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GROTOWSKI: PER UN TEATRO POVERO

Grotowski è uno dei primi esponenti del nuovo teatro internazionale. Grotowski
opera in una situazione isolata, la Polonia comunista degli anni ’50. L’unico
riferimento forte è il teatro russo. In tutte le scuole dell’est il metodo utilizzato era
quello di Stanislavskij, e Grotowski ne diventa un grande studioso.

Per Grotowski il teatro è uno strumento basilare che aiuta a trovare la strada verso la
sorgente di ciò che siamo, ha a che fare con la nostra esistenza. Grotowski vede il
teatro non solo come fine ma soprattutto come mezzo. Grotowski nel suo itinerario
teatrale e post-teatrale incarna la vera rivoluzione del novecento teatrale: uso del
teatro come strumento formativo ed educativo, a fronte di nuove esigenze filosofiche,
politiche e sociali. Per Grotowski teatro e spettacolo non coincidono più
completamente, si può fare teatro senza spettacolo.

Quasi ogni decennio di lavoro di Grotowski si presenta con caratteristiche molto


differenti. Tuttavia, ci sono degli elementi di continuità, ovvero le domande che si
pone, gli obiettivi che si prefigge e l’interesse per il teatro. Quello che cambia sono
gli strumenti che usa per rispondere a queste domande e perseguire i suoi obiettivi, e
tra di essi vi sono sicuramente lo spettacolo e il lavoro dell’attore, considerati
assolutamente strumenti e non fine a se stessi. Gli elementi di continuità presenti in
Grotowski sono: il lavoro su se stessi, la nozione di rituale (rapporto tra teatro e
rituale, cercare un rituale non basato sulla fede ma sull’atto), lo Yoga dell’attore
(tecniche psicofisiche del lavoro su di sé, costruite sulla base del sapere professionale
dell’attore, tecniche performative), l’atto totale, cioè un qualcosa a cui l’attore può
arrivare solo se riesce a recuperare l’integrità e l’intensità originarie, deve superare i
“tanti io”. L’atto è in grado di cambiare qualcosa anche nello spettatore, di fargli
cadere la maschera: è un incontro autentico, l’attore si mette a nudo. Egli afferma:
“Nella vita si recita, a teatro bisognerebbe cercare di non farlo”.

Periodizzazione proposta da Grotowski in un tentativo di auto storicizzazione.

1. ARTE COME PRESENTAZIONE (teatro degli spettacoli) 1957-1969

2. PARATEATRO 1970-1978

3. TEATRO DELLE FONTI 1976-1981

4. ARTE COME VEICOLO

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1. ARTE COME PRESENTAZIONE

Nel 1959 Grotowski fonda un “Teatro laboratorio” in Polonia. Qui si occupava della
ricerca nel campo dell’arte teatrale e in particolare dell’arte dell’attore. Il Laboratorio
si occupa anche dell’istruzione degli attori, dei registi e di persone collegate ad altri
campi del teatro. Al Teatro Laboratorio vi è uno stretto contatto con specialisti in
discipline come la psicologia, la fonologia, l’antropologia culturale. Ci sono 3
elementi tradizionali nel Teatro Laboratorio:

1. DRAMMA ROMANTICO POLACCO: Questi drammaturghi romantici polacchi


si interessano alla qualità mito-poetica, agli archetipi contenuti nei loro testi. Gli
archetipi che prende in considerazione Grotowski hanno a che fare con il tema
patriottico-nazionalistico oppure con Cristo. I drammaturghi prima citati, inoltre, si
dedicano nei loro testi a un aspetto fantastico, di negazione della realtà, a una
drammaturgia visionaria che non rispetta le unità di tempo e di luogo, che lavora sui
contrasti violenti e non esclude elementi di realismo.

2. ESPERIENZA DI REDUTA: Vicenda quasi leggendaria di un teatro quasi


monastico, in cui vigevano un grande rigore morale, tendenze ascetiche e un forte
legame tra teatro e scuola. Era una comunità, allievi e insegnanti vivevano insieme e
l’insegnamento era basato più sull’etica che sull’estetica.

3. L’ULTIMO STANISLAVSKIJ: Metodo delle azioni fisiche “Che cosa farei io se


mi trovassi nei panni del personaggio?” è la domanda che si deve porre l’attore

Nel periodo del teatro degli spettacoli, Grotowski matura l’idea di teatro come
relazione tra attore e spettatore, atto biologico e spirituale che si verifica
nell’incontro. Questa “epoca” si divide in due fasi:

1. TEATRO DI REGIA, fase di ricerca, eclettismo drammaturgico registico.

2. TEATRO POVERO, ovvero teatro in cui l’importanza viene data all’attore.

Nella realizzazione di questi spettacoli, Grotowski lavora su 3 livelli:

1. Ripensamento radicale dello spazio scenico, ovvero spazio scenico rettangolare


vuoto, no struttura fissa, ogni volta viene riorganizzato lo spazio in base allo
spettacolo. Nei primi anni prevede il coinvolgimento fisico dello spettatore.

2. Ricerca pratica intensa sui fondamenti dell’arte dell’attore: si introduce il training


quotidiano.

3. Lavoro drammaturgico, approccio originale con le opere drammatiche


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SPETTACOLI

Akropolis di Wyspianski

Archetipo dell’acropoli, simbolo del vertice che la civiltà occidentale greco-giudaico-


cristiana ha raggiunto. Il dramma del poeta è stato parzialmente trasformato e
trasferito in condizioni sceniche completamente diverse da quelle ideate dall’autore.
Secondo l’autore: la notte della Resurrezione, gli arazzi e le statue nella Cattedrale di
Cracovia rivivono episodi dell’Antico Testamento, dell’Iliade e dell’Odissea.
Secondo Grotowski: le statue e gli arazzi tornano in vita dal fumo e dalle esalazione
di un campo di sterminio, quello di Aushwitz. Punto in comune tra l’autore e il
regista: concezione di raffigurare la somma di una civiltà e verificarne i valori
attraverso il paragone con il contenuto dell’esperienza contemporanea. La civiltà che
emerge dallo spettacolo è una civiltà di contrasti e corruzione, la specie umana
suscita orrore e pietà. L’azione si svolge nell’intera sala, fra gli spettatori, ma questi
ultimi non sono chiamati ad interagire. Al centro della sala c’è una grande cassa su
cui sono posizionate delle ferraglie vecchie e arrugginite, con cui gli attori
costruiranno una civiltà assurda di camere a gas, con tubi da stufa che useranno come
decorazione (metafora, internati carnefici di se stessi, ironia crudele, costruiscono con
ciò che li distruggerà). I costumi sono sacchi bucati su corpi nudi martoriati, zoccoli
di legno e berretti che rendono tutti uguali e anonimi. Esiste solo la comunità,
metafora di un’intera specie in una situazione limite. Il ritmo serrato del dramma è
interrotto talvolta da canti, parole, urla e rumori.

Esempi di scene

Giacobbe chiede la mano di Rachele e nel farlo calpesta il suocero Labano. I due
litigano e non riescono a liberarsi l’uno dell’altro, si torturano a vicenda spinti dalla
Necessità. Elena e Paride (interpretati da due uomini) si scambiano dichiarazioni
d’amore ma vengono derisi dagli altri internati. Alla fine dello spettacolo, gli internati
guidati dal Cantore trovano il loro Salvatore, un fantoccio decapitato, strapazzato e
livido che ricorda i cadaveri dei campi. La scenografia è assente, gli oggetti usati
dagli attori svolgono funzioni multiple. L’unico strumento musicale è il violino che
crea uno sfondo melanconico. In un teatro povero e in particolare in questo
spettacolo, l’attore deve costruirsi una maschera con i muscoli facciali, una smorfia
che dovrà rimanere inalterata per tutto lo spettacolo e che avrà l’espressione di
disperazione e indifferenza. Si cerca un gestualità che rispecchi una condizione
estrema e come quella dei lager: è per quello che gli attori si muovono con
atteggiamenti grotteschi.

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Kordian di Slowacki

Kordian è un patriota che lotta per affrancare la Polonia dalla dominazione russa e
decide che l’unico modo per farlo è uccidere lo zar. Tuttavia, non ci riesce e viene
rinchiuso in un ospedale psichiatrico. Grotowski mette in scena l’archetipo del
patriota disposto all’estremo sacrificio, ma al tempo stesso lo tratta come un pazzo.
Ambienta per questo lo spettacolo in un ospedale psichiatrico, in cui gli spettatori
fungono da pazienti.

Dr. Faust di Marlowe

Faust ha un’ora da vivere prima del suo martirio. Egli invita i suoi amici a un’ultima
cena che diventa una confessione pubblica, Faust offre loro episodi della sua vita. Ci
sono due lunghe tavole ai lati della stanza alle quali prendono posto gli ospiti, mentre
Faust siede a una terza tavola più piccola. L’atmosfera è come quella in un monastero
medievale. Faust e gli altri personaggi indossano abiti monastici diversi. Faust è in
bianco, Mefistofele è in nero ed è recitato da un uomo e da una donna, gli altri
personaggi sono vestiti da francescani. Il dramma è improntato su un tema religioso.
Dio e il Diavolo brindano coi protagonisti e subentra la dialettica di derisione e
apoteosi. Faust è un santo, e la sua santità consiste in un desiderio assoluto di verità;
egli deve ribellarsi contro Dio il Creatore perché le leggi del mondo sono tranelli in
contraddizione con la morale e la verità. Qualunque cosa l’uomo faccia è dannato e il
santo non può accettare un dio che tende insidie all’uomo. Le leggi di Dio sono
menzogne, per cui la santità di Faust consiste nel mettersi contro Dio e si ribella
firmando un patto con Satana, il grande Ribelle. Faust è anche un martire, dal
momento che non si aspetta nessuna ricompensa e sa che lo aspetta la dannazione
eterna. Archetipo del santo, recitato da un attore dall’aspetto giovane e innocente.

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Il Principe Costante di Calderòn de la Barca 1629

C’è una svolta nella strategia di partecipazione dello spettatore. Grotowski vuole
spezzare il legame tra attore e personaggio: il protagonista improvvisa anche a
prescindere dal contesto del suo personaggio in sede di prove. Si è iniziato con il
lavoro creativo e di improvvisazione in sede di prove che nulla avevano a che vedere
con il testo. Si dà al protagonista la possibilità di slegarsi dal personaggio, ma tutto
ciò che l’attore dimentica lo deve ricordare il regista: fa uso di oggetti, di costumi, di
iconografia. I temi sono il sacrificio, l’abiura e l’ amore contrastato.

Scena di apertura: il Primo Prigioniero collabora con i suoi persecutori: giace su un


letto rituale e entra a far parte della compagnia. C’è un studio sul fenomeno
dell’inflessibilità, che non consiste in manifestazione di forza/dignità/coraggio.Il
Secondo Prigioniero, il Principe, oppone resistenza passiva e gentilezza, volto verso
un più elevato ordine spirituale. Sembra non reagire, li ignora e rifiuta di diventare
uno di loro. Sembra che i suoi nemici lo tengano in pungo, ma in realtà non è così: è
vittima delle loro azioni ma conserva la sua indipendenza e la sua purezza fino
all’estasi. La gente che circonda il Principe indossa toghe, brache e stivaloni: c’è un
compiacimento nell’uso della forza e fiducia nel proprio giudizio. Alla fine della
rappresentazione il Principe è nudo, privo di tutto eccetto la sua identità umana. I
sentimenti della società verso il Principe sono caratterizzati da un sentimento di
alienazione unito a una specie di attrazione e adorazione. Alla fine la gente che ha
tormentato il Principe se ne pente. Egli diventa un inno vivente in omaggio
all’esistenza umana. La sua estasi consiste nella sua sofferenza, a cui egli può
resistere offrendo se stesso alla verità. Per quanto possa sembrare paradossale, la
rappresentazione è un tentativo di trascendere l’atteggiamento tragico, di rigettare
tutte le sue componenti. Il regista ritiene di aver conservato il significato intimo
dell’opera di Calderòn: valorizzando le caratteristiche dell’epoca barocca, l’aspetto
visionario, la musicalità, gli aspetti concreti e lo spiritualismo.

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Apocalypsis cum figuris

Viene realizzato in 3 anni e si trasforma nel corso dei 10 anni di repliche. E’ uno
spettacolo nel corso della rappresentazione del quale si supera il concetto stesso di
spettacolo. Per gli attori è una sfida, molto più degli spettacoli precedenti (viene
applicata una forma estrema di recitazione che va oltre la rappresentazione).

La rappresentazione è un atto totale collettivo non appannaggio del singolo.


Grotowski parla di “rinuncia” a recitare per gli attori e a dirigere per il regista,
paradosso è fuoriuscire dallo spettacolo facendo lo spettacolo. Il regista manipola il
meno possibile le prove e questo produce 2 mancati debutti. Dal secondo tentativo di
debutto Inizia il “momento dei Vangeli” , gli attori scelgono i testi dei Vangeli a cui
si vogliono dedicare. Il terzo tentativo di debutto ripropone in forma derisoria la
seconda venuta di Cristo sulla terra. Un gruppo di persone reduci da un’orgia e da
una sbornia, per gioco comincia ad assegnarsi ruoli evangelici. Il ruolo di Cristo
viene assegnato allo scemo del villaggio. Dalla derisione e dal gioco si passa a
qualcosa di molto serio, le persone vengono possedute dai loro personaggi e vivono
le loro storie. Grotowski pone il dilemma: “Che senso avrebbe il ritorno di Cristo e
che effetti produrrebbe? Saremmo capaci di riconoscerlo e accettarlo?”. Cristo
incarna la figura del folle, è una figura tipica dell’est, un santone che vive ai margini
della società, un po’ temuto e un po’ rispettato. Lo spettacolo cambiava in
continuazione perché il gruppo di attori diventa un gruppo parateatrale e segue le sue
esperienze. Lo spettacolo si allontana sempre di più dalla regia ed è sempre più in
bilico tra spettacolo e non spettacolo: diventa sempre più un’esperienza degli attori,
una performance. Non ci sono costumi né scenografie, ci sono pochissimi oggetti.
Cristo in Grotowski non è mai associato a un’idea di potenza, per lui è sempre stato
un ribelle ma pacifico. Fernando ne Il Principe Costante sceglie il sacrificio ed è
dunque associato alla figura di Cristo. In Akropolis, il Cristo fantoccio è una
“menzogna vitale”, una falsa speranza

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Frasi sintetiche del pensiero di Grotowski suddivise per anni e temi.

Articolo di Grotowski, 1965, Per un teatro povero

“Non volendo considerare il teatro come una sintesi di discipline artistiche,


cerchiamo di evitare l’eclettismo e di dare una definizione autonoma del teatro e di
ciò che lo distingue da altri generi di rappresentazione/spettacolo.”

“Le nostre regie intendono essere ricerche dettagliate sul rapporto pubblico-attore,
riteniamo che la tecnica scenica e personale dell’attore sia il nucleo dell’arte teatrale.”
Stanislavskij, ideale di Grotowski, ha impostato tutti i problemi metodologici.
Tuttavia G. e il suo Laboratorio sono arrivati a soluzioni che differiscono dalle sue.
Fondamentali per G. sono stati: gli esercizi ritmici di Dullin, gli studi di Delsarte
sulle reazioni estroverse ed introverse, l’opera di Stanislavskij sulle azioni fisiche
l’allenamento biomeccanico di Mejerchol’d. Tuttavia il metodo elaborato non è una
combinazione di tecniche prese in prestito, non è un metodo deduttivo, ma tutto
concentrato sulla maturazione dell’attore, espressa da una denudazione completa,
dall’estrinsecazione degli strati più intimi del proprio essere. L’attore fa dono totale
di sé.

“Noi cerchiamo di eliminare le resistenze dell’organismo dell’attore al suddetto


processo psichico. Il risultato è l’annullamento dell’intervallo di tempo tra gli impulsi
interiori e le reazioni esteriori: impulso e azione sono contemporanei.” Via negativa:
rimozione di blocchi psichici. Con esercizi ideati espressamente (allenamento fisico
e vocale) è possibile coltivare con cura ciò che è stato risvegliato. Questo processo
tuttavia non è volontario. L’atteggiamento mentale non è un atteggiamento per cui
una persona vuole fare una determinata cosa ma per cui fa a meno di non farla.

“Nel lavoro giornaliero gli attori non si concentrano sulla tecnica spirituale ma sulla
costruzione della forma, sull’espressione dei segni, ovvero sull’artificialità. Non
sussiste contraddizione tra la tecnica interiore e l’artificialità, la composizione
artificiale spiana la strada al processo spirituale. Si compone una parte come un
sistema di segni che sveli ciò che si nasconde dietro la maschera della visione
convenzionale. L’uomo in un elevato stato spirituale si serve di segni ritmicamente
articolati, si mette a ballare e cantare. Il segno, e non un gesto banale, costituisce
l’essenza di un’espressione integrale.”

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“No proliferazione né accumulazione di segni (come nel teatro orientale) ma
un’opera di sfrondamento, ricercando la distillazione dei segni e l’eliminazione degli
elementi del comportamento naturale che compromettono la purezza dell’impulso.
Mentre i segni orientali sono inflessibili, i segni che noi usiamo costituiscono la
forma elementare del comportamento umano, un’articolazione della psico-fisiologia
dell’attore”. Un’altra tecnica che mette in luce la struttura segreta dei segni è la
contraddizione, tre gesto e voce, tra voce e parola, tra parola e pensiero, tra volontà e
azione anche in questo si sceglie la via negativa.

“Il problema delle “radici” mitiche della situazione umana riveste un significato
specifico, generato dalla scoperta e dall’uso pratico delle regole del teatro. Sartre:
“Ogni tecnica rimanda ad una metafisica”, gli spettacoli non devono essere generati
da postulati estetici a priori.” Fin dal 1960 G. ha posto molta attenzione alla
metodologia e ne sono nate due idee molto importanti: il teatro povero e la
rappresentazione come atto di trasgressione. Il teatro può esistere senza tutto, ma non
senza un rapporto diretto, una comunione di vita tra attore e spettatore. G. è contro il
teatro contemporaneo, il Teatro Ricco. Il teatro rimarrà sempre inferiore sul piano
tecnologico al cinema e alla televisione, perciò è necessaria secondo G. la povertà in
teatro.

“Una diversa sistemazione degli attori e degli spettatori viene ideata per ogni nuovo
spettacolo, infinite soluzioni del rapporto attore-pubblico. La preoccupazione deve
essere di impostare per ogni tipo di rappresentazione un giusto rapporto tra attore e
spettatore, con conseguente sistemazione fisica.”

Eliminazione degli effetti di luce: l’attore si serve di luci fisse per ottenere ombre,
macchie luminose etc., ha la possibilità di irradiare luce divenendo fonte di “luce
spirituale”. Inoltre lo spettatore, visibile, comincia a sostenere un ruolo.

Eliminazione di tutto ciò che l’attore indossa nel camerino: l’attore si trasforma sotto
lo sguardo del pubblico, in modo povero, servendosi solo del proprio corpo.

Eliminazione della musica che trasforma tutta la rappresentazione in musica, grazie


all’orchestrazione delle voci e degli oggetti risonanti. Il testo di per sé non fa teatro,
ma diventa teatro attraverso l’uso che l’attore fa di esso.

“Nello sforzo che facciamo per liberarci della maschera imposta dalla vita, il teatro
con la sua corporeità è un luogo di provocazione, capace di sfidare se stesso e il
pubblico, violando le immagini, i sentimenti e i giudizi stereotipati e comunemente
accettati. Dissacrazione dei tabù, shock che lacera la maschera che offre il nostro
essere nudo a qualcosa che contiene Eros e Charitas.”
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Tentazione di G. di attaccare e superare situazioni tabù arcaici della tradizione, e
metterle a confronto con la sua esperienza personale determinata dall’esperienza
collettiva. Da ciò deriva il concetto importante di “dialettica di derisione e di
apoteosi” o “religione espressa attraverso la bestemmia; amore che si esprime
attraverso l’odio”

“Il mito è una situazione arcaica e al tempo stesso un modello che sopravvive
indipendente nella psicologia dei gruppi sociali e ispira il comportamento e le
tendenze della collettività. Il teatro quando faceva ancora parte della religione,
liberava l’energia spirituale della congregazione incarnando il mito e profanandolo,
trascendendolo. Spettatore: consapevolezza della propria verità personale alla luce
della verità del mito, e attraverso il terrore e il senso del sacro giungeva alla catarsi.”

“L’identificazione della collettività con il mito, l’equazione della verità personale con
la verità universale, oggi è impossibile. E’ possibile tuttavia un confronto, un
tentativo di incarnare un mito per prendere coscienza della relatività dei nostri
problemi, del loro legame con le fonti e della relatività di esse alla luce
dell’esperienza contemporanea.”

“Il mio rapporto con il lavoro non è unidirezionale o didattico, le mie proposte si
riflettono sulle sistemazioni spaziali dell’architetto Gurawski, con cui collaboro da
anni. C’è qualcosa di profondamente intimo e fruttuoso nel mio lavoro con l’attore,
che deve essere attento, confidente e libero, poiché il nostro lavoro consiste
nell’esplorazione delle sue possibilità estreme. La mia evoluzione è scoperta in lui, e
la nostra comune evoluzione diventa rivelazione . Questo vuol dire aprirsi ad un altro
e nasce il fenomeno di “nascita condivisa o doppia” e quello che si ottiene è
l’accettazione totale di un essere umano da parte di un altro.”

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IL NUOVO TESTAMENTO DEL TEATRO (Intervista di Eugenio Barba a
Grotowski nel 1964)

“Il termine ricerca sta ad indicare che noi ci dedichiamo alla nostra professione in un
atteggiamento simile a quello dell’intagliatore medievale che cercava di ritrovare nel
suo pezzo di legno una forma pre-esistente. L’altro significato è l’idea di
penetrazione nella nostra natura umana. Noi riconsideriamo inoltre in che cosa
consista il teatro e che cosa lo renda insostituibile.”

“Possiamo definire il teatro come “ciò che avviene tra lo spettatore e l’attore”, tutto il
resto è supplementare. Gli elementi plastici sono costruiti dal corpo dell’attore e gli
effetti acustici e musicali dalla sua voce. Non disprezziamo la letteratura ma non
ritroviamo in essa la fonte creatrice del teatro.”

“Ciò che colpisce è lo squallore del mestiere dell’attore: appalto di un corpo sfruttato
dai suoi protettori. Tuttavia, la miseria dell’attore può essere trasformata in santità.”

“Se non esibisce il suo corpo ma lo annulla, lo libera da ogni resistenza agli impulsi
psichici, allora non vende il suo corpo ma lo offre in sacrificio e si avvicina alla
santità.”

“La differenza tra l’ ”attore-cortigiana” e l’ ”attore-santo” è il dono di sé. La tecnica


dell’attore-santo è una tecnica induttiva, di eliminazione, mentre la tecnica
dell’attore-cortigiana è una tecnica deduttiva, una somma di perizie tecniche.”

“L’attore che compie un atto di auto-penetrazione, che scopre se stesso ed offre ciò
che vi è di più intimo in lui, deve essere in grado di manifestare anche i più
impercettibili impulsi psichici, quegli impulsi che oscillano tra la sfera del sogno e
quella della realtà. Deve poter costruire un suo linguaggio psico-analitico di suoni e
gesti.”

“L’attore deve sapere come dirigere l’aria verso quelle parti del corpo che possono
creare un suono e amplificarlo. Il numero di risuonatori è praticamente illimitato
(cranico, pettorale, occipitale, nasale, dentale, laringale, ventrale, lombare, totale). Le
varie fasi delle azioni fisiche richiedono diversi tipi di respirazione. La dizione
insegnatagli a scuola troppo spesso gli provoca l’ostruzione della laringe, e gli sarà
quindi necessario imparare ad aprire volontariamente la laringe e a controllare
dall’esterno se è aperta o chiusa. Se non risolverà questi problemi non potrà compiere
il processo di auto-penetrazione, poiché la sua attenzione sarà trattenuta dalle
difficoltà che incontrerà.

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L’attore deve liberarsi da ogni sua resistenza.

“Un attore non possiederà mai una tecnica del tutto “definitiva”, poiché al
fronteggiare di nuovi problemi, deve imparare a superare anche questi con l’aiuto
degli esercizi di base.”

“Il fattore determinante di questo processo è la tecnica di penetrazione psichica


dell’attore. Deve imparare a far uso della sua parte, come del testo, come di un bisturi
per autosezionarsi. Non si tratta di rappresentare se stesso alle prese con un
personaggio o di viverlo, ma di utilizzare il personaggio, come il testo, come un
trampolino, uno strumento che serva per studiare ciò che è nascosto dietro alla nostra
maschera di ogni giorno, per poi offrirlo in sacrificio, palesandolo.”

“Lo spettatore intuisce l’invito rivolto a lui ad agire in maniera analoga, e spesso
reagisce con opposizione e indignazione: noi tentiamo di evitare la verità su noi
stessi.”

“L’auto-penetrazione comporta la mobilitazione di tutte le energie fisiche e spirituali


dell’attori, che deve avere una disponibilità passiva che consenta di realizzare una
partitura attiva. La trance è la capacità di concentrarsi in uno speciale modo teatrale e
può essere ottenuta con buona volontà.”

Riassumendo: dare se stessi totalmente, come in un atto d’amore, che porta ad un


apice che fa provare sollievo.

“Necessario elaborare un’anatomia dell’attore, trovare i vari centri di


concentrazione, localizzando i punti del corpo che l’attore sente come sorgenti
nutritive (es. regione lombare, addome, plesso solare)”

“Fattore essenziale è l’elaborazione del freno della forma, dell’artificialità. L’attore


che compie un’auto-penetrazione è come se partisse per un viaggio del quale fa
relazione attraverso vari riflessi sonori e gesticolari indirizzati allo spettatore sotto
forma di invito; un’auto-penetrazione non disciplinata non costituisce una liberazione
ma una forma di caos biologico.”

“L’artificialità si basa su ideogrammi (suoni e gesti) che provocano associazioni nella


psiche dello spettatore. Un ideogramma/segno riproduce immediatamente le
motivazioni segrete dell’attore o polemizza con esse.”

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“L’elaborazione dell’artificialità è più vicina alla scultura che alla pittura, perché la
scultura è basata sull’eliminazione di tutto ciò che oscura la forma. Questa
elaborazione comporta una serie di esercizi che formano delle piccole partiture
fisiche per le diverse parti del corpo; più ci concentriamo più rigida diventa la
disciplina esteriore.”

“Lo spettatore che interessa a noi è quello che nutre autentiche esigenze spirituali e
che desideri auto-analizzarsi, che subisce un processo evolutivo senza fine e la cui
inquietudine è indirizzata verso la verità su se stesso e la sua missione nella vita.”

Affinché dal confronto con l’attore lo spettatore sia indotto all’autoanalisi, bisogna
che ci sia un terreno comune, perciò il teatro deve aggredire i complessi collettivi
della società, l’essenza del subconscio collettivo, ad esempio i miti religiosi (Cristo), i
miti biologici (Eros, Thanatos), i miti nazionali (Avi di Mickiewicz). Nel teatro
povero le reazioni del pubblico non si manifestano con fiori e applausi ma con un
silenzio particolare, ricco di fascino, di indignazione e repulsione verso il teatro.

“Il regista formula all’attore richieste sempre più pesanti, lo incita a sforzi sempre
maggiori che gli causano sofferenza, per questo il regista deve avere un’autorità
morale ed essenziale è la fiducia. Occorre un atteggiamento caldo, un’apertura, ed
essa sola permette all’attore di fare certi sforzi senza timore di essere deriso o
umiliato. Le parole durante le prove sono superflue.”

“Ciò che sarebbe doloroso sarebbe un lavoro svolto con scarso impegno: se si
mantiene la propria maschera quotidiana si finisce con l’assistere a un conflitto tra la
maschera e se stessi. Lo stesso vale per lo spettatore.”

“La condizione di regista necessita savoir-faire nel manipolare la gente e nel


governare, diplomazia e talento freddo per gli intrighi. Tutto questo anche nel teatro
povero.” Componente sadica del regista/componente masochista dell’attore

“Alcuni uomini del teatro ufficiale possono essere considerati santi laici, es.
Stanislavskij: egli sosteneva che le tappe del risveglio e rinnovamento del teatro
sarebbero scaturite in un ambiente di dilettanti, da gente scontenta del teatro normale,
da compagnie da camere che potrebbero essere trasformate poi in istituti per
l’educazione degli attori, oppure da dilettanti che da autodidatti sono arrivati a
standard tecnici più alti di quelli richiesti. Insomma, gente con niente da perdere,
pochi matti che non abbiano paura di lavorare.”

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L’età secondo G. è importante nell’educazione dell’attore. Si dovrebbe cominciare a
14 anni e anche di meno e affrontare vari step (corso tecnico, formazione umanistica,
tirocinio presso compagnia laboratorio, studi in diversi campi, diploma).

“Il nostro è un teatro contemporaneo perché stabilisce un confronto tra le nostre fonti
reali e gli stereotipi del nostro comportamento attuale. Il nostro teatro è basato
sull’introspezione e sulla configurazione del nostro super-io sociale.”

“Noi parliamo di profanazione, di mancanza di tatto nel confronto tra la nostra pratica
giornaliera e i nostri progenitori. La rappresentazione è nazionale perché è una ricerca
del proprio io storico, è realistica perché tende a un eccesso di verità, è sociale perché
è una sfida lanciata allo spettatore.”

IL TEATRO E’ UN INCONTRO

(Intervista a G. nel 1967 in Canada durante l’Expo 67, ad un simposio internazionale


sul teatro a Montreal)

“L’essenza del teatro è costituita da un incontro: con se stessi (sia per l’attore, che per
il regista, che per lo spettatore) tra il regista e l’attore tra gli attori tra il testo e il
regista e l’attore tra l’attore e lo spettatore.”

“Non esiste un Amleto oggettivo, l’effetto catalitico delle grandi opere è il


fondamento della loro forza, aprono porte fino ad allora sconosciute e avviano il
processo di coscienza personale. La sola cosa che conta non è il testo ma cosa si può
ricavare dalle parole, la loro trasformazione in Verbo.”

“ Non si dovrebbero compiere troppe speculazioni in campo artistico, l’arte non è la


fonte della scienza, ciò che conta è l’esperienza che verifichiamo su noi stessi quando
ci apriamo agli altri, quando stabiliamo un confronto per meglio comprenderci. Il
passato rimane presente in quanto possiamo udire e comprendere la sua voce.”

RICERCA METODICA
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Condizioni essenziali dell’arte della recitazione:

1. PROCESSO DI AUTO-PENETRAZIONE fino al subconscio.

2. ESPRIMERE DISTINTAMENTE IL PROCESSO, DISCIPLINARLO E


CONVERTIRLO IN SEGNI

3. ELIMINARE GLI OSTACOLI DERIVANTI DALL’ORGANISMO, dal punto di


vista fisico e da quello psichico

“Ogni attore deve individuare il fattore che blocca le proprie associazioni interiori,
che impedisce di provare libertà personale e che il suo organismo sia completamente
libero. Noi togliamo le resistenze all’attore ma non gli insegniamo a creare.”

“Cerchiamo di determinare i nostri obiettivi con la precisione e la serietà tipiche di


una ricerca scientifica. L’attore che lavora qui deve essere già un professionista.
L’Istituto non è una scuola di allenamento né teatro.”

“Io non allestisco un dramma per insegnare agli altri ciò che già conosco. E’ dopo
una produzione teatrale che sento di saperne di più, non prima.”

“Atto totale come sacrificio e atto d’amore, disciplinato e articolato. Evitare il caos,
l’isterismo e l’esaltazione. La realizzazione dell’attore rappresenta il superamento
delle mezze misure della vita quotidiana. L’attore non agisce “per lo spettatore” ma al
posto suo.”

“Il metodo deve rimanere aperto, variare a seconda delle persone, avere un carattere
individuale”

LA TECNICA DELL’ATTORE
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(1967 soggiorno a Parigi per la rappresentazione de “Il Principe Costante”,
Grotowski rilascia un’intervista)

Distinzione tra metodi ed estetica: “Brecht propone un’estetica, recitazione con


controllo razionale dell’attore sulle azioni. Artaud propone delle visioni, una poesia
dell’attore, non una conclusione pratica. Aveva intuito il parallelismo tra gli sforzi
fisici e i processi psichici, ma i suoi principi si concretizzano in stereotipi: un tipo di
movimento per estrinsecare un genere di emozioni. Non erano clichés quando Artaud
conduceva le sue ricerche e da attore osservava le proprie reazioni cercando
un’alternativa all’imitazione fedele delle reazioni umane. Esistono ben pochi metodi
di recitazione, e quello più completo è quello di Stanislavskij. Egli sottoponeva se
stesso a continue verifiche e non suggeriva ricette ma soltanto strumenti con cui
l’attore potesse conoscere se stesso e rispondere alla domanda “Come si può
realizzare questo?” Un metodo consiste nella presa di coscienza dell’interrogativo
“Come si può realizzare questo?”, ma non appena ci si addentra nei particolari
bisogna non formularselo più e chiedersi “Che cosa non devo fare?”.

Domanda da porre all’attore: “Quali sono gli ostacoli che ti frenano in quella
evoluzione verso l’atto totale che deve impegnare tutte le tue risorse psico-fisiche,
dalle più istintive alle più razionali?”. Non si deve considerare né il testo come un
pretesto per l’attore, né l’attore come un pretesto per la parte: questa è un mezzo per
operare una sezione trasversale di se stessi. La partitura dell’attore è composta di
componenti di contatto umano “dare e prendere”, prendere gli altri, stabilire un
contatto con se stessi. Il processo viene ripetuto ma sempre hic et hunc, il che vuol
dire che non è mai lo stesso. Se nelle prove l’attore ha eseguito la partitura come
qualcosa di naturale e organico e se prima di recitare è disposto a “confessarsi”, ogni
spettacolo raggiungerà la sua pienezza. Non si deve pensare allo spettatore mentre si
recita. Prima l’attore struttura la parte e poi la partitura, e quando ricerca una purezza
e i segni per l’espressione, egli e il regista si devono assicurare che tutto sia
comprensibile. Tuttavia, se l’attore assume lo spettatore come punto di orientamento,
si mette in vendita. Anche se non bisogna assumere lo spettatore come punto di
orientamento, non bisogna ignorarlo; fondamentale è non recitare per il pubblico ma
stabilendo un contatto con lo spettatore. L’attore deve compiere un atto autentico al
posto dello spettatore, un atto di estrema eppure disciplinata sincerità e autenticità,
donarsi e non chiudersi in se stesso. L’attore deve avere il tempo di allontanare tutti i
problemi e i pensieri della vita di ogni giorno, per questo prima dello spettacolo si
pratica un silenzio di trenta minuti.”

IL DISCORSO DI SKARA

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(discorso conclusivo di Grotowski al seminario alla Skara Drama School nel 1966)

STIMOLI, IMPULSI E REAZIONI

Associazioni: “non solo scaturiscono dalla mente ma anche dal corpo, bisogna
ricollegarsi ad un ricordo preciso e non analizzarlo razionalmente. Rendete le vostre
azioni concrete collegandole a qualche ricordo.”

“Niente deve essere lasciato al caso nel corso di uno spettacolo. Si producono solo
minuscoli cambiamenti all’interno della partitura tali che, ogni volta che un attore
recita in maniera differente, gli altri devono sorvegliarlo e reagire alle sue azioni
subitanee. L’attenzione cambia tutti i rapporti ed è il segreto dell’armonia fra gli
uomini. Il pericolo che incombe quando si fanno esercizi per allenare l’attore a
questo, è che l’attore cambi la sua partitura fissa.”

“ Le varie posizioni di una mano cambiano la risonanza della voce, e i movimenti


della colonna vertebrale incidono pure sulla sua risonanza. Una volta acquisita
padronanza delle varie possibilità della voce bisogna vivere e agire senza alcun
pensiero calcolato.”

“Bisogna evitare di urlare durante gli esercizi e si può iniziare provando le voci
artificiali. Attraverso gli esercizi si cerca e si trova poi un’altra voce, la propria voce
naturale.”

“Non bisogna controllare i punti di vibrazione del corpo, bisogna limitarsi a lasciarlo
parlare. Non bisogna mai neanche ascoltare la propria voce, perché questo blocca la
laringe e i processi di risonanza.”

“ Non bisogna rappresentare un cane come se si fosse un vero cane, ma cercare le


proprie caratteristiche canine.”

“Problema del dialogo tra le varie parti del corpo; tutto si risolve in una ricerca di
protezione. Tale dialogo deve essere concreto ma non provenire dal cervello.”

“ Esercizi plastici: ricostruzione di dettagli stereotipati, avvicinandosi a un’azione


concreta (es. accarezzare una persona distruggendo tutto quanto vi è di stereotipato)”

“ Se non avete mai ucciso, non dovete ricercare la sensazione o chiedervi quale sia lo
stato psichico di un uomo che ha ucciso sua madre, è impossibile. Ma per esempio se

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avete ucciso un cane, ed è stato forte per voi, potete richiamare alla mente quella
situazione e sarà un’analisi crudele della situazione. Richiamando alla mente il
ricordo l’assassinio di vostra madre non sarà banale. Se invece recitata l’uccisione di
un animale, il ricordo concreto non basterà, ma se in quel momento vi eravate sentiti
come al raggiungimento di un vertice, dovete pensare a un’azione, un ricordo in cui
avete raggiunto quell’intensità. Se il ricordo è legato ad un peccato, vi sentirete poi
liberati(redenzione).”

“ Non bisogna mai ricercare la sincerità nello spettacolo, al di fuori della partitura,
altrimenti si creerebbe solo caos.”

SEGNO: “è una reazione umana purificata da ogni scoria, da qualsiasi dettaglio che
non sia di primaria importanza. E’ un impulso limpido. Quando non percepisco
significa che non si tratta di un segno.”

“Noi crediamo molto raramente a ciò che diciamo, quasi sempre il significato delle
nostre reazioni è segreto. EVITATE i clichés.”

“Evitate la banalità, astenetevi dal commentare le parole e le osservazioni dell’autore.


Se si vuol fare un capolavoro bisogna evitare le belle bugie. Lo spettatore ama le
verità facili, ma noi non siamo fatti per compiacere lo spettatore. Il nostro compito è
dire la VERITA’. Tentate sempre di mostrare il lato ignoto delle cose allo spettatore;
prima protesterà ma poi non dimenticherà ciò che avete fatto.”

“E’ una specie di eccesso verso lo spettatore, ma non bisogna sforzarsi di fare ciò,
bisogna mostrare il proprio essere, le proprie esperienze più personali.”

“Il nucleo del nostro lavoro è la MORALITA’, ovvero esprimere la verità tutta intera:
è questo che crea tutto quanto vi è di grande in arte.”

“Spesso bisogna sentirsi veramente stanchi per rompere qualsiasi resistenza mentale.
Con questo non si intende essere masochisti.”

“ Le grandi opere sono sempre fonte di conflitto, i veri artisti non hanno mai vita
facile. L’artista dice la verità, e questa è quasi sempre differente dalla concezione
popolare di essa.”

INCONTRO AMERICANO

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(Intervista rilasciata a New York nel 1967.)

Problema del processo e del risultato: “non pensate ai risultati, ma al tempo stesso
non potete ignorarli. al fine di ottenere il risultato non dovete cercarlo, altrimenti il
processo si blocca. Ci sarà un momento in cui la lotta per ottenere un risultato sarà
inevitabile, e sarà quando il materiale creativo sarà presente concretamente e ci si può
servire del cervello per ordinare le associazioni e ideare un rapporto con il pubblico.”

“L’attore non deve lavorare per se stesso: tramite una penetrazione del suo rapporto
con gli altri l’attore scoprirà il suo contenuto umano. Se lavora per se stesso, ricerca
la ricchezza del suo stato psichico, e questo lo porta a isterismo e ipocrisia. Ipocrisia
perché tutti gli stati psichici che vengono osservati sono in realtà stati già superati, si
metterebbe a imitare le emozioni che esistono in lui. Quando l’attore cerca qualcosa
di concreto in sé, è facile che ciò sfoci nell’isterismo. Anche questo è narcisismo.”

“L’uomo ha sempre bisogno di un altro essere umano che possa realizzarlo in modo
assoluto e comprenderlo, ciò equivale ad amare l’Assoluto/l’Ideale, amare qualcuno
che ti comprende ma che non hai mai incontrato, qualcuno che cerchi sempre.”

Le varie “rinascite” dell’attore: “Quando l’attore comincia a vivere in rapporto al


compagno della sua vita, a scrutare gli impulsi del suo corpo, il rapporto di questo
contatto, avviene in lui una rinascita. In seguito comincerà a proiettare sugli altri
attori il suo compagno di vita, a proiettare le cose sui personaggi del dramma: questa
sarà la sua seconda rinascita.”

“Quando l’attore scopre il suo “compagno fidato”, trova le soluzioni ai suoi problemi
più difficili: come creare quando si è sotto il controllo di altri, come creare senza la
sicurezza dell’azione, come trovare una sicurezza indispensabile per esprimere se
stessi. Questa è la terza rinascita. Essa non avviene né per se stessi né per lo
spettatore, è paradossale, e si tratta di una tecnica.”

Trascendete voi stessi, sforzo sovrumano: “Non bisogna fermarsi e bisogna fare cose
che si sa non si è in grado di fare. Bisogna essere coraggiosi e vi sono punti di
stanchezza che frantumano il controllo della mente. La creatività non è mai comoda.”

“Se l’attore recita il testo, fa ciò che vi è di più facile. Se invece lavora con una
partitura silenziosa, palesa la carenza di azione e reazione personale ed è costretto a
riferirsi a se stesso e a cercare la propria personale linea di impulsi.”

“All’inizio tutti gli esercizi di movimento svolgevano una funzione del tutto
differente: noi avevamo cominciato con lo yoga orientandoci verso una
concentrazione perfetta, tuttavia avveniva il contrario. Si raggiungeva la
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concentrazione ma era di tipo introverso, e ciò distruggeva l’espressività, creava una
specie di sonno interiore. Alcune posizioni yoga, tuttavia, sono di aiuto alle reazioni
naturali della colonna vertebrale e portano a un senso di sicurezza fisica. Bisognava
cercare dunque di cambiare l’orientamento degli esercizi, di cercare diversi tipi di
contatto. Elementi di contatto umano: recitare con il compagno o dialogo vivo con il
proprio corpo. Queste posizioni trascendono i limiti del naturalismo.”

“Trovammo tuttavia in seguito che gli esercizi puramente fisici creavano un’ipocrisia
emotiva, perciò rinunciammo a tutto questo e cominciammo a cercare nei piccoli
dettagli delle giustificazioni personali. Mediante questi esercizi cerchiamo una
congiunzione tra la struttura di un elemento e le associazioni che lo trasformano nel
modo di ogni attore. Vi sono stati dei periodi durante i quali non abbiamo fatto
nessun esercizio, gli attori si avvicinavano alla perfezione. Dopo mesi avevano un
significato diverso, il corpo sviluppava nuove resistenze, il gruppo era fatto delle
stesse persone ma era cambiato.”

AFFERMAZIONI DI PRINCIPI

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(Testo scritto da Grotowski per adoperarlo all’interno del Laboratorio e destinato a
quegli attori che sono in periodo di prova prima di venir accolti nella troupe)

1. Atto totale, funzione terapeutica del teatro, totalità di reazioni fisico-mentali, no


scissione tra corpo e anima.

2. Arte non come condizione momentanea dell’anima ma come maturazione ed


elevamento, lotta per scoprire la verità, se stessi. Teatro luogo di provocazione.

3. Attore creatore, modello e creazione. L’attore non deve illustrare ma compiere un


atto dell’anima con il suo organismo(prostituzione vs santificazione). La recitazione
trova la realizzazione nella carnalità.

4. Regista e attore imparano reciprocamente, la libertà va di pari passo con la


pienezza della guida.

5. Rispetto del silenzio necessario alla creazione, rispetto dei compagni e del loro
lavoro. No frivolezza ed incuria anche nei momenti difficili. No egocentrismo,
superare i dissidi personali.

6. Non utilizzare in sede privata le cose connesse all’atto creativo (partitura, costumi
etc…)

7. ORDINE e ARMONIA, rispetto ferreo delle regole. Recitazione come atto di vita
e modo esistenziale per uscire da se stessi e realizzarsi. Attore disposto a creare nel
momento deciso dal gruppo, deve essere sempre in buona forma fisica e le faccende
private non possono rimanere personali.

8. Creatività = sincerità senza limiti, disciplinata, articolata mediante i segni. Punti di


orientamento: postulati fondamentali del metodo(aperto a rischi e ripensamenti)

9. No acquisizione di ricette/arsenali di artifizi, ma maturazione interiore. All’attore


non si dà, si toglie: maschera, reticenza, disimpegno, abitudini e buone maniere.

10.No atto totale pensando al successo o alla lunghezza della parte, no


compromettere l’impulso creativo(impegni accidentali inutili) o farne un uso
premeditato.

PARATEATRO

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Grotowski nel dicembre 1970 dichiarava che non avrebbe più condotto esperimenti
teatrali, che la teoria sulla recitazione esposta in "Per un Teatro Povero", apparteneva
ormai al passato; gli esperimenti intrapresi riguardavano forme di attività che non
avevano alcun rapporto con i tradizionali concetti teatrali di "spettacolo" e
"spettatore". Nel giugno 1973 "The Drama Review" pubblica Holiday, quattro testi di
Grotowski sulla nuova attività parateatrale. Nel 1975 debutta ufficialmente il
Parateatro. Si assiste ad una radicalizzazione dell’esperienza, attraverso
l’eliminazione progressiva di ogni stimolo di natura teatrale, di ogni oggetto scenico.
Ci si incontrava in gruppi di 20/25 persone, in posti non quotidiani (ad esempio case
disabitate in campagna), in incontri che escludevano la parola: era permessa solo
l’interazione performativa. Una regia occulta tuttavia in qualche modo c’era, nella
scelta del luogo e del momento della giornata. La novità del parateatro fu la
sostituzione di un solo attore con un gruppo da considerarsi un insieme unito da dei
legami forti, costituitisi nella prima fase di ricerca. Nella fase successiva Grotowski
propose l’esperienza parateatrale a un numeroso gruppo di persone estranee al teatro.
Di seguito il primo gruppo veniva raggiunto da altri partecipanti. L’arrivo dei “nuovi
impreparati” dava l’avvio ai lavori sul recupero della percezione incondizionata per
abbattere il muro della vergogna che divideva il gruppo in partecipanti e osservatori,
portando alla partecipazione attiva tutti i presenti. La fase principale consisteva nello
stare vicino alla natura, ai fratelli e a se stessi tramite il canto, la danza e delle piccole
azioni appunto “parateatrali”, basate su una struttura drammaturgica, che
permettevano l’individuazione e la comprensione del proprio ruolo all’interno del
gruppo. Grotowski voleva riattivare i sensi arcaici che aveva l’uomo primitivo e che
gli permettano di vivere con disinvoltura nella natura. Gli incontri avvenivano per lo
più tra persone che non si conoscevano e che dovevano vivere l’esperienza di un
nudo e crudo contatto. Avviene un decondizionamento, una rottura degli
automatismi, si forzano i limiti culturali e sociali, e si cerca una reazione
decondizionata.

IL TEATRO DELLE FONTI

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In questo periodo Grotowski cerca le sorgenti che precedono qualsiasi differenza,
ovvero l’uomo che precede tutte le differenze, sperando di trovare rimedio alle
difficoltà riscontrate nella fase parateatrale. E’ un progetto interrotto per colpa di un
golpe in Polonia (dicembre 1981). Debutta ufficialmente nel 1978. Si tratta di un
lavoro segreto di Grotowski con alcuni collaboratori selezionati da lui stesso “L’arte
del debuttante”. 1. Selezione dei partecipanti 2. Fase di lavoro chiuso (1978/79) in
case di campagna diroccate 3. Vere e proprie spedizioni antropologiche: Grotowski
indaga sul terreno fenomeni di trance e possessione (es. voodoo haitiano, cantori
monaci indiani, artisti mistici im Nigeria). Grotowski compie una ricerca dell’origine
delle fonti delle tecniche performative e una ricerca della percezione diretta della
realtà. Diventa dell’idea che ad un certo punto del proprio percorso va superata la
tecnica. Tra il 1983 e il 1986 segue un progetto chiamato Objective Drama. La
definizione di dramma oggettivo sarebbe debitrice alla distinzione tra un’arte
soggettiva, legata alla percezione dei fenomeni da parte dell’individuo, e un’arte
oggettiva, che per la sua peculiarità sovraindividualistica può svelare le leggi del fato
e del destino umani. Grotowski infatti ritiene che esistano alcuni suoni, ritmi, gesti e
movimenti i cui effetti siano oggettivi e fondati sui sistemi archetipici. Grotowski
intendeva cogliere espressioni performative di culture differenti, per svilupparle come
performances al di fuori del loro contesto d’origine. Il dramma oggettivo rimanda a
quegli elementi degli antichi rituali di varie culture del mondo che hanno un impatto
oggettivo sui partecipanti, a prescindere dall’esclusivo significato teologico e
simbolico. L’intenzione di Grotowski è isolare e studiare taluni elementi. La
differenza con Il teatro delle fonti è che il primo progetto si era interessato di «ciò che
precede le differenze», mentre la nuova ricerca si concentrava «sulle forme
sviluppate di certe tecniche tradizionali».

L’ARTE COME VEICOLO

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Nel 1986, in un momento di crisi delle istanze di ricerca avviate negli anni Sessanta-
Settanta in campo teatrale, Grotowski accetta l’invito a stabilirsi in Toscana per
fondare un Workcenter. Presso il Workcenter, per 13 anni e fino alla sua morte,
Grotowski ha sviluppato una linea di “ricerca performativa” nota come “arte come
veicolo”. «Per la vita teatrale» – affermava Grotowski – «è essenziale una sorta di
presenza assente, un piccolo nucleo, un romitaggio dedito alla ricerca pura, senza
scopi produttivi, in grado di spendere tutto il tempo necessario allo svolgersi di un
processo organico di lavoro». Grotowski in seguito dichiara: «Il mio lavoro di oggi
non è quello di scoprire delle forme teatrali nuove, semmai di tornare molto indietro
nella storia della civiltà fino a un punto in cui lo spettacolo non era ancora dominante,
e di conseguenza le distinzioni dei generi non valevano ancora». Da qui la necessità
di non lavorare per un pubblico, evitando concessioni sul fronte del teatro e della
recitazione.

“Dies Irae”: primo spettacolo che il Workcenter di Pontedera propone a un pubblico


normale pagante

The Living room- Workcenter: spettatori come invitati ad una festa e da questa
situazione quotidiana emerge un’altra situazione e i performers ad un tratto si
identificano come tali e iniziano ad agire.

Workcenter:

Non c’è musica registrata, tutto è basato sui mezzi dell’attore (riprende il teatro
povero). Spettacolo, azione e canti sono veicolo di scoperte: si possono trovare cose
in comune tra gli esseri umani nonostante la loro diversità. Il teatro viene usato come
contatto tra le persone, Grotowskiri vuole riempire ogni vuoto della relazione che
avviene tra l’attore e lo spettatore. Lo spettatore diventa un individuo, parla con gli
attori, non c’è un inizio né una fine.

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