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La fenomenologia come scienza

della soggettività. Da Husserl a


Jaspers.
gabrielegiacomini8127 Novembre 2019Filosofia e psicopatologia

La nascita della fenomenologia

Edmund Husserl (1859-1938), fondatore della fenomenologia, ha


sentito la necessità di far nascere una nuova scienza da una
semplice constatazione.

Le scienze naturali non possono cogliere l’originalità soggettiva del


singolo individuo. Possono piuttosto fornirci informazioni sulla realtà
che ci circonda, per padroneggiarla e manipolarla. Le scienze naturali
sono le scienze dell’oggetto, non del soggetto.

La fenomenologia deve essere, invece, una scienza della


soggettività, per studiare il lato più autentico dell’essere umano:
l’intenzionalità della coscienza.

Pensare che l’uomo abbia un’intenzionalità, ovvero una volontà libera


e spontanea, è un’assurdità dal punto di vista della scienza naturale.
In che senso l’uomo potrebbe sottrarsi, a differenza degli altri
organismi, alle leggi meccaniche dell’Universo? Nel mondo naturale
non esiste alcuna libertà individuale; è abolita ogni soggettività.

Un metodo scientifico è coerentemente naturalistico se è puramente


oggettivo, anonimo, impersonale. Nella scienza naturale non vi è
spazio per la personalità dell’uomo.

Per costituire, invece, una scienza della soggettività e della


personalità è necessaria una modifica sostanziale dell’atteggiamento
:
dell’esaminatore. E’ richiesta una radicale sospensione del giudizio
sulla realtà oggettuale.

Il mondo esterno non viene negato nella sua esistenza; viene


piuttosto messo tra parentesi. Se siamo immedesimati nel mondo,
diventiamo noi stessi “oggetti” della Natura e ci depersonalizziamo.

Il sentimento di “trascendere”

In fenomenologia è richiesto all’uomo di andare oltre (trascendere)


tutte le comuni convinzioni della vita quotidiana, compreso lo stesso
pensiero razionale.

Dobbiamo quindi oltrepassare anche l’idea del cogito ergo sum di


Cartesio, che si illudeva di ridurre l’uomo ad una “sostanza
pensante”.

In primo luogo, l’individuo non è una sostanza, nè una cosa, nè un


oggetto, ma è un soggetto.

In secondo luogo, l’uomo non può limitarsi all’identificazione col suo


pensiero intellettuale. Perderebbe così l’originalità individuale che lo
rende capace di provare sentimenti, che insorgono spontaneamente
nella personalità di ognuno di noi.

“Io sono”

Il sentimento connesso all’esistenza è la coscienza dell’Io, un’attività


psichica individuale non ulteriormente derivabile (“Io sono”).

La coscienza dell’essere umano possiede una caratteristica


peculiare: quella di potersi distaccare dagli oggetti della realtà e dai
propri pregiudizi (ovvero i condizionamenti del mondo esterno).

Attraverso la fenomenologia ed il suo metodo, il soggetto, secondo


:
Husserl, può arrivare a conoscere le essenze della realtà.

Io sono autonomo e attivo? O sono uno strumento passivo di un


Essere che mi manovra?

Husserl resta tuttavia ambiguo sulla possibilità dell’uomo di


padroneggiare autonomamente la realtà.

Talora l’intenzionalità della coscienza sembra corrispondere al


sentimento originario dell’uomo di voler conoscere il mondo.

In altri passi, nella fenomenologia sembrano invece le cose a voler


presentarsi all’individuo a loro piacimento, attraverso una rivelazione.
L’atto di rivelarsi sembra dipendere non dall’uomo, ma da una realtà
esistente di per sè, inconoscibile nella sua totalità.

Da un lato, quindi si parte alla ricerca di un’intenzionalità attiva dell’Io


nel conoscere. Dall’altro, si rischia di giungere alla conclusione che
conoscenza, volontà e libertà sono possibili solo attraverso il
disvelamento (apofania) di un Essere superiore, distinto da me.

L’Essere si rivela tramite una sua azione arbitraria? A questo punto,


allora, una libera attività del soggetto è fittizia. L’io individuale è
dipendente da un intervento dell’Essere trascendente, quindi è
passivo, sia a livello esistenziale (ontologico), sia a livello conoscitivo
della realtà (gnoseologico).

Il contributo di K. Jaspers: la fenomenologia per studiare le


patologie psichiatriche

K. Jaspers, nella sua Psicopatologia Generale (1913), risente


profondamente dell’influenza del pensiero di Husserl.

Jaspers intende applicare l’atteggiamento fenomenologico alla


psiche umana, per arrivare ad una scienza della soggettività.
:
L’Io, ovvero il soggetto in prima persona, secondo Jaspers ha
un’intrinseca attività (coscienza dell’attività dell’Io). L’essere umano
avrebbe quindi un’autonoma capacità di scelta, di volontà e di auto-
affermazione.

L’uomo si oppone dialetticamente al mondo esterno per conoscere


meglio se stesso, attraverso il principio della riflessione.

La riflessione è un’attività, non un passivo rispecchiamento di


pensieri già esistenti (come il termine potrebbe fare immaginare).

Come termina lo slancio conoscitivo dell’essere umano nel pensiero


di Jaspers? Nel testo Metafisica (1933) il destino dell’individuo,
purtroppo, è il “naufragio”, a meno che non vi sia l’intervento di un
Essere trascendente che lo salvi e lo illumini. Questa rivelazione
divina non può essere spiegata dalla ragione umana. Può, al limite,
essere intuita attraverso i sentimenti della fede e dell’abbandono.

Tale deriva ontologico-metafisica del pensiero di Jaspers può


mettere in crisi la validità della psicopatologia come scienza: se devo
affidarmi alla fede religiosa come posso fondare uno studio
scientifico della psiche umana?

L’Autore non ha affrontato, forse volutamente, questo argomento,


prediligendo un’analisi non sistematica dei fenomeni della vita
psichica. Da essa emerge un essere umano in costante inquietudine,
per il suo continuo slancio di voler andare oltre se stesso, accettando
anche il rischio di naufragare pur di cercare di raggiungere l’assoluto.

L’angoscia è il sentimento cardinale dell’esistenza. E’ un vissuto


opprimente ma, al tempo stesso, è anche la tensione fondamentale
che permette l’esistenza. La vita psichica è continuo divenire,
altrimenti avremmo davanti solo quiete e morte. Si avvertono, in
particolare, le influenze del pensiero di S. Kierkegaard, secondo cui
:
“l’angoscia è la vertigine della libertà”.

Come possiamo risolvere il conflitto tra esigenza di uno studio


scientifico della psiche, da un lato, e conservazione della sua
originalità soggettiva, dall’altro?

Si può partire dallo stesso spirito della fenomenologia, che propone


una modifica del nostro atteggiamento ed il distacco da ogni realtà
precostituita: il mondo naturale non è negato a priori, ma non viene
considerato a fini conoscitivi.

Dietro ad ogni realtà dogmatica ed esistente “di per sè” si cela una
negazione dell’uso della ragione umana.

Il primo principio di conoscenza che posso conservare è che io


esisto. Il verbo “essere” è l’unico che non necessita di un oggetto per
avere una realizzazione, un compimento.

Il secondo principio è che io ho una consapevolezza di esistere


(coscienza dell’Io). Essa non sarebbe possibile se non esistesse un
problema, ovvero la contrapposizione tra me e la realtà oggettuale.

Da tale dialettica originaria nasce non solo la vita psichica, ma anche


la possibilità di fondare la fenomenologia come una scienza
psicologica che ponga al centro il soggetto in prima persona.

In psicopatologia sospendiamo ogni giudizio sull’esistenza di un


Essere metafisico (ricerca che lasciamo alla teologia). La
fenomenologia dovrebbe porre al centro dello studio non una
presunta realtà trascendente (separata da me stesso), ma il
sentimento di trascendere, ovvero il mio slancio di voler andare oltre i
limiti individuali, per vivere nella tensione verso la totalità universale.

Per approfondimenti:
https://www.youtube.com/watch?v=nb7SofQSzDg
:
https://www.youtube.com/watch?v=OxqYKR7zJmw
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