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Era il 2017 quando siamo stati l’ultima volta in Thailandia, eravamo partiti dalla Cambogia, si doveva

passare per Bangkok, proseguire verso il nord per poi entrare in Laos. Arrivati Thailandia la situazione è
precipitata (forse lo racconterò in un futuro diario adesso lasciamo perdere) invece di un viaggio abbiamo
dovuto affrontare il peggior periodo della nostra vita! Adesso andiamo a concludere questo viaggio lasciato
in sospeso, partiamo dalla Terra del sorriso (si, in Thailandia sorridono tutti) e concluderemo nel Paese del
Milione di elefanti (anche se noi non ne vedremo). Un viaggio intenso, pieno di incontri e di scoperte,
partiremo da Bangkok in macchina (un’avventura nell’avventura) per lasciarla a Chiang Mai, capitale del
nord. Proseguiremo con i mezzi pubblici per Chiang Rai, Chiang Kong, attraverseremo il confine attraverso
il Fourth Friendship Bridge per dirigerci a Luang Namtha dove organizzeremo il nostro trekking,
proseguiremo per la stupenda Nong Khiaw per concederci un due favolosi giorni sul Nam Ou. Dopo un
lungo trasferimento raggiungeremo la favolosa Luang Prabang e infine ci concederemo un viaggio in treno
fino alla capitale Vientiane.
1 luglio
Arrivare a un punto è il punto di partenza per un altro.
Mattinata passata in modo noioso, si passa dal supermarket per le ultime spese,
mangiamo verso le 12 e alle 13.15 prendiamo il bus per la stazione. Con noi
nostra figlia, è il primo viaggio da oltre vent’anni da soli. Arriviamo alla
stazione con grande anticipo e il treno parte pure in ritardo, non molto, solo
cinque minuti ma poi lungo il tragitto accumulerà altro ritardo così perderemo
la coincidenza a Verona. Nulla di grave, prendiamo il primo treno utile, un
frecciarossa e il controllore non ci fa pagare la differenza. A Milano altro treno
per Malpensa, siamo in leggero ritardo rispetto a quanto programmato, il
check-in è veloce e così anche i controlli. Alle 22 siamo imbarcati e partiamo
puntuali, l’Oman Air è una buona compagnia, il volo è comodo, ci danno da
mangiare ben due volte.

2 luglio
Dove i sorrisi sono caldi come i tramonti
Alle 6.25 siamo a Muscat, giusto il tempo per i controlli di routine e saliamo sulla seconda tratta per
arrivare a Bangkok puntuali alle 18:00 (a casa sarebbero le 13!)

Thailandia, il cui nome completo sarebbe Regno di Thailandia, è


solo dal 1939 che ha questo nome (prima era il Siam di Risiko
memoria!), deriva dal termine locale Prathet Thai, letteralmente
Terra degli uomini liberi. Con i suoi circa 513000km2 è
decisamente più grande dell’Italia (i 5/3 del nostro paese) e con
una densità della popolazione più bassa della nostra (ma loro
sono in crescita)

Prendiamo la scheda SIM, cambiamo e prendiamo l’auto per 8gg e filiamo diretti al vicino Silver
Gold Garden, Suvarnabhumi Airport. Sono 9km solo 15min di strada ma il GPS non funziona, la
guida a sinistra, la stanchezza producono un’oretta di ansia, qua e là ci fermiamo, chiediamo a gente
che incontriamo, alla fine arriviamo. L’hotel è discreto e ha il posto macchina, prendiamo possesso
della stanza, doccia per mandar via la stanchezza e andiamo in un ristorantino adiacente all’hotel a
mangiare. Siamo pronti per affrontare la prima parte di questo lungo viaggio: da Bangkok a Chiang
Mai in macchina!
3 luglio
Viaggiare, è dare un senso alla propria vita, viaggiare, è donare la vita ai propri sensi.
Oggi ci svegliamo con comodo e facciamo una abbondante colazione, il GPS continua ad avere
problemi così fatichiamo ad imboccare l’autostrada e, pur essendo Ayutthaya relativamente vicina
(104km, 1h30min), arriviamo in hotel alle 11:00. L’hotel è dignitoso ma non parlano granché
l’inglese, fatichiamo a farci capire, comunque sia riusciamo a prendere possesso delle camere e alle
11:30 siamo pronti per visitare questo primo sito archeologico.

Antica capitale Thailandia, il cui nome completo in thailandese è Phra Nakhon Si


Ayutthaya, è una delle maggiori città della Thailandia. Fu la capitale del longevo Regno del
Siam, antico nome della Thailandia, nonché un ricchissimo porto di commercio
internazionale dal 1350 fino al 1767, quando fu rasa al suolo dai birmani. Le rovine della
città vecchia ora costituiscono il Parco storico di Ayutthaya, sito archeologico che contiene
palazzi, templi buddisti, monasteri e statue. Il centro storico sorge su un’isola, risultato di
una sedimentazione secolare, situata alla confluenza di tre fiumi: il Chao Phraya, che scorre
a ovest e a sud; il Pa Sak, che scorre a est; il Lopburi, che confluisce nel Pa Sak nell’angolo
nord est dell’isola. Questi fiumi, assieme al canale artificiale scavato sul lato nord,
costituivano il fossato difensivo della città.
Partiamo carichi, l’idea è farcela a piedi, siamo a circa 20’ a piedi dal centro storico, ci ferma un
simpatico autista di tuk tuk, ci propone il giro completo comodamente seduti sul suo bolide. Forse
non è la scelta ideale per dei viaggiatori scafati come noi (ottima scelta sarebbe stato affittare una
bicicletta) ma siamo stanchi e un po’ di comodità non ci fa schifo. Contrattiamo su prezzo come da
prassi poi partiamo.

Va spesa una parola sui magnifici tuk tuk di Ayutthaya che per stanchezza mi sono dimenticato di
fotografarli: diversamente da quelli del resto del paese hanno un bel muso aggressivo da mezzo
sportivo, la lonely planet li paragona alla maschera di Dark Fener, il nostro era di un bel rosso
sfavillante. Sopra possiamo vedere l’itinerario fatto nell’ordine proposto dal nostro autista:
1. Wat Yai Chaya Mongkol. Fatto costruire nel 1357 dal re U Thong per ospitare dei monaci
dallo Sri Lanka, il Chedi è stato costruito successivamente per commemorare la vittoria sui
birmani. All’ingresso uno sfavillante e moderno budda
disteso lungo 7m. Il sito è grande e ci vuole un po’ a girarlo,
pieno di tanti piccoli particolari molto belli.
2. Wat Panan Choeng. Un santuario con una grande
statua del budda, non particolarmente interessante, adiacente
all’edificio principale c’è la parte cinese ma appare piuttosto
pacchiana.
3. Wat Mahat. Il sito più bello della mattinata, qui si
trova la testa del Buddha incastonata nelle radici di un albero
di bodhi, l’immagine più fotografata di Ayutthaya. Fondato
nel 1374 era il tempio più importante del regno. Il sito è
molto vasto, peccato che del prang centrale non restano che
pochi miseri resti, crollato già prima del saccheggio
birmano, restaurato e nuovamente crollato nel 1911.
4. Wihan Phra Mongkhon Bophit, santuario con grande
statua del Buddha, essendo stato ripetutamente distrutto e
restaurato (l’ultima volta nel XX secolo) non risulta
particolarmente affascinante.
5. Wat Phra Si Sanphet. Era un tempio reale e sorgeva
all’interno della tenuta del palazzo, tra i siti più belli di Ayutthaya ricco di magnifici templi, i
suoi stupa furono presi da modello per il palazzo reale di Bangkok
6. Wat Lokayasutharam. Imponente statua del Buddha sdraiato con adiacente santuario in
rovina. Piccolo sito di grande fascino.
7. Wat Chai Wattanaram. Ricorda Angkor in piccolo, molto ma molto bello, dentro molta
gente in abiti tradizionali, credo che li affittino fuori appositamente per fare foto
scenografiche.
8. Wat Ratchaburama. Piccolo sito in stile Hindu-Khmer, il prang è ricco di piccoli e
affascinanti particolari.
Giornata lunga e faticosa ma i posti visti sono stati di grande fascino così anche la stanchezza, il
sonno e il caldo si affrontano volentieri.

4 luglio
Ogni cento metri il mondo cambia
L’hotel prenotato attraverso Booking pur essendo molto economico era comprensivo di colazione, in
realtà non volevano darcela, ho dovuto farglielo notare così la
mattina ci troviamo due wurstel con due caffè macchiati. Andiamo
in macchina al Chan Sam Phraya National Museum (c’è un
comodo parcheggio all’interno). Ieri sera avevamo discusso
lungamente se andare o meno, alcune recensioni ne parlavano bene
altre no, alla fine andiamo e devo dire che ne è valsa la pena,
recentemente rinnovato (una parte è ancora chiusa) sono presenti
manufatti (molti in oro) trovati nei siti archeologici della città.
Molti pezzi notevoli, qui ne cito alcuni: il Chula Mongkut, un
copricapo cerimoniale in oro e vetro colorato, la spada della
vittoria in acciaio e oro, adornata con quarzo e vetro colorato. Gli
stupa sono monumenti religiosi che servono a conservare relique,
qui ne abbiamo una serie trovati nel Wat Mahathat che erano
inseriti uno dentro l’altro (tipo matrioska) fatti di materiali via via
più preziosi.
Finita la visita proseguiamo per il palazzo di Bang Pa In, non ci
vuole molto ad arrivare e c’è un comodo parcheggio a pagamento.
Inizialmente sbagliamo e prendiamo una simpatica funivia gratuita
gestita dai monaci che permette di attraversare il fiume e arriviamo al Wat Niwet Thamaprawat.
Comunque un fuori programma interessante soprattutto per l’insolito tempio che sembra una
cattedrale gotica (ed in effetti hanno voluto copiarne lo stile). Non ci vuole molto per capire che non
siamo nel posto voluto, riprendiamo la funivia e ci dirigiamo al palazzo reale (occhio che bisogna
avere i pantaloni lunghi). L’interno è carino ma non qualcosa di imperdibile.

All’interno si possono affittare delle macchinette elettriche (che ovviamente noi non facciamo) lo
spazio è grande e c’è molto da camminare (soprattutto tenendo conto del gran caldo). Si passeggia
piacevolmente costeggiando laghetti vari incontrando varie strutture e potendo entrare a vedere
qualche mostra non entusiasmante.
Alla fine del giro pranziamo ad un chioschetto nei
pressi del parcheggio e poi partiamo verso est,
vorremmo fermarci ad un Wat scenografico lungo
la strada ma piove così tiriamo dritto, direzione Pak
Chong. In realtà non ci fermiamo in paese ma alla
sede della Green Leaf dove abbiamo prenotato la
visita al parco di domani. Il posto è particolare,
immerso nel verde da una parte (quindi molte
zanzare e insetti) e con una strada trafficatissima
dall’altra. I gestori sono simpatici, ceniamo lì anche
perché i prezzi sono nella norma e altrimenti
dovremmo prendere la macchina. La casetta dove
dormiamo è particolare: sembra di essere nella
giungla, fuori una sedia e tavolino, dentro spartana ma pulita e con la doccia.
5 luglio
Un’esplosione di verde
Colazione dignitosa con pane burro, marmellata, frutta e caffè, alle 8 partiamo per il Khao Yai, con
noi due giovani ragazzi olandesi, andando verso il parco ci fermiamo in un resort lussuoso a
raccogliere un danese di mezza età. Qualche informazione sul parco:

Il Parco fu istituito il 18 settembre 1962 come il primo parco nazionale della Thailandia con
una superficie totale di circa 2.165,55 km². Il 14 luglio 2005 è stato dichiarato "Patrimonio
Naturale dell'Umanità" con il nome "Dong Phayayen - Complesso forestale di Khao Yai"
dall'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura (UNESCO)
come sito importante per la conservazione della biodiversità globale, nonché habitat vitale e
naturale per specie in via di estinzione di valore riconosciuto a livello internazionale. Con
un'altitudine di 1.292 metri è sempre freddo e umido tutto l'anno. I punti più alti sono
ricoperti da una foresta sempreverde collinare. Questa antica foresta ha un'atmosfera simile
al periodo dei dinosauri perché ospita piante preistoriche chiamate Gimnosperme come Khun
Mai (Nageia wallichiana), Phaya Mai (Podocarpus neriifolius), Sam Phan Pi (Dacrydium
elatum), Phaya Ma Kham Pom (Dacrycarpus imbricatus) e il tronco degli alberi è ricoperto
di muschi e felci come se questi alberi indossassero freschi indumenti verdi.

Giriamo per la strada asfaltata fermandoci qua e là quando c’è qualche animale da vedere, ci
fermiamo all’interessante centro visitatori così possiamo raccogliere qualche informazione
Dentro il parco grazie alla guida e all’autista
vediamo vari animali:
 Insetto stecco
 Varano del Bengala
 Gibboni bianchi e neri
 Aquile serpentarie crestate
 Sambar indiani
 Macachi
 Vipera di Salazar
Riprendiamo la macchina che ci lascia poco dopo
per iniziare un bel sentiero nella giungla, la guida
parla di 4km ma il mio GPS dice non più di 3km, comunque sia il sentiero è bello, all’inizio vediamo
uno scorpione poi solo insetti. Nulla di faticoso e nonostante non si vedano molti animali l’ambiente
è affascinante. Il sentiero si conclude poco dopo una capanna di osservazione a cui accediamo
velocemente perché piena di api.
Finito il giro si ritorna al centro informazioni a mangiare del riso e riposare un pochino. Dopo pranzo
andiamo alle belle Heo Suwat, delle scenografiche cascate vicine alla strada e infine giriamo in
macchina alla inutile ricerca di elefanti (la guida ammette che si vedono raramente, d’altronde
rimanendo sulla strada sembra difficile). Si ritorna alla sede della Green Leaf alle 19 giusto per la
cena.

6 luglio
La città delle scimmie
Partiamo in leggero ritardo rispetto a quanto programmato (siamo pur sempre in vacanza) per
dirigerci a Lopburi (100km, 1h 20min). Alle 9.30 siamo arrivati e parcheggiamo a pagamento in
prossimità della rotonda che segna l’ingresso alla città vecchia.

Lop Buri, l'antica Lavapura o Lavo, si trova nella parte centrale della Thailandia. Fu
molto prospera durante il periodo preistorico fino al periodo Dvaravati (VI-X secolo) e
fu influenzata dalla cultura Khmer durante i secoli X-XIII. Questo periodo della storia
tailandese è conosciuto come il periodo Lop Buri. Quando Ayutthaya fu fondata nel 1350
d.C., Lop Buri divenne la seconda capitale.

Curiosamente la trafficata rotonda


corrisponde con il sito più sacro della città:
San Phra Kan, un santuario moderno con
dentro una statua di Vishnu con quattro
braccia e la testa del Buddha, dietro i ruderi
di un prang di epoca khmer, attorno
scimmie a centinaia. Per la precisione sono
macachi rhesus, cinomolghi e loro incroci,
secondo una credenza locale sono
discendenti da Hanuman, una divinità hindu
così sono intoccabili e possono infestare
alcune zone della città.
Basta attraversare la strada per arrivare
all’affascinante Prang Sam Yot, formato da
tre torri in stile khmer, all’ingresso si viene forniti di bastoni per scacciare le scimmie. Il sito è bello
e molto fotogenico, si può anche accedere all’interno delle tre torri tramite una porticina in ferro
(necessaria per tenere fuori le infestanti bestioline), dentro due statue del Buddha senza testa e poco
altro.
Uscendo passiamo per il piccolo Prang Khaek, il monumento più antico di Lopburi posto in
posizione anonima sul lato di una strada secondaria.
Proseguendo si giunge al Ban Wichayen, ruderi di una residenza per ambasciatori stranieri, con un
po’ di fantasia si può notare anche
le fondamenta di una chiesa. Luogo
evitabile se si è di fretta.
Uscendo andiamo verso il museo
passando per un mercato locale,
bello e caotico quei posti in cui mi
ci perderei, compro delle rambutan
(frutto locale dall’aspetto di un
gigante virus) e una signora ci
regala delle radici.
Arriviamo al museo, ricco di reperti
all’interno e con belle costruzioni
circondate da un bel giardino
l’esterno.
MUSEO NAZIONALE SOMDET PHRA NARAI

Il re Narai il Grande (1656-1688 d.C.), il 27° re del periodo di Ayutthaya, ordinò agli
ingegneri francesi e italiani di costruire il palazzo, le mura e i forti di Lop Buri. Il re Narai
il Grande usò quest'area per ricevere funzionari governativi e ospiti reali per svago e come
residenza durante le vacanze di caccia. Come seconda capitale di Ayutthaya, l'11 luglio
1688 morì il re Narai il Grande. Lop Buri fu abbandonato e diminuì di importanza. Fino a
quando nel 1856 il re Mongkul (re Rama IV) della dinastia Chakri restaurò il palazzo. Il
complesso del padiglione Phiman Mongkul e il complesso Phra Pratiep furono costruiti e
chiamati Phra Narai Ratchanivet (la residenza del re Narai il Grande). Durante il regno del
re Chulalongkorn (re Rama V), il complesso del padiglione Phiman Mongkut fu utilizzato
come municipio e divenne il Museo Lop Buri l'11 ottobre 1924. Fu intitolato ufficialmente
Museo Nazionale Somdet Phra Narai nel 1961.

Usciti dal museo andiamo allo scenografico Wat Phra Si Ratana


Mahathat, sito forse troppo restaurato ma molto bello e pieno di
particolari da fotografare.
Siamo stanchi e finalmente si va a mangiare al Khao Tom Hor,
ristorantino caldamente consigliato dalla LP ma a noi non è parso nulla
di eccezionale. Dopo mangiato passiamo per il Wat Nakhon Kosa, la
base di un vecchio chedi di scarso interesse.
Riprendiamo la macchina e ci dirigiamo verso nord, abbiamo prenotato
tramite booking al relax resort in un luogo immerso nel nulla ma
carino, c’è il necessario per farsi un caffè (indispensabile per
sopravvivere al risveglio). Siamo vicini a Banphot Phisai un paesotto
che sembra non abbiano mai visto turisti, nessuno sa l’inglese ed i
pochi ristoranti presenti sono particolarmente rustici (quei posti che
piacciono a me!).
7 luglio
La felicità nascente
Con oggi sono sette giorni che siamo in viaggio e oramai abbiamo preso il ritmo, alle 6:30 siamo già
fuori a fare colazione e alle 7:20 siamo pronti in macchina. Ci vogliono due ore per arrivare a
Sukhothai alle 9:30 arriviamo!

Nel periodo del suo massimo splendore, Sukhothai vantava quaranta distinti complessi di
templi, che coprivano una superficie di circa 70 chilometri quadrati, tra il fiume Yom e le
colline a ovest. Al centro di quest’area c’era la città reale murata, protetta da una serie di
canali e bastioni. L’odierno Parco storico di Sukhothai (o Muang Kao Sukhothai) copre
quest’area ed è diviso in cinque zone. Una zona centrale che racchiude tutti i templi più
importanti e il Museo di Ramkhamhaeng. E quattro zone poste fuori dalle mura che
mappano le altre rovine sparse su un’area complessivamente piuttosto grande.
Il sito più importante di Sukhothai è l’enorme complesso del Wat Mahathat. Una sorta di
città dentro la città. Questo wat rappresentava il centro spirituale di Sukhothai, il tempio del
re e il simbolo del suo potere. Fu restaurato e ampliato a più riprese dai sovrani che si
alternarono al potere, tutti desiderosi di lasciare la propria impronta. Così nel Cinquecento,
quando fu abbandonato, contava ben dieci viharn, un bot, otto mondop e quasi duecento
piccoli chedi (ovvero l’insieme di edifici ed elementi architettonici che formano un wat).
Osservando il wat dal livello del suolo è difficile distinguere le strutture principali delle
rovine minori. I resti del viharn e del bot dominano la scena, con le file di colonne, e le
statue dei Buddha seduti all’estremità occidentale.

Parcheggiamo lungo la strada vicino al museo e andiamo subito ad affittare due biciclette. Dei
catorci di biciclette, si fatica a pedalare ma ad un prezzo irrisorio! Subito arriviamo al box dove si
paga il ticket ed iniziamo l’esplorazione.

Andando più o meno a casaccio arriviamo all’insignificante


NOEN PRASAT
Nel 1835 d.C. Noen Prasat era il luogo in cui il re Rama IV trovò l'iscrizione su pietra No.
1 su cui è incisa la storia di Sukhothai. Trovò anche una pedana dove un tempo il re
Ramkhamhaeng presiedeva il suo consiglio di stato o quando ascoltava gli insegnamenti
dei monaci buddisti. L'iscrizione su pietra descrive anche la piantagione della palma
Palmyra del re Ramkhamhaeng. Pertanto, il Dipartimento di Belle Arti ha deciso di
coltivare questo tipo di palma in risposta a questa iscrizione su pietra. Secondo una teoria
del re Rama VI, Noen Prasat sono i resti della base del palazzo dei re Sukhothai.

Da notare che qui non sono gli storici o gli archeologi che fanno ipotesi sull’uso di un sito ma il re in
persona e se lo dice lui!
Di fronte si trova invece l’imperdibile

WAT MAHATH
Situato nel cuore della città, è il tempio più importante in quanto tempio principale di
Sukhothai. Questo importante tempio comprende il chedi principale, le sale delle riunioni
(vihara), il mandapa, una sala delle ordinazioni (Ubosatha) e 200 chedi subordinati. Il
chedi principale ha la forma aggraziata di un bocciolo di loto, che caratterizza l'arte di
Sukhothai. Circondato da 8 chedi, i quattro agli angoli appartengono allo stile
Hariphunchai – Lanna, i quattro in mezzo hanno chedi a forma di prasat, che sono stati
influenzati dallo stile khmer e decorati con stucco in rilievo nello stile dell'arte dello Sri
Lanka. La base del chedi principale è decorata con stucchi in rilievo di discepoli buddisti
che camminano con le mani giunte in segno di saluto. All'interno del complesso di Wat
Mahathat c'è un gruppo di chedi situato a sud del chedi principale. Al centro se ne erge
uno con cinque guglie, secondo solo al chedi principale per dimensioni. Secondo
l'iscrizione sul piatto d'oro, è indicato che le reliquie di Phra Maha Dharmaraja Li Thai
erano custodite in questo chedi (stupa).

Ci si mette un po’ a girarlo tutto ma molto bello con i suoi Buddha giganti, i suoi stili vari ed
eleganti, ogni angolo è pieno di particolari affascinanti, è facile farsi prendere dallo scatto
compulsivo. Usciti dal sito due poliziotti vengono ad attaccare bottone e vogliono fare un selfi con
noi! Accettiamo volentieri e ricambiamo, si assicurano che tutto vada bene e chiedono se abbiamo
bisogno di aiuto.
A questo punto come nel nostro immancabile stile ci perdiamo, ma non è difficile ritrovarsi per
arrivare al
WAT SI SAWAI
I suoi tre prang (che imitano gli Shikhara Vimana indù) sono
considerati monumenti antichi di notevole importanza.
Delimitati da un muro, i tre prang furono costruiti in stile Lop
Buri. Le loro forme slanciate su basi basse sono decorate con
stucchi, con alcuni disegni simili a quelli degli articoli cinesi
della dinastia Yuan. Un architrave scolpito raffigurante il dio
Vishnu sdraiato sul sedile Naga, frammenti di immagini indù e
Linga indicano che questo tempio era originariamente un
santuario indù. Successivamente fu trasformato in tempio
buddista con qualche ampliamento della parte anteriore sotto
forma di sala riunioni (vihara). Si presume che Wat Si Sawai
una volta fosse l'antico sito dell'induismo prima di
trasformarsi in un tempio buddista

Proseguiamo al vicino

WAT TRAPHANG NGOEN


Antico tempio senza mura di cinta. È composto dal chedi principale, una sala delle
riunioni e una sala delle ordinazioni nel mezzo di un bacino idrico. Il chedi principale fu
costruito a forma di bocciolo di loto con quattro nicchie per custodire le immagini del
Buddha in piedi e in cammino. Questi particolari sono una caratteristica sorprendente
che rende il chedi di Wat Traphang Ngoen diverso dagli altri chedi. A est del chedi
principale, fu costruita una sala delle ordinazioni su un'isola nel mezzo del bacino idrico
chiamato Traphang Ngoen. La costruzione di questa sala delle ordinazioni è conforme al
concetto noto come Nadi Sima o Udaka Sima che significa la recinzione del recinto di una
sala delle ordinazioni con acqua.

Questo sito è piccolo ma delizioso, circondato da una riserva d’acqua rende l’ambiente molto
scenografico.
In zona c’è un baretto, il caldo si fa sentire così ci prendiamo una breve sosta all’ombra, oramai il
giro volge al termine, vicino abbiamo in bella posizione il monumento moderno al re
Ramkhamhaeng.
Ritemprati da una bibita si prosegue, esattamente di fronte al sito precedente, sempre circondato
dall’acqua si trova il piccolo
WAT SA SI
Questo bellissimo monumento antico si trova nel mezzo di un grande bacino idrico noto
come Traphang Trakuan. I suoi edifici importanti includono un chedi rotondo a forma di
campana, una sala delle riunioni e una sala delle ordinazioni. Lo stupa rotondo funge da
prova storica della prevalenza del buddismo singalese a Sukhothai. Questo stupa
circolare è talvolta conosciuto come chedi nello stile a forma di campana dello Sri
Lanka. La sala delle ordinazioni al centro del serbatoio rimanda al concetto buddista di
delimitare un'area in cui i monaci svolgono funzioni religiose racchiudendo i recinti
sacri con acqua come simbolo di purezza.
.

Vicino abbiamo anche il Wat Chana Song Kran ma rispetto agli siti altri visti finora non è nulla di
ché, come d’altronde l’ultimo che ci manca della zona centrale ovvero il Wat Mai.
Ci trasferiamo alla zona nord, si deve passare per una strada trafficata, raggiungiamo il Wat
Sorasait, un piccolo stupa con alla base una fila continua di elefanti. Arrivati all’ingresso della zona
nord paghiamo il ticket, dentro visitiamo il Wat Phra Phai Luang,
meno restaurato rispetto agli altri tempi, questo lo rende più
affascinante, ci si aggira fra statue semi distrutte e un chedi diroccato
ma ricco di figure in rilievo. Notevole che la parte nord è tutta qua
ma si paga lo stesso prezzo della parte centrale, tornassi indietro
eviterei di farmi fregare i soldi. Decidiamo di saltare la zona ovest e
di visitare invece il museo. Un buon motivo per visitare il museo è
che c’è l’aria condizionate per il resto è carino ma ci è piaciuto molto
di più quello di Lopburi. Un pezzo di grande pregio è la stele che si
ritiene sia il primo esempio di scrittura thai (ma è una copia).
Usciti da museo visitiamo il vicino Wat Traphang Thong, una
piccola struttura con vicino un monastero di epoca moderna.
Riprendiamo la macchina e continuiamo il nostro percorso verso nord
per fermarci dopo pochi chilometri a Sirinya al Saengsin Hotel,
come al solito lo abbiamo prenotato con Booking per 470Bat ma
arrivati all’hotel ci fanno lo sconto e paghiamo 400Bat. Dopo la
doccia usciamo a visitare il paese, c’è un’interessante zona con dei murales, poi ci fermiamo a cenare
in un ristorante apparentemente di lusso ma con 3€ a testa mangiamo e beviamo. La padrona è felice
di avere degli stranieri a mangiare così chiede di poterci fotografare. In centro c’è un festival pieno di
luci e street food, interessante in particolare la zona cinese dove ci fermiamo a vedere uno spettacolo.
8 luglio
La città delle brave persone
Questa mattina ci svegliamo alle 6:30, scendiamo all’ingresso pensando di avere solo il caffè invece
ci sono delle frittelle dolci in abbondanza. Strani questi tailandesi, prenotiamo su Booking ad un
prezzo relativamente basso (circa 12€) questo anche perché non era prevista la colazione, al
momento di pagare ci fanno uno sconto senza chiedere niente (2€), ok, gentili, poi la mattina c’è pure
la colazione (niente di eclatante ma buona e abbondante).
Partiamo alle 7:30 e facciamo i pochi chilometri che ci separano da Si Satchanalai

Nel 1250, il sovrano Sri Indraditya fondò una città lungo la sponda occidentale del fiume
Yom e la chiamò Sri Satchanalai, “La Città delle Brave Persone”. Ban Mueang, figlio del
sovrano Sri Indraditya ed erede al trono, fu proclamato governatore della neo-costituita Si
Satchanalai. Alla morte di Sri Indraditya (1270), Ban Mueang fu incoronato sovrano del
regno ed il fratello più giovane, il principe Ramkhamhaeng, divenne il nuovo governatore di
Si Satchanalai. Si Satchanalai, grazie alla sua posizione strategica, rappresentava un
importante bastione difensivo del regno contro una eventuale invasione da nord (da parte
dell’Impero Birmano).

Arriviamo troppo presto, è ancora tutto chiuso e sfortunatamente non c’è nessun posto dove prendersi
un caffè così ci vediamo un paio di siti esterni alle mura gratuiti, in particolare il Wat Thung Sethi,
un monastero dell’epoca di Sukhothai con adiacente stupa di forma a campana. Pasiamo per l’adiacente
Wat Pa Krasa, simile al precedente ma più diroccato.
Alle 8:15 ci lasciano pagare e possiamo già entrare, siamo gli unici turisti in giro, si potrebbe girare in
bici o in bus ma noi preferiamo muoverci a piedi.
L'antica pianta della città di Si Satchanalai è a quadrilatero
irregolare. Ci sono 3 anelli di mura cittadine costruite lungo il
fiume Yom, che racchiudono le colline Phanom Phloeng e
Suwankhiri all'interno del confine. Gli anelli esterni delle mura
cittadine sui lati ovest, nord e sud sono costruiti con fossati e
bastioni, ad eccezione del lato orientale che utilizza il fiume Yom
come fossato naturale. La cinta muraria interna è costruita in
laterite, larga circa 1,5-1,9 metri, alta 2,6-3,8 metri e lunga 3,79
chilometri. Le mura sono dotate di 16 porte e 4 forti.
Il parco è grande e stando anche solo dentro
le mura c’è molto da vedere, per prima cosa
raggiungiamo la porta Ramnarong è la
porta più grande della città di Si
Satchanalai, larga 3,6 metri. In passato era
la porta principale, che comprende un
fossato e un forte a scopo difensivo.
Attraversata la porta giriamo a destra per
trovarci quasi subito al Wat Nang Phaya
con uno stupa a campana in stile lankese e
alcuni notevoli stucchi.
Proseguendo si incontra il Wat Suan Kaeo
Utthayan Yal, bello il colpo d’occhio
all’entrata ma poi dentro non ha molti particolari godibili. Ritorniamo sulla via principale per giungere
al meraviglioso Wat Chedi Chet Thaeo
Le costruzioni importanti in questo tempio sono le seguenti: lo stupa principale del bocciolo
di loto, la sala delle assemblee principale (vihara), ventisette stupa subordinati (chedi) e
cinque mandapa. Gli stupa subordinati portano numerose influenze straniere, tra cui idee da
Lanka, Khmer, Mon, Bagan, Srivijaya e Lanna.
Una sorta di manuale degli stili molto bello, bisogna rimanerci dentro un po’ per notare con calma i
vari particolari.
Giriamo ora a destra per arrivare al Wat Suan Kaeo Uttaian Yai, complesso di scarso interesse,
ritorniamo sulla via principale per raggiungere la struttura più scenografica del parco, il Wat Chang
Lom
fu costruito nel periodo di Sukhothai, intorno al XIV secolo d.C. È un grande monastero
buddista che si trova al centro dell'antica città. Lo stupa principale di Wat Chang Lom è di
forma rotonda. Stupa che indica l'influenza dell'arte dallo Sri Lanka. La base è alta e
quadrata. La parte anteriore della base ha 8 sculture di elefanti a tutto tondo, e gli altri lati
presentano 9 sculture di elefanti. C'è una scultura di elefanti ad ogni angolo della base,
totalmente 39 sculture di elefanti attorno alla base.
Veniamo fermati da una signora in motorino che ci chiede di poterci fare la foto per motivi
promozionali, non che abbiamo un aspetto particolarmente invitante ma siamo gli unici turisti che si
aggirano per il parco. Per proseguire bisogna ora salire i 114 scalini che ci portano al Wat Khao Phanon
Phloeng, piccolo sito in cima alla collina da cui con una breve passeggiata si giunge al vicino Wat
Khao Suwankiri. Non ci resta ora che ritornare
sui nostri passi passando per qualche altra
costruzione secondaria. Ci sarebbe altro da
vedere, il parco è enorme ma per quanto bello,
un po’ il caldo un po’ che le strutture si ripetono
sempre uguali non merita di fermarsi
ulteriormente. Questo fuori programma ne è
valsa la pena, il sito è bello poi essere quasi gli
unici turisti in giro (a differenza di Sukhothai
dove erano a vagonate) aggiunge fascino.
Non vediamo l’ora di fiondarci in macchina per
accendere l’aria condizionata, ci vogliono circa
2 ore per arrivare a Lampang la strada è in parte montagnosa e i paesaggi sono spettacolari così il
viaggio passa senza annoiarci. Arriviamo al Regent Lodge alle 13.30, il posto sembra troppo lussuoso
per i nostri standard ma il prezzo è ottimo. Prendiamo posto in stanza e usciamo subito alla scoperta
della città.
Ci dirigiamo subito al Wat Phra Kaew Don Tao, un bel
tempio buddista, appena entrati fa un acquazzone (essendo
il periodo delle piogge non ci si può lamentare). In 15 minuti
passa tutto e riprendiamo l’esplorazione della città passando
per graziose viuzze, visitiamo da fuori il caratteristico Wat
Pratu Pong, infine attraversiamo il fiume dove c’è una sorta
di festival (così lo chiama la gente del posto) in pratica un
bel mercato con tanto street food, ne approfittiamo per
mangiare dei bachi da seta e dei grilli

9 luglio
Non c'è inizio...non c'è fine...c'è solo il divenire.
Scendiamo alle 7 a fare colazione, ci aspettavamo una roba
di lusso ma alla fine niente di entusiasmante. Partiamo in
direzione Chiang Mai, la strada è immersa in una fitta
vegetazione, arriviamo in città verso le 9:30. C’è traffico
ma nulla di impossibile, attraversiamo la città per dirigerci
alle Huaykkeaw waterfall, sulla guida erano descritte
come favolose cascate in realtà niente più che modeste
rapide. Proseguiamo per una tortuosa strada di montagna
fino al Wat Phrathat Doi Suthep, fondato nel 1383 per
custodire un frammento d’osso della spalla del Buddha. Si
sale per una lunga ma molto bella scalinata (per i più pigri
c’è anche un ascensore a pagamento). Arrivati in cima è
uno splendore di templi dorati oltre che di bei panorami
sulla città. Forse uno dei più bei Wat del viaggio davvero
imperdibile. Tornati alla macchina passiamo per il Bhubing
Palace (chiuso) per proseguire al Hmong Dai Pui, un
villaggio molto turistico di etnia Hmong, in pratica un
centro commerciale acchiappaturisti. L’ambiente comunque
è bello e si passeggia piacevolmente tra stupendi fiori e una
deludente cascata. La macchina ha avuto problemi con i
freni (facevano un rumore preoccupante) così con molta
prudenza andiamo all’agenzia a riconsegnarla. Siamo stati
bravi, riconsegniamo la macchina con il pieno e senza danni di sorta, prendiamo un taxi per l’hotel e
così questa prima parte di avventura è terminata.
Abbiamo prenotato al Jimmy and Jeng Homestay, da fuori il posto non da una buona impressione ma
poi appena si entra si è accolti da una padrona molto simpatica pronta ad organizzare tutto quello che
si vuole e le camere sono pulite, l’aria condizionata si paga extra ma con il ventilatore si sopravvive.
La sera facciamo un salto al mercato
dentro la città, molto turistico ma
piacevole, mangiucchiamo qua e la
provando varie bancarelle finché la
stanchezza non ha il sopravvento e
torniamo in hotel.
Questa prima parte del viaggio è terminata,
l’idea di affittare la macchina è stata
ottima ci ha permesso di vedere tante cose
in poco tempo, dormire in luoghi lontani
dal turismo di massa e provare l’ebbrezza
di guidare in Thailandia.
10 luglio
Viaggiare è come innamorarsi: il mondo si fa nuovo…
Alle 7 siamo già a fare colazione (niente da fare siamo troppo agitati è per questo che nessuno viene in
vacanza con noi!). Partiamo per l’esplorazione di Chiang Mai, entriamo nella città vecchia per dirigerci
al Wat Phra Singh, arriviamo giusto per l’apertura alle 9.

È il tempio più venerato della città, precedentemente chiamato Wat Lee Chiang, è stato un
importante Wat di Chiang Mai per 700 anni. Fu costruito dal re Phayoo della dinastia
Mengrai. I pellegrini venerano la famosa statua del Buddha nota con il nome di Phra Singh
(Buddha Leone), ospitata in una piccola cappella, si dice che questa statua sia statua
provenga dallo Sri Lanka e che sia stata portata in Thailandia nel 1367.
Si dovrebbe pagare 20Bat ma non troviamo a chi darli così lo giriamo a gratis. Il posto è spettacolare,
dentro il santuario dei monaci stanno pregando, tutto dorato, fuori diverse costruzioni con una gran
quantità di interessanti decorazioni. Dentro il Phra Ubosot, dei monaci di cera, sembrano veri all’inizio
rimaniamo stupiti per quanto riescono a rimanere immobili! In una
cappella non particolarmente evidente si può ammirare il famoso
Buddha.
Usciti si prosegue per il vicino Wat Phan Tao, delizioso piccolo
tempio diverso dagli altri perché quasi interamente costruito in
teak. Vicino si trova il più famoso Wat Chedi Luang, non è il più
grande di Chiang Mai solo perché il suo chedi, eretto nel 1441,
oggi è in rovina. Appena si entra si trova una cappella con il Lak
Meuang, la colonna della città, si dice sia stata fatta erigere dal re
Mengrai nel 1296 come atto fondativo della città, qui possono
entrare solo gli uomini (sembra che le donne porterebbero una
gran sfortuna). Il complesso è molto grande e si possono ammirare
vari ambienti con dei Buddha di varie dimensioni e tipologie.
Ripercorrendo in parte la strada appena fatta si giunge al Wat
Inthakhin Saduemuang, sede originaria della colonna della città.
Proseguendo si giunge ad una bella piazza con un importante
monumento il Anusawari Sam Kasat, statua con i tre lanna
considerati i fondatori della città. A questo punto avremmo dovuto
andare in un paio di musei ma di lunedì sono chiusi così andiamo
al Wat Chiang Man, il tempio più antico della città. Siamo
stanchi e accaldati così dopo aver pranzato andiamo in stanza a darci una rinfrescata e a riposare.
Nel pomeriggio si ritorna ad esplorare Chiang Mai, cambiamo zona e andiamo nella caotica China Town
per visitare l’enorme mercato Talat Warorot, molto bello perdersi in questo enorme centro
commerciale, per niente turistico e pieno di locals. Girando a casa troviamo un bel tempio cinese,
passiamo per un ultimo monastero, il Wat Upakhut per concludere la serata al frizzante night market.
11 luglio
In tutte le cose della natura esiste qualcosa di meraviglioso
Oggi escursione al Doi Inthanon National Park,
ci siamo affidati ad una agenzia contattata
tramite la nostra guest house. Non è nel nostro
stile, in genere preferiamo arrangiarci ma in
questo caso ci sarebbe stata la necessità di
affittare una macchina, con il senno di poi
magari sarebbe stato conveniente allungare di
un giorno l’affitto della macchina. A parte il
breve trekking, che per disposizione
governativa bisogna farlo con una guida locale,
il resto è tutto fattibile in autonomia.
Il bus passa a prenderci verso le 7:50, come in
tutti i tour l’agenzia mette assieme più persone,
quindi, fa un giro a raccogliere i vari gruppetti. Ci vogliono circa 60km per giunger al bivio da cui a
breve si entra nel parco. Prima tappa le cascate Wachirathan, belle anche grazie alla notevole
portata, peccato siamo un po’ troppo turistiche così ci si trova in mezzo ad una folla di persone.
Dopo una sosta fin troppo lunga riprendiamo il viaggio, ad un bivio si prende la strada a destra per
dirigerci allo Yod Doi Nature Trail

un semplice percorso, con qualche cartello didattico che conduce alla cima più alta della Thailandia
(la bellezza di 2565m). Il sentiero è breve e facile, il dislivello complessivo è di 150m, si passa per
un tempietto molto suggestivo, ricoperto di muschio eretto nel 1915 per metterci le ceneri del re
Inthawichaynon. In questa stagione è piacevolmente fresco (oggi 12°C), nella stagione secca può
anche andare sotto lo zero. Dalla cima non si vede nessun panorama, anzi senza il cartello si
faticherebbe a rendersi conto di essere su di una cima. Alla fine del sentiero c’è un bel centro
visitatori, si possono trovare molte informazioni sull’etnia che abitano questi luoghi: i Karen si
stanziarono qui a partire dal 1747, divennero
grandi produttori di oppio e solo in tempi
recenti (1985), grazie ad aiuti governativi,
trasformarono le loro coltivazioni in granturco e
fiori.
Riprendiamo il pullman, torniamo pochi
chilometri indietro per visitare i cosiddetti stupa
gemelli: Phra Matathat Naphamethinidone
che significa "per forza della terra e dell'aria" e
Phra Matathat Naphaphonphumisiri che
significa "essere la forza dell'aria e la grazia
della terra". Questi templi furono costruiti
rispettivamente per onorare il 60° anniversario del compleanno del re Bhumibol Adulyadej nel 1987
e il 60° anniversario del compleanno della regina Sirikit nel 1992. Molto scenografici con annessi dei
giardini spettacolari. Sfortunatamente è nuvolo così non possiamo ammirare il panorama che
altrimenti, dicono, si vedrebbe.
Finita la visita è previsto il pranzo, nulla di eclatante ma abbondante, dopo mangiato si prosegue per
Pha Dok Nature Trail,

un facile sentiero lungo 2,6km, come già dicevo è obbligatorio essere accompagnati da una guida
Karen (rientra fra le iniziative del governo per sostenere l’economia
locale), la nostra guida è una signora che si chiama Bo (non so come
si scriva), parla un ottimo inglese e si sofferma lungo il tragitto a
darci qualche informazione. Il tragitto parte in salita poi prosegue
con vari Sali scendi. Non si vedono molti animali (a parte le vipere
verdi che ne vedremo ben tre), l’ambiente è meraviglioso,
un’esplosione di verde, si passa per una serie di cascate molto
suggestive (Pha Dok Siew) e per campi coltivati, delle risaie molto
fotogeniche per concludere al Maie Klang, il villaggio dove vive la
nostra guida in cui ci offrono del caffè e the di produzione locale.
Giornata lunga ma di grande soddisfazione, si torna in città per
passare l’ultima serata al night market. Domani ci spostiamo,
comincia il nostro trasferimento verso il Laos, non si può arrivare
direttamente da qui ci organizziamo per fare una tappa intermedia.
12 luglio
Ogni nuovo mattino, uscirò per le strade cercando colori
Non mi stancherò mai di dirlo: qua è tutto facile, la sera raccogliamo tutte le
info per oggi, ci svegliamo presto (poco prima delle 6) facciamo colazione,
nel mentre la proprietaria ci chiama un taxi (in realtà un privato che ci farà
un prezzo molto basso) che ci porta alla stazione dei bus dove prendiamo il
pullman diretto a Chiang Rai. Il bus non è di quelli extralusso ma dignitoso
e sufficientemente comodo per farsi una dormita. Arriviamo a Chiang Rai in
anticipo, ne approfittiamo per raccogliere informazioni per domani e
andiamo all’hotel che ho scelto a cinque minuti a piedi dalla stazione. Ci
accoglie un signore simpatico, gli diciamo che vogliamo affittare un
motorino e giusto il tempo di posare gli zaini in camera e ce l’abbiamo ad un
prezzo irrisorio, come dicevo qui è tutto facile. Prima tappa il Blue Temple
o Wat Rong Seua Ten
La costruzione del tempio è stata avviata dalla comunità locale nel 1996 per sostituire un
vecchio tempio abbandonato che precedentemente si trovava sul sito, anche se la costruzione
non è iniziata fino al 2005. Il suo progetto finale è stato realizzato dall'artista locale Phuttha
Kabkaew che imparò da Chalermchai Kositpipat (il progettista del famoso tempio Bianco).
L'edificio principale del Wat Rong Suea Ten è stato completato nel 2016, e segue lo stile non
convenzionale "neo-tradizionale" dell'arte buddista introdotto da Chalermchai, che impiega
sculture riccamente decorate e immagini visive psichedeliche.
Tempio molto scenografico, l’oro dei soliti templi si mescola con un blue sfavillante, a prima vista fa
un po’ Gardaland ma poi girando e cercando di notare i particolari risulta piacevole.
Riprendiamo il motorino per dirigerci al più noto Black Temple, per strada ci fermiamo a mangiare,
dopo mangiato piove così ce ne rimaniamo tranquilli ad aspettare che smetta, ripartiamo per giungere
in breve a Baan Dam
La Black House non è solo una struttura, ma un insieme di circa 40 edifici di varie forme e
dimensioni disseminati in un tranquillo giardino.
La struttura più grande si trova vicino
all'ingresso principale e dà il tono a ciò che i
visitatori possono aspettarsi mentre esplorano il
resto del sito. Tradizionale ed elegante
all'esterno, la combinazione di travi in teak color
miele e porte imponenti è un'opera d'arte a sé
stante, ma è quello che c'è dentro che sorprende.
Una tavola di proporzioni epiche che non
sfigurerebbe nel Signore degli Anelli attira
l'occhio. L'interno cavernoso della sala è
intervallato da teschi di animali e corna di bufalo
e questo tema è continuato altrove alla Black
House. Questa è l'interpretazione di Thawan
Duchanee della filosofia buddista e il suo stile ha
causato molte polemiche nel corso degli anni.
Non sono un appassionato d'arte, ma l'arte e i
temi in mostra sembrano rappresentare la
sofferenza che Buddha vide con Thawan usando
pelli e ossa di animali per indicare la malattia, la
vecchiaia e la morte a cui il Buddha fu testimone
durante i suoi viaggi. Altre opere d'arte in mostra
sembrano riflettere il desiderio e le voglie umane.
Non è un tempio, anche se spesso viene citato come Black Temple ma una sorta di mostra di arte
moderna a tema buddista, non mi ha entusiasmato ma si sa in tema di arte sono una capra poco
attendibile.
Finita la visita partiamo per l’ultima tappa della giornata, questo è il tratto più lungo da fare e
nuvoloni neri si stagliano all’orizzonte. In mezz’oretta siamo finalmente al magnifico White Temple

Il Wat Rong Khun meglio noto in Italia come Tempio Bianco, è un edificio di recente
realizzazione situato a 15 chilometri dalla città di Chiang Rai, in Thailandia. È un
particolarissimo tempio al contempo buddista ed induista, progettato dal pittore
visionario Chalermchai Kositpipat La sua costruzione ebbe inizio nel 1997 ma, come per
la Sagrada Família, non è chiara la data in cui la sua costruzione dovrebbe concludersi;
si parla tradizionalmente del 2070. È realizzato completamente in gesso bianco e
specchietti (che, riflettendo il sole, creano i giochi di luce tanto cari all'artista),
elemento in parte criticato dalle popolazioni indigene in quanto "contro la tradizione"
locale, che prevede uno stile architettonico basato su colorazioni vivide e sgargianti.

Molto bello, pieno di particolari favolosi e non sempre di facile interpretazione, qua prende la
sindrome dello scatto compulsivo alla ricerca della foto perfetta. Finita l’esplorazione si ritorna alla
guest, lungo la strada piove così ci fermiamo un po’ ad aspettare che smetta.
A sera andiamo al solito Night market, più piccolo e più economico rispetto a quello di Chiang Mai.
Con oggi si è conclusa l’avventura tailandese, finora è stato un grande viaggio, molto intenso e vario,
non ci siamo fatti mancare alcuni luoghi turistici ma siamo riusciti qua e la ad uscire dalla massa.
13 luglio
I viaggi sono legati al superamento di frontiere, ma che per frontiere si devono intendere anche
le frontiere della mente

Sveglia presto per farci la nostra colazione e alle 7 siamo già alla vicina stazione dei bus, alle 7:30
siamo in partenza. Si comincia a respirare un’aria diversa: il bus su cui ci troviamo non ha l’aria
condizionata e per compensare vengono tenute aperte le porte. Dopo essere usciti da Chiang Rai il
paesaggio diventa rurale, qualche piccolo villaggio e tante risaie. Verso le 10 arriviamo al bivio per il
Thai border dove si deve prendere un tuk tuk, il prezzo è fisso 50Bat, non si riesce a contrattare.
Passare la frontiera è veloce, poi però bisogna prendere il pullman per il Laos border, si può anche
cambiare in kip (il cambio non è dei migliori). Arrivati alla frontiera con il Laos le cose si
complicano un po’ ma nulla di impossibile: si compilano due form, si passa ad uno sportello e si
paga 40Bat poi ad un secondo e si paga 40$ ed il gioco è fatto!
Prendiamo al volo un tuk tuk che ci porta
alla stazione dei bus dove acquistiamo il
biglietto per Luang Namtha, una scheda
SIM e, già che c’è tempo, pranziamo.
Alle 12 partiamo, quasi tutta strada di
montagna, piena di curve, a circa un’ora
dall’arrivo pausa pranzo ad un “autogrill
laotiano”. Arriviamo a destinazione con
oltre un ora di ritardo. Luang Namtha è un
villaggio molto esteso, dalla stazione dei bus
dobbiamo prendere un tuk tuk per arrivare
in centro, prendiamo posto nel nostro hotel e
usciamo per organizzare i prossimi giorni.
Sulla via principale ci sono varie agenzie, ne
sentiamo tre, sembrano abbastanza equivalenti, scegliamo quella che ci è più simpatica, domani si
parte per un trekking di tre giorni.
14 luglio
La vita è un viaggio da fare a piedi

Oggi si parte per il trekking nella giungla così sveglia presto, colazione e…. cagotto! Mi è venuta la
dissenteria, prendo tre pasticche di imodium e lo blocco ma resterò male per tutto il giorno. Alle 8.20
siamo all’agenzia e scopriamo che gli altri due che dovevano essere con noi hanno dato buca così
siamo noi da soli con la guida, Sang un laotiano che assomiglia in tutto e per tutto a Russel del
cartone animato Up! Parla uno scarso inglese ma si fa capire, andiamo con un tuk tuk al mercato
dove acquistiamo le cibarie per i prossimi giorni poi si riparte per l’ingresso del parco, prima di
arrivare prende accordi con un ragazzino di un villaggio
vicino (Kahn) per portare dell’acqua aggiuntiva. Il sentiero
attraversa inizialmente delle risaie poi si entra nella giungla, il
terreno argilloso e umido è molto scivoloso, attorno alberi
enormi, qua e là qualche rudimentale ponticello per
attraversare i frequenti corsi d’acqua. Verso le 11.30 ci
fermiamo a mangiare, utilizzando il suo coltellaccio tuttofare
taglia delle foglie di banano e ne fa una improvvisata
tovaglia. Sfortunatamente io non riesco a mangiare, mi
sembra di dover vomitare ogni volta che provo ad ingerire
qualcosa. Il sentiero non sarebbe particolarmente faticoso se
non fosse così scivoloso e se non ci fosse questo caldo umido
che sembra di essere chiusi in una sauna. Verso le 15
arriviamo a destinazione: una costruzione completamente
aperte stile palafitta, per terra per dormire foglie di banano e
coperte. Sang accende il fuoco e comincia a cucinare, il riso
lo lessa così da risultare un impasto colloso e lo useremo al
posto del pane sia questa sera sia domani a colazione. Ho
38,5 di febbre così dopo mangiato prendo una tachipirina e
mi metto a letto (si fa per dire).
15 luglio
Chi viaggia senza incontrare l’altro, non viaggia, si sposta
Dormire su di un’asse di legno non è stato piacevole, alle 5.30 sono già sveglio e sto meglio, niente
febbre, alle 6.30 si sveglia anche Sang e comincia ad accendere il fuoco così ci può preparare il caffè
che berremo nelle nostre tazze che ci ha costruito ieri con il bambù. Poi prepara il resto: riso cotto al
vapore, patate e carote. Mangio abbondantemente, devo recuperare tutto quello che non ho mangiato
ieri (buon segno). Alle 8.50 ci mettiamo in cammino, siamo sempre in una bella foresta molto fitta,
tanto caldo umido, sembra di essere in una sauna. Breve sosta ad una piccola cascata poi si deve
superare un salto scivoloso, una signora scalza di età indefinibile ci raggiunge e ci supera con
l’agilità di un gatto. Si arriva in una zona con delle coltivazioni di alberi della gomma, in lontananza
vediamo il villaggio. Alle 11.30 siamo già arrivati a Phouan, un tipico villaggio Akha

Gli Akha sono originari del nord dello Yunnan o del


Tibet. Sono migrati verso sud per installarsi in
Birmania, in Laos, in Thailandia e in Vietnam nel
corso degli ultimi 200 anni. A causa della mancanza
di supporti scritti, molti uomini Akha possonae
recitare le loro genealogie oltre le 60 generazioni,
fino a Sm Mi O, ìl fondatore mitico degli Akha. Questa
forte tradizione orale ha contribuito a rinforzare la
loro identità e storia, creando così’ un legame tra i
diversi clan dispersi attraverso più di cinque paesi. I
villaggi Akha sono facilmente riconoscibili grazie alle
porte che si trovano all’entrata e all'uscita di ogni
villaggio (law kang) e alle loro grandi altalene (Ja
tse). La porta costituisce una protezione contro ì
banditi, gli animali selvatici e le malattie. Essa è la
separazione mitologica tra il mondo degli umani e il
mondo degli spiriti e non deve mai essere toccata dai
visitatori. L’altalena è utilizzata nel corso di una festa
che ha luogo in agosto o in settembre” che celebra la
fine del difficile lavoro di diserbo dei campi di riso e
la preparazione della raccolta.

All’inizio del villaggio si trova una casetta adibita ai visitatori, rispetto a dove abbiamo dormito
l’ultima notte è di un lusso scatenato: fuori c’è un tavolo con panca e dentro si dorme per terra su
sottili materassi.
Tutti allegri, molto curiosi ma se si prova a fare una foto fuggono infastiditi, soprattutto le donne non
si fanno avvicinare mentre bambini e uomini si avvicinano ma pochi sanno l’inglese. Dopo aver
mangiato Sang si mette a dormire e nel tardo pomeriggio facciamo un giro nel villaggio, qui si arriva
solo a piedi e in moto, non c’è elettricità (ma compensano con qualche pannello solare) e il
telefonino prende poco e male. Ai bordi della strada principale ci sono delle casette, Sang ci spiega
che sono le case degli adolescenti, dove i ragazzi fidanzati vanno a dormire assieme prima del
matrimonio ufficiale, all’ingresso del paese la scuola (chiusa in questo periodo) e il campo da calcio.
Si possono poi notare delle strane costruzioni in legno: le porte degli spiriti (così le chiama Sang),
sono delle law kang e servono per tenere lontani
gli spiriti malvagi della jungla. Quando in una
famiglia nascono due gemelli cercano di
sbarazzarsene (qui Sang latita sul come e
preferisco non pensarci) perché sono considerati
facili prede dei demoni, possono venire
posseduti e compiere atti efferati. Passiamo la
serata nella nostra casetta, dopo cena verranno
una signora con figlia a farci un massaggio tipico
e poi più tardi una serie di ragazzini useranno il
terrazzo come discoteca quasi infastiditi dalla
nostra presenza.

16 luglio
Non c’è inizio … non c’è fine … c’è solo il divenire
Ci svegliamo presto ma ci vuole un po’ per il caffè così,
nel frattempo, mi faccio un giro per il villaggio e “rubo”
qualche foto, dopo il caffè colazione con patate, carote e
riso. Poco prima delle 9 si parte, si deve attraversare il
villaggio, si cammina su di uno sterrato per circa
mezz’ora poi si prende un sentiero sulla sinistra. Il
sentiero è scivoloso ma loro ci scendono in motorino ma
ci mettono delle catene sulle ruote (comunque ci vuole un
bell’equilibrio). Dopo aver attraversato una zona coltivata
ad alberi della gomma si entra in una fitta foresta.
L’ambiente è favoloso, qui la natura è la padrona
incontrastata, si raggiunge un enorme albero dove ci si
può facilmente arrampicare. Alle 11.30 siamo dall’altra
parte della valle, si vede tutto il percorso fatto e ci
fermiamo a pranzare, con noi c’è un ragazzo del villaggio
che, con l’aiuto di Sang, sta cercando di imparare
l’inglese, mangiamo assieme poi torna al villaggio
mentre noi proseguiamo per il nostro sentiero. Ci
mancano ancora due ore alla fine del sentiero, due ore
intense, immerse in una natura rigogliosa, qualche
torrente da attraversare e melma, tanta melma. Alla fine
del percorso si giunge a dei campi coltivati con delle
statue di fragole e mucche giganti che segnano il ritorno alla civiltà. Ritroviamo il nostro tuk tuk che
ci riporta a Luang Namtha, non prima però di esserci fermati alla stazione dei bus per vedere gli orari
per domani, a sera non ci facciamo mancare il night market, ottima occasione per assaggiare cibo
locale a buon prezzo.
17 luglio
Chi viaggia ha scelto come mestiere quello del vento
Oggi giornata di trasferimento,
abbiamo appuntamento con il tuk
tuk alle 8.15 che ci porta alla
stazione dei bus. Alle 9 siamo sul
bus, direzione Nong Khiaw. Il
viaggio si svolge in un bel ambiente
di montagna, pochi sparuti villaggi,
tanta natura e strade dissestate. In tre
ore arriviamo a Udomxai, ci
fermiamo in periferia per pranzare,
mezz’ora dice l’autista poi quando è
il momento di partire si aspetta, non
si capisce cosa, dopo un po’ arriva
una francese, contratta con l’autista,
apparentemente seccata entra a fare
il biglietto poi arriva con il figlio dell’apparente età di 10
anni. Salgono poi due ragazze davanti, sembrano in
confidenza con l’autista. Con oltre un’ora di ritardo
finalmente si parte, l’ottimismo dura poco perché subito ci
fermiamo: l’autista deve andare in bagno. In seguito si
fermerà inutilmente altre tre volte, ecco perché per fare
relativamente pochi chilometri ci si mette sette ore, anche
questo è Laos! Arriviamo puntuali a Nong Khiaw, con un tuk
tuk arriviamo all’hotel, piccolo ma pulito. Usciamo subito ad
esplorare questo stupendo villaggio e ad organizzarci per
domani, troviamo subito un’agenzia che scopriamo essere
utilizzata anche da AnM, il ragazzo che la gestisce è
simpatico e mi fa un consistente sconto così ci affidiamo a lui
e domani partiremo per un due giorni di comodo trekking con
navigazione sul Nam Ou. Proseguiamo con il nostro giro fino
al ponte da lì si può salire sulla vicina cima ma Anna è stanca
così salgo da solo. Il picco si chiama Som Nang, per accedere
si deve pagare il biglietto, il sentiero è in forte salita e ci si
impiega meno di mezz’ora. La vista che si vede sulla città e sul Mam Ou è magnifica, rimango ad
aspettare il tramonto, il luogo è imperdibile, bellissimo. Scendo veloce così posso farmi una veloce
doccia e usciamo a cenare.
18 luglio
Viaggiare è come innamorarsi: il mondo si fa nuovo

Appuntamento all’agenzia alle 8 e montiamo sulla nostra barca stretta e lunga, con noi c’è il
barcaiolo e Bunthan un ragazzo abbastanza giovane, in un incidente ha perso l’uso di una mano così
si è messo a studiare l’inglese per poter lavorare con i turisti. Il suo nome significa fortunato perché è
nato nella giungla mentre sua mamma stava andando alla fattoria per partorire.
La navigazione è in un ambiente stupendo: il placido Nam Ou è incastonato fra lussureggianti rilievi,
qua e là qualche capanna in stile laotiano e qualche altra barca. Dopo un’ora di navigazione
arriviamo ad un piccolo villaggio di 43 abitanti
di etnia Hmong: HoauyHoi. Molte case sono in
bambu ed è attraversato da un’unica strada
sterrata, qui si arriva solo in barca o in moto.
Fuori dal villaggio piante di teak, dopo un’ora
di cammino con un caldo soffocante ci
fermiamo all’ombra di una capanna assieme ad
un locals. L’ambiente è affascinante, il verde è
nettamente il colore dominante, l’unico segno
umano sono i campi di riso e più avanti i campi
di banano. Arriviamo a Payong (pay significa
montagna e yong villaggio) dove convivono tre
gruppi etnici differenti: hmong, khmu e Lao,
attraversiamo il villaggio per fermarci quasi al suo termine in una locanda dove mangiamo e ci
rilassiamo un po’.
Dopo mangiato si riparte, ci facciamo un giretto per il villaggio dove possiamo vedere una donna che
ricama e un uomo che sta costruendo una cesta in vimini. Fa caldo e il resto del percorso è
abbastanza noioso, dopo un paio di pause arriviamo ad un porticciolo dove riprendiamo la nostra
barca. Dalla barca i paesaggi sono favolosi, a tratti sembra che ci sia una parete di vegetazione,
passiamo davanti a Muang Ngoy senza fermarci (ci andremo domani) fino a giungere a Sopchen Sob
Yam, un piccolo villaggio che si accede da un bel prato di una guesthouse lussuosa. Entriamo nel
villaggio composto da un’unica strada sterrata, ai lati negozi di tessuti con i telai dove si vedono le
donne a lavorare. Bunthan ci porta in fondo al paese sulla sinistra a quella che dovrebbe essere la
nostra guest, una schifezza immane, tutta
fatiscente e senza nemmeno il ventilatore, bagno
alla turca con secchio d’acqua. Dopo un attimo
di esitazione protesto, mi rendo conto che non è
colpa della nostra guida ma il posto è
assolutamente improponibile. Io e Bunthan
torniamo in paese per telefonare al referente (qui
i telefonini non prendere) senza grandi
discussioni mi propone velocemente un’altra
guest, questa carina, fronte fiume e con
ventilatore. Fatta una doccia rinfrescante
andiamo al bar dove ci offrono un po’ di birra e
del buonissimo mango poi visitiamo il paese, ovvero ci fermiamo da una signora che ci fa vedere
come si usa il telaio e Anna compra qualche stoffa.
A sera andiamo da una signora a cenare in perfetto stile laotiano: un piatto con il cibo in mezzo, riso
colloso come pane, acqua bollita da bere e niente posate, ci si serve con le mani, ci offrono anche del
pitone, molto buono, peccato ce ne sia poco.

19 luglio
Viaggiare è come avere più vite negli occhi
Nonostante la camera fosse al limite della decenza è stata la notte
che ho dormito meglio e alle 7.30 pronti e operativi andiamo a fare
colazione dove ieri abbiamo cenato. Oggi piove così partiamo con
poncho e giacca a vento, per un turista l’acqua è un disastro, ma qua
la stavano aspettando con ansia: le risaie da cui siamo passati ieri
erano in sofferenza, un’altra settimana senza acqua e avrebbero
buttato via il raccolto. Scendiamo poco prima di Muang Ngoy per
salire verso il punto panoramico, Anna preferisce starsene giù
perché piove ed il sentiero in forte pendenza è molto scivoloso.
Lungo il percorso c’è una grotta, l’ingresso è stretto ma dentro si
allarga, carina ma non eccezionale, oggi siamo gli unici turisti,
proseguendo si arriva ad una cimetta con un panorama stupendo
(sarebbe stupendo
se non piovesse!).
Ritorniamo alla barca e facciamo un breve sentiero
in piano fino a Muang Ngoy, con la pioggia non
rende, prendiamo subito la barca e ripartiamo per
fermarci poi quasi subito a Sop Keng paesino
caratteristico che scopriremo essere il paese
d’origine della moglie di Bunthan. Ci inoltriamo
nell’entroterra, ci sono vaste piantagioni di riso, a
circa mezz’ora arriviamo al Yensabi Organic Farm,
un posto per fricchettoni alternativi, c’è un gruppo
di europei che sta li in terrazza, non sono i posti
che mi piacciono, troppo da fighetto, tutto troppo rilassato. Ci prendiamo un the poi proseguiamo, a
breve si entra nella giungla e si comincia a salire, si arriva ad una piccola coppia di cascate e dopo un
po’ ad un’ultima e bella cascata, la Tad Mok, ai cui piedi si può fare il bagno. Il meteo oggi non è
propriamente invitante ma comunque lo faccio. Ritorniamo sui nostri passi e il tempo migliora,
ritorniamo al villaggio dove ci fermiamo a fare due chiacchiere con Bunthan, ci fa vedere le foto del
suo matrimonio, ci racconta che qui gli insegnanti devono lavorare dieci anni gratis per poi iniziare a
prendere lo stipendio, così gli tocca vivere delle donazioni del villaggio.
Ultimo tratto di navigazione fino a Non Khiaw, prenotiamo il ticket per il bus di domani e finalmente
possiamo rilassarci e andare a cena.

20 luglio
La città d’Oro

Alle 8.45 viene il tuk tuk a prenderci per la stazione dove prendiamo il bus per Luang Prabang, solito
bus fatiscente, pieno di gente. La strada è in uno stato discreto ma piena di curve così non si corre.
Ad un certo punto, sulla sinistra, si vede la diga sul Nam Ou costruita dai Cinesi. Con un po’ di
ritardo arriviamo alla stazione dei bus (quella nord) di Luang Prabang
Antica capitale del regno di Lan Xang, ha avuto vari nomi, nel 698 era Muang Sawa,
nell’XI secolo Xiang Dong Xiang Thong (città d’oro). Nel 1512 il re accettò in dono dai
Khmer una celebre immagine del budda chiamata Pha Bang e rinominò la città con il nome
attuale (significa Grande Prabang).

Con un tuk tuk arriviamo in hotel. La camera non è ancora pronta così lasciamo gli zaini e andiamo a
mangiare ad un vicino ristorante. Dopo mangiato iniziamo la visita a questa favolosa città. Prima
l’UXO (Unexplosed Ordinance) Laos Information center.
Un piccolo centro informazioni dove si racconta una storia poco
nota: durante la guerra nel Vietnam, per rifornire di armi e cibo
la parte nord del paese, i vietcong passavano per il Laos lungo un
percorso chiamato Sentiero Ho Chi Min. Gli Americani
bombardavano a tappeto tutto il percorso, si stimano 240 milioni
di bombe, per un totale 2 milioni di tonnellate di ordigni, si è
arrivati a picchi di 900 bombardamenti al giorno. Così il Laos ha
il triste primato di paese più bombardato al giorno! Circa 80
milioni di ordigni sono rimasti inesplosi e ogni tanto uccide,
ferisce o deturpa qualche persona, spesso bambini. L’UXO si
occupa di sanare il territorio, avendo però fondi limitati ci
vorranno diversi decenni.
Vicino c’è un parco con la statua del
presidente Souphanouvong, uno dei protagonisti della lotta per
l’indipendenza del Laos, la sua adesione al marxismo gli fece guadagnare
il soprannome di Principe Rosso. Anna oggi non sta molto bene così
torniamo alla guest a riposare.
Nel tardo pomeriggio riprendiamo la nostra esplorazione andando al Wat
Manorom, un bel tempio ma non diverso dagli altri, dentro ci sono molti
monaci che, desiderosi di esercitarsi con l’inglese, si fermano volentieri a
chiacchierare con noi, ci chiedono pure un selfi e e+gia che ci siamo
contraccambiamo. Proseguiamo al vicino Wat That Luang, carino, con
una parte apparentemente antica ma semideserto. Concludiamo con la
visita al Ock Pop Tok un mercato dove si possono acquistare prodotti di
artigianato locale a prezzi decisamente non laotiani. Concludiamo la
giornata con una cena al ristorante vicino alla guest e poi a nanna, oggi
c’è un po’ di stanchezza.

21 luglio
I viaggiatori sono quelli che lasciano le loro convinzioni a casa, i turisti no.
Oggi mii sveglio alle 5:10 ed esco percorrendo le strade ancora
semideserte di LP, percorro la th Kitsarot poi giro a destra sulla th.
Sisavankong. Nonostante l’ora qui c’è un po’ di movimento, lungo la
strada ci sono sedie di plastica, qualche turista (non molti a dire il
vero) e molti locals, soprattutto signore di una certa età. All’alba ha
luogo il tradizionale Tik Bat una sorta di questua dei monaci,
percorrono silenziosi alcune vie con un grande contenitore a tracolla
dove la gente del posto fa la carità, non denaro ma riso, brioches ed
altro cibo, in cambio i monaci si fermano a pregare per le generose
donne. Torno alla guest house ma si deve aspettare le 7:30 per la
colazione.
Andiamo verso il centro, prima tappa il mercato, bello e genuino, ad
una delle bancarelle prendiamo una fetta enorme di torta alla banana e
un buonissimo caffè. I prezzi sono veramente irrisori così si spende
senza troppi rimorsi! Visitiamo l’adiacente Wat Mai Suwannaphumaham, un bel tempio molto
sontuoso ricco di rilievi con un tetto a 5 livelli (tipico dello stile di Prapang). Dentro monaci stanno
facendo pigramente le pulizie, non sembrano infastiditi dalla nostra presenza, ridono e scherzano tra
loro (molti sono ragazzini). Non è proprio quello che ci si aspetta da un monastero buddista fatto di
preghiera e meditazione ma si sa i viaggi veri sono la morte dei preconcetti! Usciamo per dirigerci al
vicino TAEC, un piccolo museo etnografico, non ci sono molte sale ma si raccolgono informazione
sulle numerose etnie di cui è composto il Laos.
Dal museo inizia la salita al Phu Si una collinetta che sovrasta la parte vecchia della città. Si sale
numerosi scalini e ad un certo punto c’è da pagare un tiket, in cima il That Chomsi, uno stupa non
particolarmente affascinante ma dal quale si gode un bel panorama sulla città. Scendiamo veloci per
il versante ovest, in fondo sulla sinistra il bel Wat Pa Huak
sfortunatamente chiuso ma anche da fuori è molto bello. Di
fronte a noi il palazzo reale, appena dentro il santuario più
famoso della città: il Wat Ho Pha Bang, di recente
costruzione dentro c’è il Pha Bang, statua di Buddha da cui
prende il nome la città. Per visitare il palazzo reale bisogna
depositare tutto: zaino, macchina fotografica e marsupio,
inoltre si entra scalzi. Dentro qualche sontuoso oggetto dei re
oltre ai vari ambienti dove hanno vissuto.
Usciti proseguiamo verso nord-est sul lungo fiume fino al Wat
Siphoutthabat Thipparan e, salendo le scale si può vedere
l’impronta del Buddha. Proseguendo si arriva al magnifico
Wat Xieng Thong, il più celebre e più frequentato dei
monasteri di LP. Entrando sulla destra c’è l’Hong Kep Mien,
una bella rimessa con dentro un carro funebre molto elaborato,
poi c’è il tempio principale (sim) e vari tempietti secondari
ricchi di affreschi e intagli elaborati.
Concludiamo la giornata andando a mangiare al vicino Nam
Khan, per arrivarci bisogna prendere una barca (gratuita per
chi poi va al ristorante) dove si mangia veramente bene.

22 luglio
L’acqua si scioglie i capelli nelle cascate

Oggi gita fuori porta, dopo la solita colazione alle 8 siamo alla vicina agenzia per ritirare il motorino
richiesto, giusto il tempo di firmare un documento e il motorino è nostro! Questa volta ce lo danno
quasi a secco e basta che ritorniamo. Appena partito mi rendo conto che il freno dietro praticamente
non va, torno indietro, discuto con il proprietario, insiste che basta
usare il freno anteriore, si certo di freni ce ne sono due perché
così uno è di riserva. Chiedo di provare la sua e va decisamente
meglio. Cambiamo targa sul documento appena firmato e posso
partire. In circa 15km di comoda strada asfaltata siamo alle Tad
Sae, si paga il parcheggio poi si prende una piccola barca guidata
da due ragazzini che ci porta dall’altra parte del fiume, si paga
l’ingresso e… delusione, la cascata è quasi asciutta! L’avevo letto
su trip advisor ma la proprietaria dell’agenzia diceva che era
bella, non capisco se popolo che vai gusti che trovi o
semplicemente sono dei faciloni che non sanno trattare con i
turisti (io propendo per quest’ultima ipotesi). Ci facciamo un giro
ma veramente non merita, forse ad agosto quando le piogge sono
più abbondanti ma adesso è ridotta ad un misero rigagnolo.
Torniamo a prendere il motorino, ritorniamo a Luang Prabang per
poi dirigerci a Kuang Si, queste si belle cascate però sono a 30km
da LP. La strada è tutta asfaltata ma piena di buche, bisogna
mantenere sempre la concentrazione. Arrivati a destinazione c’è
un grande parcheggio a pagamento, si prende il tiket che comprende anche il passaggio con navetta
elettrica. All’ingresso c’è un centro di recupero degli orsi tibetani, sono animali salvati dai
bracconieri che li catturano per “mungere” la bile, sostanza considerata importante per la medicina
tradizionale cinese. La cascata si compone di vari salti, via via che si sale è sempre più bella, l’acqua,
grazie alla abbondante presenza di minerali, ha un bellissimo colore turchese. In alcune zone si può
fare il bagno immersi in una natura lussureggiante. Quando si arriva all’ultima cascata (così bella che
sembra finta) c’è un ripido sentiero sulla destra che porta sopra dove c’è un’altra zona adatta al
bagno. Scendiamo e pranziamo al ristorante dentro il parco (il servizio è molto lento ma noi siamo
stanchi e accaldati e va bene così). Ritorniamo al motorino e ci rifacciamo i 30km per Luang
Prabang, tirando le somme della giornata Kuang Si è forse il luogo più bello del viaggio, veramente
imperdibile.

23 luglio
Le radici sono importanti, nella vita di un uomo, ma noi uomini abbiamo le gambe, non le
radici, e le gambe sono fatte per andare altrove

Questa mattina vorremmo prendercela con calma ma niente da fare, alle 7:30 siamo a fare colazione
e alle 8 partiamo per un’altra intensa giornata a Luang Prabang. Passiamo per il market a prenderci
torta e caffè (quando iniziano le abitudini penso che sia ora di cambiare aria) poi passeggiamo sul
lungo fiume per cercare una barca che ci porti a fare un giro sul Mekong, alla fine tra una
contrattazione e l’altra trovo un prezzo che ci soddisfa. La barca è già partita così la chiamano che
torni indietro e noi gli andiamo incontro con due motorini. Lo so mi ripeto spesso ma una delle cose
che più mi piacciono di questi posti è che tutto è semplice. Saliamo sulla barca ma manca un posto,
tirano fuori uno sgabello. Dopo un lungo tragitto immersi in una bella vegetazione arriviamo a Ban
Xang Hai un piccolo villaggio (chiamato Whisky Village) dove vendono tessuti e grappe con
serpenti, scorpioni e altri simpatici animaletti (non mi
perdonerò mai di non averne preso una bottiglia). In fondo al
villaggio un bel tempio da visitare. Ci fermiamo giusto il
tempo di qualche acquisto e si riprende la navigazione. Ancora
20 minuti e siamo alle grotte di Pak Ou, due grotte stracolme di
statue di Buddha, la prima grotta, quella con più statuette è
poco profonda, tanto che si fatica a chiamarla grotta è quella
con il maggior numero di statuette si chiama Tham Ting, si
dice ci siano circa 2500 Buddha, sono una sorta di ex voto,
quando un abitante della zona aveva bisogno di un favore,
faceva o commissionava un Buddha e lo portava qui. Per
andare alla grotta superiore (Tham Teung) bisogna prima
scendere per poi salire verso sinistra. La grotta ha all’ingresso
una bella porta in legno, sulla destra un Buddha dorato
sovrappeso e dentro in un ambiente scarsamente illuminato
qualche “Buddhino”. Scendiamo per riprendere la barca che ci
riporterà a LP. Ritornati ci fermiamo a mangiare in una bettola,
proprio quei posti che mi piacciono, visitiamo un tempio (il
Wat Pa Phai) poi si ritorna a riposare in hotel. La sera la
passiamo al night market, verrà un violento temporale, il ritorno alla guest sarà piuttosto “umido”.

24 luglio
Nei viaggi, come nella vita, le difficoltà possono trasformarsi in possibilità

Visto che oggi è l’ultimo giorno a Luang Prabang ritorno a vedere la questua dei monaci, questa
volta viene con me anche Anna. Alle 5:30 passa il primo gruppetto poi arrivano altri, immagino che
ogni gruppetto venga da monasteri diversi. Dopo un po’ ci si stanca (bello ma alla fine sempre
uguale) andiamo al morning market a prenderci una fettona di torta e un caffè. Torniamo in hotel,
prepariamo gli zaini, li portiamo sotto e siamo pronti per partire nuovamente. Dietro al palazzo reale
c’è il traghetto che porta sull’altra riva del Mekong (Chomphat), continua ad andare avanti e indietro
e così non c’è mai molto da aspettare e costa una cifra irrisoria (meno di mezzo euro). Dall’altra
parte un’altra LP, meno turistica, si può fare un lungo percorso lungo il fiume per visitare alcuni
santuari, nell’ordine:
 Wat Xieng Man, vicino al paese, carino esternamente ma chiuso, non si può entrare
 Wat Champet, bisogna salire 123 scalini ed è in ristrutturazione, appena arrivati, sulla
sinistra, ci sono due stupa che contengono le ceneri di un re e sua madre.
 Wat Long Khoun, il più bello, quando arriviamo dentro c’è una cerimonia, lo rivedremo con
calma al ritorno.
Fu costruito nel XVIII secolo dal re Anourouth Manthatulath e restaurato nuovamente
nel 1791 dal re Suliyavongsa. Durante il suo regno, il re Sisavangvatthana e il principe
ereditario Vongsavang divennero
monaci e studiarono il buddismo nel
tempio. Era un luogo in cui i re
praticavano la meditazione prima di
ricevere le cerimonie di incoronazione
reale. L'interno della sala del canto
principale è decorato con dipinti della
storia delle 10 vite della reincarnazione
del Buddha e dei racconti di Jakata. La
leggenda vuole che abbia preso il nome
da Thao Phouthasane e Nang Kanghee,
famosi per la loro storia d'amore. LongKhan significa acqua proveniente dall'organo di
Nang Kanghee e quindi è chiamato Namkhan o acqua pruriginosa. La storia è che
chiunque avesse bevuto Namkhan sarebbe diventato sessualmente promiscuo. Wat Long
Khoun è costituito da una sala per il canto, tre quartieri residenziali, una sala da
pranzo all'aperto e un pilastro di pietra con iscrizione. Viene utilizzato per conservare il
manoscritto delle foglie di palma affinché i monaci possano studiarlo. Alla fine del
XVIII secolo, l'esercito cinese scese lungo il fiume Mekong per attaccare Luang
Prabang e si stabilì in questo tempio. La leggenda narra che durante la notte i soldati
cinesi non riuscivano a dormire perché i fantasmi o gli spiriti maligni venivano a
disturbarli mentre dormivano. La mattina dopo, si sono incontrati e hanno deciso di
dipingere due divinità cinesi sul murale per proteggerli dai fantasmi o dagli spiriti.
Dopo di che poterono finalmente rimanere nel tempio.
 Wat Than Sakkarin, relativamente moderno ricoperto esternamente da affreschi che
descrivono la vita del Buddha
 Wat HadSiaew, un insieme di templi in cattivo stato.
 Wat Nong Sa Keo, piccolo tempio di scarso interesse, sapendolo prima, vista la lunga e
fangosa strada per arrivarci avremmo evitato.
Tornare al villaggio con questo caldo è dura, volendo ci sono persone che offrono il ritorno in barca,
noi resistiamo stoicamente e arriviamo a Chomphat a prendere il traghetto. Arrivati sull’altra riva
andiamo a mangiare al Bamboo Garden, un’ottima scelta,
assolutamente da consigliare. Si mangia bene a prezzi di
poco superiori ai ristoranti basici, con tutti piatti della
cucina locale.
Finito il pranzo andiamo a visitare ancora tre templi:
 Wat Wisunarati, considerato il tempio più importante
di LP, sembra sia il più antico (risale al 1512) anche se, ad
onor del vero, è stato ricostruito nel 1896. Sul tetto un Dok
Say Saa, un elemento ornamentale costituito da 17 stupa in
miniatura coperti da ombrelloni. Dentro un Buddone
circondato da tanti Buddha più piccoli, di vari materiali e
alcuni di pregevole fattura, particolari poi quelli nella
posizione propiziatoria alla pioggia.
 That Pathum, un’antico stupa pesantemente restaurato
(praticamente trasformato in un blocco di cemento).
 Wat Aham, fuori nulla di ché, ma dentro
completamente affrescato con terribili scene dell’inferno
buddista.
Aniamo all’hotel per aspettare il taxi per la stazione dei
treni, arriverà in forte ritardo (e questo mi innervosirà), per
arrivare alla stazione ci vuole circa 25 minuti, l’edificio è
enorme e costruito nello stile di un Wat, per accedere bisogna avere già il biglietto, una signora
scannerizza il nostro biglietto e … non funziona, quasi non parla inglese, dice qualcosa in laotiano
che non capisco, per fortuna avevo il numero di telefono della signora dell’agenzia, le metto in
comunicazione ma non c’è nulla da fare, alla fine perderemo il treno! La signora dell’agenzia ci fa al
volo il biglietto per il treno dopo e finalmente possiamo entrare. Si deve passare attraverso un metal
detector (così mi tocca lasciare il coltellino) e alle 19 finalmente saliamo sul treno. Ci vogliono 1 ora
e 45 minuti per arrivare (in bus ci metteremo 6 ore), arriviamo con 20 minuti di ritardo, prendiamo
un tuk tuk collettivo che però non conosce la strada così mi tocca stare davanti con l’autista per
indicargliela. Arriviamo a sera tardi al pessimo Intouch guetst house, la camera è a malapena
passabile ma oramai siamo qui e vediamo di farcela passare.

25 luglio
La città degli alberi di sandalo del re
Ci svegliamo alle 6:30 e alle 7 siamo alla disperata ricerca di un posto dove fare colazione, alla fine
troviamo una bettola in cui beviamo finalmente un caffè e una baguette con frittata.
Verso le 8 partiamo all’esplorazione della capitale
Situata su un’ansa del Mekong,
Vientiane fu fondata nel IX
secolo d.C. come parte di una
delle prime meuang (città-stato)
della Valle del Lao che si
consolidarono nel corso del X
secolo. Poi la sua storia
proseguirà a fasi alterne con
occupazioni birmane, siamesi,
cinesi e vietnamite. Nel XVI
secolo la città divenne capitale
del regno di Lan Xang grazie al
sovrano Setthathirath, che
decise di spostare la sede della
sua corte dall’attuale Luang Prabang, gloria di breve durata viste le successive invasioni.
Nel 1928 la città contava appena 9000 abitanti - molti dei quali amministratori vietnamiti
arrivati con i francesi - e fu solo al termine della seconda guerra mondiale che la
popolazione di Vientiane conobbe un apprezzabile incremento, favorito soprattutto dai
dollari versati dagli Stati Uniti nel corso della Guerra Fredda.
La città venne chiamata Vìangchàn dai laotiani e dai thai, sembra che la sua origine derivi
dalla radice Viang, che significa "insediamento murato", mentre il termine Chan dal
termine lao Chantana, il cui significato è albero di sandalo. Il termine "Vientiane"
rappresenta la storpiatura in lingua francese del suo nome originale, e riflette la difficoltà
di pronuncia della sillaba "cha" (in italiano cia) da parte dei francesi.
Seguiamo il percorso consigliato dalla Lonely Planet, prima tappa Nam Phu, una mediocre fontana
con dietro una torre dell’orologio, poi si passa per il bel Palazzo Presidenziale a cui ovviamente non
si può accedere. A breve si raggiunge il Wat Si Saket, un tempio trasformato in museo, molto bello,
peccato solo che all’interno del tempio
non si possa fare foto, attorno tanti
Buddha, alcuni all’apparenza molto
antichi. Di fronte il Pha Kaeo ma
decidiamo di non entrare (siamo stufi
di arte sacra). Arrivati all’ambasciata
francese giriamo a sinistra, si passa per
la modesta chiesa cattolica. Oltre
dovrebbe esserci un mercato ma adesso
ci sono grandi lavori di
ristrutturazione. Proseguendo si arriva
ad un mercato all’aperto di scarso
interesse. Ci troviamo sulla Th Lan
Xang, in fondo si nota un monumento
che ricorda vagamente il parigino Arco di Trionfo è il Patuxai, oltre una bella fontana con
interessanti giochi d’acqua. Ritorniamo ora sui nostri passi per girare a destra passando per
l’ambasciata americana (sul cui muro interessanti murales) e proseguendo fino al That Dam un
vecchio stupa fatiscente. Giriamo a sinistra, lunga la strada il bel National Culture Hall, uno
scenografico teatro. Siamo stanchi e abbiamo fame così ci fiondiamo al Khambong Lao Restaurant,
consigliato dalla LP ma nulla di particolare.
Torniamo alla guest, Anna vuole riposare un po’ così io affitto una bicicletta e proseguo
l’esplorazione. Prima tappa il Pha That Luang, uno stupa
dorato, non si può entrare ma si può fare tutto il giro attorno,
molto ma molto bello, un’oasi di pece in mezzo al caos della
città. Dopo la visita proseguo per il museo nazionale, mi
rendo conto che arrivarci in bici è una pazzia, sia per il caldo
sia per il traffico senza regole. Comunque sia arrivo vivo al
museo, il palazzo è molto bello, dentro quasi tutte le sale sono
aperte e descrive la storia del Laos dalla preistoria ai giorni
nostri. Avevo letto delle recensioni negativo ma sono contento
di aver dato retta al mio intuito. Ritornare alla guest è
un’impresa, bisogna avere gli occhi anche dietro, a nessuno
sembra interessare la sicurezza dei ciclisti (e in effetti sembro
l’unico pazzo).
Arrivo all’hotel e ripartiamo subito per visitare gli ultimi
templi che ancora non abbiamo visto, nell’ordine:
 Wat In Paeng, molto bello esternamente, con begli
stucchi e affreschi ma chiuso come sono chiusi quasi
tutti i templi (almeno a quest’ora)
 Wat Ong Teu Mahaihan, con due elefanti bianchi
all’entrata, un grande Buddha in bronzo all’interno
 Wat Hai Sok, bel tempio ma nulla di caratteristico
 Wat Mixai, con due giganti guardiani all’ingresso (Nyak), carino ma come gli altri chiuso
 Wat Si Muang, sicuramente il più interessante, dentro molti fedeli che pregano qui è
custodita una copia del Pha Kaeo, il Buddha di smeraldo e un piccolo Buddha in legno che la
gente ritiene che sollevandolo tre volte possa esaudire i desideri, nella seconda sala è
custodito il lak Meuang (pilastro fallico della città).
La serata si conclude con un ultimo salto al night market pronti per affrontare l’ultimo giorno
laotiano.
26 luglio
Ogni viaggio lo vivi tre volte: quando lo sogni, quando lo vivi e quando lo ricordi
Non senza una punta d’ansia, prepariamo le valige, le
portiamo di sotto e partiamo verso la stazione degli autobus.
Per strada facciamo colazione ad un Amazon caffè (non è da
noi ma quando arriva l’ultimo giorno ci si deve acclimatare
agli standard europei). Alle 8:20 siamo alla stazione dei bus
dove prendiamo il pullman diretto al ponte dell’amicizia n.1
per proseguire al Budda park. Molti conducenti di tuk tuk
offrono il passaggio ma così è decisamente più economico.
C’è un bus ogni mezz’ora e costa mezzo euro a tratta, dentro
pochi turisti, sono quasi tutti laotiani o thailandesi. In meno
di un’ora si arriva al parco, il costo dell’entrata è aumentato
notevolmente (circa 2€, un salasso!), dentro assomiglia
vagamento al parco di Bomarzio ma a tema
buddista/induista. Appena entrati sulla destra una specie di
enorme cocomero a cui si accede attraverso le fauci di un
mostro e, tramite angusti passaggi, si sale fino in cima. Il
posto è carino ma non ci vuole molto a visitarlo, con il
senno di poi forse valeva la pena prendere una guida che
aiutasse nell’interpretazione delle statue. Si gira
piacevolmente per circa un’ora poi usciamo a prendere il
bus del ritorno. È ora di pranzo così andiamo ad un
ristorante vietnamita (come atto propiziatorio per il prossimo viaggio).
Ritorniamo alla guest, ci rilassiamo un po’ poi iniziamo il lento ritorno verso casa, al solito fatto di
trasferimenti attese e noia.
Tuk tuk fino all’aeroporto, volo breve fino a Bangkok, la sera staremo in un bell’hotel vicino
all’aeroporto.
Tempo di tirare le somme: abbiamo visitato due paesi così vicini e così lontani, condividono un
confine, un alfabeto, anche le facce sono simili ma la Thailandia è una monarchia parlamentare (o
una dittatura militare a seconda del periodo) che ha abbracciato il libero mercato, il Laos è una delle
poche repubbliche comuniste ancora in vita, una nazione molto povera ricca di contraddizioni.
In Thailandia la gente sorride sempre, in Laos no ma li accomuna una grande gentilezza, onestà e
una religione fonte di pace interiore.

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