabile) sulla dieta dei gruppi
di popolazione impegnati in tali attività 35 • Si può inoltre presumere che, là dove
la presenza di selvaggina lo consentiva, fosse praticata anche la caccia. S'ignora
tuttavia se, soprattutto nei grandi stati organizzati, essa fosse completamente libe-
ra, o se lo fosse dovunque o per tutte le specie.
Nel regno messenico esisteva ad esempio una "corporazione" di cacciatori
(kynageta1), probabilmente addetti alle cacce reali, ai quali il sovrano concede
in beneficio collettivo un'estensione di terre a lino (PY Na 248). Ed esistevano
d'altro canto fornitori ufficiali di pelli di cervo (elaphiat) destinate all'officina
dei carri annessa al palazzo (PY Ub 1316, 1317, 1318.5.6), ciò che sembra riflette-
re uno sfruttamento in parte anche industriale e regolamentato dell'attività vena-
toria. In ogni caso, come supplemento alla dieta ordinaria, in linea di massima
la selvaggina entra in questione solo per i gruppi e le classi di popolazione già
per altro verso interessati al consumo di carne, ossia le comunità pastorali (per
ragioni territoriali) e i membri dell'aristocrazia e della corte (per ragioni di classe),
e per la sua straordinarietà ha scarsa rilevanza in un discorso sull'alimentazione.
Se dal versante della produzione si passa ad un esame delle distribuzioni ali-
mentari del palazzo, si osservano alcune differenze significative. I cereali, orzo
e frumento, compaiono a tutti i livelli, principalmente nelle razioni assegnate alla
manodopera maschile e femminile contro prestazioni di lavoro, ma anche nelle
offerte a divinità e nelle gratifiche a funzionari di vario rango (in forma di farina
invece solo a funzionari e a divinità). Fichi e olive sono a loro volta componenti
caratteristiche delle razioni, alle quali concorrono in proporzioni fisse con i cerea-
li 36 , ma sono assai meno frequenti e forse in parte legati a fattori stagionali.
L'olio e il vino compaiono anche in forma di razioni, limitatamente però
a personale maschile specialistico e molto sporadicamente, senza che sia possibile
individuare parametri fissi nelle assegnazioni 37; altrimenti l'olio viene consegnato
dal palazzo a processi industriali di aromatizzazione che lo trasformano in olio
profumato e unguenti da destinare infine a offerte rituali e ad altri usi cerimoniali,
oltre che agli scambi. Quanto al vino, la rarità delle sue attestazioni nelle razioni
appare in netto contrasto con le enormi quantità di coppe, in ceramica non deco-
rata trovate accatastate nei depositi del palazzo di Pilo (quasi tremila nella sola
stanza 19), pronte a essere usate nel corso di banchetti o simposi 38 : segno, proba-
bilmente, che il consumo del vino aveva ancora carattere elitario e legato a occa-
sioni in senso lato festive.
Decisamente a senso unico è poi la via delle erbe aromatiche e delle spezie,
che il palazzo tratteneva per intero per uso interno e per donativi e offerte, e
lo stesso vale per il miele, riservato al sovrano e al culto. Anche gli animali e
i relativi prodotti, in particolare lana e pelli, non prendono mai la via del ritorno
verso le comunità contribuenti, ma vengono utilizzati per le consuete gratifiche
ai funzionari di corte e per il consumo festivo, sacrificale o comunque cerimonia-
le. Sembra degno di nota, a questo riguardo, il brusco cambiamento nelle abitudi-
ni alimentari constatato da Klaus Kilian nel materiale proveniente dai più recenti

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scavi di Tirinto dove, in seguito alle trasf onnazioni che investirono anche questo
sito palaziale alla fine del Mie. 111B, il consumo di carne bovina, in precedenza
circoscritto agli abitanti della rocca, nel corso del IIIC sembra aver acquistato
rilevama ed essersi generalizzato tra gli abitanti della città bassa 39 •
Da tutto ciò vien messo in risalto un dato caratteristico, comune a tutte le
culture palatine di questo periodo (e non di esse soltanto), ossia il progressivo
restringimento dei circuiti di distribuzione alimentare, man mano che si passa dal-
le derrate di base o sussistenza - nel caso mediterraneo cereali, fichi, olive -
a quelle più pregiate, come vino e olio, o addirittura di lusso, come alcune spezie
e forse il miele 40 •
È possibile che nell'ambito di questo fenomeno sia da ricercare anche la spie-
gazione a una duplice, apparente dicotomia tra realtà archeologica e testimoniama
scritta. Si è constatato infatti che rispetto alla varietà del quadro archeologico
le specie vegetali menzionate nei testi sono piuttosto ridotte di numero: mancano,
in particolare, tutte le leguminose. A meno che questo singolare silenzio non sia
del tutto casuale, dovuto magari a vicende stagionali della registrazione, si direbbe
che il palazzo non richiedesse contribuzioni di tali prodotti, forse perché conside-
rati culture povere, da maggese, e comunque semplici complementi di una dieta
basata essenzialmente sui cereali; o forse perché, nelle modeste quantità necessarie
al solo consumo interno del palazzo, potevano essere ottenuti senza difficoltà non
per via di requisizione, ma direttamente dalle terre delle stesse riserve reali 41 •
La seconda divergenza fra testi e materiale archeologico riguarda invece la
proporzione nella diffusione relativa delle due principali varietà di cereali, l'orzo
e il frumento. Non v'è dubbio che la coltivazione più diffusa nella Grecia del
Tardo Bronzo fosse ormai quella dell'orzo. Eppure le superfici dei campi, calcola-
te in unità di semente, sono indicate mediante l'ideogramma del frumento, e,
sebbene non manchino assegnazioni d'orzo, i dati relativi ai raccolti controllati
dal palazzo sono in frumento, e le razioni stesse sembrano assegnate o calcolate
prevalentemente in frumento 42 •
Anche in questo caso pare dunque probabile che il dato puramente quantitati-
vo, vale a dire la maggiore diffusione dell'orzo, interferisca un dato di tipo quali-
tativo, vale a dire una maggiore desiderabilità e in definitiva un maggior valore
attribuiti al frumento, che all'interno del circuito palatino hanno finito per privile-
giare quest'ultimo, adottato anche in funzione di "referente" ufficiale.
I motivi di tale preferenza sono tutt'altro che chiari. Recenti studi sulle razio-
ni di cereali nel mondo antico hanno efficacemente sottolineato che, a parità di
peso delle parti eduli, i due cereali hanno un valore nutritivo o calorico quasi
uguale 43 • Certo il lieve margine di vantaggio per il frumento non è tale da giustifi-
care il rapporto di 2 a 1 che nei testi micenei e in fonti greche di età classica
- in contesti tradizionali e non monetari - contraddistingue le due varietà di
grano. Si ricorderanno in particolare il decreto sulle primizie alle divinità eleusinie
e vari regolamenti cultuali, in cui vien data facoltà di scelta fra la consegna di
un determinato quantitativo di frumento o del suo doppio in orzo 44 •
Se su questo punto si manifesta una sorta di secolare continuità culturale
fra l'epoca micenea e quella classica, non meno interessanti sono i risultati che
scaturiscono da un'analisi del sistema delle razioni alimentari. Le assegnazioni
sono infatti differenziate per età, per sesso e per rango sociale. Tra le classi d'età
se ne distinguono almeno quattro, dai bambini piccoli (koura, kouros mewion),

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ai ragazzi (koura, kouros meiz.on), agli adolescenti (VIR kouros), fino agli adulti,
VIR e MUL(ier). Tra costoro vengono dapprima le donne adulte e il personale
di sorveglianza femminile, e infine, verso la parte più alta della scala, gli uomini
addetti a lavori comuni e specialistici o a mansioni ufficiali e il personale di sorve-
glianza maschile.
Sia pure con qualche riserva per quanto concerne in particolare adolescenti
e ragazzi, le testimonianze permettono la seguente ricostruzione di massima, in
cui le razioni sono calcolate in "chenici" (V =0.8 l.) 45 di cereali (frumento/orzo)
e su base mensile:
V 90 funzionari
V 60 uomini liberi con lavoro "qualificato"
V 30 manodopera maschile comune e schiavi
V 24 donne adulte e adolescenti di sesso maschile
V 18 ragazzi
V 12 bambini
La razione standard dell'uomo adulto, quella che riflette evidentemente il livello
minimo di sussistenza, è pertanto di una "chenice" al dì (V 1), e quella femminile
è di poco inferiore; e il corrispondente apporto calorico è valutabile rispettivamen-
te in 2.057 e 1.645 calorie, se il calcolo avviene sulla base del frumento 46 • Si
tratta di valori, superfluo dirlo, piuttosto bassi se confrontati con le tabelle elabo-
rate dalla moderna scienza dietetica 47 • Ma lo stesso vale, evidentemente, per le
razioni del Vicino Oriente antico, pressoché identiche 48 : e, soprattutto, tali valori
vanno letti in parallelo con i dati sulla durata media della vita nelle società di
questo periodo, che - non dobbiamo dimenticarlo - superava di poco i
trent'anni 49 •
Al di là dell'apparente uniformità della "policoltura mediterranea" e delle
tentazioni di un'interpretazione in chiave idillica a cui l'attuale rivalutazione della
"dieta mediterranea" potrebbe indurre, l'analisi diretta di queste testimonianze
fa dunque riemergere in primo piano, come d'altronde era da attendersi, il nesso
strettissimo tra regime alimentare e regimi politici e classi sociali. Il tenore di
vita denunciato dalle razioni standard era infatti molto modesto, da riferire ovvia-
mente soprattutto agli strati inferi ori e perciò anche alla maggioranza della popo-
lazione.
Variazioni, nel senso di un miglioramento sia sotto il profilo della quantità
sia sotto quello della varietà e qualità della dieta, si verificavano certamente in
modo più accentuato presso il centro urbano in corrispondenza - come si è con-
statato - della stratificazione sociale, dagli artigiani specialisti ai funzionari e
ai membri della corte; e si verificavano presumibilmente anche in periferia, in
corrispondenza delle gerarchie locali e delle risorse oggettivamente disponibili in
rapporto alla diversità delle condizioni ambientali.

NOTE

1) Per brevità, tra i lavori di carattere generale DRY, Food in early Greece, "Illinois Studies
ci limiteremo a segnalare il libro di K. F. Vie- in Sodai Sciences", XX, 3, 1936, e il cap.

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1S (Natural Environment and the Subsistence 13) Me-re-u-ro in PY Un 718.10; cfr. il sostanti-
Subsystem) del libro di C. RJ!NFRBw, The vo melsrla (PY Aa 62, 764, Ab 789, Ad 308).
Emergence o/ Civilisation, London 1972, pp. 1-4) Cfr. ki-ri-ta in KN G 820. 1 e i derivati kri-
265-307. Una tavola sinottica dei rinvenimen- thewia (PY An «f7, Eb 321 e altrove) e kri-
ti botanici risalenti all'Età del Bronzo (anche thioio (menos?, PY Es 650.1).
se già da aggiornare) si troverà in U. WD.Lllll- 15) Sulle piantagioni da frutta (olivi, viti, fichi)
DINO, Bronzez.eitliche PflaM.enreste aus /ria v. in particolare S. HD.Lllll,Fruchtbaumkul-
und Synoro, "Tiryns VI", 1973, pp. 221-240. turen aef Kreta und in Pylos, in A. ffEuBEcK:
2) Cfr. D. ZollilY - M. HoPP, Domestiaztion - G. NEUMANN(cdd.), Res Mycenaeae (Akten
o/ Pul#s in the 0/d World, "Scicnce" 182, des VII Int. Mykenol. Kolloquiums, Numbcrg
1973, pp. 887-894. 6-10 apr. 1981), G<ittingcn 1983, pp. 171-201;
3 Forse sin dall'eneolitico a Sitqroi, in Mace- su olio e olive da ultimo J. L. Mm.l!NA,Olive
donia: cfr. RJ!NFRBw, op. cii., p. 276. oil and other sorts o/ oil in the Myc. tablets,
4) Cfr. A. EvANs, Scripta Minoa I, Oxford 1909, "Minos" 18, 1983, pp. 89-123.
p. 190, nr. 27, e The Palace o/ Minos l, Ox- 16) L'ideogramma usato per indicare i fichi cor-
ford 1921, p. 282, fig. 214. risponde invece alla sigla NI, abbreviazione
S) M. HOPP, NulTl),/kmwrvom lemiiischen Golf, acrofonica di vuwÀIOII, glossato da Esichio co-
in "JbZMMainz" 9, 1962, p. 6. me forma dialettale cretese:cfr. G. NBUKANN,
6) Cfr. R. BmuJU>, La vigne dans l'antiquiti, "Glotta" 40, 1962, pp. Sl-54.
1913; D. ZollilY - P. SPil!OBLRoY, Begin- 17) Cfr. J. CIIADWJCK, Myceraean wine and the
nings o/ Fruit-Growing in the Ancient World, etymology of 1>.wcuc, "Minos"9, 1969, pp.
"Sciencc" 187, 1974, pp. 319-327. 192-197.
7) V. da ultimo H. A. Foll.Bl!S• L. FoXBALL, 18) In generale, sul contributo dei testi v. M. VEN-
The Quttn oj ali Trees, in "Expcdition" 21, TlllS - M. CIIADWJCK:,Documents in Myce-
1978, pp. 137-154, e C. N. RUHNNEU - J. naeanGreek2, Cambridge 1973, pp. 195-231
HANSEN,The Olive in Prehistoric Aegean, in e 432-442; L. R. PAUlllll, The Interpretation
"Oxf. Joum. of Arch." S, 1986, pp. 299-308. oj M;ycenaeanGreek Texts, Oxford 1963; J.
8) H. Kllou., Kulturpjlanun von Tiryns, "Arch. CIIADWICK, Il mondo miceneo, trad. it. Mi-
Anz.", 1982, pp. 467-485; I' A. segnala anche lano 1980, cap. 7.
il ritrovamento di una gluma di riso (oryz:.a 19) Per una prima informazione, oltre ai lavori
.sativa, p. 469), il primo di età preromana nel- citati alla n. prcc. v. M. WnocK, Les aro-
l'arca mediterranea. Sulle recenti ricerche pa- mates dans /es tablettes G de Mycènes,
leobotaniche ad Assyros Toumba e a Kasta- "SMEA" 15, 1972, pp. 105-146. Unica con-
nas, nella Macedonia settentrionale, v. P. creta testimonianza dell'uso culinario di que-
M.u.s1EAD- G. JoNES, "ABSA" 75, 1980, pp. ste piante è l'interessante collezione di piccoli
265-267 (Assyros T .), e J. KaoLL, vui in miniatura trovata nelle cucine del pa-
"JbZMMainz" 26, 1979, pp. 229-239 (Ka- lazzo minoico di Zakros: cfr. N. PLA10N,7,a/c-
stanas). r06, New York 1971, p. 203 sa.
9) Cfr. S. MAluNATOS, "Arch. Ep.", 1937, pp. 20) SIJlliaspetti di "social storage" dell'alleva-
278-291. Sugli usi e il commercio dell'oppio mento su larga scala v. inoltre P. HAl.sTEAD,
nell'Età del Bronzo v. P. G. Karmms, Der From determinism to uncertainty: socia/ sto-
Mohn, das Opium und ihr Gebrauch im Spiit- rage and the rise o/ the Minoan palace, in
min, III, "PAA'' 35, 1960, pp. 54-73; R. S. A. SmwDAN - G. BAJLBY(cdd.), Economie
MElllDIBES, "Antiquity", 36, 1962, pp. Archaeology (B.A.R. lnt. Ser., 96), Oxford
287-292; V. KAaAoHEOaoms, ibid. SO, 1976, 1981, pp. 187-213.
pp. 125-129. 21) Purtroppo la demografia dell'Età del Bronzo
10) Per la Creta minoica v. ad es. M. M0BIUS, è ancora ben lontana dall'essere una scienza
Pflan:enbilder der minoischen Kunst in bota- esatta. In via orientativa v. C. RENnsw, Pat-
nischer Betrachtung, "JDAI" 48,1933, pp. terns oj popu/lltion growth in the prehistoric
1-39. Aegean, in P. J. Ucito - R. TalNOHAM- G.
11) Il termine si-to, menzionato due sole volte, W. Dn,mumy (cdd.), Man, settlement and ur-
accompagna infatti in un caso una razione banism, London 1972, pp. 383-399, e The
d'orzo (KN Am 819), e nell'altro una razione Emergence o/ Civilisation (cit. supra, n. 1),
di frumento (MY Au 658.4). D'altronde è noto p. 249 ss. Ma basti osservare che ad es. il
~e solo dopo il V secolo esso si spccializ.zò totale della popolazione della Messenia del TB,
nel significato di frumento: cfr. L. A. Mo- calcolato da Rcnfrcw in 178.000 (I) abitanti
arrz, Corn, "CQ" 49, 19SS, pp. 135-141. (p. 251), è stimato invece di circa
12) Nel composto a-to-po-qo, artopoq"os "panet- 41.000/SO.OOOnelle ricerche della Minnesota
tiere" (PY An 39.11, 427.3 e altrove). Mes.st!niaExpedition (W. A. McDonald - G.

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R. Rapp Jr, edd., Minneapolis 1972, p. 141 legittima la conclusione di Wright (p. 199),
e 255), e, più di recente, viene abbassato ad- che l'ulivo potrebbe non esser stato, nel re-
diritura a circa 27.000 da J. C.uOTIDWI - W. gno miceneo di Pilo, "the major crop".
McDoNALDS,Siu and distribution of tht!po- 29) 0-pi-su-ko: PY Jn 829.2, 881.2; me-ri-da-
pulation in LBA Messenia, "JFA" 6, 1979, ma/me-ri-du-ma: PY An 39.2.8, 207:tl, 424.3
pp. 433-453. ecc. Connessioni con il culto e con il sovrano
22) Si vedano ad es. W. GlWIAM, Tht! palaces delle lcritht!wiai:KN Fp 363.2, PY Un 1426.6;
of Crete, Princeton 1962, p. 129 ss.; C. RBN- cfr. il loro beneficio fondiario collettivo in
PllBW, Tht! Emergence of Civilisation, pp. PY Eb 321/Ep 704.4.
291-297; H. VAN EPPBNTBllllJl, Le palais de 30) Per la frequente associazione di grano e olive
Mollia et la cité minoenne, Il, Roma 1980, nei medesimi testi come possibile indizio di
p. 458 ss. una corrispondente coltivazione mista, v. Ho.-
23) Peraltro anche a Creta sono state rilevate trac- LEB., Fruchtbaumkulturen (cit. supra, n. 15),
ce di una progressiva decentralizzazione della p. 175 s. Cfr. anche E. D. FosTBB.,An admi-
funzione di deposito dei palazzi, a favore di nistrative department at Knossos, "Minos"
"ville" o palazzi minori: cfr. P. liALsnw>, 16, 1977, p. 26, n. 31; e M. V. CIBuoNA,
art. cii. (supra, n. 20), p. 203. Ma il fenome- I cereali nelle tavolette in lineart!B di Cnos-
no è in realtà ancora tutto da approfondire. so, "SMEA" 23, 1982, p. 78.
24) Il totale, certamente non completo, è di circa 31) Per il lino, v. da ultimo Pa/ais et communau-
novanta buoi in Ce SOe 59, e di un'altra qua- tés (supra, n. 26) passim, e C. W. SHll1.YEll-
rantina nella serie Ch. Purtroppo non è chia- DtNE, Industriai activity at Pylos, ibid., p. 339
ro se questi testi intendano essere un censi- s. Per le spezie, J. T. Kn.I.EN,On the Myce-
mento delle bestie da lavoro limitato alle ter- nae Ge Tabkts in Res Mycenaeae (supra, n.
re di proprietà reale, o invece del patrimonio 15), pp. 216-232.
delle comunità agricole; come non è chiaro 32) H. Iuou, Zum Ackerbau gegen Ende der
se su questo punto non vi sia magari una di- myk. Epoche in der Argolis, "Arch. Anz.".
stinzione da fare tra i gruppi di Ce 59, regi- 1984, pp. 211-222, spec. p. 218 ss.
strati per località, e i gioghi della serie Ch, 33) V. in particolare le serie Ma di Pilo, Mc e
assegnati a singoli individui. D- di Cnosso. Sull'allevamento ovino il lavo-
25) Per questi testi rimandiamo alla relazione di ro fondamentale rimane J. T. Kn.uiN.. The
Hiller al VII Colloquio lnt. di Micenologia wool industry of Crete in th Late Bronu Age,
(supra, n. 15), con ulteriore bibliografia. "ABSA" 59, 1964, pp. 1-15.
26) Per questa interpretazione sia consentito rin- 34) Il problema della specialiuazione produttiva
viare a Palais et communautés de village dans di singole aree o villaggi è stato parzialmente
le royaume mycénien de Pylos, in P. Ha.. affrontato, per il regno pilio in L'artigianato
ILIEVRI - L. CB.BPAJAl: (edd.), Tractata My- del bronzo nei testi micenei di Pilo, "Klio"
cenaea (Proc. of tht! Vlllth Int. Coli. on Myc. 69, 1987, in corso di pubblicazione.
Studies,Ohrid 15-20 sept. 1985), Skopje 1987, 35) ~ auspicabile che la recente messa a punto
p. 142 ss., e Fattori di crisi nella Messenia di più sofisticate metodologie per la rileva-
della Tarda Età del Bronzo, in J. T. Kn.uiN zione nei testi ossei umani degli elementi gui-
- J. L. Mm.l!NA- J.-P. OLME1l (edd.), Stu- da della nutrizione (in particolare stronzio e
dies presented to J. Chadwick ("Minos" zinco come indici di una dieta carnea) trovi
20-22), Salamanca 1987, pp. 235-244, e alla presto applicazione al materiale egeo del se-
bibliografia ivi citata. condo millennio. Cfr. intanto S. C. BISEI.,
27) In proposito v. ancora Palais et communau- Health and Nutrition in Mycenaean Grt!e<%.
tés de village (cit. alla n. prec.), pp. 139-142. A Study in Human Skeletal Remains, in Stu-
28) Va ricordato al riguardo lo sconcertante ri- dies W. A. McDonald, Minneapolis 1985, pp.
sultato dell'indagine paleobotanica effettuata 197-209; O. FoRNACtARI- B. CEccANTI - E.
da H. E. Wright in occasione della Minneso- MENICA0UTB.BvtsANI, "Quad. di Scienze An-
ta Messenia Expedition (supra, n. 21, pp. trop." 8, 1982, pp. 108-125, e il contributo
188-199). L'analisi dei pollini condotta nel- di O. Fomaciari per il presente Colloquio.
l'area dell'attuale laguna costiera di Osmana- 36) Il rappono è di I a I per frumento e fichi
ga, assai prossima al sito di Ano Englianòs nelle serie PY Ab e Fg; e di 4 a 6 per orzo
(la Pilo micenea), mostra infatti un sensibile e olive in PY Fn 79 e Fn 918.1.
incremento della presenza di ulivi solo a par- 37) Razioni di vino si hanno solo in PY On 428
tire dal 1100 all'incirca, posteriormente cioè e forse On 720; razioni d'olio in alcuni testi
alla caduta del palazzo (ca 1230 a.C.). Ora della serie Fh di Cnosso, ad es. Fh 386 (per
è ben vero che il palazzo potrebbe aver otte- un bronziere), Fh 462.2 (per un armaiolo),
nuto il proprio olio da altre aree; ma è anche Fh 1056 (per un cuoiaio).

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38) V. specialmente F. SiPI.UND,Sacrificial ban- (HORD:GRA) si evince attraverso l'interme-


quets in the "Pa/ace of Nestor" "Op. Ath." diario dei fichi (Nl). Nella serie PY Ab si ha
13, 1980, pp. 237-246 (da non seguire peral- infatti un rapporto GRA:N/ di 1: 1, e nella
tro nelle sue deduzioni circa la presunta fun- serieKN Fs un rapporto HORD:N/ di 1:2,
zione eminentemente templare dei palazzi da cui appunto si ricava HORD:GRA = 1:2.
micenei). Per l'età classica v. /G I 3 76 (aparchi per
39) K. Kn.wr, La caduta dei palazzi micenei con- le due Dèc); /G IV2 1.40 (da Epidauro); /G
tinentali: aspetti archeologici, in D. Mum XII 3, 436 (da Thera).
(cd.), Le origini dei Greci, Dori e mondo egeo, 45) Le misure di capacità degli aridi sono con-
Bari 1985, p. 79. venzionalmente indicate con le lettere Z (la
40) Cfr. ad es. per il caso di Mari il saggio di più bassa), V, T. La misura più alta non pre-
L. MnANo, Alimentazione e regimi alimenta- senta un proprio ideogramma, cd equivale a
ri nella Siria preclassica, "Dial. Arch." n.s. 1O T; e l'intera serie dei rapporti è di
3, 1981, pp. 85-121. 1:4:24:240. Per il probabile valore assoluto
41) Per questa selettività dei testi, nei quali sono 0.8 per la misura V, v. M. LANo, Pylos Pots
registrati solo i prodotti di più immediato in- and the Mycenaean Units of Capacity, "AJA"
teresse per il palazzo, V. J. CeAJ>wia, ll mon- 68, 1964, pp. 99-105.
do miceneo (supra, n. 18), p. 149 46) Per i dettagli dell'argomentazione rinvio a uno
42) Che le razioni in frumento di Ab possano es- studio specifico su Razioni alimentari e teno-
sere soltanto nominali, calcolate cioè in fru- re di vita nel mondo miceneo, di prossima
mento ma erogatedi fatto in orzo, è ipotesi pubblicazione.
di J. CHAI>wicx:,TheLi1lt!lll"B Tablets as Hi- 47) V. soprattutto FAO, Energy and Protein Re-
storica/ Documents, in The Cambridge An- quirements, Geneva, 1973, p. 12 s. e Anncx
cient History', II 1, Cambridge, 1973, p. 621. 2, p. 102 ss.
43) Cfr. L. FoXHALL- H. A. FoUBS, l:1~0fl.ffp&I«: 48) Cfr. I. GBLB, The ancient Mesopotamian ra-
The Role f o Grain as a Staple Food in Clas- tion system, "JNES" 24, 1965, pp. 230-245.
sica/ Antiquity, "Chiren" 12, 1982,pp. 41-90; 49) In materia restano fondamentali gli studi di
L. GALLO, Alimentazione e classi sociali: una J. L. ANOBL, riassunti nell'articolo su Ecolo-
nota su orzo e frumento, "Opus" 2, 1983, gy and popu/ation in the Eastem Meditem,-
pp. 449-472, e dello stesso A., Alimentazione nean, "World Arch" 4, 1972, pp. 88-105. V.
e demogrqfia nella Grecia antica, Salerno, anche la buona sintesi tracciata da M. D.
1984, p. 23 ss. GIUlBK:,Le malattie all'alba della civiltà occi-
44) Nei testi micenei il rapporto orzo:frumento dentale, trad. it., Bologna, 1985, pp. 157-208.

------------------------------203
IL PANE QUOTIDIANO
DELLE CITTÀ ANTICHE
FRA ECONOMIA E ANTROPOLOGIA
di Carmine Ampolo

«Ridete di me perché avendo troppa pancia voglio ricÒndurla a una misura più
conveniente (fllv -y0tO"t'&p0t
... µi'tp1.<i>'ttp<XV
~oul.0µ0tL
1eoLTjaotL?)
Non sapete che recente-
mente Carmide mi ha sorpreso che ballavo?» Cosi parla Socrate nel Simposio
di Senofonte (2, 19). E subito dopo Carmide conferma ai presenti la verità di
quanto Socrate affermava, il buffone Filippo scherzosamente aggiunge: «E si, per
Zeus, e perciò appunto le tue gambe e le tue spalle sembrano avere lo stesso
peso (l~pat) sicché se fossero pesate separatamente, come dei pani (ù>G1tip &p-touç)
davanti agli agoranomoi, la parte alta e quella bassa del tuo corpo, sfuggiresti
alla multa» (2, 21).
Il paragone scherzoso richiamava una scena familiare agli Ateniesi, e proba-
bilmente comune nei mercati delle città antiche: il controllo del peso del pane
da parte dei magistrati. Cerchiamo di capire la logica di questa scena banale,
un atto amministrativo semplice; ma che può rivelare aspetti non secondari della
realtà urbana antica 1•
Il passo da cui siamo partiti è la più antica testimonianza a me nota sul
controllo pubblico del pane nel mondo greco. Il dialogo è ambientato nel 422
a.e., anche se ovviamente è più recente. Il testo prova che alla fine del V secolo
i magistrati ateniesi si preoccupavano di controllare non tanto il prezzo (che evi-
dentemente era fisso) del pane, quanto il suo peso. I magistrati addetti, in questo
periodo gli agoranomoi, alla fine del IV secolo i sitophylakes, mettevano sui due
piatti della bilancia il peso standard da una parte e dall'altra una pagnotta; o
- cosa forse più probabile in base alla lettera del testo di Senofonte - mettevano
una pagnotta in ognuno dei piatti della bilancia per verificare che avessero uguale
peso; chi avesse preparato pani di misura non regolare era punito 2 •
Il panettiere ateniese vendeva quindi non a peso ma a unità, a pagnotta,
e i magistrati controllavano la pezzatura. Ciò è confermato pienamente da quanto
avveniva quasi un secolo dopo. Aristotele nella Costituzione degli Ateniesi (51,
3) così illustra il controllo che era esercitato sui cereali e sul pane: «I sitophylakes
sorvegliano prima di tutto che il grano non macinato si venda sul mercato al
prezzo giusto (8oox(wç)e, poi, che i mugnai vendano la farina d'orzo a un prezzo
proporzionato a quello della farina e che il pane abbia il peso che essi avranno
stabilito, perché la legge impone a essi di stabilire il peso».
Abbiamo qui la prova indiscutibile di quanto la polis ateniese controllasse

---------------------------- 20S
HOMO EDENS --------------------------

e regolasse il settore della panificazione, oltre a quello ben noto dei rifornimenti
cerealicoli, un fenomeno questo più vasto e capillare di quanto generalmente non
si creda 3 • Mi limito qui a un solo esempio, che però mostra bene come la polis
esercitasse la sua sovranità sul settore della panificazione: nell'ampio dibattito che
precedette la grande spedizione ateniese in Sicilia del 415 a.e. si ventilò la possibi-
lità di obbligare i panettieri a seguire l'esercito (Thuc. VI, 22). lo stesso credo
di aver dimostrato altrove 4 che nelle città antiche, fino a epoca tarda, «il pane
alla vendita, non varia di prezzo: varia di peso. La regola del peso variabile vale
press'a poco per tutto il mondo antico», come del resto avveniva in gran parte
dell'Europa in epoca preindustriale, con alcune eccezioni significative 5 •
L'unità vera in questo campo è quindi la pagnotta: essa è venduta al prezzo
di una o due unità monetali (cioè 1 o 2 oboli, 1 o 2 assi), un prezzo che era
destinato a rimanere invariato nel breve e medio periodo. Varia continuamente
invece il peso, a seconda dell'andamento dei raccolti e dei rifornimenti e del prez-
zo della farina. Anche se indubbiamente si tendeva a una sorta di peso medio
ideale (corrispondente naturalmente a un'unità ponderale, come ad esempio una
libbra), esso oscillava da un anno all'altro o addirittura da un momento all'altro.
Se c'era carestia la pagnotta si riduceva, se c'era abbondanza diveniva più grande.
Questo fenomeno resterà una costante, per secoli: in un passo del Satyricon
di Petronio un tale cosi si lamenta: «Ai tempi dell'aedilis Safinio l'annona non
costava nulla (pro luto erat); il pane che compravi con un asse non si riusciva
a divorarlo in due. Ora ne ho visti di più piccoli di un occhio di bue» (oclum
bublum). Ma il documento principale è costituito dalla straordinaria serie di iscri-
zioni in lode agli agoranomoi di Efeso romana. Questi testi epigrafici vanno dal-
1'epoca di Traiano fino al 220 d.C. circa e hanno un grandissimo valore proprio
perché costituiscono una serie, un insieme di grande significato per la storia eco-
nomica dell'antichità 6 • Essi mostrano come in quell'epoca e in quella città il prez-
zo restasse fisso a due oboli, mentre le dimensioni della pagnotta, cioè il suo
peso, variassero a seconda degli anni. Troviamo infatti registrate le seguenti varia-
zioni: 14, 13, 12, 13, 9, 14, 10 once in anni diversi. Non possiamo ovviamente
escludere che anche la qualità del pane variasse, legalmente o illegalmente, ma
i magistrati venivano lodati anche per la qualità del pane. E nei cosiddetti manife-
sti elettorali di Pompei si trova la promessa di pane buono 7 •
La scoperta di questa caratteristica fissa, stabile e non eccezionale, della pani-
ficazione antica nelle città (analoga sotto questo aspetto a quella europea preindu-
triale, come si è detto) richiede un approfondimento e soprattutto ha implicazioni
notevoli. Mi riferisco in particolare ad Atene classica, su cui siamo relativamente
meglio informati, e agli ambienti urbani di cultura ellenica, lasciando da parte
il caso più volte indagato e discusso dell'annona romana e delle distribuzioni di
grano e poi di pane, caro porcina e olio ai cittadini romani domo Romae 8 •
Se il prezzo è fisso e il peso controllato, dobbiamo chiederci:
a) il pane ha un posto cosi rilevante nell'alimentazione, e a partire da quando?
b) qual è il meccanismo di controllo e quali sono i vari passaggi, dall'arrivo del
grano alla sua trasformazione in farina e poi pane?
e) qual è il ruolo dei panettieri?
Per quel che riguarda la prima questione, quella del posto del pane nell'alimenta-
zione, è noto che l'uso del pane è antichissimo nell'area egea, anche se si trattava

206 -----------------------------
------------------------ CARMINE AMPOLO

di pani di tipo molto diverso da quelli di età classica, più simili a schiacciate.
Comtnque un noto epiteto formulare omerico indica gli uomini civili come "man-
giatori di pane" (o di "farina"). Sappiamo con certezza che la dieta standard
della IJ'nte era a base di cereali, soprattutto orzo ma anche grano, i quali forniva-
no la base dell'alimentazione 9 , cosi come presso popolazioni asiatiche lo è il riso.
Ma noa tutti i cereali, e comunque non sempre, venivano trasformati in pane.
Basta qui rimandare a Platone che nella Repubblica (Il, 372b) cosi indica
la dieta della sua città giusta: «Si nutriranno di farine ricavate dall'orzo e dal
frumento ora cuocendole ora impastandole (µ«çcmaç) e serviranno belle focacce
y,w«fotç xat1&p-rouç)su canne e foglie pulite». Troviamo qui la maza,
e pani ((J,4l;cxç
l'alimento a base di farina d'orzo diffusissimo nel mondo greco, che veniva con-
trapposto al pane di farina di grano, ed è attestatissimo da Archiloco ad Aristofa-
ne, tanto per fare due esempi notissimi 10 •
Anche se qui e altrove questo termine è tradotto come focaccia o galletta
d'orzo, esso si contrappone al pane lievitato, e quindi sembra indicare piuttosto
preparati sul tipo della polenta. Difatto gli autori latini indicano la pappa d'orzo,
con il termine polenta e lo usano per tradurre il greco maza 11 • Essa aveva una
parte di rilievo nell'alimentazione comune, e non solo nelle campagne; nelle Vespe
Aristofane ci mostra il suo Philokleon tutto contento del fatto che al suo arrivo
a casa dal tribunale la figlia gli prepara la maza; e ancora Epicuro nella lettera
a Meneceo la raccomanda come cibo semplice e sano 12 •
Chi viveva in campagna poteva certo prepararsi il suo pane in modo artigia-
nale nella sua fattoria, quando non preferiva altri tipi di focacce o la maza; co-
munque si serviva della farina che produceva lui stesso o che (soprattutto nel
caso di quella di grano che l'Attica produceva in misura molto ridotta) acquistava
da altri agricoltori o in città. Ma erano soprattutto coloro che vivevano in città,
gli astoi, ad avere bisogno di comprare la farina o il pane. Lo sviluppo della
vita urbana ateniese nel corso del V secolo fu accelerato dall'incremento demogra-
fico, dai profitti dell'impero, dall'espansione del nucleo portuale del Pireo; so-
prattutto la guerra del Peloponneso e la strategia scelta da Pericle favorirono,
o addirittura obbligarono, il trasferimento in città dalla campagna (Tucidide Il,
12, 3; 14).
Tutto ciò implica necessariamente lo sviluppo della vendita di cereali in città
e al Pireo e della attività dei panettieri. Non è un caso che Senofonte in un noto
dialogo dei Memorabili,che costituisce la fonte più importante sullo sviluppo e
i limiti degli ergasteriaateniesi, dia per scontato che ci si poteva arricchire facendo
i panettieri 13• E non è forse un caso che proprio ad Atene si sviluppi particolar-
mente l'uso di numerario corrispondente a unità monetarie minori, cioè quasi
di "spiccioli", necessari ai piccoli pagamenti e alle esigenze della vita quotidiana
in città, in primo luogo ovviamente l'acquisto della pagnotta di pane quotidiano.
Questa infatti costava un obolo, cioè un sesto di una dracma, ed era denominata
obelias artos o obelites artos 14 • Cosi avveniva ancora nel IV secolo.
Leggiamo quanto ci dice Demostene nell'orazione contro Formione(XXXIV,
36-37). È un testo del 327/6 a.e., ma che qui allude a quanto avvenuto alcuni
anni prima in una situazione di carestia o di difficoltà di approvvigionamento.
«(Formione) caricò una grande nave di grano [dal regno bosporano, in cui gli
Ateniesi si rifornivano e in cui godevano ·di privilegi speciali) e lo trasportò ad
Akanthos (in Calcidica) dove lo vendette... Ecco cosa ha fatto, eppure abitava

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HOMOEDENS--------------------------

ad Atene, vi aveva moglie e figli, e le leggi stabiliscono le pene più severe contro
chiunque, abitante in Attica, trasporti del grano altrove e non nell'emporion atti-
co. Ed era l'epoca in cui quelli che abitavano in città ricevevano le razioni di
farina d'orzo (a/phita) nell'Odeion, quelli che abitavano al Pireo compravano i
loro pani a un obolo (XIX't'ò~Àòv 'toùç &p-couç)nell'Arsenale e si accalcavano nel
grande portico [la stoà alphitopolis] per ottenere la farina d'orzo a razioni di
mezzo hekteus [=metà di 1/6 di medimno]».
Questo passo ci dà un quadro vivace di come si cercasse di risolvere la diffi-
coltà di approvvigionamento con distribuzioni e vendite a prezzo politico; esso
ci prova l'esistenza del prezzo fisso di un obolo per pagnotta e la compresenza
del razionamento (a causa della carestia) e della vendita del pane e della farina
d'orzo. In questo periodo ritroviamo ancora una volta la presenzadei due tipi
di alimentazione (orzo e grano) 15 •
Il passo di Demostene sopra citato ci consente anche di passare a rispondere
al secondo interrogativo che ci eravamo posti, quello sui modi in cui avvenivano
il controllo e la regolamentazione del settore. È noto che in una situazione natu-
ralmente deficitaria, a causa di una produzione cerealicola insufficiente com'era
appunto quella dell'Attica nel V e IV secolo a.e., la città ricorreva ai mezzi con-
sueti delle città antiche per favorire l'approvvigionamento: accordi con re o sovra-
ni di paesi produttori, benefici fiscali, incoraggiamenti alla importazione, ricorso
all'evergetismo e concessione di onori a mercanti meteci, distribuzioni o vendite
a prezzo politico 16•
Lascio da parte i problemi dell'approvvigionamento che sono stati già ben
indagati e mi limito a sottolineare come nei casi di crisi alimentare e di penuria
si venivano a trovare in profondo disaccordo due settori legati alla vendita di
cereali. In questi casi infatti c'è da un lato il prezzo che chiameremo di mercato
della farina, il quale può salire bruscamente e vertiginosamente, come prova l'ora-
zione di Lisia Contro i mercanti di grano 17 •
Ma c'è anche il prezzo fissato dalla polis, un prezzo cioè politico. Questo
secondo prezzo è quello che le nostre fonti chiamano katestekyia timé, fissato
dagli organi competenti della polis. Cosi ad esempio gli Ateniesi stabilivano il
prezzo al quale dovevano essere venduti il grano e l'orzo offerti come primizie
a Eleusi, pari rispettivamente ad 1/600 ed 1/1200 della produzione.
In tempi normali o di abbondanza di raccolto e di approvvigionamento prez-
zo politico e prezzo libero "di mercato" dovevano coincidere; ma in tempi di
carestia e di difficoltà negli approvvigionamenti essi divergevano notevolmente.
Proprio per questo un cliente di Demostene cosi si vanta: «Quando il grano sali
di prezzo ed arrivò a 11 dracme, abbiamo importato più di 10.000 medimni di
grano e li abbiamo distribuiti al prezzo fissato (-cijçX1X8umtxu~ 'tt1,tijç)di 5 dracme
a medimno; e voi tutti lo sapete per aver partecipato a questa distribuzione nel
pompeion» 18•
Vanno sottolineati due punti: a) l'intervento diretto della polis nelle vendite
di cereali, almeno in alcune situazioni particolari; b) l'esistenza di un prezzo fissa-
to, politico, equivalente al prezzo giusto, che veniva a trovarsi in conflitto con
la variabilità del prezzo della farina.
In questa situazione la polis ateniese doveva regolare il peso del pane (da
1 obolo) a seconda delle circostanze e per così dire a valle. La fissazione del
peso doveva quindi essere in rapporto: 1) al prezzo della farina, che era soggetto

208-----------------------------
------------------------ CARMINE AMPOLO

a grandi variazioni a meno che non ci fossero forni ture a prezzo fissato; 2) alla
quantità di pezzi di pane che venivano ottenuti da ogni unità di farina (cioè per
ogni medimno ad esempio); 3) alla quantità di farina ricavabile da una unità di
misura di cereali e al guadagno stabilito per chi effettuava la panificazione e la
molitura. Ciò implica necessariamente accordi e regole precise cui dovevano assog-
gettarsi i mugnai e i panettieri e gli stessi venditori al dettaglio.
Per Atene nell'età qui considerata sappiamo molto poco, anche se l'orazione
di Lisia Contro i mercanti di grano ci dà qualche elemento prezioso. Cosi nel
388/7 Anito, che forse è proprio il noto uomo politico ateniese, aveva assicurato
ai mercanti di grano, i sitopoloi, un margine fisso di guadagno di 1 obolo per
una quantità di grano non meglio specificata 19• Analogamente si doveva procede-
re verso mugnai e fornai. Un'idea precisa di come andassero le cose l'abbiamo
per un altro periodo e un altro ambiente. Ossirinco ci ha conservato un documen-
to eccezionale, credo unico per l'antichità (P. Oxy. 1454).
È un contratto fra le autorità locali e i panettieri datato all'anno 116 d.C.
in base al quale i panettieri s'impegnano sotto il controllo dell' agoranomos a fare
pane buono in pagnotte da due libbre, in numero di trenta pezzi per ogni artaba
di farina. Qualcosa di analogo va supposto anche per Atene e più in generale
per le città greco-romane; lo fanno intendere fra l'altro anche i manifesti elettorali
di Pompei, già citati, in cui sono i panettieri (pistores) a sostenere loro candidati
alla carica di aedilis, corrispondente a quella di agoranomos. Questi sistemi trova-
no forti riscontri in quelli usati nell'Europa medievale e moderna: anche qui «la
boulangerie est surveillée plus qu'aucune autre activité vivrière» e un gran numero
di documenti ci mostra questo ''dirigismo'' 20 • E la stessa documentazione antica
ci mostra come le città si occupassero in maniera impressionante non solo dell'ap-
provvigionamento cerealicolo ma anche della vendita del pane 21 • Francotte scrive-
va giustamente: «La première des questions économiques pour les Grecs était celle
du pain». Ed è un problema in cui l'economico si salda con il sociale, con la
politica e anche con la religione 22 , anche se a volte si dimentica il ruolo centrale
del pane e dell'approvvigionamento nell'economia greca.
Al di là delle singole circostanze e delle differenti soluzioni adottate in antico,
questo tema ci porta nel cuore delle società antiche. L'idea e la necessità del pane
quotidiano, cosi presenti nella preghiera del pater noster, hanno una lunga storia.
Quella che è una necessità biologica dell'uomo va però conno_tata storicamente:
lo stesso parlare di artos (e non di maza tanto per fare un esempio) costituisce
di per sé una prima specificazione storica. Ma c'è qualcosa di più: le città greche
erano innanzitutto delle comunità, delle koinoniai di cittadini, costituivano cioè
una Gemeinschaft, sia pure di pochi. E ciò sin dalle origini implica una forma
elementare, direi quasi primordiale, di partecipazione comunitaria anche sul piano
delle risorse alimentari: la spartizione delle carni del sacrificio ne costituisce il
simbolo e l'esempio concreto, come mostra la stessa terminologia, anche latina
(particeps è chi prende la parte delle carni dell'animale sacrificato).
Questa idea resta o si realizza nelle feste e nei grandi sacrifici in cui i cittadini,
anche i più poveri, mangiavano carne. La Costituzione degli Ateniesi attribuita
a Senofonte (2, 9) osservava che «la città dunque sacrifica pubblicamente molte
vittime e sono quelli del popolo che fanno scialo e hanno ciascuno la sua parte
di quello che viene sacrificato». Festa, sacrificio e alimentazione si saldano insie-
me nell'ambito della polis.

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HOMO EDENS ----------------------------

Ma questa deve assicurare ai suoi membri, i politai che sono in un certo


senso i suoi azionisti, l'alimentazione essenziale al prezzo giusto, soprattutto nei
momenti di crisi. E qui torniamo all'altro aspetto evidente, oltre quello della par-
tecipazione, quello sociale. Dato il principio stesso della polis, i cittadini sentono
come un diritto questa alimentazione a prezzo giusto. La comunità stessa e i nota-
bili ricchi, quando sono essi ad avere maggiore disponibilità di risorse e a esercita-
re cariche pubbliche, devono provvedere a farsene carico, per amore o per forza.
È anzi probabile che questi ultimi lo sentissero come un atto dovuto, da com-
piere necessariamente, seppure a malincuore. Era comunque un prezzo da pagare
per mantenere la struttura sociale, impedire le lotte di poveri contro ricchi, di
classi e ordini, che la carestia poteva scatenare in qualsiasi momento. Questo com-
pito dei notabili, com'è noto, è attestatissimo soprattutto in età ellenistica, mentre
nell'Atene del V e IV secolo a.e. sono soprattutto la polis e gli stranieri a prov-
vedere 23 •
Il pane quotidiano ci ha portato quindi non solo nella regolamentazione del
mercato e delle vendite, ma anche nel cuore dell'istituzione, in un punto in cui
l'antropologia dell'uomo mangiatore di pane si fa storia, in cui economia, politica
e società si fondono organicamente. Come dicevo, il «dacci oggi il nostro pane
quotidiano» ha una lunga storia. Chi ha potuto vedere lo "Hungerbrot", il pane
delle carestie, piccolo come l'occhio di bue, conservato in vari musei europei come
terribile documento di lontane carestie, ne ha piena consapevolezza; soprattutto
può vedere nelle fonti, al di là delle fonti, che anche la città antica era realmente
una città dolente 24 •

NOTE

I) Non tocco gli aspetti tecnici per i quali ri- 4) C. AMPoLO,Note minime di storia dell'ali-
mando a M.-CL.AMoURETn,Le pain et l'hui/e mentazione, Opus lii, 1984, pp. 115-120.
dans la Grèce antique, Besançon, 1986. Cfr. 5) F. 8R.AUDEL, Civiltà materiale, economia, ca-
EADBM, La transformation des ciréales dans pitalismo, l, tr. it., Torino, 1982, pp. 112 ss.;
/es vii/es, un indicateur méconnu de la per- F. DBsPOllTBS, Le pain au moyen a,e,Paris
sonnalité urbaine: l'exemple d'Athènes à l'é- 1987, pp. 145 ss. con documentazione e bi-
poque c/assique, in PH. LEVEAU (ed.), L 'ori- bliografia precedente. Cfr. W. KULA, Le mi-
gine des richesses dépensées dans la ville anti- suree gli uomini, tr. it., Bari, 1987, pp. 76 ss.
que, Aix-en-Provence 1985, pp. 133-146. A 6) /nschriften von Ephesos 923, 924, 929, 934,
questi lavori si rimanda per la bibliografia pre- 938, 3010. Cfr. AMPoLO,art. cit.
cedente e la terminologia. 7) CIL VI 429 e 886 + addendum.
2) U. v. WILAMovrrz, Aristoteles und Athen, l, 8) Su cui vedi da ultimi G. Rlcx.MAN,The Com
Berlin, 1893, pp. 219 ss. Il controllo sugli ago- Supply of Ancient Rome, Oxford, 1980; M.
ramonoi sulla vendita del pane è provata da CollBmR, Trésors et gréniers dans la Rome
Aristofane (Vesp. 1406-8; cfr. 1389-91) pro- impériale (~-/Ife sikle) in E. LEVY(ed.), Le
prio per l'anno 422 a.e. Sui silophylakes ate- système palatia/ en Orient, en Grètt et à R<r
niesi PH. GAUTHIER., De Lysias à Aristote me, Leiden 1986; C. VlllLOUVET, Famines et
(Ath. Poi. 51, 4): le commerce du grain à émeutes à Rome des origines de la république
Athènes et /es fonctions des sitophylakes, à la mort de Neron, Rome, 1985; P. GAJtN-
RHDFE, LIX, 1981, pp. 5-28. SEY, Famine and Food Supply in the Graeco-
3) Sul passo si sofferma solo brevemente il com- roman World, Cambridge, 1988.
mento curato da Rhodes (Oxford 1981), p. 9) Cfr. HoM. Od. IX 191.; EcATBO, FGrHist l
578-9. Sui controlli dei mercati greci vedi P. F 335 a-b. Per le diete a base di cereali vedi
V. STANLEY, Ancienl Greek Market Regu/a- ora: L. FoXHALL,H. A. FoR.BES,Sitometreia:
tion and Contro/, diss. 1976. The Role of grain as a stap/e food in classi-

210 -----------------------------
---------------------------- CARMINE AMPOLO

ca/ antiquity, Chiron Xli, 1982, pp. 41-90; says.... de Ste Croix, History of Political
L. GALLO, Alimentazione e classi sociali: una Thought VI, 1/2, 1985, pp. 118-130; IDEM,
nota su orzo e frumento in Grecia, Opus li, op. cit. con bibl. precedente fra èui va ricor-
1983, pp. 449-472; IDEM,Alimentazione e de- dato almeno L. GBRNBT,L'approvvisionne-
mo1rafia della Grecia antica, Salerno, 1984. ment d'Ath~nes en blé au ~ et au I~ siècle,
IO) MCBILOCO fr. 2 D.= 2 West; AlusTOPH., Paris, 1909. Per la produzione, oltre a Garn-
Acham. 732 ecc. sey, cit., A. JARDÉ, Les céréales dans l'anti-
Il) Ad es. Sl!Nl!cA, Epist. II, 21, IO; 18, 9 che quité grecque, Paris, 1925 ed il capitolo della
si confronta con DlocmNI!LABRzroX, 131 (nel· Wirtschftsgeschichte Athens, da me edito in
la lettera di Epicuro a Mencceo). Altri testi Opus, IV, 1985.
sono citti da J. ANDu, L 'alimentation et la 17) LYs., XXII, 12.
cuisine d Rome, Paris 19802, p. 61, n. 128. 18) DEM., c. Phorm. 39. La correzione proposta
12) AlusToPH., Vesp. 609 ss.: EPICURO, /oc. cit. da Koehler e seguita da Thalheim e Gemet,
a n. 11. stravolge il significato del passo.
13) Xl!N., Memo,. II, 7. Qui si dice che Nausiki- 19) Lvs. XXII, 8.
des con l'attività di mugnaio mantiene se stes- 20) DBsPORTBS, op. cii., p. 172 ss.
so, i suoi schiavi e vacche e porci in gran nu- 21) J. FRANCOTTI!, Le pain d bon marché et le
mero e che Kyrebos dall'attività di panettiere pain gratuit dans /es cités grecques, Mélanges
vive riccamente. Nico/e, Génève, 1905 = Mélanges de droit
Il mugnaio appare qui particolarmente ricco public grec, Liège-Paris, 1910, pp. 291-312.
(tanto da fare liturgie per la città); si noti inol- 22) Cfr. K. POLANYI,La sussistellZJl dell'uomo,
tre che egli doveva mantenere il bestiame con tr. it., Torino 1983, pp. 250 ss.; M. AUSTIN,
i residui della molitura dei cereali, esattamen- P. VroAL-NAQUl!T,Economia e societd nella
te come avveniva nella Francia del XIV e XV Grecia antica, tr. it., Torino, 1982, p. 122
secolo (Dl!sPoRTES, op. cit., pp. 185 ss.). Sul ss. e i saggi di M. Jamcson, B. Bravo, I. Halm
passo di Senofonte vedi M. BETTAW,in Opus e D. Rathbone in P. Garnsey, C. R. Whitta•
I, 1982, pp. 261 ss. ker, Trade and Famine in Classica/ Antiqui-
14) Poll. I, 248; VI, 32-33; 72-75; Athen. III, 11 ty, Cambridge, 1983. Sulla risposta religiosa
b; Hesych. s.v. obelias artos; PeOT. 313, 20. alle crisi alimentari è atteso un lavoro di P.
Sembra inverosimile che si trattasse di pane Garnsey.
cotto allo spiedo, mentre potrebbe in alcuni 23) In generale P. VBYNI!,Le pain et le cirque,
casi trattarsi di pagnotte di forma allungata, Paris 1976 e la diversa posizione di GAUTHIBll,
una sorta di 'baguettcs'. Cfr. V. EHRHNBERO, Les cités grecques et leurs bie,ifaiteurs, BCH
L'Atene di Aristofane, tr. it., Firenze, 1957, suppi. 12, Paris, 1985; cfr. L. MoR.E1TI, in
p. 316 n. 30. Storia e civiltd dei Greci, VIII, Milano, 1977,
15) GALLO,art. cit. Per il caso importante della pp. 354 ss. con fonti e bibliografia cui va ag-
Sicilia del I sec. a.e. cfr. S. MAZZARINo,In giunto ora il caso di Entella in Sicilia (cfr.
margine alle 'Verrine' per un giudizio storico G. PANBSSA, in ASNSP s. III, XII, 1982, pp.
sull'orazione «defrumento», in Atti del I Con- 905 ss.).
gresso intern. dì studi ciceroniani, Roma, 1961, 24) Pani di carestia sono conservati allo Histori-
pp. 99-118. sches Museum di Berna, all' Alimentarium di
16) P. GARNSl!Y,Grain /or Athens, in Crux. Es- Vevey e al Deutsches Brotmuseum di Ulm.

----------------------------- 211

J
ALIMENTAZIONE URBANA
E ALIMENTAZIONE CONTADINA
NELL'ATENE CLASSICA
di Luigi Gallo

In un bel saggio del 1958, intitolato Note di storia dell'alimentazione nel Meuo-
giorno: i Napoletani da "mangiafoglia" a "mangiamaccheroni", Emilio Sereni
metteva bene in luce l'importanza e l'utilità di certe etichette e caratterizzazioni
etnico-gastronomiche come fonte di informazioni sulla storia alimentare di un de-
terminato popolo: quando risultano incomplete le fonti archivistiche o statistiche,
particolarmente utili si rivelano le attestazioni "involontarie", quali appunto quel-
le proverbiali o letterarie, che ci mostrano il riflesso di un dato fenomeno nella
coscienza popolare 1•
Ancor più opportuna diventa dunque l'attenzione per questo tipo di testimo-
nianze nel caso del mondo antico, in cui la disponibilità di documentazione sui
regimi alimentari appare senz'altro minore rispetto a epoche più recenti. Non a
caso, del resto, tra le varie caratterizzazioni etniche che sono raccolte in un vec-
chio ma tuttora prezioso lavoro di M. Goebel, un posto di rilievo occupano pro-
prio quelle di tipo alimentare, derivanti in gran parte dalla ricca miniera di dati
- non solo di carattere antiquario ed erudito, secondo l'ottica con cui è stata
per lo più utilizzata, ma anche, mi sembra, sul significato sociale e ideologico
di determinati cibi e regimi alimentari - che allo studioso di alimentazione antica
è offerta dall'opera di Ateneo, i Deipnosojisti 2 •
Se ora andiamo a esaminare le testimonianze raccolte dal Goebel sul regime
alimentare di cui qui ci occupiamo, quello ateniese, riscontriamo una caratterizza-
zione ben precisa: quella di un regime decisamente raffinato, ricco e variato, la
cui nota dominante, insomma, può essere individuata nell'eccessiva raffinatezza,
espressa dai Greci con il concetto di tryphe 3 • Tra le varie fonti citate dal Goebel
in proposito, particolarmente interessante si rivela una curiosa e paradossale testi-
monianza: la spiritosa descrizione di un pranzo attico che un autore del IV secolo
a.e., Matrone, faceva parodiando i poemi omerici, come è evidente fin dal pitto-
resco esordio (deipna moi ennepe, Mousa, polytrophon kai mala polla) 4 •
Diamo dunque uno sguardo al menu davvero raffinato e abbondante (poly-
trophon, eco parodica di polytropon di Od. I, 1), in cui i cibi portati dai maghei-
roi si susseguono con un ritmo incalzante e quasi ossessivo. Accanto a pochi pro-
dotti che possiamo considerare tradizionali nell'alimentazione ateniese, quali so-
prattutto i bianchissimi pani (arto,), per cui l'Attica era particolarmente rinomata 5 ,
e a qualche portata di carne, il ruolo principale vi è svolto di gran lunga dal

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HOMO EDENS---------------------------

pesce, di cui compaiono qui i tipi più svariati, dai meno pregiati, come il melanu-
ro, definito demotikos, forse per il prezzo accessibile, ai più prelibati, come l'ora-
ta o le anguille del lago Copaide, in Beozia, che sappiamo anche da altre fonti
quanto fossero ricercate dagli Ateniesi 6 •
Verso la fine, il nostro commensale, ovviamente, è ormai sazio e si astiene
perciò dalle portate di frutta, ma non sa resistere davanti al p/akous, la focaccia
di torta imbottita, ben nota anche attraverso Aristofane: uno degli ingredienti,
tra l'altro, della ricca alimentazione del vorace Eracle cosi come è rappresentata
dal commediografo in Ran., vv. 503 ss. 7 •
La natura parodistica e caricaturale del poemetto di Matrone impedisce, natu-
ralmente, di vedere in questa "grande abbuffata" uno specchio fedele, fin nei
dettagli, di determinati consumi alimentari: ma rimane comunque significativa,
mi sembra, la caratterizzazione complessiva che, al di là dell'aspetto parodico,
è possibile ricavare del regime alimentare in questione.
Quali ne sono i tratti essenziali? I prodotti dell'agricoltura, come cereali e
legumi, che costituivano le componenti essenziali dell'alimentazione greca, hanno
qui un ruolo solo marginale rispetto ad altre, come il pesce che, in una società
con un'attività locale di pesca piuttosto trascurabile quale sembra essere quella
ateniese, risultano quindi legate al mercato e alle importazioni 8 • Domina quello
che si può definire il superfluo, e cioè la prelibatezza, i cibi raffinati e pregiati,
anche se non necessariamente più nutrienti 9 : il pasto, con la sua abbondanza
e la sua raffinatezza, diventa una forma di prestigio e di ostentazione, secondo
un fenomeno ben noto in svariate società, da quella feudale dell'Alto Medioevo
alle comunità trobriandesi studiate da Malinowski 10•
Si tratta, insomma, di un regime che per la sua raffinatezza, la sua dipenden-
za da un mercato piuttosto articolato, a giudicare dal consumo di una gamma
così vasta di pesci, per le strutture e i servizi che presuppone (ad esempio, l'inter-
vento dei magheiro1), ha un carattere prettamente cittadino, come è frequente,
del resto, dei fenomeni legati alla tryphe 11 • La presenza di tale caratterizzazione
in un autore di poesia gastronomica del IV secolo a.e. e l'impiego che ne fa
Ateneo per etichettare il comportamento alimentare del nostro popolo costituisco-
no, al di là della dettagliata descrizione parodica della "grande abbuffata", una
testimonianza tutt'altro che trascurabile sul regime ateniese.
Ma sempre in Ateneo si può individuare, dell'alimentazione ateniese, anche
un'immagine ben diversa, pressoché antitetica, che non è menzionata dal Goebel
nella sua raccolta di caratterizzazioni etnico-gastronomiche: l'immagine di un con-
sumo alimentare semplice e moderato, basato su pochi essenziali prodotti locali
e lontano dall'abbondanza e dalle ghiottonerie di altre cucine, quali quelle dell'O-
riente persiano o di differenti regioni della Grecia, come la Tessaglia o la Beozia.
Tale caratterizzazione è presente, con frequenza ancora maggiore rispetto al-
l'altra, in varie citazioni di autori di età classica o poco posteriori che si incontra-
no nel mare magnum dei Deipnosojisti: dal filosofo Crisippo, che richiama la
frugalità del vitto nelle scuole dell'Accademia e del Liceo (Ath. IV 137f) al comico
Eubulo, che contrappone la moderazione alimentare degli Ateniesi alla voracità
dei Beoti (Ath. X, 417c = fr. 169 Kock) e, ancora più indietro nel tempo, al
comico Chionide, che sottolinea la semplicità degli alimenti - una focaccia d'or-
zo (physte), del formaggio, olive e porri - offerte dagli Ateniesi ai Dioscuri nel
Pritaneo in ricordo dell'antica agoghe (Ath., IV 137c = fr. S Kock) 12 •

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Ma particolarmente efficace appare la citazione, che Ateneo (IV, 139 a-b)


fa per caratterizzare l'alimentazione ateniese, di un pasto descritto nella Repubbli-
ca di Platone (Il, 372b-d), il cui menu sarebbe stato senz'altro qualificato come
tipico dei "rustici" da qualche autore medievale: le componenti essenziali, rappre-
sentate dalla ben nota focaccia d'orzo, la maza, e dal pane, artos, sono infatti
accompagnate da cibi ugualmente semplici, come le olive, il formaggio, le verdure
cotte - quali si suol cuocere en agrois, sottolinea il filosofo -, i pasticcini di
fichi, di ceci e di fave e, infine, i mirti e le ghiande 13•
Il contesto nel quale è inserita l'idilliaca descrizione platonica - il problema
della genesi della città, il cui movente principale è individuato dal filosofo nella
chreia, il bisogno 14 - spiega le caratteristiche di assoluta semplicità di questo
pasto, che risulta decisamente antitetico rispetto all"'abbuffata" di Matrone. Si
tratta dell'alimentazione della cosiddetta "città dei porci", e cioè di una comunità
limitata ai bisogni essenziali, la città "sana" che Platone contrappone a una polis
tryphosa: letti conviviali, profumi, unguenti, etere, manicaretti e raffinatezze di
ogni tipo caratterizzano i pasti di questa città "malata", nella quale la crescita
dei bisogni porta al sorgere del lusso e di condizioni di vita raffinata 15•
La descrizione dei pasti della polis tryphosa - un ambiente cittadino piutto-
sto articolato, con una divisione del lavoro e delle funzioni già sviluppata - ri-
chiama assai da vicino, come si può vedere, la prima caratterizzazione del regime
alimentare ateniese. Quale modello, invece, sta dietro l'alimentazione della "città
dei porci"? I cibi sono costituiti esclusivamente da semplici prodotti locali, legati
per lo più all'agricoltura e preparati senza l'intervento dei magheiroi; l'assenza
della carne e del pesce si riflette anche nella tecnologia alimentare, che è qui costi-
tuita solo dalla bollitura (hepsein), mentre manca quell'altra categoria del "cotto"
- assai diffusa, ad esempio, nell'alimentazione omerica - che è rappresentata
dall'arrosto (optan) 16 •
Nonostante i tratti indubbiamente idilliaci, tale pasto non ha niente di irreali-
stico: non fa altro che accentuare ed esasperare le caratteristiche di semplicità
e frugalità di un regime tipicamente rurale e autarchico, con componenti che ci
sono ben note anche per altre vie, e in particolare attraverso quella ricca fonte
di dati sull'alimentazione ateniese che è costituita dalle commedie di Aristofane 17 •
L'elemento più rappresentativo è senz'altro la maza, la focaccia d'orzo, cibo deci-
samente popolare ma non necessariamente grossolano, a seconda del tipo di orzo
impiegato e del grado di preparazione e di elaborazione: la maza impastata per
tutto il giorno che pretende lo schizzinoso scarabeo di Aristoph., Pax, v. 27, è
infatti ben diversa dalla maza otrere, preparata in fretta, che per il commensale
di Matrone costituiva non a caso l'antitesi negativa rispetto alle delicatezze dell'''ab-
buffata" (Ath., IV 136d) ts.
Indubbiamente più raffinato - compare, come abbiamo visto, anche nel pran-
zo descritto da Matrone - è l'altro prodotto cerealicolo, l'artos, il pane fatto
per lo più con farina di frumento, componente essenziale dell'alimentazione con-
tadina come di quella ricca 19 • Anche altri cibi del menu platonico sono ingredienti
fondamentali ben noti dell'alimentazione contadina: prodotti tipici dell'agricoltu-
ra ateniese, quali olivi e fichi; i legumi, la cosiddetta "carne del povero", stretta-
mente complementari ai cereali nella pratica del "maggese verde" Oa rotazione
tra le due culture); il formaggio, ricavato per lo più dal bestiame ovino; gli ortag-

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HOMO EDENS---------------------------

gi, coltivati nei kepoi, gli orti, che costituiscono una caratteristica importante del
paesaggio agrario, sia rurale che suburbano, dell'Attica 20 •
Ma anche l'aspetto che potrebbe apparire più utopistico nel quadro platonico,
e cioè il nutrimento a base di frutti selvatici, mirti e ghiande, trova un riscontro
nella realtà rurale ateniese, nella quale, come è stato fatto per altre società conta-
dine, del mondo romano o di quello medievale, è possibile individuare un consu-
mo non trascurabile di prodotti selvatici 21 : dalle stesse ghiande, preparate sul
fuoco in una scena tipicamente rurale della Pace (vv. 1137 ss.) alle pere selvatiche
(achrades), di cui si cibano sia personaggi di Aristofane (cfr. Ekkl., v. 355) che
Cnemone, il contadino misantropo di Menandro (Dysk., v. 101), e persino all'or-
tica, al cui consumo accenna ancora un passo di Aristofane (Cav., v. 422) 22 •
Quello della "città dei porci", insomma, non è altro che un pasto contadino,
in cui le tendenze alla semplicità e all'autarchia che sono tipiche di tale regime
vengono portate all'estremo, con l'esclusione di cibi, come la carne e il pesce,
che alla sfera produttiva rurale non sono direttamente legati. Ma questo modello
- ci preme qui sottolineare - viene utilizzato da Ateneo per caratterizzare ancora
una volta il consumo alimentare ateniese, sulla scia di una tradizione consolidata,
che si può riscontrare, come si è visto, già nel V secolo a.e., con il comico Chionide.
L'opposizione alimentare, presente nel passo platonico, tra la città "sana"
e la polis tryphosa si può dunque ritrovare anche nella caratterizzazione etnico-
gastronomica degli Ateniesi: nei Deipnosof,sti, abbiamo infatti constatato, è pos-
sibile individuare due tradizioni diverse e antitetiche sul regime in questione. Co-
me si spiega questa duplicità di caratterizzazione, che differenzia il caso ateniese
da quello degli altri popoli greci, etichettati, nella documentazione letteraria, in
maniera ben precisa e univoca dal punto di vista alimentare?
A prima vista, si sarebbe tentati di pensare, dietro suggestione delle vicende
napoletane analizzate dal Sereni, a una sorta di "rivoluzione gastronomica": co-
me i napoletani, dipinti quali "mangiafoglia" nelle fonti letterarie del XV e XVI
secolo, sono poi diventati proverbialmente "mangiamaccheroni" a partire dal XVII
secolo, cosi anche nel caso in questione le due differenti tradizioni potrebbero
riferirsi a due momenti distinti della storia alimentare ateniese 23 • Ma questa spie-
gazione, che pure, come vedremo, può probabilmente contenere una parte di veri-
tà, si rivela non del tutto adeguata a risolvere il nostro problema: nessuna sfasatu-
ra cronologica sembra infatti di poter individuare tra le due tradizioni che, al
contrario, risultano attestate anche da fonti pressappoco contemporanee (si consi-
derino Matrone ed Eubulo, entrambi del IV sec. a.C.).
È ben noto che un regime alimentare - e questo per il mondo antico è valido
in special modo - è in stretto rapporto con il quadro produttivo di una determi-
nata società 24 • Nel nostro caso, dunque, ci imbattiamo in un fatto piuttosto sin-
golare: l'organizzazione sociale in oggetto, quella ateniese, si trova ad avere -
senza alcuna apparente sfasatura cronologica - due "codici" alimentari distinti
e antitetici, che presupporrebbero, perciò, due strutture produttive completamente
differenti. La duplicità di caratterizzazione, allora, non può spiegarsi, a mio pare-
re, se non con la compresenza di due strutture produttive nella stessa organizza-
zione sociale.
In effetti, l'Attica di età classica presenta, nel panorama delle po/eis greche,
una situazione decisamente peculiare, che sembra rispondere perfettamente a un
modello di tal genere. È un dato di fatto risaputo che nel mondo greco, e in

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genere nel mondo antico, città e campagna costituiscono due entità strettamente
integrate tra loro. Nel caso della nostra regione, accanto a questo elemento, pur
sempre fondamentale, dell'integrazione, è possibile individuare anche aspetti di
antagonismo e di contrapposizione tra due realtà che appaiono sempre più diver-
se. A una chora rurale, di tipo tradizionale, arcaica e sostanzialmente autarchica,
si oppone infatti un centro urbano di dimensioni davvero anomale per gli standard
greci, sede di attività artigianali e commerciali - un'economia, quindi, più varia,
se non vogliamo dire più "moderna", - punto di arrivo, grazie all'importama
del suo porto, dei più svariati prodotti da ogni parte del Mediterraneo; un ambien-
te, inoltre, decisamente più aperto, dal lato culturale, a elementi di cambiamento
e di novità, tra cui anche quello assai significativo della tryphe 25 •
Questo distacco tra città e campagna si può riscontrare in vari momenti della
storia ateniese, soprattutto in concomitama con alcune trasformazioni di rilievo,
quali la crescita del centro urbano e il fonnarsi di un plethos cittadino composto
da artigiani e da salariati pubblici 26 • Vi è però una congiuntura ben precisa, mi
sembra, in cui si sviluppa anche un'ideologia alimentare tipicamente urbana, che
ai prodotti della campagna assegna un ruolo marginale rispetto ai cibi più raffinati
e costosi derivanti dalle importazioni: la proiezione della città verso il mare, con
la possibilità di ricavare il sostentamento dal commercio marittimo, e il diffonder-
si della tryphe si rivelano i fattori determinanti alla base del fenomeno in questione.
Cerchiamo allora di focalizzare il momento storico in cui la città arriva addi-
rittura a pensare di poter fare a meno della campagna, dalla quale tradizionalmen-
te dipende. Lo spunto ci è fo mito da un interessante passo, finora non sfruttato
in tal senso, dell'Athenaion politeia pseudosenofontea, Il, 7: grazie alla talasso-
crazia, sottolinea qui l'autore, «gli Ateniesi hanno escogitato nuovi tipi di ban-
chetti, avendo contatti con i più vari paesi. Quanto c'è di delizioso in Sicilia,
Italia, Cipro, Egitto, Libia, Ponto, Peloponneso e altrove, lo si trova raccolto
presso di loro, grazie al dominio del mare» 27 •
Siamo dunque nella seconda metà del V sec. a.C.: proprio in questo periodo,
in cui, non a caso, nasce una letteratura specialistica in campo gastronomico 21 ,
è possibile individuare, mi sembra, una svolta decisiva nella storia alimentare ate-
niese. Questa vera e propria "rivoluzione gastronomica" appare strettamente lega-
ta alla situazione eccezionale della nostra polis, a cui l'impero marittimo assicura
ora una straordinaria disponibilità di prodotti alimentari di importazione.
Viene molto spesso citata, quale testimoniama della centralità commerciale ate-
niese nel periodo in questione, l'efficace enumerazione, fatta dal comico Ermippo
(fr. 63 Kock = Ath. I, 27e-f), delle merci che arrivano da ogni parte ad Atene:
ai fini del nostro discorso è significativo il ruolo massiccio svolto qui dalle derrate
alimentari, che sono del tipo più svariato (pesce salato, carne bovina e suina, man-
dorle, datteri) e comprendono - è importante sottolinearlo - anche generi ben
noti alla produzione locale dell'Attica, come i cereali, il formaggio e addirittura
i fichi secchi (ischades), un frutto per cui la regione era sommamente rinomata 21 •
In una situazione del genere, in cui la polis può effettivamente essere sosten-
tata senza il contributo del suo entroterra agricolo, non appare allora utopistica
quella che si può considerare la forma estrema di rinuncia della città alla campa-
gna: il piano pericleo, alla vigilia della guerra del Peloponneso, di abbandonare
al nemico la chora, con le sue coltivazioni, e di essere completamente approvvigio-
nati dal mare, come se si vivesse su un'isola.

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È stato giustamente sottolineato come il progetto in questione, al di là del


suo carattere tattico contingente, rispondesse a una ben precisa scelta sul piano
sociale, culturale e politico, inserendosi in quella linea strategica di un'Atene proiet-
tata verso il mare che Pericle persegue sulla scia di Temistocle 30 • Ma questa scelta
- ci preme aggiungere - ha un significato non meno importante sul piano dell'i-
deologia alimentare, in quanto tende a svalutare l'apporto della campagna anche
dal punto di vista del sostentamento nutritivo a favore della nuova fonte di ap-
provvigionamento di cibo che è rappresentata dal mare.
A Pericle, dunque, sembra che si debba attribuire un ruolo non trascurabile
nella nostra "rivoluzione alimentare". Già una notizia di Plutarco, Per., XVI,
4, può essere indicativa di un diverso rapporto con la campagna e il tipo di ali-
mentazione, basato sull'autoconsumo, che ne è caratteristico: Pericle - è detto
nel passo - vendeva tutta in una volta la produzione annuale dei suoi poderi
e, per procurarsi il necessario, si serviva del mercato, l'agora; tale era - sottoli-
nea il biografo - il suo sistema di vita e di alimentazione (diokei ton bion kai
ta peri ten diaitan) 31 •
Che tale sistema avesse anche un risvolto alimentare si può dunque ricavare,
a mio parere, dalla nostra stessa fonte: decisamente inesatta mi sembra infatti
qui la traduzione abituale di diaita con "genere di vita", che ne farebbe una
ripetizione ridondante del precedente bios, dal quale è distinto anche dalla variatio
di costruzione 32 •
Ma è soprattutto nei discorsi attribuiti a Pericle da Tucidide che si può indivi-
duare questa netta svalutazione della campagna e della sua importanza per il so-
stentamento della città 33 • Nel primo discorso (Thuc., I, 140-144) lo statista, che
stabilisce una contrapposizione tra i Peloponnesiaci, connotati essenzialmente co-
me dei contadini, autourgoi o gheorgoi (I, 141, 3 e 142, 7), e gli Ateniesi, i quali,
evidentemente, per Pericle non sono gheorgoi, invita i suoi compatrioti a vivere
come degli isolani abbandonando terra e case (ghe kai oikia1), che suggerisce addi-
rittura di distruggere, pur consapevole del carattere paradossale della proposta
(I, 143, 5) 34 •
Cosa mangeranno, ci chiediamo, gli abitanti di questa città-isola, che rinunzia
alla sua agricoltura? Ovviamente cibi di importazione: la potenza della città -
sottolinea infatti Pericle nella seconda orazione, il famoso epitafio per i caduti
di guerra (Thuc., II, 35-46) - fa sì che vi vengano importati i prodotti di tutti
i paesi, di cui gli Ateniesi possono quindi godere esattamente come se fossero
prodotti locali (Il, 38, 2). La campagna diventa dunque qualcosa di trascurabile
ai fini del sostentamento: terra e case - sostiene Pericle nel terzo discorso (Thuc.,
II, 60-64) - devono essere considerate un kepion (Il, 62, 3), un "giardinetto",
qualcosa cioè di ornamentale, oppure forse anche un "orticello" - secondo l'al-
tro significato del termine kepos -, ossia un elemento produttivo solo accessorio
e marginale rispetto alle importazioni, come sono appunto i kepoi nei confronti
degli agroi 35 •
L'Atene che emerge dai discorsi di Pericle cerca dunque di abbandonare la
sua tradizionale base produttiva, la campagna, a favore della nuova fonte di so-
stentamento rappresentata dal mercato e dalle importazioni marittime. Ma una
società ricca, urbanizzata, estremamente aperta verso l'esterno finisce per diventa-
re un terreno quanto mai favorevole alla diffusione di quella sorta di malattia
sociale che nel mondo greco è costituita dalla tryphe, con le radicali trasf ormazio-

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ni che questa comporta a livello alimentare 36 • Non appare casuale, allora, che
proprio nel periodo in questione il problema della tryphe, risulti quanto mai attua-
le ad Atene: il rilievo dato da Tucidide, nell'archaiologhia (I, 6, 3), alla tryphe
ateniese del passato, o la polemica del Pseudosenofonte (I, 11), secondo cui ad
Atene anche il comportamento degli schiavi è caratterizzato da tryphe, sono indizi
significativi, come è stato sottolineato, dell'importanza di quel tema nel clima
culturale dell'epoca 37• È soprattutto da Aristofane, poi, che si può ricavare un
quadro esauriente dei nuovi costumi dilaganti in città, attraverso i frequenti riferi-
menti del commediografo a quella categoria assai diffusa - in particolar modo,
sembra, tra i giovani - di Ateniesi tryphontes: sfaccendati, ricercati nell'abbiglia-
mento, con i capelli lunghi (un segno, allora, di raffinatezza invece che di trascu-
ratezza), i corpi ben curati con unguenti e profumi, costoro rappresentano il pen-
dant dei contadini, ai quali vanno senz'altro le simpatie del nostro autore 38 •
Ma questi segni distintivi - ci preme qui sottolineare - sono accompagnati
anche da un particolare tipo di alimentazione, che risulta decisamente raffinato.
Il giovane che, educato in maniera moderna, conosce ben poco a eccezione della
cucina siracusana, dei banchetti sibaritici e del vino di Chio (Daital., fr. 216 Kock
= 22.5 Kassel-Austin) 39 , o gli intellettuali nullafacenti, con i capelli lunghi, che
si cibano di cefali e di tordi (Nub., vv. 331-339), oppure ancora lo zazzeruto
Aminia, che mangia cibi raffinati alla tavola del ricco Leogora, noto per il suo
allevamento di fagiani (Vesp., vv. 466 ss., 126.5ss.; Nub., v. 109) 40 , sono esempi
efficaci del ruolo fondamentale che, anche nel nostro caso, ha l'aspetto alimentare
nel fenomeno della tryphe.
Dal ricco quadro sociale fornito dall'opera di Aristofane si può enucleare
con chiarezza, mi sembra, questa vera e propria "rivoluzione gastronomica" che
è strettamente legata ai nuovi comportamenti collettivi. Prendiamo, ad esempio,
le Vespe, una commedia analizzata sotto svariati aspetti, ma curiosamente trascu-
rata come testimonianza in tal senso: la metamorfosi del protagonista, Filocleone,
che, da uomo di austeri costumi, non amante, come egli afferma, di cibi raffinati
quali sogliole e anguille (v. .510), si trasforma in uno sfrenato banchettante, dan-
dosi, come sottolinea il coro (v. 14.5.5),al lusso e alla mollezza (epito tryphon
kai malakon), costituisce appunto una rappresentazione significativa, a mio pare-
re, del radicale cambiamento che la tryphe apporta nelle abitudini alimentari 41 •
Altrettanto indicativo credo che sia il ricorrere, nel nostro autore, del motivo
dell'alimentazione semplice e frugale del passato, che viene spesso a costituire
il termine di confronto delle nuove raffinate scelte gastronomiche. Certo, l'idealiz-
zazione del buon tempo antico, in tutti i suoi aspetti, è anche un topos letterario
di grande diffusione: ma l'impiego di tale motivo proprio nel nostro contesto
storico, che è caratterizzato, come si è visto, da importanti trasformazioni nel
regime alimentare, mi sembra che difficilmente possa essere casuale.
Piuttosto illuminante si rivela poi questo confronto tra passato e presente
se andiamo a esaminare da quali cibi era costituita l'alimentazione antica vagheg-
giata dal commediografo. Nelle Nuvole, vv. 981 ss., la descrizione dell'archaia
paideusis, che rappresenta uno dei temi centrali dell'opera, mette in luce anche
la semplicità dei pasti del passato: «Nei banchetti non era conveniente arraffare
la testa del ravanello, né sottrarre ai vecchi l'aneto o il sedano, né fare gli ingordi»
(trad. di G. Mastromarco).
Nelle Ecclesiazuse, vv. 304 ss. - in un contesto nel quale si può individuare

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una netta contrapposizione polemica dei contadini ai cittadini 42 -, a essere va-


gheggiata è l'assemblea popolare del buon tempo antico, simboleggiato dalla figu-
ra di Mironide: allora non si pretendeva di essere pagati per amministrare la città,
e ognuno portava con sé all'ekklesia un modesto "spuntino", costituito da bevan-
de, pane secco, cipolle e olive.
Per quanto idealizzata, l'immagine dell'antica alimentazione rivela quindi una
caratterizzazione ben precisa. La natura dei cibi, tutti vegetali, la loro estrema
semplicità e umiltà - si pensi che "mangiaravanelli", come apprendiamo dal
Sereni, era un pittoresco epiteto per sottolineare la povertà dell'alimentazione de-
gli Spagnoli 43 -, l'elemento dell'odore acuto (è il caso della cipolla), denotano
senz'altro un regime che, alla pari del menu platonico della Repubblica, si confi-
gura come tipicamente rurale 44 •
Agli occhi dei contemporanei, dunque, le nuove scelte gastronomiche contras-
segnate dalla tryphe risultano decisamente lontane da quel modello alimentare con-
tadino che doveva essere prevalente nell'Attica fondamentalmente rurale delle epoche
più antiche 45 : l'antitesi tra città e campagna si stabilisce cosi sempre più netta
anche a livello alimentare. Particolarmente significativa in proposito appare la
situazione da cui prendono le mosse le Nuvole di Aristofane, un matrimonio "mi-
sto" tra un agroikos, un campagnolo, e una cittadina tryphosa: anche sul piano
alimentare, infatti, è evidente la contrapposizione tra lo stile di vita del contadino,
abituato alla frugalità, al risparmio, a un nutrimento a base di semplici prodotti
della campagna (mosto e fichi secchi) e quello della moglie, amante delle raffina-
tezze, degli sprechi e, tra i cibi, delle ghiottonerie, laphygmos (vv. 43-52) 46 •
È la radicale diversità di quadro produttivo e di sistema di approvvigiona-
mento, del resto, a creare un netto distacco tra i due regimi alimentari. Decisa-
mente raffinata e variata, con un'elevata incidenza della carne e del pesce, e,
per giunta, del tipo più ricercato - pesci come tonni e anguille, carni prelibate
quali quelle di manzo, di lepre e di altra selvaggina -, la nuova alimentazione
cittadina è strettamente legata alle importazioni e alla ricca gamma di prodotti
di cui Atene dispone nel periodo in questione 47 •
A un regime autarchico e caratterizzato dall'autoconsumo qual è quello con-
tadino tale varietà risulta invece preclusa dalla situazione ambientale e produttiva
della nostra regione. Il ruolo piuttosto trascurabile della pesca locale - il pesce,
a eccezione delle modeste acciughe del Falero, pare per lo più un prodotto di
importazione - e la scarsa vocazione del paesaggio agrario, segnato da un massic-
cio fenomeno di disboscamento, a un'economia di tipo silvo-pastorale, con una
conseguente limitazione delle attività della caccia e dell'allevamento, sono gli ele-
menti determinanti, mi sembra, che fanno della carne e del pesce generi poco
familiari ai ceti rurali 48 • Ci sono, è vero, nelle commedie di Aristofane alcune
situazioni in cui, ai tradizionali prodotti della campagna si aggiungono, sulle men-
se dei contadini, pietanze prelibate quali carni di lepri o di uccelli. Ma tali occasio-
ni di abbondanza - è importante, a mio parere, sottolinearlo - si configurano
chiaramente come circostanze festive: rappresentano dunque quei momenti ecce-
zionali in cui, come è noto per varie società, l'alimentazione contadina abbandona
la sua fondamentale semplicità e il pasto assume anche una funzione ostentatoria,
abitualmente estranea ai regimi rurali 49 •
Risultano ora chiari, mi sembra, i motivi della duplice caratterizzazione etnico-
gastronomica degli Ateniesi: a un'alimentazione, di stampo antico, legata alla cam-

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pagna e ai suoi prodotti, si affianca, nella seconda metà del V secolo, un regime
prettamente urbano, assai più raffinato e variato, che si basa sulle importazioni.
Ma in questo stesso periodo si viene a creare, come è ben noto, una situazione
nuova anche per i ceti rurali. La devastazione della chora attica da parte degli
eserciti spartani che, come del resto prevedeva il piano di Pericle, rappresenta
uno dei leit-motiv della guerra del Peloponneso, costringe gli abitanti della campa-
gna a lunghi periodi di forzato inurbamento all'interno delle Lunghe Mura: anche
i contadini vengono cosi a trovarsi nella città-isola periclea, nella quale l'approvvi-
gionamento alimentare è completamente basato sul mercato. Diventa perciò natu-
rale pensare che anche un regime contrassegnato dai ritmi lenti della lunga durata
come quello rurale non esca del tutto immune da questa congiuntura di radicali
cambiamenti alimentari.
Certo, in una regione, quale l'Attica, caratterizzata da una notevole diversifi-
cazione di culture tra le varie zone, anche in precedenza doveva non essere ecce-
zionale l'acquisto al mercato di certi prodotti, come la stessa farina: il contadino
che in Aristoph., Ekkl., vv. 817 ss., dopo aver venduto l'uva, va ad acquistare
la farina d'orzo, alphita, può essere una spia dell'assenza o della marginalità,
in certi distretti agricoli, delle coltivazioni di cereali rispetto alle altre culture tipi-
che del paese 50 • Quello che risulta senz'altro nuovo, nel nostro caso, è l'immer-
sione totale dei contadini in un sistema di approvvigionamento completamente
diverso, che alla monotonia e ai lenti rituali di preparazione del loro regime ali-
mentare oppone una gamma molto più ampia e cibi spesso già cotti 51 •
L'impatto con questo nuovo tipo di organizzazione economica non è certo
indolore. li monologo di apertura degli Acarnesi, nel quale Diceopoli esprime
rimpianto per il villaggio e avversione per la città e il sistema di compravendita
che ne è peculiare, costituisce un esempio significativo, come è stato spesso sottoli-
neato, della scarsa familiarità e della diffidenza dei contadini attici nei confronti
di un mondo, quello del mercato, che appare dominato dall'astuzia, dall'inganno,
dalle losche pratiche di personaggi avidi e truffaldini, quali sono i kapeloi che
pullulano nelle commedie di Aristofane 52 •
Ma se la campagna, come ricorda con nostalgia Diceopoli (v. 36), ha il van-
taggio di produrre tutto da sé 53 , il mercato, per il vitto contadino, non sembra
privo di effetti benefici, tra cui soprattutto quello di una varietà decisamente mag-
giore. Proprio questo tipico campagnolo inurbato che è il protagonita degli Acar-
nesi fornisce, a ben guardare, un modello efficace dei cambiamenti che l'impatto
con il mercato determina nell'alimentazione dei ceti rurali. Ci si è spesso sofferma-
ti, come abbiamo detto, sul soliloquio iniziale e sul suo significato di testimonian-
za della mentalità chiusa e autarchica dell'ambiente contadino.
Si è curiosamente trascurata, però, l'evoluzione successiva che il personaggio
subisce nella commedia, una radicale trasformazione delle abitudini alimentari che
io definirei una vera e propria "rivincita del mercato" 54 : il nemico della città
e della sua organizzazione commerciale, colui che non sopporta nemmeno di senti-
re la parola "compra", finisce per dar vita, con i cibi ricavati dal piccolo mercati-
no privato che ha allestito, a un banchetto davvero ricco e prelibato, comportan-
dosi, come sottolinea il coro (vv. 1016-1017), da buongustaio raffinato (kompsos
kai deipnetikos). In questa seconda fase della commedia, dunque, non c'è più
rimpianto per la campagna: l'abbondanza di alimenti assicurata dal meccanismo
del mercato viene a sostituire quella situazione di contatto diretto con i mezzi

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HOMO EDENS ----------------------------

di produzione in cui Diceopoli vedeva la superiorità della condizione rurale sulla


città ss.
Se la parabola del protagonista degli Acarnesisi conclude, a mio parere, con
una scoperta dei vantaggi del mercato, e quindi con una rivalutazione di questo
istituto, un esito opposto - il ritorno in campagna - presenta l'altra commedia
che mette in scena un tipico contadino inurbato, vale a dire la Pace. Anche qui,
il vitto contadino non appare estraneo all'influsso del nuovo sistema di approvvi-
gionamento: ne è un segno evidente, mi sembra, la familiarità di Trigco con un
alimento prettamente di importazione quale il pesce salato, tarichos(v. 563), assai
popolare tra l'ochlos urbano per la sua proverbiale economicità 56 •
Ma, nonostante questa maggiore varietà di cibi assicurata dal mercato cittadi-
no, il nostro campagnolo inurbato rimpiange il suo ambiente di origine e il regime
che ne è caratteristico. II vagheggiamento della palaia diaita, a base di fichi, di
olive, di torte di frutta secca, di mirti (vv. 571 ss.), viene dunque a confermare
in maniera significativa, al di là degli accenti indubbiamente idilliaci, come il tra-
sferimento in città si risolva, per i contadini, anche in un'alimentazione decisa-
mente diversa da quella precedente della campagna 57 •
Tra queste due alternative, la scoperta dei vantaggi del mercato e il ritorno
alla palaia diaita, è certamente la prima che rispecchia meglio l'evoluzione succes-
siva riscontrabile nell'Attica del IV secolo a.e. In un'epoca di massiccia urbaniz-
zazione, in cui gran parte degli abitanti (forse addirittura i 2/3) risiedono in città,
pur possedendo spesso poderi nella chora, e sembra abbastanza netta la dipenden-
za, anche di coloro che vivono in campagna, da un sistema di approvvigionamen-
to alimentare basato sul mercato, è naturale che la figura del contadino chiuso
e autarchico, quale è rappresentata efficacemente dal Dyskolos di Menandro, ap-
paia ormai una rarità e un'anomalia 58 •
Persiste, come abbiamo visto, il modello di un'alimentazione rurale semplice
e frugale, basata esclusivamente sui prodotti della campagna. Ma, accanto ai tra-
dizionali e inconfondibili sapori che le sono peculiari, questa alimentazione ne
ha ora anche un altro; il sapore, anch'esso inconfondibile, del passato.

NOTE

1) li saggio di Sereni, apparso per la prima vol- 3) Cfr. GoEBBL, op. cii., pp. 13 ss. Sulla varietà
ta in "Cronache meridionali" del 1958, è ora di un regime alimentare espressione di pro-
ripubblicato nel volume Terra nuova e buoi sperità e di raffinatezza cfr. LoNoo, La sto-
rossi, Torino, 1981, pp. 292-371. ria, la terra, gli uomini. Saggi sulla civiltà gre-
2) li lavoro a cui ci si riferisce è M. GoBBEL, ca, Venezia, 1987, pp. 68 ss. Sulla tryphe cfr.,
Ethnika, Vratislaviae, 1915. Sull'importanza tra l'altro, U. Cozzou, La tryphe nella intu•
delle abitudini alimentari nella descrizione et- prelazione delle crisipolitiche, in AA. VV., Tra
nografica greca cfr. G. NENCI, Tryphe eco- Grecia e Roma: temi antichi e metodologie
lonizzazione, in Forme di contatto e processi moderne, Roma 1980, pp. 133-145, e soprat-
di trasformazione nelle società antiche. Atti tutto NBNCI, Tryphe e coioniv:,azione, cit., pp.
dei convegno di Cortona (24-30 maggio1981), 1019-1031.
Pisa-Roma 1983, pp. 1022 ss., e o. LONOO, 4) SuU'attikon deipnon di Matrone, che è ripor-
l mangiatori di pesci. Regime alimentare e tato per intero da Ath., IV, 134d-137c, cfr.,
quadro culturale, in "Materiali e discussioni dopo l'edizione di P. BRANDT, Parodorum epi-
per l'analisi dei testi classici", 16, 1986. corum graecorum et Archestrati reliquiae,Lip-

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----------------------------- LUIGI GALLO

di un re1DDe alimentare espressione di pro- pesce (cfr. Stockle, s.v. Fischereigewerbe,in


sperità e di raffmateua cfr. LoNoo, La sto- RE, Suppi. IV, 1924, p. 458). .
ria. la terra, gli uomini. Saggi sulla civiltà gre- 7) Sull'elemento della voracità, che caratterizza
ca, Venezia, 1987, pp. 68 ss. Sulla tryphecfr., Eracle cosi come altri personaggi al di fuori
tra l'altro, U. Cozzou, La tryphe nella inter- del comune quali gli atleti, cfr. LoNoo, La
pmazione delle crisi politiche, in AA. VV., Tra storia, la terra, gli uomini, cit., pp. 64-65.
Grecia e Roma: temi antichi e metodologie 8) L'attività della pesca in Attica meriterebbe sen-
moderne,Roma 1980, pp. 133-145, e soprat• z'altro un'analisipiù approfondita. A me sesn-
tutto NBNCI,Tryphe e coloniUPf,ione, cit., pp. bra, ad ogni modo, che nella nostra reaione
1019-1031. tale attività abbia un ruolo piuttosto trascu-
4) Sull'attikon deipnon di Matrone, che è ripor- rabile, e che perciò il pesce, di cui gli Atenie-
tato per intero da Ath., IV, 134d-137c, cfr., si sono notoriamente grandi consumatori, rap-
dopo I' edmone di p. BRANDT. Parodorum epi- presenti soprattutto un articolo di importa-
conungraecomm et Ardtestrati reliquiae,Lip- zione. Gli indizi in tal senso sono infatti
siae, 1888, pp. 60 ss., quella recente di H. numerosi. Può essere significativa, ad es., la
L1.0n>-JoNESe P. PAB.SONS in Supplementum prevalenza che in tale consumo, come è par-
He/lenisticum, Berolini et Novi Eboraci 1983, ticolarmente evidente nelle commedie di Ari-
pp. 259 ss., e il contributo di E. DEGANI, As- stofane, sembra avere il pescesalato (tarichos),
saggi di poesia gastronomica greca, in "Qua- che non è un prodotto locale, ma costituisce
derni dcli' AICC di Foggia", 2-3, 1982-3, pp. oggetto di importazione da varie parti del Me-
106 ss. Sulla posizione di Matrone nell'ambi- diterraneo (cfr. STOclW!, op. cii., p. 457; F.
to della poesia gastronomica greca cfr. DE- GscHNITZEll, Storia sociale della Grecia, trad.
CIANI, Appunti di poesia gastronomica greca, it., Bologna, 1988, p. 88): nell'excursus di
in AA. VV., Prosimetrum e spoudogeloion, Atb., III, I 16a-c sui toriche, non è casuale
Genova, 1982, pp. 36 ss. la mancanzadell'Attica tra le regioni di pro-
5) Sulla rinomanza dei pani ateniesi cfr. anche venienza dei pesci in questione. Piuttosto in-
Ath., III, l 12c-e. teressante, ai fini del nostro discorso, risulta
6) Sulla predilezione degli Ateniesi per le anguille inoltre la classificazione che AlusroT., Poi.,
beotiche si vedano i numerosi riferimenti di IV, 1291b 20 ss., fa dei vari tipi di demos
Aristofane: Ach., vv. 880 ss., 962; Lys., vv. peri len thalattan: gli Ateniesi sono qui ricor-
36, 702; Pax, v. 1005. Particolarmente signi- dati come esempio del genere trierikon e non
ficativa del carattere ereditario del consumo di quello alieutikon, rappresentato, invece, da
di aquille risulta la situazione a cui si riferi- Taranto e da Bisanzio. In Attica, del resto,
sce un frammento del comico Alessi (fr. II, l'agricoltura rimaneva l'attività produttiva pre-
549 Kock == Ath., VI, 227d-e): il penes sor- valente anche nelle zone costiere: cfr. E. All-
preso a comprare anguille è passibile addittu- lUOONI, Elementi per una ricostna;ione del pae-
ra di arresto, per la supposizione che tragga saggio in Attica in epoca classica. Parte Il,
da attività illecite i mezzi necessari a una spe- in "Nuova rivista storica", 53, 1969, pp. 296
sa cosi elevata. La ricca varietà terminologica ss.
che, come mostra il poemetto di Matrone, ca- 9) Sul fenomeno per cui proprio i cibi più pre-
ratterizza il settore ittico nel mondo greco, giati e valorizzati sono spesso meno nutrienti
mi sembra un elemento non trascurabile a sfa- di quelli tradizionali cfr. R. VALBIU, s. v. Ali•
vore della tesi avam.ata di recente da T. W. mentazione, in Enciclopedia Einaudi, 1, To-
GALLANT(A Fisherman 's Tale: An Analyses rino, 1977, p, 349.
of the Potential Productivity oj Fishing in the 10) Sull'Alto Medioevo cfr. M. MoNTANAlll, L 'a•
Ancient World, Gand 1985), secondo cui il /imentazione contadina nell'alto Medioevo,
ruolo del pescenell'alimentazione greca va no- Napoli, 1979, pp. 457 ss.; sulle comunità tro-
tevolmente ridimensionato: come è stato op- briandesi cfr. B. MALINoWKI,Argonauti del
portunamente sottolineato, la ricchezza lessi- Pacifico occidentale, trad. it., Roma, 1973,
cale in un certo ambito di prodotti è un indi- pp. 177 55.
ce significativo della loro importanza in una 11) Sulla tryphe come fenomeno spessolegato al-
determinata cultura (cfr. NBNCI,Proposte di l'urbani.u.azione cfr. NBNCI, Tryphe e colo-
vocabolari tecnici greci, in Atti del Convegno nizzazione, cit., p. 1028. Sulla figura del ma-
navonale sui lessici tecnici delle arti e dei me- gheiros si veda il dettagliato lavoro (non sem-
stieri, Cortona 28-30 maggio 1979, Pisa, 1979, pre però condivisibile, a mio parere, per
p. 174). Non va dimenticato, del resto, che quanto riguarda gli aspetti più propriamente
il termine opson, che originariamente designa- alimentari) di G. BERTHIAUME, Les roles du
va qualunque alimento diverso dai cereali, è mageiros. Etude sur la boucherie, la cuisine
passato poi a indicare in maniera specifica il et le sacrijice dans la Grèce ancienne, Leiden

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HOMO EDENS------------------------------

1982: come mette in rilievo lo studioso (op. l'arte culinaria, op.,opoiia,è indicativoun pas-
cit., p. 73), la presenza di magheiroi-cuochi so del Gorgia, 462d e ss., su cui cfr. ora J.
nelle case è strettamente connessa allo svilup- ANDllEADIS, Les ma/qiCf!S de la cuisiM dans
po del lusso privato. Che tale presenm abbia le "Gorgias" de Platon, in "Quaderni di sto-
un chiaro significato di raffinatezza e di lus- ria", 26, 1987, pp. 141 ss.
so è efficacemente mostrato da quanto è det- 16) Sul rapporto tra bollito e arrostito, che rap-
to in Plut. Aie., XXIII, 3, ove l'impiego del presenta uno stadio meno civilizzato rispetto
magheirosè equiparato ad altre manifestazioni al primo, cfr. C. Lévr-STRAu:u, L'origine des
tipiche della tryphe, quali la familiarità con maniff-es de table, Paris, 1968, pp. 398 ss.,
i profumi e l'uso di tessuti milesii. e, in particolare per il mondo antico, M. DII-
12) Sulla physte, un tipo di focaccia di grani d'or- Tll!NNE, I giardini di Adone, trad. it., Tori-
zo tritati in maniera non molto fine, che co- no, 1975, pp. 144 ss. Sulla tecnica e gli uten-
stituisce quindi un prodotto decisamente sem- sili adoperati dalla cucina greca in questi due
plice in quanto poco elaborato, cfr. anche diversi tipi di cottura cfr. l'importante artico-
Ath., lii, I 14f. lo di B. A. SPAll'.BS, The Greek Kitchen, in
13) Sulla contrapposizione qualitativa, tipica del "Joumal of Hellenic Studies", 82, 1962, pp.
tardo Medioevo, tra un'alimentazione gros- 129 55. Che l'alimentazione degli eroi omerici
solana dei "rustici", costituita quasi esclusi- fosse costituita esclusivamente da carni arro-
vamente da cibi vegetali, ed una raffinata dei stite è sottolineato dallo stesso Platone in un
"signori", che le fonti dell'epoca sottolinea- altro passo della Repubblica, lii, 404b-c: tale
no ampiamente, cfr. G. P1cc1NNI, Note sul- tipo di tecnologia alimentare - osserva qui
l'alimentazione medievale, in "Studi storici", il filosofo - è infatti il più adatto alle esi-
23, 1982, pp. 612 ss.; MoNTANAIU,Campa- genze dei soldati, per i quali è più facile ado-
gne medievali. Strutture produttive, rapporti perare il fuoco che portare in giro dei reci-
di lavoro, sistemi alimentari, Torino, 1984, pienti, necessari per la cottura.
pp. 204 ss. 17) L'importanza dei fatti alimentari nelle com-
14) Sul problema cfr. l'importante lavoro di G. medie di Aristofane - che, come si vedrà,
CAMBIANO, Platone e le tecniche,Torino, 1971, forniscono gran parte della documentazione
pp. 172 ss., il quale sottolinea che la città ipo- da me utilizzata in questo contributo - è ov-
tizzata qui da Platone non costituisce un an- viamente legata alla prerogativa, che ba l'o-
tecedente storico, bensi un modello logico- pera del nostro autore, di costituire un osser-
normativo. Su questa trattazione platonica del- vatorio privilegiato della realtà economica e
la genesi della città cfr. anche le osservazioni sociale del suo tempo: su questo carattere della
di M. VBorm, li pensiero economico greco, testimonianm aristofanea risultano ancora va-
in Storia delle idee politiche, economiche e lide, mi sembra, le osservazioni di V. E.eJtsN-
sociali diretta da L. Firpo, Torino, 1982, I, BBllO, L'Atene di Arlstofan~, trad. it., Fucn-
pp. 591 s. ze, 1957, pp. Il :u. e 5I ss.
I 5) La contrapposizione platonica tra la città "sa- 18) Sulla maza cfr. il recente lavoro di M. C.
na" e quella "malata" non implica però che AwoUR.BTn,Le pain et l'huile dans la Grèa
il modello ideale del filosofo sia costituito, antique, Paris, 1986, pp. 124 ss., importante
come per i Cinici, da un tipo di società ele- soprattutto per quanto riguarda le tecniche di
mentaree primitiva. Sulla posizione platoni- preparazione dei cibi, ma non privo di inte-
ca, quale si può desumeredal passo in que- resse anche per le utili osservazioni sul con-
stione, verso il problema del primitivismo cul- sumo alimentare dei prodotti in questione,
turale, cfr. A. LoVEJoY,G. BoAS,Prlmitivism nonché per la raccolta delle testimoniame an-
and Related ldeas in Antiquity, Baltimore, tiche in proposito. Parlando della maza,la
1935, pp. 155-156; L. EDBI.STEIN, L'idea di studiosa francese rifiuta giustamente l'opinione
progresso nell'antichittl classica, trad. it., Bo- tradizionale di uno status vile dell'orzo nel-
logna, 1987, p. 126: CAMBIANO, op. cit., pp. 1'Atene del V scc., sottolineando la necessità
202-203, secondo cui si può qui riscontrare di interpretare in maniera diversa i testi anti-
il riferimento a idee democritee, piuttosto che chi (in particolare alcuni passi di Aristofane)
a quelle dei Cinici. Altrettanto errato sarebbe solitamente addotti in tal senso, come avevo
dedurre dal nostro passo un'adesione al vege- già sostenuto nell'articolo Alimentazione e
tarianesimo, dottrina che, in realtà, non sem- classi sociali: una nota su ono e frumento
bra di poter individuare nell'ideologia alimen- in Grecia, in "Opus", 2, 1983, pp . .U9-472.
tare di Platone: in proposito si veda il fonda- 19) Sull'artos, in particolare sulle tecniche di pre-
mentale volume di J. HAUSLBJTER,Der parazione, cfr. AwoUllErn, op. cit., pp. 127
Vegetarlsmus in der Antike, Berlin, 1935, pp. ss. Si tratta di un prodotto privo di quella
194 55. Sull'atteggiamento di Platone verso connotazione prettamente siporile e cittadi-

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na che il pane di frumento usume in alcune il Montanari: cfr., ad es., L'alimentazione ron-
epoche, come, ad es., nel tardo Medioevo, tadina, cit., pp. 11 ss. Per il mondo antico
allorché il pane si contrappODe, quw alimento cfr. alcune opportune osservazioni di metodo
cittadino, alla polenta mangiata dai contadi- in LoNoo, La storia, la terra, gli uomini, cit.,
ni (cfr. MoNTANilI, Campagne medievali,cit., pp. 65 ss., e in C. AlaoLO, Per uno studio
p. 204). L'esempio del mondo greco rivela dell'alimentazione de/J'Etruria e di Roma ar-
dunque infondata l'affermazione generalizzan- caica, in AA.VV., L'alimentazione del mon-
te riscontrabile in J. André, secondo cui nel- do antico. Gli Etruschi, Roma, 1987, p. 9.
la storia dell'alimentazione il pane è per lo 25) Sul problema della conflittualità tra città e
più un cibo per ricchi (L 'alimentation et la campagna in Attica cfr. alcuni spunti In V.
cuisine à Rome, Paris, 19812, p. 64, ove vie- Emu!NBERO, op. cit., pp. 122 ss.; un'analisi
ne citata in proposito la famosa Histoin de più approfondita è ora offerta da D. Mum,
l'a/Jmentation "'rétale del Maurizio). L'urbanesimo e la situazione delle campagne
20) Sul paesaggio agrario e sui principali prodot- nella Grecia classica, in AA.VV., Storia e ci-
ti dell'Attica antica si vedano i due impor- viltà dei Greci, 6, Milano, 1979, pp. 524 ss.
tanti contributi di E. All.looNJ, Elementi per Cfr. anche G. Boom GKluoNJ, Comunità e
"""ricostruzione del paesaggio in Attico nel- solitudine. Tensioni sodali nei rapporti fro cit-
/'t!pOCtl classica. Parte I, in "Nuova rivista tà e campagna nell'Atene del quinto e del
storica", 51, 1967, pp. U,7 ss. e parte Il, cit., quartosecolo a.e., in "Studi classici e orien-
pp. U,5 ss. Come si ricava dal dettagliato esa- tali", 32, 1982, pp. 59 ss. Sugli aspetti cultu-
me delle varie zone dell'Attica che l'autore rali della contrapposizione tra gli abitanti della
effettua, accanto alle coltivazioni di cereali, città e quelli della campagna cfr. K. J. Do-
olivi, viti e fichi, un elemento qualificante del VB&, Greek Popular Morality in the nme of
paesaggio agrario della nostra regione era co- Plato and Aristotle, Oxford, 1984, pp. 112
stituito dagli orti, i kepoi, presenti sia nei di- ss. Sull'importanza dell'autarkeia nell'agricol-
stretti rurali che in quelli suburbani, come il tura attica cfr. M. H. JAMIISON, Agricultun
demo di Lcciade, con una frequenza che ri- and Slavery in Classica/ Athens, in "Classi-
chiama le osservazionidi Montanari sulla stret• cal Joumal", 73, 1977-8, pp. 129 ss. Sul ca-
ta connessione fra orto e habitat umano nel- rattere anomalo, nel mondo greco, di un cen-
1'ltalia medievale (L'alimentazione contadina tro urbano cosi popoloso quale risulta essere
cit., pp. 22 ss.). Per quanto riguarda i fichi, Atene rinvio alle osservazioni da me fatte in
vanto proverbiale dell'Attica, si può ricorda- Alimentazione e dt!mogrqfia della Grecia an-
re che lo stesso Platone è definito philosykos tica. Rittrche, Salerno, 1984, p. 79 e 125.
in Ath., VII, 276f. Sulla pratica del "magge- Scarsamente accettabile mi sembra la defini-
se verde" cfr. A. JAJU>é,Les céréales dans zione di D. LANZA(Lo spettatore sulla SCffla,
l'antiquité grecque, Paris, 1925, pp. 85 ss. in AA. VV ., L'ideologia della cittd, Napoli,
21) Per il mondo romano cfr. J. M. FltAYN, Wild 1977, p. 69), di un carattere semirurale della
and Cultivated Plants: A Note on the Pea- popolazione ateniese urbana nel V sec. a.e.,
Stllll Economy of Roman ltaly, in "Journal per la presenza di orti anche nelle case citta-
of Roman Studies", 65, 1975, pp. 32-39; per dine: come nella situazione medievale descrit-
il Medioevo cfr. MONTANilI, L 'alilMntado- ta dal Montanari (L'alimentazione rontodina,
ne contadina, cit., pp. 301 ss. cit., pp. 22 ss.), anche in Attica l'orto non
22) U consumo di ortiche, è detto nel passo in ha una connotazione prettamente rurale, ma
questione, avviene prima dell'arrivo delle ron- costituisce un elemento integrante dell'insedia·
dini, vale a dire dell'inizio della primavera, mento abitativo, sia urbano che di campagna.
in quanto in questa stagione tali piante met• 'U,) Cfr. Musn, L'urbanesimo cit., pp. 533 ss.
tono le spine. Sul consumo di ortiche nel mon- 27) Riporto qui la traduzione di L. CANFORA(La
do greco cfr. anche Ath., li, 61-c, che, citan- democraziacome violenza, Palermo, 1982, pp.
do il medico Diocle di Cariato, enumera al- 25-26), che rende in maniera appropriata, a
cune piante selvatiche che è poaiile cuocere. mio parere, l'espressione tropous e euochion
Sull'ortica nell'alimentazione romanacfr. AN- t!Xl!Ul'On.Non accettabile, in quanto non sot-
ou, op. cit., p. 33. tolinea il significato propriamente alimentare
23) Cfr. SDENI, op. cit., in particolare p. 301. del termine euochia, mi sembra invece la tra-
24) Sullo stretto rapporto tra struttura produttiva duzione di E. C. Marchand (ediz. Loeb, Lon-
e regime alimentare di una determinata socie- don 1968, p. 491): «By virtue of their naval
tà, un elemento che veniva a essere del tutto power, tbc Athenians bave mingled with va-
trascurato dall'impostazione prevalente anti- rious peoples and discoveredtypcs of luxury».
quariao evenemenziale degli studi tradiziona- 28) Cfr. DEoANJ,Appunti di poesia gastronomi-
li sull'alimentazione, ha insistito soprattutto ca greca, cit., p. 34.

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HOMO
BDENS-----------------------------

29) Sull'ecceltmzadei fichi scccbi ddl' Attica, tanto ricle nel paao in quatione, terra e cue van-
rinomati da comparire anche sulla mensadel no consideratekepio11klli enk.allopbt,uz p/oll-
Gran Re persiano Serse, cfr. Ath., XIV, tou. Se si traduce kepioll con "giardinetto",
6S2b-c. come si fa abitualmente, si intende l'espra-
30) Cfr. in tal senso l'acuta indagine di LoNOO, sione come un'endiadi:entrambi i termini ICI'•
Atene fra polis e territorio. In mar,iM II Tu- virebbero a sottolineare il valore puramente
cidide I, 143, 5, in "Studi italiani di filologia ornamentale che per Pericle hanno glw klli
classica", 46, 1974, pp. 5 11. Sugli elementi oikilli. t comunque anche possibile, mi san-
che collegano la figura e l'opera di Pericle bra, che kepion sia qui da interpraare come
e quelle di Temistocle cfr. L. Plccmn.u, Te- «onicello», vale a dire come un piccolo spa-
mistocle, Aristide, Cimone, Tuciditk di Me- zio produttivo, invece che decorativo. In que-
loitl fra politica e JJl'OPlll(llfda,
Genova, 1987, sto caso, il valore ornamentale di glw klli oi-
pp. 3 ss. kiai sarebbe espresso dal solo enkalloplsma,
31) Al passo in questione dà risalto K. POLANYJ, mentre kepion ne metterebbe in rilievo il ruo-
LII sussistenzadell'uomo, trad. it., Torino, lo marginale e secondario: come i prodotti
1983, p. 213, allorché, analizzando lo svilup- dealiorti sono soltanto un di più in confron-
po del mercato nell'antica Grecia, arrivaad to alle coltivazione dei campi, cosi nella vi-
individuare un legame tra tale istituzione e sione di Pericle la produzione agricola costi-
la forma politica della democrazia. Benché la tuisce qualcosa di accessorio rispetto alla ve-
trattazione di Polanyi, come si può riscontra- ra ricchezza rappresentata dal domicilio del
re anche varie altre volte, sia viziata da aene- mare. A sostegnodi questa interpretazione si
ralizuzinni eccessive e da interpretazioni non può del resto ricordare che il /cepos, in età
sempre accettabili sul piano storico e filologi- classica, è propriamente l'orto o il frutteto,
co, mi sembra opportuna, in questo caso, la non ancora nettamente distinti dal giardino
valorizzazione della notizia di Plutarco su Pe- a carattere puramente ornamentale: cfr. All-
ricle quale indizio di un diverso attegiamen- UOONJ, Elemenli... ptUte II, cit., p. 29S n. 340.
to verso il problema del modo di IOltellta- 36) La particolare importanza che ba l'alimenta-
mento alimentare. zione tra le manifestazioni tipiche della try-
32) Si veda, ad es., l'edizione "Belles Lettres", PMè ampiamente sottolineata da NBNcr,Try-
a cura di L. Flaccrière e E. Cbambry, Paris, pM e coloniuaz./on~, cit., pp. 1021 ss., men-
1969, lii, p. 34, ove si traduce «tel était son tre appare stranamente trascurata nella
aenre de vie". In tal senso cfr. anche la tra- defimzione che del fenomeno dà DllmlNNB,
duzione di A. Ribera, Firenze, 1974, I I, p. op. cit., p. 164.
261: "seguiva rigidamente questo metodo di 37) Cfr. NBNcJ, TrytJM e coloniu.azioM, cit., p.
vita». Per altre attestazioni del termine dillita 1023.
con il significato di "alimentazione" cfr., ad 38) Per i riferimenti ai vari pusi di Aristofane
es., SoPe., Oed. Col., v. 751; TBuc., VII, cfr. Emmnmao, op. cii., pp. 135 •· Sul ruo-
82, 2; AuroPB., Pax, v. 572; XEN., Mnn., lo dell'abbigliamento tra gli aspetti della try-
I, 6, 5. La tendenza a rendere in ogni caso phe cfr. NBNc1,Tryplw e coloniuazione, cit.,
diaita con "genere di vita", trascurando il suo pp. 1021 ss.; AMPow, Il IIISSOnelle sociffd
valore plurisemantico, che copre anche la sfera lln:Oiche.Note preliminari su/ili posizioM dd
alimentare, mi sembra, del resto, un fenome- problema, in "Opus", 3, 1984, pp. 474-475.
no piuttosto frequente nelle traduzioni di te- Per quanto riguarda il rapporto tra trypl,e e
sti greci. profumi, è particolarmente significativa la sud-
33) Per un'analisi dei discorsi di Pericle in Tuci- detta descrizione della polis tryphost, in Pl.AT.,
dide come testimonianza del carattere "pro- Rep., II, 373a. Sui profumi come 9CIDOdi
gredito" dell'economia ateniese del V secolo lusso e mollezzacfr. l>BTIBNNB, op. cli., pp.
a.e. cfr. Musn, L 'economillin Grecill, Roma- 82 Il., 164.
Bari, 1981, pp. 97 ss. 39) Il frammento in questione dei Bancht!ttanti
34) Per un dettagliato esame di quest'ultimo pas- (nr. 21 nell'edizione di A. C. Cusio, Pisa,
so cfr. LoNoo, Atttne fra polis e territorio, 1977, pp. 65 ss.) è citato da Ath., Xli, 527c
cit., pp. 9 ss. Sulla netta connotazione agri- come testimonianza sulla try[JM siciliana e si-
cola che ha qui il termine autourgos, usato racusana in particolare: uno dei numerosi
da Tucidide nel significato di "coltivatore di- CIClllpiche di questo fenomenoè possibile tro-
retto", cfr. Mum, L'economia in Grecillcit., vare nel libro Xll dei Deipnosofuti. Traduco
pp. 97-98. Un noto esempio del termine con Sybaritidas n,ochias con "banchetti sibariti-
questo significato è costituito da EUll., Or., ci": la connotazione propriamente alimenta-
V. 920. re di euochill (cfr. ancheSllpt'II) e il contesto
35) Rispetto alla potenza della città, sostiene Pc- del frammento - le altre manifestazioni di

226----------------------------
----------------------------- LUIGI GALLO

trypl,e qui menzionateripardano entrambe ai cambiamenti rivoluzionari che quelle pro-


il comportamento gastronomico - rendono pongono.
meno probabile, mi sembra, il significato ge- 43) Cfr. SBUNI, op. cit., p. 299. In Attica, parti-
nerico di "lusso sibaritico" che viene abitual- colarmente noto per i ravanelli (raphanldes)
mente attribuito all'espressione. era il demo di Laciade: cfr. HaYca., s.v. La-
40) L'eufemismo con cui, in Vap., vv. 1265 ss., kladai.
si sottolinea la raffinatezza del vitto di Ami- 44) La connotazione prettamente rurale e "vile"
Dia- costui, è detto nel passo, non mangia- che, nell'alimentazione medievale, è propria
va mele o melagrane - si rivela indicativa di alcuni prodotti vegetali, in particolare or-
della connotazione piuttosto umile di questi taggi caratterizzati dall'odore acuto, come ci-
prodotti, che vengono cosi a costituire il ter- polle, agli, porri e cavoli (cfr. Ptcc!NNI, art.
mine di confronto dei cibi prelibati ed elitari dt., p. 612; MoNTANAJU,Campagne medie-
legati alla tryphe. Alla pari di vari ortaggi, vali, cit., pp. '1Jf1 ss.), mi sembra che si possa
come la cipolla e l'aglio (cfr. Infra), anche riscontrare anche nel mondo greco. Significa-
la frutta, dunque, si configura quale alimen- tivo in proposito risulta l'accenno di AIJ.
to tipicamente popolare: ciò si spiega facil- STOPB., Ekkl., vv. 290 ss., a coloro che arri-
mente, del resto, se si considera che la pre- vano all'assemblea prima deU'alba, impolve-
senza, nei kepoi, degli alberi da frutto rap- rati, sazi d'aglio: immagine in cui, come
presenta un elemento assai comune nel osservava già EHllENBBRO, op. dt., p. 118,
pecsaggin agrario dell'Attica classica (cfr. Aa- sono senz'altro da riconoscere i contadini. Si
DJONI.Elementi... parte I e parte Il cit., pas- consideri anche la presenza dei porri tra gli
sim). Decisamente antitetica, invece, la situa- alimenti, esemplari nella loro semplicità, men-
zione medievale, in cui la scarsa diffusione zionati da Chionide, fr. 5 Kock, e quella dei
dell'arboricultura si traduce in una valutazio- bolboi (una sorta di cipolle) nel pasto plato-
ne della frutta come cibo di lusso (cfr. MoN- nico di Rep., Il, 327b-d. Sulla cipolla anche
TANAJU,L'alimentazione contadina, cit., pp. come cibo di varie categorie di soldati cfr.
366 11.; Campagne medievali, cit., p. 208). Aals'roPB., Pax, v. 529, 1127 ss.; Ran., vv.
41) "A molti è successo: a contatto con idee di 65UiS4; PtUT., Quaest. conv., IV, 6691>. Sulla
altri banno mutato i loro costumi" (vv. connotazione umile che, anche nd mondo ro-
1459-1461:trad. di O. Mutromarco, Torino, mano, la cipolla aveva per il suo odore cfr.
1983):l'osservazione con cui il coro commenta Am>u, op. cii., p. 19.
il comportamento di Filocleone costituisce 45) Sul processo di urbanizzazione dell'Attica, te-
un'interessante testimonianza sociologica, mi stimoniama fondamentale è il ben noto pas-
sembra, su questo vero e proprio fenomeno so di Thuc., II, 14 e ss., in cui si descrive
collettivo che è la tryphe ad Atene nel perio- il trasferimento in città, alla vigilia della guerra
do qui trattato. Sulla necessità di indapre la del Peloponneso, di una popolazione tradi-
tryphe non solo in chiave ideologico-letteraria, zionalmente insediata nella campagna. Ma è
secondo l'ottica tradizionale, ma anche come probabile che tale fenomeno sia iniziato già
concreto fenomeno sociale ha giustamente in- prima, nel periodo immediatamente succesai-
sistito NBNct, Tryphe e coloniu.azione, cit. vo alle guerre persiane: come ha opportuna-
42) Ai vv. 300 e ss. il coro lamenta la presenza mente sottolineato Musn, L'urbanesimo, cit.,
invadente in assemblea di abitanti della città: pp. 526 ss., il capitolo XXIV deU'Athenaion
significativa è la caratterizzazione di costoro politeia aristotelica, ove si individua un lega-
comesfaccendati, che solo il gettone di 3 oboli me tra il processo di inurbamento e l'opera
richiama all'ekklesia. Il rimpianto va perciò di Aristide, fornisce un'evidenza importante
al buon tempo antico, quando non esisteva in tal senso.
affatto il misthos ekklesiastikos e ognuno por- 46) Di un certo interesse mi sembra l'accenno di
tava con sé all'assemblea un semplice spunti- Strepsiade(v. SO) all'abbondanza(perlousia)
no: si allude, a mio parere, a un'Attica pre- che è caratteristica della campagna, in quan-
valentemente rurale, in cui non si poteva an- to evidenzia un importante aspetto struttura-
cora individuare una categoria dell'abitante le della situazione alimentare contadina, vale
della città nettamente distinta e contrapposta a dire il contatto diretto con i mezzi di pro-
a quelladel contadino. Si veda, poi, più avan- duzione: tale condizione può spessosignifica-
ti, ai vv. 427 ss., la descrizione dell'assem- re una maggiore facilità di procurarsi il so-
blea in cui Prassagora e le sue compagne pren- stentamento rispetto a categorie, come queUe
dono il potere: alle donne che, per il loro co- urbane, che dipendono dal mercato, con tutti
lorito, sono scambiate per ciabattini, vale a i problemi (difficoltà di approvvigionamento
dire per esponenti del proletariato artigianale o rincari dei prezzi) che questo comporta. Non
urbano, si contrappongono i contadini, ostili accettabilerisulta perciò a mio parere, l'u-

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HOMO EDENS-----------------------------

sunto aprioristico di una realtà contadina sem- mentare nel mondo areco. Diversa la posizio-
pre al limite della sopravvivenza nel mondo ne di A. ScHNAPP (Pratiche e immagilù di cac-
antico (per un esempio, significativo cfr. M. cia nella Grecia antica, in "Dialoghi di
I. F'nw!Y, L'economia degli antichi e dei mo- archeologia", n.s., 1, 1979, p. 58), secondo
derni, trad. it., Bari, 1974, p. 159): al carat- cui la caccia aveva un ruolo importante nel-
tere umile e grossolano, che appare come una l'alimentazione popolare: ma la testimonian-
prerogativa di regimi contadini, non si aa::om- za da lui adotwa in proposito - il pasto a
pagna necessariamente anche la scarsa quan- base di carne di lepre e di uccelliin Anmll'e.,
tità. Utili spunti di riflessione in proposito for- Pax., vv. 1150-1151 - non è significativa,
nisce, del resto, l'analisi della situazione alto- a mio parere, del regime alimentare quotidia-
medievale effettuata dal MONTANARI, no, ma di quello, del tutto peculiare, delle
L'alimentazione contadina, cit., passim, in occasioni festive (cfr. n. 49). Sulla scarsità,
part. pp. 425 ss. Sulla necessità di ridimen- in Attica, anche della selvaggina meno rara
sionare il concetto di un paesaggio general- rappresentata dalla lepre cfr. LoNoo, Le re-
mente dominato dalla penuria alimentare ri- gole della caccia nel mondo greco-rom11110, in
mando a quanto osservato in Alimentazione "Aufidus", l, 1987, pp. 76-77, n. 31.
e demogrtifia, cit., pp. 35 ss. 49) In genere, sul carattere eccezionale delle oc-
47) Sulle anguille beotiche cfr. o. 6; per il tonno casioni festive nei regimi alimentari contadi-
cfr. AlusroPH, Cav., v. 354. Sulla carne bo- ni, cfr. P. C.AUPORBSI, Alimentazione, folclo-
vina come alimento elitario è significativo l'ac- re, società, Panna 1980; VALElll, art. cii., p.
costamento, in Cav., v. 362, tra il consumo 351; per la società medievale, in cui tale pe-
di costolette di manzo (schelides) e la possibi- culiarità dell'alimentazione festiva è partico-
lità di prendere in appalto miniere. li caratte- larmente evidente, cfr. Plcc1NN1,art. cit., p.
re prelibato della carne di lepre è efficace- 613. A questo fenomeno della festa come mo-
mente sottolineato da Vesp., vv. 708 ss., ove mento di rottura rispetto al regime quotidia-
la possibilità di nutrirsi con questo alimento no si devono collegare, mi sembra, alcune si-
assurge a simbolo dei vantaggi che al demos tuazioni del teatro di Aristofane nelle quali
ateniese deriverebbero da un impiego più equo il vitto contadino appare nettamente più ric-
del tributo degli alleati. Indicativa dello stret- co e raffinato. Si veda, ad es., in Pax, vv.
to legame tra questi alimenti ricercati e il si- 1128 ss., la descrizione del banchetto rurale
stema di mercato può essere la situazione de- in cui, accanto ad alimenti di natura vegeta-
scritta da Ach., vv. 878 ss.: tra le merci che le, quali frumento, fagioli e fichi, compaiono
un tebano porta alla piccola agora messa su anche prelibate carni di lepri, di tordi e di
da Diceopoli, una parte rilevante è costituita fringuelli. Anche in Nub., vv. 408 ss., è evi-
appunto da prodotti raffinati, quali oche, ana- dente la connessione tra il consumo di carne
tre, lepri e anguille copaidi. All'arrivo, dalla e un'occasione festiva, quella delle Diadie.
Beozia, di prelibatezze come oche, anatre e Non credo invece che si possa parlare, in tali
anguille si accenna anche in Pax vv. 1003 ss. casi, del motivo utopico del «paese di cucca-
48) Sulla caratteristica di prodotto di importazio- gna», secondo l'ottica con cui il tema dell'ab-
ne che il pesce sembra avere in Attica cfr. bondanza alimentare nella commedia antica
o. 8. Sullo stretto legame tra economia silvo- è interpretata da L. BBllTEW, L'utopia sulla
pastorale e varietà del regime alimentare so- scena. Aristo/ ane e la parodia della città,
no illuminanti gli studi del Montanari sulla in "Civiltà classica e cristiana", 4, 1983,
situazione altomedievale, nella quale l'ampia pp. 229 ss.
disponibilità di spazi incolti per la caccia e 50) La differenziazione produttiva tra le varie 1DDC
l'allevamento assicurava una presenza rilevante dell'Attica e il ruolo marginale che in alcune
della carne neJ vitto contadino (cfr. L 'alimen- di queste avevano le coltivazioni cerealicole
tazione contadina cit., passim, in part. pp. rispetto alla vite e all'olivo sono ampiamente
427 ss.; Campagne medievali, cit., pp. 137 sottolineati da Arrigoni, Elementi... parte I
ss., 153 ss.). Decisamente antitetico è il caso e parte II, cit., passim. Sulla base di tale si-
dell'Attica antica, il cui paesaggio agrario ri- tuazione, non mi sembra necessario pensare,
sulta profondamente segnato da un fenome- come fa la AMoUllETTI(op. cii., p. 218), che
no di continua riduzione degli spazi boschivi: ad Atene la preparazione della farina d'orzo
cfr. Aluuoom, Elementi ... parte I, cit., pp. si sia commercializzata solo in conseguema
269 ss. Per quanto riguarda la caccia, mi sem- del fol7.ato inurbamento della popolazione ru-
brano senz'altro condivisibili le osservazioni rale durante la guerra del Peloponnso. Anche
di LoNoo,La storia, la terra, gli uomini, cit., per quanto riguarda la preparazione del pa-
pp. 71 ss., sul carattere marginale di quest'at- ne, del resto, l'evidenza archeologica pare at-
tività come fonte di approvvigionamento ali- testare l'esistenza di forni comuni già nel VI

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------------------------------- LUIGI GALLO

secolo a.C.: cfr. SPAllUS, art. cii., pp. 123 nisce in pratica per riprodurre l'abbondanza
e 133. che era assicurata dalla struttura produttiva
S 1) Sulla vendita di cibi cotti da parte dei kapeloi della campagna. Anche in questo caso, dun-
cfr. le osservazioni di PoLANY.J, op. cit., pp.236 que, non credo che si possa parlare di una
ss., che interpreta come evidenz.a in tal senso situazione utopica, come fa il BERTEW,art.
- in maniera accettabile, mi sembra - AB.J- cit., p. 233: l'osservazione del coro non fa
STOPB., Ach., vv. 973 ss. altro che sottolineare i vantaggidel nuovo mo-
S2) Sulla connotazionesocialedellafigura del com- do di acquisizione dei beni.
merciante nel mondo greco-romano e su al- S6) Sul pescesalato come articolo di importazio-
cuni aspetti di lunga durata della contrappo- ne cfr. n. 8; si può inoltre ricordare che i
sizione tra costui e il contadino cfr. A. GIAll- tariche ricorrono nella già citata enumerazio-
DINA, Le merci, il tempo, il silenzio. Ricerche ne di merci importate ad Atene che è fatta
su miti e valori sociali nel mondo greco- dal comico Ermippo, fr. 63 Kock.Per la sua
romano, in "Studi storici", 27, 1986, pp. 277 caratteristica di alimento economico e popo-
ss. In particolare sul fenomeno in questione lare risulta particolarmente significativa l'e-
che si verifica in Attica agli inizi della guerra spressione adoperata in Vesp., v. 491, ove,
del Peloponneso - l'impatto tra un'econo- per sottolineare come sia diventata frequente
mia contadina di sussistenz.a e il sistema del l'accusa di cospirazione, si dice che la tiran-
mercato - cfr. S. C. HUMPHllEYS, Economia nide è ora più a buon mercato del pesce sala-
e società nell'Atene classica, in Saggi antro- to. Senz'altro inaccettabile è perciò l'afferma-
pologici sulla Grecia antica, trad. it., Bolo- zione generalizzante di SPAllUS, art. cit., p.
gna, 1979, pp. 294 ss. Sui numerosissimi ka- 123, il quale annovera anche il pesce salato
peloi che si incontrano nel teatro di Aristofa- tra le specie che costituivano oggetto di con-
ne cfr. EBllENBB.llO, op. cit., pp. 162 ss., con sumo da parte dei buongustai. In realtà, il
riferimento ai vari passi delle commedie. Sul- settore del pesce appare caratteri.u.ato da una
la valutazione fortemente negativa del kape- marcata differenziazione economica tra le varie
los nel mondo greco cfr. anche GIAllDINA, art. specie: dai pesci decisamente popolari, come
cii., p. 287, e NENc1,Economia e società in appunto i tariche, si passa ai tipi più ricercati
Erodoto, in D. Musn (a cura di), La storio- ed elitari, il cui consumo ispira le rigide nor-
groj,a greca, Bari, 1979, pp. 128 ss., il quale me di controllo citate da Ath., VI, 227d ss.
vede la condanna della kapeleia strettamente Indicativa di questa netta differenziazione eco-
legata al mondo contadino. nomica tra i vari tipi pesce è anche la scena
S3) Nell'accenno in questione di Diceopoli al pro- descritta in AB.ISTOPe.,Vesp., v. 493.
prio demo (autos ephere panta) il BERTEW, 57) Il passo in questione della Pace è uno dei fre-
art. cit., p. 231 n. 48, vede, come al solito, quenti casi in cui, come si è detto (cfr. n.
la presenza di un motivo utopico, quello del- 32), la traduzione di diaita con "alimentazio-
la natura benefica della mitica età dell'oro. ne" è senz'altro più probabile, a mio parere,
A me sembra, invece, che il significato sia di quella abituale con "genere di vita": il ca-
ben diverso: in contrapposizione al sistema di rattere chiaramente esplicativo e non aggiun-
compravendita della città, dove, per avere tivo dei genitivi che seguono l'espressione tes
qualsiasi prodotto, bisogna servirsi dell'inter- diaites tes palaias (le torte di frutta secca,i
mediazione del mercato, il protagonista degli fichi, i mirti, le olive) mi sembra un elemento
Acarnesi sottolinea il contatto diretto con i determinante a favore di tale interpretazione.
mezzi di produzione che è caratteristico della Sull'idealizzazione della campagna nella Pace
campagna.Nell'interpretazione di Bertelli, del cfr. A. C. CASSIO,Commedia e partecipazio-
resto, viene ad essere trascurato il ruolo de- ne. La Pacedi Aristofane, Napoli,198S, pp.32,
terminante di autos ("da sé") nel contesto del 145.
ragionamento di Diceopoli. 58) Sul fenomeno di urbaniu.azione nell'Attica del
S4) L'espressione da me usata costituisce il titolo IV secolo a.e. cfr. A. W. GoMME, The Po-
dato alla traduzione italiana di un recente te- pulation o/ Athens in the Fifth and Fourth
sto di economia: N. 8osANQUET, After the Centuries b.C., Oxford 1933, pp. 37 ss. Che
New Righi, London, 1983, trad. it., La rivin- il centro urbano accogliesse,nel IV secolo,
cita del mercato, Bologna, 198S. all'incirca i 2/3 della popolazione complessi-
SS) Il commento del coro al v. 976, secondo cui va della regione era da me suggerito in Ali-
tutti i beni arrivano spontaneamente a Dicco- mentazione e demografia, cit., p. 79.
poli (automata pant'agatha tode ghe poriz.e- Una testimonianza significativa dello stretto
ta1) mi sembra che faccia da esatto pendant legame, in quest'epoca, tra sostentamento nu-
a quanto è detto del villaggio al v. 36, autos tritivo e mercato è fornita dai Carattericli Teo-
ephere panta: il meccanismo del mercato fi- frasto: se permangono certi fenomeni di mu-

- 229
HOMO EDENS-----------------------------

tua aasistenza e di prestazione del cibo tra vi- Sulla ricca panoramicasociale offerta da que-
cini e demoti che sono tipici dei regi.mi st'opera di Teofrasto, che rappresenta una co-
tradizionali e contadini, è però evidente come piosa fonte di dati anche sui problemi alimen-
anche coloro che coltivano un agros o un ke- tari, cfr. BoDBI Grouom, /mffl4gini di """
pos dipendano, per l'approvvigionamento ali- societtl. Analisi storicadff "Caratteri" di T~
mentare, dal sistema del mercato e dai vari /rtlSlo, in "Athenaeum", n.s., 58, 1980, pp.
rivenditori al dettaglio - di carne, di pesce 73 ss. Sul Dyslcolos di Menandro cfr., della
o anche di prodotti qricoli - che ne sono stessa studiosa, Comunil4 e solihldine, cit.,
i canali. pp. 85 ss.

230
IL DIGIUNO: MITI E REALTÀ
NELLA CIVILTÀ CONTEMPORANEA
di Beatrice Bauer

Digiunare, a prima vista, sembra un comportamento senza particolare significato


e sicuramente privo di fascino. Una persona generalmente digiuna per un breve
periodo a causa di problemi di salute oppure per mancato accesso al cibo dovuto
a povertà, guerre o altre forme di costrizione esterna. Come tale questa condizione
è temuta da tutti o ricordata a lungo se proprio inevitabile.
Nella società contemporanea, contraddistinta da opulenza e continui bombar-
damenti sensoriali legati al tema "alimentazione", il digiuno sta acquistando, an-
che se in forma celata, un'importanza inverosimile. Al posto dei moralismi a cui
eravamo abituati da piccoli, sulla fame di popoli lontani che dovevano indurci
a fare il nostro dovere e mangiare anche contro voglia i cibi presenti sulle nostre
tavole, ritroviamo oggi inviti più o meno espliciti a inibire le nostre voglie di cibo.
Il modello premiante per le donne, ma sempre di più anche per gli uomini,
è la persona capace di rinnegare la fame, ma anche altre forme ascetiche, nella
sessualità, nel risparmio, nell'impegno lavorativo, che propongono l'abnegazione
e il sacrificio come valore morale e ideale sociale (MASSINo a BEDEBRS, 1974).
Saper essere più forti dei nostri istinti, saper mangiare meno del necessario, man-
tenere pesi al di sotto della norma e lasciare parte dei cibi nel piatto, sta diventan-
do sempre di più un nuovo modo di distinguersi dalla massa.
Le pubblicità della pasta, dei dolci e degli olii per assurdo ci presentano mo-
delle magrissime; i telefilm a puntate seguiti assiduamente dal pubblico italiano,
mostrano donne sofisticate che si incontrano in eleganti ristoranti americani (quale
ironia!) e consumano pasti che anche per una nouvelle cuisine francese sarebbero
decisamente scarsi. Non è certo questa una guerra dichiarata alle malattie della
civiltà del consumo e un ritorno a un'alimentazione più corretta, ma è sempre
più spesso una strategia malsana per raggiungere quel desiderato controllo sulla
nostra esistenza, nella incessante rincorsa all'autoaffermazione.
Potrebbe apparire incomprensibile la visione della vita di chi digiuna delibera-
tamente, ma leggendo Kafka ne possiamo intuire la complessità. Al centro di un
suo racconto troviamo un digiunatore, "der Hungerkilnstler", che tradotto lette-
ralmente significa "l'artista del patir la fame". Digiuno come arte e come esibizio-
ne: quest'idea che il non mangiare e il vivere in modo ascetico siano degni di
applausi e di considerazione prolungata da parte di un pubblico è stata descritta
da Kafka con l'introspezione tipica dei suoi racconti.

· 231
HOMO EDENS --------------------------

Il digiunatore impegna ogni suo sforzo nel raggiungimento della perfezione


negandosi di sentire il sapore della vita. Egli paga con la vita il raggiungimento
del suo ideale: " ... diventare non solo il più grande digiunatore di tutti i tempi
- questo forse lo era già - ma superare perfino se stesso fino a un punto incon-
cepibile". Nella smania di afferrare l'inconcepibile, egli si rivela creatura di Kafka
(POLITZER, 1974).
Questo desiderio di totale controllo su se stessi sta diventando sempre più
spesso il fulcro intorno al quale si forma la patologia più diffusa nella nostra
società: malattie da stress per eccesso di ambizione e impegno nel lavoro, ma
in particolare modo anorresia, bulimia e obesità come forme più specifiche legate
al controllo sul cibo. Hilde Bruch, che da quarant'anni opera nel settore dei di-
sturbi alimentari, parla di un'epidemia di anoressia esplosa dagli anni 'SO in poi.
Il contagio, secondo lei, non sarebbe di natura organica, ma sembra essere in
relazione a fattori psicosociali (BRUCH, 1984).
Anoressia, bulimia e obesità possono sembrare disturbi diversi tra loro, ma
un'attenta analisi sulle dinamiche che sottostanno a queste problematiche del com-
portamento, mostra le stesse cause alla base di questi disturbi: un conflitto peren-
ne con il desiderio di autocontrollo e autoaffermazione. Una società che da un
lato ci sopraffà costantemente con inviti ad abbandonare ogni controllo "pren-
dendoci per la gola", che ci costringe allo stesso tempo a un eccessivo controllo
sui nostri desideri per emergere e affermarci agli occhi degli altri. In questa conti-
nua altalena di tendenze pochi riescono a mantenere un equilibrio psico-fisico.
Una recente pubblicità di gelato apparsa sulle maggiori riviste settimanali ita-
liane, riassume meglio di ogni trattato questa contraddizione tra controllo dell'ali-
mentazione e mangiare indiscriminato. Da un lato si vede un'immagine paradisia-
ca di una lussureggiante coppa di gelato dai tre gusti diversi con nocciole tritate
e due biscotti con annessa foglia di cioccolato, che troneggiano orgogliose su que-
sto accattivante accumulo di calorie di scarsissimo valore nutritivo. Ma, si sa,
l'industria alimentare ha le sue esigenze (in particolare quest'azienda che ha passa-
to momenti di crisi economica notevole) e usa i meccanismi a sua disposizione
(marketing, pubblicità ecc.) per aumentare le proprie vendite. Chi ha creato la
pubblicità ha fatto un ottimo lavoro, perché sicuramente guardandolo si riscopre
una voglia nascosta (?) di gelato che chiede con impellenza soddisfazione. Ma
dov'è la contraddizione?
L'immagine della coppa di gelato, che prende l'intera pagina è attraversata
da una striscia con una scritta dai caratteri severi: Somministrare due o più volte
al dì, a seconda dei gusti. Il senso è ovvio: si abbina un'immagine attraente che
invoglia ad assumere cibo al di fuori di uno schema alimentare corretto a chiaro
danno per la nostra salute, a un permesso, anzi a un ordine di soddisfare questa
nostra voglia. Utilizzando una terminologia medico-farmacologica questo messag-
gio ci rassicura riguardo a eventuali insidie o sensi di colpa che potrebbero compa-
rire in seguito.
Ogni persona adulta ormai conosce le problematiche sempre crescenti legate
al problema di una errata o eccessiva alimentazione, i gridi d'allarme delPOrganiz-
zazione Mondiale della Sanità, che deboli e senza alcuna amplificazione pubblici-
taria inviano sempre lo stesso messaggio: mangiare frugalmente, cibi semplici evi-
tando "lipidiche" divagazioni culinarie. Ma queste verità vengono facilmente ri-
mosse di fronte al messaggio: «Somministrare due o più volte al di...».

232 ----------------------------
------------------------- BEATRICE BAUER

Colpisce solo il permesso di abbandonare un controllo sulla propria alimenta-


zione, per lasciare spazio a un'illusione di godimento senza conseguenze negative.
Mangiare "ad libitum", di tutto, come nel film La grande abbuffata, è un sogno
di molti, tenuto a freno da raccolte di diete e pasti sostitutivi. Se si dovesse rifare
un fumetto in linea con i nostri tempi, il celebre personaggio Paperon dei Papero-
ni invece di preoccuparsi per il danaro, dovrebbe arraffare una fortuna in alimen-
tari che non consuma mai e divertirsi a tuff arsi in una piscina di cibi.
Nella società di oggi, il conflitto tra invito a mangiare e godimento culinario
da un lato e valorizzazione della ferrea restrizione calorica nonché del fisico per-
fetto dall'altra è arrivato a un culmine difficilmente superabile.
L'Eurisko ha rilevato nella sua ricerca sulle nuove tendenze in Italia un au-
mentato interesse nella popolazione per la cura del proprio corpo; la moda ritorna
a essere attenta a fasciare corpi magri e perfetti, i concorsi di bellezza hanno
perso il gusto di triste provincialismo e sono di diritto entrati a far parte di quegli
spettacoli nazional-popolari, che i nostri mass-media divulgano con tanto entusia-
smo. Tutto fa pensare che "grosso è bello!" sia uno slogan ormai sotterrato e
che si ritorni a "magro è forte!" nonostante il fiorire in Italia dei fast-food e
dello stile di vita americano con tutte le sue problematiche alimentari.
Una più attenta lettura di questo fenomeno mostra però una problematica
assai più grave della sola preoccupazione estetica. Nella sua attenta analisi della
trasformazione avvenuta negli ultimi anni nell'identità e nel ruolo della donna,
Federica Olivares (1987) dedica un intero capitolo al rapporto che la donna ha
con il cibo e il suo significato nella sua comunicazione con gli altri.
Mangiare o digiunare hanno indubbiamente un significato importante nella
nostra comunicazione con le persone. Da sempre il digiuno è stato usato come
modalità estremamente aggressiva da politici come Mahatma Ghandi o dai com-
battenti irlandesi per protestare contro il nemico e lottare per l'indipendenza. Ma
oltre al suo significato nei confronti verso l'altro, il digiuno ha una notevole im-
portanza per il proprio io.
Già nell'antichità il digiuno serviva per la purificazione fisica, l'equilibrio psi-
cologico e come difesa dell'organismo dalle malattie. Nell'Antico Testamento (3°
Libro di Mosé, Cap. 16) il digiuno era considerato d'obbligo il decimo giorno
del settimo mese per la purificazione dai peccati, e ritroviamo questa pratica nel
Ramadam dei Mohamedami e nella Pasqua dei cristiani.
Digiuno per stare meglio con se stessi, per raggiungere cioè un buon equili-
brio psico-fisico. Un'importante società farmaceutica ha usato quest'idea per ven-
dere il suo prodotto dimagrante che consiste in un pasto sostitutivo. La pubblicità
di questo prodotto mostra una giovane donna, vestita di rosso, che sorride man-
dando un messaggio d'intesa e complicità: "Ho perso quei chili di troppo e ho
finalmente ritrovato me stessa". Il grave di quest'immagine è che la donna, se
veramente ha solo perso qualche chilogrammo, era già sottopeso all'inizio di que-
sta cura. La sua idea di perdere peso è stata sicuramente il prodotto di un grave
squilibrio psicologico, e il risultato ottenuto fa pensare a un peso che verrà mante-
nuto con difficoltà, continui digiuni e pasti sostitutivi. Questo messaggio pubblici-
tario non preme sulle persone affinché normalizzino il loro comportamento ali-
mentare, ma invoca il digiuno come un mezzo sicuro "di ritrovare se stessi".
Hilde Bruch riprende questi temi nella sua analisi delle pazienti anoressiche
e bulimiche: l'assenza di un'immagine di se stesse, una figura senza apparente

---------------------------- 233
HOMO EDENS---------------------------

contenuto, una persona che si sente indegna e senza valore, tenta di raggiungere
un senso di potere e di riconquistata fiducia in ~ attraverso il digiuno. Si può
pensare che la malattia sia un tentativo di auto-guarigione, che però faHisce~
porta a un'aumentato senso di inadeguatezza e incapacità e a un ulteriore isola-
mento (BaucH, 1984).
Anche Kafka descrive il suo digiunatore come totalmente centrato su se stes-
so, preso dal suo fanatico digiuno. L'artista perdeil contatto con la società, non
riesce più a farsi comprendere dal pubblico e si rinchiude nell'isolamento totale
che lo condurrà alla morte, ma anche alla perfezione. Il digiunatore condivide
con il suo autore l'insaziabile brama di quella sicurezza nello spirito che si può
acquistare soltanto con la perfezione (PocAB., 1974). La ricerca di questa sicurezza
però avviene in Kafka attraverso il digiuno, visto come arte, ma l'autore stesso
è critico nei confronti di questa sua posizione.
La storia termina infatti con una sostituzione: nella gabbia del digiunatore
viene messa una pantera, piena di vitalità e senza problemi con il cibo. «Il nobile
corpo perfetto e teso in ogni parte sin quasi a scoppiarne, pareva portasse con
sé anche la libertà». L'apparizione della pantera conferma il potere dell'umano
e della normalità, e con questa «torna la gioia di vivere».

BIBLIOGRAFIA

B. BAUE.R (Ed), Obesità ed anonssia mentale, terapia del comportamento, "Giornale Italiano di Scien•
za e Terapia del Comportamento", n° 3, Bulzoni Editore, 1984.
P. BEICDN,Franz Kaflca,EiM kritische Ei,ifiihrung indie Forschung, Athcnaion, Frankfurt a. M. 1974.
H. Baucu, Four Decades of Eating Disorders in Anorexia Nervosa & Bulimia, D. OAllNBll,P. 0All-
PINDL (Ed.), Tbc Ouilford Press, New York, 1984.
F. KAPxA,Der Hungerkiinstler, Erzihlungcn. S. Fischcr, Franltfurt a. M., 1946.
A. MAss!Noa W. BEcuu, Zur Frage der Manifestavonsbedingungen und Hihif,gkeitszunahme der
Pubertiitsmagersucht, "Z. Psychosom. Mcd. Psychoanal.", 1, pp. 53-59.
F. OUVAJlES,Niente poura, Mondadori, Milano, 1987.
E. PocAll, Introduzione a Kaflca, li Saggiatore, Milano, 1974.
H. Poumm, Il cibo sconosciuto. Dal volume F. KAPL\, der Kiinstler, S. FISCher,Frankfurt a. M., 1965.

234 -----------------------------
IL VENTRE DEL PARASSITA:
IDENTITÀ, SPAZIO
E TEMPO DISCONTINUO
di Elisa A vezzù

Molte fonti antiche ci riferiscono che il termine "parassita", era, in un lontano


passato non ben valutabile sotto il profilo storico-cronologico, titolo di merito.
Tra i tanti, Polemone, geografo del II secolo a.e. 1, afferma: «Al giorno d,oggi
il parassita ha una cattiva reputazione, ma presso gli antichi troviamo che il paras-
sita è qualcosa di sacro, qualcosa di simile a un co-celebrante.»
Se non possiamo valutare cronologicamente questo passato glorioso, possia-
mo invece farci un,idea del ruolo ricoperto: lo spazio è quello del sacrificio, la
funzione quella di selezionare il grano sacro a lato del sacerdote. Il prefisso dice
tutto. Ancora, un decreto di Alcibiade, trascritto da Stefano figlio di Tucidide,
oltre a testimoniarci questa contiguità con i ministri del culto, ci informa anche
della "distanza,' che separa il parassita dai "bastardi", dai figli, cioè, di almeno
un genitore non ateniese 2 : il parassita è dunque un libero, con tutti i requisiti
del cittadino 3 • Di più, il parassita era "scelto" (kateilegménos) 4 : la sua era una
carica, che lo privilegiava anche nella distribuzione del cibo, ed egli aveva parte,
con i sacerdoti, dei due buoi scelti come capi. Di questa tradizione onorifica tro-
viamo un,eco in Difilo di Sinope, poeta della commedia nuova (Il metà del IV
secolo a.C.): «Non sai che il parassita è assegnato a lato del citaredo?» '
Di contro a questo passato, la scaduta immagine del presente. Per l'uso "mo-
derno" del termine Caristio di Pergamo 6 cita, quale inventore, Alexis, un poeta
comico vissuto tra il IV e il III secolo, ma aggiunge che già Epicarmo, rappresen-
tante siciliano della commedia dorica (VI-V secolo), aveva tratteggiato i caratteri
del parassita, chiamandolo alisitos. Con la commedia (e poi nella palliata) ci tro-
viamo di fronte al parassita che «beve la via d'un fiato, come coppa di vino» 7 ,
al parassita che, non più "scelto',, si invita da solo (dkletos).
La categoria vien definita ancora una volta da una funzione e da un nome.
Meglio, se spicca tra tutti il termine paràsitos, possiamo tuttavia trovare molti
sinonimi non meno eloquenti. Tra questi, paramasétes (da masaomai, "mastico"),
dove funzione e luogo di espletamento della stessa traspaiono. E il tempo? Il
tempo è quello della riunione per masticare: è il tempo del banchetto, e il nome,
rimandandoci come fa all'occasione conviviale, ci dice di un tempo discontinuo,
un tempo a salti, segnato dalla presenza-assenza di cibo. Menadro recita 8: «Que-
sto è veramente un amico: non chiede a che ora è il pranzo - come invece fanno
gli altri - e perché i presenti non si dedicano a mangiare, e poi pensa a un

--------------------------- 235
HOMO EDENS --------------------------

altro pranzo tra due giorni, e a un altro ancora tra tre, e poi di nuovo a un
banchetto funebre».
L'opposizione presenza-assenza di cibo segna il passaggio tra due momenti
isolabili in un punto, da non esistenza a esistenza, da morte a vita: «Così resuscitò
quand'era già tutto morto!» 9 • Il cibo scandisce l'oggi e il domani (témeron/au-
rion) 10 • E non basta: perché questa ripetizione di attimi non copre l'arco di vita
concesso a un uomo: l'attività del parassita è oligochrònios, «di poco momento»:
«La sua vita fiorisce per poco, perché nessuno gode di un parassita dalle tempie
canute» 11• Passata la giovinezza, e con essa la piacevolezza fisica e la possibilità
di sopportare ingiurie e percosse, il parassita si riduce a un accattone.
Ma seguitiant'o con i termini designanti la categoria. Il parassita digiuno è
apòsitos, e il prefisso ci dice il luogo in cui il parassita si colloca rispetto al sitos,
cibo per eccellenza, cibo che costituisce il centro spaziale. A questo centro, luogo
in cui il cibo viene distribuito e consumato, tende tutti i suoi sforzi l'episltios,
ho epl trophàis hypourgòn senza mercede (misthòs) 12: non tanto chi lavora per
procurarsi il vitto, ché di lavoro non si tratta mancando la retribuzione, ma chi
offre la propria persona a un altro per averne cibo. Chi rinuncia al corpo per
saziare il ventre 13•
Manca un misthòs corrispettivo di un lavoro svolto, mancano altresi le sym-
bolài, la parte che si corrisponde per mangiare: cade la logica del ricambio che
permea il mondo greco, e in particolare il rituale del convivio e del simposio;
viene a mancare ogni tipo di mediazione tra l'uomo e il cibo. È l'altra faccia
di rapporti sociali che nella mediazione trovano una solida struttura. Il parassita
è autòsitos, cioè hautòn tréphon 14 : certo! E realizza quell'ideale (ludico) di creare
dal nulla quel cibo che al nulla ritorna. Luciano 15 farà osservare come l'arte
(téchne) del parassita si differenzi da ogni altra, in quanto non rimanda "ad al-
tro", e in essa "attività" e "fine" coincidono 16 •
Ventre pieno, ventre vuoto: consapevoli degli aspetti fisiologici della consu-
mazione alimentare 17 , i Greci potevano ben dire per bocca di Menandro a propo-
sito del sitòkouros che è «individuo inutile, nutrito senza scopo» (àchrestos kai
màten trephòmenos) 18 • Non riportato a un circuito di scambio, il cibo è solo
ciò che si mangia, si digerisce, si evacua, in una ripetizione senza senso.

Il ventre è il luogo in cui si raccoglie 19 tutto questo cibo che non rimanda ad
altro che a se stesso. Già a partire da Omero 20 , una ricca topica "ritaglia" e
isola dal corpo umano questo "recipiente", per fame la sede della "fame" 21
e l'origine delle azioni più perverse. Ed è questo l'organo che il parassita privile-
gia, lasciando che tutto il resto della sua persona venga fatto segno di scherzi
maneschi. Il parassita è un tutto-ventre. Ateneo 22 ci dice che il primo parassita
ce lo mostra Omero nel personaggio di Podés 23 , amico e commensale di Ettore;
e Podés - sottolinea Ateneo - morirà per mano di Menelao, trafitto, significati-
vamente, al ventre.
Ma pensare alla gastér, anche per una suggestione letteraria, è pensare alla
donna. Già Esiodo 24 aveva identificato il ventre con la donna, e rimandava a
due significati, la donna riproduttrice e la donna "consumatrice" (insomma, an-
che "parassita"); le due funzioni si sommavano creando cosi tutta l'ambiguità
di questa compagna dell'uomo. Nella commedia assistiamo a un fenomeno decisa-
mente diverso. Nella commedia, come poi nella palliata, il ruolo del parassita

236 ----------------------------
------------------------- ELISA AVEZZù

è ricoperto da soli maschi. Il maschio-parassita ha la sua controparte nella femmina-


pome-. consumazione del cibo e riproduzione vengono scissi, e la gastér-simbolo
contrassegna, disgiungendole, le due categorie e le rispettive funzioni.
La prima conseguenza di questa scissione - paradossale, se vogliamo, sapen-
do come e volentieri l'assunzione del cibo e l'esercizio del sesso siano interrelati 25
- è che il parassita si trova escluso dal sesso; quanto poi a innamoramento e
matrimonio, questi tratti esulano dalle regole del suo vivere. Emblematico il rac-
conto di una coppia "anomala" 26 ; un parassita vive con una donna vecchia che
lo mantiene; lei, che non può più riprodurre, fa si che il ventre di lui sia sempre
"gravido" (en gastrl lambànein, "concepire") 27 • Il ventre ormai infecondo della
donna si traspone nel maschio. L'arguzia e il motteggio rappresentano come con-
tigue le due funzioni in questa strana coppia, funzioni che poi si fondono in una,
quella della riproduzione, si, ma individuale: avremo in tal modo il "parassita-
ventre-che-consuma" (e non riproduce).
Cibo fine a se stesso, ventre che non riproduce: il parassita, escluso dal sesso,
non trova posto nella dialettica sottesa alla riproduzione del sociale. Il parassita
perde il proprio nome, e con questo l'identità sociale (non dimentichiamo che
tra i Oreci la persona veniva riconosciuta a tutti gli effetti mediante il nome segui-
to dal genitivo del nome del padre).
Sempre Ateneo raccoglie una serie di testimonianze sui "nuovi" nomi dati
al parassita 28 : nomi, che son nomignoli, dati a uno stesso personaggio. Identità
difficile e discontinua, conseguente alla varietà dei ruoli ricoperti occasionalmen-
te 29 : ora nome di cibo, da Gambero, ad Allodola, a Farina-di-pesce (somiglianza
fisica e comportamentale, o preferenza alimentare?), a Brodo - perché arriva
sempre per primo 30 -, e poi ancora Fulmine, Lampo, Terremoto, e via di segui-
to, nell'accondiscendere alle esigenze del momento. Al limite, il parassita viene
identificato con l'organo che mangia, con la Gola 31 ; meglio ancora con la Gana-
scia del padrone 32 , quasi che una funzione - quella dell'assunzione del cibo -
non sempre facilmente collocabile nella rappresentazione collettiva, fosse deferita
ben volentieri a un altro, un altro che, con i rapporti sociali riconosciuti, non
ha nulla da spartire.

Out-sider, senza famiglia, senza ricchezze (giacché il parassita gode in loco del
cibo e dell'agiatezza del padrone) 33 • senza personalità propria ma con una pelle
da camaleonte (per difendersi, si, ma dalla fame), il parassita elabora una propria
esegesi alimentare, che fa da contrappunto al sistema di consumazione riconosciu-
to dalla collettività. Lasciando la parte il trattatello di Luciano sull' "arte" del
parassita, tralasciando anche l'encomio di Diodoro di Sinope 34 , che pure, non
senza equivocare sul significato di philla, tentano una giustificazione teorica di
questa invenzione degli dei (ton theòn hèurema), mi limiterò a citare alcuni, pochi,
casi nei quali è possibile osservare un tentativo di riorganizzazione dei rapporti
sociali a partire dalla trophé.
Cosi, avremo una ristrutturazione del rapporto parentale - quello tra padre
e figlio, forse il più problematico per i Greci: «- Stratios, tu certo mi ami! -
Più di mio padre: lui non mi dà da mangiare, mentre tu si e con dovizia» 35 •
Ancora, assistiamo a una nuova teorizzazione della giustizia «nel far combaciare
il giusto con l'utile di chi lo sfama» 36 •
E poi una ritraduzione di "democrazia" (meglio un'abusio): «Il primo che

-----------------------------237
HOMOEDENS--------------------------

ha scoperto il modo di mangiare a spese altrui era, a ben vedere, un democrati-


co» 37, seguita da una proposta di legge: «Ma chi inviti a pranzo qualcuno, amico
o estraneo, per poi esigere un contributo, abbia l'esilio e perda tutti i suoi be-
ni» 38 , confermata del resto da un collage di passi euripidei 39 raccolto da Difi-
lo 40 • In fondo, conclude Timokles 41 , alludendo a un'altra categoria di aèisitoi 42 ,
quella dei benemeriti della città nutriti a spese pubbliche: «Dovunque non venga
imposto il pagamento, tali luoghi devono esser detti "printaneo"» 43 •
Si evince, da questi pochi esempi, che il parassita è prodotto di un particolare
momento storico, e di un preciso contesto cittadino, là dove si manifesta un primo
abbozzo di stato assistenziale "", e dove, ancora, i gruppi marginali si collocano,
con la loro esegesi alimentare, nello spazio della dipendenza dei poveri dai ricchi;
quella dipendenza che l'ideologia abilmente maschera con l'etica della liberali~
del dono, del beneficio 4 '. Se esiste un "dare", esiste anche, complementare, un
"ricevere", e se il ricco è sollecitato, proprio per questa sua ricchezza, a elargire,
il povero è necessariamente autorizzato a raccogliere. La lingua greca elabora,
per il fenomeno che stiamo indagando, una coppia di termini polari: al parasit~in
risponde il paratréphein 46 •
Il parassita è fenomeno prettamente ateniese. È significativo, a questo propo-
sito, ricordare i casi di parassiti che, per trovare spazio vitale, furono costretti
a uscire da Atene alla volta di altre grandi città greche: tornarono tutti scornati,
e più affamati che mai 47 • E, viceversa, i casi fortunati, quando in Atene capitava
qualche ricco straniero che, proprio perché straniero e ricco, con l'offerta di ricchi
pranzi, intendeva battere gli Ateniesi sul loro stesso campo, quello dell'elargizione"'·
Ma come è difficile parlare di ricchezza e di povertà se non in termini relativi,
cosi, sul piano pratico, l'etica del dono mostra dei cedimenti e delle resistenze
da parte di chi dona, soprattutto quando la richiesta mostra di dilagare. Non
credo sia estranea a questa atmosfera di disagio la funzione svolta da una magi-
stratura speciale, della quale sappiamo in verità molto poco 49 , quella dei gynaiko-
nòmoi, controllori del lusso cittadino, forse, ma forse anche esecutori di una legge
che limita il numero degli invitati a un banchetto ,o.
Ecco allora che, se queste sparute indicazioni denunciano un progressivo espan-
dersi della povertà e dell'accattonaggio, si presenta all'esperienza ateniese una nuova
grande alternativa: vivere a spese proprie/vivere a spese altrui. Al paràsitos si
contrappone l'oikòsitos (che pure è un'altra deviazione dall'ideologia dello scam-
bio), e Ateneo ' 1 ci mostra la polarità degli atteggiamenti in tre ambiti-chiave
della vita cittadina: l'assemblea, lo spettacolo, il matrimonio. Ma da questi tre
ambiti, credo, proprio per i termini impiegati, proprio per questo rimandare al
cibo, non possa andar disgiunto quello della consumazione alimentare, l'ambito
più intimamente legato all'uomo e alla sua forma esplicita di esistenza.

NOTE

I) Fr. 78 Preller, cfr. ATR. VI 17le. do le leggi patrie. Chi non voglia prestare il
2) ATBNBO(VI 234e) ci riferisce il testo del de- servizio di parassita, venga citato in tribunale
creto: «U sacerdote celebri i sacrifici mensili a questo titolo».
in compagniacon i parassiti. Questi siano se- 3) Dal che possiamo inferire che il passatoglo-
parati dai bastardi e dai figli di questi secon- rioso del parassita si colloca posteriormente

238 ----------------------------
---------------------------- ELISA A'VEZZÙ

alle leggi aulla cittadinanr.a. era famoso pel ventre insaziabile, / senza fi-
4) V. Cu!.ilco di Sou FOH Il 303. ne pronto a bere e 11.mangiare; né nerbo, né
5) Fr. 74.5 Kock. forr.a, I aveva, ma di corpo era grande e gros-
6) ATB. VI 235e. so e vederlo./ Ameo era il suo nome; questo
7) Fr. 96 Kaibel. gli diede la nobile madre / al suo nascere;
8) Fr. 367 Kock. ma i giovani tutti lo chiamavano lro, perché
9) Tnronm fr. 18 Kock. portava ambasciate, se lo mandava qualcu-
10) AxroNicus fr. 6 Kock. no» (trad. di Rosa Calzecchi Onesti).
li) AulxJs fr. 260 Kock. La vecchiaia porta con 30) Da un frammento di Aristofonte (4 Kock).
sé un'insanabile "bruttezza", che, al pari di 31) Pmnisr•ATBS fr. 32 Kock.
altri difetti, condiziona il parassita. Potrem- 32) ATB. VI 24Sa, che cita Linceo di Samo:
mo quindi ripetere la massima più geneale di «Quando Grillione era parassita del satrapo
Diftlo (fr. 63 Kock): «Non bisogna fare il pa- Menandro, e andava in giro come un elegan-
rassita se non si piace» (dysàrestos). tone e con tanto di seguito, Silano d'Atene
12) PI.. Resp. 420a. V. ancora Hou. Od. 18.357 gli chiese chi fosse, e Grillione rispose: "la
ss., dove l'alternativa proposta a Odisseo (che degna Ganascia di Menandro"».
ba preso il posto di lro) è tra thffeuémen (con 33) Nell'epistolario di Alcifrone leggiamo duri at-
misthds) e ptòssein. tacchi di parassiti ai loro compagni di mestie-
13) Cfr. Ara. VI 246f. Si v. ancora O. LoNoo, re che rubano suppellettili in casa del protet-
Lo spazio del piacere, in ALcinONE, Lettere tore (lii 16, cfr. EUPOLlllKola/ces fr. 1SS
di parassiti e di cortigiane, a cura di E. AVBZ- Kock), o che si portano via intere porzioni
zù e 0. ÙlNOO, Venezia, 1985, 9-41, pp. 17-18 di avanzi (lii 20). La loro "etica" non preve-
su questa cessione del proprio corpo come «al- de l'accumulazione, ed è proprio sotto que-
tra forma, assaipiù perversa, di "scambio"» sto riguardo che si differenzia da quella dei
in una dimensione, quella del banchetto, ca- rdosofi, loro antagonisti per definizione: cosi
ratterizzata da una costante circolazione e ri- si v. come il mittente di Ili 19 sottolinei la
cambio di offerte. grossolanità del cinico Pancrate, che porta,
14) bomus fr. 1 Kock. appesa alla cinta, una bisaccia vuota per gli
lS) De para.sito 14. avanzi.
16) Cfr. O. LoNoo, Lo spa:.io, cit., p. 19. 34) Fr. 2 Kock.
17) V. p. es. PI.., Tim. 73a. 3S) AulxJs fr. 202 Kock.
18) Fr. 420 Kock, da ATB. VI 248b. 36) TnronES fr. 8 Kock.
19) DIPBD.us fr. 60 Kock: «Non vi è nulla di più 37) EUBULus fr. 72 Kock.
sciagurato del ventre, nel quale tu puoi conti- 38) lbid.
nuare a gettare roba, come in nessun altro 39) Fr. 41S N2 e I.T. S3S.
recipiente.» 40) Fr. 73 Kock.
20) Si v. p. es. Od. 7.216, 17.287, 473, 18.S4. 41) Fr. 8 Kock.
21) Cfr. Pnm. lsthm. l.69 ss. Esperienza origi- 42) Cfr. HBsYce. s.v.: ho eph'hekt>stehemba en
naria, quella della fame, spettro che popola to prytanoo deipnòn.
la fantasia dell'uomo. Ricordiamo l'oracolo 43) Questo non esclude che, talvolta, anche il pa-
antico cui gli Ateniesi rivolgono la loro at- rassita faccia mostra di giocare nella dimen-
tenzione nel momento della peste (TBuc. Il sione del ricambio delle offerte. MENANDRO
S4.2-3): «I Dori porteranno la guerra, e con (fr. 320 Kock) ricorda l'astuzia di Cherefon-
questa verrà la fame», fame (limds) che, sot- te, che fece intendere di voler celebrare a ca-
to il segno del male presente, diventa "pe- sa sua una ierogamia, a mese inoltrato, per
ste" (loimds). essere preventivamente invitato in casa altrui.
22) VI 236d. 44) Per altri aspetti di questo fenomeno, sotto il
23) Il. 17.S75. profilo della procedura giudiziaria, nonch~
24) Th. S99, 60S, Op. 374, 704. quello della ritraduzione dei termini di paren-
25) Cfr. o. LoNOO, Lo spa:.io, cit., pp. 22-23. tela, mi permetto di rimandare al mio li lessi-
26) Ara. VI 246b-c. co della parentela in Platone, Atti dell'Ist.
27) Per il ventre-utero "maschile" del parassita Ven. di SS.LL.AA. 142 (1983-84), 30S-3S.
si v. PI.AUT.Stich. lSS ss.: «Mi porto dentro 4S) Si v. O. LoNoo, Liberalità, dono, gratitudi-
nell'utero (in utero) una fame tutt'altro che ne:ira Medioevo cortese e Grecia antica, in
minima.» Letterature comparate. Problemi e metodi.
28) VI 238 passim. Studi in onore di E. Paratore, Bologna, 1981,
29) Si v. un illustre precedente in Omero (Od. 1043-61, pp. I0S2 ss., e Lo spa:.lo, cit., pp.
18.2-6) a proposito di lro, l'accattone, che 19-20.
vive di rimasugli alla tavola dei Proci: « ... 46) Si v. p. es. TJKonss fr. 8 Kock.

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HOMO EDENS-----------------------------

47) Nell'epistolario di Alcifrone si v. p. es. le let- 49) Si V. c. WBHlll, La gyn«onoma, MH 19


tere III IS e 24. (1962), 33-38, con bibliografJa e indice delle
48) Cfr. ALcYPH. III 22 e 29; in quest'ultima, il fonti antiche. Si tratterebbe di un 'istituzione
mercante d'Istria, arrivato di fresco, «ha sma- estesa a molte città del mondo greco, sia pu-
scherato i ricchi e munifici di Atene, mostran- re con vari caratteri e varie funzioni.
doli spilorci e micragnosi, tanto apre la sua SO) Am. VI 24Sa.
borsa per fare doni». SI) VI 247-48.

240 --------------------------------
QUINTA SESSIONE

LE DIETE
Presidente:
Dario Sabbatucci
DIETA CARNEA E VEGETARIANESIMO
di· Dario Sabbatucci

La classificazione degli animali in carnivori (che uccidono) e in erbivori (che ven-


gono uccisi) comporta una valutazione comparativa dei due regimi alimentari e
il suo inserimento in quel sistema di valori che chiamiamo cultura. Da un altro
punto di vista: ci si serve della contrapposizione carnivori/ erbivori per esprimere
determinati _valori. Positività o negatività dei due termini di confronto varia a
seconda delle culture, delle circostanze, delle scelte personali nell'ambito di una
medesima cultura e nelle medesime circostanze; donde si costituiscono coppie tipo
lupo/agnello contro la violenza, ma anche coppie come pecora/leone contro la
vigliaccheria. Tanto per dire: i sostenitori della dieta vegetariana, anche quando
ne decantano i vantaggi per la salute (e riescono persino a dimostrarlo scientifica-
mente!), in realtà non fanno che proporre o difendere valori di cui il vegetarianesi-
mo è portatore. D'altra parte ogni cultura si è posto il problema di giustificare
il nutrimento carneo senza dovere per questo identificare l'uomo con i fcroci car-
nivori.
Facciamo il caso del modello umano che, nell'America settentrionale, è costi-
tuito dal cacciatore di bisonti. Qui si è rinvenuto nel coyote, protagonista di nu-
merosi miti, un modello che sfugge alla classificazione generale: è un carnivoro
che si comporta da erbivoro, ossia non uccide per mangiare (la carne), ma si
nutre di carogne (carne uccisa da altri). Lévi-Strauss ha appunto rilevato la fun-
zione del coyote quale mediatore (mito-)logico tra due modi di vita (o di cibarsi
per sopravvivere) polarizzati rispettivamente dagli erbivori e dai carnivori 1•
L'uomo per mangiare carne senza uccidere, dunque dovrebbe comportarsi
come il coyote; ma il coyote dei miti è un modello negativo, ridicolo; rispetto
al coyote il cacciatore di bisonti diventa un modello positivo anche se uccide per
mangiare. Per esempio, un mito apacheracconta di Coyote che vorrebbe imitare
Bisonte il quale è capace di trasformare l'erba in carne; lo fa infilando un baston-
cino nelle narici e ottenendo cosi certo grasso che, colato sull'erba, la fa diventare
carne; Coyote riesce soltanto a far sanguinare il suo naso 2 • Ora se Coyote prende
inutilmente lezioni da Bisonte per trasformare vegetali in carne, l'uomo trasforma
utilmente i bisonti in cibo carneo.
Prendiamo un'altra area culturale: quella melanesiana, dove soprattutto il
maiale e il sago polarizzano rispettivamente il regime carneo e quello vegetariano.
Qui la contrapposizione tra i due regimi si cala nella contrapposizione tra maschi

-----------------------------243
HOMO EDENS--------------------------

e femmine e cosi viene vanificata la possibilità di una identificazione con carnivori


ed erbivori. In sostanza anche le donne mangiano il maiale, ma non lo uccidono,
come, d'altra parte anche gli uomini mangiano il sago, ma non lo preparano.
È come se i maschi fossero carnivori e le femmine erbivore; ma questo che vale
per la specie umana non trova riscontro in nessuna specie umana. Il "come se"
è espresso da miti. Per esempio, in un mito dei Marind-anim (Nuova Guinea),
una donna mangia del maiale e defeca il primo sago 3, in un mito dei Kiwai (Ool-
fo di Papua), un uomo mangia sago e defeca il primo maiale 4 •
Altre culture hanno risolto il problema proibendo di mangiare alcuni animali:
ciò è bastato a distinguere l'uomo dai carnivori. O lo hanno risolto equiparando
mietitura e uccisione: con ciò hanno vanificato l'"innocenz.a" degli erbivori. O
si è fatto ricorso a riti espiatori dell'uccisione: sia di quella propria degli animali,
sia di quella impropria dei vegetali. Il sacrificio, infine, implicante gli dèi nell'a-
zione umana, è diventato il rito espiatorio per eccellenz.a nei politeismi antichi.
Ma dall'antichità è giunto a noi ·anche il rifiuto radicale della dieta carnea: il
vegetarianesimo come rifiuto della condizione umana 5 •

NOTE

1)CI.. UvJ-SUAUSS, Antropologia stn,ttllrak, Sild-N~IMa, II, Amburs,1922, p. 152.


trad. it. Milano 19683 , pp. 251 su. 4) R. PIITTAZZONJ-V. LANTDNAU,Mili e iegga,-
2) M. E. OPLBll, Myths and ugends o/ tM Li- de, II, Torino, 1963, p. 174.
pan Apache lndlons, New York, 1940, pp. S) D. SABliTUCCJ, Saulo sul misticismo gm:o,
139 sgg. Roma, 1965, pp. 69-13.
3) P. WlllZ, Die Marlnd-anim l'On H6llllndùch-

244 -----------------------------
LE MODIFICAZIONI DELLA DIETA
NEGLI ULTIMI SECOLI. POSSIBILI
IMPLICAZIONI IN PATOLOGIA UMANA
di Ottavio Bosello e Tiziana Todesco

In senso biochimico e fisiologico l'uomo non è un animale particolarmente "mo-


derno". Egli condivide infatti meccanismi adattativi che erano già stabiliti durante
il Pleistocene nei primi ominidi, molti dei quali erano prevalentemente erbivori.
Le funzioni fisiochimiche degli alimenti in genere e delle fibre alimentari in parti-
colare nell'ambito della fisiologia e della fisiopatologia dell'apparato digerente uma-
no non si sono certo sviluppati "de novo" nell'uomo, ~a erano viceversa comuni
a tutti i primati e a molti altri vertebrati terrestri.
L'importanza di confrontare l'alimentazione dei nostri antenati con l'alimen-
tazione odierna è emersa quando alcuni studiosi hanno messo in evidenza la corre-
lazione tra le principali malattie dell'uomo "moderno" - obesità, diabete melli-
to, arteriosclerosi, stipsi, diverticolosi, cancro del colon-retto e disturbi cardiova-
scolari - con la progressiva riduzione della assunzione di fibra con la dieta.
Negli ultimi secoli l'incidenza della patologia degenerativa è progressivamente
aumentata, mentre si è assistito al decremento della patologia infettiva. In Italia,
attualmente, oltre il SOOfo dei decessi è attribuibile a malattie cardiovascolari (80.000
casi all'anno di morte per infarto del miocardio). Questo tipo di patologia colpisce
in modo prevalente il mondo occidentale rispetto ai paesi del terzo mondo al pun-
to che era stata ipotizzata una componente genetica; ipotesi peraltro smentita da
uno studio eseguito sulla popolazione americana che non ha evidenziato alcuna
differenza fra individui di razza negra e di razza bianca. La patologia cardiovasco-
lare è dunque legata all'ambiente inteso come "stile di vita" e "comportamento"
alimentare: è ben evidente che tali aspetti sono profondamente mutati nei secoli.
Lo studio delle abitudini alimentari dei nostri progenitori è sempre stato mol-
to arduo. Con l'avvento di metodiche assai sofisticate di sezionamento, microsco-
pia elettronica e tecniche di dissoluzione dei materiali mineralizzati si sono potuti
studiare i coproliti umani e risalire in questo modo ai principali componenti della
dieta dei nostri antenati. I coproliti sono stati studiati in diverse regioni quali
West- America, Salts caves in Kentucky e da centri in Messico Centrale e Perù 1•2 •3
Sfortunatamente dai risultati dei primi studi non emerse l'importanza della
rilevante percentuale di fibre trovata analizzando i coproliti e solo eccezionalmente
sono stati riportati questi valori in letteratura. La più grande serie di analisi sui
coproliti è stata condotta da Heizer e collaboratori dell'Università di Berkeley
in California sui campioni derivati da Lovelock Caves: il contenuto di fibre di

-----------------------------245
HOMO EDENS --------------------------

una larga serie di questi campioni era del 25f/o-34f/odell'originale dieta secca 2 •
Un altro studio eseguito nel deserto del West-America ba riportato le stesse
percentuali •. Altre ricerche quali quelle svolte relativamente ad alcune zone del
Texas, Messico e Perù hanno dimostrato la presenza di alte quantità di fibre nel-
l'alimentazione •. 5 • Bisogna inoltre considerare che nella dieta dell'uomo moderno
sono stati eliminati cibi quali uccelli, roditori, insetti che avevano una quantità
di tessuti indigeribili, in grado di rappresentare in nutrizione umana le stesse carat-
terische di cellulosa, emicellulosa e lignina. È questo il caso dell'idrossiapatite
delle ossa, la cheratina della pelle, la acetilglucosammina e la cheratina della cuti-
cola degli insetti.

Le modificazioni della dJeta


La paleontologia, mediante lo studio dei coproliti, ha potuto svelare il ruolo delle
fibre nell'alimentazione attraverso i secoli. Si calcola che i nostri progenitori, fmo
a un milione di anni fa, assumessero 130-150 grammi di fibra al giorno (fig. /)
nell'ambito di una dieta quasi completamente vegeteriana 6 • In tale contesto nutri-
zionale l'apparato gastroenterico sarebbe stato dotato di un sistema colico capace
di digerire le fibre introdotte con gli alimenti.

Flpra 1 - Modlllcuionl del co■tnato la fibra nel cerall della dletJI(da Db, (6) )

26

HUNTER-GATHERERS(whole,
parched, pounded)
...J
Amaranthus
~ 20 Chenopodium
~ Rumex
i
:::Ili
16
Panicum

NEOUTHIC AGRICOLTURE
8: 14
Einkorn wheat
(parched, atone ground, popped)
~ 12 Emmerwheat
!z 10 Panicum (millet) DISPERSALOf NEW WORLD CAOPS
w Modem• Triticum (wheat)
!z 8 Hordicum (barley) INDUSTRIAL REVOLUTION
o (stona miUed)
o 6 ESTABLISHMENOF NEW WORLD CROPS
a: Potato & Sweet Potato
~ 4 Sweet Com• Zea (3.1-4.0) STEEL ROLLER MILLING
u::
2 Rye bread (0.5) EXTRACTIONANO PURIACATION
White bread 0.15-0.24)

lo' 103 10 o
YEARS BEFORE PRESENT
(Log Scale)

Dall'inizio dell'ultimo secolo, in virtù delle moderne tecniche di raffinazione,


la fibra cereale non fa più parte della nostra alimentazione (fig. 2). Inoltre, dal
1700 circa, le metodiche di lavorazione della barbabietola e della canna da zucche-
ro hanno portato a un incremento progressivo dell'introito alimentare di zucchero 7•
Le modificazioni dietetiche che si sono configurate negli ultimi secoli nd mondo
------------------ OTTAVIO BOSBLLO E TIZIANA TODESCO

Flpra 2 - Modlllcaloal Ilei comaal di cultoldrad dal fnmeato, patate e IIICCllero (da Barldtt e
TnnnB, m. >

500

400

ii 300
tii

~
l 200

100

Sugar

1750 1800 1850 1900 1950

occidentale sono speculari alle differenze attualmente esistenti fra la dieta dei pae-
si cosiddetti "poveri", quali paesi africani e del Sud Est asiatico, e dei paesi cosid-
detti "ricchi", cioè mondo Europeo e del Nord America. Nei popoli "poveri"
la percentuale in carboidrati complessi costituisce 1'800fodella dieta mentre nel
nostro paese e nel mondo occidentale in genere rappresenta meno del 400fo.L'uso
dei grassi animali è praticamente inesistente nei paesi ''poveri'' mentre costituisce
buona parte della dieta nei paesi "ricchi". Nel nostro paese vengono inoltre as-
sunte eccessive quantità di proteine animali rispetto ai paesi del Terzo Mondo.

Le fibre alimentari
Le fibre sono contenute in tutti i prodotti della terra e sono quella parte delle
sostanze alimentari che non vengono idrolizzate dagli enzimi secreti nella prima
parte del tratto gastrointestinale. La fibra alimentare di maggior consumo attuale
è quella contenuta nella cuticola esterna della cariosside di frumento ed è nota
con il nome di crusca. Dal punto di vista della composizione e degli effetti di
ordine chimico-fisico le fibre si differenziano in due grandi gruppi: le fibre cosid-
dette idrofile e le fibre capaci di formare gel (tab. I).
Le fibre di tipo prevalentemente idrofilo come la cellulosa e l'emicellulosa
hanno principalmente la funzione di trattenere acqua e di aumentare il contenuto
intestinale; l'altro tipo di fibre quali pectine, gomme, mucillagini, guar, amilosio,
raffinosio, hanno la caratteristica di formare dei "gel", avendo caratteristiche
fisico-chimiche simili, per certi aspetti, alle resine a scambio ionico.
Le fibre hanno diversi meccanismi di azione e soprattutto aumentano la mas-

----------------------------- 247
HOMO EDENS---------------------------

Tahella 1 - Composbioaedelle ftbre alimentari

Fibre idrofile
Cellulosa Polimero del glucosio
Emicellulose Polisaccaridi
Lignina Polimero aromatico

Fibre gel-forming
Pectine Acido poligalatturonico•
Gomme Polisaccaridi
Mucillagini Polisaccaridi
Guar Gum Galattomannano•
Oligosaccaridi Amilosio• e Raffinosio•

• Legami alfa-1,6 Galattosidici

sa intestinale diluendo quindi il contenuto intestinale, hanno capacità di sequestra-


re i nutrienti (specie il colestorolo), rallentano lo svuotamento gastrico, aumenta-
no la velocità di transito intestinale. Si è osservato che in soggetti con alimentazio-
ne ricca in fibre rispetto a soggetti con alimentazione povera, oppure in soggetti
che hanno sostituito la primitiva alimentazione con una ricca in fibre, si configu-
rano modificazioni importanti per quanto riguarda le strutture macroscopiche e
microscopiche sia del grosso che del piccolo intestino.
Le fibre di tipo idrofilo sono importanti nella cura della stipsi, oggi molto
diffusa. La stipsi infatti si correla al peso delle feci che viene aumentato con l'as-
sunzione di fibra. Già Ippocrate, nel 400 a.e., segnalò l'importanza delle fibre
contro la stipsi e descrisse il ruolo dei cereali; questi concetti furono ripresi nel
900 d.C. dal fisico persiano Hakim. Shakespeare riferl dell'azione delle fibre nel
suo Coriolanus nel 1610. Nel 1900, Graham e Burne 8 in Gran Bretagna hanno
segnalato l'importanza delle fibre nel combattere la stipsi.
Lo studio delle fibre nei primi 50 anni del ventesimo secolo rivelò solo occa-
sionale interesse, e poche furono le pubblicazioni scientifiche: le fibre furono rele-
gate a una marginale posizione fra i nutrienti. Bisogna ricordare che questi sono
stati gli anni di maggior interesse verso vitamine, minerali e altri nutrienti: sostan-
ze che non potevano essere digerite dagli enzimi umani, quali le fibre, non appari-
vano importanti a nutrizionisti, fisiologi e fisici 9 •
Nel 1920, Mc Carrison 16 pose attenzione sull'assenza delle più comuni pato-
logie dell'uomo "moderno" in individui di tribù del North India, che egli attribuì
all'assunzione di cibi grezzi oramai scomparsi, date le tecnologie avanzate di raffi-
nazione, nei paesi sviluppati. Nella stessa decade di anni, John e Harvey Kelogg
misero in evidenza anch'essi i danni provocati dall'impoverimento in fibre della
dieta 11; nel contempo Cowgill e Anderson dimostrarono l'azione lassativa della
fibra contenuta nel grano 12 • Negli stessi anni Albuthnot Lane, chirurgo inglese,
sottolineò le anomalie anatomiche e i danni del ristagno delle feci a livello del
colon 13•
Nel 1930, Bimnock, un fisico britannico, riportò i suoi studi sul beneficio
delle fibre contro la stipsi 14 • Negli anni che seguirono alcune correlazioni epide-
miologiche eseguiteda Cleave in Gran Bretagna 15 e da Trowell in Africa, attribui-
rono azione protettiva ai carboidrati non raffinati contro le infezioni dell'intesti-

248 ------------------------------
------------------ OTTAVIO BOSELLO E TIZIANA TODESCO

no 16 • Questi furono gli anni in cui si sviluppò una rapida evoluzione nello studio
delle fibre, anni in cui si incominciò a dare importanza scientifica alle fibre ali-
mentari.
Ma il ruolo della fibra non si esaurisce agli effetti sulla regolarità dell'alvo;
infatti sono stati riscontrati importanti risvolti metabolici in soggetti nei quali la
dieta è stata arricchita di fibra. In particolare è stata riscontrata la riduzione della
glicemia a digiuno, dopo un pasto e dopo carico orale di glucosio; contempora-
neamente si è potuta osservare una relativa diminuzione della insulinemia. Nei
pazienti affetti da diabete insulino dipendente è stata segnalata la riduzione del
fabbisogno insulinico.
Per quanto riguarda l'azione della fibra alimentare sui lipidi ematici, dagli
studi effettuati in tal senso è emersa la significativa diminuzione della colesterole-
mia e della trigliceridemia; le dimensioni delle lipoproteine VLDL e dei chilomi-
croni circolanti sono risultate aumentate, con conseguente miglior possibilità di
metabolismo periferico per opera dei rispettivi enzimi. Questi effetti metabolici
sono dovuti in parte a una specie di effetto barriera svolto dalle fibre a livello
del rapporto tra enzima e nutrienti; vi sarebbe un aumento del tempo di assorbi-
mento in concomitanza a una scarsa riduzione dell'assunzione dei macronutrienti.
Molto importanti paiono anche le modificazioni strutturali che si manifestano a
livello della mucosa gastrointestinale in seguito ali' assunzione di una dieta ricca
di fibre 17•

Le proteine
Il fabbisogno proteico per sesso e per età, in condizioni fisiologiche o in situazioni
particolari, nell'uomo sano e nell'uomo malato è un aspetto della scienza dell'ali-
mentazione da sempre molto dibattuto. Il "problema" delle proteine e il "mito"
relativo che ne è derivato appartiene, almeno per il mondo occidentale, al tempo
passato quando le disponibilità e quindi i consumi alimentari della popolazione
erano tali da potersi configurare vere e proprie carenze proteiche.
Oggi la situazione è diametralmente opposta: i risultati delle indagini statisti-
che assegnano agli italiani un consumo medio quotidiano di proteine almeno dop-
pio rispetto ai valori raccomandati dalla Organinazione Mondiale della Sanità
(fig. 3). Sin all'inizio di questo secolo l'alimentazione della specie umana era ca-
ratterizzata dai prodotti della terra, soprattutto cereali, poi legumi e ortaggi vari;
il latte, le uova e i formaggi venivano in seconda istanza, mentre le carni erano
riservate alle classi più agiate. Gli animali cosiddetti da macello erano, allora,
indispensabili per il lavoro o per la guerra, mentre gli allevamenti non erano parti-
colarmente sviluppati.
L'evoluzione tecnologica ha modificato le abitudini, le necessità e soprattutto
le disponibilità. La possibilità di mangiar carne tutti i giorni è rapidamente diven-
tata simbolo di benessere e l'incremento dei consumi proteici ne è stata la inevita-
bile conseguenza. Nel 1983 in Italia il consumo medio di proteine pro-capite è
risultato di oltre 100 grammi al giorno. Tenendo conto che per un soggetto adulto
il fabbisogno raccomandato è di circa 0.8 g/kg di peso corporeo al giorno, è
facile calcolare la discrepanza tra il consumo e il fabbisogno 18 •
Si ricordi che l'organismo utilizza le proteine di cui necessita ed elimina il
superfluo per via renale: il carico di lavoro che deve essere espletato dal filtro
renale per l'escrezione di tali scorie proteiche è ovviamente proporzionale alla quan-

----------------------------- 249
HOMO EDENS--------------------------

l1pra 3 • ModJlkulonl del COBIUIO di proteine la Italia dal dopoperra ad oaf. Eabonzioae
a cara della anltà di m1lldca deD'INN.

EVOLUZIONEDEL CONSUMOPROTEICOIN ITALIA

-VEGETALI
MW ANIMALI
120
Q)

i·w 90
'5
li
'6
60

i
o
30

LARN 1952/54 1962/64 1972/74 1982/84

tità di proteine assunte con la dieta. Esistono dati sperimentali e clinici i quali
depongono per la compromissione della funzionalità renale in condizioni di pro-
tratto, eccessivo introito proteico.
Una dieta ricca in proteine è caratterizzata dal consumo prevalente di carni
e di altri cibi animali quali uova, salumi e soprattutto fonnaggi; tali cibi sono
ricchi in grassi (i cosiddetti grassi non visibili) che, notoriamente, sono costituiti
da acidi grassi saturi e perciò dannosi dal punto di vista metabolico perché favori-
scono l'incremento dei livelli ematici del colesterolo. Perciò il progressivo incre-
mento del consumo di cibi di derivazione animale, ricchi in proteine, è uno dei
fattori che ha condotto allo sviluppo della patologia del benessere.
Inoltre dieta iperproteica e di conseguenza iperlipidica significa dieta povera
in carboidrati, i quali invece devono costituire la base dell'alimentazione. È infine
da ricordare che il contenuto proteico di cereali e legumi è di tutto rispetto: so-
vrapponibile se non maggiore alla stessa carne. 100 g di manzo contengono 20
g di proteine, 100 g di pasta circa 13-14 g e 100 g di legumi possono anche supera-
re i 20 g di proteine. A questo proposito è da citare quanto pubblicato nel 1981
dai massimi organismi internazionali che si occupano di alimentazione e salute
- Oms, Fao e Unesco - su "santé du monde": «È falso che le diete a base
di cibi vegetali indeboliscano il fisico e non favoriscano la crescita ( ... ). È falso
che la maggior parte dei sistemi di alimentazione dei paesi in via di sviluppo man-
chi di proteine. La malnutrizione esiste solo laddove manca il cibo in assoluto.
Quando la quantità è sufficiente, l'alimentazione tradizionale, prevalentemente ve-
getariana fornisce tutte le proteine necessarie per un perfetto equilibrio dell'or-
ganismo».
Si può quindi affermare che quando la dieta è particolarmente ricca in protei-
ne, specie di origine animale, comporta una serie di fattori negativi che devono
essere corretti, considerando anche che l'introito attuale di proteine è molto al
di sopra del necessario.

250 ---------------------------
------------------ OTTAVIO BOSBLLO E TIZIANA TODESCO

L'eceeuo di calorie e l'obesità


Un dato di rilevanza anche sociale che macroscopicamente colpisce l'osservatore
di una qualsiasi contrada del mondo occidentale è l'impressionante, progressivo
incremento del peso corporeo della popolazione. Sembra facile affermare che tale
fenomeno è dovuto all'eccesso di calorie assunte quotidianamente, ma lo studio
dell'andamento dell'introito energetico negli ultimi decenni fa rilevare che esso
è andato lentamente ma progressivamente diminuendo. Questo dato può sembrare
strano, ma non stupisce se si pensa all'entità del progresso tecnologico configura-
tosi nell'ultimo secolo con le ovvie implicazioni a livello di "spesa" energetica
individuale. L'uomo di oggi forse mangia meno dei suoi nonni ma sicuramente
esplica un tipo di attività che ba un costo calorico di gran lunga inferiore: l'ineso-
rabile conseguenza è l'incremento del peso corporeo.
Si configura però un interrogativo cui ancora non si è data risposta precisa:
qual è il peso migliore, qual è il peso ideale? Dal punto di vista clinico si considera
peso ideale quello che comporta la maggior aspettativa di vita 19•20 •21 • Questo però
non può dipendere dall'età perché a questo aspetto, pur fondamentale, è legato
il peso cosidetto "normale" cioè quello medio della popolazione. Ma peso "nor-
male" e peso "ideale" non sempre coincidono: al contrario, come si è detto,
attualmente nei paesi del mondo occidentale il peso medio della popolazione è
chiaramente in eccesso e tale fenomeno si esaspera con il passare degli anni.
Valori attendibili di peso ideale possono essere stabiliti solo dall'osservazione
per molti anni del comportamento di una determinata popolazione. Solamente
con tale metodo "longitudinale" è possibile desumere l'eventuale rapporto tra
peso corporeo e sopravvivenza. Da questo tipo di indagini sono state ottenute
delle tabelle le quali prevedono i valori di peso corporeo (per sesso e per altezza,
indipendentemente dall'età) che consentono la miglior aspettativa di vita 20 •
Esiste un altro indicatore di peso ideale cui fare ricorso e che confrontato
con quello delle tabelle delle Compagnie di Assicurazione consente di stabilire
un ragionevole traguardo per i trattamenti dimagranti. Si è infatti potuto osserva-
re che il peso ideale medio per soggetti di determinati sesso e altezza corrisponde,
pur assai grossolanamente, al peso degli stessi all'età di circa vent'anni 21 •
Se dall'esame e dall'anamnesi del soggetto considerato esiste tale corrispon-
denza, è usualmente possibile tenere in considerazione questo valore quando si
vuole correggere l'eccesso ponderale. Quando però il peso dei vent'anni risulta
sensibilmente maggiore di quello "ideale", è assai verosimile che quest'ultimo non
potrà mai essere raggiunto. Cercare di ottenere un peso ragionevole significa quin-
di cercare di avvicinarsi al peso "ideale" o a quello dei vent'anni, tenendo ben
presente che se è comodo avere un valore ponderale cui tendere, è molto più
importante correggere le complicanze dell'obesità piuttosto che raggiungere il peso
ideale 19 •

I Upidi e l'arteriosclerosi
Il problema più importante dell'alimentazione moderna è la quantità di grassi
che vengono assunti quotidianamente. Dal raffronto della dieta attuale dei paesi
occidentali con la stessa dell'inizio del secolo emerge che il consumo di grassi
è raddoppiato: non superava allora il 200'/o-250'/o
della quota calorica mentre oggi
7
ne rappresenta oltre il 400'/o •
Bisogna ricordare che i grassi alimentari possono essere suddivisi grossolana-

--------------------------- 251
HOMO EDENS--------------------------

mente in visibili e non visibili; i primi sono soprattutto quelli adoperati per i con-
dimenti (olio, burro, strutto e margarina) e i secondi quelli contenuti nel contesto
dei cibi. Questi ultimi possono anche essere "visibili" come ad esempio nei salu-
mi, ma per lo più non sono apprezzabili macroscopicamente: è questo il caso
delle carni e soprattutto dei formaggi.
Deve essere ricordato che l'apporto energetico dei lipidi(= grassi) è più che
doppio rispetto a quello degli altri nutrienti, cioè i carboidrati e le proteine (9
calorie per grammo è il valore calorico dei grassi, mentre carboidrati e proteine
danno 4 calorie per grammo): un cucchiaino di olio ha lo stesso contenuto calori-
co di una rosetta o di una porzione di pesce. Inoltre, è importante non dimentica-
re che dal punto di vista strettamente energetico, non esiste differenza tra grassi
animali (es. burro e strutto) e grassi vegetali (es. olio e margarina). Si commette
un errore madornale quando si crede che l'uso dell'olio in luogo del burro dia
vantaggi dal punto di vista calorico. Gli olii vegetali sono lipidi "puri" e perciò
rappresentano l'alimento a "massimo" contenuto energetico.
Pur considerando che anche i cibi vegetali contengono lipidi in quantità ap-
prezzabili, sono soprattutto quelli di derivazione animale che "costringono" al
maggior consumo di grassi. Anche le carni più magre hanno purtroppo quantità
notevoli di grassi commisti alle fibre muscolari: è questa la conseguenza degli
allevamenti intensivi, nei quali gli animali vengono tenuti in "batteria" e non
hanno alcuna possibilità di muoversi e di consumare il grasso dei muscoli. Nei
formaggi il contenuto di lipidi è parte integrante dell'alimento e può essere più
o meno elevato in relazione al tipo di lavorazione. È da sottolineare a questo
proposito che non possono esistere formaggi magri poiché il contenuto in grassi
non è mai inferiore al 200Jo:la "mitica" mozzarella, protagonista di molte diete
dimagranti, ha contenuto calorico che, a parità di peso (100 g), è quasi sovrappo-
nibile a quello di una porzione di riso o di spaghetti.
Una dieta ricca di grassi è una dieta prevalentemente costituita da cibi di
origine animale e quindi anche a elevato contenuto proteico. Come si è già detto,
tale tipo di dieta è di conseguenza a basso contenuto glicidico. Senza voler consi-
derare le sue conseguenze metaboliche, questo tipo di dieta rappresentata l'errore
nutrizionale più tipico dell'era moderna e, forse, il maggior responsabile dell'ec-
cessivo introito calorico 7 •
Se i grassi (o lipidi) sono i nutrienti più ricchi in calorie e quindi i più "peri-
colosi" dal punto di vista energetico, non va però dimenticato che è importante
anche quale tipo di "grasso" viene consumato, perché dalla loro eccessiva, erro-
nea assunzione possono derivare gravi conseguenze per l'organismo.
È ormai noto che esistono stretti rapporti tra tipo di grassi e metabolismo
dei lipidi e del colesterolo in particolare 18• Una dieta ricca in grassi animali deter-
mina un innalzamento dei livelli ematici del colesterolo, mentre una dieta ricca
in grassi vegetali è in grado di ridurli. Si è potuto dimostrare che esiste un signifi-
cativo rapporto tra contenuto in grassi animali nella dieta e incidenza di patologia
coronarica (/ig. 4). Al contrario l'abitudine di consumare olii vegetali si associa
al trascurabile rischio di cardiopatia ischemica 22 • Da ciò si è sviluppato "il mito"
della dieta mediterranea, confondendo però abitudini di vita con tipo di dieta
e consumi di carboidrati (da favorire) con consumi di lipidi (da controllare co-
munque).
Al di là dei loro effetti metabolici gli olii vegetali sono sempre dei grassi

252 -----------------------------
------------------ OTTAVIO BOSBLLOB TIZIANA TODESCO

F1pra 4 • Nel pwi qall la li'lnla....._(E, W) e sUUSA (U), doff la dieta ~ pii ricca dJ pwl
....,. (~ dJ derlffZlo~ --·••>
Il COIIIIIIIIOdJ ..............
pii elmlta ~ l'blddeaa dJcanUopada coroaarica.Qaudo .....
" moderato,eoae .... llole dela Grecia (G, K), .. corouopada ~
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@Montegiorgio, ©SlaYona, @~ ferrovie t<rana.@ovest


0ve1111a Finlandia0 Zrenjanin

a "massimo" contenuto calorico, per cui anche quelli a miglior contenuto in acidi
grassi possono sempre essere responsabili di una dieta ipercalorica con tutte le
ovvie conseguenze.

I carboidratie D diabete
Si è già detto che sin all'inizio del 1900 la dieta dell'essere umano era prevalente-
mente costituita da alimenti di origine vegetale, ricchi in carboidrati complessi
(cioè amido), povera di zucchero e ad alto contenuto in fibra alimentare 7 • Queste
caratteristiche alimentari sono mantenute nei paesi in via di sviluppo mentre in
quelli a elevata tecnologia il consumo di cibi contenenti carboidrati in generenon
è superiore al 400fo.In particolare il consumo di amido è sceso a livelli del tutto
insufficienti per un buono stato di salute 7 •
Non è definibile con esattezza l'ammontare di carboidrati necessario quotidia-
namente all'organismo umano poiché, ovviamente, esso dipende in gran parte dal
grado di attività fisica. È però noto che al di sotto di 100 grammi al giorno si
manifestano negative conseguenze metaboliche, per cui è verosimile che ne siano
indispensabili almeno 150 grammi e, utili, circa 300. Se l'apporto alimentare di
carboidrati è deficitario, l'organismo li deve fabbricare: questo fenomeno si chia-
ma neoaiucogenesi e comporta una vasta serie di modificazioni endocrino-

----------------------------- 253
HOMOEDENS--------------------------

metaboliche sovrapponibili a quelle dello "stress" e perciò non favorevoli per


uno stato di benessere.
Uno dei motivi per cui i carboidrati sono indispensabili all'organismo è il
fatto che il cervello non ba possibilità alternative per il suo fabbisogno energetico,
a differenza ad esempio del muscolo che utilizza anche gli acidi grassi: il cervello
consuma quotidianamente almeno 80 g di glucosio.
Si è già detto che una dieta ricca in grassi e proteine è automaticamente pove-
ra in carboidrati e viceversa. È difficile stabilre con esattezza quanta parte del
danno di una dieta povera in carboidrati derivi dalla carenza di quest'ultimi o
dall'eccesso di lipidi e/o di proteine. È molto verosimile che gli effetti sfavorevoli
di questo tipo di dieta siano in gran parte combinati, ma è importante sottolineare
che i rispettivi singoli metabolismi mantengono le loro peculiari caratteristiche po-
sitive o negative.
Bisogna ricordare che anche lo zucchero è un carboidrato: esso però è il pro-
dotto ultimo della raffinazione della barbabietola e della canna da zucchero. Uno
degli aspetti più caratteristici dell'alimentazione dei paesi a elevato tenore di vita
è l'impressionante consumo di zucchero (/ig. 2): si calcola che l'introito medio
per singolo abitante dei paesi del mondo occidentale sia superiore ai 100 grammi
al giorno 7 • Se la percentuale media di carboidrati di una dieta tipica del mondo
occidentale è di circa il 400fo, si calcola che l'apporto dei carboidrati semplici
e raffinati come lo zucchero è circa la metà dell'introito totale dei carboidrati stessi.
Se si considera ancora che, oltre allo zucchero, altri carboidrati semplici ven-
gono quotidianamente assunti ad esempio con la frutta e con il latte, è ben eviden-
te che il rapporto fra carboidrati semplici e carboidrati complessi è addirittura
a favore dei primi, in forte contrasto con quanto raccomandato da tutte le regole
nutrizionali. Le conseauenze metaboliche dell'abnorme consumo dello zucchero
possono essere cosi sintetizzate: innanzitutto non trascurabile assunzione di calorie
in eccesso, inoltre, nei soggetti predisposti, probabile deterioramento della tolle-
ranza glucidica e incremento della concentrazione ematica dei trigliceridi.
Volendo riassumere quali sono i problemi legati all'abnorme consumo di zuc-
chero si ricorda che esso rappresenta, nelle nazioni a elevato tenore di vita, circa
un quinto dell'introito energetico quotidiano. Inoltre esso può comportare modifi-
cazioni sfavorevoli del metabolismo glucidico e quasi sicuramente un innalzamen-
to dei lipidi ematici. Obesità, diabete mellito, arteriosclerosi, senza dimenticare
i problemi della carie dentaria, sembrano essere le conseguenze più appariscenti
delPabnorme consumo di zucchero.
È difficile dire quanto possa e.sserneconsumato senza rischiare pericolose com-
plicanze: sicuramente molto poco, quelle piccole quantità che possono rendere
più appettibile il consumo di altri alimenti. Il consumo abnorme di zucchero è
stato messo in relazione con relevata incidenza di diabete mellito dei paesi tecno-
logicamente avanzati 23 •24 • Ciò si è dimostrato non vero, mentre è molto più sug-
gestiva fipotesi che sia il consumo di alimenti raffinati in genere a svelare clinica-
mente Peventuale tara diabetica 7 •

Conclusioni
In definitiva pare di poter concludere che le modificazioni della dieta che si sono
verificate nel mondo occidentale negli ultimi secoli e· in particolare negli ultimi
decenni sono in suggestiva correlazione con la comparsa o con Pimpressionante

254 ----------------------------
------------------ OTTAVIO BOSELLO E TIZIANA TODESCO

maggior incidenz.adelle cosiddette malattie del benessere. Si è configurato l'incre-


mento "relativo" dell'introito calorico; è aumentata l'assuzione percentuale e as-
soluta di grassi, di proteine e di zucchero in contrasto con la riduzione dei carboi-
drati complessi e della fibra. La dieta dei paesi occidentali è profondamente muta-
ta sia in senso quantitativo che soprattutto qualitativo: da una alimentazione che
trovava la sua base nei prodotti del regno vegetale si è passati al consumo preva-
lente di cibi di origine animale, le cui caratteristiche configurano la cosiddetta
"dieta ncca
. ".
È difficile dire quale aspetto o quale componente di queste nuove abitudini
alimentari sia il responsabile delle modificazioni del quadro patologico che si asso-
cia a tale tipo di dieta. Verosimilmente si tratta del convergere di una serie di
fattori nutrizionali e non che, pur mantenendo la propria individualità, si possono
esprimere anche congiuntamente favorendo il rischio di patologia degerativa.

RIFERIMENTIBIBLIOGRAFICI

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24) J. YUDJaN, Pure, White and Deadly: tM problem o/ sugar, London, 1972.

- 2SS
ALIMENTAZIONE E SALUTE SECONDO
I MEDICI DEL MONDO ANTICO:
TEORIA E REALTÀ
di Innocenzo Mazzini

Con il presente intervento mi propongo, essenzialmente, due scopi:


1) illustrare le caratteristiche salienti della dieta alimentare 1 ideale dell'uomo sa-
no, ricco, o almeno agiato, nel mondo greco-romano, quale si ricava dai tratta-
ti dietetici dell'epoca;
2) evidenziare la corrispondenza tra la dieta dei trattati medici e la situazione
economica generale, agricola e alimentare in particolare, quale ci è documenta-
ta da altre fonti, come ad esempio storiche e letterarie.
Prima di entrare in argomento, è opportuno fare alcune precisazioni e richiamare
alcune conoscenze preliminari.
1) La presente ricerca è fondata, essenzialmente sui seguenti trattati dietetici: 1.
De diaeta ( =diaet.: Ps.-lppocrate, s. V, Grecia 2); 2. De diaeta in morbis acu-
tis ( =diaet. m.a.: Ps.-lppocrate, s. V-IV, Grecia 3); 3. De salubri diaeta (sai.
diaet.: Ippocrate s. V, Grecia 4 ); 4. De alimento (=al.: Ps. Ippocrate, s. V-Il,
Grecia/ mondo ellenistico 5); S. De medicina (=med.: Celso, s. I d.C., Ro-
ma 6); 6. De alimentorum facultatibus (al. fac.: Galeno, a. 180 circa, Roma 7);
1. De victu attenuante (vict. a.: Galeno, a. 170 circa, Roma 8); 8. Epistula
de observatione ciborum ( =ep. o.e.: Antimo, prima metà del s. VL, Gallia 9 • 10 •
2) La limitazione del tema alla dieta dell'uomo sano, se, per un verso, è imposta
dal tempo a disposizione, per un altro non è né artificiosa né moderna: il medi-
co antico parla esplicitamente di dieta dell'uomo sano, nella consapevolezza
che il fine della medicina non è solo quello di curare, ma anche di prevenire
la malattia e conservare la salute 11•
3) La precisazione "uomo ricco, o agiato", non consegue una delimitazione tema-
tica operata da me, ma è implicita nell'oggetto stesso di indagine, cioè i trattati
dietetici sopra menzionati: questi sono stati scritti, esclusivamente, per un pub-
blico che poteva investire in salute, tempo e ricchezza; per gli altri c'era un'al-
tra medicina, non preventiva, essenzialmente farmaceutica e chirurgica, non
fondata sul regime 12 •
4) La grande importanza, per la conservazione della salute, accordata dalla medi-
cina antica all'alimentazione, si spiega tenendo conto di alcune convinzioni di
fondo, accettate dai medicici del tempo, e precisamente: a) la salute e la malat-
tia sono, rispettivamente, equilibrio e squilibrio degli elementi, che costituisco-
no il corpo umano, come ad esempio gli umori 13• b) L'equilibrio minacciato

- 257
HOMO EDENS ---------------------------

e compromesso da cause dipendenti dalla volontà o meno dell'uomo, può esse-


re conservato o ristabilito attraverso un rapporto equilibrato, o comunque com-
pensante, tra alimentazione e lavoro: la prima aggiunge, il secondo toglie 14•
e) Gli alimenti, una volta conosciutane la natura e somministrati di conseguen-
za, conservano o ristabiliscono l'equilibrio, perché, trasformati in liquido nello
stomaco e assorbiti attraverso i vasi, compensano, là dove necessario, gli umori
deficienti 15 •
Venendo al primo punto, che mi sono proposto di illustrare, si può dire subito,
che si rileva tra i medici, riguardo alla dieta alimentare ideale, una notevole comu-
nanza e continuità di concezioni, in particolare per i caratteri della varietà, perso-
nalizzazione e flessibilità. A partire da Galeno persiste il carattere della varietà,
mentre si insiste sempre meno su quelli della personalizzazione e flessibilità. Tale
irrigidimento, o meglio semplificazione, è la conseguenza del generale impoveri-
mento della ricerca scientifica, sempre più dogmatica da un lato, e pragmatica
dall'altro 16 •
La varietà dei cibi, oltre a essere esplicitamente raccomandata come fattore
di equilibrio 17, si deduce dalla quantità degli alimenti considerati. I vari cibi sono
raggruppati secondo criteri di affinità, esempio frutta, verdure, cereali, carni ecc.,
che si ripetono nei vari trattati; quello che cambia, o può cambiare, è l'ordine
dei vari raggruppamenti, secondo un criterio, che può essere diverso, di im-
portanza 18 •
La varietà è certamente molto maggiore di quanto può risultare da un conteg-
gio puramente quantitativo degli alimenti trattati, se si considera che, solitamente,
e comunque più spesso negli scritti anteriori a Galeno, per i vari cibi e bevande
si parla di virtù e caratteristiche diverse, come se si trattasse di cose diverse, a
seconda della provenienza geografica, clima, modalità di preparazione ecc. Lo
stesso cereale ad esempio può essere più secco e quindi più caldo e nutriente,
se proviene da regioni più calde e assolate, più umido e quindi meno nutriente
se coltivato in regioni umide, cosi la carne ecc. 19 • Arrostendo e grigliando si
può togliere l'umido e così l'alimento diviene più forte e nutriente, al contrario
lo si può rendere debole, più digeribile e meno nutriente tenendolo a bagno o
lessandolo e cosi via 20 •
In Galeno e Antimo non sono ignorate le virtù, diciamo accessorie, cioè va-
riabili con la provenienza e le modalità di preparazione, ma esse vengono sottoli-
neate soprattutto per le carni, e in particolare in riferimento alla cottura e alle
varie parti dell'animale 21 •
La dieta va personalizzata, tenendo conto dell'attività, età e costituzione e
sesso del singolo. Conoscere l'attività svolta è importante per il principio sopra
accennato dell'interazione lavoro/alimentazione. In realtà le uniche attività consi-
derate sono quelle sportive, più o meno violente, dalla corsa alla lotta, alla gesta-
tio 22 , e quelle naturali, come ascoltare, osservare, pensare ecc. 23 ; una chiara con-
ferma di quanto si è detto sopra, cioè che i vari trattati dietetici antichi sono
rivolti a persone che possono investire in salute, tempo e denaro.
L'età va considerata nel seguire un regime alimentare perché, a seconda di
essa, prevalgono nell'individuo caratteri differenti: caldi e umidi sono i bambini,
caldi e secchi i giovani, secchi e freddi gli adulti, umidi e freddi i vecchi. Tenendo
conto dell'età, è chiaro che cibi secchi e freddi sono adatti per i bambini, freddi
e umidi sono da consigliare ai giovani e cosi via 24 •

258 -----------------------------
------------------------ INNOCENZO MAZZINI

Al di là dell'attività e dell'età, ogni individuo ha un suo particolare equilibrio


degli elementi, una sua idiosincrasia, di cui va ugualmente tenuto conto, cosi tipi
magri e gracili faranno bene a scegliersi cibi umidi, i grassi cibi secchi e cosi via 25 •
Anche il sesso contribuisce a costituire l'individualità fisiologica di una perso-
na e nemmeno questo può essere ignorato da chi prescrive una dieta. Se le donne
sono, generalmente, umide e fredde, sia per natura, sia per abitudini di vita e
i1 contrario sono gli uomini, sarà logico che i cibi secchi prevalgano nella dieta
delle prime e quelli umidi in quella dei secondi 26 •
Una volta conosciuti e valutati tutti gli elementi che contribuiscono a determi-
nare il carattere fisiologico di un singolo (attività, età, costituzione e sesso), si
può prescrivere un regime alimentare ad personam, che tuttavia non può e non
deve avere nulla di definitivo e rigido nel tempo; esso va ritoccato, con gradualità,
almeno quattro volte in un anno, quante sono appunto le stagioni. Alimenti più
caldi, forti, secchi e nutrienti come il grano, la carne e il vino non diluito, sono
da privilegiare in inverno, freddi umidi, leggeri e digeribili, come pane integrale,
verdure, acqua sono da ricercare in estate, cibi intermedi sono preferibili nelle
altre due stagioni 27 •
Va tenuto conto che un tale regime stagionale, non solo rispondeva, in qual-
che modo, all'esigenza astratta di equilibrio caldo/freddo, secco/umido ecc., ma
era condizionato dalla realtà produttiva dell'epoca, a sua volta dipendente dal
ciclo produttivo stagionale. D'estate abbondavano gli ortaggi e la frutta e, al con-
trario, scarseggiava la carne, sia perché più difficile da conservare, sia perché
il bestiame veniva condotto in montagna. Non è un caso che negli antichi feriali
la maggior parte dei riti sacrificali cadeva tra la fine dell'autunno e l'inizio della
primavera.

Venendo al secondo scopo del mio intervento, quello cioè di evidenziare la corre-
lazione tra la dieta alimentare dei trattati presi in considerazione e la situazione
economica generale dell'epoca in cui essi si collocano, alimentare e agricola in
particolare, si può dire che il regime presentato nelle opere databili con buona
approssimazione, come i1 De diaeta pseudoippocratico, il De medicina di Celso,
il De alimento rum f acultatibus di Galeno e l' Epistula de observatione cibo rum
di Antimo è, sostanzialmente, in linea con la situazione economica delle varie
epoche.
Il regime pseudoippocratico rivela una società abbastanza ricca, che si alimen-
ta in modo vario e completo, tuttavia frugale ed essenzialmente a base di prodotti
indigeni, propri di una regione calda e arida: discreta varietà di cereali 28 (orzo,
grano, farro, avena e vari tipi di pane), legumi 29 (ceci, lenticchie, fava ecc.),
una notevole gamma di vini, comunque non stranieri 30 (bianchi e rossi, aspri
e dolci, profumati, densi, leggeri ecc.), carni di animali essenzialmente domesti-
ci 31 (bovini, equini, caprini, suini, ovini, gallinacei ecc.) senza, per queste ultime,
la menzione di salse sofisticate, o metodi di cottura particolari, e la distinzione
delle varie parti. Si direbbe un regime compatibile con un'economia che tende
a essere autarchica, con culture non specializzate, in un territorio densamente
abitato.
Non si conosce l'autore del De diaeta e tanto meno la sua precisa collocazione
geografica e, per la verità, non si conosce molto bene nemmeno l'agricoltura greca
del V secolo a.e., tuttavia l'economia che sembra rispecchiare il De diaeta ben

----------------------------- 259
HOMO EDENS ---------------------------

-
si concilia con l'autarchia che si può dedurre ad esempio da una commedia come
Gli Acarnesi di Aristofane 32 , e corrisponde bene a una proprietà agricola abba-
stanza frazionata, quale era quella greca in particolare attica nel V s. a.e. 33•
Il De medicina di Celso rispecchia una società opulenta, che non consuma
più solo prodotti locali e tradizionali, ma ne richiede anche di raffinati ed esotici,
così tra le carni, oltre agli animali domestici tradizionali e indigeni, sono menzio-
nati la gru 34 , il pavone 35 il tordo 36 , le lumache 37 ecc., tra le frutta i datteri 31 ,
e una gamma abbastanza vasta di mele 39 e pere 40 •
Gli alimenti considerati da Celso confermano lo sviluppo delle culture arbo-
ree, frutteti, vigneti e oliveti, come degli allevamenti particolari, tipo quaglie, tor-
di, gru ecc., lumache, di cui ci parlano Varrone 41 e Columella 42 ; essi sono so-
stanzialmente gli stessi che ricorrono nella letteratura conviviale latina del primo
secolo a.C.; si pensi al banchetto di Nasidieno 43 , alla cena di Trimalcione 44 e
ai conviti di cui parla Marziale 45 • Una conferma al lusso alimentare, che si evince
da Celso, viene anche dalle leggi suntuarie, per la verità tuttavia non esclusive
del I secolo d.C.
Si pensi, per un periodo vicino al De medicina, alla legge Giulia di Augusto,
che limita la spesa massima per i vari tipi di conviti. Altre conferme vengono,
rispettivamente, dalle parole di Tacito che pone l'apogeo della gastronomia tra
la battaglia di Azio (31 a.C.) e la morte dell'imperatore Galba (68 d.C.) 46 , e
dalle ripetute condanne di Seneca delle raffinatezze e degli eccessi alimentari dei
suoi tempi 47 • Non è infine un caso che, in quest'epoca, I secolo d.C., sia stato
scritto il De re coquinaria di Apici o 48 •
Le facoltà degli alimenti di Galeno testimoniano la persistenza, anzi l'aumen-
to, del lusso alimentare, in particolare per le carni, sia in riferimento alla varietà
(si parla anche di struzzi 49 e animali esotici come leoni, leopardi so ecc.), sia in
riferimento alla ricerca delle ghiottonerie, come ad esempio le mammelle delle
scrofe in epoca di allattamento 51 , il fegato degli animali nutriti a fichi 52 , i testi-
coli dei galli alimentati con pastoni a base di latte ecc. 53 • Lo scritto di Galeno
conferma anche, indirettamente, il persistere degli eccessi alimentari e l'abitudine
a vomitare, biasimata da Seneca 54 , quando dice che il cervello presentato al ter-
mine del banchetto aiuta a vomitare ".
Una minore varietà, rispetto a Celso, sembra potersi dedurre per quanto con-
cerne i prodotti vegetali, specie verdure e frutta. La riduzione, o meglio la minore
importanza, nell'alimentazione galenica dei prodotti vegetali può, con le dovute
cautele, essere la conseguenza della decadenza dell'agricoltura del II secolo d.C.,
in Italia, causata dalla espansione del latifondo imperiale, specie nell'Italia centro-
meridionale, consistente soprattutto nella contrazione delle culture arboree del I
secolo d.C. 56 •
Nella Dieta dimagrante colpisce la grande quantità dei vini non italici (anche
se l'importazione del vino, ovviamente non è una novità dell'epoca di Galeno):
in particolare i vini di Ariusa (Chio), Lesbo, Tmolo (Lidia), Tera (isola del gruppo
delle Sporadi), di Panfilia, Cilicia 57 ecc.
Si può prendere tale abbondanza di vini d'importazione come una conferma
del regredire delle culture arboree in Italia, cui ho appena accennato? È possibile;
comunque, parlando di Galeno, la prudenza, per ogni deduzione con riferimento
a situazioni locali, è d'obbligo: non si deve dimenticare che Galeno, pur avendo
scritto i due trattati di cui ci siamo occupati, con tutta verosimiglianza, nel perio-

260
-------------------------- INNOCENZO MAZZINI

do del suo secondo soggiorno romano, pensa a un pubblico di lingua greca, pro-
viene dall'Asia minore e possiede una vasta conoscenza di tutto il mondo ellenizzato.
L'epistola di Antimo, indirizzata a Teodorico re dei Franchi, anche se come
qualcuno suppone scritta in Ravenna (e non si può escludere, perché Antimo è
ambasciatore di Teodorico il grande, presso Teodorico re dei Franchi 58), costitui-
sce uno dei più antichi e, insieme, dettagliati documenti del modello di alimenta-
zione d'oltralpe: da un lato grande importanza delle carni 59 , del lardo come ali-
mento 60 , del latte e dei suoi derivati burro e yogurt 61 , della birra come bevan-
da 62 , dall'altro, l'assenza del vino come bevanda abituale. L'autore sottolina anche
l'assenza di alcuni prodotti vegetali propri dei paesi più caldi, come il cocomero 63•
Non sfugge la coincidenza con un'economia prevalentemente pastorale, co-
munque l'assenza di culture e di prodotti mediterranei, evidentemente conseguen-
za non solo delle guerre e delle invasioni, ma anche della insicurezza dei traffici
e della mancanza di denaro.
In conclusione: la dieta alimentare ideale che emerge dagli scritti medici di
epoca greco-romana è varia (comprende tutti i possibili prodotti), individuale e
flessibile. Nei dettagli quantitativi e qualitativi riflette l'evolversi nel tempo dell'e-
conomia in generale, agricola in particolare.

NOTE

I) Parlando di dieta in epoca antica, almeno fi- doricum regem Francorum epistula. Ed. E.
no al I secolo d. C., la precisazione "alimen- LIECHTENHAN, Berolini, 1963.
tare" è d'obbligo, infatti la parola "dieta", 10) Sia chiaro che, né la dietologia comincia con
significa "regime di vita", di cui l'alimenta- il più antico dei trattati dietetici oggetto di-
zione è, ovviamente, solo un aspetto. retto della presente indagine, cioè il De dieta
2) HIPPOCRATE,Du regime. Texte établi et tra- pseudoippocratico, né essi sono le uniche fonti,
duit par R. JoLY, Paris, 1967; per la colloca- anche se specifiche, da cui si può trarre indi-
zione cronologia intorno al 400 a.e. e le ipo- cazione sull'alimentazione in rapporto alla sa-
tesi riguardo all'autore, cfr. le pp. XIV-XVIII. lute. Che il regime pseudoippocratico sia, in
Vd. ancora A. THIVEL, Cnide et Cos? Essai realtà, non l'inizio, ma il punto di arrivo di
sur /es doctrines médicales dans la collection una tradizione dietologica, cerca di dimostra-
hippocratique, Paris, 1981, pp. 32-33. re W. D. SMITH, The Development of Classi-
3) HIPPOCRATE, t. VI 2, Du regime des maladies ca/ Dietetic Theory, in Hippocratica. Actes
aigues. Appendice. De l'a/iment. De l'usage du col/oque hippocratique de Paris. Ed. prep.
des /iquides. Texte et. trad. par R. JoLY, Pa- par. M. D. QRJ,,(EJ(, Paris, 1980, pp. 438-446.
ris, 1972. Altre preziose fonti di informazione sull'ali-
4) HIPPOCRATES, Opera omnia, par E. LllTRÉ, mentazione e la salute sono gli erbari e i vari
VI, Paris, 1846 (=Amsterdam, 1962), pp. trattati o manuali di patologia e terapia insie-
70-88. me, in cui sono elencati, secondo l'ordine abi-
5) crr. n. 3. tuale a capite ad ca/cem, i vari mali e rimedi,
6) Come/ii Ce/si quae supersunt ree. F. MARX, sono consigliati medicamenti semplici e com-
Lipsiae, 1915. posti, e non mancano indicazioni alimentari.
7) C/audii Galeni opera omnia ed. cur. G. G. Il) Cm.s., med. 2, 18, I, «dopo avere parlato delle
KOHN,VI, Leipzig, 1823( = Hildesheim, 1965), cose che giovano togliendo, conviene venire
pp. 453-748. a quelle che alimentano, cioè al cibo e alle
8) GALENO, La dieta dimagrante. Ed. crit. test. bevande. Queste sono comune aiuto non solo
e vers. lai. trad. comm. di N. MAluNoNE,To- contro tutti i mali, ma anche per la buona
rino, 1973 (Historica Politica Philosophica. salute; è essenziale conoscere le singole pro-
Il pensiero antico. Studi e Testi 5). prietà di tutto, cibi e bevande, in primo luo-
9) Anthimi De observatione ciborum ad Theo- go perché i sani sappiano come usarne». Cfr.

-261
HOMO EOENS ------------------------------

HIPP., diaet., 58, l; 59, l; al. 2; 3 (passim); so, tutte le sue parti, la vena, l'aneria, il mu-
vet. med. 3; 5; med. I, I; Galen., al fac., scolo ... e naturalmente anche il calore, l'umi-
I, 6, p. 497; 9, p. 503; ANTHIM., ep. praef. dità e il pneuma.»
p. I, ecc. Nei passi dell'Antica medicina so- I 6) Galeno non ignora che gli effetti di un ali-
pra citati si fa risalire l'origine della medicina mento sul fisico possono essere diversi, in rap-
vera e propria alla differenziazione dell'ali- porto ali' età, la natura, il tenore di vita del
mentazione dei malati da quella dei sani. Sul- singolo, come alle stagioni e l'ambiente dove
l'argomento cfr. V. DI BENEDETTO, La scien- vive, tuttavia, solitamente, non distingue in
za di Ippocrate, Torino. 1986, pp. 205 ss. base a tali circostanze: cfr. al. fac. 1, 18, p.
Tutti i passi riportati sono tradotti da me (a 528; 3, 66, p. 662 ecc. Lo stesso comporta-
meno che non sia indicato diversamente), dalle mento si rileva anche nel De victu attenuan-
edizioni citate alle note 2-9. te, cfr. MilJNONE, Op. c:it., p. 7.
12) HIPP., diaet. 69, 1 «Per coloro che hanno i 17) CELS., med., l, 1, 2 «È bene ... non astenersi
mezzi e hanno riconosciuto che, né la ricchez- da nessun genere di cibo di cui il popolo fa
za, né altro è di qualche utilità, senza la salu- uso». Cfr. HIPP., al. I.
te, io ho scoperto un regime che si accosta 18) GALEN.,al. fac. 2, I, pp. 554-5: «Tutti quelli
il più possibile alla verità assoluta.» Nella Re- che mi hanno preceduto, trattando degli ali-
pubblica di Platone, 3, 405 a è detto esplici- menti, hanno cominciato dai semi detti ce-
tamente, che una cura lunga e basata sul re- reali, perché tra essi è l'alimento più utile,
gime non è possibile per chi è pressato dal il pane ... Ci sono stati alcuni, che, senza aver
bisogno di lavorare: «Nessuno può conceder- esaurito la trattazione di tutti gli alimenti dello
si il lusso di restare malato e curarsi per tutta stesso genere, né di tutti gli alimenti che deri-
la vita. È una cosa che noi osserviamo per vano dalle piante dopo i semi di Demetra,
gli artigiani, ma non per le persone ricche che hanno trattato prima di quelli che portano
passano per felici. .. Un falegname, risposi, più utilità all'uomo.»
che sta male, pretende dal medico di bere un 19) HIPP., diaet. 56, 4 «Ciò che proviene dalle
farmaco e cosi vomitare il suo male, o di li- regioni aride e secche e torride, è più secco
berarsene con un purgante, o una cauterizza- e più caldo e dà più forza al corpo ... È ne-
zione, o un'incisione. Ma se gli prescrive una cessario dunque, non solo conoscere la natu-
cura lunga a regime ... eccolo dire ben presto ra del cibo e delle bevande ... ma anche il luogo
che non ha tempo e che non gli giova vivere d'origine. Quando dunque si vuole dare al cor-
così.» (PLATONE,Opere complete, t. VI. Trad. po nutrimento più forte ... bisogna usare cibi
di F. SARTORI,Bari, 1972, p. 127. Cfr. anche e bevande provenienti da regioni aride.» Cfr.
ANTHIM.,ep.o.c., praef., p. 3). Al di là delle CELS., med., I, 18, 8-9.
esplicite dichiarazioni, come quella sopra ri- 20) HIPP., diaet., 56, 2 «Facendo bollire e raf-
portata dal Regime pseudoippocratico, gli stes- freddando a più riprese gli alimenti forti, si
si cibi presi in considerazione, come le carni toglie loro la virtù innata; grigliando e arro-
dei grandi animali, i vari tipi di pane (o piut- stendo gli alimenti umidi, si toglie loro l'umi-
tosto, per certi periodi, il pane in se stesso) dità, lo stesso per gli alimenti secchi ... ». Cfr.
e tanti altri, testimoniano la destinazione dei CELS., med. 2, 18, IO, ANTHIM., ep.o.c.,
trattati oggetto della presente ricerca, a un praej., passim.
pubblico di persone ricche. Per farsi un'idea 21) GALEN,al. fac., 3, 4-13, pp. 669-680; ANTHIM.,
dell'alimentazione dei ceti poveri, scarsa di car- ep.o.c., 3.
ne, essenzialmente a base di cereali e verdu- 22) Sulla gestatio come mezzo terapeutico, cfr.
re, cfr. J. ANDRÉ,. L 'alimentation et la cuisi- D. GoUREvrrcH, La gestatio thérapeutique à
ne à Rome, Paris, 19812, p. 144; A. Dosi, Rome, in Mémoires III. Médecins et médici-
F. ScHNELL,A tavola con i Romani antichi, ne dans l'antiquité, ed. par G. SABBAN,Saint
Roma, 1984, p. 167. Etienne, 1982, pp. 56-65.
13) Sul concetto di malattia come squilibrio di 23) L'elenco più ampio delle possibili attività si
umori o di elementi cfr. HIPP., diaet., 2, 3; trova in HIPP., diaet. 61-66; cfr. anche sai.
nat. hom., 4, morb. 3, 14, ecc. dioet. 3 e CELS., med. I, 2.
14) HtPP., diaet. 2, 2; «Alimenti ed esercizi han- 24} HlPP., diaet. 33, 1-2: «Le età, prese singolar-
no virtù opposte, tuttavia contribuiscono, in- mente, hanno i seguenti caratteri: il fanciullo
sieme, alla salute: per natura infatti gli eser- risulta dalla mescolanza di elementi umidi e
cizi consumano le energie disponibili, gli ali- caldi, perché è nato da essi e in essi si è for-
menti e le bevande compensano le perdite.» mato. Ciò che è vicinissimo alla nascita, è mol-
Cfr. ancora HtPP., epid. 6, 6, 2; <iffect. int. to umido e molto caldo e cresce moltissimo
9, 12, 17; CELs., med. I, 3 ecc. e così tutto ciò che riguarda la fanciullezza.
15) HIPP., al. 7: «La virtù del cibo raggiunge l'os- Il giovane risulta dalla mescolanza di elemen-

262
---------------------------- INNOCENZO MAZZINI

ti caldi e secchi; caldi perché il fuoco che af- po; in sostama lavarsi con acqua fredda, usare
fluisce ha la meglio sull'acqua, secchi perché carne lessa e cibi freddi o che rinfreschino ...
l'umidità del fanciullo è consumata già, sia Durante l'autunno, a causa della variabilità
per la crescita del corpo, sia per il movimen- del clima, il pericolo è massimo ... conviene
to del fuoco, sia infine dall'attività. L'uomo, mangiare un po' più abbondantemente e bere
quando il corpo non cresce più, è secco e fred- più puro ... ». Cfr. ancora HIPP., diaet., 68;
do, perché il caldo che affluisce non domina sai. diaet. I; diaet. m.a., 28-37; GALBN.XV,
più, ma si arresta e, d'altra parte, il corpo p. 549 K.
che cessa di aumentare è freddo, a lui resta 28) Seguendo il testo tradito si deve leggere "car-
la secchezza dell'età precedente e ancora non ne lessa" in luogo di "carne arrostita" e vi-
ha l'umidità che deriva dall'età che seguee ceversa. Ho preferito accettare un emenda-
dall'affluire dell'acqua: per questa ragione è mento del Constantinus che, se per un verso
dominato dagli elementi secchi. I vecchi sono è difficile da giustificare sul piano paleografi-
freddi e umidi, perché il fuoco si ritira e l'ac- co, per un altro, si impone per coerenza, sia
qua affluisce, gli elementi secchi si allontana- con la tradizione dietetica precedente (vd. an-
no e quelli umidi si insediano». Cfr. ancora che i luoghi sopra citati) sia interna: Celso
HIPP., al. 41; sai. diaet. 2, 6; nat. hom. 12; altrove considera più calda, secca e nutriente
CELS., med., I, 3, 32-33; GALBN.XVI, 432 la carne arrostita rispetto a quella lessa e la
K; XIX 683 K. ecc. Tutti i rimandi a Galeno avvicina al pane e al vino puro, a loro volta
che non riguardino la Dieta dimagrante og- più caldi, secchi ecc., cfr. I, 3, 24.6, 2; 2,
getto diretto della presente indagine, si riferi- 18, IO; 3, 6, 17; 4, 19, 4.26, 3 ecc.
scono al volume e pagina della edizione di 29) 54.
tutte le opere curata dal Kilhn. 30) 52.
25) HIPP ., sai. diaet., 2: «Per gli individui a car- 31) 46-47.
ne umida, molli e rossi, giova seguire, per la 32) vv. 32 ss.
maggior parte dell'anno, un regime secco. La 33) M. WEBER. Storia economica e storia sociale
natura infatti di questi è umida. Quelli invece dell'antichità. Prefaz. di A. MoMIOLIANO,
di costituzione densa, gracili, rossastri e scu- Trad. it., Roma, 1981, pp. 177 ss. E. WnL,
ri, devono seguire un regime alquanto umi- Le monde grec et l'orient. I Le ~ siècle
do, per la maggior parte del tempo.» Cfr. (510-403), Paris, 1972, pp. 638-43.
HIPP., diaet. 32, 1-6; GALEN.VI, 364 K.; XIX, 34) 2, 18, 2. 30, 2.
683 K. 35) 2, 18, 2.
26) HIPP ., diaet., 34, 1: «In tutte le specie i ma- 36) 2, 18, 6.
schi sono più caldi e più secchi, le femmine 37) 2, 18, 3. 20, I; 24, 3. 28, 2 ecc.
più umide e più fredde per le ragioni seguen- 38) 2, 18, 6. 20, I. 30, 3. 33, 2 ecc.
ti: fin dal concepimento ciascuno si è forma- 39) 2, 24, 2. 27; 4, 26, 5.
to nei suddetti elementi e cresce grazie a essi; 40) 2, 24. 27; 4, 26, 5.
una volta nati, i maschi seguono un regime 41) Per le varie colture arboree vd. soprattutto
di vita faticoso e cosi si riscaldano e si secca- il libro I, capp. 8, 24, 59, 67, 68 ecc.; per
no; le femmine, al contrario, seguono regimi gli allevamenti speciali i capp. 2-15 del libro Il.
di vita più umidi o più facili, molte si libera- 42) Alle colture arboree, in particolare la vite, sono
no del calore del corpo ogni mese ... ». Cfr. dedicati i libri Ili e IV del De re rustica e
HIPP., sai. diaet. 6; GALEN. IV, p. 158; 162; il De arboribus, agli allevamenti speciali i
624 K., IX, p. 107 K. ecc. capp. 8-15 e 1, rispettivamente, dei libri VIII
27) CBLS.,med., l, 3, 34-8 «È necessario valuta- e IX.
re le stagioni dell'anno. D'inverno conviene 43) HORAT., sai., 2, 8.
mangiare più abbondarnentemente, bere di me- 44) PETRON., sat., 26-77. Sul banchetto di Nasi-
no, ma più puro, fare uso di molto pane, della dieno e la cena di Trimalcione, più ampia-
carne, preferibilmente arrostita, moderatamen- mente E. RArn, Ricerche sul luxus alimenta-
te delle verdure ... In primavera si deve to- re romano fra il I sec. a.e. e il I sec. d.C.,
gliere un po' al cibo e aggiungerlo alle bevan- Rend. Lett. 1st. Lomb. 100, 1966, pp. 159-63.
de, si deve mangiare più carne e più verdure, 45) 3, 60. 82; 4, 85; 7, 20.
ma passare, a poco a poco, dalla carne arro- 46) Ann., 3, 55.
stita a quella lessata ... Nell'estate il corpo ha 47) Helv. IO, IO. 50; ep. 95-26-28 ecc. Sull'atteg-
bisogno di assumere cibo e bevande con più giamento di Seneca nei confronti degli eccessi
frequenza, quindi è opportuno fare anche co- alimentari e dell'alimentazione in genere, cfr.
lazione. Sono adatte a questa stagione la car- D. GouREVITCH,Le menu de l'homme libre.
ne, le verdure, le bevande molto diluite, in Recherches sur l'alimentation et la digestion
modo che tolgano la sete e non brucino il cor- dans /es oeuvres en prose de Sén~que le phi-

- 263
HOMO EDENS-----------------------------

losophe, in Milanges de philosophie, de litt'- chctto di Nasidieno. Cfr. RATTI, op. cii., pp.
rature et d'histoire anciennes offerts a P. 171-7.
Boyancé, Romc, 1974 (Collection dc l'«olc 53) 3, 21, pp. 704-S. Per i testicoli di pollo anche
françaisc dc Romc 22). AP1c. 4, 2, 21. 3, 3. S, I.
48) AP1cws, De re coquinaria. Texte ét. tr. et 54) Ep. 95, 21.
commenté par J. ANDRÉ, Paris, 1965, SS) 3, 8, pp. 676-7.
pp. 8-9. 56) V. A. S111Aoo,L'Italia agrariasotto Traiano,
49) Vict. a. 57.347. Louvain, 1958, pp. 304-S.
SO) 3, 2, p. 664. Per la verità la carne degli ani- 57) 102-103.
mali feroci, almeno quelli uccisi nel circo, non 58) Anthimi De obSff'Vatione... cd. E. LIECHTEN-
doveva costituire un lusso, se come ci riferi- HAN, cit., pp. IX-X.
sce Tertulliano, era consumata dal popolino: 59) 3-13; 16-34.
apol. 9, 11. 60) 14.
SI) 3, 6, p. 674. 61) 75-78.
52) 3, 12, p. 679; 3, 21, p. 704. Il fegato di ani- 62) 15.
mali nutriti con fichi è offerto anche nel ban- 63) 51.

264 -------------------------------
INDAGINI PALEONUTRIZIONALI
SU SERIE SCHELETRICHE ANTICHE
DEL BACINO DEL MEDITERRANEO:
UN TENTATIVO DI INTERPRETAZIONE
di Gino Fornaciari

L•applicazione in campo paleoantropologico di nuove tecniche analitiche, come


la spettroscopia ad assorbimento atomico, la spettrometria di massa o l'analisi
per attivazione neutronica, che permettono di evidenziare la presenza di quantità
anche piccolissime di un elemento (11g/go ppm), ha dato nuovo impulso in questi
ultimi anni alle ricerche paleonutrizionali 1• Numerosi, recenti lavori, talora anche
di critica delle tecniche impiegate fino a ora, hanno permesso ultimamente un
ulteriore affinamento delle metodiche 2 • L'intento è quello di utilizzare alcuni me-
talli presenti in traccia nell'osso come elementi-guida della nutrizione, cioè come
veri e propri "marcatori" ossei delle condizioni alimentari delle popolazioni del
passato.
Lo stronzio è stato l'elemento finora più utilizzato in quanto, presente in
quantità elevate nei vegetali e dotato di un tropismo quasi elettivo per il tessuto
osseo (il 990/o dello Sr del corpo si accumula nell'osso e solo 1'10/o nei tessuti
molli 3), tende a ritrovarsi in quantità elevata nelle ossa degli erbivori ma non
in quelle dei carnivori •. Ne consegue che, per un onnivoro come l'uomo, il tasso
osseo di stronzio è direttamente proporzionale ali' assunzione di cibi di origine
vegetale. È ormai invalso nell'uso di calcolare la quantità di stronzio osseo me-
diante la frazione CSr (~inpp~)) in quanto riflette meglio il tipo di assorbimento
a m mg g
e il suo metabolismo nell'ambito della matrice ossea 5 •
Naturalmente la quantità di stronzio nelle piante e negli animali di una deter-
minata regione dipende anche dalla quantità di elemento disponibile nelle acque
e nel terreno della regione medesima 6 • Per effettuare i confronti occorre perciò
standardizzare i valori dei diversi siti mediante il rapporto della frazione Sr/Ca
nell'osso umano e nell'osso di animali sicuramente erbivori (capre, pecore o erbi-
vori stanziali in genere), vissuti nello stesso ambiente del campione di popolazione
in studio 7 • Quanto più il valore ottenuto si avvicina alla unità, tanto più alta
sarà stata la quota di alimenti vegetali assunta in vita dai singoli individui del
campione. Questo valore inoltre risulta direttamente confrontabile con quelli otte-
nuti in altri campioni di popolazioni, anche molto lontane fra loro nello spazio
e nel tempo 8 •
Nonostante si tratti di un tipo di indagine assai recente siamo già in possesso
di un certo numero di osservazioni, effettuate su campioni di età preistorica e

- 265
HOMO EDENS ----------------------------

protostorica del Mediterraneo orientale 9 e dell'Iran 10 , che abbiamo riportato nel-


la tabella I e nei grafici I e 2. Mentre non si notano differenze degne di nota
fra i campioni del Paleolitico superiore, se non un netto aumento dei sigma (o
deviazioni standard) per comparsa di forti variazioni individuali, si ha un notevole
incremento del tasso di stronzio durante il Mesolitico, che tende a calare poi nel
Neolitico, ma anche qui con forti variazioni individuali, fino ad abbassarsi note-
volmente nella tarda Età del Bronzo della Grecia, dove anche il valore del sigma
è minore.
Si tratta evidentemente di variazioni che riflettono i cambiamenti di alimenta-
zione nelle diverse epoche e culture. Dai risultati ottenuti appare plausibile che
la quota di alimenti vegetali dei "cacciatori" paleolitici doveva essere più che
discreta (tanto da far pensare a un'economia di "raccolta e caccia" più che di
"caccia e raccolta") e che nessuna differenza intervenne nel regime alimentare
fra Paleolitico medio e Paleolitico superiore. Si assiste solo alla comparsa di forti
differenze tra individuo e individuo. La crisi del Mesolitico, con il noto passaggio
a un'economia quasi esclusivamente di raccolta, si riflette anche sulla composizio-
ne minerale dell'osso umano comportando un forte aumento dello stronzio, pre-
sente in livelli tali da far pensare a una alimentazione basata quasi esclusivamente
su cibi di origine vegetale. Con il Neolitico si assiste a una notevole diminuzione

Tabella 1 - Confronto fra campioni preistorici e protostorici


di diverse località del Mediterraneo orientale e dell'Iran

Località Epoca Numerosità Sr/Ca


(corr.col sito)

I) Tabun Paleolitico medio 0,660


(Israele) (70.000 a.)
2) Skhul Paleolitico medio 5 0,640:0,045
(Israele) (30-35.000 a.)
3) Qafzeh Paleolitico medio 5 0,660:0,174
(Israele) (30-35.oooa.)
4) Kebara C Paleolitico superiore 9 0,661 :f:0,241
(Israele) (15.000 a.)
5) Hayonim Mesolitico 14 O,780 :i:O,1OI
(Israele) (11.950:i:90 a.)
6) Kebara B Mesolitico 6 0,882 :i:o, 176
(Israele) (10.000 a.)
7) El Wad Mesolitico 21 0,928:i:0,214
(lsreale) (10.000 a.)
8) Ganj Dareh Neolitico? 16 0,658 :i:0,276
(Iran) (9-11.000 a.)
9) Hajji Firuz Neolitico 16 0,670:0,230
(Iran) (7.000 a.)
IO) Nichoria Tardo-Bronzo 26 0,553 ±0,109
(Grecia) (1.600-1.150 a. C.)

I, 2, 3, 4, 5, 6, 8, 9 da Schoeninger (1982, 1981); 7, da Sillen (1981); IO, da Bisci (1980).

266-----------------------------
--------------------------- GINO FORNACIARI

Grafico 1 • Variazionl delle conamtrazionl di stronzio OSffll In alcuni campioni di età preistorica e protostorica

fARDO BRONZO
IM1c@ned

Grafleo 2 • Variazionl della eoncentrazione di stronzin ossea nelle diverse epoche

Sr/Ce
corretto 1 O
eoisito

09

0.8

0.7

0.6

0,5

(!,4

0,3

02

0,1

PALEOLITICO MESOLITICO MICENEI

dello stronzio osseo, che raggiunge di nuovo i livelli del Paleolitico. Il fenomeno,
denotante una diminuzione della quota vegetale della dieta e un aumento di quella
carnea, è da porsi evidentemente in rapporto con l'avvenuta acquisizione dell'alle-

---------------------------- 267
HOMO EDENS ---------------------------

vamento. Le forti variazioni individuali, maggiori anche di quelle del Paleolitico


superiore e denotanti alimentazioni differenziate in grado anche estremo, potreb-
bero essere messe in relazione con il ben noto instaurarsi, nelle primitive comunità
agricole, di forti differenziazioni sociali.
Grazie a questi "studi-pilota" effettuati su gruppi umani preistorici di caccia-
tori, raccoglitori e agricoltori, e quindi piuttosto ben caratterizzati dal punto di
vista alimentare, è stato possibile ottenere un modello applicabile anche alle popo-
lazioni di età storica, dove però la situazione si fa assai più complessa. Assistiamo
cioè all'affermarsi di differenti economie alimentari non più solo in epoche e re-
gioni diverse, ma addirittura in comunità diverse della stessa epoca e regione,
o addirittura, grazie all'emergere di ceti socialmente ed economicamente egemoni,
economie alimentari diverse possono coesistere nell'ambito della medesima popo-
lazione.
È stato necessario pertanto ricorrere all'analisi di altri elementi, e in partico-
lare a quella del tasso osseo di zinco, la cui principale fonte alimentare è costituita
dalla carne, in particolare dalla carne rossa, e anche dal pesce 11• Si tratterebbe
in altri termini del corrispettivo dello stronzio per gli alimenti di origine animale;
infatti anche il latte e i derivati del latte costituiscono una buona fonte di questo
elemento 12 •
È stato così possibile, grazie all'uso contemporaneo di questi due elementi
(Sr, Zn), e sulla base dei risultati analitici conseguiti nei campioni di età storica
studiati fino a ora, tentare una classificazione dei diversi tipi di economie alimen-
tari espressi dalle antiche comunità 13 • Abbiamo utilizzato, come dato base per
i confronti, il rapporto Sr/Ca corretto col sito, in quanto si tratta di un valore
puro, da porsi direttamente in relazione, come abbiamo visto, con l'apporto vege-
tale presente nei differenti regimi alimentari.
È stato scelto come valore-soglia per la classificazione il dato Sr/Ca corretto
col sito pari a O,7 in quanto assai vicino ai valori medio-inferiori di alcuni campio-
ni di popolazioni neolitiche e quindi a economia sicuramente agricola. Pertanto
i campioni di popolazioni il cui valore si avvicina molto alla soglia suddetta, o
addirittura lo supera, sono stati classificati come dotati di economie agricole, ba-
sate cioè prevalentemente su cibi di origine vegetale; i campioni dotati di valore
intermedio, cioè fra 0,6 e 0,4 sono stati considerati in possesso di economie di
tipo misto, basate cioè in pari grado sia su cibi di origine vegetale che animale;
infine i campioni di popolazioni con valore Sr/Ca corretti col sito inferiori a 0,4
sono stati considerati in possesso di economie scarsamente basate sui prodotti
di origine vegetale e quindi, come ad esempio è sicuramente il caso del campione
tardo-antico di Settefinestre 14 , da classificare come dotati di economie pastorali,
basate cioè principalmente sul latte e sui prodotti caseari, tutti cibi a bassissimo
contenuto di stronzio, oltre che, anche se in misura verosimilmente minore, sulla
carne tratta dalle greggi.
Per un'ulteriore classificazione dei tipi di economia è stato utilizzato il valore
Zn/Ca 15 in quanto espressione quasi diretta, come abbiamo visto, dell'alimenta-
zione carnea o lattea. Come limiti-soglia sono stati adottati i valori Zn/Ca pari
a 0,5 e 0,3S, in quanto inferiori di circa un quarto e un mezzo rispetto al valore
degli americani attuali, una popolazione quest'ultima, come è noto, ad alimenta-
zione assai ricca di carne 16 • È stato pertanto possibile tentare di classificare ulte-
riormente i diversi tipi di economia in ricchi o poveri di alimenti di origine anima-

268 ------------------------------
--------------------------- GINO FORNACIARI

le se dotati rispettivamente di valori superiori, o inferiori, ai valori-soglia suddetti


( > 0,5 = economia ricca; < 0,35 = economia povera).
I risultati ottenuti, insieme alla chiave di lettura e alle interpretazioni relative,
sono riportati nella tabella 2 e nel grafico 3 per alcune popolazioni del Mediterra-
neo orientale, nella tabella 3 e nel grafico 4 per alcune popolazioni del Mediterra-
neo occidentale 17 •

Tabella 2 - MedJe e deviazioni standard dello stronzio e deDo zinco ossei in alcuni campioni
di popolaionl di età ltorka del Mediterrueo orlntale

Località Epoca Numerosità Sr/Ca• Zn/Ca Economia

I) Atene Primo Ferro 15 0,779±0,183 0,478±0,088 agricola


2) Atene Classica 6 0,758::i:0,182 0,432 ±0,055 agricola
3) Atene Ellenistica 17 0,681 ±0,231 0,505::i:0,123 agricola-ricca••
4) Atene Romana 5 0,711 ±0,105 0,467 ±0,058 agricola
5) Atene Bizantina 5 0,487 ±0,129 0,552 ± O,119 mista-ricca
6) Costantinopoli Bizantina 28 0,444±0,092 0,440±0,070 mista
7) Gortina Bizantina 22 0,308 ± 0,068 0,517 ±0,095 pastorale

I, 2, 3, 4, 5, 6, da Bisci (1980); 7 da Fornaciari et Al. (1985).

• corretto col sito


•• ricca di alimenti di origine animale

Gnlko 3 • Coacenlnlzloal reladve delle llkoazlo e delle ziaco ONel In nkuni campioni
di popolalonl del MedlternMo orientale

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0,1

ECONOMIA AGFIIC AGAIC AGRICOLA AGAIC MISTA MISTA PASTORALE RICCA {j


RICCA AICCA

-----------------------------269
HOMO EDENS -----------------------------

Tabella 3 - Medie e derivazioni standard dello stronzio e dello zinco ossei in alcuni campioni
di popolazioni di elà storica del Mediterraneo ocddentale

Località Epoca Numerosità Sr/Ca• Zn/Ca Economia

l) Pontecagnano VII-VI sec.a.C. 16 0,932 :t:0,284 0,435 :t:O,145 agricola


2) Pontecagnano V-IV sec.a.C. 14 0,816 :t:0,286 0,307 :t:O,I08 agricola
3) Tarquinia lii sec.a.C. 35 0,823 :t:0,364 0,343 :t:o,162 agricola
4) Alba (Cuneo) lii-IV sec.d.C. 5 0,884:t:0,109 0,448 :t:o,172 agricola
5) Settefinestre (Or) lii-V sec.d.C 4 0,157:t:0,115 0,680:t:O,187 pastorale
6) Villa dei Gordiani
(Roma) IV sec.d.C. 32 0,541 :t:O,165 0,535 :t:0,204 mista-ricca ..
7) Cornus
(Sardegna) VII-VIII sec.d.C. 3 0,439 :t:0,029 0,311 :t:0,023 mista-povera
8) Sarezzo (Brescia) VII sec.d.C. 16 0,400:t:0,182 0,475 :t:0,216 pastorale?
9) Villa Carcina
(Brescia) VII sec.d.C. 30 0,254 :t:o,195 0,594 :t:0,350 pastorale

1,2 da Cuni (1986); 3, 4, 5, 6, 7, da Fornaciari et Al. (19861 , 1982, 19841 , 1984b, 1986J; 8, 9 da
Mazza (1985).

• corretto col sito


•• ricca di alimenti di origine animale

Gnlko 4 - Coace■truloal reladn dello lltro■zio e dello :d■co oael la akual camploal
di popolazloal del Medlterrueo ocdde■tale

...... ,..
S.IC•1Zn'Ca
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(H•l'f .... e .,
... J
...
.., I1 i
l,.

O.I

...
...
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ICONOMIAt

Abbiamo potuto rilevare cosi che alcune economie, classificate come di tipo
agricolo o misto per i valori dello stronzio, possedevano anche un'alimentazione
ricca di alimenti di origine animale. È notevole però il fatto che tre gruppi, come
quello bizantino di Gortina, quello tardo-romano di Settefinestre e quello alto-

270 -----------------------------
------------------------- GINO FORNACIARI

medievale di Villa Carcina, classificati a economia pastorale in base ai valori dello


stronzio, posseggano anche valori di zinco osseo particolarmente elevati (evidente-
mente da consumo di latte e prodotti caseari poveri di Sr e ricchi di Znl). Il
fenomeno costituisce un'ulteriore riprova della validità dell'ipotesi teorica di
partenza.
Riportiamo nel seguente prospetto una sintesi dei risultati conseguiti finora:

TIPO DI ECONOMIA CAMPIONE EPOCA

Atene Primo Ferr0

Atene Classica
Pontecagnano Classica
Agricola Atene Ellenistica
Pontecagnano Ellenistica
Tarquinia Ellenistica
Atene Romana
Alba Tardo-romana

Atene Bizantina
Mista Costantinopoli Bizantina
Roma Tardo-romana

Gortina Bizantina
Settefmestre Tardo-romana
Pastorale Villa Carcina Alto-medievale
Sarezzo? Alto-medievale

Mista-povera Comus Alto-medievale

Dal prospetto sembrerebbe di potere rilevare che l'economia dell'Età classica ed


ellenistica sia stata sempre agricola, anche indipendentemente dall'ethnos (greco,
etrusco o italico). In particolare gli Ateniesi, per tutto il lungo periodo di tempo
che va dalla prima Età del Ferro (1150-700 a.C.) all'epoca romana (31 a.C.-476
d.C.) e quindi per oltre un millennio, mantennero un'economia di tipo agricolo.
Anche alcuni studi recenti di carattere storico hanno richiamato l'attenzione sul-
l'importanza delle quantità di cereali nella razione-tipo giornaliera degli Ateniesi
di Età classica, che fornivano addirittura il 70-750Jodell'apporto calorico 18 • Si
tratta di conclusioni assai simili alle nostre e che, essendo state ottenute con meto-
di completamente diversi, quali l'analisi accurata delle fonti scritte, costituiscono
una ulteriore, importante riprova delle validità delle indagini paleonutrizionali da
noi proposte.
Agricola risulta anche l'economia di Alba tardo-romana, in quanto l'alta Pia-
nura Padana ha da sempre offerto, in qualsiasi epoca, condizioni favorevoli all'a-
gricoltura.
I campioni di epoca bizantina di Atene e di Costantinopoli e quello tardo-
romano di Roma appaiono dotati di economie di tipo misto. La spiegazione è
da ricercarsi verosimilmente nel fatto che si tratta di medie o grandissime città
del tardo Impero, dotate necessariamente di un efficiente sistema di approvvigio-

----------------------------- 271
HOMO EDENS----------------------------

namenti che vi faceva confluire giornalmente enormi quantità di derrate alimenta-


ri, costituite appunto da carne o da cereali.
Sembrerebbe pertanto che le economie alimentari di tipo misto potessero at-
tuarsi solo in queste grandi sedi urbane, dove accurati e rigorosi sistemi di distri-
buzione dovevano permettere una disponibilità abbondante, ma sensibilmente equi-
librata, dei diversi tipi di cibo; si avevano in altri termini tutte le condizioni per
una spontanea insorgenza nei cittadini di diete equilibrate in proteine (carne) e
carboidrati (farinacei), e cioè di tipo misto.
Le economie di tipo pastorale si svilupparono anch'esse, almeno nel caso
dei campioni studiati, nel periodo tardo-antico, ma sempre nell'ambito di gruppi
umani poco o nulla urbanizzati, come è il caso della Gortina bizantina, del piccolo
campione tardo-romano di Settefinestre e dei campioni alto-medievali di Villa Car-
cina e di Sarezzo.
Il motivo è da ricercarsi con tutta probabilità, per i primi due esempi, nel
progressivo impaludamento delle pianure della Messarà e della Maremma grosse-
tana, verosimilmente a causa della distruzione delle opere idrauliche dell'antichità
unito all'innalzamento del livello marino che si ebbe proprio in quel periodo 19•
Mentre da un lato vennero meno così le condizioni ambientali per la pratica dell'a-
gricoltura, dall'altro si creò un ambiente adatto alla pratica della pastorizia e inol-
tre in un periodo, almeno per la penisola italiana, di grave decadenza economica.
Anche per i campioni padani di Villa Carcina e Sarezzo la causa è da ricercar-
si nel periodo turbolento e di forte instabilità sociale che caratterizzò appunto
il VII secolo, e che impedì probabilmente qualsiasi, sia pur elementare, pratica
agricola stanziale.
Infine l'economia mista-povera delle Cornus del VII-VIII secolo d.C. sembre-
rebbe espressione di un gruppo umano in condizioni alimentari molto precarie,
situazione che doveva essere forse assai frequente nella Sardegna alto-medievale.
Teniamo a precisare che il nostro deve essere considerato solo un primo tenta-
tivo di classificazione, basato per di più su alcune ipotesi di lavoro, anche se
assai verosimili, il cui modello potrà essere accettato, o meno, solo sulla base
di ulteriori studi effettuati su campioni più numerosi e archeologicamente ben
caratterizzati. Ci sembra opportuno comunque sottolineare l'interesse, per gli ar-
cheologi e gli storici dell'antichità, di questo nuovo tipo di indagini, una volta
che saranno state ulteriormente perfezionate ed estese al maggior numero possibile
di necropoli 20 •

NOTE

1) C. B. SZPUNAR-J. E. BUIKsTRA,Ana/ysis of rican Journal of Physical Anthropology", 51,


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1978, pp. 199-202; J. B. LAMBERT-C. B. eastern Medite"anean, with particular atten-
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1979, pp. 115-129; M. J. ScHOENINOER, Diet stitution, Washington, 1980, pp. 73; R. L.
and status al Chalcatzingo:some empirica/and BLAKELY-L.A. BEcx:, Trace e/ements, nutri-
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272 ------------------------------
----------------------------- GINO FORNACIARI

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letrici di epoca tardo-romana (IV secolo d.C.) ScHOBNINOBII., op. cii., 1981, p. 86; FOllNA·
della "Villa dei Gordiani" (Roma), "Archi- CIAIU,op. cit., 1982, p 66; ScHOBNINOllll,op.
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epipaleolithic and neolithic of the Levant: the 1984, p. 154; SD.LBN,op. cit., 1984, p. 152;
Sr/Ca evidence, "Paléorient', 10, 1984, pp. FollNACIAIUet Al., op. cii., 1986; FOllNACIA·
149-155; L. L., Ku!PINOER,Nutritional asses- IU et Al., op. cit., 1987.
sment /rom bone, in Annual "Review of 6) Sll.LENet Al., op. cit., 1981, pp. 70-73; Sn.-
Anthropology", 13, 1984, pp. 75-96; O. LEN, op. cit., 1984, p. 152.
FORNACIAIU-8.ÙCCANTI-E. MENICAOUTlt.E- 7) 8ISEL, op. cii., 1980, ScHOENINOBll,op. cii.,
VISANI, Ricerca degli elementi guida della nu- 1981, p. 86; SIU.EN, op. cit., 1981, pp.
trizione e di alcuni metalli pesanti mediante 132-133; FOllNACWU,op. cii., 1982, pp. 66-67;
spettroscopia ad assorbimento atomico (Gor- ScHOENINOEII., op. cii., 1982, p. 47; FORNA·
tina, Creta), "Annuario della Scuola Archeo- CIAlll et Al., op. cii., 1982; p. 111 e p. 116;
logica Italiana di Atene", 1985, in stampa; FOllNACIAIUet Al., op. cii., 1982, p. 111 e
O. FollNACLUJ-F. MAu.BoNI, Nuovi metodi p. 116; O. FoRNACIAIUet Al., op. cit., 1984,
e prospettive nella paleoantropologia di età p. 154 e p. 159; SILLEN,op. cit., 1984, pp.
storica, in Atti del II Congresso Internazio- 152-153, FOllNACWUetAl., op. cii., 1985; Fo11.-
nale Etrusco, Firenze, 26 maggio-2 giugno NACIA1llet Al., op. cit. 1986; FORNACIAIU et
1985, in stampa; o. FORNACIAIU-F.MAI.LE- Al., op. cit., 1987.
ONI, Paleonutritional studies on skeletal re- 8) Ibidem.
mains of ancient populations /rom the Medi- 9) BISEL,op. cii, 1980, p. 71; ScHOBNINOEII., op.
terranean area: an attempt to interpretation, cit., 1981, pp. 85-86; ScHOBNINOBR,op. cii.,
"Antropologischer Anzeiger", 45, 1987, in 1982, p. 48; Sn.LEN, op. cit., 1981, p. 133.
stampa. 10) ScHOBNINOER,op. cii., 1981, p. 85; per ora
2) M. EUAS, The feasibility of dental Strontium abbiamo a disposizione un solo campione prei-
analysis /or diet-assessment of human popu- storico italiano, anche se molto pregevole, cioè
lations, "American Journal of Physical Anth- quello protoeneolitico di Piano-Vento presso
ropology", 53, 1980, pp. 1-4: M. J. Agrigento, costituito da 20 individui, conces-

----------------------------- 273
HOMO EDENS------------------------------

soci dal Dr. G. Castellana. Le sue caratteri- l'Italia Settentrionale: V-diaCarcina e San:wr
stiche sono analoghe a quelle dei campioni Brescia, Tesi di laurea in Scienz.e Biologiche,
neolitici iraniani, qui esaminati, e dimostra- Università di Pisa, 1985-86. C. Cum, Indagi-
no la validità del confronto. ne pa/eopatologica e paleonutriziona/e median-
11) BJSEL,op. cii., 1980, p. 20; 81.AULY et Al., te spettroscopia ad assorbimento atomico su
op. cit., 1981, p. 421; Ku!PJNGBJt,op. cit., reperti ossei pre e protostorici: evidenza di
1984, p. 82. talassemia o altre anemie ereditarie? Tesi di
12) L. GUEGUEN, La composition minérale du lait laurea in Farmacia, Università di Milano,
et son adaptation aux besoins minéraux du 1985-86.
jeune, "Anna/es de Nutrition et Alimenta- 18) L. FoXHALL-H.A. FollBES, Sitometreia: The
tion", 25, 1971, pp. 335-351; F. FIDANZA, Gli role of grain as a stop/e food in Classica/ An-
alimenti di origine animale, in Lineamenti di tiquity, "Chiron", 12, 1982, p. 74; L. GAL-
nutrizione umana (F. Fidanza, G. Liguori, F. LO, Alimentazione e demografia della Grecia
Mancini Ed.i), Napoli, 1974, pp. 216-217; P. antica, Salerno, 1984, p. 35.
MoNTENERO-C.BoNBSSA, Dietologia pratica, 19) G. ScHMJEDT, li livello antico del Mar Tirre-
Milano, 1980, pp. 124-125. no: testimonianza dei resti arrheologici, Fi-
13) Fornaciari et Al., op. cit., 1984, pp. 166-167; renz.e, 1972; M. TERS, Les variations du ni•
fORNACIARJet Al., op. cii., 1986; fORNACIA- veau marin depuis 10.000 ans le long du lil-
Rl et Al., op. cit., 1987. tora/ atlantique français, in "Actes du 9'
14) G. FoRNACIARJ-F.MALu!0NI, Analisi antro- Congrès lnternational de l'INQUA", Bulle-
pologica paleonutrizionale dei resti scheletrici tin de l' Association Française pour l'Etude du
umani, in (a cura di A. CARANDINI)"La Vil- Quaternaire (Supplément) 36, 1973, pp.
la Romana di Settefinestre", 3, 1985, PP.· 114-135).
275-277. 20) Altre applicazioni sono state proposte per la
15) SILLENet Al., op. cii., 1981, pp. 74-75. risoluzione di problemi particolari all'interno
16) 8ISBL, op. cii., 1980, p. 73. dei singoli campioni. È stato fra l'altro possi-
17) Valori tratti da: 8ISBL,op. cit., 1980; FoRNA- bile accertare delle differenze statisticamente
CIARJet Al., op. cii., 1982; G. FoRNACIARl- significative fra i valori paleonutrizionali di
F. MALLEONI,Su un gruppo di inumati della un gruppo gentilizio e quelli, coevi, di un cam-
necropoli di Comus: aspetti antropologici, pa- pione di classe socialmente inferiore, dello stes-
leopatologici e paleonutrizionali, in "L'archeo- so ambiente urbano, in epoca tardo-romana
logia Romana e altomedievale nell'Oristane- (vedi FORNACIARI et Al., op. cii., 1984). Sarà
se", Atti del Convegno di Caglieri (22-23 giu- possibile identificare con precisione l'età del
gno 1984), pp. 213-229, FoRNACIAJllet Al., divezzamento in base al brusco aumento del
op. cii., 1986; A. MAZZA,Analisi paleonutri- tasso osseo di Sr nelle serie infantili, in quan-
zionale e paleopatologica di due campioni di to il latte materno è estremamente povero di
popolazione alto-medievale (VII sec. d.C.) del- questo elemento (vedi SILLENet Al., 1982).

274 -----------------------------
MODELLI ODONTOMORFOLOGICI:
UN TENTATIVO DI INDAGINE
NUTRIZIONALE DALLO STATO
DEI DENTI DI GRUPPI
UMANI ANTICHI
di Francesco Ma/legni

11complesso dentario fa parte dell'apparato masticatorio e costituisce, almeno


nell'uomo, lo strumento deputato a rendere adatti gli alimenti all'ingestione. I
denti nel meccanismo della masticazione rompono e frammentano, più o meno
finemente, le fibre sia di origine vegetale che aninale predisponendole a un miglio-
re attacco dei succhi gastrici, una volta che esse sotto forma di bolo sono state
spinte nello stomaco. Per poter compiere la funzione masticatoria le due arcate
dentarie, superiore e inferiore, debbono esercitare una pressione l'una contro l'al-
tra, con movimenti più che altro inf ero-superiori, ma anche latero-mediali della
mandibola, che è l'unico osso mobile del cranio. La pressione si distribuisce su
tutte le parti del dente specialmente però a livello del piano masticatorio, e contri-
buisce massivamente all'usura di quest'ultimo.
L'usura è quindi un fenomeno dovuto soprattutto ai fattori dietetici, causa
prima la durezza dei cibi e la presenza negli stessi di sostanze non alimentari,
perciò inquinanti, come fini granuli di polvere o altro. Possono prendere però
parte all'usura anche funzioni estradietetiche quali l'uso dei denti come terzo arto
(preparare utensili, conciare pelli, strappare cortecce, frantumare gusci ecc.) e i
movimenti involontari della mandibola quali si hanno nel bruxismo.
Il dente è strutturato per assolvere almeno al primo compito, cioè quello ali-
mentare ed è formato per questo da sostanze estremamente dure, delle quali la
più dura, tra le strutture del corpo, è senza dubbio lo smalto che raggiunge il
grado 7, 5 della scala di Mohs, valore intermedio tra quelli del quarzo e del topa-
zio. Lo smalto che ricopre completamente la corona è di origine epiteliale come
le unghie e i peli mentre la dentina, che sottostà al primo nella corona, e il cemen-
to, che forma la radice, sono omologhi alle ossa.
Mentre lo smalto, che pur con la sua durezza, si consuma e non si riforma
dato che gli ameloblasti (cellule deputate alla sua formazione) una volta assolta
la loro funzione scompaiono, la dentina può riformarsi perché gli odontoblasti
continuano a riprodurla (dentina secondaria) specialmente nella camera pulpare.
Tale fenomeno può essere visto come un dispositivo atto a non far penetrare nella
camera pulpare i residui alimentari e la flora batterica che causerebbe l'instaurarsi
di inf enzioni con formazione di granulomi e ascessi e con conseguente caduta
del dente.
Nonostante la durezza di queste strutture abbiamo con il tempo una usura

----------------------------- 275
HOMO EDENS ---------------------------

delle stesse che si risolve in un graduale abbassamento della corona dentaria spe-
cialmente nel piano occlusale e una modestissima usura dei piani vestibolare e
linguale (fig. 1 e 2).
Col tempo si ha la scomparsa dei tubercoli e l'esposizione graduale della den-
tina sottostante. Attualmente, sia con l'osservazione macroscopica ma meglio an-
cora per mezzo dell'uso del microscopio ottico a riflessione e di quello elettronico
a scansione, dopo una preparazione delle superfici dentarie (specialmente la vesti-
bolare), è possibile analizzare i segni lasciati dagli alimenti durante l'atto mastica-
torio; da questi si può ipotizzare, come vedremo nel prosieguo, la natura degli
alimenti stessi tramite il confronto con lo stato delle superfici dentarie di gruppi
umani a dieta nota o anche, con le dovute cautele, di animali a dieta monotona
(WALKER, 1981).
L'analisi della situazione dentaria (usura e stigmate patologiche), per l'indagi-
ne delle abitudini dietetiche di un gruppo umano, è una branca dell'antropologia
fisica piuttosto recente che abbraccia il periodo dell'ultimo decennio {PuECH, 1976,
1979; PANT, 1979; PuECH et al., 1979; COSTA, 1980; PuEcH, 1980; PuEcH et al.,
1980; PuEcH, 1984; WALKER, 1981; KlESER et al., 1985; MOLNAR, et al., 1985;
RosE et al., 1985; tanto per citare alcuni lavori sull'argomento). Antecedentemen-
te, a cominciare dai primi anni del Novecento, gli studi sui denti erano rivolti,
come in parte lo sono tutt'ora, al rilievo dei caratteri metrici e morfometrici;
lo scopo era ed è quello di evidenziare tendenze evolutive nell'ambito dell'ordine
dei primati in genere (genere Homo compreso quindi) e microevolutive nei gruppi
umani preistorici e storici in particolare.
Pur partendo dal presupposto che l'analisi dello stato dei denti di un gruppo
umano estinto è un modo indiretto per risalire alle sue abitudini alimentari (ci
è dato infatti di osservarne solo gli effetti) consideriamo per convenzione come
modo "diretto" il rilievo di tutti quei segni che dipendono dalla scelta dei cibi
e "indiretto" altri aspetti che rientrano nel campo della patologia e che permetto-
no di ipotizzare la natura del cibo assunto e anche le carenze alimentari. Conside-
riamo il primo metodo. Si parte di solito dall'osservazione macroscopica che per-
mette di valutare quale segmento dell'arcata dentaria è più interessato all'usura,
e di quest'ultima rilevare, a livello del piano occlusale di ogni dente, la direzione,
l'intensità (l'usura ovviamente è in relazione anche all'età di morte del soggetto)
e quali sono le patologie connesse alla alimentazione.
Segue l'osservazione microscopica mediante tecniche particolari della quale
la più in uso, perché facilita grandemente l'esame, è quella delle repliche delle
superfici dentarie. Di solito una alimentazione prevalentemente carnea usura meno
le superfici masticatorie, a meno che il cibo non sia inquinato da sostanze abrasive
per una cattiva igiene nella preparazione dello stesso, di una dieta a base di vege-
tali perché la carne, sia cruda che cotta, viene di solito rapidamente masticata
e ingerita; solo le molecole di collagene possono contribuirvi se pur modestamen-
te. Una alimentazione basata soprattutto su cibi vegetali costringe la dentatura
a una azione prolungata. Bisogna, infatti, frantumare, tanto più se l'alimento
è crudo, fibre particolarmente dure e resistenti; ci sono inoltre dei vegetali che
contengono nelle loro cellule dei fitoliti. L'azione si ripercuote prevalentemente
a livello dei molari che si spianano molto di più degli anteriori. Questi ultimi
infatti servono solo per tagliare e spezzare.
È stato detto che in popolazioni con dieta a forte componente vegetale i denti

276 -----------------------------
------------------------ FRANCESCO MALLEGNI

anteriori si usurano più dei posteriori proprio per l'azione antecedentemente riferi-
ta; (BoROOONINI TARLI et al., 1985). Ma l'esperienza ci insegna che una volta
tagliati con i denti anteriori i cibi vegetali vengono lungamente masticati con i
molari; se gli incivisi si usurano è solo perché nei movimenti della masticazione
latero mediali, dato il loro piccolo volume e la posizione, la corsa sui contrapposti
e contigui è maggiore che nei molari, tanto più se l'articolazione interdentaria
è di tipo a tanaglia (fig. 3). Nelle popolazioni antiche e attuali, considerate ''pri-
mitive", l'occlusione è di tipo a tanaglia nel 900'/odei casi (PARENTI, 1969).
Comunque l'osservazione macroscopica, per quanto minuziosa, lascia ampi
margini di incertezza sul valore da dare al tipo di usura causato dalla dieta, né
più di tanto ci dice la presenza di depositi di tartaro a livello del colletto o di
carie. Nel primo caso si è voluto vedere una prevalente assunzione di proteine
(soprattutto di origine animale) che renderebbero alcalino l'ambiente buccale con
conseguente precipitazione dei sali di calcio della saliva; per la eziologia della carie
si è voluto vedere un forte apporto di carboidrati i cui residui specialmente infra-
dentali verrebbero metabolizzati da batteri della placca dentaria (soprattutto lo
Streptococcus mutans) con formazione di acidi organici la cui conseguenza sareb-
be un abbassamento del ph nella placca; lo smalto sottostante a quest'ultima in
ambiente acido perderebbe ioni calcio e ioni fosfato, dai cristalliti calcio-fosfato,
che andrebbero a depositarsi nella placca stessa; il fenomeno porterebbe lentamen-
te al processo carioso (fig. 4 e 5).
In ambedue i casi dobbiamo vedere soprattutto mancanza di igiene orale,
sul secondo agiscono altri fattori quali la predisposizione ereditaria, la scarsità
del fluoro nelle acque assunte, una nutrizione scarsa e scadente e nella donna
anche la gravidanza e l'allattamento. Gli zuccheri quindi sono una concausa al-
l'impianto delle carie.
È l'osservazione a livello microscopico che forse dà maggiori possibilità per
affrontare il problema. Si procede a ricoprire la corona del dente, di solito i pre-
molari e i molari, sulle facce occlusale e vertibolare con una pellicola di vernice
nitrocellulosica che asciugata assume uno spessore di 0,1-0,2, mm .. Con tecniche
particolari essa viene staccata e posta in un telaio per diapositive che funge da
vetrino. La replica ha una trasparenza che permette l'esame sia al microscopio
ottico a riflessione che a quello elettronico a scansione (PEDERSEN et al., 1951).
Concepita come possibile indagine sul modo di nutrizione degli antichi omini-
di, essa può essere valida anche per le popolazioni preistoriche e storiche. C'è
però bisogno di una verifica con dentature di soggetti attuali ad alimentazione
esclusiva (o vegetariana o carnea) che non abbiano beneficiato dei mezzi moderni
della igiene orale (PuEcH, 1976). Si è potuto constatare che un'alimentazione es-
senzialmente carnea con il tempo produce sullo smalto e sulla dentina delle striatu-
re ad andamento in prevalenza verticale mentre quella vegetariana produce strie
più disordinate tra le quali tendono a prevalere quelle ad andamento orizzontale
(fig. 6 e 7). Si passa quindi a considerare la relazione tra le dimensioni e l'orienta-
mento delle strie e la loro lunghezza media. È ovvio che necessita usare lo stesso
campo di ingrandimento. I dati vengono poi visualizzati in un diagramma stellato
dove la lunghezza totale delle strie è divisa per il loro numero e la direzione va
di 45° in 45° (fig. 8).
Questo metodo ha permesso per esempio di verificare che durante almeno
le ultime tappe dell'evoluzione umana l'accrescimento del numero delle strie oriz-

----------------------------- 277
HOMO EDENS -----------------------------

zontali, la diminuzione di quelle verticali e il loro accorciamento medio in lun-


ghezza si accompagna in genere a un declino della caccia per una progressiva
economia di produzione.
Un ultimo accenno a quelle che antecedentemente abbiamo definito come me-
todo indiretto di indagine sulle abitudini alimentari dei gruppi umani. Veramente,
al pari delle stigmate patologiche che si possono rilevare a livello scheletrico, non
ci permette di ipotizzare la natura del cibo assunto; esso più che altro ci evidenzia
la scarsità dietetica in genere quale si verifica nei periodi di carestia o per un
consumo di cibi a scarsissimo contenuto calorico.
Durante l'amelogenesi nel periodo infantile si possono verificare stress nutri-
zionali che influiscono direttamente sulla amelogenesi stessa bloccando la deposi-
zione dello smalto; quest'ultimo a eruzione dentaria avvenuta mostra delle strie
orizzontali più o meno profonde (fig. 9) che nei casi particolarmente gravi riesce
a deformare addirittura il naturale andamento della corona (ScHOEDER., 1983).
Anche stati febbrili prolungati, a causa ad esempio di malattie infettive, possono
portare agli stessi risultati ma di solito la diminuzione delle difese organiche è
legata a nutrizione scadente e quindi in definitiva la causa è sempre la stessa.
Dal numero delle strie è possibile renderci conto del numero dei periodi in cui
il bambino e la popolazione in genere è stato sottoposto a stress nutrizionali e/o
morbosi.
Intendiamo sottolineare però che anche l'antropologia dentaria come tutte
le discipline non è a senso unico; bisogna tenere conto di molti altri fattori per
una oggettiva lettura dei dati: primo tra tutti l'orizzonte ecologico in cui i gruppi
umani operarono e i dati dell'archeologia, in tutti i loro aspetti. Certamente si
tratta di un metodo di ricerca che ha ancora bisogno di verifiche e più che altro
di ulteriori affinamenti, ma può renderci edotti sul tipo di alimentazione dell'uma-
nità lungo la sua storia.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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Figurs 1 - Dentizione anteriore definitiva di un bambino di circa 7 anni; notare le tipiche insicure
sul bordo libero degli incisivi che scompariranno con l'usura, fenomeno iniziato sui due incisivi ante-
riori (mandibola medioevale dal cortile del Tribunale di Verona - Scavi Hudson).

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HOMO EDENS ------------------------------

Figura 2 - Usura dentaria assai avanzata in un soggetto romano (di circa 45 anni) rinvenuto in u
sarcofago di età imperiale del Verano. Notare lo spianamento dei tubercoli dei molari e premolari
e del margine degli incisivi e canini.

Figura 3 - Occlusione di tipo labidonte o "a tanaglla" In un individuo proveniente dalla necropoli
altomedioevale di Malvito (Cosenza).

280 --------:----------------------
---------------------------- FRANCESCO MALLEGNI

Figura 4 - Lo stesso individuo della ftg. 3. Notare i depositi di tartaro a livello degli incisivi mandibolari.

Figura 5 - Carie e ascessi ln un individuo etrusco della necropoli del Calvario di Tarquinia.

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HOMO EDENS ------------------------------

Figura 6 - Striature vertkaJI sullo smalto dovute a una allmentazione di tipo carneo (da Puecb, 1976).

Figura 7 - Striature ad andamento di ordinato, tra cui piccano quelle orizzontali dovute a una alimen-
tazione prevalentemente vegetariana (da Puech, 1976).

282 --------------------------------
---------------------------- FRANCESCO MALLEGNI

Figura 8 - Diagrammi stellati a coi corrispondono: 1 - alimentazione carnea; 5 - alimentazione vegeta-


riana; 2-3-4 alimentazione mi ta in cui la componente vegetariana i fa via via più consistente (da
Poecb, 1976).

IE !ODE DE 'I

2 3 4 5

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HOMO EDENS -------------------------------

Figura 9 - Un caso dJ ipoplasia dello smalto nella dentizione di un bambino della necropoli altomedle-
vale di Malvito (Cosenza).

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LEGUMINOSE E STRUTTURE
NUTRIZIONALI MEDITERRANEE
di Giovanni Ballarini

I fatti alimentari che costituiscono l'alimentazione, la cucina e la gastronomia


hanno significati eminentemente strutturali, connessi con la realtà economica e
sociale e quindi di grande importanza culturale.
Prima di tutto viene l'alimentazione: l'uomo, ma anche le piante e gli animali
si alimentano. La cucina in quanto sistema di preparazione e di perfezionamento
dei cibi è invece prettamente umana. L'uomo sottoponendo i cibi e le bevande
a una serie di interventi, dà vita ad attività artigianali e culturali. La cucina ha
decisi caratteri popolari, tradizionali, conservativi, locali e una connotazione fem-
minile. Inoltre è legata al territorio e alla storia, usa i prodotti tipici di ogni singo-
la regione e stagione, è in stretto rapporto con l'ambiente. La cucina si basa su
conoscenze ancestrali spesso inconsce e analogamente ad altre mariifestazioni po-
polari, viene trasmessa da una generazione a un'altra per via orale e per imitazio-
ne. Un ulteriore passo avanti è invcece la gastronomia, che utilizza "invenzioni"
in gran parte indipendenti dall'ambiente e dal tempo, costituendo un effimero
dotto, innovativo, internazionale e con notazioni prevalentemente maschili.
Per una conoscenza delle culture umane, più che i fatti relativi all'uso di
questo o di quell'alimento semplice (storia degli alimenti), è necessario conoscere
la storia delle loro trasformazioni (storia della cucina).
La storia della cucina è essenziale per individuare ciò che permane attraverso
il succedersi dei fatti ed è costante nel fluire della storia stessa, spiegando i fatti
alimentari e culinari, le motivazioni intime e nascoste delle modulazioni e trasfor-
mazioni degli oggetti culinari, delle ricette e delle regole d'uso di ogni singolo
modello culinario. In altri termini, anche nella storia della cucina è presente una
dimensione metastorica della alimentazione umana, costituita dalla metacucina.
Un approfondimento delle nostre conoscenze sulla storia della cucina e sulla
metacucina come ora definite è di estrema importanza in un momento come l'at-
tuale nel quale stiamo osservando una sempre maggiore anarchia alimentare che
sconfina in un caos alimentare non senza significato sociale.

D "modello alimentare mediterraneo"


Il Mediterraneo si presenta come punto di incontro/scontro tra l'Asia, l'Africa
e l'Europa. I tre continenti confluiscono sul grande mare nel quale i traffici marit-
timi fin dalla più lontana antichità hanno portato a interessanti fenomeni di inva-

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HOMO EDENS ----------------------------

sioni e di "ibridazioni" culturali, che si manifestano a diversi livelli e anche nella


cucina.
Recentemente si è coniato il termine di dieta medieterranea e la si è certamen-
te enfatizzata al di sopra della realtà. A un esame critico è facile constatare che
seppure esistono alcuni elementi comuni nell'alimentazione dei popoli che si affac-
ciano sul Mediterraneo (presenza di olio, frumento, latte e formaggio da pecore),
non esiste una dieta mediterranea unitaria, ma esistono tante diete, culturalmente
qualificate, quante sono le singole popolazioni. Certamente è più corretto parlare,
più che di "dieta mediterranea" di "modello alimentare mediterraneo".
Per modello alimentare bisogna intendere uno schema generale (o una struttu-
ra) nel quale sono compresi sia le strutture materiali sia le strutture di uso.
□ Strutture materiali. I principali elementi costitutivi delle strutture materiali e
presenti nei modelli alimentari sono: ambiente; tecniche agro-animali; econo-
mia. Dalla loro interazione sorgono gli elementi "marcatori" (e cioè specifi-
canti o tipizzanti) i più importanti dei quali sono: alimenti semplici, condimen-
ti, conservanti.
□ Strutture d'uso. Le più importanti strutture d'uso fanno riferimento ai sistemi
di conservazione (essiccamento, fermentazione, salagione, affumicamento ecc.)
ed ai modelli di uso (ricette, calendari stagionali, regole di menu ecc.).
Nel pur ampio ambito mediterraneo esiste un modello alimentare mediterraneo
caratterizzato da alcune strutture materiali (grano, vino, olio, talune leguminose,
pecora e suoi prodotti ecc.) e strutture d'uso (fermentazioni soprattutto dei cerea-
li, ma anche dei latticini; ricette e calendari stagionali; regole di menu ecc.) che
ovviamente hanno variazioni nel tempo e nello spazio e che nelle aree "marginali"
e di transizione con i territori extra-mediterranei e più o meno lontani dal mare
subiscono ibridazioni culturali diverse.

Le leguminose quali "marcatori" del "modello alimentare mediterraneo"


Le abitudini alimentari nel loro complesso soprattutto un tempo erano caratteriz-
zate da una forte staticità, tramandandosi pressoché immutate o solo con minime
variazioni di generazione in generazione. Questa caratteristica ha particolare rile-
vanza per taluni cibi, che per questo vengono identificati quali "marcatori" di
una determinata cucina e quindi di una cultura. È il caso questo dei "condimenti"
o come, sulla imitazione della terminologia francese, oggi si usano chiamare i
"fondi di cucina" e i "fondi di cottura".
Per questa loro "immutabilità" i mezzi di cucina hanno attirato l'attenzione
non solo degli etnologi, ma anche degli storici. «La tecnica culinaria, l'utilizzazio-
ne preferenziale di questo o di quel grasso per la cucina corrente o per la cucina
eccezionale, sembra presentare una notevole fissità; un po' ovunque, essa ha la
solidità delle abitudini che non sono più messe in questione» (FEBVRE, 1938). Per
questo è possibile considerare i grassi - uno dei più importanti mezzi di cucina
- come "marcatori" dei modelli alimentari.
In modo analogo ai grassi, anche le leguminose possono venire esaminate
nel loro ruolo di "marcatori" del "modello alimentare mediterraneo": per l'anti-
chità di uso, la vastità ma anche varietà di impieghi, le "regole" che ne hanno
indirizzato l'utilizzo nelle diverse popolazioni e periodi. Tra le leguminose un ruo-

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------------------------ GIOVANNI BALLARINI

lo particolarmente evidente di "marcatore" è stato inoltre assunto dalla fava,


alla quale è stata dedicata un'ampia e molto variegata letteratura.
Al fine di meglio comprendere il ruolo di "marcatore" culinario-culturale
di un alimento è inoltre necessario distinguere - ciò che non viene frequentemen-
te fatto - gli aspetti nutrizionali dell'alimento dagli aspetti extranutrizionali, que-
sti ultimi non meno importanti dei primi, soprattutto in una corretta interpretazio-
ne di utilizzo dell'alimento stesso.
In questa sede non ci pare necessario e neppure opportuno effettuare un esa-
me dettagliato della storia della coltivazione delle leguminose e delle loro proprietà
nutrizionali. In proposito ci limiteremo ad alcuni brevissimi cenni, puramente in-
dicativi.
Le leguminose sono state coltivate dall'uomo in tutti i continenti (basterà
ricordare i fagioli e l'arachide di origine americana e la soja coltivata da millenni
nell'Asia orientale). Per quanto riguarda l'Europa e i paesi che guardano il Medi-
terraneo sono certamente sufficienti i seguenti cenni relativi alle lenticchie (Lens
escu/aza) presenti in Egitto già nel 2400-2200 a.e. e notoriamente citate nella Bib-
bia; i ceci (Cicer arietinum) erano coltivati attorno al Mediterraneo fin dalla prei-
storia; la coltivazione della fava ( Vicia faba) risale almeno all'Età del Bronzo;
i piselli (Pisum sativum) erano già presenti presso popolazioni svizzere nel 4500
a.C.; i lupini infine (Lupinus a/bus) risalgono almeno all'età romana.
Le proprietà nutritive delle leguminose risiedono soprattutto nel loro elevato
contenuto proteico e per talune di esse anche di grassi. Hanno un alto valore
plastico (in rapporto alle proteine) ed energetico (in relazione ai grassi), anche
se è noto che il valore biologico delle proteine delle leguminose non è molto eleva-
to e certamente inferiore a quello delle proteine contenute negli alimenti di origine
animale (carne, latte, uova). Considerando i semi di leguminose utilizzati nella
alimentazione mediterranea e sopra citati, si può dire che il contenuto proteico
varia da un minimo del 180foper i ceci a un massimo del 44,30fonei lupini (contro
un 190focirca della carne), mentre per i grassi vi è un minimo dell'l,4% nei piselli
e un massimo del 16,50fonei lupini, con apporti calorici per 100 grammi di sostan-
za edibile che vanno dalle 334 kilocalorie nelle lenticchie alle 407 kilocalorie nei
lupini (la carne ha in media il 13% di grassi e apporta circa 200 kilocalorie per
etto di sostanza edibile). Si comprende quindi come sia stato possibile definire
le leguminose la "carne dei poveri".
Per quanto concerne l'uso nutrizionale delle leguminose è necessario accenna-
re ai processi di intersupplementazione a cui partecipano nella dieta in cui entrano
a fare parte. Infatti non esiste alcuna popolazione che si nutra di un unico alimen-
to, ma sempre di più alimenti, che associati possono "compensarsi" l'un l'altro.
Ad esempio le leguminose, cibi altamente proteici, associati ai grani di graminacee
altamente energetiche, portano a una dieta "equilibrata" e adatta alle necessità
umane. In modo analogo avviene per quanto concerne lo spettro aminoacidico,
i sali minerali e così via.
Evidentemente gli aspetti strettamente nutrizionali non permettono di com-
prendere e correttamente interpretare il ruolo assunto dalle leguminose nelle cultu-
re mediterranee, e non solo di queste. È opportuno ricordare la loro peculiarità
di arricchire il terreno di azoto, per cui dove le leguminose sono state coltivate
successivamente si hanno più abbondanti raccolti di cereali e di questo è molto
probabile che anche gli antichi si fossero già resi conto.

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HOMO EDENS---------------------------

Tra le attività extranutrizionali delle leguminose alcune sono già state suffi-
cientemente studiate (come quelle della fava), ma molte altre sono state soltanto
accertate, ma non studiate in dettaglio. Almeno come primo approccio al proble-
ma è utile ricordare quali sono le attività extranutrizionali più importanti delle
leguminose usate nella alimentazione, una volta dell'uomo e oggi sempre più degli
animali:
O antienzimi e fattori antinutrizionali, che vengono generalmente interpretati co-
me "mezzi di difesa" del vegetale di fronte a predatori vegetariani, parassiti ecc.
O agglutinine, che non paiono attive per via orale e saponine che sono capaci
di interferire sul metabolismo del colesterolo nell'uomo e negli animali che
si nutrono di semi di leguminose;
O aminoacidi tossici o non utilizzabili dall'uomo e che possono provocare danni
renali. Sono stati individuati in talune leguminose e si ritiene che il trattamento
con alcali possa ridurne l'azione tossica;
O attività farmacologiche diverse, ad esempio l'azione emolitica dimostrata per
la fava e l'attività antimalarica supposta sempre per la fava.

Attività extnnutrizionalldelle leguminose:U caso esemplaredella fava e del favismo


In molte regioni italiane fino alla fine del secolo scorso per la ricorrenza dei morti,
all'inizio di novembre, si mangiavano fave; in seguito sono state sostituite da pic-
coli dolci di zucchero o di pasta zuccherata variamente colorata denominati "fave
dei morti". Il Panzini fa risalire questa tradizione all'uso di offrire le fave alle
Parche, a Plutone, agli Dei Inferi e quindi a una tradizione pre-cristiana. È questo
solo un piccolo esempio di un fatto ancora in parte misterioso e cioè perché nessu-
na pianta, nessun animale conosciuto dagli indo-europei ha dato origine a una
fioritura di credenze più lussureggiante della fava.
La fava era e fino a pochi decenni fa è stata una delle principali fonti di
proteine vegetali nell'alimentazione dell'uomo mediterraneo. Allo stesso tempo era
sacra agli dei della morte. Vita e Morte in stretto rapporto e contrapposizione.
Inoltre fin da Pitagora esisteva una drastica interdizione non solo a mangiare
le fave, ma financo a camminare su un campo di fave. Vuole la leggenda che
Pitagora, avendo raggiunto una età venerabile, sia stato ucciso dopo un tentativo
di fuga impedita da un campo di fave che pref eri non attraversare, finendo cattu-
rato dai soldati agrigentini che lo inseguivano. I motivi di questa avversione sono
stati discussi fin dall'antichità, ma non si ha ancora una esauriente interpretazione.
La situazione ora brevemente indicata si è complicata da quando si è scoperto
che la fava è causa di una malattia, il / avismo, che colpisce un limitato numero
di persone, non raramente in forma molto grave. D'altra parte si è anche avanzata
l'ipotesi, e diversi dati sembrano confermarlo, che la fava abbia una attività anti-
malaricae quindi una azione benefica. Anche la ricerca scientifica sembra indicare
una molto strana "ambivalenza" di veleno-medicinanella fava.
Fava alimento di vita o di morte? Veleno o medicina? Sono interrogativi
che mantengono il più vivo interesse per questo vegetale, e la risposta può servire
anche a comprendere come e perché un vegetale diventi un alimento importante
per una data popolazione.
La fava è una pianta annua con fusto non ramificato, fiori bianchi o violacei,
in grappoli. Il frutto è grosso, verdognolo allo stato immaturo; coriaceo, nero
e peloso .alla maturità; contiene da due a cinque semi irregolarmente ovali. Esisto-

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------------------------ GIOVANNI BALLARINI

no diverse varietà di Viciafaba: maior, minor ed equina. Per l'alimentazione umana


è preferita la maior, con semi grossi e bacello a buccia grossa.
La fava è originaria di una vasta area geografica che va dal Sud del Mar
Caspio ali' Africa del Nord. Allo stato selvatico spontaneo era presente dalla Per-
sia al Maghreb. Il suo uso alimentare, la coltivazione e l'espansione lungo le coste
del Mediterraneo risalgono alla preistoria. Semi di fava sono stati trovati in anti-
chissime località archeologiche italiane, nei villaggi di palafitte dei laghi svizzeri,
nelle tombe egiziane dell'epoca faraonica, come nelle tombe micenee e nelle rovine
di Troia negli strati che risalgono alla prima Età del Bronzo. Omero paragona
il rimbalzo della freccia sulla corazza di Menelao ai salti delle "fave nere" durante
la vagliatura, e questo presuppone che il pubblico per il quale il poeta cantava
le conoscesse molto bene.
Tralasciando gli aspetti più propriamente nutrizionali della fava e consideran-
do particolareggiatamente quelli "extra-nutrizionali", è necessario ricordare che
le fave, analogamente ad altri semi di leguminose, contengono oligosaccaridi di
difficile digestione gastrica e duodenale. Questi oligosaccaridi arrivano nel grosso
· intestino dove sono fermentati a opera della flora batterica colà esistente. Mentre
altri· componenti idrocarbonati non sono fermentati (lignina) o sono fermentati
limitatamente e lentamente (cellulosa), gli oligosaccaridi delle leguminose sono fer-
mentati in modo rapido e tumultuoso, dando origine a gas e soprattutto a metano.
Quest'ultimo può essere in parte assorbito, ma è soprattutto espulso, dando origi-
ne a meteorismo intestinale e a flatulenze. È ora ben spiegata l'affermazione di
Dioscoride (1° secolo d.C.) che afferma: «La fava greca gonfia il ventre e provoca
ventosità; è difficile da digerire e provoca brutti sogni».
Nella fava come in molte altre leguminose, sono contenuti degli antienzimi:
si tratta di inibitori enzimatici che riducono, talvolta in misura considerevole, l'u-
tilizzazione digestiva degli alimenti in cui sono presenti, ma anche di tutta la dieta
nel suo complesso. Gli antienzimi degli alimenti vegetali sono stati per la prima
volta scoperti da OSBORNe MENDEL(1912), ma il loro studio approfondito risale
a questi ultimi decenni. Di particolare importanza è l'attività antitriptica delle
leguminose e tra queste della fava: si tratta di un'attività che inibisce la tripsina
e la chimotripsina con una riduzione della digestione delle proteine contenute negli
alimenti fino al 400Jo.
Ricerche effettuate da KAKADE ed EvANs (1966) dimostrano che la introduzio-
ne nella dieta di fagioli (Phaseolus vulgaris) crudi riduce in modo significativo
l'assorbimento dell'azoto e in particolare di numerosi aminoacidi: metionina, cisti-
na, lisina, leucina e valina, mentre non si osserva diminuzione digestiva se i fagioli
somministrati sono adeguatamente cotti. È necessario un trattamento prolungato,
meglio se a temperatura elevata (cottura a vapore, ad alta pressione).
Interessante è inoltre la presenza nei semi di leguminose di saponine: si tratta
di glicosidi con numerose attività biologiche se somministrate per via parenterale.
Somministrate per via orale interferiscono anche sul metabolismo del colesterolo.
Le saponine non sono distrutte o inattivate dal calore e dai procedimenti culinari
e soltanto la fermentazione può ridurle (la fermentazione viene usata per la soja,
ma non per le leguminose, in particolare la fava, nell'ambiente mediterraneo).
Le saponine alimentari interagiscono con il colesterolo rendendolo insolubile e
interropendone il ciclo entero-epatico. Ne consegue una aumentata eliminazione
fecale del colesterolo e una sua diminuzione nel sangue. L'ampio uso di semi

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HOMO EDENS---------------------------

di leguminose e fra queste anche della fava nella dieta mediterranea, ha quindi
un effetto anti-colesterolo sui trigliceridi ematici. Questo effetto può contrastare
l'esistenza nella dieta di alimenti ricchi di colesterolo e grassi saturi.
La fava contiene anche forti concentrazioni di L-Dopa, circa lo 0,25070del
suo peso. L'L-Dopa, una sostanza oggi usata per la cura del morbo di Parkinson,
una volta ingerita e arrivata al sistema nervoso centrale, aumenta la concentrazio-
ne di dopamina cerebrale, che è un precursore della nor-adrenalina. Sulla base
delle nostre conoscenze si calcola che uno o due pasti al giorno con fave fresche
apportano una quantità di L-Dopa sufficienti ad agire come farmaco in occasione
di morbo di Parkinson. In un organismo normale questa dose può provocare in-
sonnie, ansie e allucinazioni, accrescere la tensione nervosa e stimolare l'attività
sessuale (almeno cosi si riferisce).
Non è però esattamente noto come l'essiccamento del seme e soprattutto i
trattamenti culinari influiscano sulla concentrazione della L-Dopa. Non è da esclu-
dere che proprio gli effetti psicoattivi dell'L-Dopa contenuti nella fava fresca ab-
biano condizionato quell'insieme di terrore e rispetto che hanno ispirato l'uso
della fava nell'antichità e che trovava riferimento nel termine hieros con il quale
veniva indicato l'uso della fava stessa.
È stato supposto, ma non dimostrato che la fava contenga sostanze cianoge-
netiche, e cioè formatrici di acido cianidrico, un potente veleno.
Come si è già detto la fava può causare il favismo, una malattia certamente
antichissima, ma che è stata individuata abbastanza recentemente. È nel 1843 che
il medico portoghese Manuel Pereira de Mira Franco segnala il caso di un uomo
che reagiva con un ittero ogni volta che mangiava fave verdi. Nel 1856 il dottor
Antonio Minà La Grua richiama all'attenzione che nei contadini di Castelbuono,
un villaggio nel retroterra di Cefalù, vi è una itterizia causata dall'effluvio dei
fiori della fava. Nel 1894 il dottor Montano propone il termine di favismo per
designare l'insieme degli inconvenienti, provocati in soggetti particolarmente sensi-
bili, dall'ingestione delle fave o dall'inalazione del polline della fava.
Il favismo per molto tempo era stato ritenuto causato da un "veleno" conte-
nuto nella fava o da una strana "allergia". È però solo da alcuni decenni che
si è visto che il fa vismo è dovuto a un componente della fava (molto probabilmen-
te la vicina successivamente individuata) che quando arriva in individui carenti
di un particolare enzima dei globuli rossi (la glucosio-6-fosfato-deidrogenasi o
G6PD) provoca la distruzione dei globuli rossi, con conseguente anemia e itterizia.
La vicina o comunque la sostanza nociva viene in gran parte distrutta dal calore
(e questo spiega perché riguarda solo chi mangia fava cruda), ma se la madre
mangia fava cruda e allatta un neonato sensibile, questi può avere un ittero emoli-
tico più o meno grave. Negli uomini con la suddetta carenza enzimatica vi posso-
no essere disturbi anche con la inalazione del polline.
Perché gli antichi non si erano accorti che la fava, in un sia pur limitato
numero di uomini, provocava la distruzione di globuli rossi? Molto probabilmente
perché la malattia era simile alla ben più grave e diffusa malaria che era presente
nelle stesse zone. È interessante osservare infatti che la coltivazione della fava
avviene nella stessa area nella quale era presente la malaria terzana. I legami tra
favismo e malaria sembrano più stretti, tanto che alcuni ricercatori, come S. H.
KATz (1981), ritengono che la fava contenga un principio attivo capace di contra-
stare la malaria, soprattutto negli uomini che non sono sensibili al favismo.

290-----------------------------
------------------------ GIOVANNI BALLARINI

In altre parole si può pensare che la fava non sia soltanto un alimento protei-
co utile all'uomo, ma che in confronto ad altri (ad esempio ceci e lenticchie, per
ricordare quelli di antichissimo uso nell'area mediterranea) sia anche un "farma-
co" capace di contrastare la malaria. Questo vantaggio sarebbe stato molto supe-
riore al fatto che in alcuni uomini - a dire il vero in piccolo numero - la fava
stessa è un "veleno". Ma quale è la medicina che in particolari condizioni non
può divenire pericolosa? Quello che conta è il rischio-beneficio e in questo caso
il danno ad alcuni individui è certamente inferiore al beneficio collettivo.
Nonostante le innumerevoli ricerche non si è ancora riusciti a capire perché
Pitagora avesse vietato ai suoi discepoli di alimentarsi delle fave, ma anche di
passare attraverso un campo di fave. Perché lui stesso era affetto da favismo?
Perché conosceva il favismo? Aveva mantenuto "segreta" la sua scoperta perché
andava contro un uso alimentare diffuso e manifestamente vantaggioso? È molto
improbabile che potremo dare una risposta a questi interrogativi.
I dati in nostro possesso indicano che nell'area mediterranea il consumo della
fava coincide con un modello di evoluzione complesso, nel quale interagiscono
fattori biologici e culturali. La fava è molto tossica per alcuni individui predisposti
geneticamente (carenti dell'enzima G6PD) e per questo sono stati creati tabù che
ne limitano l'uso soprattutto nei bambini. Inoltre esiste una grande varietà di
ricette nel preparare la fava, ricette nelle quali con la cottura viene ridotta, se
non abolita la tossicità della fava. D'altra parte la fava sembrava avere dei vantag-
gi anche nei riguardi di altre leguminose, probabilmente perché aumentava la resi-
stenza verso la malaria. Non bisogna inoltre dimenticare che la fava contiene L-
Dopa che in fondo è uno "psicofarmaco" e anche questo può essere stato un
fattore di mantenimento della fava nell'alimentazione umana.
Con la eliminazione della malaria da vastissime zone del Mediterraneo anche
i vantaggi della fava si sono fortemente ridotti, mentre sono rimasti gli inconve-
nienti del favismo. Forse anche per questo si è avuta una regressione nell'uso
alimentare della fava, a vantaggio di altre leguminose.
Soprattutto per la fava, ma anche per altre leguminose bisogna quindi ritene-
re che le pratiche alimentari (scelta degli alimenti, modo di prepararli, tabù e
permissioni) abbiano notevoli implicazioni sanitarie. Questo rivoluziona molte no-
stre concezioni troppo "schematiche", come quella di valutare un alimento soltan-
to attraverso le calorie, le proteine, i grassi, le vitamine e cosi via. Gli alimenti
e soprattutto i vegetali sono infatti dotati di caratteristiche che una volta erano
dette "virtù" e ora sono dette "farmacologiche", e che si stanno rivelando sem-
pre più importanti.
Dagli elementi che sono stati fomiti, possono scaturire criteri di giudizio an-
che sulle regole d'uso della fava e delle leguminose in genere nei diversi ambienti
socio-culturali. In particolare l'esistenza di una serie di "permissioni,. e di "tabù".
Le "permissioni" sono in gran parte codificate nelle ricette culinarie ed è
interessante notare che vi sia una netta tendenza a privilegiare l'uso di legumi
secchi successivamente cotti in modo prolungato, mentre l'uso dei legumi crudi
è riservato a fasi vegetative precoci (probabilmente meno ricche di principi attivi).
In modo analogo vi sono altre permissioni - ma meno precise - riguardanti
i menù e gli accostamentialimentaried è interessante rilevare che a questo riguar-
do esistono due tipi di accostamenti: leguminose e cereali (sfruttamento della in-
tersupplementazione nutritiva?); leguminose e carni, soprattutto di maiale (riferi-

- 291
HOMO EDENS---------------------------

mento ad attività antinutrizionali'?). I "tabù" che si intersecano con le "permis-


sioni" hanno precise connotazioni culturali-religiose (la scuola pitagorica per le
fave), ma sono presenti anche regole dietetiche di tipo medico che nell'antichità
erano più marcate e oggi pare possano venire, sia pure su altri piani, in parte
ricuperate, ad esempio per quanto concerne l'attività delle leguminose sui livelli
ematici di colesterolo e di trigliceridi.
Quanto considerato a proposito della fava dimostra come sia complesso il
quadro di riferimento dell'uso di un alimento e come sia proprio dai rapporti
di "permissione" e di "esclusione" (tabù) che viene precisato il ruolo di "marca-
tore" di un alimento. Per quanto riguarda la fava il suo ruolo di "marcatore"
è probabilmente cambiato nel corso della storia, potremmo ipotizzare almeno tre
"fasi":
O preminenza del ruolo nutritivo della fava, unitamente ad altre leguminose, an-
che per la sua attività di migliorare la fertilità dei terreni nei quali viene colti-
vata: dalla "transizione neolitica" quando venne inventata l'agricoltura, al-
l'entrata della malaria nel bacino del Mediterraneo (guerre persiane'?);
O preminenza del ruolo di equilibrio alla malaria, dal periodo delle guerre persia-
ne ('?) fino a metà di questo secolo, quando la malaria viene debellata;
O preminenza (possibile) del ruolo antico/estero/emico e di diminuzione dei trigli-
ceridi nel sangue nella dieta moderna.

Conclusioni
Le strutture di uso degli alimenti e in particolare i modelli alimentari come sopra
definiti, sono da considerare in continua evoluzione. Una volta questa era lentissi-
ma, ora è invece rapida e talvolta tumultuosa, con conseguenze spesso negative.
Ad esempio si vengono a rompere equilibri che si erano raggiunti lentissimamente
e che riguardavano non solo gli aspetti nutrizionali, ma anche quelli extranutrizio-
nali, nel senso che è stato indicato ed esemplificato per la fava.
Nel passato vi erano certamente delle "carenze" alimentari di tipo nutriziona-
le. Oggi nei paesi mediterranei, e ci riferiamo soprattutto a quelli europei, le gran-
di carenze nutrizionali sono scomparse; non altrettanto si può dire per le piccole
carenze riguardanti gli oligoelementi e le vitamine, ed è importante rilevare che
sono comparsi e si sono fortemente aggravati gli eccessi e soprattutto gli squilibri
alimentari. Si sono inoltre diffuse "carenze" e "squilibri" riguardanti gli aspetti
cosidetti "extranutrizionali" della alimentazione, con la conseguente comparsa e
diffusione di patologie metaboliche che trovano nella alimentazione la base e le
condizioni di diffusione e aggravamento.
Non è più sufficiente conoscere e studiare le caratteristiche nutrizionali di
un determinato alimento o categorie di alimenti. È oggi indispensabile considerar-
ne anche le attività "extranutrizionali" e soprattutto valutare nella sua unità la
dieta, che da un punto di vista sociale tende a coincidere con il modello alimenta-
re. Una scarsa attenzione ai modelli alimentari e in particolare alle loro caratteri-
stiche nutrizionali ed extranutrizionali, è una delle principali cause - a parere
di chi scrive - dell'attuale situazione nella nutrizione delle popolazioni dei paesi
industrializzati nei quali ai modelli alimentari tradizionali si sono sostituiti dei
modelli "caotici" nei quali gli eccessi e gli squilibri predominano, mentre con

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------------------------- GIOVANNI BALLARINI

l'uso sempre più spinto di materie prime "raffinate", "conservate", "trattate"


ecc. si sono perdute gran parte delle attività extranutrizionali che sotto altri aspetti
sono da ritenere indispensabili per una corretta nutrizione.

fllura l - Schemadel rapportitra la FAVA, la VICINA, la praema di GLOBULIR~I co■ deficit


del'e■zlma G6PD o ■ormai; compana del FAVISMOo della protezlo■e della MALARIATERZANA.

FAVA

COTTURA

GLOBULO ROSSO
CARENTE NORMALE
G6PD

!
FAVISMO RESISTENZA
Emolisi-Ittero alla
Malittra (Morte) MALARIA
TERZANA

RIFERIMENTIBfflLIOGRAFICI

KAL\DE M. L., EvANs R. J., J. Nutr., voi. 90, 1966, p. 191.


KATZS. H., Un esempio di evoluzione biocolturale: la fava (in: AA.VV., Atti Alimentari e Atti
Culinari = DSE, Bologna, 1981).
LIN Y. Y., LINO K. M., J. Formosan Mcd. Ass., voi. 61, 1962, p. 484.
OSBOR.N
T. B., MENDEL L. B., Hoppe-Seyler's Z. phisiol. Chemie, voi. 80, 1912, p. 307.

--------------------------- 293
CODICI ALIMENTARI,
ROVESCIAMENTO, REGRESSIONE.
GNATONE NEL ROMANZO
DI LONGO SOFISTA
di Oddone Longo

Net "romanzo pastorale" di Longo Sofista, Da/ni e Cloe, composto fa il II


e il IV secolo della nostra era, appaiono operanti più codici alimentari, e gastrono-
mici, correlati sia alle varie situazioni socioproduttive rappresentate, sia alle carat-
teristiche e alle vicende dei personaggi.
Il codice predominante è quello che denota la sfera stessa della "campagna"
(ma il termine italiano è improprio), una cultura che, per la compresenza di pro-
duzione agricola (cereali, vite), allevamento ovicaprino e marginali attività venato-
rie (uccellagione), si potrebbe definire come "agro-silvo-pastorale", anche se, da-
to l'assunto letterario del romanzo, l'elemento che viene evidenziato maggiormen-
te è la terza componente, quella "pastorale". I nostri due pastori, Daf ni e Cloe
appunto, quando conducono alla pastura le rispettive greggi, si alimentano preva-
lentemente di latticini (latte, formaggio), pane preparato in vari modi (si parla
di pane fatto lievitare col mosto, e di pane obellas, cioè, forse, cotto, o riscaldato,
alla brace), focacce, frutta. Bevanda caratteristica è una miscela di vino e latte,
ma latte e vino vengono ovviamente assunti anche separati.
Nella stagione invernale, quando le greggi restano negli stazzi, la dieta è arric-
chita da periodici banchetti comunitari, dove la base dell'alimentazione consiste
nella carne ovina e, ancora, nel pane e nel vino. Si aggiunge l'apporto dell'uccella-
gione, con reti, laccioli e panie, che consente di banchettare anche con tordi, star-
ne, beccacce...
Se questo è il regime alimentare tipico dell'ecosistema in cui i due progatonisti
sono inseriti, va però detto che Dafni e Cloe attraversano, nello svolgimento del
romanzo, un iter che li condurrà alla fine, quasi in un percorso di iniziazione,
a maturare un diverso statuto sociale e familiare, acquisendo nel contempo nuovi
codici alimentari. I due "pastorelli", raccolti come sappiamo dai loro futuri geni-
tori adottivi, e vissuti, nella loro infanzia e adolescenza, in mezzo a contadini
e pastori, verranno, alla conclusione della vicenda, "riconosciuti' dai loro genitori
biologici, ricchi proprietari di città, che li avevano esposti, e vengono cosi riacqui-
siti alla cultura urbana.
Ma, come si diceva, c'è prima di tutto un iter da percorrere, marcato da
precise connotazioni alimentari; alla nascita, sia Daf ni che Cloe vengono allattati,
invece che dalle loro madri, o da nutrici umane, da una capra e una pecora (ca-
praio sarà poi Dafni, pecoraia Cloe), ed è questa omologazione al livello animale

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HOMO EDENS ---------------------------

che marca l'inizio della loro biografia alimentare. Alla conclusione della storia,
riscattati alla cultura della città, i due "pastorelli", pur adeguandosi alle nuove
regole alimentari, conservano un segno indelebile del loro passato nella predilezio-
ne che mantengono, fra tutti gli alimenti, per il latte e i frutti selvatici, di cui
si erano precipuamente nutriti al pascolo. Il primo contatto col codice alimentare
cittadino essi lo avevano avuto quando ancora stavano a pascolare le loro greggi,
e i padroni del fondo (e loro "futuri" genitori), venuti in gita al podere, ma
con un sèguito di cuochi e provviste di città, inviavano loro da mangiare sui cam-
pi, e Dafni e Cloe, dice testualmente il greco, «mangiavano e se la godevano
degustando le prelibatezze culinarie cittadine».
Venuti per un breve soggiorno nella loro "tenuta", i proprietari si portano
infatti appresso la loro cultura urbana, e con essa le loro abitudini alimentari.
Il soggiorno "in campagna" è bensi un'evasione dalla città, non però nel senso
di adeguarsi alla cultura agropastorale: al contrario - e si tratta di un'esperienza
che la nostra epoca conosce fin troppo bene - i cittadini che "evadono" si trasci-
nano dietro l'apparato della cultura urbana, in tutte le sue determinazioni.
Fra queste, ci imbattiamo in un personaggio, tipica e deteriore espressione
della cultura convivivale cittadina, che accompagna, insieme a provviste, cuochi
e suppellettili, i suoi padroni: il parassita, e porta un nome famoso, Gnatone.
Uomo «capace solo di mangiare, e di bere fino all'ubriachezza e, ubriaco, di fare
sconcezze: insomma, un essere che non è altro che fauci, e ventre e ciò che sta
ancora più in basso del ventre». Un'associazione questa, fra "ventre" e "sesso",
fame alimentare e fame sessuale, che è luogo comune nella letteratura antica,
e che meriterebbe un'indagine a parte.
Ma, come sappiamo, le regole del gioco non consentono al parassita l'accesso
alla sfera degli scambi, e dunque alle donne: ammesso alla tavola del padrone,
egli è però escluso dai circuiti di scambio, non solo conviviali, ma anche sessuali,
e l'amore, come il matrimonio, gli sono preclusi. Accade cosi che Gnatone si
ponga, come oggetto delle proprie brame, l'inconsapevole Dafni (che ne schiverà
gli inattesi approcci), optando per un percorso "irregolare" (anche se ampiamente
tollerato: non però nel castissimo contesto del romanzo pastorale). Così Gnatone
si trasforma, da essere "tutto ventre e sesso", in uomo che è costretto a vivere
le sua brame erotiche come negazione, come privazione e che, e qui ritorniamo
ai nostri codici alimentari, subisce al tempo stesso una singolare "inversione"
anche sotto questo profilo.
L'amore non corrisposto di Gnatone per Dafni (il parassita è escluso, come
pare, anche dai circuiti "alternativi"), conduce l'infelice, dapprima a un crescente
disgusto per le complesse raffinatezze della cucina padronale: «Non mi riesce più
di gustare questi cibi sontuosi, eppure guarda quanto ben di dio mi vien posto
davanti ogni giorno, carni, pesci, intingoli, pasticcini...». Il disgusto per l'elabora-
ta gastronomia cittadina "punisce" cosi in modo singolare il volgare mangiatore
del cibo altrui, che non riesce più a saziare col cibo una fame che si è trasferita
"più in basso del ventre". (Ricorderemo per inciso, in tutt'altro registro, che an-
che Dafni e Cloe, quando provano, inconsapevoli, le prime pene d'amore, uno
dei primi sintomi che manifestano è appunto l'inappetenza ... ).
Ma il "rovesciamento" di codici alimentari va ben oltre questo stadio. Nel
suo amore inane e inappagato, Gnatone sogna utopisticamente una propria "me-
tamorfosi" animalesca: «Potessi diventare una capra, e fosse Dafni a condurmi

296-----------------------------
-------------------------- ODDONE LONGO

al pascolo, al suono della sua zampogna». Capra, Onatone ritroverebbe anche


il gusto per il cibo, ma per un cibo che non sarebbe più quello umano: «Fattomi
capra, mi ciberei d'erba e di foglie, come le capre di Dafni.» Siamo al limite
del grottesco, ma l'ingresso, nel già ricco repertorio di regimi alimentari del nostro
romanzo, di un ulteriore codice, questa volta "animalesco", marcante la regres-
sione dall'~en al fressen, non è certo povero di significati... Brucare l'erba alla
maniera stessa delle capre significa, a livello fisiologico, "saltare" la mediazione
biochimica operata dal ruminante sulle proteine vegetali, trasformate in proteine
animali; assumere come "commestibili" sostanze che in situazione "culturale"
lo diventano solo attraverso il rumine ... E la regressione di Onatone è una regres-
sione "culturale": si ritorna ai livelli "preistorici" dei primi uomini, raccoglitori
che si cibavano di erbe e di foglie, e per di più "crude" (e sappiamo che ad
esempio i Wanande considerano cibo "da capre" il mangiare vegetali crudi).
Negli stessi secoli in cui visse l'autore del romanzo (e dobbiamo parlare di
secoli, perché la cronologia di Longo è enigmatica, e le datazioni oscillano, come
si è già detto, fra II e IV secolo), le terre della Mesopotamia erano teatro di
uno spettacolo inusitato, che ricalca con stupefacente fedeltà la fantasia di Onato-
ne. Fra le varie sette di anacoreti premurosi di conseguire una condizione in cui
l'uomo si distingue appena dagli animali, ve n'era una il cui nome derivava dalla
pratica di brucare l'erba dei prati insieme alle greggi. Si chiamavano costoro mo-
naci "pascolanti" (bosko1), e Sant'Efrem compose anche un panegirico in loro
celebrazione. Certo, ogni comunità cenobitica impone ai suoi adepti determinate
regole e privazioni alimentari, volte a umiliare il corpo, a castigarne i peccati;
ma il caso dei boskoi è un caso limite, antropologicamente interessante, in questo
deliberato regredire da un regime alimentare umano a uno bestiale. L'imbestia-
mento era ancora perfezionato dalla ricerca di abitacoli animali, come grotte e
tane di bestie selvatiche, che quei monaci eleggevano a propria dimora ...
Concluderemo segnalando, in tutt'altro contesto culturale, e in ben altra epo-
ca, ma senza arrièrepensées comparativistiche, il caso, simmetrico e opposto ri-
spetto a quello di Onatone e dei monaci pascolanti, di Enkidu, dal poema di
Oilgamesh. Col parassita e con gli anacoreti, si trattava di abdicare al livello "cul-
turale" dell'umanità deponendo un codice alimentare e assumendone un altro:
era un trascorrere dalla città alla campagna, dalla comunità umana al deserto,
o se vogliamo, dalla cultura alla natura. Nel caso di Enkidu il percorso è opposto:
dalla natura alla cultura, dalla selva alla città, dallo stadio di cacciatore-raccoglitore
a quello di agricoltore (allevatore) urbanizzato. Anche qui, nel poema di Gilga-
mesh, la transizione da uno status all'altro è marcata dalla trasformazione del
regime alimentare.
Enkidu, il futuro compagno dell'eroe, «era ignaro dell'umanità, nulla sapeva
della terra coltivata. Si pasceva d'erba sulle colline assieme alle gazzelle, con le
bestie selvatiche si appostava presso le pozze d'acqua». Per acquisirlo ali' "uma-
nità", Oilgamesh ricorre a un duplice procedimento di "iniziazione", sessuale e
alimentare a un tempo. Una prostituta di Uruk lo accosterà, alla pozza ov'egli
si abbevera insieme agli altri animali; una prostituta, una fanciulla di piacere:
«Alla pozza d'acqua ella si spoglierà; quando egli vedrà il suo cenno d'invito,
si congiungerà con lei, e la selvaggina delle lande deserte lo respingerà.»
Quando, dopo sei giorni e sette notti in cui giacque con la fanciulla di Uruk,
Enkidu fece ritorno alle sue colline, «appena le gazzelle lo videro, balzarono via;

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HOMO EDENS--------------------------

fuggirono dal suo cospetto le creature selvatiche». E allora la donna, prendendolo


per mano, «Io condusse come un bambino agli ovili, alle tende dei pastori. Lì
i pastori... davanti a lui posero del pane, ma Enkidu sapeva solo suggere il latte
degli animali selvatici. Annaspò maldestro, e non sapeva come dovesse mangiare
il pane e bere il vino forte».
Conosciuto il cibo dell'uomo, Enkidu entrerà alfine nella città di Uruk, sarà
il fedele compagno, l'alter ego di Gilgamesh. Dalla selva, attraverso il giaciglio
della prostituta, e poi le tende dei pastori, alla città. I vari gradi del percorso
sono sempre marcati dall'opzione per un cibo diverso; la transizione culturale
è in primo luogo transizione alimentare.

298
SESTA SESSIONE

IL CONVITO
Presidente:
Mario Torelli
BANCHETTO E SIMPOSIO
NELL'IT ALIA ARCAICA:
QUALCHE NOTA
di Mario Torelli

È grandissimo merito di B. d'Agostino, con l'edizione magistrale delle tombe


principesche orientalizzanti di Pontecagnano nel 1977 e poi con il convegno di
Ischia del 1980, di aver posto in maniera chiara il grande tema dell'ideologia fune-
raria per l'Italia protostorica e arcaica o, se si vuole, dei complessi messaggi sim-
bolici - direttamente attinenti alla sfera del sociale - promananti dall'insieme
degli oggetti deposti nelle tombe della penisola di un'epoca tra l'VIII e il V secolo
a.e.: proprio l'analisi di d'Agostino dei materiali delle deposizioni regali di Ponte-
cagnano, ricche di riferimenti alla tradizione eroica omerica, incarnati soprattutto
dal calderone-cinerario con le ossa del defunto avvolte in stoffa, consente di ap-
prezzare l'entità dei processi ellenizzatori delle forme mentali delle aristocrazie
italiche e le trasformazioni intervenute nel contesto ideologico primitivo diffuso
in Italia fin dall'epoca protostorica.
Sotto la spinta alla ricerca offerta dai risultati di queste indagini, si è ben
presto diffusa una tendenza, soprattutto nell'ambito dei protostorici italiani, a
individuare nei contesti funerari di IX-VII secolo a.e. le tracce di un'ipotetica
ideologia primitiva del banchetto, come prova di un'altrettanto ipotetica "ugua-
glianza" sociale delle comunità di villaggio prima della dissoluzione di tale "ugua-
glianza" sotto la pressione disgregante della cultura greca, responsabile dell'evi-
dente disuguaglianza alle spalle delle tombe orientalizzanti. Di qui un generico
serpeggiare di allusioni all'ideologia del banchetto in articoli, convegni e ricerche
a partire da quel momento, fino a quella confusione addirittura tra banchetto
e simposio, che in un intervento (non pubblicato) a una tavola rotonda dell'Ecole
Française di Roma del 1982, L. E. Rossi ha dovuto stigmatizzare, ricordando
come le due attività si presentino nella forma e nella sostanza ben distinte in am-
biente greco fin dall'origine e come tali sono restate.
Ma vediamo rapidamente i fatti principali. Nella nostra documentazione ar-
cheologica dei contesti funerari fino al VII secolo a.e. (e in zone meno evolute
fino a epoca ben più tarda), i materiali deposti nelle tombe comprendono, oltre
agli oggetti di ornamento personale ed eventuali oggetti simbolici relativi alla sfera
funeraria e alla vita oltremondana (penso qui alle navi d'impasto o ai "candela-
bri" villanoviani), vasi per contenere cibi e bevande d'accompagno per il "grande
viaggio" e talora porzione di quei cibi e di quelle bevande, conservatisi in circo-
stanze estremamente favorevoli.

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HOMO EDENS ---------------------------

Solo in aree particolari, come quella tirrenica, e in epoche successive all'VIII


secolo a.e. sono conservati, nel dromos delle tombe a camera, resti di cibi che
lasciano intravedere l'esistenza di pasti consumati dai parenti del defunto al mo-
mento del seppellimento; anche se è assai probabile che anche prima di quell'epo-
ca esistesse un rituale di commiato, è evidente che il banchetto ritualizzato (e
tale anche da esigere un abbandono sul posto del seppellimento delle tracce di
quel banchetto) non coinvolge il defunto, nella cui tomba sono deposte le razioni
alimentari a lui dovute, senza accentuazioni di ranghi, ossia di quantità. La ceri-
monia insomma non entra nel sociale, inteso come dimensione collettiva soprafa-
miliare, ma intende solo riaffermare l'unità del gruppo, che in questa fase si iden-
tifica con la famiglia nucleare: di qui l'impressione di "uguaglianza" sociale, che
promana soprattutto dai corredi più antichi.
Altra è la realtà che troviamo nel successivo periodo orientalizzante, nel quale
non solo la quantità, ma anche la qualità delle offerte deposte nelle tombe, rivela
l'esistenza di forti disuguaglianze sociali e il sistema arcaico di rituale funerario
appare sconvolto, non tanto dall'ellenizzazione formale (la sepoltura eroica di tipo
omerico, mutuata dalla cultura euboica), quanto dalla presenza di segni inequivo-
cabili di un rituale non riducibile in maniera semplicistica al banchetto funerario.
Occorre per questo rifarci all'analisi di d'Agostino, che nel caso specifico delle
tombe principesche di Pontecagnano metteva in evidenza la comparsa, nei contesti
delle deposizioni, di obelòi, di alari e di màchairai.
È evidente che tutti questi segni non sono riconducibili alla pura e semplice
ideologia del banchetto, ma si iscrivono invece nella sfera simbolica del sacrificio,
di cui quegli oggetti rappresentano gli strumenti essenziali: il ruolo che essi inten-
dono riaffermare è quello del basilèus - rex, il quale rappresenta l'intermediario
nel rapporto tra la collettività e il mondo divino; il sacrificio, incarnato da quegli
oggetti specifici, costituisce lo strumento dell'intermediazione, adeguatamente sot-
tolineata nel corredo funerario come appannaggio del rango specifico rivestito
dal defunto.
Ciò consente in qualche modo di risalire all'indietro per specificare meglio
i significati dei contesti funerari più antichi sopra discussi. Le razioni di cibo de-
poste nelle tombe protostoriche sono anch'esse una forma di sacrificio, non tanto
perché ritualizzate e "sacrificate" (ossia distrutte) nel sepolcro, ma perché - per
usare una terminologia greca, molto chiara al riguardo - rappresentano il geras
del morto, ossia la porzione a lui spettante nell'ambito del sacrificio effettuato
al momento della sepoltura (e quindi viatico per l'aldilà) e perciò stesso simbolo
della sua moira, nel caso specifico il suo "destino" oltremondano.
L'ideologia non è dunque quella del banchetto tout-court, ma quella del sa-
crificio, cui tutto il gruppo partecipa; nella fase successiva, quella delle tombe
principesche, questa ideologia viene dilatata per sottolineare i ranghi, esigenza so-
ciale ormai ineludibile nel momento in cui la famiglia nucleare non è più la sola
articolazione sociale, consanguinei, la gens con la sua clientela. È a questo punto
che vengono enfatizzati gli strumenti - obelòi soprattutto, ma anche machàirai
e alari - del sacrificio, per mettere in risalto non più i contenuti (ossia il cibo
ripartito, come moira), ma le forme del sacrificio, nella cui ritualità (e non nel
suo concreto attuarsi) risiede l'immaginario del potere.
Questo scambio fra contenuti e forme che si verifica nelle aree più sviluppate
della penisola, costituisce il segnale più evidente di una crisi della realtà sociale

302 ------------------------------
-------------------------- MARIOTORELLI

protostorica a livello dell'ideologia funeraria, ma non è il solo. Nelle stesse tombe


principesche arcaiche fa la sua apparizione anche un altro contenitore di materiale
prezioso, che si affianca al vasellame più o meno consuetudinario di corredo:
il grande calderone bronzeo, spesso - in Etruria - su alto sostegno. La funzione
di questo contenitore, sovente di dimensioni gigantesche, è duplice: da un lato
esso poteva ospitare carni per la bollitura, e in ciò il mito di Medea e delle Peliadi
è rivelatore dell'origine orientale (come orientale è la "maga" Medea) dell'uso
cerimoniale della bollitura delle carni (come nel calderone mitico vengono "ritual-
mente bolliti" i miseri resti di Pelia); dall'altro invece in esso poteva essere collo-
cato (ed eventualmente riscaldato) il vino, come prova il fatto che la sua forma
globulare è all'origine della forma globulare del più antico cratere greco, quello
corinzio, a partire dagli inizi del VI secolo a.e.
L'ambiguità funzionale di questo status-symbol di età orientalizzante è un
indizio tra i più significativi della crisi appena ricordata e l'imitazione che se ne
fa localmente in un pasto in tutto il VII secolo a.e. lo conferma. Nel suo volto
di contenitore di carni bollite, esso dimostra che l'antico rituale del sacrificio come
struttura capace di rafforzare e rappresentare il gruppo è appunto in crisi: il sacri-
ficio è essenzialmente arrostimento, non bollitura delle carni, e se questi principi
ritengono necessario esibire il calderone, è evidente che i semplici segni del sacrifi-
cio tradizionale non bastano più a denotare il proprio rango, per il quale essi
fanno appello a dimensioni simboliche prestigiose prese a prestito dal lontano
Oriente, cosi come traspare da altri non meno indicativi oggetti appartenenti alla
stessa sfera e origine, quali il flabello, il pettorale o la mazza in funzione di scet-
tro. Nel suo aspetto, certo più diffuso e convenzionale, di contenitore di vino,
il calderone ci riporta a un altro consumo alimentare privilegiato, quello della
preziosa bevanda alcoolica carica di molti e centrali significati simbolici, insiti
nei suoi poteri di inebriamento e nella sua "miracolosa" trasformazione dall'uva.
Sotto questo aspetto, anche l'adozione, a partire dai decenni finali dell'VIII
secolo a.e., della panoplia greca per il consumo del vino, la coppa, l'oinochoe,
l'anfora, espressa in forme greche (argilla figulina dipinta) o indigene (impasto),
sta a dimostrare il lento, ma deciso rivoluzionamento dei segni di status: fino
a quel momento - e l'anfora fenicia dalla tomba 101 di Castel di Decima, depo-
sta accanto a una donna di altissimo rango intorno al 730 a.e., lo dimostra -
il vino era stato appannaggio di pochi individui, quegli stessi che il calderone
con il suo eventuale sostegno metallico viene a enfatizzare nel corso del VII secolo
a.e.
Ma a differenza del rituale del sacrificio, il consumo del vino, sempre negli
stessi ambienti tirrenici, non appartiene più alle ristrette cerchie dei principi e dei
re, poiché prima le imitazioni etrusco-laziali d'impasto, poi la diffusione nel VI
secolo a.e. del cratere, sanzionano non un privilegio, che era stato di altissimo
rango ancora nell'VIII secolo a.e., bensì una "moda", intendendo con questo
equivoco termine una consuetudine diffusa, condivisa da strati sociali ampi, sem-
pre di livello elevato, ma non certo "regale". Semmai, il consumo del vino -
a differenza di quello sacrificale della carne - è strumento di un'integrazione
sociale più vasta, che travalica il gruppo familiare, agnatizio e non, e tende a
dimostrare la sua funzione di cemento sociale in un contesto nuovo, che è quello
della città arcaica.
È significativo che, in piena contemporaneità con l'affermarsi di questa con-

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HOMO EDENS ---------------------------

suetudine, la realtà archeologica dell'Italia tirrenica esibisca un'ulteriore novità,


quella del consumo degli olii profumati, rivelato dal diffondersi, a partire dall'ini-
ziale VII secolo a.e., di importazioni di aryba/loi e poi di alabastra protocorinzi
o italo-protocorinzi, ben presto - dalla metà del secolo - imitati in produzioni
locali dipinte, di impasto o di bucchero. Questi olii profumati, attribuiti a tombe
sia maschili che femminili, non costituiscono solo una pura e semplice manifesta-
zione del lusso, peraltro ben radicata nelle pratiche sociali locali ed essenziale
alla riproduzione complessiva della società, ma anche un documento prezioso an-
che per l'affermarsi degli usi simposiaci in seno ai ceti emergenti della zona.
Siamo dunque in presenza di una società, che "va scoprendo" il simposio
(nel quale l'uso degli unguenti e degli aromi possiede un rilievo ben noto), che
non è mezzo di distinzione, ma di integrazione e che, come tale, è destinato a
restare, in piena analogia con il mondo greco, un fenomeno ambiguo di natura
sociale, privato, ma dalle connotazioni politiche: nel simposio infatti, ove "priva-
tamente" si incontrano dei "simili", vengono a identificarsi ranghi sociali omoge-
nei in una precisa gerarchia, distinguibile archeologicamente attraverso i differenti
gradi di ricchezza esibiti nei contesti funerari.
Il cammino del simposio, ben ripercorso nell'iconografia del mondo greco
da Dentzer, appare in area tirrenica incerto e ancora poco conosciuto soprattutto
nelle articolazioni areali e cronologiche. Nella prima metà del VII secolo a.e.
le forme sono ancora rudimentali e incerte: il cinerario di Montescudaio, prove-
niente cioè dall'Etruria settentrionale e databile agli inizi del VII secolo a.e., ci
mostra il defunto assistito da una inserviente e intento a banchettare assiso a una
tavola, mentre troneggia da un lato un grande calderone-olla destinato evidente-
mente a contenere del vino.
Il titolare del cinerario si rappresenta solo e seduto, e cioè secondo uno sche-
ma assai arcaico di cerimonialità, e il consumo del vino, benché fortemente enfa-
tizzato, non avviene ancora in forme simposiache, mentre più a Sud, già qualche
decennio prima (730-700 a.e.), l'arredo di una capanna di Satrico nel Lazio con-
tava già gli elementi essenziali della panoplia simposiaca greca e di produzione
greca o grecizzata, un aryballos, una oinochoe e una coppa. L'uso di partecipare
al simposio in posizione sdraiata in area greca risale almeno a metà del VII secolo
a.e. e in Etruria è attestato con certezza già agli inizi del VI secolo a.e., come
mostrano raffigurazioni locali di tale consuetudine, databili appunto a quell'epoca
e di grande importanza ai fini del nostro discorso.
Il grande "palazzo" di Murlo, residenza di un regulo dell'Etruria centrale
interna dei primi decenni del VI secolo a.e., con le sue decorazioni fittili dei
tetti costituisce un prezioso inventario dell'ideologia dominante fra le classi diri-
genti etrusche dell'epoca. Mentre sul tetto figurano le colossali imagines maiorum
della genealogia regale, quasi una ventina di figure munite di attributi cerimoniali
locali (grandi cappelli, prototipi del galerus arcaico romano, e forse litui e scettri),
sui portici della grande corte centrale sono rappresentati tutti i momenti centrali
della ritualità gentilizia, ludi, nuptiae, concilium (degli dei come archetipi di quelli
regii) e infine il symposium. Anche nella poco più tarda residenza regia di Acqua-
rossa presso Viterbo, il simposio è l'unico momento cerimoniale raffigurato, men-
tre un ruolo centrale ha, in entrambi i "palazzi", il luogo per i sacrifici gentilizi
al centro del cortile.
Da tutto questo si apprende che in Etruria il simposio, pur possedendo uno

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specifico ruolo nella cerimonialità principesca - in piena analogia con quanto


avviene nel mondo greco con la contrapposizione tra i pasti comuni del pritaneo
di carattere pubblico e i simposi dei grandi aristocratici rimasti di natura privata
- non riesce a sostituirsi al grande rito collettivo del sacrificio, eredità di forme
arcaicissime di cerimonialità pubblica.
Il modello (e la storia del suo sviluppo) ha una fortuna enorme e pressoché
universale in tutta l'Italia antica, anche se la sua diffusione segue tempi diversi
a seconda delle aree. Emblematico appare il caso di Lavello nella Daunia interna,
lumeggiato dalle straordinarie scoperte di A. Bottini. Anche li i "principi" del
VII secolo a.e., come quelli di Pontecagnano, mettono in evidenza il proprio
rango, deponendo nelle loro tombe degli obelòi per il sacrificio e il calderone
bronzeo di tipo orientale. Non diversamente dai loro simili in area tirrenica, essi
intendono ribadire il loro carattere esclusivo di mediatori tra l'umano e il divino
attraveso il simbolo del sacrificio, "accumulando" su questa sorta di funzione-
base altri segni di prestigio e di rango, come il consumo privilegiato del vino.
Ali' estremità dello sviluppo interno di questa struttura sociale si collocano
i grandi anàktora di tardo V secolo a.e. finora rinvenuti in numero di. tre nella
stessa località (contrade S. Felice, Casino e Case Nuove), costruiti su piante asso-
lutamente identiche per rispettare il carattere isonomico dell'aristocrazia dominan-
te: sulla fronte della residenza un grande acroterio raffigurante un pòtnios hlppiJn
ribadisce la funzione di hippèis dei locali esthlòi, mentre un grande cortile cerimo-
niale destinato ai riti gentilizi (le tombe degli avi sono sotto e tutto intorno la
stessa residenza) è preceduto da un ampio portico a tenaglia per accogliere forse
le dikai e i sissizi dei principes.
L'analisi delle ceramiche rinvenute nelle abitazioni ha rivelato una quasi tota-
le assenza di materiali attici importanti (presenti invece in quantità significative
nelle tombe), con la vistosa accezione di pochissimi, ma rilevanti frammenti di
cratere, dai quali si ricava la prova della diffusione, fra il ristrettissimo ceto domi-
nante locale, delle pratiche simposiache, documentate anche dai "servizi" da sim-
posio presenti nelle tombe emergenti.
L'esame finora condotto della documentazione archeologica dell'Italia antica
in ordine ai temi del banchetto e del simposio, forzatamente lacunoso e desultorio
per ovvi motivi di spazio (ma una minuziosa indagine estesa a tutta la diacronia
delle varie culture della penisola confermerebbe le grandi linee del nostro discor-
so), ci porta a concludere che la distinzione operata tra banchetto-sacrificio e sim-
posio contribuisce a scandire l'articolazione dei processi di strutturazione politica
dei vari organismi sociali dell'Italia antica.
Durante la fase preurbana, coincidente in area tirrenica ai secoli IX-VIIIa.e.
(ma altrove prolungata ben oltre questi limiti), la società, con la forma e la collo-
cazione della tomba e soprattutto con la tipologia del materiale di accompagno,
segna l'appartenenza dei propri membri ai nuclei familiari e alla comunità di vil-
laggio, in cui l'affiorante articolazione sociale non scardina il carattere "egualita-
rio" delle strutture produttive organizzato in forme parentali: usando il lessico
romano, possiamo dire che la società delle curiae è rappresentata dalla forma
del banchetto-sacrificio, nella quale le porzioni di cibo attribuite a ciascun mem-
bro ne ribadiscono lo statuto, in stretto rapporto con una ripartizione dei cibi
(e delle funzioni sociali) che stabilisce la moira individuale senza con questo accen-
tuare il ruolo svolto nel rito sacrificale.

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HOMO EDENS ---------------------------

Con il VII secolo a.e. l'antico assetto "curiato" della società entra in crisi.
Lungo tutto il secolo le aristocrazie principesche dei reges, con i simboli eternati
nelle loro tombe, mostrano una significativa oscillazione tra il vecchio e il nuovo.
Da un lato, essi acquisiscono la forma cerimoniale del consumo privilegiato del
vino, unendo significativamente elementi orientali - il calderone con o senza so-
stegno - con tratti di origine greca, rappresentati dai primitivi servizi simposiaci
e dall'uso degli unguenti; dall'altro, non si può e non si vuole rinunciare all'arcai-
co sistema simbolico del sacrificio. Tuttavia, mentre in passato il banchetto-sacrificio
era in maniera pura e semplice praticato all'atto della sepoltura di membri della
comunità di ogni età, sesso e rango, ora il rituale viene sottolineato in quanto
tale da coloro che ne sono arbitri e le tombe di costoro accolgono i segni della
pratica sotto forma di alari, obelòi e màchairai, a dimostrazione della crisi del
sistema e delle forme mentali arcaici. Il processo è lungi dall'essere lineare, in
piena coerenza con la menzionata oscillazione fra il vecchio e il nuovo: la stessa
ambigua funzione del calderone ne è la prova, cosi come il rito del consumo del
vino è celebrato in posizione assisa (e non sdraiata secondo le forme canoniche
del simposio greco), poiché questa è la forma regale orientale e al tempo stesso
rappresenta la tradizionale "epifania" locale del detentore del potere.
Intorno al 600 a.e., quando abbiamo le ultime apparizioni nei corredi princi-
peschi degli strumenti del sacrificio, e contemporaneamente alle prime apparizioni
del cratere e delle rappresentazioni locali del simposio, l'immaginario del potere
si sposta dal banchetto-sacrificio al simposio. Ma quest'ultima pratica è e resterà
per sempre una realtà privata, potere come strumento di formazione del consenso
e di lotta politica, ma incapace di sovrapporsi, a livello pubblico, all'antico rituale
del sacrificio, il quale, quantunque alterato nel tempo per la pressione esercitata
dalle diverse realtà sociali, conserverà la sua funzione di elemento culturale capace
di rappresentare la totalità del sociale.
Caratteristico è il caso dei grandi "palazzi" etruschi del VI secolo a.e., nei
quali la cerimonialità divina appare focalizzata nel sacello al centro del cortile
e nella sua proiezione enfatica sul lato principale del cortile medesimo, laddove
la cerimonialità "privata" di àthla, gàmos e sympòsion fa ad esso corona. Solo
là dove la città come organismo non è mai nata, come nella Daunia, il "privato",
dei principes può aspirare ad assorbire nel seno delle sue magioni anche la totalità
del "pubblico".
Per tornare ancora una volta al lessico romano, il banchetto-sacrificio rimane
ancorato alla realtà delle curiae, articolazione fondamentale del popu/us Romanus
Quiritium (ossia alla comunità civica dei membri delle curiae), alla quale la com-
ponente aristocratica si affianca senza sostituirla con il suo nuovo strumento del
simposio come fatto "privato" contrapposto a quello "pubblico" delle coenae
e delle epulae delle curiae e dei col/egia. Se consideriamo poi che nel mondo greco
la dimensione collettiva del potere è sottolineata dall'istituzione del pasto pubblico
dei pritani, mentre a Roma tutto questo non si è realizzato, possiamo concluderne
che ancora una volta siamo in presenza di un segno "forte" della fase preurbana
nel pieno contesto della civiltà urbana: come il costume storico dei salii con il
suo elmo apicato, il kardiophj/ax e la spada corta, o quello delle vestali con le
sue flbulae, o ancora quello dei flamines con il suo galerus, ripetono forme prei-
storiche del IX-VIII secolo a.e. e cioè della struttura socio-politica preurbana,
così anche la realtà del banchetto-sacrificio non viene sostanzialmente modificata

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dopo l'aspetto raggiunto a metà dell'VIII secolo a.e., di cui forse la forma della
cosiddetta anforetta a spirale (vissuta nella trasformazione nicostenica fino a tutto
il IV secolo a.C.) è una componente importante, e resta congelata nelle istituzioni
"numaiche" senza dissolversi nelle istituzioni di governo della primitiva polis re-
pubblicana. Differenza più evidente tra Grecia e Italia arcaiche non poteva darsi,
mettendoci sempre di più in guardia da mitici archetipi indoeuropei, cui certa
ricerca storico-religiosa e storico-istituzionale ci ha a torto abituati.

RIFERIMENTIBmLIOGRAFICI

Le tombe di Pontecagnano sono pubblicate da B. o'AoosTINo, in "MALinc." 1977, p. l; sull'ideolo-


gia funeraria v. AA.VV., La mort, les morts dans les societés anciennes, Cambrige, 1982.
Sulla situazione tirrenica, v. M. ToREw, Storia degli Etruschi, Bari-Roma, 1984/2.
Sulla tomba 101 di Castel di Decina e sui materiali della capanna di Satrico, v. Civiltà del Lazio
Primitivo (Cat. Mostra Roma, 1976), Roma, 1976, p. 287 e 326.
Sul banchetto e sul simposio greco, v. J. M. DBNTZBR, Le moti/ banquet couché dans le Proche
Orient et le monde grec du V//ème au V/1/ème siècle av. J.-C., Paris, 1982.
Sui "palazzi etruschi", v. M. ToREw, in Architecture et société (Atti Conv. Roma, 1980), Roma,
1983, p. 471 sgg.
Sulla Daunia, v. A. BoTIINI, Principi guerrieri della Daunia del VII secolo a.e., Bari, 1982, e rn.,
in Popoli e civiltà dell'Italia antica, VIII, 1986, p. 153 sgg.

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HOMO EDENS --------------------------------

Figura 1 - Machaira della t. 928 di Pontecagnano

Figura 2 - Obelai dalla t. 928 di Pontecagnano

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L
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Figura 3 - Calderone orientalizzante da Palestrina (tomba Bemardini)

Figura 4 - Lastra con banchetto da Murlo (Siena)

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HOMO EDENS -------------------------------

Figura S - Cinerario da Montescudaio

Figura 6 - Pianta del complesso arcaico di Murlo (Siena)

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PRATICHE DI COMMENSALITÀ
E FORME DI ORGANIZZAZIONE
SOCIALE NEL MONDO GRECO:
''SYMPOSION'' e ''SYSSITIA''
di Mario Lombardo

Nel tracciare, nel 1985, un bilancio critico delle numerose ricerche fiorite negli
ultimi anni sul tema del banchetto nella città greca, Pauline Schmitt Pantel mette-
va in evidenza la grande varietà e ricchezza, delle prospettive di indagine (dall'ali-
mentazione al sacrificio, dalle forme di socialità e di organizzazione sociale ai
contesti di produzione e fruizione della poesia arcaica, dal rituale funerario all'or-
ganizzazione dello spazio pubblico), sottolineando però anche la chiusura e igno-
ranza reciproca tra i diversi settori della ricerca, ognuno sostanzialmente centrato
su un determinato tipo di fonti 1•
Un punto che in qualche modo accomuna ricerche orientate su evidenze e
problematiche diverse, è la tendenza alla valorizzazione delle pratiche di commen-
salità e dei mutamenti riscontrabili in esse e nella loro diffusione, come aspetti
e segni importanti dell'organizzazione sociale e delle sue trasformazioni 2 • È pro-
prio qui, però, che si lascia soprattutto cogliere un problema, e una difficoltà,
di fondo, consistente nella precisa definizione delle diverse forme della commensa-
lità e delle loro valenze sociali. Ciò risulta particolarmente evidente a proposito
della nozione di symposion, che riveste un'importanza centrale entro varie pro-
spettive di indagine, dove però, come nota icasticamente la Schmitt Pante), «ce
que l'on nomme le symposion n'est pas toujours très clair» 3 •
L'esigenza di una discussione sul preciso statuto del symposion come pratica
di commensalità e insieme come «contesto di interazione sociale» 4 , è sollecitata
in particolare da alcuni recenti e importanti lavori di Oswyn Murray che, nel loro
carattere estremamente sintetico, vengono in realtà a delineare un quadro interpre-
tativo assai ambizioso e originale del symposion dal punto di vista storico-sociale 5 •
Quello che in effetti Murray propone, sottolineando fortemente il carattere inno-
vativo delle sue tesi, è sostanzialmente una teoria generale unitaria nel campo
delle pratiche di commensalità (o convivialità) del mondo greco nelle loro origini
e valenze organizzativo-sociali, teoria che assume come categoria fondamentale
di lettura e interpretazione di quel campo proprio la nozione di symposion, la
quale viene quindi a presentare un rilievo centrale e generale per la comprensione
delle strutture e dinamiche della società greca dall'età buia fino all'epoca ellenistica.
Nel quadro interpretativo tradizionale - e possiamo ben definirlo tale dal
momento che risale almeno al Platone delle Leggi -, la considerazione delle prati-
che di commensalità come momento e fattore importante dell'organizzazione della

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HOMO EDENS ---------------------------

società in quanto tale veniva soprattutto centrata sulle esperienze istituzionalizzate


dei "pasti in comune" (andreia, pheiditia e syssitia attestati soprattutto a Sparta
e a Creta 6), nettamente distinte in quanto tali, se non esplicitamente contrappo-
ste 7, rispetto al symposion, visto per lo più nella sua dimensione di pratica "pri-
vata" di intrattenimento conviviale centrata sul consumo del vino 8 •
È vero che Platone, nel secondo libro delle Leggi, si spinge a prospettare,
ma solo in sede teorica e con scarsissima fiducia nella sua realizzabilità, una diver-
sa organizzazione e funzionalità dei simposi come momento forte della struttura-
zione della comunità civica 9 ; tuttavia, sia nella città della Repubblica che in quel-
la delle Leggi, è solo ai sissizi che viene attribuito un ruolo significativo in tal
senso 10• E non priva di rilievo è anche la sostanziale assenza del simposio, di
contro alla cospicua presenza dei sissizi, nella Politica di Aristotele, sia laddove
il filosofo discute le costituzioni "ideali", utopiche e storiche, sia laddove analizza
le varie politeiai e le loro trasformazioni, sia infine laddove delinea un suo model-
lo di ordinamento costituzionale e socio-politico 11• Più in generale, benché non
manchino indizi di una consapevolezza, per lo più, peraltro, di segno negativo,
delle valenze e implicazioni sociali delle pratiche simposiali, il simposio risulta
sostanzialmente estraneo alla riflessione socio-politica dei Greci, non emerge, in-
somma, come una categoria significativa nella loro percezione e rappresentazione
delle strutture e dinamiche organizzative delle loro società 12•
Per quanto riguarda la storiografia moderna, non si è mancato di sottolinea-
re, da vari punti di vista, il ruolo del simposio come momento e fattore importan-
te di aggregazione e socializzazione 13 • Sally Humphreys, ad esempio, ha mostra-
to, in una prospettiva sociologica assai rigorosa, come, nella struttura organizzati-
va articolata in maniera "fluida" della società ateniese - significativamente
contrapposta a quella spartana, strutturata in maniera assai più compatta e rigida
in gruppi e categorie corporate, tra cui i sissizi -, il simposio aristocratico si
configurasse come un contesto di interazione sociale "differenziato" e "separa-
to", con proprie funzioni di socializzazione e proprie convenzioni stilizzate e ri-
tualizzate; un contesto, però, segnato, a partire dalla fine del V secolo a.e., da
crescente isolamento e chiusura, con relativa elaborazione di codici di comporta-
mento involuti e devianti 14 •
Una valorizzazione del simposio in una prospettiva storico-sociale così ampia
e "forte" come quella delineata da Murray, non trova tuttavia se non un parziale
riscontro in un articolo di Jurgen Trumpf del 1973, inteso a spiegare in termini
di ruolo e contesto sociale l'importanza centrale che riveste il bere nella poesia
di Alceo, e che va vista come funzione pregnante della centralità del simposio
nella vita dell'eteria di cui fa parte il poeta ed entro il cui orizzonte si iscrive
per intero la sua attività is. Per avvalorare questa tesi, Trumpf metteva in rilievo,
con taglio antropologico e comparatistico, le profonde valenze rituali, comunitarie
e "politiche" del bere insieme, che affonderebbero le radici in un passato assai
remoto 16 •
È in effetti dai "gruppi comunitari" o confraternite maschili di adolescenti
e uomini in cui erano organizzate le società primitive e presso i quali rivestiva
importanza essenziale il banchetto comunitario, e al suo interno il bere insieme,
come momento "forte" di aggregazione anche "politica", che egli fa discendere,
non senza qualche semplificazione e forzatura, da un lato l'organizzazione istitu-
zionalizzata dei sissizi, dall'altro le eterie e più in generale le molteplici forme

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di raggruppamento e associazione che attraversano la storia delle società greche


e che coltivano nel banchetto la tradizione della "comunità simposiale" 17 •
Assai più articolata e sorretta da una più ricca e aggiornata argomentazione di
ordine storico è comunque la "teoria" di Murray, che richiamerò in termini assai
schematici, anche a costo di lasciare in ombra gli slittamenti e le oscillazioni che,
dall'uno all'altro lavoro, nelle loro diverse angolature, scandiscono il progredire
di una riflessione assai impegnata. Sarò schematico non solo per esigenze di tem-
po, ma anche perché ciò che importa è essenzialmente cogliere i termini del proce-
dimento metodico messo in opera da Murray.

Egli parte dalla considerazione dell'importanza centrale e multiforme del sym-


posion nella civiltà greca, specie di età arcaica: molti dei tratti più caratteristici
di quest'ultima sono infatti, a suo giudizio, chiaramente ascrivibili alle attività
precipue dei "gruppi simpotici" 18; gran parte della poesia arcaica è specificamen-
te connessa al symposion; la produzione ceramica, e la sua importanza centrale,
si spiegano solo ammettendo una sua correlazione fondamentale e primaria, sia
dal punto di vista delle forme (e dunque delle funzioni), sia da quello dello stile
e contenuto delle decorazioni, con le esigenze del symposion; in campo architetto-
nico gli andreia (privati, pubblici e sacri) riflettono le esigenze simposiali; nei co-
stumi sessuali, la prevalenza dell'omosessualità trova i suoi contesti esplicativi nel
ruolo centrale dei simposi (oltre che dei ginnasi); in campo politico, l'importanza
dei gruppi simpotici è documentata dalle eterie mitilenesi e ateniesi e si riflette
anche nella legislazione democratica contro la hybris e le conseguenze del komos;
nella religione, il symposion ci appare come centrale in una varietà di contesti,
dal banchetto funebre all'organizzazione di gruppi come i Pitagorici; esso infine
risulta alla base dell'organizrnzione di intere società come quelle cretesi e spartana 19•
Se dunque il symposion è tratto fondamentale della civiltà greca, è naturale,
secondo Murray, cercare di collegarlo all'esistenza di una qualche forma diffusa
e dominante di raggruppamento sociale. Dati i suoi caratteri salienti di riunione
maschile, aristocratica, egualitaria, centrata piuttosto sul bere che sul mangiare,
e "normalmente" basata su contribuzioni egualitarie dei membri alla tavola co-
mune, il symposion va visto verosimilmente come espressione pregnante di una
forma di raggruppamento sociale di tipo extra-parentale, definibile per l'appunto
come sympotic group o drinking group, così generalmente e significativamente
diffusa da meritare la qualifica di struttura organizzativa dominante della società
greca 20 •
Fatto finora misconosciuto, sia a causa del prevalente interesse nei confronti
dei gruppi parentali, sia a causa dell'ottica "quasi giuridica" con la quale si è
guardato alla documentazione relativa ai fenomeni organizzativo-sociali, preten-
dendo di distinguere istituti diversi nella diversa terminologia: in realtà, termini
come phratria, syssition, hetaireia, andreion, phidition, syskenion, synomosia, eno-
motia, eranos, per non citarne che alcuni, sarebbero sostanzialmente sinonimi che
si riferiscono a un unico e diffuso fenomeno sociale il symposion, definito da
Murray come «the group of men which expresses its identity through the ritual
drinking session» 21 •
In un mondo come quello delle società greche arcaiche, in cui il ruolo dei
gruppi parentali appare, anche alla luce di studi recenti, sempre più incerto e
debole, sarebbe dunque lecito ipotizzare che sia stato proprio il symposion a svol-

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HOMO EDENS ---------------------------

gere il ruolo, fondamentale, di organo del controllo-sociale da parte dell'aristocra-


zia sugli altri ordini 22 •
Altrove egli afferma che tutte quelle realtà organizzativo-sociali riconducibili
alla nozione di symposion (o sympotic group), sarebbero espressione della soprav-
vivenza, in forme variamente trasformate, nell'età della polis, di una preesistente
organizzazione aristocratica basata sulla f east of merit e documentata nei poemi
omerici 23 • In effetti, il significato generale (e in certa misura l'unità stessa) del
campo di fenomeni suddetta viene colto da Murray anche nei termini di una ipote-
si genetica che collega quei fenomeni al banchetto omerico, interpretandone lo
statuto in riferimento, più o meno preciso, alla nozione di Miinnerbund.
I caratteri, l'importanza e il significato del symposion sul piano sociale affon-
derebbero le radici nel mondo dell'età buia, e più particolarmente nella funzione
centrale della feast of merit o warrior feast, cioè del banchetto omerico di guerrie-
ri aristocratici, offerto per lo più da un capo, che "investe" il suo surplus agricolo
per l'intrattenimento di hetairoi al fine di crearsi un seguito o rafforzare legami
di fedeltà personale; dunque momento e fattore centrale del formarsi o consoli-
darsi di gruppi guerrieri che svolgono un ruolo essenziale non solo come strumenti
di controllo sociale da parte dell'aristocrazia, ma anche, e ciò è fondamentale,
come portatori delle funzioni militari all'interno della comunità 24 •
Gruppi funzionali di natura extra-parentale, dunque riconducibili al fenome-
no e alla nozione di Miinnerbund, introdotta da Schurtz, ma con l'importante
differenza che nel mondo greco essi non trarrebbero origine da forme di organiz-
zazione tribale egualitaria, né presenterebbero strutture organizzative per classi
di età, ma sarebbero piuttosto espressione delle esigenze, degli scopi e dello stile
di vita delle aristocrazie 25 •
Questa fondamentale forma di organizzazione sociale aristocratica si sarebbe
dimostrata capace di sopravvivere nell'età della polis, con vari adattamenti e tra-
sformazioni. La prima, e fondamentale, consiste nello sviluppo, dal banchetto
dei guerrieri omerici, del symposion vero e proprio, fenomeno collegabile, geneti-
camente o almeno strutturalmente, con la riforma oplitica; questa, minando le
basi su cui poggiava il ruolo dell'élite guerriera aristocratica delle società omeri-
che, l'avrebbe privata dall'unità tra stile di vita e funzioni politiche e militari,
trasformandola in una aristocracy of leisure; espressione centrale dello stile di
vita (e momento organizzativo-sociale essenziale di quest'ultima) resta il banchet-
to, ma un banchetto ormai depotenziato nelle sue valenze funzionali e simboliche
sul piano "comunitario" e trasformato, sotto l'influsso del lusso orientale, in
una pratica segnata dalla ritualità, dalla privacy ed esclusività, insomma una sorta
di rifugio dal mondo reale 26 ; esso conosce una rapida diffusione geografica, spe-
cie in Occidente e anche in ambiti non greci e finisce, forse più lentamente, per
essere adottato anche dalla nuova e più ampia classe guerriera, la classe oplitica 27•
Anche laddove il symposion mantiene tratti; "omerici", come nel caso dell'e-
teria alcaica, che Murray vede come un «Homeric companionage centred on the
Great Hall», il quadro è però sostanzialmente mutato: si tratta ormai di un grup-
po aristocratico che definisce la sua identità e le sue funzioni in termini prioritaria-
mente politici, cioè come un "gruppo simpotico" che tende a enfatizzare la sua
coesione, non come espressione e struttura funzionale essenziale della comunità,
ma contro di essa 28 •
Il caso delle eterie politiche, mitilenesi, ma anche ateniesi, evidenzia tuttavia

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il fatto che anche nel quadro della polis il symposion conserva un rilievo essenziale
come struttura organizzativo-sociale "forte"; ciò che del resto emerge in maniera
ancor più netta in quei casi in cui l'organizzazione sociale aristocratica basata
sul symposion appare adottata dalla polis stessa nelle sue articolazioni e strutture
istituzionali; il che si riscontra non solo nelle esperienze dei sissizi spartani e crete-
si, che vedono l'istituzionalizzazione dei "gruppi simpotici" in forme rigide ed
estese a tutto il corpo civico e militare, o nell'organizzazione delle fratrie ateniesi
come articolazioni del corpo civico, ma anche nella pratica della synthesis al Prita-
neo, in cui la città stessa si comporta come un basileus omerico nel rapporto
con i suoi hetairoi 29 •
Il rilievo centrale che presenta il simposio nella storia della civiltà greca sareb-
be dunque, in sostanza, funzione del ruolo fondamentale che ha, nella struttura
sociale greca, lungo tutto l'arco della sua storia, una forma di organizzazione
basata su quei gruppi di tipo extra-parentale, originariamente aristocratici e
funzionai-militari, di cui il symposion rappresenta la precipua espressione cultura-
le, nonché il momento e fattore essenziale di aggregazione, strutturazione e identi-
ficazione 30 •

Come emerge da questo pur sommario resoconto, i lavori di Murray delineano


una prospettiva interpretativa globale che tende a vedere nel symposion l'espres-
sione fondamentale, e direi costitutiva, di una forma di raggruppamento sociale
dominante nella struttura organizzativa delle società greche dall'età buia a quella
della polis.
Da qui, nota la Schmitt Pantel, una concezione onnipervasiva della presenza
del symposion nelle realtà sociali e istituzionali della città, che va di pari passo
col silenzio totale su altre forme di commensalità, e in particolare sul banchetto
sacrificale 31 • È in quest'ottica che la studiosa francese solleva una prima serie
di questioni sul merito della ricostruzione di Murray, chiedendosi tra l'altro se
i sissizi non rappresentino l'istituzionalizzazione di un banchetto sacrificale aristo-
cratico, piuttosto che di un symposion, e interrogandosi sul rapporto fra sociale
e politico, e fra privato e pubblico, nella polis arcaica 32 •
Io, dal canto mio, nell'attesa che le stimolanti tesi di Murray, necessariamen-
te e dichiaratamente per lo più ipotetiche, trovino una più ampia e organica espo-
sizione e sistemazione in un libro sul simposio greco 33 , vorrei tuttavia accogliere
il suo invito alla discussione, avanzando alcune osservazioni intorno alla nozione
stessa di symposion così come egli la concepisce, definisce e impiega in questi
lavori. È qui in effetti, a mio parere, il punto fondamentale, e più problematico,
della sua teoria. Tutta la sua ricostruzione mi sembra poggiare, infatti, su una
considerazione in termini fortemente unitari di un ampio campo di pratiche di
commensalità e di realtà organizzativo-sociali arcaiche, viste in uno stretto rappor-
to di reciproca implicazione strutturale e ricondotte a una nozione "sintetica"
di symposion, che viene perciò ad assumere una duplice accezione: da un lato,
pratica della commensalità (o convivialità) che costituisce fattore e momento es-
senziale di aggregazione e autoaffermazione di gruppi sociali in quanto tali, dal-
l'altro, gruppo sociale che in tale pratica afferma ed esprime la sua identità.
È da questa forte unità di campo (e sua conseguente rilevanza) che discende
l'esigenza,e la legittimità stessa, di un'ipotesi interpretativa di ordine storico-sociale
unitaria e "forte", l'ipotesi cioè di una forma di organizzazione sociale dominan-

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HOMO EDENS ---------------------------

te, tale da spiegare (in termini strutturali, ma anche, e direi soprattutto, genetici)
l'importanza, la persistenza e la multiforme pervasività del symposion (così come
egli lo definisce nella civiltà e nella società greche).
Le conclusioni cui giunge Murray appaiono dunque sostanzialmente iscritte
nella sua impostazione del problema, ed è su questo punto che bisogna centrare
l'attenzione chiedendosi in che termini egli coglie e definisce l'unità logica e stori-
ca dell'ampio campo di pratiche e realtà sociali arcaiche ricomprese nella categoria
di symposion, nel senso esteso e insieme "forte" in cui egli la impiega, pur distin-
guendo, in sede di ricostruzione storica, una nozione di symposion in senso pro-
prio, quale pratica aristocratica di convivialità segnata da privacy, leisure e ritua-
lizzazione, affermatasi e poi diffusasi in relazione alla crisi del ruolo militare della
nozione "ristretta" di symposion, non gioca sostanzialmente alcun ruolo nell'im-
postazione della problematica e nell'impianto dell'argomentazione, che restano es-
senzialmente focalizzati sulla nozione "ampia" di symposion, senza però riuscire
a evitare, a tratti, l'impressione di una certa ambiguità 34 •
Nelle pagine di Murray troviamo due definizioni esplicite della categoria "sin-
tetica" di symposion nella sua duplice accezione: come pratica della commensalità
il symposion è: 1) riunione di soli maschi; 2) i cui membri sono aristocratici o
di ceto elevato; 3) in cui viene osservato il principio di uguaglianza tra i parteci-
panti; 4) in cui l'enfasi è sul bere piuttosto che sul mangiare «though both occur»;
5) in cui normalmente ciascun membro contribuisce su base ugualitaria col suo
alla tavola comune 35 ; come forma organizzativo-sociale è un «group of men which
expresses its identity through the ritual drinking session» 36 •
Occorre dunque vedere in primo luogo se queste definizioni risultano con-
gruenti con i caratteri e le modalità documentati delle varie pratiche e realtà sociali
da lui ricomprese unitariamente, come manifestazioni di un unico e diffuso feno-
meno sociale, nella categoria di symposion; vedere cioè se esse riescono a cogliere
e definire in maniera coerente a pregnante, e dunque a "dimostrare" il postulato
carattere fortemente unitario di quel campo di fenomeni.
Di tali fenomeni, l'unico forse al quale le definizioni di Murray risultano
sostanzialmente adeguate è l' hetaireia, almeno nei tratti con cui è documentata
a Lesbo e ad Atene (ma non ad esempio a Creta): essa si presenta infatti come
un gruppo virile aristocratico, le cui pratiche simposiali costituiscono, se non il
suo fondamentale fattore costitutivo (ciò che resta dubbio), certo però un momen-
to essenziale di espressione e autoaffermazione 37 • All'eteria attica è inoltre in
una certa misura assimilabile la synomosia (gruppo d'uomini legati da giuramen-
to, per lo più nel senso "forte" di "congiurati"), attestata soprattutto ad Ate-
ne 38 , per la quale potrebbe forse valere un collegamento primario tra giuramento
e libagione rituale (ma in contesti propriamente conviviali o sacrificali?) 39 •
Degli altri, invece, i sissizi (o phiditia o andreia) spartani non sembrano pro-
priamente definibili come gruppi che esprimono la loro identità «through the ri-
tual drinking session», né si può parlare di riunioni conviviali aristocratiche cen-
trate sul bere piuttosto che sul mangiare, trattandosi di una pratica quotidiana
di articolazioni fisse del corpo civico che in quanto tali consumano i loro pasti
in comune 40 • Lo stesso vale anche per gli andreia cretesi, che peraltro non si
basano su contribuzioni egualitarie da parte dei membri, ma vengono finanziati
a spese pubbliche 41 • Syskénion (o meglio syskénia) è attestato solo in riferimento
ai phiditia spartani 42 , mentre nelle attestazioni, peraltro limitate, di syskenos e

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syskenia il riferimento alla commensalità è molto particolare, essendo legato al


consumo in comune dei pasti da parte di unità militari in campagna 43 • L'enomo-
tia, poi, è sostanzialmente nota solo come suddivisione dell'esercito spartano 44 •
Nella nozione e nella pratica deU'éranos come banchetto (non sempre tuttavia
à /rais communs, né sempre "societario") non risulta affatto che l'accento fosse
posto sul bere piuttosto che sul mangiare, semmai il contrario, e il contesto sociale
non appare necessariamente aristocratico 45 • Quanto, infine alla pharatria, forse
la più diffusamente attestata e certo la più problematica di queste realtà
organizzativo-sociali, resta puramente ipotetica l'idea di una sua originaria valen-
za conviviale, né ci sono elementi per qualificare i pasti o banchetti dei phrateres,
nelle loro modalità e funzioni, nei termini delle definizioni sopra richiamate del
symposion 46 •
Se si esclude dunque la hetaireia di tipo militenese o ateniese (e la connessa
(synomasia), le realtà organizzativo-sociali ricondotte da Murray alla nozione di
symposion, quando pur lasciano scorgere con sicurezza un ruolo significativo delle
pratiche di commensalità quale loro momento ed espressione essenziale, presenta-
no tuttavia in queste loro pratiche, e nei loro stessi caratteri costitutivi, aspetti
non tutti e non sempre congruenti con le definizioni del symposion formulate
da Murray stesso.
A ben vedere, i termini di tali definizioni risultano troppo rigidi anche in
rapporto ai caratteri del symposion in senso proprio che, come vedremo meglio,
costituisce nella sua specificità solo una fase di una riunione conviviale 47 ; ma
anche a prescindere da ciò, porre l'accento, ad esempio sulla "normalità" delle
contribuzioni egualitarie da parte dei "membri" alla tavola comune e sullo stesso
carattere del symposion come «gruppo che esprime la sua identità through the
ritual drinking session», significa infatti lasciare in ombra in misura sostanziale
il tipo di simposio su cui siamo forse meglio documentati, il simposio ospitale
o "a invito" nel suo carattere di "riunione" occasionale o cerimoniale (legata
a un matrimonio, a un ritorno, a una vittoria agonale ecc.), più o meno variamen-
te determinata nell'identità e assortimento dei partecipanti e più o meno aperta 48 :
i partecipanti, invitati o capitati lì, ai simposi documentati nelle omonime opere
di Platone e Senofonte non possono esser visti come "membri di un gruppo"
in nessun senso dell'espressione che sia realmente significativo in termini
organizzativo-sociali. Ovviamente questo non vuol dire negare che gruppi sociali
ben definiti, lo abbiamo appena visto a proposito delle eterie mitilenesi e ateniesi,
affermassero la loro identità anche e soprattutto nelle loro riunioni simposiali,
ma sottolineare che i simposi non erano e non possono esser visti solo o essenzial-
mente come le ritual drinking sessions di tali gruppi, loro fattore costitutivo e
momento precipuo di espressione.
Le definizioni formulate da Murray del symposion come fenomeno conviviale
e insieme sociale unitario e "forte" non sembrano dunque "coprire" in maniera
adeguata il campo di pratiche conviviali e realtà organizzativo-sociali da lui prese
in considerazione, e dunque coglierne, esprimerne e dimostrarne l'effettivo carat-
tere unitario.
In realtà, l'unità di tale campo appare in qualche modo individuabile e defini-
bile solo nei termini di una nozione di symposion talmente estensiva da coincidere
sostanzialmente con quella di commensalità virili tout court. Ed è in effetti una
tale nozione che si ha l'impressione operi concretamente nel discorso di Murray,

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HOMO EDENS ---------------------------

consentendogli di ricondurre al symposion e alle attività dei "gruppi simpotici"


fenomeni come i sissizi e gli andreia, i banchetti funerari, le pratiche, e l'organiz-
zazione stessa delle fratrie, degli éranoi e perfino dei gruppi pitagorici.
Ora, di per sé non è certo inammissibile l'impiego della nozione di symposion
in una cosi ampia accezione: dopotutto non è molto diverso da quanto fanno
autori come Ateneo, quando parlano di simposi omerici o spartani 49 • A condizio-
ne, però, di non caricare poi una tale nozione di troppo forti e rigide valenze
unitarie, specie dal punto di vista storico-sociale. A condizione, cioè, che la defini-
zione ''unitaria'' del campo della commensalità virile nella categoria di symposion
non oscuri il fatto fondamentale che tale campo - nei limiti in cui lo si può
più o meno rigorosamente o coerentemente individuare e distinguere rispetto ad
altri, come ad esempio quello della commensalità sacrificale - si presenta nel
mondo greco arcaico e classico in una varietà, avvertita come tale già dagli anti-
chi 50 , di forme che differiscono notevolmente tra loro sotto vari rispetti, possibil-
mente o sicuramente significativi anche per ciò che attiene alle loro valenze sociali
e organizzativo-sociali. Differenze nei tempi: dal "quotidiano" (andreia, sissizi
ecc.) al periodico ("turno" sociale, festivo ecc.) all'occasionale (cerimoniale di
vario tipo: nuziale, agonale, ospitale, consiliare, sacrificale etc.; o "estemporaneo").
Differenze concernenti l'iniziativa e l'organizzazione (i.e. le spese): dalle for-
me istituzionalizzate di andreia, syssitia ed estiaseis comunitarie e religiose, a quel-
le sodalistiche dei banchetti di gruppi e associazioni, a quelle "individuali" del
banchetto a invito (occasionale-cerimoniale o "reciprocativo"). Differenze riguar-
danti la "partecipazione" e i criteri che la regolano: anche qui dalle forme istitu-
zionalizzate (con norme di obbligo, diritto, esclusione), a quelle definite "social-
mente" (in rapporto cioè all'appartenenza a determinati gruppi o associazioni),
a quelle più libere, o meglio determinate di volta in volta individualmente (pur
se entro un orizzonte di rapporti sociali e di regole consuetudinarie più o meno
precise e condivise), del banchetto a invito. Differenze, infine, nei "luoghi deputa-
ti" (istituzionalmente, "socialmente" o privatamente: dagli andreia cretesi e spar-
tani - e dai syssitia platonici e aristotelici ai pritanei e ai santuari; dagli andreo-
nes regali, tirannici e aristocratici, agli hestiatoria di associazioni, dagli accampa-
menti militari alle case di etere o di liberti, ai più estemporanei apprestamenti
campestri) e nelle modalità di svolgimento s1•
Anche in relazione a queste differenze, le pratiche di commensalità virile sem-
brano presentare un'ampia gamma di valenze sociali, configurandosi, di volta in
volta, come un momento e un fattore più o meno importante di creazione, conser-
vazione, rafforzamento di rapporti e legami sociali di vario genere: comunitari,
di gruppo, relazionali (di ospitalità, philia, buon vicinato, "fedeltà" ecc.); più
o meno occasionali o stabiliti, fluidi o rigidi, aperti o chiusi. Le loro valenze
sociali non si lasciano comunque cogliere interamente e unitariamente in termini
"forti" di fattore costitutivo e momento essenziale di auto-affermazione di gruppi
in quanto tali.
Ma se riconosciamo che l'unità del campo preso in considerazione da Murray
non si lascia cogliere e definire in termini "forti" - in riferimento, cioè, a una
nozione di symposion come precisa forma di commensalità intrinsecamente legata
a una determinata forma di raggruppamento sociale -, ma solo in riferimento
alla nozione di commensalità virile come costellazione di pratiche con aspetti e
valenze sociali anche assai diversi tra loro, mi chiedo se non vengano sostanziai-

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mente meno le ragioni di fondo delle ipotesi interpretative e ricostruttive dello


studioso inglese.
Mi chiedo, in altre parole, se la sua, giustissima, sottolineatura della pervasi-
vità, persistenza e rilevanza del campo dei fenomeni di commensalità virile
nella storia della civiltà e della società greche richieda o autorizzi un'ipotesi
interpretativa di ordine storico-sociale unitaria e forte sia dal punto di vista
strutturale che da quello genetico, quella cioè di una forma organizzativo-sociale
dominante, definibile propriamente come sympotic group, che avrebbe tratto
la sua forza dal fatto di discendere da una struttura funzionale essenziale delle
società "omeriche", il Miinnerbund guerriero aristocratico centrato alla pratica
della feast o/ merit.
Tanto più se consideriamo che nel mondo omerico, come sottolineava già
Ateneo lodando la mirabile varietà dei banchetti descritti del poeta 52 , si riscontra
una molteplicità, almeno in parte già oggetto di consapevole tassonomia 53 , di
pratiche di commensalità, per lo più virile e aristocratica, tale da sconsigliare di
porre troppo univocamente e unilateralmente l'accento su un tipo di banchetto,
più o meno rigorosamente individuabile e definibile come tale nei suoi caratteri
e nelle sue valenze sociali, lafeast o/merito warriorfeast, quale archetipo fonda-
mentale unitario delle pratiche di commensalità virile documentate in epoca suc-
cessiva s•.
Mi domando allora se il multiforme rilievo sociale e culturale che presentano
nel loro insieme i fenomeni di commensalità virile non si possa più semplicemente
intendere come espressione e funzione, da un lato del significato che presenta
in linea generale il "mangiare assieme", la commensalità, come momento e fatto-
re di socializzazione, di aggregazione e perfino di "comunità" - fenomeno ben
noto e ben studiato anche nel quadro della civiltà greca, nei suoi aspetti e manife-
stazioni di ordine religioso, antropologico e sociale ss, dall'altro del fatto, an-
ch'esso ben noto, che la società greca è essenzialmente una società virile, che rele-
ga la donna sostanzialmente nell'ombra per ciò che attiene alla sfera dei rapporti
sociali (extra-oikos), seppur con qualche eccezione, relativa soprattutto alla sfera
religiosa 56 •
È del resto solo nel quadro della più ampia problematica relativa alla com-
mensalità, nei suoi aspetti religiosi, antropologici e sociali in senso lato, che credo
possano trovare la loro giusta luce le questioni riguardanti i caratteri e i significati
delle pratiche di commensalità virile, nei limiti in cui un tale campo è individuabile
e definibile, e nelle diverse forme che esso presenta. Ed è in quest'ottica che biso-
gnerà interrogarsi sui rapporti tra i modi della commensalità virile e le forme
della socialità e dell'organizzazione sociale, rapporti che non appaiono concepibili
in termini troppo uniformi e organici, ma vanno individuati di volta in volta nella
concretezza dei modi in cui (e dei contesti e sistemi sociali entro cui) sono docu-
mentati. Osservazione, quest'ultima, che risulta pertinente anche in relazione al
complesso problema del valore che le pratiche di commensalità, nei loro aspetti
e caratteri, nella loro diffusione sociale, e nella loro trasmissione-ricezione entro
contesti diversi (per fenomeni acculturativi di vario genere), presentano quali indi-
catori di strutture e mutamenti sociali 57 •
In questa prospettiva, mi sembra venga ad acquistare più precisi contorni
problematici anche la questione principale posta sul tappeto da Murray, quella
cioè del rapporto tra pratiche di commensalità virile e costituzione e identità di

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gruppi sociali. In effetti, alla luce del significato che riveste in linea generale il
"mangiare assieme" come momento e fattore di socializzazione, aggregazione,
"comunione", si può sostanzialmente affermare che qualunque raggruppamento
(ma anche qualunque rapporto o legame) sociale, più o meno istituzionalizzato,
stabile o coeso, o fluido, aperto, "occasionale", trova (o può trovare) nella com-
mensalità un momento e un fattore importanti di creazione, conservazione, raffor-
zamento; e di converso che qualunque pratica e forma di commensalità crea, con-
serva o rafforza (o può contribuire a creare, conservare, rafforzare) un gruppo,
un rapporto, un legame sociale.
Ciò non vuol dire, però, che tutti i raggruppamenti (e i rapporti) sociali siano
adeguatamente ed efficacemente descrivibili e definibili in riferimento essenziale
o privilegiato alle loro pratiche di commensalità; né che tutte le pratiche (e forme)
di commensalità individuino ed "esprimano" in maniera cogente e pregnante dei
gruppi sociali (o delle forme di raggruppamento sociale nonché quella assai più
generale e vaga di "forma di raggruppamento sociale") e i parametri e le categorie
in rapporto a cui è possibile individuare e definire in modo adeguato e "signifi-
cante" i gruppi sociali antichi - è precisamente quello di stabilire quando e su
che basi (auto-definitorie, genetico-costitutive?) è lecito affermare che ciò si verifi-
ca. Problema complesso e delicato 58 , che non c'è qui il tempo di affrontare e
definire in dettaglio.
Emerge comunque dalle considerazioni fin qui svolte che occorre distinguere
almeno due livelli di implicazioni generali desumibili sul piano organizzativo-sociale
dal rilievo che presenta il campo delle pratiche di commensalità virile nel mondo
greco: nella misura in cui tali pratiche non appaiono ovviamente o privilegiata-
mente collegate e collegabili con gruppi (e rapporti) sociali di tipo parentale, quel
fenomeno rimanda all'esistenza significativa di forme di raggruppamento sociale
(intendendo questa nozione in senso ampio, comprensivo cioè di gruppi e rapporti
sociali) di tipo extra-parentale, da individuare e definire però in termini non neces-
sariamente né verosimilmente omogenei, nei loro specifici connotati costitutivi,
funzionali ed "espressivi" e nel ruolo più o meno significativo e più o meno pre-
gnante che vi giocano le pratiche di commensalità.
Molto più arduo mi sembra andare oltre questo primo livello di implicazioni,
generale e sostanzialmente generico, affermare cioè che quel fenomeno rimanda
all'esistenza di una forma di raggruppamento sociale dominante, individuabile e
definibile unitariamente e adeguatamente in riferimento essenziale alle sue pratiche
di commensalità; o, a maggior ragione, all'esistenza dominante di uno specifico
tipo di gruppo sociale che, pur con trasformazioni nei suoi connotati funzionali,
avrebbe mantenuto un'identità riconoscibile (e dunque si presenterebbe come un
fenomeno storico-sociale fondamentalmente unitario) nella sostanziale continuità
e "generalità" del ruolo centrale, il fattore costitutivo ed espressione essenziale
di identità, svolto dalla sua peculiare pratica di commensalità, il symposion, e
che dunque sarebbe definibile propriamente come "gruppo simpotico".
Questo ci riporta infine, seppur rapidamente, al problema della specificità
del symposion come una delle pratiche greche di commensalità (o convivialità)
virile, ancorché quella che presenta il massimo rilievo nella storia della civiltà
greca arcaica e classica. Uno dei tratti fondamentali che ne definiscono la specifi-
cità è quello di essere essenzialmente una pratica per così dire "trasversale" e
cioè per lo più non autonoma, benché distinta su tutta una serie di piani, rispetto

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al banchetto e, occorre aggiungere, a diversi tipi di banchetto, anche se, verosimil-


mente, non a tutti.
In effetti il symposion, nella sua accezione primaria, costituisce normalmente
solo una fase della "riunione conviviale", successiva al banchetto vero e proprio
o deipnon 59 • Tale fase appare nettamente distinta rispetto a quella del banchetto,
tanto da presentare una specifica identità come pratica della convivialità: l'inizio
ne è segnato, e fortemente marcato, da pratiche formalizzate di carattere ritua-
le 60 ; essa è sostanzialmente destinata, a differenza del deipnon, al consumo del
vino e all'intrattenimento in varie forme 61 ; lo stesso campo dei partecipanti può,
infine, subire delle modificazioni significative nel passaggio dall'una all'altra fase 62 •
Resta tuttavia il fatto fondamentale che, proprio in quanto si tratta per lo
più di una fase, il symposion può seguire a vari tipi di banchetto, come tali varia-
mente determinati sul piano delle circostanze, iniziativa, partecipazione e luogo
di svolgimento, e dunque anche, verosimilmente su quello delle valenze sociali
della riunione conviviale: dal banchetto nuziale 63 , a quello "celebrativo" (nelle
sue varie forme) 64 a quello "societario" 65 , a quello ospitale 66 •
Di pratiche di questo genere, è già consistente traccia nei poemi omerici: Omero,
come ha osservato Massimo Vetta, «conosce anche l'uso storico del bere come
momento distinto e successivo al pasto e come momento specifico di intratteni-
mento» 67 • Si tratta, in effetti anche qui di pratiche trasversali, che appaiono come
una fase ritualmente e funzionalmente distinta rispetto al "banchetto", e, ciò che
più importa sottolineare, che può seguire a diversi tipi di banchetto: da quello
"sacrificale" di //., I, 446 sgg., a quello "consiliare" di //. IX, 89 sgg., a quello
"ospitale" di //. IX, 200 sgg., a quello insieme sacrificale, familiare e ospitale
di Od., III, 385 sgg., da quello "regale" e comunitario di Od., VII, 182 sgg.
a quello ospitale assai modesto offerto da Eumeo a Ulisse in Od., XIV, 75 sgg.
Sembrerebbe lecito inferirne che il simposio arcaico, nella sua specificità, più
che come discendente dal "banchetto omerico" (o da un tipo di banchetto omeri-
co) comunque lo si definisca e qualifichi, va verosimilmente considerato come
risultato di un processo di dilatazione, sul piano "operativo", ma anche e soprat-
tutto su quello del significato ideologico e sociale, di quelle pratiche omeriche
"trasversali" rispetto al banchetto. Esse vengono, probabilmente a partire dal VII
secolo a.e., ad acquistare uno statuto più definito (ancorché verosimilmente non·
uniforme) e dimensioni e rilievo preponderanti, ma solo entro determinati contesti
(in primo luogo, si direbbe, quelli delle aristocrazie ioniche e micrasiatiche) 68 ,
mentre in altri se ne trovano sicure e significative tracce. Questo vale soprattutto
per le società cretesi e spartana, che sembrano restare estranee all'esperienza del
simposio, mentre vi presentano un rilievo essenziale pratiche di commensalità viri-
le fondamentalmente diverse (andreia, phiditia, syssitia) 69 •
Al di là di questa distinzione-opposizione, che resta a mio parere valida e
significante, con tutte le sue possibili implicazioni, sono purtroppo assai scarsi
gli elementi che permettano di qualificare con qualche precisione le condizioni
in cui si afferma e diffonde la pratica simposiale, come momento specifico e signi-
ficativo delle pratiche di commensalità virile. In linea generale si può dire che
ciò si verifica entro il quadro di società in cui la commensalità, e in particolare
quella virile, non è organizzata in forme rigide e istituzionalizzate, ma conserva
(o sviluppa) una molteplicità di forme variamente determinate nei loro caratteri,
tempi, organizzazione ecc. Si può inoltre inquadrare lo "sviluppo" del simposio,

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almeno nei tratti con cui esso è per lo più documentato nella lirica arcaica e nelle
raffigurazioni vascolari, entro contesti sociali aristocratici, anche se non necessa-
riamente i più elevati 70 : aristocratici appaiono in effetti essere gli ambienti privile-
giati delle pratiche simposiali e della loro diffusione; nella definizione e afferma-
zione dello statuto ideologico e sociale del symposion come momento e aspetto
significativo di uno stile di vita che esprime e qualifica uno status; della elabora-
zione, infine, di norme e modelli di "ethos simposiale" 71, il cui rapporto, tutta-
via, con le concrete pratiche e consuetudini simposiali - e quindi anche il cui
significato in relazione alle effettive valenze del simposio come contesto di intera-
zione sociale -, va visto in termini articolati e sfumati (ciò vale in particolare
per la rappresentazione del simposio come luogo dell'omogeneità, della concordia,
dell'hesychia, e, correlatamente, per l'ideologia della contrapposizione radicale
simposio-guerra) 72 •
A proposito di quest'ultimo punto, difficile appare valutare con sicureu.a
il rapporto, prospettato da Murray, tra lo "sviluppo" e la diffusione del sympo-
sion e la "crisi" del ruolo militare dell'aristocrazia, i cui tempi e modi e la cui
effettiva portata restano però tutti da precisare nella loro più o meno stretta,
ma certo non univoca né chiara connessione con la riforma oplitica 73 • Problema
assai complesso che ci porterebbe lontano dal nostro tema.
Mi domando tuttavia, e con questo concludo, se, piuttosto che vedere il sim-
posio arcaico in una chiave di relativa continuità, come espressione centrale, cioè,
di uno stile di vita aristocratico che "continuerebbe" da questo punto di vista
lo stile di vita delle aristocrazie "omeriche", pur riflettendo, nei caratteri e nelle
modalità della riunione conviviale, la perdita dei fondamenti funzionali di natura
militare su cui quello stile di vita poggiava, mi domando, dicevo, se non lo si
possa vedere invece come espressione originale del definirsi stesso, tra VIII e VII
sec. a.e., di uno stile di vita aristocratico, legato all'emergere di una vera e pro-
pria aristocrazia 74 come ceto (o ordine) sociale che tende a riconoscersi, definirsi
e distinguersi in quanto tale entro contesti segnati da una relativa differenziazione,
ma anche da una relativa fluidità nelle loro articolazioni e scansioni interne.
Contesti tali, dunque, per cui quei processi di autodefinizione e autoaff erma-
zione dovevano verosimilmente passare anche, e direi soprattutto, attraverso l'ela-
borazione di complessi di pratiche specifiche che distinguessero quel ceto in termi-
ni di stile di vita, nonché attraverso la creazione di specifici contesti di interazione
sociale, quali luoghi deputati dell'estrinsecazione di quello stile di vita e della defi-
nizione, conservazione, rafforzamento di una rete di rapporti e legami sociali di
vario tipo, attraverso i quali concretamente veniva affermata e sancita l'apparte-
nenza a quel ceto stesso, e che dunque lo innervavano e insieme lo definivano
in quanto tale, articolando al suo interno, ma anche conferendogli la sua unità
come distinto ordine sociale.

NOTE

Abbreviazioni dei lavori più frequentemente citati: MUUAY 1981 = O. MUUAY, The Symposion as
MUIUlAY 1980 = O. MUIUlAY, Early Greece, Lon- Socia/Organi.sation, in The Greelc Renais:sall«
don 1980 (trad. it. La Grecia arcaica, Bolo- in the Eighth Century B. C.: Tradition and
gna 1984; da qui le citazioni). lnnovation, Proceedings of the Second Inter-

322 ------------------------------
--------------------------- MARIO LOMBAllDO

national Symposium at tbc Swedish lnstitute 13) Considerazioni in tal senso compaiono, sep-
in Athens 1-S June 1981", R. HAoo, Ed. pur con diverse accentuazioni, nei vari con-
Stockholm 1983, pp. 195-199. tributi raccolti in VBTIA 1983, e nella stessa
MUUAY 1982 = O. MUUAY, Symposion and Introduzione del curatore, in part. p. XL.
Miinnerbund, in "Actes de la Conférence Ei- 14) HUMPBilBYs, op. cit., pp. 382 ss. e 463 ss.;
rme, Pra,ue 1982", I, Pra,ue 1986, pp. 47-52. cfr. anche S. HUMPBUYs, Oikos e Polis, RSI,
M1.1llAY 1983 = O. MUJUtAY,The Greek Sym- 1980, pp. SS9 ss.
posion in History, in Tria Corda. Scritti in 15) J. TB.UMPF, Ober das Trinken in der Poesie
onere di A. Momigliano, a c. di E. GABBA, des Alkaios, ZPE 12, 1973, pp. 139-160 (trad.
Como 1983, pp. 257-272. it., in VBTIA 1983, pp. 45 sgg.: da cui le cita-
VBTTA1983 = Poesia e simposio nella Grecia an- zioni); su questo punto, cfr. anche il fonda-
tica. Guida storica e critica, a c. M. VBTIA, mentale lavoro di W. ROsum, Dichter und
Roma-Bari 1983. Gruppe, Munchen 1980 con la discussione di
ScmmT PANTEL1985 = 1>.ScmmT PANTEL,Ban- M. VEnA in RFIC 109, 1981, pp. 483-495.
quet et citi grecque. Quelques questions su- 16) Un accenno di lettura comparativistica delle
scities par /es réc/rercltes rkentes, MEPRA97, pratiche simposiali (con riferimento alle tesi
1985, pp. 135-158. di H. ScBUllTZin Altersklassen und Mlinner-
biinde, Berlin 1902), i: già in P. VoN DBa
MOHI.L,Das Griechische Symposion, in Xe-
1) ScHMITTPANTBL1985, in part. p. 135 e p. nophon. Das Gastmahl. Ubersetz.ung von G.
lSS con la n. SS. P. Landmann, Berlin 1957, pp. 70-109; poi
2) Ibld., pp. 140 sgg. con particolare riferimen- in Ausgew. kl. Schriften, Base! 1976, pp. 483
to ad alcuni importanti contributi di N. Va- ss. (trad. it. in VBTIA 1983, pp. S ss.: da qui
lenza Mele, M. Gras, J.-M. Dentzer, O. le citazioni).
Murray. 17) TitUMPF, art. cit., pp. 47 ss. e 57 ss.
3) lbid., in part. p. 142. 18) Si cercherà di rispettare qui il più possibile
4) Per una rigorosa definizione di questa nozio- le accezioni in cui Murray usa il termine sym-
ne, cfr. S. HUIIPBlU!YS, Saggi antropologici posion e l'espessione sympotic group, su cui
sulla Grecia antica, trad. it., Bologna 1979, torneremo poi in sede di discussione critica:
pp. 386 ss. e 451 ss. cfr. infra.
S) MUUAY 1980, 1981, 1982, 1983. 19) MUllAY 1982, pp. 49-SO;cfr. MUUAY 1981
6) Cfr. infra, p. 320-322 e nn. 40 e 41; si veda p. 195 e 1983, p. 264.
però anche PI.Aro, Leg., I, 636, b (sissizi pres- 20) MUllAY 1982, pp. SO-Sl.
so i Milcsii, i Beoti, i Tburini), nonché Alll- 21) MUllAY 1981, p. 196.
STOT., Poi., Il 1272 b (sissizi delle eterie pres- 22) MUUAY 1981, pp. 195-196.
so i Cartaginesi) e VII 1329 b (sissizi presso 23) MUUAY 1983, p. 267.
gli antichi Enotri). Anche ad Atene sono at- 24) MUUAY 1981, pp. 196-198; cfr. MUUAY
testati dei syssitia come uno dei tipi di asso- 1980, pp. 60-61; 239 s. e MUUAY 1983, pp.
ciazione autoriu.ati da una legge attribuita a 259 ss.
Solone (Sol.ON, 342a, MARTINA=F 76 a Ru- 25) Soprattutto MUUAY 1981, p. 199.
schenbuslt =Dig., 47, 22, 4). 26) MUUAY 1981, p. 198; MUUAY 1983, pp. 263
7) Cfr. ad es. PI.Aro, Leg., I, 633 sgg. ss.; MUUAY 1982, pp. SO-SI.
8) Cfr. ad es. PI.Aro, Leg., I, 637; NAVAllRE, 27) MUUAY 1983, pp. 264 s.; cfr. MUUAY 1982,
s. v. Symposium, D.A.G.R., S, pp. 1579 sg.; pp. SO-Sl.
Huo, s.v. Symposion, RE IV A, cli. 1273 ss. 28) MUIUlAY1983, pp. 265 s.
9) Cfr., in part., Il, 671 e 674. 29) MUUAY 1981, p. 198 e soprattutto MUIUlAY
10) Cfr ., ad es., Resp., lii, 416 e; V, 458 c-d; 1983, pp. 266 s.
Leg., VI 762, 779-81; VII 806; VIII 842. 30) MUUAY 1983, pp. 271 s.
li) Cfr., ad es., Poi., Il 1263b-1264a; 126Sa; 31) Sc1D01TPANTBL1985, p. 147.
1271a-1272a; VII 1329b-1330a; 133la-b. 32) lbid., p. 146 n. 25 e pp. 147 s.
12) Mi sembra significativo il fatto che, anche lad- 33) Cfr. ScHMITTPANTBL1985, p. 147, n. 26.
dove appare esplicita la consapevolezza delle 34) Cfr. ad es. MUUAY 1982, pp. 49-SO.
valenz.eorgarùuative e socio-politiche delle riu- 35) MUIUlAY1982, p. SO.
nioni conviviali in quanto tali, la loro defini- 36) MUUAY 1981, p. 196.
zione non passi attraverso la nozione di sym- 37) Per l'eteria in generale, e in particolare per
posia, ma di deipna (cfr. PI.Aro, Theaet., 173 quella ateniese, si veda il classico libro di F.
d) o di syssitia (cfr. AlusroT., V 1313 a: la SAitroRJ,Le eterie nella vita politica ateniese
proibizione dei s. i: una delle tipiche misure del VI e V secolo a.e., Roma 1967; per le
adottate dai tiranni per mantenere il potere). eterie mitilenesi, si tenga conto anche dei re-

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HOMO EDENS ------------------------------

centi contributi di W. ROsJ.u, op. cit., pp. tarco e Ateneo (di quest'ultima, soprattutto
26 sgg. e A. ALoNI, Eteria e Tiaso: i gruppi i libri IV e V).
aristocratici di Lesbo tra economia e ideolo- 52) Deipn., V, 187 b.
gia, DdA S Ili, 1 1983, pp. 21 sgg.; sulle ete- 53) Si veda in particoalre Od. II, 225 sgg. (non-
rie come suddivisioni corporate della cittadi- ché Od., XI, 415), con i relativi scoli e col
nanza, attestate soprattutto a Creta, cfr ., ol- commento di Eustazio (cfr. anche EUSTATH.,
tre alle osservazioni di Sartori (op. cit., pp. ad li. XVII, 575-578). Cfr. LoNoo, art. cii.,
24 sgg.) il fondamentale lavoro di R. F. W1L- p. 109.
LE1TS, Aristocratic Society in Ancient Crete, 54) Sui Realien della commensalità nel mondo
London 1955, in part. alle pp. 22 ss. omerico, cfr. G. BRUNS, Kiichenwesen und
38) Cfr. S/JlTOIU, op. cit., pp. 30 ss. Mah/zeilen, Archaeologia Homerica, li, G&-
39) Cfr. AlusroPH., Lys. 195 ss., con la lettura tingen 1970, in part. pp. 46 ss. Sul profondo
che ne propone Trumpf (art. cit., p. 56). significato sociale dei «conviti cerimoniali»
40) Fondamentali, per l'interpretazione dei sissizi omerici, cfr. M. I. FINLEY,Il mondo di Odis-
spartani resta M. P. Nn.ssoN, Die Grundla- sea, trad. it. Roma-Bari 1978, pp. 138 ss.
gen des spartanischen Lebens, Klio Xli, 1912, 55) Fondamentali contributi al riguardo nei lavo-
pp. 308-340. Ancora utile è anche la disserta- ro di L. Gernet (ad es. in op. cii., pp. 21
zione di A. BIELSCH0WSXY, De Spari. syssi- ss. e 393 ss.) e J.-P. Vemant (ad es. in Le
tiis, Breslau 1869. Si vedano inoltre A. ToYN- origini del pensiero greco, trad. it., Roma
BBE, Some Problems o/ Greek History, Lon- 1976, pp. 65 s.). Si vedano anche le conside-
don 1969, pp. 319 ss.; P. OLIVA,Sparta and razioni di Finley nelle pagine citate a n. 54
her socia/ problems, Amsterdam-Prague 1971, e la sezione «Manger ensemblc» in ScJDmT
pp. 29 ss.; D. RoussEL, Tribu et Cité, Paris PANTBL1985, pp. 150 sgg. con ulteriori indi-
1977, pp. 123 ss., e, da ultimo, TH. FIGUEJ- cazioni e bibliografia.
RA, Mess Contributions and Subsistence at 56) Tra le numerose opere uscite di recente sulla
Sparta, TAPhA 114, 1984, pp. 87 ss. condizione della donna nell'antichità, si ve-
41) Per gli andreia cretesi si veda soprattutto R. dano: s. B. POYEllOY, Goddesses, Whores,
F. W1LLE1TS, Aristocratic Society in Ancient Wives and Slaves. Women in Classica/ Anli-
Crete, London 1955, pp. 18 sgg.; cfr. anche quity, New York 1975 (trad. it., Donne in
RoussEL, op. cit., pp. 123 sgg., nonché, da Atene e Roma, Torino 1978); S. C. HUMPH-
ultimo, C. TALAMO,Il sissizio a Creta, in Xli REYS, The family. Women and Death. Com-
Miscellanea greca e romana, Roma 1987, pp. parative Studies, London 1983; E. CANTA.llEL-
9 sgg. LA, L'ambiguo malanno. Condizione e imma-
42) Cfr. XENOPHON,Lac., 5, 2. gine della donna nell'antichità greca e romana,
43) Cfr. ad es., XENOPHON,An., V, 8, 6 e HG, Roma 1983 (in part. pp. 51 ss.); I. SAVAW,
V, 3, 20. La donna nella società della Grecia antica,
44) Cfr. ad es. HoT., I, 65; THUc., V, 68; XENo- Bologna 1983; AA.VV., La/emme dans l'An-
PHON, Lac., 11, 4. tiquité grecque, Toulouse 1985; AA.VV., Le
45) Sull'éranos si vedano, oltre alle fondamentali donne in Grecia, a c. di G. Aaluoom, Bari-
pagine di L. OBllN1lT,in Anthropologie de la Roma 1985.
Grèce antique, Paris 1968, pp. 47 ss. e 191 57) Grande cautela occorre in particolare nell'in-
ss. la monografia di J. VoNDBLJNO,Eranos, terpretazione dei rinvenimenti di materiali ar-
Groningen 1961 e, da ultimo, O. LoNoo, Era- cheologici greci legati a pratiche conviviali in
nos: un 'istituzione peculiare, in Mélanges E. contesti non greci come segno dell'adozione
Delebecque, Aix-en-Provence 1983, pp. o comunque della preselWl di quelle pratiche,
247-258, ora in O. LoNoo, La storia, la ter- nelle loro precise modalità e nelle loro pre-
ra, gli uomini, Venezia 1987, pp. 103-116. sunte o reali valenze sociali.
46) Sulla phratria, cfr. soprattutto RoussBL, op. 58) Si pensi, ad es., a quel passo della Politica
cit., pp. 93 ss. (I, 1252 b) in cui Aristotele attribuisce a Ca-
47) Vedi i'l/ra. ronda, Zaleuco, Epimenide l'uso di termini
48) Cfr. W. A. BBCKBll, Charikles, li, Leipzig come homosipyoi, homokapoiper designare
1854, pp. 231 ss.; VoN DEll MOm.L, art. cit., i membri di uno stesso oikos (cfr. VEB.NANT,
pp. 8 sgg.; vedi anche i1'fra. /oc. cit.).
49) Cfr. ad es. Deipn., IV, 138 b; V, 186 d ss. 59) Questo punto è ben noto: cfr. ad es. XBNo-
SO) Su questo punto, i Deipnosof,sti di Ateneo, PHANBS, cfr. I Gentili-Prato; Puro, Conv.,
e, in misura minore, le Questioni simposio/i 175-176; XENOPHON, Conv., I, 7; Bl!cKJ!a,op.
di Plutarco forniscono ampia documentazione. cit., pp. 270 s. NAVAllllB, s.v. Symposium,
51) Anche qui, non possiamo che rimandare sin- cii., p. 1579.
teticamente alle opere sopra ricordate di Plu- 60) Cfr. VoN DBll MOHLL,in VE1TA1983, pp. li s.

324----------------------------
---------------------------- MARIO LOMBARDO

61) Cfr. BECllll, op. cii., pp. 271 ss. e 290 ss.; mente simposiali.
VoN DEll MOHLl., art. cit., pp. 12 sgg. SuJ 70) In questo senso sembra deporre la presenza,
simposio come contesto fondamentale della e il rilievo, delle pratiche simposiali in Focili-
produzione, conservazione ed evoluzione del- de e Solone, esponenti ed apologeti della "me-
la cultura letteraria arcaica, si veda l'ampia dietà" sociale.
e lucida Introduzione di Massimo Vetta (VET- 71) Cfr. VETTA 1983, Introduzione, pp. XXXIV
TA 1983, pp. XIII sgg.). ss. e il contributo di BIELOHLAwn:, ibid., pp.
62) Cfr. ad es. Purr., v. Perle/., VII, 2; conv. 95 ss.
sept. sap., 13; Puro, Conv. 216 c e 223 b; 72) Cfr. VETTA1983, Introduzione, pp. XLIII ss.,
Huo, s.v. Symposion, cii., cl. 1274. dove si sottolinea, ad es., (pp. XL VII ss.) il
63) Cfr. ad es. PIND., 01., VII, 2 ss.; AllJsroPB., probabile ruolo svolto dalle tirannidi ionica
av., 132; PLUT., v. Pericl., VII, 2; quaest. e attica nell'«imporre un'originalità al sim-
conv., IV, 3; ATHEN., Deipn., V, 185 b • posio», col rifiuto dei temi epici e stasiotici.
64) Cfr. ad es. PIND., nem., IX, 114 ss.; All1- Si veda anche il contributo di E. PELLIZEll,
STOPH.,av., 493 e 522 s.; PLATO,conv. 174; ibid., pp. 29 ss. SuJ rapporto non di contrap-
XENOPHON,conv., I, 1; PoLYB., XXXI, 21, posizione, ma di sostanziale correlazione tra
8; PLUT., quaest. conv., V, 5, 2. simposio e attività guerriera aristocratica, quale
65) Gran parte, ad es., della produzione di Al- emerge dalla documentazione iconografica,
ceo, se non tutta, va vista entro la cornice cfr. DENTZEll, op. cit., pp. 436 s. e 449 s.
delle riunioni conviviali della sua eteria: cfr. 73) Per un orientamento sulla problematica si ve-
supra. dano: Y. GARLAN,La gue"e dans l'Antiquité
66) Cfr. ad es. loN CH., FGrH 392 F 6. (trad. it. Gue"a e società nel mondo antico,
67) VETTA 1983, p. XLII. Bologna 1985, pp. 133 sgg.); A. SNOOORASS,
68) Le più antiche attestazioni del termine sono Arrhaic Greece. The Age of Experiment, cam-
in ALC., frr. 70 e 368 Voigt e in PHOCYL., bridge 1981, pp. 97 sgg.; D. Musn, L 'econo-
fr. 11. Non credo comunque che si debba da- mia in Grecia, Roma-Bari 1981, pp. 62 sgg.;
re eccessiva importanza, nel leggere le origini P. DucllEY, Guerre et guerriers dans la Grè-
del symposion, al diffondersi presso i Greci, ce antique, Paris 1985, pp. 49 sgg.; nonché
per influCl17.8verosimilmente orientale, dell'uso il dibattito sviluppatosi sulle pagine del Jour-
di banchettare stando sdraiati su klinai, dif- nal of Hellenic Studies, con interventi di Snod-
fusione attestata a partire dal VII sec. a.e., grass (LXXXV 1965, pp. 110 sgg.), P. Car-
sulla quale abbiamo ora la imponente mono- tledege (XCVII, 1977, pp. li sgg.), J. Sal-
grafia di J.-M. DENTZEll, Le moti/ du ban- mon (ibidem, pp. 84 sgg.), A. J. Holladay
quet couché dans le Proche Orient et le mon- (CII, 1982, pp. 94 sgg.), J. K. Anderson (CIV,
de grec du VIP au IJ!t siècle, Paris 1982. 1984, pp. 152 sgg.).
69) Cfr., oltre alle fonti e alla bibliografia sopra 74) Cfr. CH. G. STAu, The Economie and So--
citate, PLATO, Min., 320. Cllrr., fr. 6 WEST eia/ Growth of Early Greece 800-500 B.C.,
non mi sembra implichi esperienze specifica- New York 1977, pp. 119 sgg.

----------------------------- 325
METAFORE PLAUTINE
di Gioachino Chiarini

l1 rappresentante ufficiale dell'edacitas è, in Plauto, il parassita, com'è ovvio,


essendo per solito la misura della voracità direttamente proporzionale a quella
della fame: il parassita del Persa, Saturio ("Panciapiena"), si proclama, non sen-
za fierezza, "edace" per vocazione e tradizione familiare, denunciando implicita-
mente una proverbiale "fame atavica" (cfr. Pers. l, 1,53 ss.), mentre un altro
parassita, il Oelasimo dello Stichus, avanza più esplicito il sospetto d'esser stato
generato dalla Fame in persona: Famen ego fuisse suspicor matrem mihi, lnam
postquam natus sum satur numquam fui, Stich. l 3,155 s.). Ma su questo sentire-
mo tra breve, più diffusamente, Gianni Ouastella.
Osserverò piuttosto come, dal momento che quasi sempre le commedie plauti-
ne consistono nell'ideazione, preparazione ed esecuzione, o meglio "rappresenta-
zione", di una beffa da parte dei personaggi "che sanno ridere" a danno di quelli
"che non sanno ridere", sia facile imbattersi in parassiti coinvolti (alla pari di
tanti altri: vecchi e giovani, padroni e servi, sicofanti e meretrici) in qualità di
"attori" nella "recita" via via in cartello (è appunto il caso di Saturione), o addi-
rittura in qualità di "capocomici", di inventori cioè e di registi della "messa in
scena" (è il caso di Curculio, "Gorgoglione" - un parassita del grano -, nella
commedia omonima).
Sembra tuttavia esservi qualcosa che fa sempre e comunque di un parassita
un personaggio a sé, distinto dagli altri: questo qualcosa è la sua totale soggezione
alle rq!_oni del ventre. Famoso è quel lungo frammento aarra 'Boeotiii (una com-
media di già in ·anttco'controversa, ma a mio avviso di assai probabile paternità
plautina, cfr. OELUOIII, 3,3), in cui un parassita se la prende con la moderna
invenzione dell'orologio (solarium), contrapponendo ai bei giorni della sua fan-
ciulleua, quand'era il ventre a segnare il momento del pasto (che per lui era ov-
viamente un momento ... ininterrotto), i tristi giorni del presente, con tutti quegli
orologi che, dividendo spietatamente il giorno in ore e le ore in ore buone per
mangiare e in ore non buone, riducono gran parte dei cittadini a trascinarsi in
giro mezzi morti di fame (cfr. fr. 21-29 LINDSAY). Ma il ventre del parassita plau-
tino non funge solo da personalissimo orologio di se stesso, bensl anche - se
è lecito restare nel metaforico - da "barometro" specialiuato dell'intera vicenda
scenica.
Nei Captivi, ad esempio, abbiamo una triste storia di guerra: durante il con-

----------------------------- 327
HOMO EDENS---------------------------

flitto tra Elei ed Etòli, il vecchio Egione, cui già tanti anni addietro era stato
rapito uno dei suoi due figli, perde anche l'altro, caduto prigioniero dei nemici.
Poiché si tratta di una commedia, la perdita è solo transitoria e anzi, dopo un
ulteriore aggravarsi della situazione (il prigioniero che, a sua volta, Egione inten-
deva utilizzare per uno scambio col nemico, riesce a fuggire), il lieto fine restitui-
sce al vecchio padre entrambi i figli. Orbene, il diagramma del "clima" generale
e, in particolare, dei sentimenti che passano per l'animo di Egione, prima triste,
poi tristissimo, indi all'ultima disperazione, infine all'improvviso e totalmente feli-
ce, è ripetuto, o come accompagnato in controcanto, dal diagramma dei sentimen-
ti, diciamo cosi, che interessano il ventre del parassita Ergasilo.
Com'egli stesso confessa, prima al pubblico in un accorato monologo (I I),
poi a Egione (I 2), quei tempi di guerra e di difficoltà sono tempi assai duri
anche per lui, e non meno per il suo ventre, che tutto gli duole «poiché ora è
stato congedato l'esercito della vettovaglie» (quia nunc remissus est edendi exerci-
tus, espressione ambigua che vuol anche dire "l'esercizio di mangiare" v. 153).
Il vecchio lo incoraggia a bene sperare: presto il figlio, quello caduto prigioniero,
risarà a casa e anche per lui, il fedele parassita, le cose volgeranno al meglio.
Intravvedendo uno spiraglio, Ergasilo chiede di essere invitato a cena («È il mio
compleanno», spiega: v. 174). Egione, divertito della sfacciataggine, acconsente,
ma a patto che l'ospite si accontenti di una cena assai modesta: «Se vuoi qualcosa
di meglio», aggiunge, «va' a cacciarti una lepre: per ora, il tutto di cui disponi
è un porcospino», e spiega: «La mia dieta, infatti, segue un cammino alquanto irto».
È un'esortazione a cercare inviti più appetitosi e sostanziosi altrove, ma Erga-
silo non si scompone: «Irto? Vorrà dire che verrò coi denti ben calzati» (v. 185
sg.). Tuttavia, la conclusiva rivelazione che la cena consisterà di "ortaggi in quan-
tità" (v. 190: niente carnei) induce il parassita a cercare davvero altrove. La caccia
al mercato non avendo però sortito effetto alcuno (son veramente tempi di vacche
magre: «Anche gli altri parassiti», racconterà più tardi «si aggiravano vanamente
per il mercato», v. 491), Ergasilo decide di fare l'ultimo tentativo, recandosi al
porto (cfr. III 1). E sarà proprio al porto che gli toccherà il colpo di fortuna:
veder arrivare (IV 1) la nave coi figli del suo protettore, il quale (IV 2), in cambio
della splendida notizia, gli accorderà il comando supremo sulla res cibaria. Il pa-
rassita, fuor di sé dalla gioia e sempre in tono col clima guerresco della vicenda,
promette (IV 3) una strage senza precedenti di prosciutti, mortadelle, salami, del-
l'intera dispensa di Egione insomma, strage che si affretta a compiere ricoprendosi
di gloria pappatoria (cfr. IV 4).
In apertura dei Menaechmi, il parassita Penic~ ("Spazzola") tratta diffu-
samente (I 1,79 sgg.) e con ricchezza metaforica il tema della "schiavitù del ven-
tre". «Incatenare i prigionieri o mettere in ceppi i servi fuggiaschi è,a~~.
unascemenza bella e buona». Non con le cattive, ma con le buone, con mangiare
e bere a sazietà bisogna legare chi si vuole che non scappi: «Questi legami alimen-
tari (in latino è più forte: vine/a escoria, v. 94) sono infatti straordinariamente
elastici: più li allarghi, più si stringono». La miglior prova di ciò la fornisce lui
stesso, che ogni giorno che passa si sente sempre più strettamente legato al suo
munifico "re" e ospite, Menecmo (cioè, a Menecmo I). Il tema è dunque, appun-
to, "schiavitù del ventre".
Ora, la commedia proprio di schiavitù è destinata a trattare del gaudente
Menecmo I, diviso tra la schiavitù alla tirannica moglie (una classica uxor dotata)

328 --------------------------~---
----------------------- GIOACHINO CHIARINI

e la più morbida, ma anche più insidiosa schiavitù alla meretrice Erozio. Sesso
e sost~, amor e argentr,m saoo~ppunto i due perniattorno aL9J!l!JL.rtJ.2tiUli>
pressç,_~hétutte le commedie di Plauto (cfr. M. BETTINI, V~!§.Q..M!1'f1_,Uropo/,Qgia
lléffintreCciO. Le s/rullure semphci ile7Tii7ramaXie/Jec~-di.~Ja.ul.a. ..MIJ._x..
7:-i982,p: 39-sgg.). Lasceremo dunque ormai i parassiti, e ci occuperemo delle
meta'rore <1elmangiare e del cucinare in relazione a questi due ambiti antropologi-
camente fondamentali:aeiiaro e i.tonna.
Negli intrecci plautini lo schema corrente prevede che il giovane amoroso
di turno, temporaneamente al verde, si debba procurare del denaro che a sua
volta gli servirà per riscattare la meretrix di cui è innamorato. Come Menelao
si serve di Odisseo per prendere l'imprendibile città troiana e riavere Elena, cosi
l'amans ephebus si serve del proprio servo furbo (servus ca/lidus) per la parte e,._,.;-,
che riguarda il denaro - la parte erotica restando, ovviamente, affar suo e di ...,'... , ,,
nessun altro.
Nell' Asinaria i servi callidi sono due, Libano e Leonida. Il loro problema
è di far saltar fuori le venti mine che occorrono al padroncino Argirippo per
riscattare la bella Filenio (una volta tanto, il paterfamilias, Demeneto, sarebbe
favorevole alle intraprese erotiche del figlio, ma non può dargli nemmeno un nummo
perché è l'uxor dotata Artemona a tenere i cordoni della borsa). Leonida dunque
(II 2) arriva con una straordinaria notizia per Libano e Argirippo: maxumam
praedam et triumphum is adfero adventu meo (v. 269). La "preda", come subito
spiega a Libano, è il denaro del mercante di Pella cui Saurea, il servo che ammini-
stra i beni di famiglia per conto di Artemona, ha venduto degli "asini d'Arcadia"
(cioè della miglior razza) proprio per venti mine. Giusto ora il giovane messo
del mercante macedone è giunto ad Atene col denaro.
In Plauto, le metafore relative alla guerra sono sempre strettamente collegate
con quelle relaÙ~- ~la _caccia. Anèhe qw, al sentire dell'arrivo di tale "preda"
insperata; Libano chiede ~<dov'è»e assume di scatto la posa immobile ma tesa,
vigile ma pronta al balzo dell'animale, appunto, da preda che ha sentito l'odore
di una possibile vittima. Leonida, che gli ha colto negli occhi un lampo di avidità
sanguinaria, commenta: 1am devorandum censes, si conspexeris?, «Ma come, ap-
pena lo vedi vuoi farne un boccone?». lta enim vero, «Puoi contarci», replica
l'altro, già con l'acquolina in bocca (v. 338 sg.).
Nella scena successiva (II 3) compare il messo macedone: nonostante gli sfor-
zi di Leonida (con Libano che gli fa da spalla) per farsi credere l'autentico ammi-
nistratore Saurea, il giovane straniero non si fida, e continua a tenere ben strette
le fatidiche venti mine, spiegando in tal modo la sua filosofia: Lupus est homo
homini, non homo, quom qua/is sit non novit (v. 495). È un motto dilatato e
reso famoso dal pessimismo di Hobbes, ma che dipinge assai bene il clima della
commedia plautina, luogo deputato di divertite sopraffazioni, di lupi simpatica-
mente affamati, di avvoltoi in abiti umani sempre pronti a colpire e a esser colpiti
in un'incessante lotta per la sopravvivenza. Insomma, ci fa intendere Plauto, Li-
bano, che, come gli rinfaccia Leonida, è abituato al «pane quotidiano delle nerba-
te» (qui pro cibo habeas te verberari, v. 628) nel clima irreale della scena comica,
celebra la propria effimera libertà divertendosi a immaginare di «fare un sol boc-
cone» del malcapitato messo macedone.
Identico motivo nello Pseudolus. In IV 7 il ruffiano Ballione e il vecchio
Simone, padre dell'amans ephebus Calidoro, vedono arrivare Harpax, messo, questa

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HOMO EDENS--------------------------

volta, di un soldato macedone, col denaro necessario a concludere l'operazione


del riscatto di Fenicio, la meretrice amata da Calidoro. Il ruffiano, osservando
il danaroso straniero bussare alla porta del bordello, già leccandosi i baffi senten-
zia: «Quest'uomo è mio». «Come sarebbe?» chiede Simone. «Sarebbe che questa
è preda mia: cerca puttane e ha del denaro. Ho una gran voglia di addentarlo
(iam admordere hunc mihi lubet)». «Intendi farne un sol boccone? (iamne illum
cgme§§Uruses?)». «Finché è fresco, bello caldo e a portata di mano, questo è
il momento di divorarlo (dum recens est,ldum ca/et, dum datur, devorari decet
iam)» (vv. 1124-27). L'ambito di ri~Jjmento dell'immyine è il pesce fresco cuci-
nato, come ci confefniaun'en~:~s'fma éit8zrorie dall'AsinOria. ·rnI 3 la rUfflana
Cleareta spièga•1èf Argirlppo: quasi piscis ìtidèmst amator lenae: nequam est nisi
) recnes;/is habet sucum, is suavitatem, eum quovis pacto condiaslvel patinarium
l ve/ assum, vorses quo pacto lubet ecc., «per una ruffiana l'innamorato è come
un pesce: non val nulla se non fresco: fresco, è succoso, saporito, lo puoi cucinare
come vuoi, lesso o arrosto, e rigirarlo a tuo piacimento ... » (vv. 178-180).
In tutti questi casi, l'is:Jg di divorare, azzannare e simili ha come bersaglio
~S<:!!le in ~esso di denaro, ;j)driie·l1aviciliàdi cru lia méSSOloro gli occhi
addosso, cioè addosso aJ denaro. Illic homo tuam hereditatem inhiat quasi essu-
L~ «Quello sta ll con le fauci spalancate sulla tua eredità, come ÌÙpo
rilJ..ns
famelico», dice il parasito Oelasimo a Panfilippo (Stichus 605), e potrebbe essere
l'epigrafe più indicata per la sezione "voracità e denaro" di questa comunicazio-
ne: anche perché fa da ponte verso una metafora ancor più diffusa della preceden-
te in ogni tempo e paese, quella secondo cui dilapidare un patrimonio si dice
"mangiarsi un patrimonio". È il motivo conduttore del Trinummus.
Il giovane Lesbonico dilapida sostanze, costringendo il padre Carmide a ten-
tare la fortuna all'estero, come mercante. Lui e la sorella vengono affidati alla
tutela del vecchio Callicle. Lesbonico insiste nelle dissolutezze e si vede costretto
a vendere persino la casa paterna. Callicle, l'unico a sapere che in quella casa
Carmide ha nascosto un tesoro, si affretta a comprarla lui stesso dal suo pupillo.
Un secondo vecchio, Megaronide, si fa portavoce dei mormorii della gente: «Ti
dicono bramoso di turpi guadagni, alcuni ti danno addirittura dell'avvoltoio (te
vulturium vocant): stranieri o concittadini, te li mangi tutti senza tante distinzio-
ni» (vv. 100-102).
Di fronte a tali accuse, Callicle è costretto a svelare le cose come stanno,
ed è presto la volta del rovinoso Lesbonico a esser definito «un lupo che, più
affamato e bramoso che mai, ha spiato il momento in cui i cani fossero addor-
mentati (cioè la partenza e permanenza del padre lontano da casa), per portarsi
via tutto il gregge al completo» (vv. 169-171). Più avanti un terzo vecchio, Filtone,
a sentir parlare di Lesbonico commenta: «Chi? forse quel tale che s'è mangiato
tutto quello che aveva e anche quello che non aveva?» (quin comedit quod Juit,
quod non Juit?, v. 360).
Più avanti ancora, sentendo come Lesbonico ha fatto fuori anche il denaro
testè ricevuto per la casa («se l'è mangiato, bevuto, consumato tutto: evaporato
alle terme, sottratto dal pescivendolo e dal panettiere, dai macellai, dai cuochi,
dai verdurai, dai profumieri, dagli uccellatori: sparito in un baleno ... », vv. 406-409),
sempre Fittone osserva che al suo ritorno il padre di Lesbonico «troverà posto ...
solo fuori dalla porta (la casa infatti è stata venduta), a meno che non riesca
a infilarsi nel ventre del figlio» (in portasi locus,lnisi forte in ventrem jilio con-

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----------------------- GIOACHINO CHIARINI

repserit, v. 423 sg.), ardita immagine che deriva dall'essersi quel nobile figliolo,
appunto, "divorato" il denaro della casa, cioè "la casa stessa": che ora sarà
tutta nel suo ventre.
E questo tema del divorare è talmente centrale nella commedia, che più oltre
nessuno si stupisce se, in un confronto diretto tra Carmide finalmente reduce e
il sicofante "da tre soldi" che deve fingersi inviato da Carmide stesso, avendogli
quello domandato il nome del suo presunto mandante, l'altro gli replica: «Si chia-
ma •.. si chiama ... si chiama ... Accidenti a me!». «Cos'è successo?». «Ho finito
per divorare il nome senza accorgermene». «Non mi piace, continua Carmide,
chi si tiene rinchiusi gli amici tra i denti». «Eppure, conclude il sicofante, ancora
un attimo fa l'avevo proprio sulla punta della lingua» (in labris primoribus vv.
908:-911).
Ma veniamo fmalmente all'argomento metafo.re alimentari-donna, sesso. Ve-
ra summa di tutte le fantasie plautine in tafe'"" ambito· è là Casina·. Casfria..é una
ragazz.a esposta alla nascita, raccolta da una famiglia benestàiìtee allevata ''come
una figlia" dalla matrona Cleostrata; giunta alla fatidica età di sedici anni, suscita
d'un colpo e simultaneamente l'amore dei due maschi di famiglia: l'amore proba-
// bile e naturale del giovane figlio Eutinico, quello adulterino e colpevole del padre,
'l il senex (non altriQ!enti desipalo) marito di Cleostrata. Il vecchio spedisce all'e-
< stero il figli<),progettando di dare in moglie la bella fanciulla al fattore Olimpio-
ne, s1,10uomo di fiducia. Cleostrata gli contrappone l'ipotesi di un matrimonio
di Casina con lo scudiero di Eutinico, Calino. Si va al sorteggio, che favorisce
Olimpione. Ma alla vera Casina viene sostituito, in abiti nuziali, il nerboruto Cali-
no (un "Casinus", come viene spiritosamente detto al v. 814), il quale si sfoga,
con modalità ed esiti facilmente immaginabili, prima sul legittimo sposo Olimpio-
ne, poi sul vecchio adultero.
L'invenzione centrale, sul piano metaforico, riguarda il mondo dei profumi
e degli unguenti: Casina, la bellissima che mai compare in scena, motore invisibile
dell'azione, ba un nome che significa "l~~.!L~-~~- profumo ~i_ c_asig", cioè ...
di cannella. Per gli antichi la casia era un profumo, un'essenza, di uso anche
medicinale, non - come sarà più tardi - una spezia per insaporire e aromatizzare
i cibi. Ma non sorprende che la rete di metafore connesse con questa protagonista
invisibile, il cui profumo aleggiaperò, penetrante, sulla scena dal primo all'ultimo
verso, sia a sua volta connessa, per ovvia contiguità, con quelle del cibo e dei
condimenta.
Tutto è giocato sulle tre opposizioni: cibo buono e gustoso vs cibo cattivo
e disgustoso,-pancla piena vs pancia vuota, profumo vs maleolezzo, cia$cuna_e
sèmpre in rèrazione metaforica con l'appetito seuuale, alla fine brutalmen_tefru,._.
strato,_ del.sena ..e-del fattore. Sin dal confronto iniziale (I 1) tra i due promessi
nìaìiti Olimpione e Calino, veniamo informati che Casina è bella et tenei/a ("tene-
ruccia", "un bocconcino", v. 108), e si prospetta la contrapposizione, rivelatrice
nella sua trasversalità, tra "fame disperata" e "appagamento erotico" (v. 126
sgg.). Nella scena successiva (Il 1 della divisione umanistica), Cleostrata dichiara
che, poiché il marito, nonostante l'età avanzata (quel "pascolo d'Acheronte",
lo chiama), si è invaghito di Casina e avversa i progetti del figlio Eutinico, come
ritorsione lei lo lascerà senza pranzo: (prandium] neque paro, neque hodie coque-
tur I... ego illum fame, ego illum siti, I maledictis male/ actis amatorem ulciscar
(vv. 149-156). Poi ecco comparire lui, l'attempato vagheggino, a cantare il suo

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HOMO EDENS---------------------------

amore (Il 3): «Io credo che l'amore superi tutte le cose del creato, persino i più
splendidi splendori, e che non si possa trovare nulla di più sapido e raffmato
(quod plus salis plusque leporis habeat). Mi stupisco che i cuochi, che dei condi-
menti fan uso per professione, non utilizzino proprio il migliore di tutti: l'amore,
infatti, usato come condimento, renderebbe il boccone gradito anche al buongu-
staio più esigente: nulla può esservi di veramente saporito (sa/sum) e di soavemen-
te profumato (suave), se non c'è un pizzico d'amore. Persino il fiele, l'amaro
per antonomasia, può essere trasformato, dall'amore, in miele. L'amore può tra-
sformare, allo stesso modo, un uomo da melanconico e contristato in gaio e di-
sponibile».
E aggiunge che, per piacere alla ragazza, non fa che spargersi il capo di pro-
fumi (vv. 217-227). Egli interpreta dunque il sentimento che lo pervade come una
gioia incomparabile per l'olfatto e per il palato. Ma è talmente confuso, talmente
fuori di sé, da non capire che troppi unguenti mescolati senza criterio danno per
risultato un maleolezzo nauseabondo; così come più tardi chiama la detestata mo-
glie mea mu/sa ("mio dolcetto", "mio zuccherino", v. 372) e il fattore che sta
per favorirlo voluptas mea (v. 453); e come, più avanti, ancora quando la moglie,
la vicina, i servi di casa e i cuochi noleggiati per la festa nuziale fan di tutto
per impedirgli, dopo il pranzo, anche la cena (v. 759 sgg.) e ci riescono (cfr.
v. 788), dichiara: qui amat, tamen hercle, si essiJrit, nullum essiJrit («quando si
ama, per ercole, si ha un bel voler mangiare: non s'ha appetito», e subito appres-
so, alle proteste del compagno di malasorte Olimpione («ho una fame che cre-
po»), ribadisce: «Io invece amo». «Eh sì - fa l'altro - per te l'amore sta al
posto del cibo, io invece ho da un pezzo le budella che borbottano dal digiuno»
(vv. 801-803).
La follia del vecchio si mostra soprattutto nell'ignorare, o aver dimenticato,
che il sesso mal si combina con la pancia vuota, e che il digiuno a cui lo hanno
costretto, non solo prefigura la punizione umiliante e moralmente "mortale" che
sta per subire, ma è già concretamente operante, come immagina lo spettatore,
nel ~-g!i_em.~I!;\ ~~--c~lli_(è in relazione a questo che nel fmale
si parla di un «caprone imbrillantato e nauseabondo», v. 1018) ma anche, ahimè,
dalla sua bocca di caprone sdentato (hj_rcusedentul,a, v. 550), per le sgradevoli
conseguenze provocate dalla carenza nutritiva sul suo alito: come rileva con cru-
dezza Olimpione: fui fui! foetet tuus mihi sermo («il tuo parlare manda un gran
puzzo», v. 727), e potin a me abeas, I nisi me vis I vomere hodie? («guarda
che devi starmi lontano, sennò finisce che mi fai vomitare», v. 731-732•). E men-
tre la finta Casina infligge a fattore e padrone la più vergognosa delle punizioni,
le donne vittoriose se la ridono di gusto, dopo aver assaporato le gioie di una
lunga, splendida cena (v. 855 sgg.; su tutto questo cfr. G. CHiARINI,Nel regno
de~le_'!7etamorfosi, in G. C.-R. TEssARI, Teatro del corpo~-l~'i!k<!.. della parola,
2
Pisa 1987 , p. 131 ss.). ·· · - -
--u-n,.ultima- metaforà culinaria ci fornisce infine lo spunto per una breve tratta-
zione conclusiva. Allorquando Calino (Il 8) capisce che il fattore gli è rivale non
perché sia innamorato di Casina, ma perché è il vecchio padrone che così vuole
per potersela godere indisturbato nella quiete della campagna, progetta un piano
da contrapporre a quello del nemico: iam vieti vicimus. I /bo intro, ut id quod
alius condivit coquos, I ego nunc vicissim ut a/io pacto condiam («credevo d'aver
perso, e invece ho vinto: quel che l'altro cuoco ha condito in un modo, gli do

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------------------------ GIOACHINO CHIARINI

io ora tutt'un altro condimento», v. 510 ss.). Si tratta, evidentemente, della ben
nota metafora (già greca) che identifica il poeta (artista e inventore) con il cuoco.
Per Plauto, si cita anche il passo famoso del Mi/es in cui Periplectomeno, com-
m<:_ntandogli atteggiamenti via vi~..a~~y_n.ti__dal .ser_v9callido.Palesttioiieiiel~so
di unà ·1uiiga med1ìati<J" creaiìva, afferma: «Ma ecco che scuote il capQ: l'idea
che glleravenata11eagli piace. In ogni caso·;·qualunque trovata sfornerà, sarà
cotta a puntino» (Quidquid est, incoctum non expromet, bene coctum dabit, v.
207 s.). Analogamente, il servo-inìiàm<Jmo Tbssno, in Persa I 1, entra in casa
avvertendo l'amico Sagaristione: usque ero domi dum excoxero lenoni malam rem.
aliquam («io intanto me ne starò a casa, e vedrò di cucinare per benino qualche
brutto tiro al ruffiano», v. 52). Ma il caso più interessante dell'equivalenza tra
poesia e arte culinaria, tra le invenzioni del servo callido e quelle del cuoco, si
ha nello Pseudo/J!§...
Questa commedia, come ha notato Marino Barchiesi (Plauto e il "metatea-
tro" antico, in / moderni alla ricerca di Enea, Roma 1981, p. 147 ss.), ~r
eccelle~ Ja. commedi~_<-!~•- ~e':}!__"!_~,R..o_eta:
..nel celebre monologo di I 4 Pseudolo
ideDtirica esplicitamente la capacità del poeta a rendere veritiero, e come vero,
ciò che è pura menzogna, pura invenzione, con la propria capacità a far saltar
fuori il denaro necessario al padroncino per riscattare Fenicio, un denaro che
non è da nessuna parte e che lui, servo-poeta, riuscirà ben presto a "inventare".
Ebbene, nell'unico atto, il III, in cui questo geniale protagonista e portavoce
plautino non compare sulla scena, il suo posto è tenuto da un cuoco, le cui strabi-
lianti dichiarazioni possiamo parimenti considerare come spiritose e (dal punto
di vista di Plauto) autoironiche enunciazioni di poetica: «Le mie cene non assomi-
gliano per niente a quelle degli altri cuochi, che elaborano piatti a base di prati
conditi, scambiando i convitati per buoi e presentando loro erba condita con altra
erba. Ci mettono coriandolo, finocchio, aglio, prezzemolo; poi aggiungono lapa-
zio, cavoli, rape, bietole; ci sciolgono una libbra intera d'assa fetida, e ci tritano
quella tremenda senape che ti fa lacrimare gli occhi ancor prima d'aver finito.
Questi cuochi, quando condiscono le pietanze, non si servono di condimenti, ma
di vampiri, che divorano gli intestini dei convitati ancor da vivi. È per questo
che la gente campa così poco: si ingolla siffatte erbacce, che fan paura anche
solo a nominarle, non diciamo a mangiarle! Erbe che gli animali non mangiano,
le mangiano gli uomini». «Forse che fai uso di condimenti divini - gli replica
Ballione -, capaci di prolungare la vita umana, tu che hai tanto da ridire su
quelli degli altri?». «Puoi dirlo forte: chi mangia roba mia, arriva a campare
anche duecento anni. Appena ci metto il cocilendro, o il cepolendro, o la maccide
e la saucaptide, le padelle attaccano a bollire da sole. Questo per quanto riguarda
il gregge di Nettuno, cioè i pesci; per gli animali di terra uso invece cicimandro,
apalopside o catarattria». «Che Giove e gli dei tutti mandino in malora te e tutti
i tuoi condimenti e tutte le tue fandonie!». «Ma lasciami dire!». «Di', allora,
e va' a farti impiccare». «Quando tutte le padelle bollono, le scoperchio. Il loro
fumo sale al cielo a braccia levate e di quel prof umo Giove cena tutti i giorni.
«II profumo a braccia levate?». «Mi son confuso: a gambe levate, volevo dire».
«E se non cucini, Giove, con che cosa cena?». «Beh, se non cucino, se ne va
a letto senza cena» (vv. 810-846).

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IL CIBO DEL POTERE:
IL MITO DEI PELOPIDI
E IL ''TIESTE'' DI SENECA
di Giancarlo Mazzo/i

Tiranneggiato dal tempo - buon contrappasso per chi deve fare i conti con
la tragedia della tirannide - darò subito le coordinate del mio intervento: sull'as-
se paradigmatico mi terrò nella nostra tematica pomeridiana del banchetto, men-
tre poi sull'asse sintagmatico mi riporterò, o almeno mi accosterò, a quella ante-
meridiana delle diete.
Ma nella famigerata cena Thyestis,antroponimo saturo d'ironia tragica, l'ho-
mo necansprevarica nei confronti dell'homo edens, e assistiamo al drastico rove-
sciamento del banchetto. Ciò non solo emerge in modo preciso dalle più recenti
e fruttuose esplorazioni della / abuia senecana 1 ma già risulta con la drammatica
concretezza del gesto dal primo racconto che ci abbia descritto il mitico evento:
nell'Agamennonedi Eschilo, vv. 1590-1601. È Egisto, il figlio per incesto di Tie-
ste, che parla davanti al cadavere del figlio di Atreo, Agamennone: «Quale dono
ospitale l'empio padre di costui, Atreo, con zelo più che con affetto, a mio padre,
facendo mostra di celebrare lietamente un giorno sacrificale, off rl il pasto delle
carni dei suoi figli. Spezzava i piedi e le estremità delle mani, dall'alto ... [Tieste]
seduto alla mensa da solo: presi tosto per ignoranza i loro resti irriconoscibili,
mangia cibo funesto, come vedi, alla stirpe; poi scoperta l'opera infame, manda
un gemito e cade all'indietro rigettando lo scempio; invoca sui Pelopidi un destino
intollerabile, rovesciando con un calcio la tavola».
Già al v. 1220 Cassandra aveva vaticinato l'olxdcx(3opa:«Una pastura familia-
re - commenta Vidal-Naquet 2 -, il risultato d'un cannibalismo domestico. Il
crudo e il cotto, la caccia e il sacrificio si ricongiungono precisamente nel punto
in cui l'uomo non è più che un animale. L'owCat (3opaè insomma l'equivalente
dell'incesto». Conclusione questa su cui dovremo ancora riflettere.
Intanto è opportuna una visione sinottica del mito allelofagico greco, che
già con Esiodo è ricondotto alla stessa vicenda cosmogonica. In Crono che, messa
fine con un colpo di falce ali-indistinta sessualità del padre Urano con Gea, divora
sul nascere i propri figli, Vemant 3 coglie «il passaggio dal tema dell'emergenza
di un universo differenziato a quello della competizione per il potere regale». ''Astu-
zie dell'intelligenza", ben omologhe a quelle del figlio Zeus che ingoia la sposa
incinta Metis, l'intelligenza stessa, per evitare una volta per tutte lo spodestamento
da lui inflitto al genitore. Va comunque notato che le divinità capostipiti non
sbranano le vittime prima di inghiottirle; Crono anzi, drogato da Metis, rigetta

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HOMO EDENS ---------------------------

il piccolo Zeus ben visto. «Sono piuttosto - avverte Detienne 4 - due divinità
sovrane che inghiottono gli avversari per difendersi o per fondare il proprio pote-
re». Non si tratta certo dunque di vero e proprio cannibalismo, inteso come prati-
ca sacrificale. e alimentare; ma importa che, dalla sua prima presenza mitica, il
tema si associ strettamente a quello della sovranità.
Centrale si fa la funzione del codice alimentare quando da Zeus ci spostiamo
al figlio Dioniso. Siamo nuovamente debitori a Detienne 5 per la lettura del mito,
a due uscite: verso l'alto degli dei nella direzione dell'orfismo e verso il basso
delle bestie in quella del dionisismo. Da una parte Dioniso, ancora fanciullo, è
la vittima sacrificale dei Titani che - con inversione assai significativa e messa
in risalto 6 dell'accurato rituale - fanno prima bollire quindi arrostire le sue carni
per poi spartirsele nel banchetto cannibalico: tranne il cuore, da cui il dio risusci-
terà a un'aurea signoria sul mondo, mentre dalla cenere degli empi cannibali fol-
gorati nascerà il genere umano. Dall'altra parte è Dioniso stesso coi suoi adepti
il selvaggio antropofago praticante lo sparagmose l'omofagia delle proprie vittime.
Nell'uno e nell'altro senso è un mito di demarcazione - della condizione
umana tra stato divino e stato bestiale - e di contestazione: del "cotto", pratica
alimentare e sacrificale umana, cui in alto l'orfismo contrappone la purezza vege-
tariana delJ'età dell'oro e in basso il dionisismo il "crudo" dello stato di natura.
Ma tra le due aree ai poli delJ'umano, divinità e bestialità, età aurea e natura
selvaggia, sussistono margini di sovrapposizione, come acutamente nota a sua vol-
ta Vidal-Nacquet 7 • Crono, sovrano dell'età delJ'oro, divora i suoi figli, e soprat-
tutto: «Tra la beatitudine e l'antropofagia esiste una zona d'interferenza che sfrut-
terà ammirevolmente Omero quando creerà e sfrutterà il personaggio di Polifemo,
questo cannibale presso cui tutto si produce spontaneamente, che ha persino, se
oso dire, del vino spontaneo». Parliamo del Ciclope omerico, si badi bene, quello
omofago, non delJ'euripideo, che cucina a puntino, arrostendole e bollendole, le
parti delle sue vittime umane, con una cadenza sacrificale o meglio "anti-sacrificale"
non sfuggita a Detienne 8 •
La demarcazione tra umano e divino si fa ancora più segnata quando final-
mente ci introduciamo nella stirpe dei Pelopidi. Ad aver tempo si potrebbe visua-
lizzare in una rappresentazione stemmatica la recensione dei tratti denotativi o
connotativi del tema antropofagico che, quasi per legato cromosomico, si trasmet-
tono, in realizzazioni più o meno forti o deboli, attraverso le cinque (o più) gene-
razioni del fatale ytvoç. In estrema sintesi potrei indicare fra questi tratti almeno
l'assassinio (progressivo, poi anche regressivo nei confronti della stirpe), il sacrifi-
cio umano, l'endocannibalismo, la frode, la turbatio sanguinis mediante l'adulte-
rio o, più drasticamente, l'incesto.
È in proposito attraente quanto ha già richiamato all'attenzione Picone 9 rifa-
cendosi alle note teorizzazioni di Gian Biagio Conte: la grammatica strutturale
del "genere" inteso come sistema antropologico è funzionalmente omologa a quella
del "genere" assunto come sistema letterario. Va peraltro osservato che, rispetto
alla spiccata chiusura verticale delJo stemma, la nostra recensiosi apre sui fianchi
a "contaminazioni" orizzontali con miti speculari: una specularità che già la tra-
dizione antica avverte bene.
La stirpe prende avvio da Tantalo che, in quanto figlio di Zeus, ben si lega
allo sfondo teogonico esaminato in precedenza. È qui il caso di seguire Giulia
Piccaluga e Paolo Scarpi, che hanno scandito l'importanza del codice alimentare

336 -----------------------------
----------------------- GIANCARLO MAZZOLI

nella semantica del mito 10• Tantalo è il commensale degli dei, reso <if8ti:oçdalla
compartecipazione al nettare e all'ambrosia della mensa olimpica; ma che tradisce
la fiducia svelando i segreti cui è stato ammesso, e soprattutto "prometeicamen-
te .. cerca con l'inganno di far gustare agli uomini il cibo dell'immortalità 11• Per
converso, con simmetrica frode, cerca di compromettere gli dei col cibo della mor-
talità, imbandendo loro le carni del figlioletto Pelope, in precedenza ritualmente
ucciso, fatto a pezzi e bollito. Lo sdegno degli dei, accortisi più o meno in tempo
dell'inganno, ricompone e risuscita Pelope (omologamente a Dioniso) e converte
l'incorruttibilità dell'empio genitore nell'eterna topica frustrazione alimentare.
La frontiera tra umano e divino, messa in forse e violata nei due sensi della
frode tantalica, rimane demarcata per sempre. Sintetizza bene Scarpi, soppesando
la valenza "prometeica .. del mitologema: «Nell'un caso come nell'altro ... la solu-
zione di continuità nel rapporto tra dei e uomini si codifica come differenza di
alimentazione. Però, se con il furto del fuoco la carne da cruda diviene cotta
e la mortalità umana può apparire come il prezzo da pagare per il conseguimento
della cultura, nel caso di Tantalos l'alternativa è tra cannibalismo e immortalità» 12•
La medesima isotopia è presente nel mito parallelo (a sua volta confrontabile
con quello di Busiride) del re Licaone, empio assassino dei suoi ospiti, che attenta
alla divinità di Zeus imbandendogli un fanciullo identificato da parte della tradi-
zione in Arcade, figlio dello stesso Zeus e di Callisto, figlia di Licaone sedotta
dal dio. Zeus indignato (già qui troviamo il motivo della mensa rovesciata) risusci-
ta la vittima (futuro eroe eponimo come Pelope) e trasforma il feroce re in lupo 13•
In modo più esplicito rispetto alla storia di Tantalo si stringe qui il nodo
tra allelofagia e tirannide, nel segno della metamorfosi animalesca, come poi san-
cirà la famosa pagina della Repubblica platonica (565 d - 566 a) su cui rimando
almeno alle letture di Lanza e di Detienne-Svenbro 14 •
Torniamo pure a Tantalo e ai suoi discendenti. «La problematica che coman-
da - osserva Darmon 15 - il mito della famiglia degli Atridi è quella della devo-
luzione del potere (o dell'eredità) e del modo d'accesso alla sovranità, coi rischi
che questa implica data la prossimità che tale privilegio stabilisce tra un mortale
e gli dei». Resta solo da ribadire che per collegarsi al suo referente dinastico (già
chiaro nel secondo libro dell'Iliade, vv. 100-108) la semiotica del mito elegge al
centro un codice alimentare trasgressivo. Nella fase tantalica il cannibalismo mar-
ca la sfida lanciata dall'uomo contro l'onnipotenza (e onniscienza) divina; ma
questa sfida si ritorce in modo negativo sulla stirpe, distruggendola o quanto me-
no inquinandola irreversibilmente.
Nella struttura globale del "genere". il potere famelico corrode se stesso,
pratica per cosi dire l'autofagia: emblematica in tal senso la figura ovidiana di
Erisittone, recentemente studiata da Rita Degli Innocenti Pierini, «massima degra-
dazione dell'efferata tipologia tirannica» 16•
Nel paradigma del crimine dinastico il risorto figlio di Tantalo, Pelope dalla
spalla d'avorio, non costituisce un tempo forte: ma almeno un tratto essenziale,
la frode - cui ricorre per coniugarsi col potere Elide - appare ben trasmettere
i caratteri ereditari dal padre ai figli, i Pelopidi appunto 17 •
Nella divisione delle parti la responsabilità (e irresponsabilità) dei due sciagu-
rati gemelli Atreo e Tieste (ma Tieste è il cadetto) si bilanciano. Intorno al nucleo
centrale, ancora la lotta per il potere, la vicenda annovera una lunga serie di
trasgressioni incrociate - adulterio, violazione dell'ospitalità, paidofonia, incesto

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HOMO EDENS--------------------------

- che trovano nel banchetto cannibalico il picco di incompatibilità con lo statuto


antropologico e sociologico greco.
Come in un gioco di specchi, capace di farci vedere più a fondo le cose nel-
l'inversione delle immagini, sull'asse paradigmatico si propongono a confronto
diretto o mediato altri mitologemi indipendenti, per i quali è ancora opportuno
rinviare a Piccaluga, Burkert, Detienne, Scarpi. Alludo in particolare ai complessi
tradizionali relativi a Tereo, Politecno, Atamante, Climeno 18• Rispetto al mito
dei Pelopidi ci sono precise linee d'isotopia: frode, paidofonia, paidofagia. La
vicenda di Tereo in particolare presenta analogie anche minute (segnalo nuova-
mente il rovesciamento della tavola) 19•
Ma c'è altro. Se nel dramma di Atreo e Tieste le donne rimangono dietro
le quinte, in questi racconti hanno una parte attiva e decisiva. Le storie di seduzio-
ne, di adulterio, di incesto hanno qui un diretto rapporto di causalità con la ven-
detta cannibalica, non dico rimuovendo (si pensi al Tereus acciano 20) ma lascian-
do più sullo sfondo il fattore tirannico. La presenza forte dell'elemento femminile
rende più vistosi in tutti questi mitologemi gli effetti eversivi sul yiYOç- inteso
come sistema di parentele inter-intra-sessuali - e induce a non sottovalutarne
la latenza nella storia dei Pelopidi.
Nell'attentato alla stirpe culminante nel banchetto paidofagico non si fenome-
nizza tout court, mitopoieticamente, l'autodistruttività del potere: a meno che -
come credo lecito - non se ne dilati il quadro patologico unendo in un solo
plesso abuso di potere, abuso sessuale e abuso alimentare.
«Col pasto cannibalico», cito Scarpi 21 , «si consuma definitivamente lo sgre-
tolamento dei legami di parentela e dalla caduta dei protagonisti nella barbarie
si precipita successivamente in una dimensione disumana». Come appare, questo
cannibalismo nei suoi effetti di confusione e di negazione all'interno del yivoç
si salda e volentieri si sovrappone all'incesto: sui cui effetti rimando a lucide pagi-
ne di Maurizio Bettini 22 • La valenza socio-politica del plesso emerge bene a sua
volta dalle considerazioni di Detienne in margine al ricordato luogo platonico 23 :
«Fuori dalla città e dal sistema gerarchizzato che le è solidale, l'uomo, il dio
e l'animale non sono più che degli oggetti interscambiabili del desiderio che pos-
siede il tiranno e lo spinge a commettere l'incesto e il parricidio prima di trascinar-
lo all'endocannibalismo. Divorando la carne da lui stesso generata, il tiranno mo-
stra chiaramente di essere un fuori-gioco, di essere escluso dalla società».
Sta di fatto che la cena tiestea imprime un colpo di volano alla vocazione
autodistruttiva della stirpe di Tantalo. Una volta infranto l'equilibrio del sistema,
troppo noti sono i contraccolpi incrociati che si ripercuotono a catena nelle gene-
razioni successive. Egisto, generato per incesto da Tieste a risarcire la discendenza
maschile distrutta dalla cena, uccide Agamennone figlio legittimo di Atreo, ma
di dubius sanguis (come dirà Seneca, Thyest. 240), dato l'adulterio di Tieste con
la moglie di Atreo. Collabora all'assassinio Clitemnestra moglie di Agamennone,
adultera con Egisto, per vendicare Ifigenia, la figlia uccisa dal marito in Aulide
- casta inceste dirà Lucrezio (1, 98) - con rituale pre-cannibalico. Infine Oreste
nipote di Atreo, connivente la sorella Elettra, stermina, per vendicare il padre,
la madre e il suo complice, figlio di Tieste. Lo perseguiterà Erigone, figlia di
Egisto e Clitemnestra. La celebre catena potrà spezzarsi solo quando le Erinni
diverranno Eumenidi.
Tale è il complesso mitologema che si trova davanti Seneca, attraverso media-

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----------------------- GIANCARLO MAZZOLI

zioni intertestuali greco-latine di cui a noi restano solo briciole 24 • Le due tragedie
Tieste e Agamennone testimoniano quanto il drammaturgo latino avverta la forza
paradigmatica del mito. Si può ben parlare con Florence Dupont 25 di tragedie
della «Memoria regale, modello di conservazione e trasmissione dei valori dell'e-
roismo nero del potere».
All'ombra di Tantalo, np6<,wcov,tp(mt'tl.X6vdel Tieste, corrisponde l'ombra
di Tieste che esercita la medesima funzione nell'Agamennone: funzione che è quel-
la di proiettare lungo l'intero asse del genus il "peccato originale", garantendo
l'infernale pregnanza analogica dei delitti via via perpetrati contro la stirpe. Sul
crimine di Atreo aleggia nel Tieste quello di Tantalo, come nell'Agamennone il
crimine di Tieste su quello di Egisto. Nel Tieste non sfugge - sia alla Furia istiga-
trice di Tantalo (v. 56 s.) sia ad Atreo (vv. 272-276) - la corrispondenza con
la vicenda di Tereo, il Thracium nefas nell'Odrysia domus. Simbolo ambiguo del
potere (v. 223: specimen antiquum imperi,) o, se vogliamo, ipostasi della fatale
inèrenza hybris'-espiazione, la figura dell'arcanus aries d'oro crea a sua volta (v.
225 ss.) un ponte oscuro con la storia di Atamante, che si prolunga nel nefas
argonautico, anch'esso approdante, come si sa, a esiti di seduzione, paidofonia,
cannibalismo 26 •
Versi in cui domina la valenza "spettacolare" della parola drammatica sene-
cana recentemente messa in luce da Lanza 27 mostrano che il poeta romano sa
cogliere e valorizzare fino agli estremi effetti la complessità del quadro patologico:
se la Furia Tanta/i rende espressionisticamente nel prologo del Tieste (vv. 23-67)
la vertigine del genus travolto nel tragico plesso potere-libido, l'ombra di Tieste
nel prologo dell' Agamennone (vv. 22-36) illustra per punte paradossali i primati
di mostruosità conseguiti nel suo laboratorio del crimine: i figli sepolti nel proprio
ventre (vv. 26 s.), la sovrapposizione tra incesto e cannibalismo ut per omnis libe-
ros irem parens (v. 32), il rovesciamento del corso del sole inorridito.
In un solo punto le due ombre di Tantalo e Tieste, cosi omologhe nella loro
funzione drammatica, si oppongono polarmente: nella patologia alimentare. Tan-
talo rappresenta, conseguentemente al mitico supplizio, il "troppo vuoto", Tieste
il "troppo pieno". Ed è per questa via che, percorrendo l'asse sintagmatico -
la contestualità del Tieste con la produzione senecana - mi avvio a concludere.
Il sintetico liberis'plenus tribus, che sintetizza nel prologo dell' Agamennone
il risultato della cena, trova nel Tieste una conferma larga e fortemente insistita.
A più riprese, con calcolo deliberato di effetti patetici, Seneca si sofferma a descri-
vere lo sciagurato genitore che, ancora ignaro del nef as allelofagico e lieto del
potere inopinatamente rioff ertogli, gozzoviglia con le carni e il sangue (misto al
vino) dei suoi figli, fino a varcare ogni limite di 1tpi1tovalimentare (vv. 778-794;
898-900; 909-919; 973-1004).
Bene lo definisce Paolo Mantovanelli nel suo recente saggio «un ottuso Poli-
femo di palazzo» 28 • Quello è il momento tanto atteso dall'"artista" Atreo per
l'orrenda rivelazione 29• La y01o-tpr.fL«py€ot
è già di per sé una trasgressione allo sta-
tuto culturale dell'eroe. Bettini ne ha notato, a tutt'altro proposito, la connotazio-
ne anti-epica 30 • Utilmente a sua volta Scarpi 31 si è soffermato - proprio in
riferimento al mito parallelo di Politecno - sul nesso antropologico sussistente
tra eccesso alimentare ed eccesso sessuale. E anche nel nostro colloquio l'inerenza
ventre-sesso è stata richiamata nelle relazioni Avezzù, Longo, Chiarini. Il teorema
tragico è già impostato da Atreo ai vv. 220-224 del Tieste. L'orgia cannibalica

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HOMO EDENS ---------------------------

chiude un triangolo perverso che agli altri due vertici ha già l'abuso di potere
(Tieste ha spodestato un tempo con l'inganno Atreo) e di "appetito" sessuale
(Tieste ha commesso un tempo adulterio con la moglie del fratello).
Se collochiamo la figura di Tieste nel gioco di opposizione che determina
il funzionamento del mitologema tout se tient. Ma il trattamento senecano del
personaggio ci lascia in prima analisi interdetti. Preceduto da un famoso canto
corale (il secondo della tragedia: vv. 336-403) di spiccata intonazione oraziana,
Tieste pronuncia ai vv. 446-470 proprio di fronte ai figli, vittime predestinate della
cena (come il pubblico sa già dal prologo), una pijcnçche si contrappone frontal-
mente non solo ai connotati "tirannici" dell'antagonista Atreo ma anche alle va-
lenze "eccessive" del Tieste tradizionale. Si esalta li il "privato", la fuga dal
potere, dal lusso. Direttamente connesso è l'elogio del cibo frugale (cito nella
traduzione Paratore 32): «Che felicità è non dare fastidio a nessuno e cibarsi di
vivande non sospette; il cibo che si pone sopra un'umile mensa è sicuro; il veleno
lo si beve nelle coppe dorate ... Non ho flotte che peschino per me ... non pasco
il ventre ingordo coi tributi dei popoli [si noti lo stretto rapporto cibo-potere] ...
non trascorro la notte in veglie dedicate al vino».
Punge l'"ironia tragica" di queste nobili proposizioni rispetto alla successiva
cena: l'ha ben colta Gianna Petrone, che fornisce pure, del provvisorio recupero
in positivo di Tieste, la plausibile giustificazione interna: «Dotato di qualità positi-
ve, contrariamente alla tradizione che lo voleva pari in malvagità al fratello, per-
ché si instaurasse un rapporto di differenziazione con Atreo, il tiranno, e la posi-
zione della rinunzia al regno e della polemica divenisse materia drammatica» 33 •
Spiegazione necessaria ma non sufficiente. E la studiosa ne è ben consapevole:
«La tragedia non poteva accogliere senza subire una radicale trasformazione i
destini dell'uomo imperiale, un uomo per sé, spogliato dell'azione e costretto a
ritrarre la propria virtus nell'interiorità della coscienza» -M.
Una giustificazione interna non può bastare. Non dico nulla di nuovo quando
affermo che molto di Seneca si lascia vedere nella filigrana del suo Tieste: è una
linea su cui mi limito a ricordare gli apporti di La Penna e ora di Mantovanelli 35 •
Seneca focalizza al centro della rappresentazione - di secondo grado, nella pro-
spettiva esegetica di Picone - il dramma della vittima (e ciò spiega lo stesso titolo
della tragedia, a fronte del protagonismo "poietico" di Atreo) perché anch'egli
si sente al centro del dramma, con le sue responsabilità e irresponsabilità, coerenze
e incoerenze. È illuminante il confronto con De ira III 15 che racconta e commen-
ta il famoso episodio erodoteo (1, 107-130: in partic. 118 s.) di Arpago 36 , di
impressionante omologia con la cena tiestea 37 : ben prima del principato neronia-
no era iniziata la riflessione del filosofo sul "cibo" amaro del potere.
Ciò che notiamo in più nel Tieste è una tendenza a rivitalizzare la metafora
alimentare, a inserire, mediante la pijcnç, la semiotica del dramma in un quadro
dietologico che non è più in rapporto col paradigma mitico ma è in relazione
sintagmatica col contesto socioculturale cui Seneca appartiene 38 • Molto istruttivo
è in proposito il saggio di Danielle Gourévitch sul senecano "menu dell'uomo
libero" 39 • Ne viene fuori la funzione capitale assegnata da Seneca alla digestione
e alimentazione nella storia dell'umanità, la stretta cogente interazione ch'egli in-
dividua tra sobrietà nel cibo e salute morale oltre che fisica, l'importanza essenzia-
le che ha per lui la natura del cibo. Il rapporto fra crudelitas, connotato numero
uno del tiranno, e cruditas, l'indigestione, è ben più di una paronamasia (si veda

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--------------------------- GIANCARLO MAZZOLl

a esempio Ep. ad Luc. 83, 17-26). Nel corso del colloquio è già stato evocato
il vecchio adagio - teorizzato nell'antropologismo di Feuerbach :_ che l'uomo
est quod est. Anche dall'homo edens - può significare in ultima analisi Tieste;
e mi pare giusto osservarlo in questa sede - nella rivolta senecana contro l'homo
necans.

NOTE

1) Vi insiste in particolare G. PlcoNE, La fabula Vl!llNANT, La cucina del sacrificio in terra gre-
e il regno. Studi sul Thyestes di Seneca, Pa- ca, trad. it., Torino 1982, p. 157.
lermo 1984. IS) J.-P. DARMON,s.v. Parenté (Structures de la).
2) P. VmAL-NACQUET,Caccia e sacrificio nel- Dynasties héroi'ques dans la mythologie grec-
l'Orestea di Eschilo, in J .P. VllllNANT- P. que: Atrides et Ladbacides in Dictionnaire des
VIDAL-NAQUET,Mito e tragedia nell'antica mythologies, sous la direction de Y. BoNNB·
Grecia. La tragedia come fenomeno sociale, POY, Il, Paris 1912, p. 241.
estetico e psicologico, trad. it., Torino 1976, 16) R. DBou INNOCENTIPmIUNI, La "metamor-
p. 134s. fosi" di Erisittone: una tragicommedia ovi-
3) M. DETIENNB - J.-P. Vl!llNANT, Le astuzie diana, in AA.VV., Munus amicitiae, Scritti
dell'intelligenza nell'antica Grecia, trad. it., in memoria di Alessandro Ronconi, Firenze
Roma-Bari 1977, p. 47. 1986, pp. 57-92 (la citazione da p. 89).
4) M. l>ETIENNB, Dioniso e la pantera profuma- 17) Cfr. PICCALUOA,op. cit., p. 159; 8Ulll!RT,
ta, trad. it., Roma-Bari 1981, p. 100. op. cit., pp. 80-87.
S) DBTIENNB, ibid., pp. 109-112. 18) Cfr. PICCALUOA, op. cit., pp. 49-Sl (Tereo);
6) DETil!NNE,ibid., pp. 123-164. 210-213 (Tereo, Climeno); 8Ulll!RT, op. cit.,
7) VmAL-NAQUBT, Bites, hommes et dieux chez p. 135 s. (Atamante); 137-141 (Tereo); DB-
/es Grecs, in AA. VV ., Hommes et bites. En- TIBNNE,Dioniso, cit., p. 100 s. (Tereo, Poli-
tretiens sur le racisme, sous la direction de tecno); DETIENNB-SVBNBRo, I lupi, cit., p. 156
L. Polialcov, Paris-La Haye 1975, p. 131. s. (Atamante); ScARPI,op. cit., pp. 31-85 (Te-
8) M. l>rn:BNNE,I Giardini di Adone. I miti della reo, Politecno).
seduzione erotica, trad. it., Torino 1975, p. 19) PICCALUOA,op. cit., p. 49.
144 s.; cfr. anche W. 8UJlKBRT, Homo ne- 20) Cfr. I. LANA, L "'Atreo" di Accio e la leg-
cans. Antropologia del sacrificio cruento nel- genda di A treo e Trieste nel teatro tragico ro-
la Grecia antica, trad. it., Torino 1981, pp. mano, Atti Ace. Se. Torino, Cl. Se. Mor.
106-108. Ma per un approfondito esame del- Stor. Filo!. 93, 1958-59, p. 356 s. n. 3.
la cultura "ciclopica" cfr. ora O. LoNoo, Fra 21) ScARPI, op. cit., p. SO.
uomini e leoni: la dieta del Ciclope, in la 22) M. BETTINI, L'arcobaleno, l'incesto e l'enig-
storia la terra gli uomini. Saggi sulla civiltà ma: a proposito dell'Oedipus di Seneca, in
greca, Venezia 1987, pp. 63-77. Atti del IX Congr. lntem. di Studi sul Tea-
9) PICONB,op. cit., Sl-61. tro Antico sul tema: li teatro antico: testo
10) G. PICCALUOA, Lykaon. Un tema mitico, Ro- e comunicazione (Siracusa, 23-26 marzo 1983),
ma 1968, pp. 156-190; P. ScARPI, li picchio Dioniso 54, 1983, pp. 137-153, in panie. pp.
e il codice delle api. Itinerari mitici e oriuon- 141-143; Lettura divinatoria di un incesto (Se-
te storico-culturale della famiglia nell'antica neca Oed. 366 ss.), MD 12, 1984, pp. 145-159,
Grecia. Tra i Misteri di Eleusi e la città di in panie. pp. 147-149.
Atene, Padova 1984, pp. 99-113. 23) DBTIBNNE,Dioniso, cit., p. 106.
li) Per una sintesi sulla tipologia del trickster cfr. 24) Si rimanda almeno ad A. LESKY,Die griechi-
S. FASCE,Eros. La figura e il culto, Genova schen Pelopidendramen und Senecas Thyestes,
1977, p. 198s. WS 43, 1922-23, pp. 172-198; LANA,art. cit.;
12) ScARPI, op. cii., p. 106. A. LA PBNNA,Atreo e Tieste sulle scene ro-
13) Cfr. P1ccALUOA,op. cii., pp. 29-lSS; BuR- mane (li tiranno e l'atteggiamento verso il ti-
KERT, op. cit., pp. 74-80 (per l'eponimia di ranno), in Fra teatro, poesia e politica roma-
Arcade e di Pelope, p. 85). na, Torino 1979, pp. 127-141; A. MARTINA,
14) D. LANZA,li tiranno e il suo pubblico, Tori- li mito della casa di Atreo nella tragedia di
no 1977, pp. 65-71; M. DBTIENNE-J.SvEN- Seneca, in Atti dell'VIII Congr. lntem. di Stu-
BRO, / lupi a banchetto, in M. DBTIENNE-J.P. di sul Dramma Antico, Seneca e il teatro (Si-

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HOMO EDENS-----------------------------

racusa,9-12 settembre1981), Dioniso 52, 1981, vers, di E. PAJ.ATOU,Roma 1956, pp. 271.
pp. 125-209. 33) O. PBnONE, La scrittura tragica del/'in-azio-
25) F. l>uPoNT, L 'acteur-roi ou le théatre dans nale, Palermo 1984, p. 88 s. Sul secondo co-
la Rome antique, Paris 1985, p. 451. Sulle ro e sulla successiva ~ tiestea cfr. PlcoNE,
due tragedie senecane e il problema, anche op. cit., pp. 66-80. Sulle polarità ideologiche
cronologico, dei loro rapporti, utili saggi in e drammatiche del Tieste cfr. da ultimo A.R.
Seneca tragicum. Ramus Essays on Senecan Rom, Power and Powerlessness in Seneca's
Drama, ed. by A.J. BoYLE,Victoria 1983: J.- Thyestes, CJ 82, 1986-87, pp. 117-128.
A. SHELTON, Revenge or Resignation: Sene- 34) O. PBnONB, // disagio della forma: la trage-
ca's Agamemnon, pp. 159-183; W.M. CAL- dia negata di Seneca, in Atti dell'VIII Congr.
DEll Ili, Secreti loquimur: an lnterpretation Intero. di Studi sul Dramma Antico, cit., Dio-
of Seneca's Thyestes, pp. 184-198; e soprat- niso 52, 1981, p. 359.
tutto BoYLE,Hic epulis locus: the Tragic 35) LA PBNNA,art. cit., p. 138 s.; MANTovANBL-
Worlds of Seneca's Agamemnon and Thye- u, op. cii., pp. 111-143. Cfr. O.A. StALEY,
stes, pp. 199-228. Senecan's Thyestes: quantum mali habeat ira,
26) Cfr. J.O. FllAZEll,// Ramo d'Oro. Della ma- Graz. Deitr. 1•, 1981, p. 234 nota 4.
gia e della religione, trad. it., I, Torino 19732, 36) Cfr. BUllllllT, op. cit., pp. 87-92; MANTO-
pp. 449-454;PICCALUOA, op. cit., pp. 194-199; VA.NEW, op. cit., pp. 81-88.
O.O. BIONDI, li nejas argonautico. Mythos 37) Il divario cronologico e la diversa situazione
e logos nella Medea di Seneca, Bologna 1984, biografica sconsigliano tuttavia di cercare(to-
pp. 43-53. me STALBY,art. cit.) nell'exemph,m del De
27) D. LANZA,Lo spettacolo della parola (rifles- ira la chiave di lettura decisiva per la l.uoic
sioni sulla testualità drammatica di Seneca), del Tieste.
in Atti dell'VIII Congr. Intero. di Studi sul 38) I migliori confronti si possono operare,nella
Dramma Antico, cit., Dioniso 52, 1981, pp. prosa senecana,con De tranq. an. 1,4-12 (cfr.
463-476. in partic., anche per la connotazione teatrale,
28) P. MANrov ANEW, La meta/ora del Tieste. li 8: epulas... Sttna sua dignas.•. ).
nodo sadomasochistico nella tragediaseneca- 39) D. OouuVJTCB, Le menu de l'homme livre.
na del potere tirannico, Verona 1984, p. 94. Recherches sur l'alimentation et lii digation
29) Cfr. P1coNE, op. cit., pp. 122-124. dans /es oeuvres en prose de Sénèque le phi-
30) Cfr. M. BETTINI,Studi e note su Ennio, Pisa losophe, in AA.VV., Mélanges de philosopl,k,
1979, p. 63 s. de littérature et d'histoire ancienne offerts à
31) ScARPI, op. cit., pp. 87-96. Pierre Boyand, pubblicato a Roma, 1974, pp.
32) Lucio ANNEo SENECA,Tragedie, introd. e 311-344.

342 -----------------------------
TOPI E PARASSITI, LA TRADIZIONE
DI MANGIARE IL CIBO ALTRUI*
di Gianni Guaste/la

In una delle prime scene del Persa di Plauto il parassita Saturione si fa avanti
per recitare un solenne monologo, una sorta di prof ession e di fedeltà alla tradizio-
ne della propria stirpe (vv. 53-64):

Veterem atque antiquom quaestum maiorum meum


seruo atque optineo et magna cum cura colo.
Nam numquam quisquam meorum maiorum fuit,
quin parasitando pauerint uentris suos.
Pater, auos, proauos, abauos, atauos, tritauos,
quasi mures semper edere alienum cibum,
neque edacitate eos quisquam poterat uincere,
atque is cognomentum erat Duricapitonibus.
Unde ego bune quaestum optineo et maiorum locum.
Neque quadrupulari me uolo; neque enim decet
sine meo periclo ire aliena ereptum boa.
Neque illi qui faciunt mihi placent.

Si tratta dunque di una stirpe particolare, presentata con le caratteristiche del


genus nobiliare 1, ma di cui si evidenziano i tratti non proprio nobili del "tipo
teatrale" del parassita. In questa autopresentazione, anzi, il severo formulario
usato da Saturione sembra voler fare un po' il verso a quello degli elogia nobilia-
ri 2 • L'insolita lignée nella quale egli si riconosce possiede una specie di cognomen
(Duricapitones),un quaestus specifico (pascere il proprio ventre parasitando), una
serie completa di antenati (fino al tritauus, il termine più alto individuato dalla
terminologia di parentela). Possiede anche una fierezza: quella di un'invincibile
edacitas.A questa nobile schiatta Saturione contrappone l'infame attività dei qua-
drupulatores, dei quali vorrebbe persino limitare le possibilità di nuocere 3 • Cosa
distingue queste due categorie contrapposte, fra cui tuttavia si intuisce una certa
somiglianza? Una caratteristica semplice ma essenziale: i quadrupulatoresdanno
la caccia, con mezzi legali, ai bona altrui, mentre invece i parassiti (v. 58): «Quasi
mures semper edere alienum cibum».

• li testo presentato qui ~ la versione ridotta di un saggio che comparirà prossimamente in un volume
dedicato a questioni relative al teatro antico.

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HOMO EDENS---------------------------

Il vero parassita, secondo la tradizione lodata da Saturione, è uno che mangia


il cibo altrui. Monologhi di parassiti che si soffermano sulla propria attività e
sui propri "progenitori" si ritrovano anche altrove in Plauto 4 • Il passo che ci
interessa maggiormente, per le somiglianze che presenta con quello del Persa da
cui siamo partiti, è il monologo di Ergasilo nei Captiui (vv. 69 ss.). Il parassita
esordisce spiegando con un complicato gioco di parole l'origine del suo sopranno-
me (Scortum); egli è un inuocatus, come tutti i parassiti che nessuno mai uocat
negue inuocat (v. 76). Da qui la loro abitudine tradizionale: quasi mures semper
edimus alienum cibum (v. 77). A questa similitudine - che già conoscevamo -
ne seguono delle nuove. I parassiti, come le cocleae d'estate, se ne stanno nascosti,
vivendo suo suco (vv. 80-84). In assenza dei loro "nutritori" diventano anche
magri come cani uenamici (vv. 85 s.), per poi ridiventare Molossici I odiossicique
et multum incommodestici al loro ritorno (vv. 86 s.).
Già da questi passi plautini ricaviamo un'immagine ben delineata del parassi-
ta: un personaggio marginale, che giunge inuocatus a consumare un alienus ci-
bus 5 , sotto la spinta di una straordinaria edacitas 6 • Sono proprio questi i tratti
tipici della figura del parassita (o del k6lax, un personaggio, com'è noto, in gran
parte sovrapponibile a quello del parassita, anche se non completamente coinci-
dente 7) nella commedia e nella letteratura greca: affamato e non invitato fin dalle
sue prime "manifestazioni", e sempre intento a mangiare il cibo degli altri (tà/16-
tria deipnein o esthfein 8). Possiamo anzi dire che in questo personaggio la funzio-
ne alimentare è praticamente esclusiva 9 •
Il parassita è un individuo la cui vita si svolge nella costante ricerca di occa-
sioni per accedere alla mensa degli altri; un vero e proprio "mestiere" - praticato
grazie a un vasto repertorio di espedienti - che esaurisce totalmente la sua esi-
stenza. Il parassita non gode di una sua autonomia, poiché la sua sussistenza
dipende totalmente da chi è disposto a nutrirlo 10 • La sua stessa funzione sociale
lo relega quindi in una posizione di marginalità e di subordinazione: infatti egli
non è in grado di entrare in un circuito di reciprocità con chi lo nutre, ma "pren-
de" sempre senza mai dare nulla in cambio 11• La sua attività di eterno "cacciato-
re di pranzi" ne fa inevitabilmente un personaggio tollerato, legato esclusivamente
alla sfera del cibo e della mensa.
Nella sua formulazione paradossale, Luciano (par. 14 s.) 12 fa dire al parassi-
ta Simone: «Delle altre téchnai non solo alcune, ma tutte sono nate in vista del
solo nutrimento. Il parassita, invece, ha sùbito il suo nutrimento insieme col mani-
festarsi della téchni!. Egli non va in cerca di nient'altro; ma nello stesso oggetto
consistono la sua attività e lo scopo in vista del quale essa ha avuto origine>>13 •
Nell'operetta di Luciano trova la sua codificazione radicale ed esasperata un moti-
vo ben noto alla commedia antica, cui si possono ricollegare anche i passi di
Plauto da cui siamo partiti: la rappresentazione del mestiere di parassita come
téchni! speciale e particolarmente nobile (oltre che particolarmente piacevole) 14 •
Già autori come Anassandride (fr. 10 Kock = Athen. 14,614 c), Diodoro comico
(fr. 2 Kock = Athen. 6,239 b ss.), Nicolao (fr. 1 Kock = Stob. Fiorii III, 14,7)
rintracciavano nel mito i padri di quest'arte 15 , di cui ora metodicamente il paras-
sita Simone (protagonista dell'opera di Luciano) individua i rappresentanti in cate-
gorie "insospettabili", come quella degli eroi omerici o quella dei filosofi 16 • Con
un'intento non molto diverso da quello del suo mestiere, Simone proclama la
nobiltà della sua téchni!, lodandola come un'attività straordinaria, perfettamente

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------------------------ GIANNIGUASTELLA

chiusa in se stessa e migliore delle altre in tutto 17• Attorno alle risorse che la
pratica di una simile attività richiede si organizza gran parte delle similitudini
''animali'' cui personaggi dalle caratteristiche cosi particolari come sono parassiti
e ko/akes vanno facilmente soggetti. Li si paragona al polipo per le loro astuzie
e le loro capacità mimetiche, come pure al camaleonte; alla mosca, che si presenta
a tavola non invitata; ai cani, sia per il loro atteggiamento che per il disprezzo
con cui talvolta vengono loro offerti degli avanzi; o ancora ai gabbiani, animali
reputati tradizionalmente avidi 18• Non mancano naturalmente neppure i paragoni
con i piccoli animali importuni che ancora oggi siamo soliti chiamare "parassiti"
(o con animali a essi affini: zecche, pidocchi e tarli, ad esempio) 19 •
Anche la similitudine coi topi, su cui insiste Plauto, dovrebbe dunque trovare
spazio all'interno di questo "paradigma" generale sul quale si muove la figura
del nostro personaggio 20 • A differenza delle altre, anzi, essa sembra difficilmente
limitabile a una sola caratteristica dell'insolito technftls; dà piuttosto l'impressio-
ne di voler quasi esaurire la rappresentazione dei costumi alimentari del parassita
(un versante, come abbiamo visto, entro i cui confini è il senso stesso della sua
esistenza). Stupisce però che manchino tracce consistenti di un simile parallelismo
nella letteratura greca (almeno a prima vista). Può trattarsi certo solo di un caso,
visto che della commedia greca possediamo, tutto sommato, così poco. Potrebbe
anche trattarsi di una "preferenza" di Plauto per quest'immagine. Ma sarebbe
davvero strana l'eventualità che a una puntuale coincidenza di tutti i tratti caratte-
ristici della figura del parassita plautino rispetto al "modello" greco che abbiamo
facilmente ricostruito, dovesse poi far riscontro proprio l'assenza in Grecia di
questa tessera, apparentemente così centrale nel mosaico. Se non altro per curiosi-
tà, allora, sarà il caso di ricercare anche nei testi greci elementi che ci aiutino
a verificare il senso della nostra similitudine.

Un punto da cui partire, in realtà, lo abbiamo già in una nota di Lindsay al


v. 77 dei Captiui. Si tratta di un aneddoto della vita di Diogene Cinico, racconta-
toci da Diogene Laerzio (6, 40) 21 : vedendo dei topi che si arrampicavano sulla
sua tavola, si racconta che Diogene esclamasse: «Guarda, anche Diogene mantiene
dei parassiti». Il topo pare abbia avuto una certa rilevanza anche in scelte impor-
tanti della vita di Diogene. Ancora Diogene Laerzio (6, 22) (seguendo una notizia
del Megarico di Teofrasto) e, più diffusamente, Plutarco De prof. in virt. 77 E
ss., ci narrano che fu proprio osservando il comportamento di un topo - conten-
to delle poche briciole che poteva raccattare - che Diogene comprese quanto
fosse superfluo il lusso di un banchetto pubblico. Da simili episodi ricaviamo
un'immagine del topo che può facilmente ricollegarsi ai tratti essenziali della figu-
ra del parassita: un animale che si nutre di avanzi, accontentandosi del poco che
riesce a raggiungere (senza che questo cibo, ovviamente, gli venga offerto).
Se passiamo poi a considerare le peculiarità che generalmente vengono attri-
buite ai topi nei testi greci, ritroveremo altri tratti che già conoscevamo dalla
descrizione dei parassiti. Innanzi tutto, naturalmente, la voracità 22 • Sempre alla
ricerca di cibo, i topi sono una vera e propria calamità quando agiscono in una
sola notte 23 • Per quanto, come abbiamo visto, li si trovi rappresentati come ani-
mali che si accontentano di quello che riescono a raggiungere, essi si rivelano
all'occorrenza anche dei "gaudenti"; amano infatti gustare cibi raffinati, magari
abusarne. È proverbiale la fine beata del topo che annega nel brodo 24 ; un motivo

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HOMO EDENS---------------------------

che richiama alla mente il caso del parassita che decide di morire, ma a pancia
piena, e - ancora meglio - quello del parassita che si augura di morire scoppian-
do per l'eccesso di cibo 25 •
Il topo condivide con l'uomo gli "spazi alimentari" (naturalmente solo in
modo furtivo: tollerato, quando non sistematicamente perseguitato con donnole
e trappole) 26 • Il suo ambiente di caccia è costituito da mense e depositi di provvi-
ste. Notevole è la sua dimestichezza con piatti, pentole, pani, formaggi e prosciut-
ti. Gran parte di queste componenti dell'habitat alimentare del topo le ritroviamo
impiegate (con efficace espediente linguistico) per formare i nomi parlanti attribui-
ti ai topi protagonisti dell'epica battaglia contro le rane 27 •
Della ventina di nomi (di tradizione più o meno certa) che ci sono giunti
in questo testo cosi difficile da valutare 28 , possiamo prenderne in considerazione
un cospicuo campione: 14 nomignoli, per noi particolarmente istruttivi. Essi han-
no in comune un'unica struttura (si tratta di composti nominali di varia suffissa-
zione, formati da un membro nominale e uno verbale), e una medesima natura
descrittiva 29 : Insidia-pane (Artepfboulos), Mangia-pane (Arthophdgos), Salta-in-
pentola (Embasfchytros), Lecca-uomo (Leichenor), Lecca-macine (Leichomj/1),
Lecca-piatti (Leichopfnax), Ruba-pezzi (Meriddrpax), Rodi-pane (Troxdrtls), Rodi-
prosciutti (Pternotroktls), Mangia-prosciutti (Pternophagos), Incidi-prosciutti (Pter-
nog/jphos), Incidi-formaggi (Tyrigljphos), Mangia-formaggi (Tyrophdgos), Ruba
briciole (Psichdrpax). Un campionario, come si vede, tipico di ogni letteratura
parodica 30 •
Se proviamo a raggruppare gli 'ingredienti' di questi nomi, ricaveremo sette
radici verbali e nove componenti nominali: rispettivamente, "insidiare" (1), "sal-
tar dentro" (1), "incidere" (2), "leccare" (3), "rodere" (2), "mangiare"(3), "ru-
bare" (2); e, dall'altra parte, "uomo" (1), "pentola" (1), "piatto" (1), "macina"
(1), "briciola" (1), "pezzo, boccone" (1), "pane" (1), "formaggio" (2), "pro-
sciutto" (3). Di fronte alla necessità di attribuire un'identità parodica a questi
personaggi, si è fatto ricorso a nomi parlanti che illustrassero le loro abitudini
(prevalentemente alimentari).
Qualcosa di analogo avviene per i parassiti, che spesso portano dei nomignoli
parlanti 31 • Nelle epistole parassitiche di Alcifrone, anzi, quasi tutti i nomi di de-
stinatori e destinatari sono costruiti alla stessa maniera (e con un'inventiva ancora
superiore); Brama-pane, Pugna-pane, Spezza-briciole, Lecca-pentole, Lecca-tavole,
Corri-a-pranzo, Ama-cuochi, Divora-pasti, Godi-vino, e tanti altri 32 • Anche in
questo caso ci troviamo di fronte a una fissazione in nomi parlanti di un'identità
comica, tutta incentrata sulle abitudini alimentari. Emerge in modo chiaro il valo-
re individuante della funzione: l'identità "fissa", giocata interamente sui compor-
tamenti alimentari, viene cosi illustrata mediante un nome che, se cosi si può
dire, "è tutto funzione". Piano onomastico e piano funzionale, in altri termini,
vengono fatti coincidere.
Se l'identità di topi e parassiti si trova fissata da un criterio comune, che
illustra il loro atteggiamento attorno al fulcro "esistenziale" della mensa, non
può stupire il fatto che fra i due gruppi di nomi si trovino delle coincidenze.
Il nome Leichopfnax, ad esempio, compare sia in Batr. 100 che in Alciphr. 3,8;
e diversi altri nomi presentano delle somiglianze che vanno al di là dell'identità
di meccanismo compositivo 33 • Non è improbabile che si tratti di nomi nati indi-
pendentemente l'uno dall'altro o ricavati da una fonte comune; non pare necessa-

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rio ipotizzare che Alcifrone si sia rifatto alla Batrachomachia 34 •


Comunque stiano le cose, mi pare evidente che anche la somiglianza fra i
nomi dei due gruppi di personaggi contribuisca a confermare la fondatezza della
similitudine istituita da Plauto. E lo stesso Plauto ci presenta un caso che ci per-
mette di progredire ulteriormente su questo terreno. In Batr. 28 compare il nome
di Troxdrtls, Rodi-pane, il pane dello sfortunato Psichdrpax, Ruba-briciole. Con
un'inversione che risponde a un principio linguistico ben preciso (la maggiore rigi-
dità dell'ordine SOV nella lingua latina), Plauto ci presenta nel Mi/es (v. 9) lo
stesso nome, ma con una disposizione rovesciata dei due membri del composto:
Artotrogus. È chiaro che in questo caso ipotesi di derivazione diretta da un model-
lo come quello della Batrachomachia, più che improbabili sarebbero da conside-
rarsi decisamente assurde (tanto più se si accetta, con la critica più recente, una
datazione dell'opera al I secolo a.C.) 35 •
Volendo, ci si potrebbe avventurare in nuove ipotesi sulle reciproche relazioni
fra questi tre testi (un problema che andrà comunque affrontato considerando
la posizione di Batrachomachia. Alcifrone e Plauto rispetto al fulcro comune della
commedia attica, da cui è certo che almeno Alcifrone e Plauto abbiano tratto).
Ma si tratta di una questione che non ci sarebbe d'aiuto più che tanto. A noi
basta aver constatato come un'identità di abitudini alimentari sia nel nostro caso
alla base di un'identità di nomi: parassiti e topi mangiano e si comportano in
maniera talmente simile che anche i loro nomi parlanti vengono a coincidere.
Ma la fissazione dei nomi non è il solo fenomeno che ci permetta di verificare
la vicinanza fra 'identità' del topo e "identità" del parassita. C'è un episodio
nel poemetto che può aiutarci anche meglio a illustrare gli stessi meccanismi di
identificazione, se cosi si può dire, di questi personaggi. Mi riferisco all'incontro
iniziale fra Psichdrpax e il re dei ranocchi Physfgnatos, Gonfia-gote; un incontro
che è stato visto giustamente come versione parodica dell'incontro di eroi, di cui
riproduce i tratti tipici 36 • I due si scambiano domande e informazioni sulla pro-
pria identità, con un formulario e una sequenza di battute che ricordano, in picco-
lo, l'incontro di Glauco e Diomede nel sesto libro dell'Iliade (vv. 119-211).
Particolarmente interessante per noi è l'autopresentazione del topo (vv. 25
ss.): «A lui rispose Ruba-briciole e disse: "Perché chiedi della mia stirpe? Essa
è nota fra gli uomini tutti, e gli dèi, e gli alati del cielo. Mi chiamo Ruba-briciole,
e son figlio del magnanimo padre Rodi-pane; mia madre è Lecca-macine, figlia
del re Rodi-prosciutti. Mi generò in una capanna e mi allevò con cibi, fichi, n9Ci
e alimenti d'ogni genere. E come vuoi far di me un amico, che per natura in
nulla a te son simile? La tua vita è nell'acqua; invece è mio costume rosicchiare
tutto ciò che si trova presso gli uomini (hossa par'anthr"òpois trògein éthos); non
mi sfugge il pane ben lavorato dal canestro rotondo, né la focaccia dall'ampia
veste con molto sesamo e formaggio, né la fetta di prosciutto, né il fegato rivestito
di bianco, né il formaggio appena rappreso dal dolce latte, né l'ottima focaccia
al miele, che anche i beati desiderano, né quanto i cuochi apprestano ai banchetti
dei mortali. adornando le pentole di condimenti d'ogni tipo"».
Abbiamo dunque una presentazione "eroica", che possiamo in qualche punto
confrontare con l'autopresentazione "nobiliare" di Saturione nel Persa. l due con-
testi sono ovviamente distanti per molti versi: Ruba-briciole contrappone le pro-
prie abitudini alimentari a quelle acquatiche delle rane, mentre per Saturione si
tratta di vantare la propria attività di "cacciatore del cibo altrui", contrapponen-

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HOMO EDENS----------------------------

dola a quella dei quadrupulatores, orientati piuttosto verso i bona degli altri. In
comune, però, i due discorsi hanno il criterio di identificazione. Seguendo le rego-
le del genere epico e della cultura greca, Ruba-briciole inquadra le proprie genera-
lità all'interno delle coordinate offerte dall'identità del proprio padre, della pro-
pria madre e del padre di quest'ultima. Seguendo il codice nobiliare romano, dal-
l'altra parte, Saturione risale fino al limite estremo della "cordata patrilineare"
cui appartiene.
All'interno dei due quadri così delimitati, però, il criterio adottato per specifi-
care ulteriormente la propria identità (il "mestiere", le abitudini) rimane unico:
l'indicazione di una pratica alimentare, centrata, nel caso di Saturione, sulla ricer-
ca di un cibo altrui (esercitata come quaestus), nel caso di Ruba-briciole, invece,
sulla consumazione di un cibo "degli uomini" (hossa par'anthropois, v. 35; si
parla stavolta di un éthos). Animali e uomini che mangiano d'abitudine "a spese
degli altri", topi e parassiti finiscono per esaurire - pur in contesti tanto lontani
- l'intero campo della propria identità su questo terreno comune.

Nel nostro immaginario la figura del parassita della commedia si lega immediata-
mente - per motivi linguistici evidenti - a quella degli insetti che, dall'esterno
o dall'interno, consumano materie o organismi a spese dei quali vivono. Degli
approfittatori, potremmo dire, che sfruttano la vita di un altro essere animale
o l'accumulazione alimentare di altri per trarre da lì, con il minimo sforzo, il
proprio nutrimento. Abbiamo visto come nell'antichità questa similitudine, per
noi cosi consueta, non fosse affatto l'unica; anzi, non era neppure la più impor-
tante. Ben più efficace doveva essere appunto quella fra il parassita e il topo,
l'animale vorace, ladro, profittatore, entro certi limiti tollerabile all'interno dello
spazio domestico: capace persino di rappresentare, con lo schema delle sue abitu-
dini, un modello di comportamento per un filosofo come Diogene.
Molte circostanze hanno fatto sì che quest'immagine scomparisse dal nostro
orizzonte; quasi nessuna delle caratteristiche della figura del topo si è conservata
nel nostro modo di rappresentarci il parassita della commedia. Ripercorrere "nei
due sensi" la similitudine plautina può forse servire a focalizzare meglio alcuni
aspetti di questo personaggio teatrale (ma anche del suo più modesto corrispettivo
animale).

NOTE

I) Su questo monologo vd. G. CHIARINI, La re- brano che rappresenta, per molti versi, una
cita. Plauto, la farsa, la festa, Bologna 19832 , versione "al negativo" di quello da cui sia-
pp. 90 ss. e M. Bl!Tl1NI,Antropologia e cul- mo partiti).
tura romana, Roma 1986, pp. 192 s. 5) Vd. F. LEO, Plautinische Forschungen, Ber-
2) Vd. BETTINI, Loc. cit. e E. WoJTEK, T.M. lin 19122, pp. 105 s.
PLAUTUS, Persa (Ejnl., Text und Komm.), p. 6) Si ricordi, fra l'altro, che nella rapida galle-
170. ria di "maschere tipiche" abbozzata da Te-
3) Su questa figura vd. J .o. LOFBERO, The renzio nel prologo dell' Eunuchus compare ap-
Sycophant-Parasite, Class. Joum. IS, 1920, punto il parasitusedax (v. 38; cfr. Heaut. 38);
p. 63 e M. BETTINI, Il parasito Saturio, una cfr. anche Hor. p. 2, I, 173.
riforma legislativa e un testo variamente tor- 7) Vd. in gen. O. RIBBECK, Kolax. Eine etholo-
mentato, Stud. class. e or. 26, 1977, pp. 83 ss. gische Studie, Abhandl. der philol. - histor.
4) Vd. ad. es. Men. 77 ss. e Stich. lSS ss. (un Classe der Konigl. Sachs. Gesell. der Wis-

348 -----------------------------
---------------------------- GIANNI GUASTI!LLA

sensch, IX, 1894, pp. 18 ss., E. WOST, V. pa- anche RmBBCK, op. cit., pp. 69 ss.
rasitos, in PWRE, voi. 18/2, clJ. 1382 s., e 21) W.M. LINDSAY,The Captivi of Plautus, Lon-
soprattutto 0.-0. NBSSBJ.aAm,Lukians Pa- don 1900 ( = New York 1979), p. 141). Per
rasitendialog. Untersuchungen und Kommen- questi episodi della vita di Diogene vd. G.
tar, Berlin-New York, 1985, pp. 88 ss. STEINBll,Diogene's Mouse and the Royal Dog:
8) Per questi motivi vd., in gen., NBSSBLRATH, Conformity in Nonconformity, "Class.
op. cit., pp. 65 s. e passim e Lso, /oc. cit. Joum.", 72.l, 1976, pp. 36 ss.
9) Vd. a questo proposito il saggio di O. LoN- 22) Sul topo come Sinnbild der Nachhq/tigkeit vd.
oo, Alcifrone: lo spazio del piacere, in A.Lc1- H. WOLitB,Untersuchungenzur Batrachomyo-
FR.ONE, Lettere di parassiti e di cortigiane, (a machie, Meisenheim am Gian, 1978, p. 233.
cura di E. AVEZZÙe O. LoNoo), Venezia, 23 Vd. ad es. AlusTOT. hist. anim. 580 b 15 ss.
1985, pp. 9-41 (pp. 15 ss. in part.). Per notizie di questo tipo vd. O. KBLLER,Die
10) Vd. LoNoo, op. cit. . , p. 15: «Il parassita è Antike Tierwelt, voi. I, Leipzig, 1909, pp. 193
per definizione un soggetto [... ) incapace di ss.
esprimere un'attività che gli consenta una vi- 24) Il testo più rappresentativo di questo tema è
ta indipendente; benché di condizione libera, Babr. 60 (vd. in part. i vv. 3 s.).
egli dipende interamente dalla generosità del 25) Vd. AtcIPHR. 3, 3, 3 e 3, 13, 3; Atsx. fr.
suo ospite, col quale cerca di instaurare un 231 Koc1t.
rapporto di simbiosi permanente». Vd. anche 26) Sulla donnola, l'antico tradizionale nemico dei
NBSSBLRATB, op. cii., pp. 36 ss. topi, si vd. almeno KELLERop. cii., p. 200
li) Vd. A.S.F. Gow, MACHON, The Fragments e H.S. ScHIBLI, Fragments of a Neasel and
(ed. with an introd, and comm. by A.S.F. Mouse War, "Zeitschr. f. Papyr. und Epigr.,
Gow), Cambridge, 1965, pp. 68 s., LoNoo, 53, 1983, p. 2 n. 3; Schibli ha edito interes-
op. cii., p. 17 e NBSSBLllATII, op. cii., p. 166. santi frammenti di un poemetto parodico cen-
12) Sul carattere di quest'operetta di Luciano si trato proprio sulla lotta fra topi e donnola
vd. in gcn. l'ampio lavoro cit. di NBSSBLRATH: (sulla presenza di questo motivo nella favola
sui debiti di Luciano verso la commedia vd. vd. lo stesso Schibli, pp. 8 ss., e WOLitE, op.
in part. pp. 14 ss., 68 ss., 121 e soprattuto cit., pp. 102 s.).
230 ss. 27) La Batrachomachia, secondo la corretta rico-
13) Cfr. anche par. 6 e 54, e vd. NESSELRATH, struzione del titolo; vd. A. LUDWICH,Die ho-
op. cit., pp. 198 ss., 213 ss e 472 s. merische Batrachomachia des Karers Pigres
14) Sulla lode della téchnl parassitica nella com- nebst Scholien und Paraphrase, (herausg. und
media vd. RmBBCK, op. cit .., pp. 61 ss., erlaut. von A. Luow1ce), Leipzig pp. 11 ss.,
WOST, op. cii., cl. 1396, E. FllABNICEL,De E. DE0AN1,ree. a H. WOt1tE, op. cii., "Gno-
media et nova comoedia quaestiones selectae, mon", 54, 1982, p. 618 e R. OLEI, Die Batra-
diss. inaug. Gottingae 1912, pp. 77 ss. e so- chomyomachie. Synoptische Edition und Kom-
prattutto NBSSBLllATB, op. cit., pp. 54 ss. mentar, Frankfurt am Mein-Bem - New York
15) Vd. i passi citt. da NBSSBLRATH, op. cii., alle - Nancy, 1984, pp. 23 ss. e 31 ss.
nn. 133-136, 144 e 162. 28) Per i problemi presentati dai nomi si vd. già
16) LUCIAN.par 44 ss. Vd. ancora NESSELllATH, Luowrce, op. cit., pp. 70 ss. e 91 ss. Sulla
op. cii., pp. 39 s., 141 e 189 ss. Il richiamo difficoltà della ricostruzione di un testo at-
a precedenti omerici è anche in ATHBN.6, 236 tendibile e antico di Batr. (da cui trattava lo
c. stesso Ludwich alle pp. 17 ss.) vd. da ultimo
17) Vd. RmBBC1t, op. cit., p. 66, LoNoo, op. cit., GLE1, op. cit., pp. 17 e 44 ss.
p. 19 e NBSSBtllATH,op. cii., pp. 175 ss. e 29) Su questi nomi vd. in gen. l'excursus di WOt-
294 ss. ICE, op. cit., pp. 194 ss.
18) Per il polipo e il camaleonte vd. PtUT. de 30) Molti nomi di questo tipo si ritrovano, ad es.,
ad. et am., 51 D. 52 F e 53 D; per la mosca nell'interminabile lista «des preux et vai/fans
vd. ANTIPHAN. fr. 195 Koc1t,v. 7 (vd. al pro- cuisiniers» presentati da Rabelais nel cap. XL
posito NBSSBLRATB, op. cit.,, pp. 78 s.); per del IV 1. di Gargantua.
i cani vd. [Aristot) physiogn. 811 b 35 ss., 31) Sugli "Spitznamen" dei parassiti si può vd.
ALcIPBll. 3, 8, 2 e 3, 15, 2.; per i gabbiani RmBEClt, op. cit., pp. 70 ss. e C.T. SoNDAO,
vd. Matro conv. att., vv. 9 s. BRANDT. De nominibus apud Alciphronem propriis,
19) Vd. ad es. AlusroPHON fr. IO Koc1te KAssst- Diss. philol., Bonnae 1905. Diversi nomi di
AuSTIN, ANAXIL. fr. 33 Koc1t, PtUT. de ad, parassiti particolarmente celebri, insieme ad
et am., 49 8-C e 55 E. aneddoti relativi alla loro vita, ci riferisce
20) Altre 'gallerie' di similitudini in ARmoPHON ATHBN. 6, 239 f ss.
frr. 4 Koc1t (5 KAssst-AUSTIN)e 10 Koclt e 32) Sui nomi dei parassiti in Alcifrone vd. spec.
KAsmt-AUSTIN,ANTIPHAN.fr. 195 Koc1t.Vd. SoNDAO, op. cii., pp. 27 SS.

349
HOMO EDENS-----------------------------

33) Ad es. Chytro/e(ktes di ALcJPea. 3,18 SCID- 34) Questa è invece l'ipotesi avanzata da WOu:E,
bra proprio una "via di mezzo" fra Embas(- op. cit., pp. 211.
chytros (Batr. 137) e Leichopfnax:. Altre so- 3S) Vd. soprattutto WOlll!, op. cit., pp. 46 ss.
miglianze fra i nomi dei topi di Batr. e quelli e 61 ss.
dei parassiti alcifronei sono segnalate dal OLEI, 36) Vd. WOtu, op. cii., pp. 109 ss. Per l'analisi
op. cit., p. 199 (ad v. 261), p. 186 (ad v. 210) dell'intero episodio si vd. i commentidi Lud-
e p. 198 (ad v. 260). wich e Olei ad locc.

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Finito di stampare nel mese di novembre 1989
da TIBERGRAPH S.r.l., Città di Castello (PG)
Diapress S.r.l. - Milano

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