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I SEGRETI

DELL'ALEF - BEIT

UNA PRESENTAZIONE DEL SIGNIFICA


PRESENTAZIONE TO
SIGNIFICAT
CABALISTIC
CABALISTICOO DELLE 22 LETTERE
DELL'ALF
DELL'ALFABET
'ALFABETO EBRAIC
ABETO O,
EBRAICO,
IN BASE ALLA LORO FORMA, NOME
E VALORE NUMERIC
VALORE NUMERICOO
AVVERTENZA

Ogni lettera riportata viene qui raffigurata in due modi.


Quello a sinistra (più spigoloso, e con delle coroncine sopra
alcune lettere) si chiama: "ktav ashurì", nel set di caratteri
GSTAM. Si tratta del modo esatto col quale le lettere vengo-
no scritte nei Sefer Torà. Quello a destra è un fonte chiama-
to GVILNA, classico, molto fedele alla forma originaria
delle lettere, ma semplificato, rispetto al precedente. Per le
cinque lettere che hanno una forma diversa quando sono
alla fine delle parole (MENANTZEPAKH, cioè Mem, Nun,
Peh, Tzadik, Kaf), vengono riportate entrambe le forme per
entrambi i set di caratteri.

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O gni lettera dell’Alef-Beit ebraico è un vettore d’energia e di luce divina,
che agisce sulla consapevolezza umana in modo triplice: tramite la sua

f o r m a, n o m e, v a l o r e n u m e r i c o.

In altri termini, ogni lettera ebraica è un canale tramite il quale vengono riversati
nel mondo correnti di purissima energia, che si differenziano a seconda
dell'aspetto grafico, del suono, del significato del nome, e del valore numerico
della lettera in questione. Unico tra tutti gli alfabeti del mondo, quello ebraico
riunisce in sè una serie di insegnamenti profondi e ineguagliabili, racchiusi nella
triade: suono, forma, numero. Ogni lettera possiede infatti un nome, che ha
diversi significati compiuti nella lingua ebraica. Ad esempio, Alef significa
“insegnare”, Beit significa “casa”, Ghimel significa "donare", ecc. Questi
nomi convogliano direttive e insegnamenti di vario tipo. Inoltre, lo stesso suono
della lettera ha un grande potere “mantrico”, se cantato o intonato durante
particolari esercizi di meditazione. Ciò significa che il suono ha la proprietà di
far vibrare, tramite il fenomeno della risonanza, particolari organi fisici e
spirituali, migliorando il loro funzionamento, aprendoli alla ricezione dei flussi
energetici provenienti dalla Consapevolezza cosmica. Tra tali organi citiamo
per esempio la ghiandola pineale, che svolge un ruolo importantissimo nella vita
spirituale. Nella Cabalà meditativa si afferma che il canto di alcune lettere
dell'Alef-Beit (come la Yud), se fatto con particolari intonazioni, ha la capacità
di "massaggiare" tale ghiandola dall'interno, stimolando il suo corretto funzio-
namento, che nel caso specifico è quello di recettore della luce spirituale. La
ghiandola pineale è inoltre sede di capacità intuitive e profetiche soprannaturali,
che se attivate portano al dono della chiaroveggenza.

La forma delle lettere agisce in modo sublimale sulla vista di chi le


osserva o le visualizza, oltre a suggerire particolari associazioni simboliche,
capaci di arricchire la sua sfera d’azione spirituale e psichica. Questo potere in
Oriente è associato a disegni o immagini chiamate Yantra o Mandala. Ogni
lettera dell'Alef-Beit è un mandala, una forma capace di guidare l'attenzione
di chi medita su di essa verso il centro dell'Essere e della Coscienza, verso quello
stato di riposo e di silenzio dal quale proviene l'illuminazione spirituale. Più
semplicemente, l'aspetto grafico delle lettere ebraiche ha il potere di guarire il
senso dell'immaginazione, che nella cultura moderna è tartassato e violentato da
una serie interminabile di immagini e modelli negativi.

Infine ogni lettera ha un valore numerico, dall’Uno al Quattrocento, che


descrive in modo esatto l'entità della sua vibrazione. Ogni numero è il depositario
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di una particolare forza spirituale, ed è dotato di un suo carattere distinto. Le
lettere dell'Alef-Beit sono immediatamente traducibili in numeri, e ciò aiuta
l'unificazione tra la parte matematica e astratta della mente e quella più legata
a immagini e simboli. Inoltre, tale proprietà delle lettere (e quindi anche delle
parole da esse composte) permette di identificare con precisione la natura e
l’identità dei numeri, e diventa così uno strumento insostituibile per la
Numerologia.
In definitiva le lettere dell’Alef-Beit agiscono sulla più importante triade
cognitiva umana: Vista (forma della lettera), Udito (nome e suono della lettera),
Intelletto (valore numerico). In Cabalà queste tre facoltà sono note coi nomi:
Chokhmà (Sapienza - Vista),
Binà (Intelligenza - Udito),
Da’at (Conoscenza - Intelletto).
Si tratta delle tre Sefirot superiori dell’Albero della Vita, e la loro unificazione
è lo scopo ultimo dell’evoluzione umana. Ai vantaggi di tale unificazione si
riferisce il verso:
“la corda triplice non si spezzerà facilmente”
che promette l’eternità assoluta della consapevolezza che sarà riuscita ad
intrecciare insieme quelle tre funzioni fondamentali. In altri termini, l'eternità
sia fisica che spirituale richiede il riuscire ad intrecciare insieme la triade
superiore dell'essere umano: la Sapienza (l'intuizione, il paradosso, il lampo
della rivelazione della verità superiore); l'Intelligenza (la ragione, la logica
discriminante, il pensiero verbale); e la Conoscenza (la memoria, la capacità di
unire conoscitore e conosciuto, la capacità del pensiero di influenzare in modo
positivo il flusso delle emozioni).

Lo studio dell’Alef-Beit ebraico è un esercizio altamente mistico,


possibile a chiunque ricerchi con sincerità e umiltà lo sviluppo della sua parte
spirituale, per giungere ad una maggior unione con la Sorgente di ogni bene.
Studiare cabalisticamente l’Alef-Beit non significa soltanto imparare il lessico
o la grammatica ebraica, ma significa innanzi tutto fare amicizia con le lettere,
una per una, imparando a riconoscere la loro forma, nome e numero, aprendosi
agli numerosi messaggi e insegnamenti che esse hanno da darci. Ci sono molte
tecniche che permettono di imprimere più forza ed efficacia alla meditazione
sulle lettere, ma il loro insegnamento richiede il rapporto diretto tra maestro e
discepolo. Nel passato il maggiore di tali maestri fu Rabbi Abraham Abulafia,
uno dei più grandi cabalisti del primo periodo. Più semplicemente, è molto utile
riflettere a lungo sui significati di ogni lettera, cercando di interiorizzarli.
La tradizione dice unanime che Dio ha creato il mondo servendosi delle
ventidue lettere dell'Alef-Beit. Tramite il loro studio possiamo ricreare in noi

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parte di quella novità, freschezza, bellezza e armonia che Dio ha contemplato
dall'alto del Suo trono agli inizi di tutta l'esistenza. Inoltre, i Maestri insegnano
che le lettere ebraiche sono le radici delle anime del popolo d'Israele. Avvici-
nandoci ad esse e aprendoci alla loro influenza, possiamo ritrovare la lettera che
ci è più vicina, il canale dal quale riceviamo la maggior parte della vitalità e
dell'abbondanza.

Prima di passare allo studio delle lettere occorre fare una doverosa
osservazione. Si tenga presente, che al contrario di quanto affermano gli
archeologi della linguistica, la forma attuale delle lettere dell'Alef-Beit non è la
trasformazione di un alfabeto arcaico, quale quello ritrovato su antiche incisio-
ni. La forma dell'Alef Beit da noi studiata e illustrata è quella che aveva fin dai
suoi inizi, la forma concepita dallo stesso pensiero di Dio, già presente sulle
Tavolette che Mosè ricevette sul Sinai. Tale forma, per via del suo valore
altamente esoterico, fu tenuta gelosamente nascosta per più di mille anni, e al
suo posto vennero usate altre figure convenzionali (quelle ritrovate dagli
archeologi). Solo dopo il ritorno dall’esilio di Babilonia, ai tempi di Ezra e di
Nehemia, i Maestri ritennero che era giunto il momento di rivelare la vera forma
delle lettere, onde aumentare loro tramite la discesa di influssi spirituali in un
mondo sempre più malato e sempre più bisognoso d’aiuto. Per un motivo
analogo, oggi si possono rivelare insegnamenti cabalistici da sempre custoditi
nel segreto. Lo scritto in questione è chiamato "ktav ashurì", che non significa
"scritto assiro", come supposto dagli studiosi laici, ma "scritto beato", cioè
scrittura benedetta, fonte di piacere e gioia (osher).
Dobbiamo inoltre mettere in guardia dalle false opinioni espresse da
esoteristi che si sono auto-dichiarati "cabalisti" senza nemmeno sapere l’ebrai-
co! Secondo costoro, le lettere dell’Alef-Beit sarebbero derivate dai geroglifici
egiziani o dagli alfabeti assiro-babilonesi. Sono supposizioni del tutto infondate
e devianti, incapaci di spiegare il miracolo del sopravvivere della lingua ebraica
nei millenni, mentre tutte le altre lingue antiche, sacre o meno, o sono morte o
si sono modificate al punto di non poter più venir riconosciute. La verità e la
vitalità nella tradizione biblica sono interdipendenti. Il Dio della Torà è il Dio
dei viventi! La lingua ebraica si è mantenuta fedele a se stessa nei millenni, ed
è tutt’oggi parlata e studiata da milioni di ebrei e di amici d’Israele in ogni parte
del mondo. Non c’è mai stato un momento nella storia in cui tale lingua non sia
stata nota, studiata, amata, parlata. Nessun altro linguaggio può dire questo di
se stesso! Se la lingua ebraica, Dio proibisca, non fosse stata altro se non
un’imitazione di altre lingue antiche avrebbe già da tempo fatto la loro fine,
svanendo nella polvere del deserto!

Ciò che segue è una succinta analisi delle 22 lettere, della loro forma,

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ALEF . “Unione degli opposti”.

` `
La lettera Alef è la soglia tra il manifesto e l’inconoscibile, tra il segreto
e il rivelato, tra il potenziale e l'attuale. Foneticamente è un soffio appena
percettibile, come quello emesso un istante prima di incominciare a parlare. La
parola italiana più vicina al nome della Alef è: "ineffabile", termine che bene
esprime la natura misteriosa ed elusiva della Alef.
Forma: La Alef è composta da due punti e una linea, due Yud e una Vav.
Il punto in alto rappresenta le Acque Superiori, onde di conoscenza pura e
illuminata, paragonabile all’acqua poiché sa fertilizzare i cuori e le menti di
coloro che si aprono a riceverla. Il punto in basso sta per le Acque Inferiori,
l'insieme dell’emotività umana, affettiva e istintuale, coi suoi moti a volte sereni
a volte turbinosi. Nella consapevolezza umana le acque inferiori possono
assomigliare a pure acque di sorgente, ma anche torbide acque di paludi, a
seconda del grado di sviluppo della personalità. Occorre mettere in comunica-
zione questi due tipi di acque, onde la consapevolezza superiore possa influen-
zare, chiarificare e dirigere quella inferiore. Inoltre, così facendo, le Acque
inferiori, con la loro ascesa e purificazione, stimoleranno una maggior discesa
di Acque superiori, con tutte le benedizioni in esse contenute. Infine le acque
superiori rappresentano i pensieri segreti della Sapienza Divina nascosti nella
creazione, che è stata fatta "con sapienza", cioè usando la sapienza come
"materia prima". Le acque inferiori sono le conoscenze umane, i prodotti della
ricerca scientifica. Negli ultimi decenni tali due tipi di conoscenze si stanno
avvicinando sempre di più, e ciò costituisce una prova dell'approssimarsi
dell'Età Messianica.
La linea (Vav) che unisce i due punti è il segreto del Firmamento. Agli
occhi del miscredente il firmamento è il confine del cosmo, uno schermo che
isola il mondo e lo chiude in una gabbia sigillata, ove domina l’entropia, la legge

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dell’aumento inesorabile del disordine. Agli occhi del sapiente e del fedele il
firmamento è invece il canale che concentra, trasforma e trasporta le acque
superiori in quelle inferiori, cioè che fa scendere in basso gli insegnamenti della
coscienza superiore e cosmica. È anche il canale tramite il quale salgono le
acque inferiori, purificate grazie al lavoro su se stessi, all’ascesi, alla ricerca e
allo studio della verità, alla preghiera. Da ciò si capisce l'importanza del
recupero dell'astrologia esoterica, quale quella insegnataci dal Libro della
Formazione. Suo tramite infatti è possibile comprendere come stelle e pianeti
siano "lettere" che Dio ha posto nel Cielo, descrivendo loro tramite i misteri
superiori. Essi sono dei veicoli che ci trasmettono informazioni altrimenti
troppo lontane o elevate per essere raggiunte. Le stelle e le galassie sono l'anello
di congiunzione tra il finito (la Yud inferiore) e l'infinito (la Yud superiore).

Nome. Alef significa “insegnare”, come in: "Alefkha Chokhmah" = "Ti


insegnerò la sapienza" (Giobbe 33,33). È la promessa fattaci da Dio di
insegnarci la sapienza superiore. Il primo messaggio datoci dall'Alef-Beit
sottolinea dunque l'importanza dello studio della verità esoterica, presente nelle
Scritture divine, attività che secondo il pensiero ebraico è la più nobile che
l'essere umano possa compiere.
Alef significa anche Aluf = “Capo”, “campione”. Nella creazione esiste
un ordine gerarchico, e Dio ("Alufo shel olam" = Campione del mondo")
possiede l’assoluta sovranità, ed è il controllore e sovrano supremo del cosmo.
Alef significa anche “armenti”, “moltitudine di mucche”, come nel versetto di
Deuteronomio 7,13. Ciò ci insegna il bisogno di portare l'unità all'interno della
molteplicità della creazione, fra gli stessi animali, che corrispondono alla parte
grossolana della nostra anima. Anche là dove sembrano importare solo la forza
e la fertilità fisiche, e dove si fanno dominanti l'attrazione verso il mondo
materiale o verso le passioni sensuali, bisogna sapere riconoscere l'Alef supre-
mo, ineffabile, la presenza del Divino, capace di unire tutti i dettagli della
creazione, dai più importanti ai più insignificanti. Si tratta di scoprire le scintille
di santità presenti anche nel regno del male.

Numero. UNO. È il numero che meglio di tutti esprime l’unità assoluta


di Dio. L'Alef rappresenta l’unità e l’unicità del Principio creatore. Il numero
uno è associato a due diversi concetti. Esiste l'uno numerabile, il primo dei
numeri interi, l'unità matematica. Spiritualmente parlando questo uno si riferi-
sce al valore prezioso dell'individualità realizzata: ogni persona è un essere
unico ed irripetibile, ed ognuno di noi deve scoprire queste sue qualità indivi-
duali. Alef dunque è “l’uno che si conta”, il valore inestimabile dell’individua-
lità e dell’unicità dell’anima umana. Tuttavia esistono tante anime e tante
persone, e la loro interazione corrisponde a tutta la grande varietà dei numeri

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interi. L'uno è la base e la chiave di ogni altro numero. Un grande maestro, il Baal
Shem Tov, ha detto che ogni numero non è altro che la Alef che conta se stessa
all'infinito. Esiste tuttavia un altro Uno, a cui si riferisce il Tikkunei Zohar
quando afferma: "Egli (Dio) è Uno ma non nel senso matematico del termine".
L'Unità di Dio è dunque un fatto che trascende ogni concetto matematico: è
l'unificazione di tutte le varie unità definite prima Vale in questo caso il
principio dell'ologramma: ogni parte (anima) contiene il Tutto (Dio), essendo
l'anima ad immagine e somiglianza di Dio. Ciò nonostante il Tutto trascende la
somma delle parti, e nessuna anima potrà mai esaurire la conoscenza dell'infi-
nita perfezione divina.

BEIT
BEIT.. "L'Abitazione di Dio nei
"L'Abitazione
mondi inf eriori"
inferiori"

a a
Forma. La Beit è l’archetipo di tutti i recipienti, l’origine di ogni
capacità ricettiva. Senza di essa il principio creatore dell'Alef non potrebbe
rivelarsi, non potrebbe sussistere e operare con stabilità e costanza. La Beit è un
recipiente chiuso da tre lati (Alto, Basso, Destro) e aperto da un lato (Sinistro).
Da questo lato, secondo la Cabalà, provengono le forze negative. La Beit è
aperta a sinistra per dare la possibilità al male di esistere, e quindi anche alla
libertà di scelta. Infatti, se non ci fosse un principio negativo non potremmo
conoscere ed esperimentare la ricchezza infinita del lato positivo. Se la Alef è
la lettera dell'energia creatrice, la Beit è la creazione stessa, che incomincia con
un atto di libera scelta da parte del Creatore, e che si perfezione con la
manifestazione della libertà di scelta nelle creature. La Beit indica anche i due
possibili modi di conoscere Dio: quello rivelato (aperto) e quello esoterico
(chiuso).

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Nome. Beit significa “casa” (Bait), e al suo livello più alto ciò si riferisce
all’universo, chiamato anche: "la casa della beatitudine", da una permutazione
della prima parola della Torà (Bereshit = "In principio",= Beit Osher, "casa
della beatitudine"). L’universo intero è la casa di Dio, e noi siamo i Suoi
coinquilini. La Torà incomincia con la promessa che questa dimora verrà
riempita della gioia più assoluta. Beit è la lettera con la quale incomincia la Torà,
e questo onore le è stato dato poiché essa è l’iniziale della parola "brakhà" =
"benedizione", e il mondo deve incominciare con una benedizione. "Benedire"
in ebraico significa anche "allargare". La Beit contiene l'idea che i recipienti
devono diventare sempre più larghi, robusti e capaci, onde contenere l'abbon-
danza delle benedizioni che Dio è pronto a darci. L'idea di "casa" si riferisce
anche al lato femminile dell’anima, alla sua capacità di ricettività e disponibi-
lità. Al livello più alto la Beit rappresenta il desiderio di Dio di avere una
"dimora nel basso", cioè nei mondi inferiori. Ciò fa si che il livello materiale
della creazione, pur essendo il più basso, sia oltremodo importante, in quanto
centrale nel pensiero Divino. Lo scopo della vita umana, e in particolare
dell'anima ebrea, è di trasformare l'universo fisico nella dimora di Dio.

Numero. DUE . Beit è la lettera della dualità, l’origine della pluralità.


Essa rappresenta ogni coppia di opposti presenti nella creazione. L'aspetto
negativo, separatore e isolante della dualità viene superato solo quando si
riconosce in esso il recipiente destinato a contenere l’unità.
Il numero 2 contiene il segreto dell’anima del giusto (tzaddik), seconda
solo a Dio. In ebraico Neshamà = “Anima”, contiene le stesse lettere della
parola Mishnè= “Secondo, o vicerè”. L'anima degli tzadikkim (i giusti, che
compiono il volere di Dio) è chiamata: "il Vicerè", in quanto il suo potere e la
sua importanza nella creazione sono secondi soltanto a quelli del Creatore.
Il numero due si riferisce anche a Dio, che è chiamato "il Paradosso di
tutti i paradossi", in quanto Egli esiste simultaneamente in due stati opposti.
Per ogni affermazione logica e verbale che si può fare a proposito di Dio ne esiste
una opposta, la quale, se analizzata nel suo contesto, è a sua volta vera. Ad
esempio, Dio è Luce, in quanto la luce è il simbolo del bene perfetto. Contem-
poraneamente a ciò, esiste in Dio una parte oscura, misteriosa, del tutto
trascendente, come dice il verso: "ha posto l'oscurità a suo lato". La presenza
di tali paradossi all'interno della natura divina può venir gustata solo dalla
consapevolezza che è stata educata dallo studio della Cabalà. Per tale consape-
volezza esiste una facoltà chiamata "Sapienza" (la seconda Sefirà dell'Albero
della Vita), in grado di trarre profondi insegnamenti da ognuna di queste
apparenti contraddizioni. Per la filosofia invece il numero due è il numero
dell'eterno dilemma, del dibattito e della polemica che oppongono una scuola
all'altra; è il numero che rappresenta la pretesa egoica di una sola metà di

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possedere tutta la verità. Invece nella Cabalà il 2 è il numero che sfida ogni
definizione e dogma, poiché è un invito a sviluppare la facoltà della sapienza,
l'unica in grado di apprezzare il paradosso insito nell'Esistenza divina.

GHIMEL. "RATZO V
"RATZO A SHO
VA V"
SHOV"
"CORREVANO E RITORNAVANO" ( Ezechiele 1,14).

b b
Forma. La forma della Ghimel ricorda una persona nell’atto del
correre, col piede steso in avanti. È l'origine e la sede della potenza del
movimento, la spinta a correre fino ad uscire da se stessi, abbandonando le
limitazioni della dualità per immergersi nell'oceano della coscienza superna, in
contemplazione beatifica. Contemporaneamente a ciò, la Ghimel rappresenta
anche la velocità con la quale occorre saper ritornare in basso, per riprendere il
proprio posto nel mondo, dedicandosi a rettificare la realtà inferiore. Tale
processo viene sintetizzato da un versetto di Ezechiele: "le Creature viventi
correvano e ritornavano", detto a proposito dell'essenza della vitalità cosmica,
la stessa che permea l'anima umana, percepita dal profeta durante una visione
celeste.
La Ghimel è la sede della volontà di crescita, di ciò che ci sprona
all’attività, al progresso. La consapevolezza umana dev’essere in continuo
movimento: deve correre al di fuori di se stessa verso l’infinito, per poi ritornare
al finito, onde svolgere con rinnovata motivazione e sapienza i suoi compiti
specifici. La Ghimel è l’origine della potenza del progredire, del lasciare
l’insoddisfacente per ricercare il Divino. Bisogna uscire da se stessi, dalle
precedenti identificazioni, per muoversi verso il vero sè. Non a caso la terza
sezione della Torà (e Ghimel è la terza lettera) è Lekh Lekhà , la sezione nella
quale Dio chiede ad Abramo di lasciare la sua famiglia, la sua terra, il suo

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popolo, e di mettersi in viaggio alla ricerca della Terra Promessa. Si noti che
allora Abramo non sapeva ancora di quale terra si sarebbe trattato, ma accettò
con prontezza il comando. Lekh Lekha significa letteralmente: "Vai Vai!", ma
è possibile tradurre questa espressione anche come: “Vai a te stesso”. Dunque
si tratta del moto verso la parte più profonda, più vera ed eterna di se stessi.
Infine, Ghimel è il simbolo di un onda, dello scorrere di un flusso dorato di
lettere, che sgorgano con abbondanza dalla fonte di ogni sapienza (Zohar). A
tale proposito la sua forma rappresenta anche l'espandersi e il contrarsi della
Luce Infinita durante il processo della creazione dei mondi.

Nome. Ghimel significa “donare”, “distribuire generosamente” =


Ghemilut Chasadim” = “elargire carità e beneficenza”. Il dinamismo di cui
abbiamo parlato prima non è un vano rincorrere se stessi o i piaceri del mondo,
ma consiste nel ricercare le opportunità per aiutare gli altri. Ghimel è la capacità
di condividere con gli altri sia la propria ricchezza materiale che la propria
conoscenza. Tale ricchezza deriva dall'interazione tra il principio creativo
(Alef) e il recipiente ad esso destinato (Beit). Dall'incontro tra seme e terreno
fertile nasce l'abbondanza che nutre il corpo e allieta l'anima.
Ghimel significa anche “svezzare”. Qui la Ghimel diventa la spinta verso
l'indipendenza, e la capacità di aiutare gli altri a raggiungerla. È molto più
meritevole aiutare una persona a diventare autosufficiente che non darle in
continuazione un aiuto economico che l'aiuta a sopravvivere ma non a diventare
indipendente.
Ghimel significa anche “cammello”(gamal), l’animale dei lunghi viaggi
al sud, in cerca di sapienza (in Cabalà il sud è la direzione della Sapienza),
l’animale col quale attraversare i deserti della solitudine per ritornare ai luoghi
della fraternità e dell’amore.
Infine, in aramaico Ghimel significa anche "ponte" (gamla); infatti la
Ghimel possiede una forza connettiva senza eguali. Come vedremo a proposito
del suo valore numerico (3), essa rappresenta la capacità di sintesi tra tesi e
antitesi. Nell'Albero della Vita è il pilastro centrale, che unifica quelli laterali
dell'amore e della severità.

Numero. Tre. È il simbolo della stabilità e dell'equilibrio, raggiunti


tramite la sintesi degli opposti. Nei primi capitoli del Genesi si parla di due
alberi: quello della vita e quello della conoscenza. Il primo garantisce l'eternità
ed è la sorgente di ogni gioia e piacere; il secondo produce la morte, la sofferenza
e la divisione. Secondo lo Zohar entrambi posseggono le stesse dieci entità,
chiamate Sefirot. Ma allora dov'è la differenza tra l'uno e l'altro? La differenza
è che nell'albero della conoscenza le dieci Sefirot sono disposte su due colonne,
mentre la grande novità dell'Albero della Vita è che le colonne diventano tre. Il

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pilastro destro e quello sinistro interagiscono e si riequilibrano grazie al Pilastro
centrale. La via centrale dell’Albero della Vita è chiamata la "via regale", la via
che conduce più in basso e più in alto della altre due.
Tre è un numero maschile, come dimostrato dai Tre Patriarchi d’Israele
(Abramo, Isacco, Giacobbe). Pur essendo il numero della dinamicità è anche
quello della robustezza e della continuità dei propri propositi : "la corda triplice
non può venir spezzata facilmente" (Qolelet 4,12). E' dunque un numero di
durata e resistenza.
Grandi polemiche, sospetto e antipatia, sono nati tra i popoli gentili di
fronte all'espressione sovente usata per Israele: "popolo eletto". Ma una lettura
cabalistica di questa espressione può chiarire gli equivoci. "Scelto" si dice
"segulà", termine che contiene la stessa radice di segol, il nome di una vocale

...
della lingua ebraica che si scrive con tre puntini, due sopra e uno sotto, immagine
schematica dell'Albero della Vita:

L’"essere prescelto" significa dunque l'essere capaci di seguire una via


triplice, come quella indicata dall’Albero della Vita. Ciò non va inteso in senso
unicamente filosofico, come potrebbe essere quello della Tesi, Antitesi e
Sintesi, ma in un senso pienamente esistenziale, vero dunque a tutti i livelli:
materiale, emotivo, intellettuale e spirituale. Un altro significato del numero tre
è "eccellente", come nel versetto: "non ti ho forse scritto delle cose eccellenti
in consiglio e in conoscenza"
"Eccellenti", shalishim, viene da shalosh, tre. Si tratta della Torà, l'inse-
gnamento di Dio, che è triplice in quanto composta da tre parti: il Pentateu-
co, i libri dei Profeti e gli Agiografi.
Al suo livello più alto, il numero tre contiene il segreto della triplice
natura di Keter (La Corona, la Sefirà più alta): la Corona della Torà, la Corona
del Sacerdozio (Kehunà) e la Corona del Regno (Malkhut). In Cabalà esse si
chiamano anche: l’Estremità Inconoscibile,
il Cranio e
il Cervello segreto.
Tale triplicità è presente anche nella Luce Infinita, coi nomi di
Unico (Yachid), Uno (Echad) e Primordiale (Qadmon).
Quello della triplicità presente in Keter è uno dei segreti più sublimi e meno
facilmente accessibili di tutta la Cabalà. Occorre però fare attenzione poiché una
sua comprensione errata potrebbe fomentare varie forme idolatriche.

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DALET
DALET.. BITUL = "ANNULLAMENTO
ANNULLAMENTO
DELL 'EGOCENTRISMO
'EGOCENTRISMO""
DELL'EGOCENTRISMO

c c
Forma. La forma della Dalet rappresenta una persona inchinata umil-
mente, nell’atto di ricevere ciò che la Ghimel, la lettera precedente, le dà.
Dunque la Dalet esprime l'umiltà, la capacità di piegarsi al momento giusto,
riconoscendo i propri veri bisogni e la propria povertà, e di saper chiedere aiuto
alla persona giusta. L'atto del chiedere non è una cosa facile, e presuppone una
grande umiltà, l'abbassamento del sè, la rinuncia alla pretesa di autosufficenza.
La Dalet è l’origine della forza di annullare o perlomeno ridurre il proprio ego,
onde far posto al Sè superiore. Dopo la fase di abbondanza e di fertilità della
Ghimel troviamo qui un'esperienza di povertà e di bisogno. Tramite la sua
accettazione si costruiscono dei nuovi recipienti, atti a ricevere degli influssi
ancor più concreti e materiali. Dalet è una nuova fase di discesa, che consente
alla luce di penetrare nei recessi dell'oscurità inconscia e portare anche là il suo
messaggio di liberazione e di redenzione.
La sua forma contiene tre elementi essenziali: (1) il punto che spunta in
alto, a destra dell'angolo formato da (2) una linea verticale e da (3) una linea
orizzontale. Tali elementi costituiscono i riferimenti visivi ai tre gradini
fondamentali del Bitul, o "annullamento dell'egocentrismo". Il punto in alto
a destra descrive il primo livello, che consiste nel ridurre il più possibile
l'estensione delle proprie preoccupazioni egocentriche, rendendole simili ad un
piccolo punto nero. Si tratta di un lavoro da fare sul proprio ego in modo quasi
privato. La linea verticale è il bitul bi-metziut" ("annullamento in esistenza"),
e viene realizzato nel contesto sociale, a contatto degli altri. È come la
sensazione dello stare in piedi in un posto affollato, molto allo stretto. Occorre
rinunciare al senso del sé separato onde diventare parte integrante del "popolo
dei giusti". Infine il terzo livello, rappresentato dalla linea orizzontale, è il bitul
bi-metziut mamash ("annullamento assoluto") e consiste nel prostrarsi davan-

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ti a Dio, rinunciando ad ogni sensazione di separazione, realizzando così
l'unione assoluta.

Nome. Dalet significa “porta” (Delet). Si tratta della porta attraverso cui
si entra nella creazione, nel mondo materiale, nelle quattro direzioni dello
spazio. Ma è anche la porta di uscita, che riconduce verso il trascendente. Dalet
è la porta che guida verso la conoscenza mistica. La sorvegliano delle entità
particolari, che tengono lontano l’orgoglioso o colui che ci arriva spinto da
motivazioni ambigue. Di questa porta dice lo Zohar: “Colui che non sa come
uscire è bene che non entri neppure”.
Vi è qui un riferimento ai pericoli degli studi esoterici, che portano la consape-
volezza all'interno di realtà dove le normali leggi della natura e della logica sono
sospese. Si corre quindi il rischio di ricevere stimoli troppo intensi, tali da
alterare l'equilibrio mentale della persona entrata incautamente. La Dalet è un
insegnamento d'umiltà e di semplicità, e se si posseggono queste qualità anche
le più intense tra le esperienze mistiche e cabalistiche cessano di essere
pericolose, in quanto l'ego non può appropriarsene per trarne motivo di
inorgoglimento. Inoltre, la Dalet ci insegna che il farsi piccoli e il piegarsi di
fronte alla volontà di Dio sono la “porta” verso il vero sviluppo umano.
Dalut significa anche “povertà”. La dimensione fisica, rappresentata
dalla Dalet, è la più “povera”, in quanto dipende per il suo sostentamento dal
flusso continuo di vitalità che scende dall’alto. Tuttavia essa è egualmente
preziosa, poiché solo suo tramite la rivelazione di tutta la potenza creativa divina
si fa completa. Ciò è indicato dal più importante dei Nomi di Dio menzionati
dalla Scrittura, Y-H-V-H, che possiede quattro lettere, e la Dalet è la quarta
lettera dell'Alef-Beit. Infine Dalet significa "elevazione", come nel verso: "Ti
esalterò Dio poiché mi hai innalzato (dalitani)". Il frutto supremo del bitul è la
liberazione dai vincoli delle leggi fisiche, e il conseguente innalzamento negli
stati superiori della coscienza cosmica.

Numero. 4. Si tratta del numero della materia, con le sue 4 direzioni


cardinali, i suoi quattro stati (solido, liquido, gassoso, igneo), i quattro elementi
(terra, acqua, aria, fuoco), e le sue quattro direzioni cardinali. In natura il quattro
è anche il numero delle forze basilari responsabili di ogni fenomeno fisico:
gravità, elettromagnetismo, interazione atomica forte e interazione debole. A
livello psicologico ci sono quattro tipi fondamentali: sensibile, emotivo, razio-
nale e intuitivo. In Cabalà si descrive l'esistenza di 4 universi: Emanazione,
Creazione, Formazione e Azione.
Si tratta di un numero femminile, come dimostrato dalla quattro Madri
d’Israele: Sara, Rebecca, Lea, Rachele. Al suo livello più alto quattro è il
numero delle lettere del Nome di Dio (Tetragrammaton), che è anche

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chiamato "Ben Dalet" = "Figlio del Quattro". Il ritrovare il numero delle
lettere del Nome di Dio unito al concetto di materia e di mondo fisico non ci deve
sorprendere. Nel pensiero biblico si evitano quei dualismi manichei tipici di
altre dottrine religiose. Il Dio della Torà vuole che il mondo fisico diventi la Sua
dimora, capace quindi di contenere la Sua Infinità senza spezzarsi o senza
venirne distrutto. A tale scopo Egli ha posto nel mondo fisico e nella materia,
rappresentata dal numero 4, i segreti sublimi e la santità presenti nel Suo Nome.

HEY . L'ESPRESSIONE.

d d
Forma. La lettera Hey è formata da tre linee: una orizzontale e due
verticali. Esse rappresentano le tre dimensioni dello spazio: altezza, larghezza,
profondità. La Hey è la nascita di un idea nel mondo fisico, la sua entrata nel
campo tridimensionale. È la lettera dell’auto espressione, della volontà di
rivelare e rivelarsi. L’anima dell'essere umano è segreta, al punto che in gran
parte è sconosciuta alla sua stessa consapevolezza. Essa non può venir cono-
sciuta se non indossa dei rivestimenti. I suoi tre rivestimenti più importanti sono:
pensiero, parola, azione: le tre linee della Hey.
Il pensiero è la linea orizzontale superiore, che definisce la "larghezza"o
ampiezza di vedute della persona. In Cabalà si tratta del legame tra la Sapienza
e l'Intelligenza, le due Sefirot legate ai vari processi intellettuali e conoscitivi.
La linea verticale a destra è la parola, la lunghezza, l'estendersi del pensiero
verso il basso, una forma meno nobile ma rivelata e comunicabile. Questo è
anche il mondo dell'emozione, e la lunghezza indica la qualità della calma e del
non arrabbiarsi facilmente, chiamata Erekh Apaim, o "respiro lungo". Infine la
linea verticale a sinistra è l'azione. Essa è staccata dal corpo della Hey, ad
indicare che si tratta di una dimensione in più, un vettore che entra ed esce dal

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foglio. Il suo essere staccato rappresenta la difficoltà del connettere il proprio
agire con le altre facoltà auto-espressive. Si tratta della profondità con la quale
è necessario penetrare nel mondo fisico, se si vuole che il proprio agire riesca
a modificarne la sostanza. La Hey nella consapevolezza umana è la forza che la
spinge a nascere e a rinascere, a manifestarsi nell’immanenza del mondo
esterno, ad attualizzare le sue qualità nascoste.
Ad un gradino superiore le tre linee rappresentano tre Manifestazioni
Divine: 1) "Egli riempie tutti i mondi". Si riferisce alla Luce immanente, ed
è la linea staccata della Hey, dato che la rivelazione della Luce immanente
avviene in ogni creatura, a seconda della sua capacità ricettiva, in un modo che
sembra "staccato" dalla sorgente superiore di Luce. 2) "Egli circonda tutti i
mondi". È la Luce trascendente, la quale, sebbene sia presente ovunque, appare
come un qualcosa che "circonda" la realtà. È la linea verticale a destra, attaccata
visibilmente alla sua sorgente superiore. Nel contempo essa discende e penetra
la creazione, e ciò significa che la Luce trascendente può venire percepita
perfino a livello dei sensi e dell'esperienza umana. 3) "Tutto è un niente nei
suoi confronti". Si riferisce all'Essenza Divina, indicata dalla linea superiore
orizzontale, in quanto si trova in uno stato di equanimità, e sovrasta ogni altra
possibile realtà.
Nome. Il nome della Hey ha tre significati diversi, che si pongono su tre
gradini successivi dello sviluppo della consapevolezza. Al più basso Hey è un
grido di pena (Ohi!), il primo vagito dell'infante appena nato. È lo stesso dolore
dell’anima, che è una goccia di infinito, quando alla nascita si accorge di essere
scesa nelle ristrettezze del corpo, e di dipendere da tutti i suoi bisogni fisici. È
anche il dolore del distacco dal grembo materno, penoso ma necessario se si
vuole entrare nel mondo dell’oggettività e dell’indipendenza.
Al livello intermedio Hey è un’esclamazione di piacevole sorpresa, la
scoperta inaspettata di un qualcosa di buono (Oh!). Si tratta della gioia
dell’esistenza libera e indipendente, provata durante la realizzazione dei talenti
individuali. La pena della nascita, dell'accorgersi di essere soli e separati, viene
superata dall'eccitazione della scoperta di quanto di buono e interessante v'è nel
mondo, di tutti i programmi di sviluppo e di crescita che nascono nella mente
fervida e irruente.
Il livello più alto Hey è contenuto nella parola Hinè = "Ecco!", espresso
nel versetto: "Hinè Eloeinu, ze kivinu lo" = "Ecco il nostro Dio, in Lui abbiamo
sperato". Si arriva qui alla scoperta della presenza salvifica di Dio anche
all'interno del mondo fisico e nelle contraddizioni della storia. La Sua presenza
si rivela tramite la Sua Parola: la Torà, che possiede cinque libri (il Pentateuco),
come il valore numerico della Hey. Qui la Hey diventa la lettera della rinascita
nel mondo spirituale. La percezione della consapevolezza non è più limitata
dall'apparente molteplicità e conflittualità dell'esperienza, ma ritrova il Princi-

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pio unificatore superiore.

Numero. Cinque. È il numero della forza dell’auto-espressione (la quinta


casa in astrologia). Si riferisce in particolare alla capacità di parlare. Infatti gli
organi fisici coinvolti nel processo del parlare sono cinque (lingua, denti, palato,
labbra, gola). A cinque anni gli ebrei incominciano a studiare l’Alef-Beit, la
chiave per comprendere l’intera Torà, che ha infatti cinque libri. È un numero
ambivalente, poiché può essere connesso con le cinque dita della mano sinistra,
che rappresenta la forza, il giudizio e la severità, ma anche con quelle della mano
destra, quella dell’amore e della compassione. Nel primo caso è il numero della
divisione e della separazione, nel secondo è il numero della scoperta di un ordine
gerarchico che unifica il basso con l'alto.
Cinque è anche il numero dei livelli nei quali si può esprimere l’anima:
Nefesh (Anima animale), Ruach (Spirito o anima libera), Neshamà (Anima
superiore); Chaià (Anima cosmica), Yechidà (Anima divina).
Al livello più elevato cinque è il numero dei libri della Torà (Genesi,
Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio), la più alta forma di espressione
verbale che esista. Ciò corrisponde anche alle 5 volte che la parola "luce"
compare nel resoconto del primo giorno della creazione. Infine 5 è il numero
delle Redenzioni operate da Dio in tutta la storia d'Israele, l'ultima delle quali,
che riguarderà anche tutto il resto dell'umanità, è l'imminente Redenzione
Messianica.

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VAV. “ESTENSIONE E CONNESSIONE”

e e
Forma: La Vav assomiglia ad un pilastro o a una colonna, uno dei dodici
pilastri principali incaricati di sostenere la realtà fisica e di vincere la sua
tendenza alla disgregazione. Qui c'è un riferimento ai dodici segni zodiacali,
dodici canali lungo i quali l'abbondanza e il nutrimento celesti scendono sulla
terra. La Vav convoglia l’idea di forza e stabilità insieme a quella della
verticalità, essendo una colonna che unisce cielo e terra. Nel Libro della
Formazione tale riferimento viene esteso ai dodici lati del cubo spaziale, un
cubo in espansione che rappresenta l'intero universo fisico. La Vav si riferisce
anche alle dodici tribù d'Israele, dodici pilastri che uniscono la realtà spirituale
con quella materiale ("tribù" si dice shevet, che significa anche "bastone,
appoggio"). Nel mondo la Vav rappresenta anche l'asse di rotazione terrestre,
grazie al quale avviene la rivelazione della bellezza e dell'armonia nella natura.
In ebraico "ruotare" possiede la stessa radice di "rivelare" (Gal). La rotazione
dei corpi celesti, intorno al proprio asse e intorno agli assi di orbite più
complesse (rivoluzioni) è un fenomeno importantissimo, in quanto permette
una equa ed omogenea distribuzione dell'energia nello spazio, insieme ad un suo
equilibrato assorbimento da parte dei pianeti. L'asse rappresenta il legame con
l'immutabile, con il costante, che dà senso e direzione al movimento e al
cambiamento.
La Vav suggerisce anche la figura di una persona eretta, o meglio, della
colonna vertebrale, lungo la quale discende il seme umano, dal cervello
all’organo sessuale. Secondo la Cabalà, la potenza spirituale del seme umano ha
origine nel cervello, e poi si estende agli organi sessuali passando attraverso il
canale interno della colonna vertebrale. La Vav è infatti la lettera della fertilità,
considerata come il moltiplicarsi della vita umana. È la lettera dell’unificazione,
considerata come l’incontro armonico degli opposti: maschile e femminile.
Nel suo significato più alto la Vav è il Pilastro centrale dell’Albero della

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Vita, chiamato anche Il "Sentiero d’Oro". È infatti la via più diretta verso
l’unione con la Sorgente di tutta la vita. Inoltre il pilastro centrale unifica le
opposte tendenze di destra e sinistra.

Nome. Pur essendo una linea diritta, paradossalmente Vav in ebraico


significa “gancio”. Secondo i Maestri, ogni elemento costituente la realtà
possiede dei ganci che lo connettono con ogni altra sua parte o dettaglio. Al
negativo ciò indica un eccesso di possessività della personalità, che tende ad
aggrapparsi a tutto e a tutti. Ogni persona è ricoperta da questi ganci, e nel suo
muoversi attraverso le esperienze della vita si attacca a cose e persone. Bisogna
stare attenti che ciò non leda la libertà di movimento degli altri, e la possibilità
delle cose di raggiungere lo scopo per le quali sono state create.
Al positivo invece la Vav rappresenta la capacità in ciascuno di noi di stabilire
rapporti durevoli, gli uni con gli altri, "agganciandoci" a loro per collaborare in
imprese e propositi utili e costruttivi. Nel Tabernacolo costruito da Israele nel
deserto ciò era rappresentato dai "ganci dei pilastri" (l'unione dei due significati
della Vav), dei ganci posti lungo le estremità superiori delle colonne che
costituivano le pareti del Tabernacolo, ai quali venivano agganciati dei tendaggi.
La Vav quindi è la fase stessa del Tiqun o “Rettificazione”, nella quale si supera
la separatività tipica della creazione, intessendo una rete di legami e di scambi.
Secondo la Cabalà infatti alla base della Rettificazione del cosmo si trova il
ricollegare tra di loro i vari elementi che si erano spezzati durante i cataclismi
delle prime generazioni ed età della creazione (Mondo del caos).
Il nome completo della Vav contiene due Vav, che in Cabalà rappresen-
tano Tiferet (la Bellezza) e Yesod (il Fondamento o la Connessione).

Numero. 6. Sono i sei giorni della creazione. Sei rappresenta un idea


astratta ed elevata mentre si estende e discende gradualmente all'interno del
continuum spazio- temporale. La discesa avviene lungo il pilastro verticale
rappresentato dalla Vav. La prima parola della creazione, bereshit, può venir
letta come bara shit, "creò il sei", che diventa così il primo numero menzionato
dalla Scrittura, la base sulla quale si appoggia il creato, il suo asse e pilastro
portante. La stessa prima parola, bereshit, possiede sei lettere, che corrispon-
dono ai sei giorni della creazione, i sei giorni lavorativi della settimana. Dunque
sei è il numero dell’attività e del lavoro necessari per acquisire controllo
creativo sulle dimensioni fisiche. In tutto il primo versetto ci sono sei Alef (Alef
= Elef = Mille), che alludono ai sei millenni della storia del mondo (ci troviamo
ora nel 5755 - 1995).
Sei è anche il numero delle emozioni fondamentali dell’essere umano,
chiamate dal Chasidismo: Amore, Timore, Compassione, Sicurezza, Sempli-
cità, Verità. Si tratta dell'aspetto interiore delle sei Sefirot appartenenti a Tiferet

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(Chesed, Ghevurà, Tiferet, Netzach, Hod, Yesod). Esse sono chiamate “misu-
re”, in quanto la Vav, il cui aspetto ricorda quello di un asta per misurare, è la
lettera che ci dà la capacità di valutare esattamente dove ci troviamo nella nostra
scala di sviluppo, misurando oggettivamente la nostra emotività: fino a che
punto siamo in grado di amare, oppure fino a che punto siamo ancora schiavi
delle emozioni negative. Le sei Sefirot ora descritte corrispondono alle sei ali
possedute da ciascuno degli angeli Serafini che compaiono nella visione di
Isaia. Infine sei è il numero della Stella di Davide, la stella a sei punte che
rappresenta la perfetta unione tra maschile (triangolo discendente) e femminile
(triangolo ascendente).

ZAIN . “LA DONNA DI VALORE”.


VALORE”.

f f
Forma. La Zain è simile ad un pugnale, o ad un’arma da taglio. È la
lettera che genera la capacità discriminante dell'intelletto: quella di analizzare
i concetti, separando il bene dal male, il principale dal secondario, il vero dal
falso. È anche l’arma simbolica con cui combattere la lotta per la propria
sopravvivenza, per guadagnare il necessario al sostentamento. Nell'anima
corrisponde all'inventiva, al senso degli affari, del commercio, all'intuizione sul
come procacciarsi il sostegno economico col minimo sforzo e con la massima
soddisfazione. Ma la sua forma di arma la connette anche con l'istinto di
aggressione, con gli inevitabili conflitti piccoli e grandi che la ricerca del denaro
porta con sè. Al positivo, la forma della Zain è anche quella di uno scettro.
Nell'antico Oriente c’era un’usanza per cui se qualcuno entrava dal re senza
essere stato convocato rischiava la vita, a meno che il re non stendesse lo scettro
verso di lui. È quindi il simbolo dell’accettazione dell’altro, superando le nostre
insicurezze e inimicizie personali, superando l’istrionismo e l’aggressività,

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vincendo gli istinti animali della territorialità. Nella consapevolezza umana la
Zain è il desiderio delle relazioni, in particolare, il sentire che esiste nel mondo
un'"anima gemella" per ciascuno di noi. La Zain è dunque connessa anche con
la ricerca di tale persona, che la Cabalà chiama "una donna di valore".
La forma della Zain è simile a quella della Vav, eccetto che la sua parte
superiore si estende simmetricamente in due direzioni. La Vav rappresenta la
Luce Diretta (Maschile), quella che scende a nutrire e sostenere la creazione. La
Zain rappresenta invece la Luce Ritornante (Femminile), la risposta data dalle
creature, sotto forma di lodi, di buone opere e di crescita della consapevolezza.
La parte superiore della Zain è come una corona, e il versetto dice: "una donna
di valore è la corona del marito". L'ascesa della Luce Ritornante, che è
costituita dal processo di evoluzione coscienziale della Comunità dei Giusti (la
Sposa del Cantico dei Cantici), costituisce la "corona" con la quale siamo tenuti
ad incoronare il Santo, benedetto Egli sia, (lo Sposo).

Nome. Zain significa “strumento di guerra”, e ciò simboleggia la


conflittualità implicita nella natura. Nonostante l'evidente negatività di questo
fatto, in esso ci sono anche aspetti positivi. La necessità di affrontare in battaglia
il proprio nemico ci può elevare ad uno stato di esistenza superiore, come fu il
caso di Giacobbe e della sua lotta con l'angelo. Nell'antico Israele andavano a
combattere solo gli Ebrei osservanti e timorati di Dio. Al contrario, in caso di
una natura umana inferiore, lo stato di guerra ne fa emergere tutti i suoi tratti più
orribili. Con ciò rivediamo la Zain nel suo ruolo di strumento discriminante,
tramite il quale è possibile arrivare ad una chiara ed evidente separazione tra
bene e male. Questo strumento è necessario nella vita spirituale, e va impiegato
per allontanare tutto ciò che è pericoloso per la nostra crescita.
Il nome della Zain può anche venire letto come: ZO"N = iniziali delle
parole Zaqar (Uomo) e Neqevà (Donna), dunque ribadendo come questa sia
la lettera che corrisponde al massimo dell'aspirazione all’unione tra maschile e
femminile, il cui compimento si realizza quando "la sposa diventa la corona del
marito". Se non c'è abbastanza merito o sensibilità spirituale, il legame di coppia
da "duetto" diventa "duello", e si trasforma in una battaglia continua.
ZON significa anche “cibo”, “nutrimento”. La Zain corrisponde
dunque ad una fase nella vita umana nella quale la ricerca dei mezzi di
sostentamento diventa essenziale, e le battaglie che dobbiamo affrontare in essa
diventano esperienze di insostituibile ricchezza.

Numero. Sette. È chiamato il numero beneamato. Se si arriva al livello


dello scettro dorato, la Zain è infatti la lettera dell’amore perfetto. Per essere tale,
l'amore richiede l'unione di tonalità sensuali e romantiche con altre più intellet-
tuali e spirituali. 7 è il numero del matrimonio (la settima casa dell'astrologia).

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7 è il punto d’equilibrio di tre entità poste alla destra (i tre livelli dell'anima
maschile) e di tre entità a sinistra (i tre livelli dell'anima femminile), come
simboleggiato dalle braccia della Menorah, il candelabro del Tempio di
Gerusalemme.
La preferenza che Dio ha mostrato per il numero 7 si vede anche dal fatto
che il Shabat, il settimo giorno, è quello che Lui stesso ha santificato e dedicato
al riposo. Il riposo del Shabat non è un semplice intervallo tra due periodi
lavorativi, indispensabile se non si vuole crollare fisicamente. Il riposo del
Shabat nasce dalla consapevolezza che il fine dell'affaticarsi umano è uno stato
di perfezione e beatitudine superna. Tale riposo è l'occasione insostituibile per
dedicarsi alle attività più belle e sante, che gli impegni della settimana spingono
da parte: lo studio spirituale, la preghiera, lo stare con la famiglia, l'amore
coniugale (la lettera Zain).
Per i popoli gentili sette è il numero dei Precetti fondamentali da
osservare: Non adorare idoli, Non uccidere, Non rubare, Non bestemmiare,
Non commettere adulterio nè omosessualità, Non fare violenza agli animali
per cibarsene, Eleggere corti e tribunali che amministrino la giustizia in
ogni paese e popolo. Infatti la Zain è anche la spada del giudizio, che discrimina
il bene dal male, il permissibile dal proibito. Questi sette precetti sono le
clausole del patto che Dio ha stretto con tutta l'umanità, osservando le quali ogni
essere, quale sia la sua origine o condizione, ha accesso alle promesse di
immortalità spirituale e fisica che Dio ha fatto ad Israele.
Per Israele 7 è il numero dei suoi Pastori: Abramo, Isacco, Giacobbe,
Mosè, Aronne, Giuseppe, Davide. Nell'esoterismo 7 è il numero più importan-
te, in quanto ci sono innumerevoli settenari, nella creazione e nell'essere umano,
e lo studio delle loro corrispondenze è di fondamentale importanza. Si pensi ai
sette Centri di coscienza (chakra), alle sette ghiandole endocrine. Esistono
inoltre sette pianeti, sette monti sacri, sette mari, sette fiumi, sette Palazzi nei
mondi superni, sette Cieli, sette Terre, ecc.

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CHEIT --"IL
"IL BALDACCHINO MA
BALDACCHINO TRIMONIALE"
MATRIMONIALE"

g g
Forma: Ricorda quella di un portale, una "doppia porta"; non a caso la Cheit
vale 8 = 2 x 4, e la Dalet (Porta) vale 4. È la porta tramite la quale il nascituro
viene alla luce, la porta della nascita fisica. Nel suo grado più alto è la “Porta
di Dio, attraverso la quale vengono i giusti” (Salmo 118, 20), la porta della
rinascita spirituale realizzata dai più nobili tra gli esseri umani, quelli che sono
in pace con Dio. La Cheit è una "doppia porta", tramite la quale si entra e si esce.
In natura ciò è quanto succede alle particelle sub-atomiche, che si spostano in
continuazione da un livello di energia superiore ad uno inferiore e viceversa. Al
livello dell'anima la Cheit rappresenta la capacità di accedere ai segreti superni
della Consapevolezza divina, per poi rientrare nello stato normale, onde portare
avanti il proprio compito in terra. Lo Zohar mette in guardia dall'entrare nelle
Stanze dei segreti superni senza poi sapere come uscirne, e dice che la potenza
dell'uscire è superiore a quella dell'entrare.
Osservandola da vicino, la Cheit è composta da una Vav a destra e da una
Zain a sinistra, unite da una linea piegata ad angolo. Si tratta del segreto
dell'unione tra il maschile (la Vav) e il femminile (la Zain), sancita e benedetta
dalla discesa della Shekhinà, la Presenza Divina, che viene a garantire la
stabilità del legame. Non a caso il matrimonio ebraico si svolge sotto un
baldacchino steso al di sopra degli sposi, ad indicare la presenza della Luce
Avvolgente che viene a benedire l'unione.
Ma la Cheit suggerisce anche l’immagine di un recipiente rovesciato, che
è il segreto dell’utero, il recipiente che contiene il frutto più prezioso: la vita
umana. È un recipiente paradossale, in quanto in ogni recipiente naturale il
fondo è in basso e l'apertura in alto. Invece il più importane dei recipienti è
capovolto, e ciò ci insegna che la vita umana deve superare le leggi della natura
se vuole realizzare la sua missione nel mondo. La Cheit ha a che fare con le varie
fasi della gravidanza e del parto, come pure della prima infanzia.

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Nome. Al livello più basso Cheit significa "peccato" (Chet), che consiste
nel volere godere da soli l’energia che anima la vita. È anche il peccato di chi
si fa dominare dalle emozioni e dalla paura. Infatti Cheit significa anche
“paura” = Chatat. In essa sono rinchiuse le paure più istintive e profonde
dell'essere umano. Invece, sul piano più alto Cheit diventa Chaiut = “Vitalità”,
l’energia alla base di ogni processo organico. È l’esperienza della pulsazione e
della crescita, prima fisica, poi emotiva e intellettuale, ed infine spirituale. La
vita è infatti desiderio di crescita e di espansione.
Il legame tra vita e paura viene evidenziato da un verso dei Proverbi di
Salomone: "Il Timore di Dio è (la fonte) della vita". Va notato come qui le paure
inferiori siano state trasformate in Timor di Dio, il principio che salvaguarda la
continuità della vera vita. Dato che il segreto della vita consiste nel continuo
passaggio tra due stati opposti, l'esperienza iniziale della paura, trasformatasi in
Timor di Dio, lascia presto il posto a quella dell'amore più forte e puro, che è il
vero motore del fluire di forza vitale. Dunque il significato più profondo della
Cheit è quello di amore, dell'amore assoluto e sconfinato per ogni forma di vita.
Quando tale amore si esprime al livello dell'anima la lettera Cheit diventa:
"Chaiei ha-neshamà", la "vita dell'anima". Si tratta di una crescente attenzio-
ne al benessere di quelle altre anime che sono connesse con l'essenza della
propria. Invece, raggiungendo il livello della Divinità, la Cheit diventa: "Chaiei
ha-Chaim", la "Vita di tutte le vite". Si tratta della vitalità presente in Dio. È
da tale livello di vitalità che proviene la forza che impedisce alla vita umana di
sprofondare nelle preoccupazioni egocentriche e mondane. È inoltre da tale
livello che proviene l'impeto che porterà alla Resurrezione dei morti.

Numero. 8. Esprime la trascendenza dall’ordine naturale, che culmina


invece col 7. Ritroviamo il messaggio del "recipiente capovolto", e la chiamata
a superare la natura. Otto è l’entrata nella dimensione al di là del tempo. Otto
sono i vertici del cubo, i punti ove l’infinito entra nel finito, i punti di origine.
Si noti come degli otto vertici di un cubo di materiale opaco ne siano visibili al
massimo solo 7, mentre l'ottavo rimane nascosto. Ciò conferma il carattere
trascendente e misterioso di questo numero, che esprime una completezza
superiore a quella del 7. Tuttavia, essendo l'otto legato al cubo, simbolo dello
stesso universo (come affermato dal Libro della Formazione), esso ha un
carattere oltremodo fisico e concreto. In altre parole, l'8 esprime un tipo di
trascendenza che verrà realizzato ed esperimentato anche all'interno del mondo
fisico e della storia umana. Infatti è il numero del Messia.
Otto sono anche i giorni che un ebreo maschio trascorre dalla nascita alla
circoncisione. Ciò ha lo scopo di dare al bambino la possibilità di contattare la
dimensione al di là del tempo. Otto sono le candele di Chanuka, la festa che
ricorda l'affrancamento del popolo ebraico dal giogo dell'ellenismo. Quella

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greca era una cultura tutta legata alla supremazia dell'agilità fisica e della
razionalità intellettuale, ma priva del contatto con la dimensione esoterica e
trascendente dell'anima.
Otto era il numero dei vestiti indossati dal Gran Sacerdote quando
officiava nel Tempio, quindi è un numero sacrificale. La salvaguardia della vita
infatti richiede spesso un grande sacrificio di se stessi. Otto è il segreto
dell’ascendere da ogni rivelazione finita per giungere all’esperienza dell’infi-
nito. A tale livello 8 diventa lo stesso numero dell'Infinito, come si vede dal suo
stesso simbolo matematico, che è una 8 messa orizzontalmente.

TET - “LA LUCE NASCOSTA”.


NASCOSTA”.

h h
Forma. La Tet è costituita da due braccia verticali, una piegata su se stessa e
l’altra diritta: è il simbolo del passaggio dall’introversione all’estroversione.
Infatti nell'ebraico si scrive da destra a sinistra, indicando così il predominio
dell'Amore (parte destra dell'Albero sefirotico) sul Giudizio (parte sinistra). La
linea diritta della Tet viene dunque dopo la parte piegata. È la lettera da cui si
trae la forza necessaria a vincere la passività e la timidezza che caratterizzano
i livelli inferiori della lettera precedente, la Cheit, onde guadagnare sicurezza di
sè e creatività.
La forma della Tet ricorda anche quella di un serpente che si sta
srotolando, e Tet è la "forza del serpente" latente in ciascuno di noi, con l’uso
positivo o meno che se ne può fare. Per "forza del serpente" si intende la potenza
dei livelli inferiori della personalità, una forza istintuale, frutto delle conoscenze

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acquisite nei millenni dell'evoluzione umana, indispensabili alla sopravvivenza
fisica. È la spinta sessuale e riproduttiva; è l'entusiasmo e l'eccitazione che
mettiamo nelle nostre imprese, è il carisma che ci anima, il rispetto che
riusciamo ad ispirare. Tutto ciò, pur avendo un'origine bassa, infima, pur se di
ciò fa parte perfino l'astuzia del serpente che ingannò Adamo ed Eva, è
indispensabilmente prezioso nel processo di redenzione cosmica. Se diretta in
modo opportuno questa forza, chiamata anche On (Alef-Vav-Mem), sarà il
motore della crescita della personalità; in caso contrario essa porterà verso
l’inflazione dell’ego, verso i piaceri voluttuosi, verso il despotismo.
La parte piegata della Tet rappresenta anche la scintilla di bene nascosta
in ogni dettaglio della creazione. La Tet contiene il segreto del bastone di Mosè,
che si trasformava in serpente (parte piegata) e ritornava ad essere un bastone
(parte diritta). Ciò indica il pieno controllo della potenza vitale, oltre che il
sapere quando è il momento di piegarsi umilmente o quanto è il momento di
restare fermi ed eretti.

Nome. Tet significa Matè = "bastone di comando", e la prova che essa


ci pone davanti è il come gestire la parte della personalità che aspira al potere
e al comando. Anche il bastone ci riporta al simbolo del serpente. Al livello delle
anime il serpente rappresenta la giusta potenza di giudizio. Il falso giudizio è "il
tirare ad indovinare", in ebraico nachesh, come nachash, "serpente". Nachesh
è anche una delle pratiche magiche proibite dalla Torà: la divinazione. La
rettificazione ultima del potere di prevedere il futuro sarà appannaggio del
Messia, il cui nome in ebraico vale 358, come "serpente".
Una parola simile a matè è Mata, che significa "basso". Si allude qui a
Malkhut, alla Sefirà più bassa, e che tuttavia è la Sefirà del Regno, del comando.
Solo chi ha fatto propria l’umiltà e l’abbassamento può aspirare ad essere un
vero capo e guida. Inoltre la forza della Tet, come già notato, è quella che sale
dal basso all'alto. Tet significa anche Mità = "Letto". Qui ci si riferisce
all’esperienza sessuale, una delle occasioni più adatte per imparare come
passare dallo stato introverso a quello creativo, se l’energia da essa originata non
viene spesa rapidamente all’esterno ma viene innalzata ai centri superiori della
coscienza. Le spiegazioni sul come riuscire ad effettuare ciò si trovano negli
insegnamenti esoterici dello Zohar. L'ascesa della forza basilare della persona-
lità rende possibile la conquista dell’immaginazione, il superamento della
tentazione occultistica (divinazione e magia) sino a ricevere la Ruach ha-
Qodesh ("Spirito Santo"), e il dono della profezia. Infatti Tet ha a che fare col
Pettorale del Grande Sacerdote, sul quale c’erano gli Urim e Tummim. Questi
erano uno strumento di divinazione, che tuttavia cessò di venir usato quando il
livello morale e spirituale del popolo decadde, e il prevalere delle motivazioni
egoiche rese impossibile il leggere la risposta degli Urim e Tummim.. Tet è

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anche la lettera più importante del nome Metatron, il più importante di tutti gli
angeli, simbolo del massimo potere celeste, ad esclusione di quello di Dio.

Numero. 9. È il numero dei mesi della gravidanza, e quindi delle


responsabilità che il diventare genitori comporta. È il numero dell’amore per i
bambini, della forza educativa, della pedagogia (si pensi al nono segno dello
Zodiaco, il Sagittario). Il campo dell’educazione offre preziose opportunità per
esprimere la propria creatività e personalità in modo utile e fertile. Nove è il
numero di Yesod (Fondamento, la nona sefirà dall'alto dell'Albero), sede e
sorgente della potenza sessuale e della capacità di unirsi sinceramente con gli
altri. È infatti il numero della verità (si pensi alla “prova del nove”). Col nove
si ribadisce l'idea della completezza naturale già vista a proposito del sette, ma
essa manca ancora di un punto, un piccolo punto che la sovrasta, se vuole
giungere alla pienezza anche spirituale. In altri termini, ciò rappresenta il
bisogno di porre sempre il punto dello sconosciuto, del Divino, al di sopra di
ogni successo umano.

YUD -"PUNTO DELLA RETTIFICAZIONE


"PUNTO RETTIFICAZIONE"

i i
Forma. La Yud è un semplice punto, e come tale rappresenta semplicità
ed umiltà. È il punto che manca alla completezza della Tet. La Yud è l’origine
della capacità dell’anima di far si che l’ego possa venir ristretto sino a non
occupare nessuna dimensione fisica. Alla Yud si applica il verso del Cantico dei
Cantici: "Bruna sono ma bella”. Ciò significa che, pur essendo creature deboli
e limitate, sottomesse ad errori e sbagli di ogni sorta, non dobbiamo dimenticarci
di essere le creature predilette da Dio, e di possedere una bellezza di fondo che
è l’immagine e la somiglianza con Lui. Non a caso la Yud, pur essendo la più
piccola e la più nera delle lettere, è stata prescelta per occupare il primo posto
nel Nome Ineffabile di Dio, Y-H-V-H.

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Yud rappresenta il segreto dello Tzimtzum, la Restrizione originaria
compiuta all'interno della Luce Infinita, tramite la quale Dio preparò il posto per
la creazione del finito, l’atto di suprema umiltà col quale Egli diede all’imper-
fetto la possibilità di esistere. La Yud è il punto iniziale, che rimane dopo lo
Tzimtzum, e dal quale hanno origine lo spazio e il tempo.
La Yud è, strettamente parlando, la prima di ogni lettera scritta. Infatti,
non appena si pone il pennino sulla carta si forma un punto nero, una Yud.
Dunque essa rappresenta l'arte dello scrivere, che è innanzitutto un'occupazione
sacra, come dimostrato dall'enorme importanza che le lettere occupano nella
Cabalà ebraica.
Osservandola più da vicino, si vedrà che la Yud è composta da tre parti:
un trattino superiore, un corpo centrale e un trattino inferiore, chiamato
"sentiero". Il sentiero rappresenta le forze della natura fisica, la cui comprensio-
ne richiede un elevato grado di sapienza, e la Yud di solito è connessa con la
sapienza. Si tratta della "sapienza di Salomone", basata sulla consapevolezza
continua di come il mondo venga ricreato istante dopo istante. Il corpo della Yud
rappresenta la "sapienza delle cose divine", anch'essa posseduta da Salomone,
specie quando si sedeva a giudizio. Si tratta della profonda comprensione dei
misteri superiori dell'anima, e delle dinamiche metafisiche che vi hanno luogo.
Infine, il trattino superiore della Yud si riferisce alla Luce Trascendente,
l'ispirazione che guida i due tipi di sapienza descritti prima.

Nome. Yud significa "Mano" (Yad), e in senso lato "spazio". Lo Tzimtzum


(Restrizione) è stato l’origine del concetto di "spazio". La Yud è simbolo di
qualità pratiche e lavorative, (la mano) ma anche di intelligenza, di capacità
d’afferrare concetti astratti ed elevati (l'intelligenza che la guida). La Yud
governa infatti l’inizio della formazione dei pensieri, essi stessi paragonabili a
dei punti.
Yadà significa anche "gettare", e dalla stessa radice deriva il significato
hodaià = "ringraziare". Ringraziare in ebraico implica il riconoscimento del
fatto che inizialmente la verità si trova al di sopra della possibilità di venir
afferrata dalla propria intelligenza. Tramite questo riconoscimento, unito alla
prima percezione della verità in quanto tale, la persona amplia la ricettività della
"mano" dell'intelligenza, e lo spazio disponibile all'interno della consapevolez-
za. Così facendo, anche la verità più elusiva si affaccia sull'area della coscienza.
Un altro significato di Yud é "Amico" (Yedid), cioè Yad Yad = mano-mano, un
ideogramma che simboleggia una delle più pacifiche forme d’intimità: il tenersi
reciprocamente la mano.
Al livello superiore la Yud rappresenta la stessa "mano di Dio", la Sua
capacità incommensurabile di sostenere tutta la creazione. Dice il Salmo: "Tu
apri la Tua mano e soddisfi con favore ogni essere vivente". La Cabalà interpreta

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"la Tua mano", yadekha, come "il potere della tua Yud" (Yudekha), quindi
della stessa sapienza superiore, con tutti i segreti che essa contiene. La Yud è la
prima lettera del Nome di Dio, la potenza del Divino pensiero, il seme che
contiene il piano dell'intera creazione.

Numero. 10. Numero importantissimo, base di tutto il sistema numerico


più utilizzato nel mondo, detto appunto “decimale”. Infatti il dieci esprime la
sapienza più elevata e sofisticata. 10 è anche il numero della collegialità e della
collettività. Nella Halachà (regola di vita pratica) occorrono almeno dieci ebrei
maschi al di sopra dei tredici anni di età per potere recitare determinate preghiere
e per potere leggere il rotolo della Torà. Si dice che il popolo d'Israele sia
composto da dieci tipi diversi di persone, corrispondenti alle dieci Sefirot: 1)
Capi di migliaia; 2) Sapienti; 3) Intelligenti; 4) Coloro che praticano
l'amore; 5) Forti; 6) Insegnanti di Torà; 7) Profeti; 8) Veggenti; 9) Giusti;
10) Re.
Nella tradizione biblica il numero 10 esprime meglio di ogni altro l’idea
di completezza. Il mondo fu creato tramite dieci “Detti” di Dio. Le “Espressio-
ni” sulle tavole della Torà erano dieci, note come i “Dieci Comandamenti”. È
il numero della conquista della vetta, l'arrivo al punto più alto che esista. Dice
il verso: “Il decimo sarà santo al Signore”. Da qui deriva il principio della
decima, il prelievo della decima parte dei propri guadagni per donarla ai poveri
o devolverla in opere di carità. Quando il Tempio era in funzione la decima
veniva data ai Sacerdoti. Essa non ci appartiene ma è "santa a Dio", e va quindi
utilizzata solo per attività da Lui espressamente previste.
Se sette è il numero beneamato, dieci è il numero santo. Esso è il numero
delle Sefirot sull’Albero della Vita, indicanti la totalità delle potenze luminose
dell’anima.

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KHAF - "CORONA DELLA SALVEZZA
VEZZA""
SALVEZZA

k j kj
Forma. Ricorda quella di una Corona (Keter). Immaginando la terra
come il punto della Yud, sospeso in aria, la Kaf è il semicerchio definito dallo
spazio visibile intorno alla terra. Al di là del visibile, tale semicerchio allude ad
un anello di forza posto oltre le orbite dei corpi celesti, ove risiede l'origine del
moto e della rivoluzione di tutto il cosmo. È la totalità dell’esistenza trascenden-
te che circonda l'universo fisico; è il campo di forza al di là di stelle e galassie,
e di ogni altro corpo celeste, quasars inclusi. Nell’anima rappresenta il trascen-
dente, il super-cosciente. In Cabalà è la Luce Avvolgente, quella parte della
Luce perfetta, che esisteva agli albori della creazione ma che non ha trovato
posto nei confini del cosmo, e che è rimasta “a distanza”, ad avvolgerci e a
proteggerci. È anche la rotondità della parte superiore del cranio, sulla quale si
appoggia la corona. La Kaf quindi è connessa con gli stati più elevati della
coscienza, i più vicini alle dimensioni trascendenti.
La Kaf come semicerchio ci porta all'idea che ciascuno di noi è una
semplice metà di una realtà molto più complessa, alla ricerca dell'altra metà. A
tale segreto allude la mitzvà del machatzit ha-shekel, il mezzo shekel d'argen-
to che ogni ebreo doveva versare nelle casse del Tempio. Ciò sottolineava la
relatività di ogni persona, e il suo bisogno di trovare compimento soltanto
tramite i legami interpersonali con le altre metà.
Un altro modo di interpretare la forma della Kaf è di vederla composta di
tre linee, quasi come la Beit, con la quale i principianti in ebraico spesso la
confondono. Qui però i due vertici di incontro delle linee sono molto arroton-
dati. Le tre linee della Kaf sono un'allusione ai tre stati dell'esperienza di Keter,
la Corona: 1) la Fede Semplice; 2) il Piacere beatifico Infinito; 3) il Volere
assoluto. Tali esperienze corrispondono ai tre significati della parola Keter in
ebraico: 1) "aspettare", poiché ciò implica la fiduciosa attesa del momento in
cui si rivelerà la perfetta bontà dell'intenzione divina per ciascuno di noi. 2)

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"Corona", riferentesi alla parte più sensibile del membro sessuale, il perimetro
esterno del glande, che la circoncisione libera completamente dalla pelle che lo
avvolge e lo isola. Tale parte è la sede del piacere più intenso, e dell'unione più
intima con la controparte femminile. 3) "Circondare", è la sensazione del come
la Volontà di Dio sia all'opera in ogni dettaglio della creazione, e del come ne
siamo immersi completamente, ricevendo da essa guida e protezione. Al livello
più alto le tre linee della Kaf simboleggiano i tre stati della Luce Infinita prima
della Restrizione.
La Kaf è la prima delle cinque lettere che possiedono una forma diversa,
quando si trovano alla fine di una parola. Nella sua forma finale, per via del tratto
che discende in basso a sinistra, essa indica l'estendersi della Luce Infinita
all'interno dei mondi, sotto forma di Linea.

Nome. Kaf significa “cucchiaio”, “palmo della mano”. È il nome di uno


strumento semicircolare. In Cabalà il cucchiaio è soprattutto lo strumento che
serve per raccogliere l’incenso e per offrirlo sull’altare. L'offerta dell'incenso
era al centro del servizio del Tempio di Gerusalemme, simbolo del sacrificio più
gradito, della preghiera più accettata, dell’ascesa delle proprie passioni e della
loro trasformazione in un qualcosa di nobile e profumato. L’incenso contiene il
segreto della vita eterna, infatti l'angelo della morte non si ferma di fronte a nulla
se non all'incenso del Tempio di Gerusalemme.
Kaf significa anche “copricapo”, “cupola”, “corona”. È all’origine della
capacità di essere sempre consapevoli della presenza di un qualcosa che ci
sovrasta, del trascendente. Da ciò si spiega il fatto che gli ebrei religiosi
indossino sempre una Kipà (dal nome della Kaf) sulla testa. Ciò aiuta a
mantenere viva la sensazione della presenza di un qualcosa che si sovrasta, che
ci trascende. È lo stesso palmo della mano del Creatore, costantemente posato
su di noi, per proteggerci e benedirci. La sommità del capo è il luogo ove si trova
il più elevato tra i sette centri di coscienza, ciò che ci rende dei "capi" (parola
italiana che deriva da Kaf), cioè dei maestri e delle guide. Kaf inoltre ha il senso
di “influenzare”, “forzare”, “costringere”. Se ci rendiamo conto della presen-
za del Divino sopra di noi, ci sentiremo sempre obbligati a scegliere il bene e non
il male. In premio riceveremo "un palmo pieno di soddisfazione" = "malè kaf
nachat", come dice un verso del Qoelet. Il recipiente della mano (e dello stesso
spazio contenuto all'interno della testa) vengono riempiti di tutto il bene e
dell'abbondanza superiori.

Numero. 20. Giuseppe venne venduto dai suoi fratelli per venti pezzi
d’argento, coi quali essi comprarono delle scarpe (la scarpa corrisponde a
Malkhut, il punto più basso). Ciò rappresenta il pericolo di tradire l’aspirazione
al Divino, al trascendente, in cambio della luce contenuta all’interno della

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creazione, dell’immanente, o peggio, di quella contenuta nei livelli dei desideri
e delle passioni fisiche. È il rischio di abbandonare la corona della santità per una
corona unicamente politica e mondana. 20 è anche il valore del “mezzo sheqel”
d’argento che ogni ebreo doveva portare al Tempio una volta all’anno. Questo
gli ricordava che egli era soltanto una metà di una realtà, e che aveva bisogno
d’incontrarsi con l’altra metà per sentirsi completo (la Kaf è un semicerchio).
Nell'Albero della Vita il numero 20 rappresenta l’unione delle dieci Sefirot della
Luce diretta (dall’alto al basso) con le dieci Sefirot della Luce Ritornante (dal
basso all’alto). È quindi il segreto dell’unità perfetta dei mondi superiori con
quelli inferiori. Nel suo livello più elevato, 20 si riferisce ai due Partzufim o
Espressioni presenti in Keter: il Santo Primordiale e il Volto Infinito, ognuno
dei quali possiede dieci Sefirot complete. È il segreto del Mondo della Rettifi-
cazione, dato che ciò è vero soltanto per questo secondo livello di realtà. Il primo
mondo invece, quello del caos, al livello di Keter possedeva il solo "Volto
Infinito".

LAMED --"LA
"LA TORRE CHE V
TORRE OLA IN ARIA
VOLA ".
ARIA".

l l
Forma. La Lamed è la più alta delle lettere dell’Alef-Beit, chiamata dallo
Zohar: "Torre che vola in aria". Essa è l’origine di ogni aspirazione a liberarsi
dalla grossolanità e dalla pesantezza per innalzarsi nelle sfere celesti. Al
negativo ciò può limitarsi ad un romanticizzato idealismo, viziato da false
pretese emotive; al positivo invece diventa un’ascesi spirituale, compiuta non
in modo privato e segreto, ma tramite un mutato atteggiamento nel campo dei
rapporti interpersonali. La Lamed è all'origine di ogni forza ascensionale che ci
porta a superare le leggi di gravità e a scoprire la vastità della libertà dello spirito.

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Guardandola da vicino si riconosce in essa una Kaf in basso, una Vav in centro
e una Yud sopra. Si potrebbe semplicemente pensarla come un razzo a tre stadi:
la parte circolare in basso è la prima spinta, che la porta in orbita intorno alla
terra. Poi viene la Vav, il viaggio ascensionale verso gli spazi esterni. Infine
anche questo vettore viene superato, e rimane solo la navicella trasportante la
consapevolezza, la Yud, indirizzata alla scoperta dell'infinito.
La sua forma è stata inoltre connessa con la Scala di Giacobbe (Sullam),
la cui base tocca la terra e la cui cima arriva al cielo, e lungo la quale gli angeli
salgono e scendono. Tutto ciò è un bellissimo simbolo di unificazione degli
opposti. Non a caso la forma della Lamed ingloba un semicerchio e una retta,
il moto rettilineo e quello circolare. Il modo più esatto di rappresentarsela in tre
dimensioni è dunque quello di una scala a chiocciola, una spirale che si innalza
verso il cielo. Dal punto di vista della Consapevolezza divina, i tre componenti
della Lamed (la Kaf, la Vav e la Yud) rappresentano i tre livelli della realtà:
Mondi, Anime e Divinità.

Nome. Al livello più basso Lamed vuol dire "pungolo", lo strumento


usato per dirigere un animale attaccato ad un carro. Si tratta del potere di
controllare gli istinti animali, a volte battendoli e colpendoli se necessario, e
altre volte stimolandone la forza per utilizzarla a fin di bene. Come si vedrà, tale
potenza proviene dalla giusta educazione e dallo studio della Torà. Infatti
Lamed vuol dire sia “insegnare” (lelamed) che “imparare” (lilmod). È innanzi
tutto attraverso l’opera dell’intelletto applicato allo studio della verità rivelata
che ci si può innalzare. Inoltre, insegnare e imparare sono la stessa identica cosa.
Non si può studiare da soli, ma si impara solo quando si riesce a condividere
quanto già studiato. Con questi termini non ci si riferisce ad una sola attività
razionale, poiché la parola LAMED forma l’acrostico "Lev Mevin Da’at =
Cuore che Comprende la Conoscenza". La conoscenza della Lamed è dunque
quella del cuore, che unifica emozione ed intelletto. Lamed è la forza che fa
scendere l’erudizione dalla testa al centro del cuore, colorandola con la giusta
tonalità emotiva. In tal modo la frattura mente - sentimento, tipica della nostra
società, viene sanata. È anche la forza che permette ai sentimenti di ascendere
al pensiero della testa, e qui di rivelarsi, permettendo la piena comprensione (e
quindi il controllo) di ogni fenomeno emotivo. La conoscenza della Lamed è
da’at, termine usato anche per descrivere il rapporto sessuale tra marito e
moglie. La Lamed dunque ha molto a che fare con l’unione maschile-femminile.
Sul piano dell'anima umana lo studio più proficuo è quello della Torà,
l'insegnamento divino. Si tratta del precetto più inclusivo di tutti, quello che
contiene in sé tutte le altre mitzvot. Lo studio della Torà non solo acuisce
l'intelletto, ma rettifica la propria capacità immaginativa, grazie ai suoi racconti
e parabole. Lo studiare per poter insegnare è considerato un impegno nobile ed

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altruistico, data l'identità tra i due significati della Lamed. Su di un piano più alto
ancora, cioè dal punto di vista della Divinità, vale il versetto: "Tutti i tuoi figli
sono studenti di Dio, e grande e la pace dei tuoi figli". "Studenti di Dio" significa
stare imparando direttamente dalla bocca del Creatore, e occuparsi soprattutto
dei segreti superni, della parte esoterica della Torà. Si tratta di una pura
meditazione sull'Infinito senza la motivazione recondita di utilizzare poi i suoi
frutti nel mondo fisico. La seconda metà del versetto mostra come il frutto di un
tale studio sia niente meno la stessa pace messianica. Coloro che vi si dedicano
sono chiamati "i costruttori", in quanto edificano la nuova realtà rettificata, "i
nuovi cieli e la nuova terra".

Numero. 30. È il numero dei giorni del mese, che in ebraico possiede due
nomi: Yareach (Luna) e Chodesh (Nuovo). Ciò si riferisce al ciclo della luna,
con la sua morte apparente e la sua rinascita. La luna è Malkhut, il Regno, per
acquisire il quale, secondo i maestri, sono necessari 30 attributi. Anche il nome
di Yehudà, il capostipite della famiglia regale d'Israele, vale 30. Sia la luna che
Malkhut sono simboli femminili, e sono inoltre legati al cuore, un'altra delle
corrispondenze fondamentali della Lamed. Lo stesso ciclo mestruale femminile
è parallelo a quello lunare. In tutto ciò troviamo come alla base del potere
unificatore del ciclo temporale ci sia una qualità femminile, che è anche quella
capace di tingere lo studio della Lamed di tonalità affettive, legandolo al cuore.
Il fatto che ogni segno zodiacale possegga 30 gradi significa che in esso si
compie un ciclo intero, al termine del quale la consapevolezza arriva ad un
nuovo gradino, superiore al precedente. Vediamo in ciò nuovamente la potenza
della Lamed, la scala a chiocciola, che permette l'elevazione e la nobilitazione
del carattere, giro dopo giro. Secondo il Talmud, Trenta è l'età della forza,
senza la quale la "torre" non potrebbe volare. Trenta è l’età in cui una persona
incomincia ad avere peso socialmente, e la Lamed rappresenta l’entrata piena
ed oggettiva nella rete dei rapporti sociali più complessi. 30 è anche Yihè =
Sarà, la terza persona singolare del futuro del verbo essere. È la promessa di
impegnarsi a realizzare le potenzialità mostrate nella giovinezza, promettendo
di fare ancora di meglio nel futuro.

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MEM - ""A
ACQUE DI VITA"
VITA

mn mn
Forma. La Mem può essere aperta, quand’è all’inizio o nel mezzo di una
parola, oppure chiusa, quand’è alla fine. Ciò rappresenta i due stati dell’acqua:
quella proveniente da una “fontana aperta”, cioè una sorgente d’acqua posta
in superficie, e da una “fontana chiusa”, cioè le acque nascoste nel profondo
della terra. Le due Mem simboleggiano le due parti dell’anima: quella che si
incarna, scorrendo dall'alto, e quella che rimane sempre legata ai mondi divini,
memore della sua origine segreta. Non bisogna mai perdere questa memoria.
Inoltre, dice il Sefer Ha-Bahir che la Mem ha la forma del ventre
femminile: aperto e chiuso. È la capacità di ricevere il seme, di custodirlo e farlo
crescere, per aprirsi nuovamente e lasciare uscire la creatura neonata. Per il feto
l'utero è pieno di "acque di vita", nelle quali esso nuota e cresce. La parola Em
(madre) possiede la Mem come suono fondamentale. Quindi la Mem rappresen-
ta la capacità materna dell'essere umano e della natura.
La Mem quadrata (finale) indica invece la capacità di crescita esponenziale
(al quadrato) insita nella consapevolezza realizzata. Se l’unione tra le opposte
polarità ha funzionato, come desiderato dalla Lamed, allora “il due diventa
quattro”, cioè avviene la piena e rapida moltiplicazione degli effetti positivi.
Questa frase sibillina (il due che diventa quattro) si riferisce al segreto ultimo
dell'unificazione tra maschile e femminile. Il quattro qui ha a che fare con la
forma quadrata della Mem finale. Ciò costituisce un paradosso, dato che
secondo la logica l'unione tra due opposti dovrebbe piuttosto chiamarsi: "dal
due all'uno". Cos'è il quattro? È la rivelazione della parte nascosta, superiore,
trascendente, dell'uomo e della donna coinvolti nella relazione. Il calore del
legame produce una reazione alchemica, grazie alla quale emergono due nuove
entità, che prima erano potenziali e non vissute: la parte superiore dell'uomo e
quella della donna. Ciò è accompagnato da un senso di realizzazione e di
completezza che inonda le coscienze e le illumina.

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Al livello più alto la Mem finale quadrata rappresenta l'enorme potenzia-
lità di bene presente nell'anima del Messia, nome che anch'esso incomincia con
la Mem. Al Messia allude il versetto: "ha-marbè le misrà", "all'aumento del suo
regno", l'unica volta in tutta la Bibbia in cui compare una Mem nella forma
finale a metà di una parola (ha-marbè). Ciò simboleggia la rivelazione delle
Acque superiori, cioè della Sapienza divina, che avrà luogo durante il suo regno.

Nome. Al gradino più basso Mem significa “difetto” (Mum). Ci si


riferisce qui alla consapevolezza quando rimane intrappolata nel ventre, schiava
delle sue passioni e istinti. Infatti secondo il Libro della Formazione la Mem ha
sede nel ventre umano. La Mem è anche “Acqua” (Maim), cioè pura e semplice
emotività, simbolo dell’amore, poiché l’acqua e l’umido hanno la proprietà di
far aderire due cose separate. Occorre che l’attrazione tra uomo e donna cessi
di essere solo l’espressione di una serie di istinti (sessuale, potere, sopravviven-
za), e diventi invece la via prediletta del rivelarsi della coscienza superiore. La
Mem inoltre è la lettera dell'umiltà, che troviamo nella proprietà dell'acqua di
tendere sempre verso il basso. Esistono però delle acque negative, quelle delle
passioni mondane e sensuali, paragonabili alle acque amare e imbevibili
incontrate da Israele durante il suo viaggio nel deserto. Grazie a Mosè esse
vennero rese potabili. Ciò rappresenta l'opera risanatrice che la Torà effettua
negli stati inferiori della creazione. Infatti al suo più alto livello l'acqua diventa
il simbolo stesso della Torà, l'unico insegnamento capace di soddisfare comple-
tamente i bisogni dell'anima umana. Qui i due stati della Mem: aperta e chiusa,
rappresentano i due livelli della Torà: rivelata ed esoterica.
Mem è anche chiamata: "la lettera della semplicità", poiché nel suo
riempimento contiene solo se stessa (Mem- Mem). Occorre imparare ad essere
se stessi sino in fondo, superando le false identificazioni egoiche.

Numero. 40. Nella tradizione ebraica 40 è il numero minino di Sea (unità


di volume) di acqua che un Mikve (vasca per immersioni purificatorie) deve
contenere. Qui si rivela la capacità purificatrice dell’acqua, se ci si immerge in
essa completamente, sperimentando una specie di morte e rinascita È dunque il
numero della purificazione. Anche il Diluvio Universale durò quaranta giorni.
Al di là del suo significato di punizione e disastro, il Diluvio può venir capito
come il colossale mikve (bagno purificatorio) nel quale l'umanità di allora venne
immersa per essere purificata dalla sua condotta immorale. In seguito quelle
anime si sarebbero reincarnate ad un livello più elevato.
40 è il numero tipico dei periodi di attesa e di preparazione, come i
quaranta giorni che Mosè passò sul Sinai per ricevere la Torà, o i quaranta giorni
di pentimento che precedono la Festa dell’Espiazione, o i quarant’anni che
Israele dovette trascorrere nel deserto. Si tratta di un periodo necessario per

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soggiogare le forze selvagge dell’immaginazione negativa e degli istinti anima-
li, e per purificarle, immergendole nelle "acqua di vita". Tali forze istintuali
provengono dal ventre (la Mem come "ventre"). Nel deserto esse erano
rappresentate dai serpenti e dagli scorpioni che minacciavano chi si allontanava
dall'accampamento (la perdita di contatto con l'anima collettiva e con le sue
radici vitali). In particolare, 40 è il numero del periodo dedicato alla Teshuvà,
al ritornare a Dio, e questo è il significato più importante della Mem, l'invito a
ritornare verso la retta via. Del numero 40 dice il Pirkey Avot: “A Quarant’anni
la Binà (Conoscenza)”. È l’età nella quale lo studio delle parti più difficili della
Cabalà incomincia a dare i suoi frutti più ricchi, e si apre la fontana della
sapienza nascosta.

NUN - “YINNON SARÀ IL SUO NOME”

o p op
Forma. La Nun ha un aspetto piegato, raccolto su se stesso. È l’atto dell’inchi-
narsi, del piegarsi sotto un carico pesante. Si tratta del “povero” (Ani), la
persona che più di tutte rischia di cadere, piegata dalle difficoltà della vita. La
Nun è la sorgente della capacità di trovare senso e significato anche nei momenti
più gravi della vita, durante crisi e depressioni. Tuttavia è anche la lettera che
rappresenta tali momenti critici. L’insegnamento principale della Nun è quello
dell’umiltà. La sua piegatura è doppia, in alto e in basso: occorre dunque essere
doppiamente umili, sia nei confronti di ciò che ci sovrasta come pure di ciò che
sta sotto di noi. Quando si trova alla fine di una parola, la Nun si scrive con una

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forma diritta e allungata. Ciò significa che essere umili non vuol solo dire
piegare il capo, ma che a volte è indispensabile elevarci a difesa degli ideali
morali più importanti. Inoltre, la Nun finale insegna che chi sopporta le prove
con fede alla fine verrà raddrizzato e premiato. Secondo il Talmud le due forme
della Nun rappresentano le due condizioni del fedele: "il fedele piegato e il
fedele eretto". La prima condizione è tipica di colui il quale, pur se piegato sotto
il peso delle contrarietà della vita, non perde la fede ma al contrario rafforza il
suo senso di desiderio di Dio. La seconda invece rappresenta il fedele che viene
raddrizzato ed esaltato da Dio, ricevendo la ricompensa per la sua umiltà e per
la continuità dei suoi sforzi. In tale forma la Nun costituisce la più lunga e diritta
di tutte le lettere, indicando così quel flusso di energia rettilinea che attraversa
l'intera creazione e ne costituisce l'asse principale, intorno al quale ruota tutto
il resto. È il bariach ha-tikhon, il palo che teneva insieme tutte le pareti del
Tabernacolo, il simbolo della Linea originaria che Dio estese all'interno dello
spazio vuoto formatosi dopo lo Tzimtzum, la Restrizione che ha preceduto la
creazione.

Nome. Nun significa Nefilà = “caduta”. È la lettera delle crisi più dure
della vita, che se intese nel senso giusto portano alla rinascita e alla rigenerazione
totale della consapevolezza. Come vedremo, nell'Alef-Beit essa è seguita dalla
Samekh, che significa "appoggio", riferendosi alla onnipresenza di Dio, alla Sua
immediata capacità di offrire appoggio e sostegno in ogni circostanza.
In aramaico Nun significa “pesce”. Non a caso la Nun segue la Mem, la
lettera dell'acqua! Il pesce è un simbolo di fertilità, e costituisce l'estendersi della
potenza di crescita della Mem all'interno dell'inconscio. Esso è inoltre un segno
di buona fortuna e di felicità, in quanto il pesce non risente delle tempeste cui
può essere sottoposto il mare, parallele alle bufere dell'emotività umana. Infine
il pesce rappresenta rettitudine, dato che fu l'unico animale a non venir ucciso
dal Diluvio, che ha punito i peccati non solo dell'umanità ma anche della natura
animale. Inoltre, vivendo nell'acqua, che è amore e unione, diventa esso stesso
il simbolo dell'amore. Per tale motivo la Torà non richiede che per venir
consumato come alimento esso debba prima venir ucciso ritualmente, come nel
caso dei quadrupedi e dei volatili. Dal punto di vista esoterico il pesce possiede
infatti un senso di identificazione egoica molto inferiore a quello di qualsiasi
altro animale.
Come ultimo riferimento, la Nun allude alla storia del profeta Giona,
ingoiato dalla balena per non aver voluto profetare. La discesa nell’acqua e la
prigionia nel pesce hanno a che fare con il viaggio nei segreti dell’inconscio, alla
scoperta delle parti più oscure e cadute della personalità. Chi riesce a riemergere
arricchito si trova in possesso delle chiavi dell'auto-realizzazione. Anche il più
grande tra i profeti, Mosè, venne "tratto dalle acque".

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Il nome della Nun si riferisce anche ad uno dei nomi segreti del Messia:
Yinnon (Salmo 72,17), nome difficilmente traducibile, ma che comunque
descrive la qualità della docilità e della mitezza, di una passività non oziosa ma
creativa. Il Messia si imporrà in virtù di queste qualità, e non tramite la forza
militare e il potere economico, come fanno i governanti a cui siamo abituati. Il
nome Yinnon contiene sia la Nun piegata che quella diritta, indicando la
complementarietà dei due stati descritti prima, il fedele sofferente e il fedele
trionfante.

Numero. 50. È il numero delle Porte della Conoscenza, corrispondenti


alle cinquanta domande poste da Dio a Giobbe, che voleva comprendere il
problema del rapporto tra bene e male. Ogni Porta è un livello di comprensione
che l’anima ha del Mistero divino. Tutte insieme esse rappresentano lo scibile
del sapere umano, dal regno fisico e sensibile a quello esoterico, attraverso
quello morale e spirituale. Se si vuole trovare risposta all'eterno problema
dell'esistenza del male occorre fare della propria vita una riflessione continua su
tutte quelle 50 domande. 50 è il numero degli anni del Giubileo, il più ampio dei
cicli festivi ebraici. Durante il Giubileo si proclamava la libertà assoluta di tutti
i servi, e i beni immobili venivano restituiti ai loro proprietari originari. Qui la
Nun rivela il suo aspetto finale, in qualità di asse che attraversa l'intera
creazione, indicandoci quale sia la direzione della vera origine e appartenenza
di ogni cosa.
50 sono i giorni che separano l'uscita di Israele dall'Egitto dalla festa della
ricezione della Torà sul monte di Sinai. Si tratta di un periodo di purificazione
spirituale, ottenuta attraverso prove e difficoltà (tale periodo, chiamato omer, ha
delle caratteristiche di contrizione e di lutto), che dura in tutto 49 giorni e che
ci conduce, al cinquantesimo, alla vetta della Rivelazione divina, alla cinquan-
tesima Porta, quella del sapere illuminato e completo. In qualità di 50, la Nun
è la lettera della sapienza esoterica, l’unica in grado di farci da guida anche
nelle oscure profondità dell’abisso nel quale a volte cadiamo (Nun = caduta).
Secondo il Talmud, cinquanta è l’età in cui si raggiunge il dono del consiglio,
la potenza di entrare nei segreti dell’anima di un altro, per scorgere l’ampiezza
del suo problema nascosto, e riuscire a guidarlo e a farlo ritornare nel mondo
della luce.

-39-
SAMEKH - “LA FINE È INNESTATA
INNESTA
NEL PRINCIPIO”

q q
Forma. La Samekh possiede una forma circolare. Il cerchio vuoto si riferisce
allo spazio generato dopo la Restrizione originaria (Tzimtzum), avvenuto
all'interno della Luce Infinita. Da esso nasce la visione dell'universo come di
un'entità chiusa in se stessa, priva di uscite. In filosofia ciò porta agli atteggia-
menti del nichilismo e del pessimismo. Al negativo il cerchio rappresenta uno
stato di chiusura mentale, di eccesso di sicurezza nelle proprie idee. Simboleg-
gia il mito dell'"eterno ritorno", la controparte pagana di ciò che nella scienza
è la legge dell'entropia, la mancanza di uno scopo superiore nella creazione. Ciò
è rappresentato anche dall'uroboros, il serpente che si morde la coda. Di solito
gli esoteristi occidentali lo interpretano come un simbolo positivo, ma esso in
realtà indica soltanto una serie di potenzialità non realizzate, e che quindi
generano frustrazione.
Al positivo, la Samekh è l'invito a rendere più "circolare" il nostro modo
di pensare, diventando più obiettivi, più eclettici, meno campanilisti nei nostri
giudizi. Ciò significa che dobbiamo imparare il senso della ciclicità della vita,
aprendoci al lontano, superando continuamente i vecchi orizzonti, aprendoci al
trascendente. Il verso di Salomone: "Non c'è niente di nuovo sotto il sole" si
riferisce alla mancanza di significato di una vita passata all'interno dei cicli
naturali e delle influenze planetarie. Ma i Saggi commentano: "Ma sopra il sole
sì"; occorre cioè innalzare la propria consapevolezza al di sopra delle sfere
naturali, per innestarci nell'infinito.
Il cerchio è anche quello della ruota, la cui invenzione facilitò enorme-
mente le comunicazioni e il commercio. C'è quindi un grande senso sociale nella
Samekh, e la sua circolarità qui diventa cultura ed ecletticismo, ampiezza di
orizzonti e tolleranza. A livello di Anime il cerchio infatti è la memoria del
Reshimo, dell'Impressione di Luce rimasta dopo la Restrizione, il segreto
dell'"Anima dell'universo", l'invisibile fondamento della creazione, il ricordo

-40-
della pienezza e dell'abbondanza che agli inizi riempivano ogni possibile
bisogno. Si tratta della capacità di percepire la presenza di Dio agente ed
operante nella storia, capace di guidarla verso un compimento di radiosa felicità
e perfezione. Grazie alla Samekh, la consapevolezza viene messa in grado di
scoprire le tracce di quell’impressione originaria, cioè le prove dell’esistenza di
una Essenza perfetta, Divina, nascosta dietro le apparenze illusorie di questo
mondo imperfetto e limitato. Ciò genera nell'anima ottimismo, speranza e
fiducia, grazie ai quali si diventa capaci non solo di consolare se stessi, ma anche
gli altri. Infine la circolarità della Samekh rappresenta come il progetto
evolutivo e salvifico dell'universo fosse presente nella mente di Dio fin dagli
inizi della creazione, secondo un detto famoso: "La fine dell'atto è già contem-
plato nel pensiero dell'inizio".

Nome. Samekh significa "sostegno", "appoggio". Dopo la "caduta" della


Nun, la lettera precedente, viene l’"appoggio" della Samekh. Dice il versetto:
“Il Signore sostiene (somekh) tutti coloro che cadono” (Salmo 144,14). Il
cerchio rotola ma non cade. Anche nei momenti più difficili o tragici è possibile
contattare in Dio una dimensione di appoggio stabile e sicuro.
Per quanto riguarda l'anima la Samekh rappresenta l'appoggio o l'inizia-
zione data da un maestro al suo discepolo. Infatti Samekh significa anche
"porre", "appoggiare", specie nel senso dell’imposizione delle mani che
conferisce l’ordinazione, il trasferimento del potere sacerdotale o spirituale da
una generazione all’altra. Infatti significa anche "ordinazione". I punti d'ap-
poggio su cui riposa il peso del mondo sono dunque le spalle degli Tzadikim, dei
Giusti, di coloro che sono stati "ordinati" da Dio per essere i Servitori dell'uma-
nità. Con l'imposizione delle mani essi concentrano la Luce avvolgente e la
trasmettono nei recipienti mentali dei loro discepoli.

Numero. 60. È il numero di ogni totalità circolare, ogni stato che può
garantire sicurezza e protezione, come afferma il Cantico dei Cantici (3,7):
“Sessanta prodi la circondano”. La "lei" sottintesa dal versetto è l'anima del
sapiente, dell’illuminato. Essa è costantemente difesa da un cerchio invalicabile,
chiamato "una cinta di mura di fuoco". Si dice infatti che le anime dei Giusti
accettino di scendere sulla terra solo se Dio promette loro almeno sessanta
discepoli affidabili, che formeranno la cerchia protettiva descritta prima. Di qui
si capisce l'importanza di un corretto rapporto tra il maestro e i suoi discepoli,
e si capisce quanto la presenza di questi aiuti il primo a mantenere integro il suo
equilibrio spirituale e morale, a difendersi dalle tentazioni.
60 è un numero importante anche nell'halakhà, il contesto delle regole
pratiche della vita ebraica, Una certa quantità di una sostanza, se messa in
contatto con un'altra sostanza, di quantità sessanta volte superiore, perde la sua

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individualità e si cancella nella seconda. È dunque il numero dell'influenza della
collettività sul singolo.
Sessanta era il numero degli anni di Isacco quando gli nacquero i due
gemelli: Giacobbe ed Esaù. Essi rappresentano le due metà del cerchio: quella
superiore, destinata a diventare la dimora della santità, e quella inferiore,
destinata a cadere in preda delle forze dell’oscurità.
Infine il 60 ha a che fare con la benedizione dei Cohanim, la più potente
delle benedizioni presenti in tutta la Torà. Essa contiene 15 parole (la Samekh
è la 15° lettera dell'Alef-Beit) e sessanta lettere, e viene recitata con le mani
aperte in avanti, tese ad emanare i benefici raggi della Luce Avvolgente.

AIN - "L'OCCHIO DELLA SAPIENZA


"L'OCCHIO SAPIENZA""

r r
Forma. La forma della Ain indica delle radici che entrano in profondità,
sino ad unirsi in un ceppo comune. Ciò rappresenta la radice comune di tutte
le anime e di tutti i popoli. Tuttavia, risalendo alla superficie, i rami si separano
e si sviluppano in direzioni diverse. Dunque questa lettera ha a che fare con uno
sviluppo ulteriore del senso di collettività già emerso nella lettera precedente,
e del problema del come conciliare le tendenze individualistiche o gli interessi
di parte con i bisogni collettivi.
Secondo un'altra interpretazione, i due punti in alto raffigurano gli occhi,
e le linee convergenti sono i nervi ottici. In Cabalà l’occhio è il simbolo della
sapienza, e quindi la Ain è la lettera che più d’ogni altra rappresenta il desiderio
di sapienza. Nell’anima umana essa trasmette la forza di proseguire lungo
l'ardua e perigliosa via che porta a tale dono preziosissimo. Il raggiungere la

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sapienza è la più alta e nobile delle ambizioni umane, e la Ain riguarda da vicino
le ambizioni della personalità. Ma vi sono ambizioni meno nobili e più
pericolose, che si definiscono e realizzano nel solo ambito materiale e mondano.
A questo proposito si noti come la forma della Ain ricordi anche quella di una
valle, posta tra due ripide pendici. Chi si impegna nella scalata della piramide
sociale deve mantenere buoni contatti col fondo valle, o rischia di isolarsi, di
"seccarsi". Infatti le sorgenti di acqua fresca e viva si trovano in basso. E chi sale
troppo rischia, oltre di trovarsi solo, di diventare freddo e secco, cioè intrattabile
e disumano.
I due occhi della Ain guardano l'uno verso l'alto (quello destro) e l'altro
verso il basso (quello sinistro). L'occhio destro è rivolto verso la lettera
precedente, la Samekh, il cerchio della trascendenza divina; quello sinistro
invece osserva la prossima lettera, la Peh, che rappresenta la parola di Dio, la Sua
luce immanente, che riempie e vivifica ogni dettaglio della creazione.

Nome. Ain significa "occhio", "colore" e "sorgente". L'occhio fisico


riceve la realtà attraverso una quantità caleidoscopica di colori. A volte, di fronte
ai dolori della vita, diventa una fontana di lacrime. La Ain è l’occhio della
percezione oggettiva e profonda, necessaria per emettere un giudizio equilibra-
to. Infatti questa lettera ha a che fare con la capacità di giudizio, che presuppone
la massima obiettività possibile. L'occhio deve diventare "l’occhio buono", cioè
il saper vedere soprattutto bene e positività intorno a noi. Nel Cantico dei Cantici
si dice: "I tuoi occhi sono come delle colombe". La colomba è l'animale più
fedele, il più innocuo, il simbolo della pace. Dobbiamo avere queste qualità nei
nostri occhi. Secondo la Cabalà l'occhio è una "sorgente" di energia, che si
proietta sugli oggetti o sulle persone osservate. Tale energia riflette le qualità
dell'anima di chi sta osservando. Di qui il pericolo del "malocchio", che consiste
nell'emissione di gelosia, invidia e negatività. Dal malocchio ci si difende
aderendo agli insegnamenti di Dio, osservando i precetti, compiendo le buone
opere (specie quella della beneficenza), e recitando con devozione e concentra-
zione adeguate preghiere. Si tratta dell’occhio dell’anima, che cerca la visione
pristina di Dio. Infine è lo stesso Occhio divino, chiamato "Peqicha", "Apertu-
ra", in quanto è singolo e non si chiude mai. Rappresenta la visione unificata e
l'attenzione continua. Si tratta della Sua Divina Provvidenza, capace di interve-
nire in ogni istante, prendendosi cura anche delle creature più insignificanti. Ain
come "sorgente" si riferisce infine alla capacità di entrare nel profondo della
realtà, ricercando le fonti di acqua viva ivi nascoste. Come spiegato prima, le
sorgenti si trovano in basso, nel fondo valle. Qui c’è un invito a non allontanarsi
troppo dalla sensazione del basso e dall’umiltà, qualità indispensabili lungo la
via di crescita spirituale.

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Numero. 70. Rappresenta l’età della vecchiaia. La sapienza vera viene
acquisita soltanto nell’età più matura, poiché è la sintesi di conoscenza ed
esperienza, e presuppone il superamento degli istinti e delle tentazioni sensuali,
che, finchè la persona è giovane, sono sempre molto forti. Nella sapienza c’è la
forza necessaria per vincere i processi di decadimento intellettuale, di isolamen-
to e progressivo esaurimento dell’energia vitale. La sapienza è la radice della
vera vita, e può rendere la vecchiaia la più bella di tutte le età.
Settanta è il numero della pluralità collettiva. Esistono settanta nazioni,
che derivano dai 70 discendenti di Noè menzionati nel Genesi, dotate di settanta
lingue diverse. Durante il periodo del Tempio, ogni festa di Sukkot i sacerdoti
compivano 70 sacrifici rivolti ad attirare benedizione e prosperità su di ciascuna
delle settanta nazioni. Il primo giorno se ne offrivano 13, il secondo 12, e così
via. La progressiva diminuzione del numero dei sacrifici rappresenta la progres-
siva eliminazione del male contenuto nei popoli, fino a che, nelle parole del
profeta: "Io li trasformerò in gente dotata di una sola lingua, una lingua
rettificata, affinché tutti servano Dio di comune accordo". Viene qui profetiz-
zato il ripristino dell'unità originaria precedente alla Torre di Babele.
Anche il nucleo originario di Israele era costituito dai settanta discendenti
di Giacobbe che scesero con lui in Egitto. Il Sinedrio aveva settanta membri.
Questo numero dunque rappresenta la piena capacità di giudizio. I settanta
membri del Sinedrio erano infatti i saggi della generazione; dovevano conosce-
re tutte le lingue parlate, dovevano intendersi di ogni fenomeno naturale e fisico;
dovevano avere una buona comprensione psicologica degli esseri umani, oltre
ad essere maestri di tutta la dottrina religiosa, sia nella sua parte rivelata che in
quella esoterica. Dovevano inoltre conoscere le altre religioni, i vari rituali e
credi dell'umanità. È dunque evidente come la sapienza sia composta dalla
sintesi del meglio di tutto il conoscibile, e non rifiuti o rigetti nessun campo,
nessuna informazione o punto di vista. Contemporaneamente a ciò, la sapienza
deve saper estrarre da ciascun idea ciò che è valido ed eterno, ciò che è in accordo
con i precetti universali, e rigettare il resto senza rimpianti.

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PEH - “LE PAROLE DELLA BOCCA
PAROLE
DEL SA GGIO SONO ARMONIA”
SAGGIO

st st
Forma. La forma della Peh convoglia l’idea di una bocca aperta, con in
mezzo un dente appeso alla mandibola superiore. Al negativo è la bocca del
malvagio, simboleggiato dal faraone che aveva ridotto in schiavitù gli ebrei.
Paro, "faraone" in ebraico, Peh-Resh-Ain-Hey, contiene le lettere di Pe Ra,
"bocca cattiva". Infatti il potere magico degli egiziani, che serviva loro ad
acquisire tutta una serie di privilegi economici e mondani, si basava soprattutto
su delle formule verbali incantatorie In senso lato la forma della Peh ci mette in
guardia dal pericolo del turpiloquio, del pettegolezzo e della maldicenza, difetti
che vanno assolutamente superati, se si vuole che la propria ascesa spirituale sia
genuina. Se la Ain era "l’occhio buono", la Peh deve diventare "la bocca buona",
capace di dire soltanto parole di merito, e che piuttosto di criticare se ne sta
chiusa. I Saggi dicono che ai malvagi occorre "spezzare i denti", cioè neutraliz-
zare l'aggressività e la malignità delle loro parole. Togliendo il dente dalla forma
della Peh rimane quella della Kaf, un recipiente disposto ad accogliere nuovi
e più saggi insegnamenti.
Al positivo la Peh è la capacità di esprimersi verbalmente, fatto che
distingue la specie umana dalle altre speci. I denti della bocca sono simbolo di
sapienza (sono 32, come i Sentieri della Sapienza), che è la capacità di rettificare
la realtà, così come i denti rendono assimilabile il cibo. Essi non sono presenti
alla nascita, e la sapienza è un dono che va meritato e acquisito con fatica. Inoltre
i primi denti cadono, segno che esiste una conoscenza inferiore dalla quale
occorre liberarsi, che si vuole meritare quella superiore. Il dente del disegno
della Peh si trova in alto, simbolo del rivelarsi del pensiero di Dio direttamente
nella bocca, cioè attraverso la facoltà della parola.
Al livello più alto la Peh rappresenta la "bocca di Dio", che parlava
direttamente a Mosè, "bocca a bocca", secondo il segreto del versetto del
Cantico: "che Egli mi baci coi baci della Sua bocca". Quando ricevette la Torà,

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Moshè aveva 80 anni, come il valore numerico della Peh; inoltre egli non morì
come gli altri uomini, la cui anima viene tolta dal corpo dall'Angelo della morte,
ma come conseguenza di un "bacio di Dio", che gli tolse così l'anima.
La forma della Peh è infine associabile ad una Khaf con una Yud nel
mezzo. Khaf simboleggia il contenitore (Kli) e Yud il suo contenuto. Vi si può
scorgere un’allusione all’Arca dell’Alleanza e alle Tavole della Torà in essa
contenute (la Yud vale 10, come i Comandamenti). Oppure vi si può vedere
l’anima contenuta nel corpo. La Peh rappresenta anche l'anima del Messia, la cui
anima dimora nella parte più alta del Giardino dell’Eden, in un luogo-recipiente
chiamato: "il nido dell'uccello", in attesa del momento propizio per rivelarsi.
Secondo Rabbi Nachman l'arma del Messia sarà l'efficacia e la potenza della sua
preghiera e del suo modo di parlare. La Peh è una delle 5 lettere che possiedono
una forma diversa se scritte alla fine della parola. In questo caso la Peh
rappresenta l'estendersi e il rivelarsi della goccia di consapevolezza messianica
presente in ciascuno, tramite la rettificazione dell'uso della parola.

Nome. Peh significa "bocca", in accordo con la sua forma. È l’organo di


rivelazione del pensiero e dello spirito; è la bocca del bacio d’amore tra amante
e amata, tramite il quale si realizza l’unione dei quattro spiriti: le due coscienze
superiori e le due coscienze inferiori. È anche la bocca psichica dell’individuo,
aperta per dare o ricevere il cibo emotivo. Si tratta del luogo ove nutriamo il
senso del sè, dove sentiamo sicurezza e autorità oppure paura e insicurezza.
Peh significa anche "qui" (Poh), ed è sede della forza di vivere focalizzati sul
presente, senza proiettarsi in fantasie passate o future. Infine Peh è l’iniziale
della parola Poteach = "Aprire", ed è la lettera che trasmette all’anima la
capacità di aprirsi agli influssi superni, e di saper poi spiegare agli altri le
illuminazioni così ricevute.
Occorre aggiungere che la bocca ha a che fare con la Torà orale, chiamata
"Torà she ba'al peh", espressione che tradotta letteralmente significa: "la Torà
che è la maestra della bocca". Occorre che la nostra conversazione sia sempre
piena di parole di Torà, di spiegazioni sugli insegnamenti divinamente ricevuti.
Al contrario della Torà scritta, ai cui testi non può venir aggiunto o tolto nulla,
la Torà orale è infinita, e cresce in continuazione grazie agli apporti delle varie
generazioni.

Numero. 80. È l’età che aveva Mosè quando guidò Israele fuori dall’Egit-
to, e quando ricevette la Torà.. Fino ad allora Mosè era balbuziente, ma insieme
al dono della Torà egli ricevette il pieno controllo della sua espressione verbale.
Secondo il libro Pirkey Avot, ottant'anni è l’età in cui si riceve una forza del tutto
particolare, che è quella della maestria sulla propria natura animale. 80 è il
valore numerico della parola Yesod = "Fondamento", il nome della nona Sefirà

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dall’alto, che nel corpo umano si trova nella zona degli organi sessuali. Vi sono
molti collegamenti esoterici tra Yesod e la bocca. La stessa circoncisione, il cui
scopo è quello di eliminare la "buccia" che ricopre la "corona del fondamento",
è chiamata brit milà, cioè: "il patto della parola". Infatti anche la bocca è un
organo che va circonciso, spiritualmente parlando, dal quale cioè occorre
eliminare le espressioni negative, volgari, e la tendenza al pettegolezzo.
La lettera precedente, la Ain, valeva 70, la lunghezza media della vita
fisica, come dice il verso di Davide: "settant'anni la vita umana, ottanta per i
forti". La differenza di 10 è quanto porta da Malkhut (70) a Yesod (80), e ha a
che fare con la rettificazione dell'uso della forza sessuale, con la conservazione
delle vitalità della Yud, la goccia di seme che contiene la totalità della vita.

TZADE - "IL GIUSTO È


GIUSTO
IL FONDAMENT
FONDAMENTO O DEL MONDO"

u v uv
Forma. La Tzade possiede due forme: una normale e una quando si trova
alla fine di una parola. In entrambi i casi la forma della Tzade ricorda quella dei
rami di un albero (Etz). L'albero è simbolo di stabilità, a patto che sia radicato
nel luogo giusto. La Tzadde rappresenta la forza di crescere per poter dare ombra
e ristoro agli altri, per offrire fiori profumati di idee positive e frutti deliziosi di
opere buone. Ad un esame più ravvicinato, la Tzade è composta da una Nun sulla
quale si innesta una Yud. La Nun rappresenta Binà, l'Intelligenza (che possiede
50 Porte, come il valore della Nun), la Yud è Chokhmà, la Sapienza (il seme di
ogni attività dell'intelletto). Queste Sefirot si riferiscono ai due diversi modi di
pensare tipici degli emisferi cerebrali: l'Intelligenza e la Sapienza. La Tzade
rappresenta l'unione delle due potenze mentali. Così facendo una nuova
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dimensione si apre alla percezione dell'intelletto.
Ad un livello superiore la Yud rappresenta il punto-seme che comprende
tutte le anime dei giusti di una certa generazione, innestate nella Nun, che
simboleggia l'interezza delle anime dei giusti di tutte le generazioni. Dunque il
vero tzadik è colui che sa innestarsi nella tradizione, pur innovandola e
adattandola ai bisogni della sua generazione.
Nella forma della Tzade è inoltre possibile ravvisare un volto umano (i
due occhi in alto, il naso in mezzo e la bocca in basso). Si tratta di Zeir Anpin,
il "Volto in Miniatura", o il Microcosmo. La Tzade è la lettera che più si
riferisce all'essere umano, chiamato anche "albero del campo" (Deuteronomio
20,19), la creatura che ha meritato di venir posta al centro dell'universo e
dell'attenzione del Creatore, e che contiene nella sua piccolezza, una mappa
esatta del cosmo intero. Nella Tzade normale i cinque punti menzionati
corrispondono alle Sefirot centrali di Zeir Anpin: Chesed, Ghevurà, Tiferet,
Netzach, Hod, comprendendo dunque sia la destra che la sinistra, cioè sia il
braccio dell'amore che quello del rigore. La forma della Tzade finale mostra
invece un chiaro spostamento verso destra, con la scomparsa dei due punti a
sinistra e l'allungarsi della linea centrale. Ciò rappresenta come nel mondo
futuro non esista più la qualità della severità, e come il piacere di Yesod si
estenda all'infinito.
Infine la Tzade, in entrambe le forme, ricorda un'antenna, rivolta a captare
i messaggi invisibili che attraversano il campo elettro-magnetico. Si tratta della
forza nell'essere umano di sintonizzarsi con la consapevolezza universale, per
captare le esortazioni al rinnovamento e alla trasformazione che essa ci invia
tramite il linguaggio segreto dei processi cosmici.
Nome. Tzade può venir scritta Tzade-Dalet-Yud, che significa: "Caccia-
re" o "lato". Il più famoso cacciatore della Torà è Esaù, il fratello gemello di
Giacobbe, che però abbandonò il sentiero della rettitudine e della conoscenza
di Dio per seguire una via "a lato", quella del potere politico, militare ed
economico. Al positivo, il "cacciare" si riferisce alla capacità di trovare scintille
di santità anche nella "tendenza al male", simboleggiata da Esaù, per riportarle
al servizio del Regno di Dio.
La caccia delle scintille di santità intrappolate nel mondo del caos è il
compito dello Tzadiq = il "giusto", la persona che rifugge dal peccato con tutte
le sue forze. Qui il nome della Tzade viene scritto Tzade-Dalet-Yud-Quf. La
Tzade fornisce il senso di ciò che avverrà quando giungeremo al traguardo
dell'evoluzione umana, ci dice come saranno l'uomo e la donna dell'età messia-
nica. Lo Tzadiq oggi è una figura molto rara, un vero maestro spirituale
(attenzione alle imitazioni). Secondo la Cabalà, lo Tzadiq deve possedere una
onestà e rettitudine senza limiti, purezza di vita insieme ad una totale mancanza
di interessi egoistici. Un'altra qualità del maestro spirituale dev'essere la
capacità di concentrare la sua enorme sapienza in piccoli semi, come farebbe un
albero, capaci di spargersi intorno e di moltiplicarsi, trasformando l'albero

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isolato in una foresta.
Uno degli Tzadikim più importanti della Torà è Beniamino, l'ultimo dei
figli di Giacobbe, il cui nome significa "figlio della destra". Inoltre il valore
della Tzade, 90, equivale a tzad yamin, "lato destro", confermando come in
ultima analisi la qualità dell'amore e della compassione sia destinata a prevalere
su tutto il resto.

Numero. 90. Si tratta del numero indicante la consapevolezza totale, che


la Tzade ci invita a raggiungere. Infatti esistono tre livelli generali nei quali la
consapevolezza può manifestarsi: Intelletto, Sentimento, Comportamento. Si
tratta dei tre triangoli capovolti dell'Albero della Vita: 1) Sapienza, Intelligenza,
Conoscenza; 2) Amore, Forza, Bellezza; 3) Vittoria, Splendore, Fondamento.
In tutto sono nove entità, ciascuna delle quali può esprimersi nella piena gamma
delle dieci Sefirot, e quindi in tutto sono 90.
Sara aveva novant'anni quando le nacque Isacco, il frutto della sua
consapevolezza totale. Il nome Isacco significa "egli riderà", confermando la
percezione di come in futuro scompariranno tutte le cause che al presente
generano paura e sofferenza. Si tratta della stessa profezia espressa da Davide,
che quando trasportò a Gerusalemme l'Arca contenente Tavole della Torà,
chiese a novantamila anziani di precederla danzando e suonando strumenti
musicali, esprimendo così il più alto livello di gioia che il mondo possa
conoscere.
Secondo il Pirkey Avot novant'anni è l'età della vera meditazione, che
consiste in concentrazione e assorbimento totale nel mistero divino. Il vero
Tzadiq non può dunque essere colui che ha soltanto una conoscenza dettagliata
e profonda delle leggi e regole che Dio ha dato. Non basta neppure che egli le
osservi tutte nei minimi dettagli. Occorre che egli arrivi ad una esperienza
diretta dello stato mistico, cosa veramente possibile solo durante la meditazione
e la preghiera. Infine novanta è il valore della parola Maim = "Acqua". Qui
l'acqua non è più un simbolo di emotività, ma della conoscenza superiore che
pervade il cosmo, sotto forma di onde a frequenza elevatissima (le Acque
Superiori descritte dalla Genesi).

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QUF - "ONNIPRESENZA E
REDENZIONE DELLE SCINTILLE"

w w
Forma. È l'unica lettera la cui gamba si estende in basso, al di sotto delle
altre lettere. La Quf indica la discesa nel mondo degli inferi, per compiervi
operazioni particolari, quali la liberazione delle scintille di santità colà prigio-
niere. Secondo la Cabalà il regno del male trae vitalità e nutrimento
"vampirizzando" una serie di entità coscienti e luminose che ha reso in
schiavitù, avvolgendole come un "guscio" (klipà) circonda un frutto delizioso.
La rettificazione del mondo prevede la liberazione di tali scintille e la loro
restituzione alla Coscienza divina. Così facendo il male perderà la sua fonte di
nutrimento e cesserà di esistere. Ma fino alla redenzione finale il male ha un suo
posto nella creazione, e la discesa della Quf indica il bisogno di portagli
nutrimento affinché esso non scompaia. Con il male scomparirebbe infatti
anche la libertà di scelta.
Più di tutte le altre lettere, la Quf deve confrontarsi col problema della
dualità tra bene e male, e risolverla con lo scoprire quale sia il posto che il
secondo ha nella creazione. Tale dualità viene ben rappresentata dalle due
parole più importanti tra quelle che indicano il significato della Quf: Qedushà
(Quf-Dalet-Shin-Hey) = "Santità", e Qlipà (Quf-Lamed-Yud-Peh-Hey), "buc-
cia, o guscio", il nome delle forze del male.
Guardandola più da vicino la Quf è composta da una Resh in alto al cui
interno si trova una Zain, che costituisce il suo piede che scende in basso. Al
negativo queste due lettere formano la parola Zar, "straniero, o alieno", un
termine indicante la lontananza da Dio, o la stessa idolatria (avodà zarà,
"servizio alieno"). Tuttavia questa combinazione ha anche dei significati
altamente positivi. La Resh rappresenta la Luce superna del volere di Dio, che
abbraccia l'anima e la spinge con dolcezza a scendere, ad incarnarsi.

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Ma Dio non manda nessuno in basso senza avergli dato la forza di risalire.
Ed ecco che la Quf è anche la lettera della Teshuvà, del ritorno, la lettera che dà
la forza all'anima di ritornare alla santità dopo un lungo viaggio nell'oscurità
dell'ignoranza e del peccato. Quf ha molto a che fare con la conoscenza
esoterica, come dimostrato dal fatto che graficamente essa può venire scompo-
sta in una Resh e in una Zain. La somma dei valori numerici di queste due lettere
fa 207, come le parole Raz = "Segreto sublime" e Or = "Luce". Si tratta della
"Luce che ritorna", costituita dal sommarsi della particelle in ascesa dall'esilio
e dalla prigionia nel regno delle qlipot.

Nome. Al gradino più basso Quf significa = "scimmia" (qof), un'altro


simbolo delle forze negative. Infatti il male può agire solo se si traveste da bene,
e lo scimmiotta. Se mostrasse la sua natura ripugnante nessuno ne sarebbe
attratto. Occorre stare attenti dunque a molto di quanto si traveste sotto le
etichette di “pace, bene, amore”, ecc. Per distinguere il vero dal falso si tenga
presente che la Quf significa anche Qadosh = “Santo”. Essere santo significa
"essere diverso, separato". La vera santità non si lascia contaminare da compro-
messi, nè attrarre dai livelli animali e istintuali della personalità, quelli nei quali
la “scimmia” si trova invece a suo agio.
Un altro significato della Quf è Heqef = “andare in cerchio”, “circonda-
re”. Qui c’è un riferimento ad una delle proprietà della Santità, che è quella di
porsi come "Luce che Circonda tutti i Mondi". È solo in contatto con tale qualità
divina (la Sua trascendenza) che ci liberiamo dal rischio di diventare come
scimmie, cioè mere imitazioni di veri esseri umani. Nella vita religiosa del-
l'ebreo, l'esperienza del come la luce ci circondi raggiunge il suo massimo
durante le haqefot (giri fatti intorno al leggio della Torà) di Simchà Torà, la festa
della Gioia della Torà, oppure durante i sette giri che la sposa compie intorno
allo sposo sotto il baldacchino nunziale.
Al suo livello più alto Quf significa "grande forza" (toqef). È la forza con
cui venne scritta la Meghillà, il racconto del miracolo di Purim, con la quale
dobbiamo affrontare Amaleq, il più pericoloso dei nemici di Israele e della
umanità che crede e spera in Dio).

Numero. 100. Si dice sia la lunghezza della vita di un'aquila, simbolo


della capacità di ringiovanire, come dice il verso "Possa la mia anima rinnovar-
si come l'aquila". L'aquila è il terzo animale della visione di Ezechiele, e
corrisponde a Tiferet, la bellezza. 100 ha a che fare col segreto della bellezza,
dato che Yofi, Yud-Peh-Yud, (bellezza) vale 100. La contemplazione della
bellezza e qualche attività artistica o creativa sono indispensabili per mantenere
giovani anima e corpo.
100 è inoltre il valore della frase Lekh Lekha, "vai!", con la quale Dio

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comandò ad Abramo di lasciare la sua terra natia per dirigersi verso il futuro
Israele. Secondo il Chasidismo tale ordine è quello col quali si dice all'anima di
scendere e di incarnarsi, per compiere l'opera di redenzione delle scintille, tipica
della Quf. Inoltre Abramo aveva 100 anni quando gli nacque Isacco, il segno più
evidente del ringiovanimento del suo essere.
Al livello della Divinità 10 è il numero della completezza, e 100 è il
quadrato di 10. In Cabalà ogni quadrato è inteso come la somma manifestazione
di tutte le qualità già inerenti nella base. La bellezza consiste nell’essere
completo in ogni parte, e al di sopra di ciò esiste una qualità chiamata
INTERINCLUSIONE. Non basta che un essere sia costituito da tutte le sue parti, ma
occorre che ognuna di esse contenga un po' di tutte le altre, se si vuole che esista
la possibilità di riconciliare le opposte tendenze. 100 è quindi l'interinclusione
dello stesso Albero della Vita, con le sue 10 Sefirot, ed è lo stato grazie al quale
il mondo della Rettificazione diventa operativo.

RESH - IL CAPO DEL


"BENEDETT
"BENEDETTO O IN VERITÀ"

x x
Forma. La curvatura della Resh rappresenta un uomo piegato sotto il
peso della povertà e della schiavitù. È il caso di chiunque dipenda per il suo
sostentamento esclusivamente dal mondo fisico. Ad un livello più profondo la
curvatura indica il rispetto ossequioso delle norme di comportamento sociale.
In particolare la forma della Resh indica la rotondità della nuca, e il cervello ivi
contenuto. In senso lato la Resh rappresenta la potenza del pensiero. Al livello
più basso tale servitù è la conseguenza del fatto che la testa ha perso il suo potere,
è "povera", priva di Da'at, o "conoscenza", come dice l'espressione talmudica:

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"Non c'è povero se non di conoscenza". Pur lavorando e guadagnando, chi si
trova qui non riesce a liberare i veri tesori della terra dalla loro prigionia.
A livello dell'anima la Resh è la forza della mente applicata, curvata verso
il cuore per guidarlo al servizio divino. Qui la Resh è anche l'esprimersi verbale
della consapevolezza, che vuole far provare al cuore le giuste emozioni,
indispensabili per parlare agli altri. In ebraico ci sono due termini indicanti
"parlare": amar (Alef-Mem-Resh) e davar (Dalet-Beit-Resh). Entrambi hanno
in comune una Resh. Il primo termine si riferisce al parlare interiore della mente
al cuore, il secondo è il parlare del cuore agli altri, dopo che si è lasciato
convincere dalla mente.
Nel regno divino la Resh simboleggia il piegarsi della mente segreta di
Dio al di sopra e all'intorno delle sue potenze rivelate, affinché loro tramite
vengano espresse anche quelle nascoste. Si dice che Amalek, l'eterno nemico di
Israele, agisca cercando di dividere la mente dal cuore, cioè la parte esoterica
della Torà da quella rivelata. Così facendo egli rende impossibile la rettificazio-
ne delle emozioni del cuore, che rimangono un'espressione disordinata e
confusa di pochi pezzi della propria consapevolezza.
La curva della Resh indica anche ogni cambiamento di direzione. La forza
di cambiare strada è importantissima, poiché è la chiave della Teshuvà =
"Conversione", o meglio: “metanoia” (cambiamento della consapevolezza).
La Teshuvà è una delle più importanti esperienze che l’essere umano possa fare,
e consiste nel rivolgersi verso la giustizia e la verità, dopo aver vagato a lungo
nel dominio delle forze negative. Il fatto che la testa sia rotonda suggerisce che
la capacità di effettuare il "ritorno" descritto prima risiede nel capo e nello
sviluppo armonico delle sue facoltà cognitive, dall'unione cioè di emisfero
destro ed emisfero sinistro. Pur essendo la testa simbolo di dominio e potere (il
"capo"), la Resh, che la rappresenta, è piegata, e ciò conferma come l'umiltà e
la semplicità siano le doti essenziali per ogni guida spirituale. Occorre diffidare
di chi, pur atteggiandosi a tale, manca delle qualità descritte.

Nome. Nel suo livello più basso Resh significa "povero" (Rash). Ci si
riferisce qui alla povertà del pensiero umano, se non è connesso con la sua radice
trascendente. È questo il limite che scienza e filosofia non vogliono riconoscere.
Pur con tutti i vantaggi che hanno portato all’umanità, senza ammettere la
povertà essenziale dei limiti umani, esse non sapranno mai offrire una piena
soluzione ai problemi più gravi dell’uomo e della società.
Resh significa anche "testa" (Rosh), in accordo con la sua forma. È
l’invito a riordinare le proprie priorità e valori secondo una scala valida,
trovando quale sia la loro “testa” o “capo”. La prima parola della Torà: Bereshit,
può venir letta: Rosh Bait = "Capo della Casa". La Creazione ha dunque un
"Capo", un Maestro, un Signore. Solo ponendoLo al primo posto in tutti i nostri

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pensieri, parole ed azioni potremo avere anche noi la "testa", e distinguerci da
tanti altri, che vivono senza "testa", cioè senza riconoscere il "Capo del
mondo".
Resh significa anche "inizio". In Cabalà si insegna che ci sono due inizi:
il primo è nascosto e il secondo è rivelato. Nel calendario ebraico ciò corrispon-
de ai due giorni di Rosh ha-Shannà, il Capodanno. Si tratta di Keter (Corona)
e di Chokhmà (Sapienza). Il primo livello è superconscio, come dice il verso:
"Poiché i Miei pensieri non sono come i tuoi, e neppure le Mie vie sono come
le tue". Si tratta dell'Estremità Inconoscibile, il più alto gradino di Keter. Il
secondo gradino viene invece espresso dal versetto: "Cerca Dio mentre Egli può
venir trovato, chiamaLo mentre è vicino". Il riconoscimento dello stato espresso
dal primo verso è il piegare la testa in segno di totale umiltà; il secondo verso
indica come Dio stesso venga a risollevarcela, e a farci percepire come in Lui
siano sempre presenti ogni coppia di opposti, perfettamente riconciliati.

Numero. 200. Nella tradizione talmudica, 200 era il numero che differen-
ziava un uomo ricco da un povero. Se una persona aveva meno di 200 zuzim
(un’unità monetaria) era considerato povero. La domanda che ciascuno di noi
deve farsi è : "Possiedo o no la Resh", cioè la capacità di conversione, e la
consapevolezza di ciò che va messo al primo posto? Ben 200 membri della tribù
di Issakar meritarono di diventare i capi, o le "teste" del Sinedrio. Si tratta della
tribù che era la più versata nella conoscenza della Torà, specie della sua parte
esoterica. Essi erano anche esperti in astronomia e astrologia. Qui il confine tra
povertà e ricchezza è stato attraversato dalla parte giusta, e la loro conoscenza
era diventata la loro ricchezza.
200 è il valore numerico della parola Etzem = “essenza”. La testa contiene
l’essenza della personalità, il segreto della sua unicità. Infine 200 è il valore
medio di tutto l'Alef-Beit, dato che il valore massimo è 400 (la Tav). Dunque la
Resh, o "inizio", è la metà del tutto. Ciò ha un legame con quanto spiegato in
Cabalà, e cioè che la Restrizione originaria ebbe luogo "nel mezzo della Luce",
lasciando un "residuo" (Reshimo) di luce scura all'interno del punto vuoto così
generato. La Resh ha a che fare con tale Residuo, e con l'opera di paziente
raccolta di tutte le particelle di luce rimaste dopo la Restrizione.

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SHIN - “SIMMETRIA E CAMBIAMENTO”
CAMBIAMENTO”

y y
Forma. La Shin è la lettera dalla forma più armoniosa e simmetrica,
simbolo di equilibrio e di grazia. Essa convoglia la grazia e la bellezza che
rendono attraente l’anima, tramite il suo farsi bella ed equilibrata. In ebraico,
"grazia" (Chen) significa "la bellezza che deriva dalla simmetria". Simmetria
significa che la parte destra dev’essere sviluppata come la sinistra, la parte alta
come quella bassa. Ciò equivale ad una crescita organica e ben diretta in tutti i
settori della vita: il sentimento dell'amore deve venir equilibrato da quello della
forza, le esigenze materiali da quelle spirituali e viceversa.
Secondo il Sefer Yetzirà la Shin governa la testa umana, continuando e
approfondendo la tematica della Resh. È infatti la lettera incisa sui Filatteri che
l'ebreo religioso si mette sul capo durante la preghiera mattutina. Le tre punte
della Shin rappresentano le tre parti del cervello, ottenute tramite una sezione
trasversale (a destra la parte intuitiva, a sinistra quella logica, e nel mezzo la sede
dei sentimenti); il punto in basso rappresenta il "quarto cervello" (Da'at, la
Conoscenza unificatrice), che ha sede nel cervelletto. Il pensiero rettificato è
quello capace di percepire e rivelare simmetria e armonia, bellezza e grazia,
unificando in un'unico atto cognitivo le diverse facoltà presenti nelle sue varie
parti. La forma della Shin allude anche alla triplice struttura del cervello (se
analizzato longitudinalmente): rettiliano, mammaliano ed umano (posteriore,
centrale e frontale).
La Cabalà contiene insegnamenti indispensabili, rivolti ad unificare le
varie componenti dell'intelletto, in quanto essa è la sapienza delle corrisponden-
ze, del parallelismo, delle simmetrie. La Cabalà educa la mente a riconoscere la
rete di connessioni che si trova sotto l’apparente confusione ed estraneità delle
varie parti della creazione. Le tre linee della Shin rappresentano anche tre lingue
di fuoco, alimentate dallo stesso ceppo. La Shin insegna che ogni triade si
appoggia su di una fondamentale esperienza d’unità: i tre Patriarchi, le tre parti

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d’Israele (Cohanim, Levim, Israelim), i tre pilastri dell’Albero della Vita. Nel
suo livello più elevato la Shin allude alle tre Estremità di Keter, uno dei segreti
più importanti della Cabalà. La prima in alto è l'Estremità Inconoscibile, il
luogo ove giacciono le risposte ai più drammatici interrogativi umani, compreso
quello della dualità tra bene e male. Poi viene l'Estremità del Nulla, sede del
piacere beatifico, contemplando il quale Dio ha concepito il desiderio di creare
il mondo. Infine troviamo l'Estremità Infinitamente Lunga, l'irradiarsi del
Volere divino che si estende attraverso l'intera estensione dei mondi creati,
spirituali e materiali.
Nome. Shin significa "anno", da una radice indicante "ripetizione". Al
livello più basso ciò è il simbolo dell'entropia presente nella creazione, intesa
come un ciclo chiuso che riporta inesorabilmente al punto di partenza. Qui la
Shin viene vissuta anche come "sonno" (sheinà), lo stato di passività della
consapevolezza che causa i processi di invecchiamento. Yashan, un altro
significato della Shin, vuol dire "vecchio". Al positivo, il senso di "ripetizione"
presente nella Shin si rivela nella Mishnà, la parte principale della Torà orale,
il cui testo va studiato e memorizzato tramite una paziente e continua
ripetizione. Shin significa inoltre "dente" (Shen). È l’origine dell’abilità di
masticare le informazioni che ci giungono dall’esterno per integrarle nella
consapevolezza. I denti sono il simbolo della sapienza, poiché sono 32, come il
Sentieri della Sapienza. Shin significa anche “cambiamento” (Shinui). La
sapienza consiste nell’improvvisa rivelazione di un qualcosa la cui natura era
precedentemente nascosta; è la capacità di rinnovare vecchie abitudini, supe-
rando vecchi schemi mentali, e di rinfrescare la propria comprensione della
verità. Tuttavia Shin come "ripetizione" (Mishna) ci avverte che non è possibile
vivere di soli cambiamenti. Occorre che vi sia una base di identità stabile e
costante, una fedeltà di fondo ad una serie di principi immutabili, se non si vuole
che i continui cambiamenti portino alla disgregazione. Per quel che riguarda il
processo di apprendimento sapienziale, dopo una nuova rivelazione occorre che
la mente ripeta diligentemente quanto appreso, se vuole assimilarlo in profon-
dità.
Shin è anche il sibilo prodotto dalla combustione e dal fuoco (anche la sua
forma ricorda quella di tre lingue di fuoco). Si tratta del fuoco dell'entusiasmo
provato studiando, del desiderio di portare luce nell'oscurità, del calore di una
mente che non è soltanto intellettuale ma che comprende bene l'importanza e il
giusto posto dei sentimenti.

Numero. 300. È il valore numerico di Ruach Elohim (Spirito di Dio). La


Torà, all’inizio della Genesi, dopo aver detto che la terra era "informe e vuota",
dice che "lo spirito di Dio aleggia sulle acque". Si tratta del potere divino di

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porre ordine nel caos, grazie alla rivelazione delle proprietà matematiche e
fisiche del cosmo, che sono estremamente simmetriche. In seguito, occorre che
la comprensione delle regole della creazione si estenda alle loro radici esoteri-
che, o altrimenti essa non potrà mai superare la legge dell’entropia, che tende
inesorabilmente a riportare il mondo al caos.
I maestri dicono che Ruach Elohim (Spirito di Dio), che vale 300, è il
primo Nome segreto del Messia a cui la Torà faccia riferimento. Dunque, per
acquisire la consapevolezza messianica che nell'Età dell'Acquario trasformerà
la terra e il consorzio umano in un paradiso terrestre, occorre integrare i vari
modi conoscitivi della mente, rappresentati dalle varie parti della lettera Shin.
Inoltre, lungo la ruota zodiacale, 300 è il numero del grado ove incomincia il
segno dell'Acquario. Un'altra prova di come l'evento messianico sia il traguardo
più bello che la coscienza acquariana ci prometta. Mai perdere la speranza che
esso si verifichi, mai considerarlo utopia, mai smettere di aspettarlo, ma si lavori
attivamente alla sua realizzazione!

TAV - “IL SIGILLO DEL SANT


SANTO,O,
BENEDETT
BENEDETTO O EGLI SIA”.

z z
Forma. La Tav rappresenta il segno lasciato da un sigillo. È l’ultima
lettera dell’Alef-Beit, quella che lo sigilla. È il luogo più basso, il termine della
discesa, la lettera più vicina alle forze "dell’altro lato". Qui si deve incominciare
la risalita. Qui ci sono i frammenti delle luci dei mondi precedenti, che sono stati
distrutti. Nell’essere umano la Tav rappresenta tutte le impressioni confuse
lasciate dalle reincarnazioni precedenti. La Tav è la lettera dell’Olam-ha Tohu
(Mondo della Confusione). Il nostro compito è quello di trasformarlo nel Mondo
della Rettificazione. I mondi precedenti, pur se distrutti e caduti, contenevano

-57-
un grande livello di santità, ed è quelle scintille di luce che dobbiamo cercare e
liberare dalle forze del male, per riportarle alla loro origine in Dio.
Vista da vicino, la Tav è formata da una Dalet nella quale è innestata una
Nun. Insieme queste due lettere formano la parola Dan, che significa "giudica-
re". I primi mondi infatti si basavano sulla sola forza del giudizio severo, ed è
per questo motivo che venivano ciclicamente distrutti, ogni qualvolta il peso
negativo dei peccati non era più sopportabile. Il Mondo della Rettificazione
invece utilizza la qualità della Compassione, a metà strada tra Severità e Amore.
Per quanto riguarda l'anima, la Dalet e la Nun indicano le qualità
dell'umiltà e della mancanza di senso egoico. Qui Dan cessa di avere un senso
unicamente drammatico ma diventa una delle tribù d'Israele. Tra le sue partico-
larità, Dan aveva il compito di ritrovare e restituire tutto ciò che gli altri avessero
eventualmente perso. Dal punto di vista spirituale ciò corrisponde alla capacità
di riportare le anime perdute alla comunità dei giusti. Qui il giudizio diventa una
forza di totale redenzione.
La Dalet e la Nun sono le lettere intermedie del Nome di Dio: Adonai, il
nome che si riferisce a Malkhut, il Regno, la più bassa delle Sefirot, il sigillo
dell'Albero. Si tratta di quella qualità divina che controlla l'universo esercitando
la sua sovranità tramite regole precise e severe. Il Regno del mondo di Atzilut,
l'unico già perfettamente rettificato tra i quattro universi descritti dalla Cabalà,
si imprime a guisa di sigillo sui mondi inferiori, segnando in essi la loro radice
di appartenenza. Qui in basso la consapevolezza di tale impressione si manifesta
nel sentire continuamente la presenza di un qualcosa di superiore, al di là di ogni
cosa che possiamo comprendere. Chi avverte ciò riceve un segno sulla fronte,
in corrispondenza coi centri di coscienza superiori, e la sua vita diventa piena
di significato e di scopo.

Nome. Tav significa : "Sigillo", "impressione". È il segno che Dio fece


sulla fronte di Caino, a ricordo della nobiltà della sua anima caduta. Da un lato
questo segno mostrava a tutti il suo peccato, ma dall’altro lo proteggeva dal
venir a sua volta ucciso, come prevede la pena dell'omicidio. In un altro
episodio, la Scrittura narra che Davide, mentre fingeva di essere pazzo quan-
d'era prigioniero di un re nemico, si mise a scrivere dei segni intellegibili (Tav)
sui portali. Questi segni misteriosi sono in realtà il codice segreto della natura,
presente in Malkhut, decifrando i quali è possibile riconoscere la firma stessa di
Dio.
Nella sua accezione migliore, la Tav è il segno posto sulla fronte delle
anime destinate a ricevere il premio della vita eterna. Si dice: "Tav fa morire,
Tav fa vivere". È dunque una lettera che descrive uno stato altamente
paradossale, poiché ha a che fare sia con le energie inferiori che con lo scoprire
in esse la radice più alta che esista. In aramaico Tav significa "ancora", "più".
Pur essendo al termine della scala, la Tav è pregna del desiderio dell’infinito, è
la sorgente dell’aspirazione a tornare in alto. Tav è l’ultima lettera della parola
Emet = Verità, ed è quindi chiamata il “sigillo di Dio”, in quanto anche nel
luogo più basso e lontano della creazione Dio ha posto le prove della Sua
esistenza, della verità della Sua presenza. La Tav è la prima lettera di Tikkun,
"rettificazione", quindi pur essendo la lettera che contiene il più chiaro riferi-
mento al mondo del Caos è anche quella che segna l'inizio della sua rettificazione.

Numero. 400. È un numero che spesso simboleggia le forze del male,


come nel caso dei 400 uomini armati che accompagnavano Esaù quando andò
ad incontrare il fratello Giacobbe che tornava dal lungo esilio. L’esilio d’Egitto,
il più terribile e pericoloso fra tutti gli esili d’Israele, durò 400 anni. 400 fu il
prezzo in Sheqel d’argento che Abramo dovette pagare per acquistare la caverna
di Makhpela. Là si trovano sepolte quattro coppie di "anime viventi" (gli
tzadikim non muoiono mai): Adamo ed Eva, Abramo e Sara, Isacco e Rivka,
Giacobbe e Lea. Si tratta degli archetipi di ogni coppia di anime gemelle, e
ognuna di esse aveva una conoscenza perfetta dei segreti dell'altra. L'Intelligen-
za possiede 50 porte, quindi ogni coppia aveva 100 porte, in tutto 400, il numero
della totalità della conoscenza esoterica, estesa e vissuta nel rapporto di coppia.
400 possiede altre accezioni positive. Si dice che vi siano 400 mondi di
gioia e beatitudine che attendono i giusti nel mondo a venire. Questa è
l'interpretazione che lo Zohar dà ai 400 shekel d'argento di Abramo. "Argento",
kesef, è simile a kisufim, "piacere", e corrisponde alla sefirà di Chesed, l'amore.
Dunque in futuro la caratteristica del giudizio severo scomparirà per lasciare il
posto al solo amore. Le stesse forze che in passato ci facevano soffrire e ci
trascinavano in basso diventeranno nel futuro quelle che daranno maggior
intensità al bene e al suo godimento. 400 parasang (misura di lunghezza), sia
in lungo che in largo, è la dimensione che la terra d’Israele possiederà nei tempi
messianici. 400 è dunque il numero della completezza totale e realizzata, sia
materialmente che spiritualmente.
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I QUA TTRO UNIVERSI
QUATTRO
(OL AMOT)
(OLAMOT)
DELL
DELLAA C ABALÀ
CABALÀ

La Cabalà insegna che esistono ben quattro universi distinti


(OLAMOT), uno solo dei quali fatto di sostanza materiale, mentre gli
altri tre sono di sostanze spirituali. A noi, abituati a vivere in un mondo
solo, anche se sta diventando piccolo, questa affermazione può sem-
brare un po’ strana o anche fantascientifica. Che cosa si intende per
”mondo”? Come mai quattro, e non cinque o tre? Come vanno intesi
questi altri mondi, forse nel senso di entità extraterrestri tipo UFO?
Per rispondere a queste domande dobbiamo tener presente gli
assunti fondamentali della Cabalà, secondo i quali la creazione è
incominciata da una condizione nella quale l’unica realtà era la Luce
Infinita, una realtà perfetta, completamente al di là dello spazio-tempo
e dei concetti umani, impossibile a descriversi ed immaginarsi. Trami-
te una serie numerosa di gradini successivi, all’interno di questa esi-
stenza eterna ed infinita, Dio ha portato all’esistenza altri tipi di realtà,
finiti e temporali. Agli inizi si trattava di entità esclusivamente spiritua-
li, non dipendenti dalle leggi fisiche che governano la natura, e si
trovavano ancora molto vicini alla Luce Infinita. Mano a mano questi
esseri o entità si sono inspessiti e condensati, quasi ”precipitando”,
concentrandosi in una serie di coordinate spazio-temporali via via
sempre più ristrette. Al termine di tutti questi innumerevoli processi di
discesa, restrizione ed inspessimento, si è manifestato il mondo ma-
teriale, l’intero universo delle galassie, delle stelle e dei pianeti, degli
esseri umani, degli animali, delle piante e dei minerali.

-61-
Per descrivere tale insieme di mondi, i Cabalisti ricorrono spes-
so all’immagine di una sfera con numerosi strati concentrici, attraver-
sata da canali che li mettono tutti in comunicazione tra di loro, a guisa
di raggi. L’universo fisico è solo l’ultimo di questa serie di sfere: la più
piccola, posta al centro di tutte le altre. Le sue dimensioni reali po-
trebbero essere maggiori o minori di quelle attualmente descritte dalla
scienza, ma ciò non rappresenta un problema, dato che i concetti
spazio-temporali sono relativi, come dimostrato da Einstein. Le sfere
di realtà che circondano l’universo fisico sono via via sempre più
indipendenti da tali concetti e limiti. Là le informazioni viaggiano a
velocità via via crescente ben oltre la velocità della luce. Quindi le loro
enormi dimensioni non costituiscono un fattore capace di influenzare
negativamente il comportamento degli esseri e delle coscienze che li
popolano, ne di limitare la loro capacità di comunicare reciprocamen-
te. In essi non vige la legge ferrea della incompenetrabilità della ma-
teria, ne quella della irreversibilità del flusso temporale. Là è possibile
viaggiare dal passato al futuro e dal futuro al passato.

È fondamentale in tutta la Cabalà la convinzione che tra tutti


questi innumerevoli gradi dell’esistenza vi sia una vasta rete di con-
nessioni e di corrispondenze, che li unifica e li rende interdipendenti.
Non importa quanto ”lontane” o diverse siano, per ogni creatura terre-
stre esiste un corrispettivo celeste. Infatti “Cabalà” vuole dire “corri-
spondenza”, ed essa si occupa di descrivere i legami e le somiglianze
tra tutti i gradini di cui è fatta la creazione. Così facendo il suo intento
è di renderla più intelligibile, mostrandone l’ordine intrinseco che la
permea. Tuttavia, aumentando il numero dei mondi da uno (quello
visibile) a quattro, sembrerebbe che il panorama si presenti ancora
più complesso e confuso. Se si vuole evitare ciò è necessario trovare
il modo di esemplificare, classificare e numerare, è indispensabile
discernere gli ordini gerarchici e le radici principali da cui si diramano i
tronchi e i rami dell’esistenza. La Cabalà sostiene che l’intero sistema
degli universi contiene quattro parti principali. In altri termini, Quattro
è il numero minimo di fasi attraverso le quali si può spiegare l’enorme
salto tra Infinito e finito, tra Unità e molteplicità, tra Divinità ed umani-
tà. Ma perché quattro?
Osservando l’universo fisico è molto facile scoprire l’abbondan-
za di fenomeni legati al quaternario. Si pensi che in tutto esistono
quattro sostanze: tempo, spazio, energia, materia. Anche le direzioni
cardinali sono quattro (Nord, Sud, Est, Ovest), come pure gli elementi
base (Fuoco, Aria, Acqua, Terra), come pure gli stati della materia

-62-
(solido, liquido, gassoso e igneo). La fisica moderna ci insegna che
tutte le forze che operano nell’universo sono riconducibili a quattro
campi primari (interazione forte, debole, elettromagnetismo, gravità).
Lasciando il settore dei fenomeni naturali ed entrando in quello degli
aspetti psicologici umani, troviamo che esistono quattro tipi caratteriali
(intuitivo, pensante, sentimentale, materiale). In numerologia il quattro
è il numero della materia e della creazione.

La spiegazione cabalistica più essenziale di tutto ciò è la se-


guente: la creazione avviene tramite la comparsa di un seme e il suo
successivo sviluppo o rivelarsi. L’universo ha avuto inizio da un seme,
da un punto. In un seme vi è l’anima, cioè la potenza di crescere, e
corpo, cioè il recipiente al cui interno tale potenza è destinata ad
operare. Nel frutto maturo ci sono ugualmente due entità: anima e
corpo. Si tratta di due fasi: la realtà nascosta e quella rivelata. Ma tale
processo di duplicazione deve ripetersi due volte: sia in alto che in
basso, sia nei piani spirituali che in quelli fisici; e da ciò si arriva al
quattro: nascosto e rivelato superiori; nascosto e rivelato inferiori.
Anima e corpo spirituali, anima e corpo umani. Un osservatore sa-
piente e attento potrà ritrovare queste sfumature in ogni processo
della vita e in ogni fenomeno della creazione.

In ultima analisi, l’origine di ogni quaternario fa parte del segreto


del Nome di Dio
(Y-H-V-H), chiamato il Tetragrammaton poiché è composto da quattro
lettere:

d- e - d - i
HEY - VAV - HEY - YUD
In quelle quattro lettere sono contenuti i più importanti segreti della
creazione. Nel contesto che ci riguarda in queste pagine osserviamo
come le quattro fasi corrispondano alle lettere del Nome. La Yud è il
mondo più elevato. La Yud è un semplice punto, e rappresenta il
seme “divino” da cui ha origine il tutto. La seconda lettera, una Hey,
rappresenta invece il recipiente superno, che da prima riceve il seme
e gli permette di rivelarsi, pur se ancora in un piano unicamente
spirituale. In ebraico la Hey rappresenta l’espressione, e la sua forma
aperta e spaziosa suggerisce la disponibilità che ogni recipiente deve
avere. La terza lettera, la Vav, è una semplice linea diritta che scende

-63-
in basso. Il punto principiale, il seme originale, discende nei piani
inferiori della creazione, umani e materiali. Infine l’ultima lettera, anco-
ra una Hey, rappresenta la fase finale e definitiva della rivelazione di
tutto ciò che nella Yud iniziale era soltanto un potenziale indifferenziato.
Qui la manifestazione si estende all’interno degli ordini fisici e mate-
riali.

In ebraico, i quattro Mondi sono chiamati: “arba’à ‘olamot” Si


tratta di quattro insiemi diversi di coordinate spazio-temporali, quattro
tipi di realtà, ognuno dei quali governato da leggi profondamente
differenti, anche se tra di essi esistono delle corrispondenze ben pre-
cise. Il nome Olam (mondo) viene dalla radice ebraica Elem, che
significa ”nascosto”.

mlr mler
ELEM — OLAM

Ciò che si nasconde nel mondo è la presenza della Luce Infinita. I


quattro mondi sono quattro spazi vuoti, quattro palcoscenici pronti a
ricevere i protagonisti delle vicende spirituali, cosmiche ed umane. I
loro nomi sono:

seme spirituale zeliv` = ATZILUT = EMANAZIONE

corpo spirituale d`ixa = BRIAH = CREAZIONE

seme naturale dxivi = YETZIRAH = FORMAZIONE

corpo naturale diyr = ASSIAH = AZIONE

A dire il vero, al di sopra di questi quattro gradi ve ne è un


quinto, che li riassume ed abbraccia in un tutt’uno, chiamato ADAM
QADMON O UOMO PRE-ESISTENTE :

oencw mc` ADAM QADMON

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Nelle prossime pagine cercheremo di descrivere brevemente
la natura di ognuno di essi, e dei tipi di vita e di coscienza che vi
dimorano. Ma come si è arrivati ai loro nomi? La Cabalà sostiene che
una delle prove più chiare dell’esistenza di questi quattro mondi è in
un versetto di Isaia (43, 7):
“ kol ha-niqra be-shmì u-le-kvodì, barativ, ietzartiv, af assitiv “
“ tutto ciò che si chiama nel Mio nome e nel Mio onore,
Io l’ho creato, l’ho formato, anche l’ho fatto”

È Dio che parla, per bocca del profeta, e afferma che su di


ogni creatura è impresso il Suo nome e in essa si manifesta il Suo
onore, ed è stata da Lui ”creata”, ”formata”, e ”anche” ”fatta”. È possi-
bile qui riconoscere i nomi di tre dei Mondi a cui abbiamo accennato
prima, nel loro rispettivo ordine gerarchico: ”creazione” (barativ), ”for-
mazione” (ietzartiv) e ”azione” (assitiv). Però, che ne è del quarto e
più alto dei Mondi? Da dove possiamo dedurre la sua esistenza?
Nella particella AF s` (Alef - Peh), che significa ”anche”, la Cabalà
scorge un’allusione alla presenza del quarto mondo, quello più alto e
sublime: l’Emanazione” (Atzilut).

Qui la Cabalà si distacca dalla tradizionale cosmologia


dell’Ebraismo, che fu sviluppata dai pensatori di una scuola chiamata:
Merchar o ”Ricerca”, il cui massimo esponente fu il Rambam (Rabbi
Moshe ben Maimon). Si trattava di una corrente di pensiero che cer-
cava di unire il razionalismo filosofico con la verità mistica e metafisi-
ca. Oltre alle sue forti basi di Ebraismo tradizionale, in essa erano
presenti dei motivi tipici del pensiero aristotelico. Tale dottrina sostie-
ne che i livelli di realtà (Mondi o Universi) che colmano l’abisso tra Dio
e l’uomo, tra Infinito e finito, sono tre: le “Intelligenze” (Sikhlim), gli
“Angeli”(Malakhim) e le “Orbite” (Galgalim). Il primo è l’insieme
degli archetipi fondamentali che sottendono tutta l’esistenza; è l’es-
senza delle regole altamente complesse e intelligenti che ispirano il
comportamento del cosmo. Il secondo è l’insieme delle forze spirituali
e psichiche che si occupano di fare da messaggeri tra Dio e gli
uomini, oltre a mantenere in vita il creato. Il terzo è l’insieme delle
forze fisiche (come quella di gravità, o quelle elettromagnetiche, ecc),
che si incaricano di tenere i pianeti e le stelle al loro posto, di farli
muovere in un determinato ordine, come pure di governare il funzio-
namento chimico e biologico di tutta la vita fisica.

-65-
Pur rispettando in linea di massima questa suddivisione, la
Cabalà vi aggiunge un quarto grado, che fa da elemento d’unione tra i
primi tre e Dio stesso. Questo quarto mondo, il più segreto e meno
ovvio di tutti, si chiama Atzilut (Emanazione). In esso dimorano enti-
tà perfette, chiamate PARTZUFIM (IPOSTASI o PERSONIFICAZIONI), che sono i
lati antropomorfici di Dio stesso, la Cui natura ultima è del tutto
inconoscibile. Tramite queste Ipostasi, Egli Si avvicina ai mondi infe-
riori e Si rende immanente in loro. Senza l’esistenza di questo grado
di realtà (ATZILUT) il salto tra Dio e la creazione sarebbe per sempre
troppo grande, e la coscienza divina resterebbe fatalmente inaccessi-
bile a quella umana.

Come mai i primi tre Mondi, o modi di creare, sono chiaramente


indicati nel versetto citato prima, mentre il quarto e più alto dei mondi
non lo è? Inoltre, come mai la parola che secondo i cabalisti indica la
sua presenza (AF) si trova tra quella indicante la formazione (ietzartiv)
e quella indicante l’azione (assitiv), rompendo così l’ordine gerarchico
dei mondi che abbiamo esposto precedentemente? Per rispondere a
queste domande bisogna citare un’espressione del Ba’al Shem Tov:

“Anche Atzilut è qui “= “af atzilut poh “ = dt zeliv` = s`


Pur essendo il più alto dei mondi, l’unico che è già completamente
rettificato, quello più vicino a Dio, abitato da entità che sono divine in
tutto e per tutto, Atzilut si trova qui con noi, in questo mondo basso e
materiale, al gradino più basso della scala della creazione. AF = An-
che, (”anche ho fatto”) viene ad aumentare la forza della rivelazione
di Atzilut proprio nel mondo dell’Azione. Ed ecco che le due lettere Af
(Alef - Peh) sono le iniziali di ATZILUT POH = “Atzilut è qui”.
Poh (Peh - Hey) significa anche ”bocca” (Peh), il simbolo del
mondo dell’Azione (gli occhi sono Atzilut, le orecchie sono Brià, il
naso è Yetzirà). L’essenza della rivelazione di Atzilut è nella bocca,
ed è il segreto dello spazio vuoto che viene riempito con parole di
conoscenza di Dio. La potenza creatrice del parlare è il simbolo del
Reshimo o Residuo, rimasto nello spazio vuoto creato dopo la Restri-
zione (Tzimtzum). Vediamo ora brevemente il significato di ognuno di
questi mondi.

-66-
zeliv`
ATZILUT - EMANAZIONE

La parola deriva dalla radice ETZEL lv` significante ”pres-


so”. È il mondo della massima ”prossimità” con Dio, e, come abbiamo
visto, anche col mondo più basso. La sua capacità è dunque quella di
essere un legame perfetto. La parte più importante ed essenziale di
tutta la Cabalà è dedicata a discutere e a spiegare la natura e le
proprietà di questo mondo. Corrisponde alla lettera Yud, la prima
lettera del Nome di Dio, un piccolo punto. È un mondo privo di co-
scienza separata, e le entità che vi dimorano sono in tutto e per tutto
lo specchio puro della volontà di Dio. Corrisponde anche alla sefirà di
Chokhmà, la Sapienza. Si tratta dell’inizio della rivelazione dell’Infinito
nel finito. L’Albero della Vita, pur estendendo i suoi rami dovunque,
ha la sua sede essenziale nel mondo di Atzilut (Yud vale 10, come il
totale delle Sefirot). Rappresenta il completo superamento dell’ego,
l’essere sempre in uno stato di AIN = di Nulla Divino, specchi perfetti
della Divina Volontà, Coscienza e Sentimento.

È il segreto del Nome di Dio, la sua dimora più adatta; è la


luce della Sapienza superiore, che qui assume la forma del Partzuf
chiamato ABBA (Padre). È il mondo dell’unione perfetta, dove ”ein od
mi levado” (”non c’è nessuno all’infuori di Lui” benedetto). È l’universo
del paradosso esistenziale più intenso, come confermato dal suo nome.
Infatti, da un lato Atzilut proviene dalla radice Etzel lv` = ”Presso”,
e ciò significa che Atzilut si trova tutt’ora ”presso” Dio, intimamente
vicino e connesso con Lui. Si pensi che ”nobile” in ebraico si dice
atzil, dalla stessa radice. Simile ad un nobile prediletto, che vive
sempre alla corte del suo re, Atzilut è in continua prossimità con l’AIN
SOF (l’Infinito). D’altra parte, Atzilut significa anche ”emanare” (Lehatzil);
è quindi un mondo ”emanato”, è già uscito fuori, si è già allontanato
dall’intimità perfetta. Si capisce da ciò la profonda contraddizione che
anima questo mondo, che tuttavia è il collegamento diretto tra il Crea-
tore e le creature. Si può dire che lo scopo dell’intera Cabalà sia
quello di rivelare e di descrivere l’esistenza di Atzilut.

-67-
Qualche osservazione sulla Ghematria della parola Atzilut =
573. Essa è pari all’espressione: “El deot Y-H-V-H” (1 Samuele 4):
”Ha-Shem è un Dio di conoscenze”. Questa frase ci guida a delle
importanti considerazioni. Il Dio che si rivela tramite la Bibbia ebraica,
tramite i profeti e i saggi d’Israele, non chiede un’obbedienza cieca,
una fede basata sulla rinuncia alle facoltà dell’intelletto, ma il sommo
della comprensione e dell’illuminazione da parte di tutte le facoltà
umane superiori. Subito dopo avere dato la Torà, Dio ci dice:

”atta hareta lada’at...” = ”ti è stato mostrato affinchè tu cono-


scessi...”.

(Cioè: ”Tu (Dio) ti sei rivelato affinche si potesse conoscere”).


Secondo il Rambam, una delle massime autorità nel campo
dell’Halakhah (le regole di vita dell’Ebraismo), la prima e più impor-
tante Mitzvà (precetto) è ”conoscere il Creatore”. In altre parole, sia-
mo chiamati a ”conoscere” Dio, non solo a credere ciecamente nella
Sua esistenza. D’altro canto, questa è una contraddizione in termini,
è un’impresa impossibile, in quanto Dio è, per Sua stessa definizione,
Inconcepibile ed Inconoscibile. Secondo la Cabalà, il mondo di Atzilut
è ciò che risolve il problema. Trovandosi a metà strada esattamente
tra l’Infinito ed il finito, e condividendone entrambe le qualità, esso si
offre all’indagine umana, pur nel contempo rimanendo fedele alla sua
natura perfetta e divina. Inoltre, grazie al fatto che è così vicino ad
Assià, lo spirito umano può salire suo tramite i vari gradini della
conoscenza superiore: ”Kol chad lepum share di le” = ”Ognuno se-
condo la sua porta (misura, capacità valutativa)”.

Ciò che siamo chiamati a sviluppare è DA’AT = ”CONOSCENZA


UNIFICATRICE”, la conoscenza che comporta l’esperienza diretta, l’unio-
ne tra conosciuto, conoscente e conoscenza. Non basta dunque leg-
gere libri e riempirsi di nozioni, ma occorre il contatto diretto, l’unione
mistica.

-68-
BRIAH - CREAZIONE

d`ixa
Mentre ogni entità di Atzilut, pur differenziandosi dalle altre
entità, resta sempre unita all’Ain Sof (l’Infinito) in uno stretto rapporto
simbiotico, in Brià c’è la possibilità dell’esistenza separata (Barà
choshekh = ”creò l’oscurità”). Qui possono esistere creature separate
da Dio. Tuttavia la loro esistenza è solo potenziale, e non si manifesta
ancora in modo attuale e definito. È il mondo delle radici dell’esisten-
za separata.

Brià è fatta di una sostanza chiamata HYULÌ, ileid


(Hey-Yud-Vav-Lamed-Yud): la ”materia prima” degli alchimisti, una
materia completamente priva di forma, radice dei quattro elementi
(che l’esoterismo tradizionale chiamava anche ”etere”). Si tratta della
quintessenza purissima di tutto ciò che esiste nei piani inferiori, il
piano segreto che verrà eseguito per arrivare alla versione definitiva
delle cose. Brià è chiamato anche: ”Yesh mi Ain” o ”Esistenza dal
Nulla”. Il Nulla è Atzilut, mentre l’inizio dell’esistenza è Brià. Essa
corrisponde alla sefirà di Binà (Intelligenza), grazie alla quale c’è la
ricezione e l’assorbimento della consapevolezza rivelatasi in Chokhmà
(Sapienza). Il tutto rimane però ancora segreto, così come il pensiero
dell’uomo è luce a lui stesso ma è oscurità per gli altri.

Mentre Atzilut può venir raggiunto soltanto tramite lo studio


dell’esoterismo cabalistico, l’accesso a Brià è possibile anche a pochi
altri modi di consapevolezza, tra i quali il pensiero della pura ricerca
scientifica. Ciò è vero però solo da poco tempo, ed è dovuto alla
importantissima rivoluzione che la scienza sta attraversando negli
ultimi decenni, rivoluzione incominciata agli inizi del secolo, con la
teoria della relatività e la teoria quantistica. Ultimamente, i ricercatori
nel campo della fisica subatomica sono arrivati ad avere le prove
dell’esistenza di uno stato indefinito, apparentemente vuoto, dal quale
hanno origine sia le varie particelle subatomiche fondamentali (come i
quark, i “mattoni” basilari della creazione) che le onde e i campi di
energia. Non si conoscono ancora leggi e proprietà di questo stato
indefinibile, chiamato “campo unificato”, ma si sta attualmente lavo-

-69-
rando alla ricerca di un’unica equazione capace di descrivere i com-
portamenti delle quattro forze fisiche fondamentali che animano il
campo unificato: l’elettromagnetismo, l’interazione debole, l’interazio-
ne forte e la forza di gravità. Tale equazione verrebbe chiamata
”equazione del campo unificato”, ed equivarrebbe alla scoperta scien-
tifica dell’esistenza del mondo di Brià, della ”creazione”. Infatti, per
stessa ammissione degli scienziati, le quattro forze citate erano una
volta una sola forza, quando l’universo era ai primissimi istanti della
sua vita, e si trovava concentrato in un piccolissimo volume, a pres-
sioni e temperature indescrivibili. Ecco il mondo di Brià: gli inizi della
creazione. Tuttavia è difficile pensare che gli scienziati possano arri-
vare all’equazione del campo unificato senza conoscere il segreto del
Nome di Dio, che è il modello basilare del come unificare le quattro
forze.

In Cabalà, Brià è il mondo del Kissè ha-Kavod o “Trono di


Gloria”, il luogo che sostiene, appoggia ma anche vela, la gloria divi-
na che risplende chiaramente solo in Atzilut. Qui esistono già degli
angeli, sebbene il loro mondo vero e proprio sia il prossimo, quello
della Formazione. Gli angeli di Brià sono i SERAFIM (che letteralmente
significa: i “Fuochi che bruciano”). Sono gli Angeli del Servizio, il cui
compito è di sostenere il Trono di Gloria e di cantare:

QADOSH, QADOSH, QADOSH = SANTO, SANTO, SANTO.

La Ghematria di Brià è 218, pari a Zohar, il nome del Libro


dello Splendore, la base di tutta la Cabalà. Quindi lo studio e la
meditazione sulle pagine di questo santo libro sono lo strumento più
efficace per penetrare i recessi nascosti del sublime livello di coscien-
za chiamato Brià. Ovviamente la potenza di visione che lo Zohar
conferisce non si ferma a Brià, ma si estende al mondo di Atzilut. Ma
dato che è impossibile per la coscienza umana, finché risiede nel
corpo, di fissarsi saldamente in Atzilut, lo Zohar le concede di arrivare
in Brià, onde potere dare uno sguardo alle sublimi realtà di Atzilut da
più vicino dei possibili punti di vista. 218 è anche reach = ”Olfatto”.
Non a caso certe pratiche meditative prevedono l’uso di sostanze
profumate, onde risvegliare ed affinare la percezione degli stati eleva-
ti.

Brià è il mondo dell’intelletto puro, della contemplazione. È il


primo mondo che si trova all’esterno (bar = esterno) di Atzilut.

-70-
Per capire la differenza tra questo mondo e il prossimo (Yetzirà)
occorre riflettere sul verso:
Yotzer or u-bore choshekh = Forma la luce e crea l’oscurità.
Com’è possibile che Brià, pur essendo oscurità, sia al di sopra di
Yetzirà che è luce? Non dovrebbe piuttosto essere il contrario? La
risposta è che esiste un qualcosa chiamato chomer, materia, e un
qualcosa chiamato tzurà, forma. L’inizio della creazione (Bereshit barà
Elohim..., “In Principio Dio creò...) è la materia prima, lo hyuli, comple-
tamente informe. Essa è comparsa dal nulla, e in essa non c’è ancora
differenza tra aria, acqua e fuoco e terra. La forma invece è il passo
successivo, la rivelazione di ciò che Brià contiene. I quattro elementi
sono la forma, lo hyuli è la sostanza, più elevata. Essa è oscurità
poiché ancora del tutto inconoscibile all’intelletto razionale, che tende
a dividere e a identificare in categorie separate. Ma non è un’oscurità
negativa. Piuttosto è il segno della prossimità al mistero Divino.
Dunque la creatività è uno stato indifferenziato, la potenza di
creare qualcosa dal nulla.
Brià è l’universo in cui vengono create e dimorano le anime umane,
prima che esse scendano nel corpo. Quindi alla loro origine le anime
sono di gran lunga superiori agli angeli, che appartengono soprattutto
a Yetzirà. Tale fatto ci deve far riflette sull’enorme importanza della
creatività. La qualità che contraddistingue l’essere umano da tutte le
altre entità che popolano i mondi è la creatività. Siamo liberi di sce-
gliere se aiutare Dio perfezionare e completare la creazione, o se
tentare di distruggerla (l’opposto di creare è distruggere). Creatività
deve venire inteso in senso lato, come la capacità spirituale di portare
alla luce, in noi stessi, negli altri o nel mondo, delle qualità che non
erano presenti prima.

In italiano la parola “anima” contiene la radice di “nome” (N-M)


Capovolgendo queste due consonanti si ottiene la radice fondamen-
tale di “umano” (in inglese man). Questo fenomeno si ritrova in ebrai-
co. “Anima” si dice Neshamà, dnyp. Le due lettere interne, Shin -
Mem, shem, significano “Nome”. Dunque il nome è l’interiorità del-
l’anima. Il nostro nome contiene le istruzioni di vita, è il canale che ci
tiene attaccati in alto, è il punto di riferimento, il segreto dell’identità
più profonda.Raggiungere e realizzare tale identità è la vera e ultima
impresa creativa della vita.

-71-
dxivi
YETZIRAH - FORMAZIONE

In italiano la parola “forma” deriva etimologicamente dal greco


phorein, portare, (cfr portamento, come sembianze), phormos, panie-
re. In latino è fero. Un’altra opinione la collega invece al sanscrito
dhar, risolta nel latino far, for, tenere, sostenere, contenere. Ci si
riferisce qui ad una figura stabile, fissa. La parola “formazione” pos-
siede dunque le stesse radici di frutto, (la effe e la erre). In ebraico
queste due lettere, Peh e Resh, par, xt indicano produrre, moltipli-
care, un’attività tipica di Assià, il mondo del fare. Sono infatti due
mondi molto legati, molto simili. Yetzirà ha il compito di sostenere
Assià, di fargli da paniere, di raccogliere l’energia e la materia che si
disperderebbero altrimenti in modo caotico, e di disporle secondo
modelli e forme caratteristiche. È il mondo dei campi essenziali, quelli
che danno forma a materia ed energia.
In ebraico il nome di Yetzirà viene dalla radice tzar, che significa
“stretto”. La forma è ancora una strettoia, nella quale vengono incanalati
gli enormi flussi di sostanza spirituale provenienti da Brià, dalla Crea-
zione.
Yetzirà è il mondo delle forze angeliche, degli angeli veri e pro-
pri. Chi sono gli angeli? Sono esseri di natura unicamente spirituale,
adibiti a dei compiti particolari. Vi sono quelli che soprassiedono a dei
fenomeni fisici (l’angelo del fuoco, quello dell’acqua, ecc.), ci sono
angeli che assistono l’operare umano (Raffaele, Gabriele, Michele,
ecc.) e ci sono angeli il cui compito è quello di innalzare inni di lodi e
preghiere a Dio. Angelo significa “messaggero”, da una radice indo-
europea, ag, significante “andare”. È interessante che in ebraico “an-
gelo” si dica mal’akh jln MLK . Questa radice è vicinissima al
NKL. La Kaf in italiano diventa la “g” dolce. Cadendo la Nun iniziale
rimane LK, che anche in ebraico significa “andare” (lekh). Dun-
que gli angeli sono i messaggeri, gli inviati di Dio nei mondi inferiori.
Essi sono in costante movimento. Tuttavia questo loro movimento è
solo esteriore. Interiormente essi non cambiano, non si evolvono.
Ecco il significato del verso: “e ho posto tra di voi (persone) che

-72-
vanno, tra tutti quelli che stanno”. Gli esseri umani “vanno”, cioè sono
in grado di evolversi interiormente a grande velocità, passando da
uno stato all’altro. Non così gli angeli, che sono immobili dal punto di
vista interiore, e veloci da quello esteriore. Il caso degli esseri umani
è esattamente il contrario.

”Formare” significa operare un cambiamento di forma su di una


sostanza già esistente, mentre ”creare” significa portare all’esistenza
qualcosa di completamente nuovo. In Yetzirà la possibilità dell’esi-
stenza separata, che in Brià era solo potenziale, diventa attuale. Si
tratta però di un’esistenza generale, i cui dettagli non sono ancora
definiti. Yetzirà è il mondo delle idee platoniche, o degli archetipi. Qui
c’è già rivelazione esterna di ciò che in Brià era ancora segreto. Qui si
trova l’essenza delle differenze tra popolo e popolo, tra tribù e tribù,
tra i vari gruppi di anime, nei loro insiemi.

Yetzirà corrisponde alla Vav del Nome di Dio, che indica una
discesa di livello. È il luogo dove i ”Figli”, cioè le emozioni del cuore,
nascono dalla ”Madre” (Binà). È un mondo altamente dinamico, dove
la vita pulsa in continuazione. In Yetzirà le forze duali e polari dell’esi-
stenza hanno già ampia libertà d’azione. Qui risiedono angeli buoni
ma anche angeli cattivi (comunemente chiamati “demoni”), e le co-
scienze che arrivano qui dal mondo inferiore non possono mai essere
sicure con quale dei due gruppi abbiano preso contatto. Yetzirà è
anche il mondo delle forze che vengono manipolate dai maghi. Da
queste considerazioni diventerà chiaro come le esperienze spirituali
compiute attraverso vari contatti con gli angeli siano di per sé limitate
e a volte ambigue. L’unico modo sicuro e proficuo di esplorare questo
peraltro bellissimo livello è lo studio profondo e dettagliato del Sefer
Yetzirà, il “Libro della Formazione”.
L’accesso a Yetzirà è possibile a varie forme di consapevolezza.
Ci può giungere il filosofo, al meglio del suo sforzo intellettuale; ci
arriva anche l’artista, mentre opera guidato dall’ispirazione creatrice.
Ci arrivano la scienza e la tecnologia, quando trattano dei fenomeni
energetici che stanno dietro l’apparenza delle cose. Occorre però che
tutto ciò avvenga con una coscienza di globalità, di sintesi, di valori
comuni. Se invece prevale lo spirito separatore, incline più ai dettagli
che all’insieme, allora la coscienza scende in Assià..

Yetzirà è il livello nel quale operano anche le energie descritte


dall’astrologia. Si pensi che la Ghematria di Yetzirà, 315, equivale

-73-
all’espressione kol chokhavei or = ”Tutte le stelle di luce”. Si pensi
inoltre al Libro della Formazione (Sefer Yetzirà), che prende questo
nome proprio perché si occupa soprattutto delle varie classi di appar-
tenenza nelle quali sono suddivise le varie creature, individuando la
loro radice cosmologica e spirituale.

Nell’esperienza mistica, Yetzirà corrisponde allo stato nel quale


la persona riesce a sintonizzare le sue emozioni e i suoi sentimenti
con quelli dei Maestri, dei Profeti, dei Patriarchi. È il luogo dell’amore
cosmico, ove è possibile percepire l’esistenza di una forza unificante,
più potente di ogni tendenza dispersiva e oppositrice. Yetzirà è il
mondo delle emozioni superiori e transpersonali. In esso il perdono e
la compassione cessano di essere meri ideali astratti (o addirittura
utopici o impraticabili, come molti pensano), per diventare regola di
vita.
In Yetzirà vi sono creature che soffrono di più e altre che
soffrono di meno, a seconda della loro natura e del loro stato di
coscienza. Può verificarsi il caso di un’anima che entri in Yetzirà
”forzando la porta”, senza ciò esserne pronta, salendo dal basso di
Assià ancora carica di tutta l’energia della lotta e della competitività
tipiche del mondo inferiore. Costei non trova certo una buona acco-
glienza in Yetzirà, e i luoghi o le forme di coscienza che le vengono
incontro sono chiamate in Cabalà: Malakhei ha-chabalah = ”Angeli
distruttori”. Ecco perché a volte le esperienze di ascesa spirituale
possono trasformarsi in un qualcosa di molto negativo, di terrificante,
o possono soltanto illudere la persona, che si costruisce una realtà
fittizia, immaginaria, credendo di aver conquistato chissà quali tra-
guardi, mentre invece si trova ancora in completa balia dell’angelo
della morte e delle sue schiere.
Per chi invece è pronto, Yetzirà offre invece un ben altro pano-
rama: un assaggio della bellezza e perfezione del mondo futuro, del
mondo rettificato, della vicinanza con Dio. Yetzirà porta con se la
consapevolezza dei processi vitali che animano la creazione: permet-
te di vedere come il flusso dell’energia spirituale si suddivide e si
condensa, cambiando forma e qualità, prima di arrivare ai vari esseri
che ne vengono alimentati.

-74-
ASSIÀ - AZIONE

diyr
È chiamato anche “mondo del “fare”. Le lettere fondamentali
della radice di “fare” sono Effe-Erre, F-R. Si tratta di una radice fonda-
mentale della lingua universale, alla cui origine c’è l’ebraico biblico
(pri = frutto). Essa significa “fruttificare” (frutto, produrre, fertilità, ecc.,
e così in molte altre lingue). Nello schema che abbiamo studiato
siamo arrivati al gradino finale, corrispondente al livello del frutto. Qui
occorre che ciascuno di noi dia i suoi frutti. È questo il primo coman-
damento che Dio dà ad Adamo: “crescete e moltiplicatevi” (in ebraico
“pru u-rvu”). Occorre portare frutto, rivelare le nostre potenzialità. Non
è più tempo per teorie, per emozioni o energie, buoni pensieri e
buone intenzioni, qui occorre “fare”, cioè produrre qualcosa che nutra
non solo noi stessi ma anche gli altri. Si pensi che il cibo più essen-
ziale di tutti è il frumento, nel cui nome troviamo la radice già studiata
(f-r).
Secondo l’etimologia tradizionale invece “fare” deriva dal sanscrito
dha, dato che nel sanscrito DH si cambia talvolta in F nella lingua
latina. Da quel suono basilare viene anche l’inglese “do”, fare. La
lettera essenziale è la D, in ebraico Dalet, che vale quattro, proprio
come il gradino di Assià, la “quarta categoria”, secondo un’espressio-
ne cabalistica, il quarto universo.
Qui si rivela finalmente tutta l’esistenza separata, coi suoi
innumerevoli dettagli. Qui prevale lo stato della separazione e della
frammentazione. Ed ecco che anche la parola “frammento” ha la
stessa radice: F-R. È nella parte inferiore di questo mondo che si
trova la materia.
Assià è il mondo dominato dal bisogno dell’azione, necessaria
per assicurare sostentamento fisico alle creature. Gli altri tre universi
invece, essendo più vicini alla Luce Infinita, ed essendo più traspa-
renti, ricevono energia e nutrimento con la massima facilità. Tra un
mondo e l’altro ci sono barriere separatorie (mashachim), che sono
tra i risultati dello Tzimtzum (Restrizione) originario. Oltre a nasconde-
re ciò che sta in alto, esse frenano e occultano la discesa
dell’Abbonanza verso le creature inferiori. Ecco il senso del predomi-

-75-
nio dell’azione nel mondo inferiore, azione che spesso assume forme
competitive, poiché non c’è abbastanza ricchezza disponibile per sod-
disfare tutti i bisogni e le necessità.
Assià è il mondo del continuo divenire, ove i cicli e i fenomeni
sono così numerosi da far perdere il senso dell’unicità dello scopo
finale e della radice da sui proviene tutta l’esistenza. Questi cicli sono
caratterizzati dalla continua comparsa di nuovi dettagli, e dalla scom-
parsa dei precedenti. Anche negli universi superiori esiste il cambia-
mento, ma in essi ciò significa crescita dinamica ed evoluzione, men-
tre in Assià può anche voler dire impermanenza e morte.

Si tenga comunque presente che solo Atzilut è già completa-


mente rettificato, mentre gli altri tre mondi sono soggetti, in misura
diversa, alla legge dell’entropia, che condanna le cose ad un graduale
esaurimento. In Atzilut la vita non ha concorrenti, è eterna e indistrut-
tibile. Il bisogno non esiste più. Non è così per gli altri tre mondi. Non
a caso la Cabalà chiama i tre mondi inferiori: “il cimitero di Atzilut”.
È pur vero che in Brià il fenomeno del progressivo esaurirsi dell’ener-
gia vitale è quasi completamente trascurabile. In Yetzirà invece è più
marcato. Si pensi che molte legioni di angeli vengono create e distrut-
te in continuazione.

Ritornando al mondo di Assià, pur essendo ricettacolo di un


vasto numero di entità negative, esso è intrinsecamente buono come
gli altri, e agli occhi di Dio è il più importante di tutti. Infatti Assià è al
centro della sfera prima descritta, è la stazione finale, dove occorre
arrestare la discesa, e dove incominciare a salire. Corrisponde alla
sefirà di Malkhut, il Regno, il luogo ove Dio desidera che si riveli il
Suo regno. Affinchè ciò avvenga è necessario compiere la Sua volon-
tà fino in fondo. Non basta fare meditazione (Atzilut), ne studiare o
pensare a Dio (Brià), Non basta nemmeno amarLo e sentirsi attaccati
a Lui con le emozioni del cuore (Yetzirà), bisogna agire di conseguen-
za, osservando i Suoi precetti (Assià).
C’è una frase, una promessa molto importante, che viene ripetu-
ta sovente nelle preghiere ebraiche:
‘ossè shalom = “fa la pace”.

La scelta del verbo fare non è casuale, in quanto avrebbe potuto dire:
darà la pace, o rivelerà la pace, o arriverà la pace, ecc. L’associazio-
ne tra “fare” e “pace” dimostra che questo dono è tipico del mondo di
Assià, o meglio, è una condizione che si può rivelare nella sua interezza

-76-
soltanto in Assià. Assià è il luogo ove si manifesterà l’ultimo e più
importante dei doni che il Santo, benedetto Egli sia, vuole darci: la
pace, cioè la completezza (in ebraico queste due parole derivano
dalla stessa radice). Per questo è necessario che si rivelino prima tutti
i dettagli della creazione, e Assià è l’universo dei dettagli dell’esisten-
za. La nostra superiorità sugli angeli che dimorano in Yetzirà sta
proprio nel fatto che noi ci troviamo in Assià, e possiamo agire su di
un livello della creazione che a loro è precluso, o al quale loro hanno
accesso soltanto indirettamente. La materia è opaca, pesante ed iner-
te solo agli occhi impreparati. Chi invece ha “occhi per vedere” sa che
la materia non è altro che uno stato altamente concentrato d’energia
e di luce, e che una semplice buona azione in questo mondo ha
risultati molto più potenti di eoni interi di contemplazione beatifica nei
mondi superiori. Concludiamo con una frase del Talmud che si basa
su questo segreto:

”tovah sha’ah achat be-teshuvah umaassim tovim be-olam ha ze


mi kol chaiei olam abba”

”è meglio un’ora passata a fare Teshuvah e buone opere


in questo mondo di tutta la vita del mondo a venire”.

-77-

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