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I Q U AT T R O

UNIVERSI
DELLA CABALÀ

di
Nadav Eliahu
Crivelli
I QUA TTRO UNIVERSI
QUATTRO
(OL AMOT)
(OLAMOT)
DELL
DELLAA C ABALÀ
CABALÀ

La Cabalà insegna che esistono ben quattro universi distinti (OLAMOT), uno solo dei
quali fatto di sostanza materiale, mentre gli altri tre sono di sostanze spirituali. A noi, abituati a
vivere in un mondo solo, anche se sta diventando piccolo, questa affermazione può sembrare un
po’ strana o anche fantascientifica. Che cosa si intende per ”mondo”? Come mai quattro, e non
cinque o tre? Come vanno intesi questi altri mondi, forse nel senso di entità extraterrestri tipo
UFO?
Per rispondere a queste domande dobbiamo tener presente gli assunti fondamentali della
Cabalà, secondo i quali la creazione è incominciata da una condizione nella quale l’unica realtà
era la Luce Infinita, una realtà perfetta, completamente al di là dello spazio-tempo e dei concetti
umani, impossibile a descriversi ed immaginarsi. Tramite una serie numerosa di gradini successivi,
all’interno di questa esistenza eterna ed infinita, Dio ha portato all’esistenza altri tipi di realtà, finiti
e temporali. Agli inizi si trattava di entità esclusivamente spirituali, non dipendenti dalle leggi fisiche
che governano la natura, e si trovavano ancora molto vicini alla Luce Infinita. Mano a mano questi
esseri o entità si sono inspessiti e condensati, quasi ”precipitando”, concentrandosi in una serie di
coordinate spazio-temporali via via sempre più ristrette. Al termine di tutti questi innumerevoli
processi di discesa, restrizione ed inspessimento, si è manifestato il mondo materiale, l’intero
universo delle galassie, delle stelle e dei pianeti, degli esseri umani, degli animali, delle piante e dei
minerali.

Per descrivere tale insieme di mondi, i Cabalisti ricorrono spesso all’immagine di una sfera
con numerosi strati concentrici, attraversata da canali che li mettono tutti in comunicazione tra di
loro, a guisa di raggi. L’universo fisico è solo l’ultimo di questa serie di sfere: la più piccola, posta
al centro di tutte le altre. Le sue dimensioni reali potrebbero essere maggiori o minori di quelle
attualmente descritte dalla scienza, ma ciò non rappresenta un problema, dato che i concetti
spazio-temporali sono relativi, come dimostrato da Einstein. Le sfere di realtà che circondano
l’universo fisico sono via via sempre più indipendenti da tali concetti e limiti. Là le informazioni
viaggiano a velocità via via crescente ben oltre la velocità della luce. Quindi le loro enormi
dimensioni non costituiscono un fattore capace di influenzare negativamente il comportamento
degli esseri e delle coscienze che li popolano, ne di limitare la loro capacità di comunicare
reciprocamente. In essi non vige la legge ferrea della incompenetrabilità della materia, ne quella
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della irreversibilità del flusso temporale. Là è possibile viaggiare dal passato al futuro e dal futuro
al passato.

È fondamentale in tutta la Cabalà la convinzione che tra tutti questi innumerevoli gradi
dell’esistenza vi sia una vasta rete di connessioni e di corrispondenze, che li unifica e li rende
interdipendenti. Non importa quanto ”lontane” o diverse siano, per ogni creatura terrestre esiste
un corrispettivo celeste. Infatti “Cabalà” vuole dire “corrispondenza”, ed essa si occupa di
descrivere i legami e le somiglianze tra tutti i gradini di cui è fatta la creazione. Così facendo il suo
intento è di renderla più intelligibile, mostrandone l’ordine intrinseco che la permea. Tuttavia,
aumentando il numero dei mondi da uno (quello visibile) a quattro, sembrerebbe che il panorama
si presenti ancora più complesso e confuso. Se si vuole evitare ciò è necessario trovare il modo di
esemplificare, classificare e numerare, è indispensabile discernere gli ordini gerarchici e le radici
principali da cui si diramano i tronchi e i rami dell’esistenza. La Cabalà sostiene che l’intero
sistema degli universi contiene quattro parti principali. In altri termini, Quattro è il numero minimo
di fasi attraverso le quali si può spiegare l’enorme salto tra Infinito e finito, tra Unità e molteplicità,
tra Divinità ed umanità. Ma perché quattro?
Osservando l’universo fisico è molto facile scoprire l’abbondanza di fenomeni legati al
quaternario. Si pensi che in tutto esistono quattro sostanze: tempo, spazio, energia, materia.
Anche le direzioni cardinali sono quattro (Nord, Sud, Est, Ovest), come pure gli elementi base
(Fuoco, Aria, Acqua, Terra), come pure gli stati della materia (solido, liquido, gassoso e igneo).
La fisica moderna ci insegna che tutte le forze che operano nell’universo sono riconducibili a
quattro campi primari (interazione forte, debole, elettromagnetismo, gravità). Lasciando il settore
dei fenomeni naturali ed entrando in quello degli aspetti psicologici umani, troviamo che esistono
quattro tipi caratteriali (intuitivo, pensante, sentimentale, materiale). In numerologia il quattro è il
numero della materia e della creazione.

La spiegazione cabalistica più essenziale di tutto ciò è la seguente: la creazione avviene


tramite la comparsa di un seme e il suo successivo sviluppo o rivelarsi. L’universo ha avuto inizio
da un seme, da un punto. In un seme vi è l’anima, cioè la potenza di crescere, e corpo, cioè il
recipiente al cui interno tale potenza è destinata ad operare. Nel frutto maturo ci sono ugualmente
due entità: anima e corpo. Si tratta di due fasi: la realtà nascosta e quella rivelata. Ma tale
processo di duplicazione deve ripetersi due volte: sia in alto che in basso, sia nei piani spirituali
che in quelli fisici; e da ciò si arriva al quattro: nascosto e rivelato superiori; nascosto e rivelato
inferiori. Anima e corpo spirituali, anima e corpo umani. Un osservatore sapiente e attento potrà
ritrovare queste sfumature in ogni processo della vita e in ogni fenomeno della creazione.

In ultima analisi, l’origine di ogni quaternario fa parte del segreto del Nome di Dio
(Y-H-V-H), chiamato il Tetragrammaton poiché è composto da quattro lettere:

d- e - d - i
HEY - VAV - HEY - YUD
In quelle quattro lettere sono contenuti i più importanti segreti della creazione. Nel contesto che ci
riguarda in queste pagine osserviamo come le quattro fasi corrispondano alle lettere del Nome.
La Yud è il mondo più elevato. La Yud è un semplice punto, e rappresenta il seme “divino” da
cui ha origine il tutto. La seconda lettera, una Hey, rappresenta invece il recipiente superno, che
da prima riceve il seme e gli permette di rivelarsi, pur se ancora in un piano unicamente spirituale.
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In ebraico la Hey rappresenta l’espressione, e la sua forma aperta e spaziosa suggerisce la


disponibilità che ogni recipiente deve avere. La terza lettera, la Vav, è una semplice linea diritta
che scende in basso. Il punto principiale, il seme originale, discende nei piani inferiori della
creazione, umani e materiali. Infine l’ultima lettera, ancora una Hey, rappresenta la fase finale e
definitiva della rivelazione di tutto ciò che nella Yud iniziale era soltanto un potenziale indifferenziato.
Qui la manifestazione si estende all’interno degli ordini fisici e materiali.

In ebraico, i quattro Mondi sono chiamati: “arba’à ‘olamot” Si tratta di quattro insiemi
diversi di coordinate spazio-temporali, quattro tipi di realtà, ognuno dei quali governato da leggi
profondamente differenti, anche se tra di essi esistono delle corrispondenze ben precise. Il nome
Olam (mondo) viene dalla radice ebraica Elem, che significa ”nascosto”.

mlr mler
ELEM — OLAM

Ciò che si nasconde nel mondo è la presenza della Luce Infinita. I quattro mondi sono quattro
spazi vuoti, quattro palcoscenici pronti a ricevere i protagonisti delle vicende spirituali, cosmiche
ed umane. I loro nomi sono:

seme spirituale zeliv` = ATZILUT = EMANAZIONE

corpo spirituale d`ixa = BRIAH = CREAZIONE

seme naturale dxivi = YETZIRAH = FORMAZIONE

corpo naturale diyr = ASSIAH = AZIONE

A dire il vero, al di sopra di questi quattro gradi ve ne è un quinto, che li riassume ed


abbraccia in un tutt’uno, chiamato ADAM QADMON O UOMO PRE-ESISTENTE :

oencw mc` ADAM QADMON

Nelle prossime pagine cercheremo di descrivere brevemente la natura di ognuno di essi, e dei tipi
di vita e di coscienza che vi dimorano. Ma come si è arrivati ai loro nomi? La Cabalà sostiene
che una delle prove più chiare dell’esistenza di questi quattro mondi è in un versetto di Isaia (43,
7):
“ kol ha-niqra be-shmì u-le-kvodì, barativ, ietzartiv, af assitiv “
“ tutto ciò che si chiama nel Mio nome e nel Mio onore,
Io l’ho creato, l’ho formato, anche l’ho fatto”

È Dio che parla, per bocca del profeta, e afferma che su di ogni creatura è impresso il
Suo nome e in essa si manifesta il Suo onore, ed è stata da Lui ”creata”, ”formata”, e ”anche”
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”fatta”. È possibile qui riconoscere i nomi di tre dei Mondi a cui abbiamo accennato prima, nel
loro rispettivo ordine gerarchico: ”creazione” (barativ), ”formazione” (ietzartiv) e ”azione”
(assitiv). Però, che ne è del quarto e più alto dei Mondi? Da dove possiamo dedurre la sua
esistenza? Nella particella AF s` (Alef - Peh), che significa ”anche”, la Cabalà scorge
un’allusione alla presenza del quarto mondo, quello più alto e sublime: l’Emanazione” (Atzilut).

Qui la Cabalà si distacca dalla tradizionale cosmologia dell’Ebraismo, che fu svilup-


pata dai pensatori di una scuola chiamata: Merchar o ”Ricerca”, il cui massimo esponente fu il
Rambam (Rabbi Moshe ben Maimon). Si trattava di una corrente di pensiero che cercava di
unire il razionalismo filosofico con la verità mistica e metafisica. Oltre alle sue forti basi di
Ebraismo tradizionale, in essa erano presenti dei motivi tipici del pensiero aristotelico. Tale
dottrina sostiene che i livelli di realtà (Mondi o Universi) che colmano l’abisso tra Dio e l’uomo,
tra Infinito e finito, sono tre: le “Intelligenze” (Sikhlim), gli “Angeli”(Malakhim) e le “Orbite”
(Galgalim). Il primo è l’insieme degli archetipi fondamentali che sottendono tutta l’esistenza; è
l’essenza delle regole altamente complesse e intelligenti che ispirano il comportamento del cosmo.
Il secondo è l’insieme delle forze spirituali e psichiche che si occupano di fare da messaggeri tra
Dio e gli uomini, oltre a mantenere in vita il creato. Il terzo è l’insieme delle forze fisiche (come
quella di gravità, o quelle elettromagnetiche, ecc), che si incaricano di tenere i pianeti e le stelle al
loro posto, di farli muovere in un determinato ordine, come pure di governare il funzionamento
chimico e biologico di tutta la vita fisica.

Pur rispettando in linea di massima questa suddivisione, la Cabalà vi aggiunge un quarto


grado, che fa da elemento d’unione tra i primi tre e Dio stesso. Questo quarto mondo, il più
segreto e meno ovvio di tutti, si chiama Atzilut (Emanazione). In esso dimorano entità perfette,
chiamate PARTZUFIM (IPOSTASI o PERSONIFICAZIONI), che sono i lati antropomorfici di Dio stesso,
la Cui natura ultima è del tutto inconoscibile. Tramite queste Ipostasi, Egli Si avvicina ai mondi
inferiori e Si rende immanente in loro. Senza l’esistenza di questo grado di realtà (ATZILUT) il salto
tra Dio e la creazione sarebbe per sempre troppo grande, e la coscienza divina resterebbe
fatalmente inaccessibile a quella umana.

Come mai i primi tre Mondi, o modi di creare, sono chiaramente indicati nel versetto citato
prima, mentre il quarto e più alto dei mondi non lo è? Inoltre, come mai la parola che secondo i
cabalisti indica la sua presenza (AF) si trova tra quella indicante la formazione (ietzartiv) e quella
indicante l’azione (assitiv), rompendo così l’ordine gerarchico dei mondi che abbiamo esposto
precedentemente? Per rispondere a queste domande bisogna citare un’espressione del Ba’al
Shem Tov:

“Anche Atzilut è qui “= “af atzilut poh “ = dt zeliv` = s`


Pur essendo il più alto dei mondi, l’unico che è già completamente rettificato, quello più vicino a
Dio, abitato da entità che sono divine in tutto e per tutto, Atzilut si trova qui con noi, in questo
mondo basso e materiale, al gradino più basso della scala della creazione. AF = Anche, (”anche
ho fatto”) viene ad aumentare la forza della rivelazione di Atzilut proprio nel mondo dell’Azione.
Ed ecco che le due lettere Af (Alef - Peh) sono le iniziali di ATZILUT POH = “Atzilut è qui”.
Poh (Peh - Hey) significa anche ”bocca” (Peh), il simbolo del mondo dell’Azione (gli occhi
sono Atzilut, le orecchie sono Brià, il naso è Yetzirà). L’essenza della rivelazione di Atzilut è
nella bocca, ed è il segreto dello spazio vuoto che viene riempito con parole di conoscenza di
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Dio. La potenza creatrice del parlare è il simbolo del Reshimo o Residuo, rimasto nello spazio
vuoto creato dopo la Restrizione (Tzimtzum). Vediamo ora brevemente il significato di ognuno
di questi mondi.

zeliv`
A T Z I L U T - E M A N A Z I O N E

La parola deriva dalla radice ETZEL lv` significante ”presso”. È il mondo della
massima ”prossimità” con Dio, e, come abbiamo visto, anche col mondo più basso. La sua
capacità è dunque quella di essere un legame perfetto. La parte più importante ed essenziale di
tutta la Cabalà è dedicata a discutere e a spiegare la natura e le proprietà di questo mondo.
Corrisponde alla lettera Yud, la prima lettera del Nome di Dio, un piccolo punto. È un mondo
privo di coscienza separata, e le entità che vi dimorano sono in tutto e per tutto lo specchio puro
della volontà di Dio. Corrisponde anche alla sefirà di Chokhmà, la Sapienza. Si tratta dell’inizio
della rivelazione dell’Infinito nel finito. L’Albero della Vita, pur estendendo i suoi rami dovunque,
ha la sua sede essenziale nel mondo di Atzilut (Yud vale 10, come il totale delle Sefirot).
Rappresenta il completo superamento dell’ego, l’essere sempre in uno stato di AIN = di Nulla
Divino, specchi perfetti della Divina Volontà, Coscienza e Sentimento.

È il segreto del Nome di Dio, la sua dimora più adatta; è la luce della Sapienza superiore,
che qui assume la forma del Partzuf chiamato ABBA (Padre). È il mondo dell’unione perfetta,
dove ”ein od mi levado” (”non c’è nessuno all’infuori di Lui” benedetto). È l’universo del
paradosso esistenziale più intenso, come confermato dal suo nome. Infatti, da un lato Atzilut
proviene dalla radice Etzel lv` = ”Presso”, e ciò significa che Atzilut si trova tutt’ora
”presso” Dio, intimamente vicino e connesso con Lui. Si pensi che ”nobile” in ebraico si dice
atzil, dalla stessa radice. Simile ad un nobile prediletto, che vive sempre alla corte del suo re,
Atzilut è in continua prossimità con l’AIN SOF (l’Infinito). D’altra parte, Atzilut significa anche
”emanare” (Lehatzil); è quindi un mondo ”emanato”, è già uscito fuori, si è già allontanato
dall’intimità perfetta. Si capisce da ciò la profonda contraddizione che anima questo mondo, che
tuttavia è il collegamento diretto tra il Creatore e le creature. Si può dire che lo scopo dell’intera
Cabalà sia quello di rivelare e di descrivere l’esistenza di Atzilut.

Qualche osservazione sulla Ghematria della parola Atzilut = 573. Essa è pari all’espres-
sione: “El deot Y-H-V-H” (1 Samuele 4): ”Ha-Shem è un Dio di conoscenze”. Questa frase ci
guida a delle importanti considerazioni. Il Dio che si rivela tramite la Bibbia ebraica, tramite i
profeti e i saggi d’Israele, non chiede un’obbedienza cieca, una fede basata sulla rinuncia alle
facoltà dell’intelletto, ma il sommo della comprensione e dell’illuminazione da parte di tutte le
facoltà umane superiori. Subito dopo avere dato la Torà, Dio ci dice:

”atta hareta lada’at...” = ”ti è stato mostrato affinchè tu conoscessi...”.


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(Cioè: ”Tu (Dio) ti sei rivelato affinche si potesse conoscere”). Secondo il Rambam, una
delle massime autorità nel campo dell’Halakhah (le regole di vita dell’Ebraismo), la prima e più
importante Mitzvà (precetto) è ”conoscere il Creatore”. In altre parole, siamo chiamati a ”cono-
scere” Dio, non solo a credere ciecamente nella Sua esistenza. D’altro canto, questa è una
contraddizione in termini, è un’impresa impossibile, in quanto Dio è, per Sua stessa definizione,
Inconcepibile ed Inconoscibile. Secondo la Cabalà, il mondo di Atzilut è ciò che risolve il
problema. Trovandosi a metà strada esattamente tra l’Infinito ed il finito, e condividendone
entrambe le qualità, esso si offre all’indagine umana, pur nel contempo rimanendo fedele alla sua
natura perfetta e divina. Inoltre, grazie al fatto che è così vicino ad Assià, lo spirito umano può
salire suo tramite i vari gradini della conoscenza superiore: ”Kol chad lepum share di le” =
”Ognuno secondo la sua porta (misura, capacità valutativa)”.

Ciò che siamo chiamati a sviluppare è DA’AT = ”CONOSCENZA UNIFICATRICE”, la cono-


scenza che comporta l’esperienza diretta, l’unione tra conosciuto, conoscente e conoscenza. Non
basta dunque leggere libri e riempirsi di nozioni, ma occorre il contatto diretto, l’unione mistica.

B R I A H - C R E A Z I O N E

d`ixa
Mentre ogni entità di Atzilut, pur differenziandosi dalle altre entità, resta sempre unita
all’Ain Sof (l’Infinito) in uno stretto rapporto simbiotico, in Brià c’è la possibilità dell’esistenza
separata (Barà choshekh = ”creò l’oscurità”). Qui possono esistere creature separate da Dio.
Tuttavia la loro esistenza è solo potenziale, e non si manifesta ancora in modo attuale e definito. È
il mondo delle radici dell’esistenza separata.

Brià è fatta di una sostanza chiamata HYULÌ, ileid


(Hey-Yud-Vav-Lamed-Yud): la ”materia prima” degli alchimisti, una materia completamente
priva di forma, radice dei quattro elementi (che l’esoterismo tradizionale chiamava anche ”etere”).
Si tratta della quintessenza purissima di tutto ciò che esiste nei piani inferiori, il piano segreto che
verrà eseguito per arrivare alla versione definitiva delle cose. Brià è chiamato anche: ”Yesh mi
Ain” o ”Esistenza dal Nulla”. Il Nulla è Atzilut, mentre l’inizio dell’esistenza è Brià. Essa
corrisponde alla sefirà di Binà (Intelligenza), grazie alla quale c’è la ricezione e l’assorbimento
della consapevolezza rivelatasi in Chokhmà (Sapienza). Il tutto rimane però ancora segreto, così
come il pensiero dell’uomo è luce a lui stesso ma è oscurità per gli altri.

Mentre Atzilut può venir raggiunto soltanto tramite lo studio dell’esoterismo cabalistico,
l’accesso a Brià è possibile anche a pochi altri modi di consapevolezza, tra i quali il pensiero della
pura ricerca scientifica. Ciò è vero però solo da poco tempo, ed è dovuto alla importantissima
rivoluzione che la scienza sta attraversando negli ultimi decenni, rivoluzione incominciata agli inizi
del secolo, con la teoria della relatività e la teoria quantistica. Ultimamente, i ricercatori nel campo
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della fisica subatomica sono arrivati ad avere le prove dell’esistenza di uno stato indefinito,
apparentemente vuoto, dal quale hanno origine sia le varie particelle subatomiche fondamentali
(come i quark, i “mattoni” basilari della creazione) che le onde e i campi di energia. Non si
conoscono ancora leggi e proprietà di questo stato indefinibile, chiamato “campo unificato”, ma
si sta attualmente lavorando alla ricerca di un’unica equazione capace di descrivere i comporta-
menti delle quattro forze fisiche fondamentali che animano il campo unificato: l’elettromagnetismo,
l’interazione debole, l’interazione forte e la forza di gravità. Tale equazione verrebbe chiamata
”equazione del campo unificato”, ed equivarrebbe alla scoperta scientifica dell’esistenza del
mondo di Brià, della ”creazione”. Infatti, per stessa ammissione degli scienziati, le quattro forze
citate erano una volta una sola forza, quando l’universo era ai primissimi istanti della sua vita, e si
trovava concentrato in un piccolissimo volume, a pressioni e temperature indescrivibili. Ecco il
mondo di Brià: gli inizi della creazione. Tuttavia è difficile pensare che gli scienziati possano
arrivare all’equazione del campo unificato senza conoscere il segreto del Nome di Dio, che è il
modello basilare del come unificare le quattro forze.

In Cabalà, Brià è il mondo del Kissè ha-Kavod o “Trono di Gloria”, il luogo che sostiene,
appoggia ma anche vela, la gloria divina che risplende chiaramente solo in Atzilut. Qui esistono
già degli angeli, sebbene il loro mondo vero e proprio sia il prossimo, quello della Formazione. Gli
angeli di Brià sono i SERAFIM (che letteralmente significa: i “Fuochi che bruciano”). Sono gli
Angeli del Servizio, il cui compito è di sostenere il Trono di Gloria e di cantare:

QADOSH, QADOSH, QADOSH = SANTO, SANTO, SANTO.

La Ghematria di Brià è 218, pari a Zohar, il nome del Libro dello Splendore, la base di
tutta la Cabalà. Quindi lo studio e la meditazione sulle pagine di questo santo libro sono lo
strumento più efficace per penetrare i recessi nascosti del sublime livello di coscienza chiamato
Brià. Ovviamente la potenza di visione che lo Zohar conferisce non si ferma a Brià, ma si
estende al mondo di Atzilut. Ma dato che è impossibile per la coscienza umana, finché risiede nel
corpo, di fissarsi saldamente in Atzilut, lo Zohar le concede di arrivare in Brià, onde potere dare
uno sguardo alle sublimi realtà di Atzilut da più vicino dei possibili punti di vista. 218 è anche
reach = ”Olfatto”. Non a caso certe pratiche meditative prevedono l’uso di sostanze profumate,
onde risvegliare ed affinare la percezione degli stati elevati.

Brià è il mondo dell’intelletto puro, della contemplazione. È il primo mondo che si trova
all’esterno (bar = esterno) di Atzilut.
Per capire la differenza tra questo mondo e il prossimo (Yetzirà) occorre riflettere sul verso:
Yotzer or u-bore choshekh = Forma la luce e crea l’oscurità.
Com’è possibile che Brià, pur essendo oscurità, sia al di sopra di Yetzirà che è luce? Non
dovrebbe piuttosto essere il contrario? La risposta è che esiste un qualcosa chiamato chomer,
materia, e un qualcosa chiamato tzurà, forma. L’inizio della creazione (Bereshit barà Elohim...,
“In Principio Dio creò...) è la materia prima, lo hyuli, completamente informe. Essa è comparsa
dal nulla, e in essa non c’è ancora differenza tra aria, acqua e fuoco e terra. La forma invece è il
passo successivo, la rivelazione di ciò che Brià contiene. I quattro elementi sono la forma, lo
hyuli è la sostanza, più elevata. Essa è oscurità poiché ancora del tutto inconoscibile all’intelletto
razionale, che tende a dividere e a identificare in categorie separate. Ma non è un’oscurità
negativa. Piuttosto è il segno della prossimità al mistero Divino.
Dunque la creatività è uno stato indifferenziato, la potenza di creare qualcosa dal nulla.
Brià è l’universo in cui vengono create e dimorano le anime umane, prima che esse scendano nel
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corpo. Quindi alla loro origine le anime sono di gran lunga superiori agli angeli, che appartengono
soprattutto a Yetzirà. Tale fatto ci deve far riflette sull’enorme importanza della creatività. La
qualità che contraddistingue l’essere umano da tutte le altre entità che popolano i mondi è la
creatività. Siamo liberi di scegliere se aiutare Dio perfezionare e completare la creazione, o se
tentare di distruggerla (l’opposto di creare è distruggere). Creatività deve venire inteso in senso
lato, come la capacità spirituale di portare alla luce, in noi stessi, negli altri o nel mondo, delle
qualità che non erano presenti prima.

In italiano la parola “anima” contiene la radice di “nome” (N-M) Capovolgendo queste due
consonanti si ottiene la radice fondamentale di “umano” (in inglese man). Questo fenomeno si
ritrova in ebraico. “Anima” si dice Neshamà, dnyp. Le due lettere interne, Shin - Mem,
shem, significano “Nome”. Dunque il nome è l’interiorità dell’anima. Il nostro nome contiene le
istruzioni di vita, è il canale che ci tiene attaccati in alto, è il punto di riferimento, il segreto
dell’identità più profonda.Raggiungere e realizzare tale identità è la vera e ultima impresa creativa
della vita.

dxivi
Y E T Z I R A H - F O R M A Z I O N E

In italiano la parola “forma” deriva etimologicamente dal greco phorein, portare, (cfr
portamento, come sembianze), phormos, paniere. In latino è fero. Un’altra opinione la collega
invece al sanscrito dhar, risolta nel latino far, for, tenere, sostenere, contenere. Ci si riferisce qui
ad una figura stabile, fissa. La parola “formazione” possiede dunque le stesse radici di frutto, (la
effe e la erre). In ebraico queste due lettere, Peh e Resh, par, xt indicano produrre,
moltiplicare, un’attività tipica di Assià, il mondo del fare. Sono infatti due mondi molto legati,
molto simili. Yetzirà ha il compito di sostenere Assià, di fargli da paniere, di raccogliere l’energia
e la materia che si disperderebbero altrimenti in modo caotico, e di disporle secondo modelli e
forme caratteristiche. È il mondo dei campi essenziali, quelli che danno forma a materia ed
energia.
In ebraico il nome di Yetzirà viene dalla radice tzar, che significa “stretto”. La forma è
ancora una strettoia, nella quale vengono incanalati gli enormi flussi di sostanza spirituale prove-
nienti da Brià, dalla Creazione.
Yetzirà è il mondo delle forze angeliche, degli angeli veri e propri. Chi sono gli angeli? Sono
esseri di natura unicamente spirituale, adibiti a dei compiti particolari. Vi sono quelli che sopras-
siedono a dei fenomeni fisici (l’angelo del fuoco, quello dell’acqua, ecc.), ci sono angeli che
assistono l’operare umano (Raffaele, Gabriele, Michele, ecc.) e ci sono angeli il cui compito è
quello di innalzare inni di lodi e preghiere a Dio. Angelo significa “messaggero”, da una radice
indo-europea, ag, significante “andare”. È interessante che in ebraico “angelo” si dica mal’akh
jln MLK . Questa radice è vicinissima al NKL. La Kaf in italiano diventa la “g” dolce.
Cadendo la Nun iniziale rimane LK, che anche in ebraico significa “andare” (lekh).
Dunque gli angeli sono i messaggeri, gli inviati di Dio nei mondi inferiori. Essi sono in costante
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movimento. Tuttavia questo loro movimento è solo esteriore. Interiormente essi non cambiano,
non si evolvono. Ecco il significato del verso: “e ho posto tra di voi (persone) che vanno, tra
tutti quelli che stanno”. Gli esseri umani “vanno”, cioè sono in grado di evolversi interiormente a
grande velocità, passando da uno stato all’altro. Non così gli angeli, che sono immobili dal punto
di vista interiore, e veloci da quello esteriore. Il caso degli esseri umani è esattamente il contrario.

”Formare” significa operare un cambiamento di forma su di una sostanza già esistente,


mentre ”creare” significa portare all’esistenza qualcosa di completamente nuovo. In Yetzirà la
possibilità dell’esistenza separata, che in Brià era solo potenziale, diventa attuale. Si tratta però di
un’esistenza generale, i cui dettagli non sono ancora definiti. Yetzirà è il mondo delle idee
platoniche, o degli archetipi. Qui c’è già rivelazione esterna di ciò che in Brià era ancora segreto.
Qui si trova l’essenza delle differenze tra popolo e popolo, tra tribù e tribù, tra i vari gruppi di
anime, nei loro insiemi.

Yetzirà corrisponde alla Vav del Nome di Dio, che indica una discesa di livello. È il luogo
dove i ”Figli”, cioè le emozioni del cuore, nascono dalla ”Madre” (Binà). È un mondo altamente
dinamico, dove la vita pulsa in continuazione. In Yetzirà le forze duali e polari dell’esistenza hanno
già ampia libertà d’azione. Qui risiedono angeli buoni ma anche angeli cattivi (comunemente
chiamati “demoni”), e le coscienze che arrivano qui dal mondo inferiore non possono mai essere
sicure con quale dei due gruppi abbiano preso contatto. Yetzirà è anche il mondo delle forze che
vengono manipolate dai maghi. Da queste considerazioni diventerà chiaro come le esperienze
spirituali compiute attraverso vari contatti con gli angeli siano di per sé limitate e a volte ambigue.
L’unico modo sicuro e proficuo di esplorare questo peraltro bellissimo livello è lo studio profon-
do e dettagliato del Sefer Yetzirà, il “Libro della Formazione”.
L’accesso a Yetzirà è possibile a varie forme di consapevolezza. Ci può giungere il
filosofo, al meglio del suo sforzo intellettuale; ci arriva anche l’artista, mentre opera guidato
dall’ispirazione creatrice. Ci arrivano la scienza e la tecnologia, quando trattano dei fenomeni
energetici che stanno dietro l’apparenza delle cose. Occorre però che tutto ciò avvenga con una
coscienza di globalità, di sintesi, di valori comuni. Se invece prevale lo spirito separatore, incline
più ai dettagli che all’insieme, allora la coscienza scende in Assià..

Yetzirà è il livello nel quale operano anche le energie descritte dall’astrologia. Si pensi che
la Ghematria di Yetzirà, 315, equivale all’espressione kol chokhavei or = ”Tutte le stelle di
luce”. Si pensi inoltre al Libro della Formazione (Sefer Yetzirà), che prende questo nome
proprio perché si occupa soprattutto delle varie classi di appartenenza nelle quali sono suddivise
le varie creature, individuando la loro radice cosmologica e spirituale.

Nell’esperienza mistica, Yetzirà corrisponde allo stato nel quale la persona riesce a
sintonizzare le sue emozioni e i suoi sentimenti con quelli dei Maestri, dei Profeti, dei Patriarchi. È
il luogo dell’amore cosmico, ove è possibile percepire l’esistenza di una forza unificante, più
potente di ogni tendenza dispersiva e oppositrice. Yetzirà è il mondo delle emozioni superiori e
transpersonali. In esso il perdono e la compassione cessano di essere meri ideali astratti (o
addirittura utopici o impraticabili, come molti pensano), per diventare regola di vita.
In Yetzirà vi sono creature che soffrono di più e altre che soffrono di meno, a
seconda della loro natura e del loro stato di coscienza. Può verificarsi il caso di un’anima che entri
in Yetzirà ”forzando la porta”, senza ciò esserne pronta, salendo dal basso di Assià ancora carica
di tutta l’energia della lotta e della competitività tipiche del mondo inferiore. Costei non trova
certo una buona accoglienza in Yetzirà, e i luoghi o le forme di coscienza che le vengono incontro
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sono chiamate in Cabalà: Malakhei ha-chabalah = ”Angeli distruttori”. Ecco perché a volte le
esperienze di ascesa spirituale possono trasformarsi in un qualcosa di molto negativo, di terrifi-
cante, o possono soltanto illudere la persona, che si costruisce una realtà fittizia, immaginaria,
credendo di aver conquistato chissà quali traguardi, mentre invece si trova ancora in completa
balia dell’angelo della morte e delle sue schiere.
Per chi invece è pronto, Yetzirà offre invece un ben altro panorama: un assaggio della
bellezza e perfezione del mondo futuro, del mondo rettificato, della vicinanza con Dio. Yetzirà
porta con se la consapevolezza dei processi vitali che animano la creazione: permette di vedere
come il flusso dell’energia spirituale si suddivide e si condensa, cambiando forma e qualità, prima
di arrivare ai vari esseri che ne vengono alimentati.

A S S I À - A Z I O N E

diyr
È chiamato anche “mondo del “fare”. Le lettere fondamentali della radice di “fare” sono
Effe-Erre, F-R. Si tratta di una radice fondamentale della lingua universale, alla cui origine c’è
l’ebraico biblico (pri = frutto). Essa significa “fruttificare” (frutto, produrre, fertilità, ecc., e così in
molte altre lingue). Nello schema che abbiamo studiato siamo arrivati al gradino finale, corrispon-
dente al livello del frutto. Qui occorre che ciascuno di noi dia i suoi frutti. È questo il primo
comandamento che Dio dà ad Adamo: “crescete e moltiplicatevi” (in ebraico “pru u-rvu”).
Occorre portare frutto, rivelare le nostre potenzialità. Non è più tempo per teorie, per emozioni o
energie, buoni pensieri e buone intenzioni, qui occorre “fare”, cioè produrre qualcosa che nutra
non solo noi stessi ma anche gli altri. Si pensi che il cibo più essenziale di tutti è il frumento, nel cui
nome troviamo la radice già studiata (f-r).
Secondo l’etimologia tradizionale invece “fare” deriva dal sanscrito dha, dato che nel
sanscrito DH si cambia talvolta in F nella lingua latina. Da quel suono basilare viene anche
l’inglese “do”, fare. La lettera essenziale è la D, in ebraico Dalet, che vale quattro, proprio come
il gradino di Assià, la “quarta categoria”, secondo un’espressione cabalistica, il quarto universo.
Qui si rivela finalmente tutta l’esistenza separata, coi suoi innumerevoli dettagli. Qui
prevale lo stato della separazione e della frammentazione. Ed ecco che anche la parola “fram-
mento” ha la stessa radice: F-R. È nella parte inferiore di questo mondo che si trova la materia.
Assià è il mondo dominato dal bisogno dell’azione, necessaria per assicurare sostentamen-
to fisico alle creature. Gli altri tre universi invece, essendo più vicini alla Luce Infinita, ed essendo
più trasparenti, ricevono energia e nutrimento con la massima facilità. Tra un mondo e l’altro ci
sono barriere separatorie (mashachim), che sono tra i risultati dello Tzimtzum (Restrizione)
originario. Oltre a nascondere ciò che sta in alto, esse frenano e occultano la discesa
dell’Abbonanza verso le creature inferiori. Ecco il senso del predominio dell’azione nel mondo
inferiore, azione che spesso assume forme competitive, poiché non c’è abbastanza ricchezza
disponibile per soddisfare tutti i bisogni e le necessità.
Assià è il mondo del continuo divenire, ove i cicli e i fenomeni sono così numerosi da far
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perdere il senso dell’unicità dello scopo finale e della radice da sui proviene tutta l’esistenza.
Questi cicli sono caratterizzati dalla continua comparsa di nuovi dettagli, e dalla scomparsa dei
precedenti. Anche negli universi superiori esiste il cambiamento, ma in essi ciò significa crescita
dinamica ed evoluzione, mentre in Assià può anche voler dire impermanenza e morte.

Si tenga comunque presente che solo Atzilut è già completamente rettificato, mentre gli altri
tre mondi sono soggetti, in misura diversa, alla legge dell’entropia, che condanna le cose ad un
graduale esaurimento. In Atzilut la vita non ha concorrenti, è eterna e indistruttibile. Il bisogno
non esiste più. Non è così per gli altri tre mondi. Non a caso la Cabalà chiama i tre mondi
inferiori: “il cimitero di Atzilut”. È pur vero che in Brià il fenomeno del progressivo esaurirsi
dell’energia vitale è quasi completamente trascurabile. In Yetzirà invece è più marcato. Si pensi
che molte legioni di angeli vengono create e distrutte in continuazione.

Ritornando al mondo di Assià, pur essendo ricettacolo di un vasto numero di entità


negative, esso è intrinsecamente buono come gli altri, e agli occhi di Dio è il più importante di tutti.
Infatti Assià è al centro della sfera prima descritta, è la stazione finale, dove occorre arrestare la
discesa, e dove incominciare a salire. Corrisponde alla sefirà di Malkhut, il Regno, il luogo ove
Dio desidera che si riveli il Suo regno. Affinchè ciò avvenga è necessario compiere la Sua volontà
fino in fondo. Non basta fare meditazione (Atzilut), ne studiare o pensare a Dio (Brià), Non
basta nemmeno amarLo e sentirsi attaccati a Lui con le emozioni del cuore (Yetzirà), bisogna
agire di conseguenza, osservando i Suoi precetti (Assià).
C’è una frase, una promessa molto importante, che viene ripetuta sovente nelle preghiere
ebraiche:
‘ossè shalom = “fa la pace”.

La scelta del verbo fare non è casuale, in quanto avrebbe potuto dire: darà la pace, o rivelerà la
pace, o arriverà la pace, ecc. L’associazione tra “fare” e “pace” dimostra che questo dono è
tipico del mondo di Assià, o meglio, è una condizione che si può rivelare nella sua interezza
soltanto in Assià. Assià è il luogo ove si manifesterà l’ultimo e più importante dei doni che il
Santo, benedetto Egli sia, vuole darci: la pace, cioè la completezza (in ebraico queste due parole
derivano dalla stessa radice). Per questo è necessario che si rivelino prima tutti i dettagli della
creazione, e Assià è l’universo dei dettagli dell’esistenza. La nostra superiorità sugli angeli che
dimorano in Yetzirà sta proprio nel fatto che noi ci troviamo in Assià, e possiamo agire su di un
livello della creazione che a loro è precluso, o al quale loro hanno accesso soltanto indirettamen-
te. La materia è opaca, pesante ed inerte solo agli occhi impreparati. Chi invece ha “occhi per
vedere” sa che la materia non è altro che uno stato altamente concentrato d’energia e di luce, e
che una semplice buona azione in questo mondo ha risultati molto più potenti di eoni interi di
contemplazione beatifica nei mondi superiori. Concludiamo con una frase del Talmud che si basa
su questo segreto:

”tovah sha’ah achat be-teshuvah umaassim tovim be-olam ha ze


mi kol chaiei olam abba”

”è meglio un’ora passata a fare Teshuvah e buone opere


in questo mondo di tutta la vita del mondo a venire”.

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