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“..

laggiù il tempo sembrava passare nell’indifferenza dell’eternità …il


passato e il presente dialogavano avendo come vocabolario il silenzio e il
vento, che ogni sera sembrava voler spazzare via tu o, con nuava
instancabile ad accatastare, da qualche parte, ore, giorni, mesi e anni a
formare secoli, lasciando tu o magicamente inta o auten co, quasi
irreale …”
[Claudio Toma s]
premessa
Viaggio di carattere etnografico (sembra sia obbligatorio iniziare così) che esplora una piccola parte
dell’enorme Etiopia, grande tre volte l’Italia, con ben oltre i 100Mab e un tasso di crescita altissimo
(2,57%). Un crogiuolo di culture diverse, si parla di oltre 80 gruppi etnici e ben 90 lingue diverse, la
lingua ufficiale è l’amarico. Noi andremo a sud per scoprire le tribù più singolari del continente
africano: i Daasannach, i Kara, i Mursi, ecc. Nel raggio di poche decine di chilometri troviamo
almeno 16 gruppi etnici diversi, ognuno con le sue tradizioni e lingue, addirittura si trovano due
diverse famiglie linguistiche: la Nilo-Saharan e la Afro-Asiatica.
Non dobbiamo immaginarci tribù incontaminate, oramai i turisti frequentano questi luoghi da
decenni e le varie tribù hanno imparato che possono ricavarci molti birr. Quindi tutto finto? A mio
modesto parere no, non dobbiamo pensare la cultura come qualcosa di statico, incontrando l’altro ci
modifichiamo a vicenda, io non sono tornato uguale a prima e anche le varie tribù visitate hanno
risentito della nostra visita. I Karo continuano a pitturarsi il corpo ma hanno imparato che questo ai
turisti piace e vedono di mettersi in mostra e di esagerarlo, i Mursi continuano a mettersi il disco
labiale (fortunatamente forse le nuove generazioni meno) e lo mettono in mostra assieme ai loro
fucili simbolo della loro bellicosità. Non visitiamo le stesse tribù di 10 anni fa e fra dieci anni
saranno ancora diverse da oggi ma è un viaggio in cui incontriamo (o ci scontriamo) con una
umanità così diversa dal nostro normale vissuto che ci obbliga a metterci in discussione e a riflettere
sul significato di cultura.

Figura 1: Fieri del loro abbigliamento due rappresentan della tribù dei Banna
Personaggi e interpreti

Non è stato un viaggio facile, qualche disavventura, ritmi serrati, hotel spartani ma credo siamo
riusciti ad essere almeno un po’ viaggiatori, abbiamo incontrato tante persone, abbiamo cercato di
capire e siamo tornati diversi da come siamo partiti.
Una cosa che sempre mi stupisce dei viaggi con AM è la capacità di unire un gruppo di sconosciuti,
c’era una famiglia (io, mia moglie e mia figlia), due coppie, due amiche a alcuni “lupi solitari”, ma
alla fine eravamo amici, ci siamo aiutati nei momenti di difficoltà, fortunatamente non abbiamo
avuto discussioni ma molti confronti sulle cose viste.
Il viaggio in breve

TUE 26-12-23 Roma/MilanoAddis Abeba


WED 27-12-23 Addis Abeba → Dorze
THU 28-12-23 DorzeKey Afer (market)Jinka
FRI 29-12-23 Jinka →Villaggio Mursi Jinka
Jinka  Dimeka(market) Turmivillaggio
SAT 30-12-23
Hamer
Turmi → Dassanech Turmi Hamer (salto del
SUN 31-12-23
toro)
Turmi →Korcho (villaggio Karo)
MON 01-01-24
NyangatonTurmi Market
TUE 02-01-24 TurmiAlduba MarketLabela (scuola)
WED 03-01-24 Turmi → Konso (New York e villaggio)Yabela
THU 04-01-24 YabelaEl SodAwasa
FRI 05-01-24 Awasa MarketAddis Abeba
SAT 06-01-24 Addis AbebaRoma/Milano
Il diario
1°Giorno: La partenza
Arriviamo a Milano con forte anticipo (siamo in tre, io mia moglie e mia figlia) Dora è già li così ne
approfittiamo per metterci in coda al check-in anche se non è ancora aperto. Scelta oculata visto che
c’è un pericoloso overbooking: per questioni tecniche hanno cambiato aereo e ci sono 42 posti in
meno. Arrivato al bancone ci offrono 600€ a testa più hotel per partire domani, ovviamente
rifiutiamo. Anna e Giovanni arriveranno in ritardo ma non ci saranno problemi, il volo parte in
orario.
2° Giorno: Da Addis Abeba a Dorzé
Arriviamo ad Addis in leggero ritardo mentre il gruppo di Roma è arrivato in anticipo, le formalità
doganali sono veloci, si passa al
controllo passaporto ed evisa dove
chiedono il primo hotel dove si
pernotterà e il numero di telefono.
L’aeroporto ha una buona wi-fi
aperta, comoda per incontrarsi.
Verso le 8 siamo tutti al ritiro
bagagli, non c’è tempo per
conoscerci, usciamo subito
dall’aeroporto dove ci aspetta il
nostro mitico autista Henok.
Partiamo veloci ma ci fermiamo
quasi subito ad un caffè, sia per
acquistare l’acqua sia per cambiare
Figura 2: pica strada E ope i soldi. Ci siamo fatti cambiare
400€/pax, 350€ in cassa comune e
50€ per le spese personali. Con il senno di poi troppi, sono 336000birr, se si pensa che i pezzi più
grandi sono da 200birr, sono circa 2000 banconote, una borsa della spesa piena,
Partiamo, ci aspetta tanta, troppa strada, usciti dal traffico cittadino si prende l’autostrada, l’unico
tratto di tutto il viaggio, sono circa 70km
poi si esce per dirigerci ad Awasa ed
immergerci nella realtà etiope: si passa
per piccoli paesi dove, avendo tempo,
sarebbe interessante fermarsi. Sulla strada
mucche, capre, uomini e carretti, inutile
correre, bisogna continuamente rallentare.
Passiamo per l’interessante Shashamanna:
La città dei rasta in Etiopia è il simbolo di
un’utopia nata negli anni Trenta, quella
del grande ritorno della diaspora delle
popolazioni nere alla loro madrepatria,
Africa. Un’utopia, appunto. Ma come Figura 3: un mercato
tutte le utopie ha un suo fascino e questa, per di più, è ancora viva e i rastafariani sono ancora lì.
Nonostante le persecuzioni e le difficoltà vissute negli anni. Per i rastafariani si materializza un
sogno. In molti, soprattutto giamaicani, lasciano casa, occupazione e parenti per trasferirsi in
Etiopia. Priest Paul era uno di essi e oggi è uno degli ultimi anziani che hanno compiuto il viaggio
di ritorno. «L’Africa – osserva Priest Paul – è un crogiolo di civiltà. In Giamaica c’erano divisioni
politiche che non potevo più accettare e che mi hanno convinto a lasciare l’isola. L’Etiopia
stimolava e stimola la nostra creatività».
Sarebbe bello fermarsi ma il tempo è tiranno e la nostra
meta è il sud, ancora 25km e siamo ad Awasa dove ci
fermiamo al bel hotel Pinna 2 a mangiare il cibo portato
dall’Italia e mi posso bere la prima birra etiope. Sono le 15
quando si riparte, si passa per Soddo per proseguire verso
Arba Minch. Viene notte e manca ancora un’ora di
macchina, proseguiamo con una certa apprensione: molti
ostacoli sulla strada rendono il tratto pericoloso, per
fortuna gli autisti sanno il fatto loro e si destreggiano bene
fra tutti gli ostacoli che si incontrano. Nei pressi di Arba
Minch si gira a destra per uno sterrato che sale al villaggio
dei Dorzé. Ci aspetta Mekonnen, il proprietario del lodge,
un signore simpatico attorno alla trentina con i capelli
rasta, dichiara di essere il re de villaggio, è vistosamente
ubriaco ma non da problemi. Ci sistemiamo attorno ad uno
spartano tavolino, ci offre della grappa locale (che lui ha
evidentemente bevuto in abbondanza) e con calma ci
arriva un ottimo pasto interamente vegetariano. Quando
Figura 4: Mekonnen
tutti sono a dormire io vengo invitato nella capanna di
Mekonnen a bermi un infuso al caffé
3° Giorno: Da Dorzé a Jinka passando per Key Afer
La notte era freddo ma dentro le capanne si stava decentemente, peccato che i bagni sono
inguardabili e non c’è un minimo di acqua
corrente per lavarsi la faccia ma
l’ambiente è bello e Mekonnen simpatico.
Alle 6:30 facciamo colazione: un termos
di caffè e uno di the, banane e frittata, alle
7 iniziamo la visita al villaggio. A fianco
del lodge c’è la casa di Mekonnen, sono
tre capanne, la più piccola è vecchia di
106 anni, quella centrale ci abitano
assieme agli animali e quella di sinistra è
per i novelli sposi, ci abitano per tre mesi
poi è finita la privaci. Dietro alla casa una
signora fila il cotone e ancora oltre
preparano il pane con il falso banano che Figura 5: piche capanne Dorzé
poi assaggeremo assieme al loro miele.
Tornati al lodge viene inscenata una danza, sembra tutto un po’ finto, Mekonnen dice che a
settembre viene fatta per la comunità. Difficile non citare Marco Aime
[…] la performance nasce comunque da una pratica esistente: i dogon danzavano anche senza i
turisti […] La non autenticità criticata da alcuni sarebbe allora non nella forma dell’evento, ma
nella spinta che muove la gente a parteciparvi: il denaro e non una celebrazione
Concludiamo la visita con un giro alla
lavorazione del cotone, la divisione dei ruoli è
rigida e, a differenza di altre culture, il lavoro
al telaio è prettamente maschile. Torniamo
sulla strada dove le macchine vengono a
prenderci, Mekonnen chiede un prezzo
esagerato per la visita (1000birr/pax)
contratto e lo dimezzo. Si parte, siamo però in
ritardo così decidiamo di saltare il pranzo per
andare direttamente a Key Afer a vedere il
mercato. Arriviamo alle 15, subito Henok ci
trova una guida (è obbligatoria) e andiamo in
Figura 6: Uomo al telaio banca a cambiare qualche banconota in pezzi
da 10birr per poter far le foto. Quando si
vuole fare la foto a qualcuno si deve contrattare, in genere 10/20 birr, alla fine non si spende molto
ma è un continuo elargire luride banconote (nel senso letterale, i pezzi da 10birr sono
particolarmente sporchi e stracciati).

Figura 7: il mercato di Key Afer

Ci mancano 40km per Jinka dove finalmente ci facciamo una doccia e un giro per il paese
4° Giorno: I mursi
Stanchi ci eravamo messi a letto ma presto siamo
stati svegliati da cantilene e preghiere, all’inizio
tutti abbiamo pensato al muezzin (in paese c’è una
moschea) ma la litania è andata avanti tutta la
notte senza soste. Quasi nessuno è riuscito a
dormire, al mattino scopriamo che era la
celebrazione del Kullubi, la festa di San Gabriele.
Dopo colazione andiamo a vedere la cerimonia
alla vicina chiesa, esperienza molto interessante, si
fotografa liberamente, in un angolo due donne
preparano da mangiare e in un edificio alcuni
ragazzi vestiti da cerimonia si preparano per il Figura 8: il Kullubi

coro.
Finito il giro passiamo da un ufficio a pagare la visita al villaggio Mursi e finalmente partiamo in
direzione del Mago N.P. La strada è sterrata ma in buone condizioni, nonostante sia un parco
nazionale non si vedono animali, ci spiega Henok che fino ad una decina di anni fa si vedeva
qualcosa poi sono state aperte fattorie per la produzione di zucchero e si sono spostati in altre zone.
Ci vuole quasi un’ora e mezza per arrivare al villaggio dei Mursi. Ci spiegano che ci sono pochi
villaggi fissi, sospetto rimangano per intercettare i turisti, i Mursi sono nomadi, si spostano secondo
le esigenze degli animali. Al villaggio ci
accompagna una guardia armata, ci
spiegano che sono alquanto bellicosi ed è
una misura di sicurezza (sarà vero o è un
po’ di scena per i turisti?) tante donne e
bambini e pochi uomini al villaggio, tutti
armati, serve, ci dicono, per evitare le
razzie da parte delle tribù vicine. I Mursi
sono oramai ridotti a 14000 individui con
una netta prevalenza femminile perché la
vita dei maschi è fatta di scorribande e
razzie che rendono la probabilità di essere
Figura 9: cicatrici segno di bellezza uccisi in combattimento alta (così almeno
ci racconta la guida). Una donna macina il
sorgo, un altro sta bevendo un intruglio e lo vomita fuori (per curarsi il mal di pancia ci dicono).
Impressionante le donne con il disco labiale, e le cicatrici disegnate sulla pelle, mi vengono in
mente le parole di Marco Aime sul libro di antropologia:
Il corpo viene disegnato, inciso, scolpito, amputato, modellato, quasi l’uomo volesse sancire con
queste operazioni il suo distacco dalla natura, marcarne la differenza, per portarlo sul terreno
della cultura.
Dietro al villaggio il Mago river dove alcuni ragazzi fanno il bagno e due ragazzi si allenano al
donga (lotta con i bastoni). Finita la visita si ritorna a Jinka (non prima di aver pagato la guardia
armata che ci ha accompagnato e l’entrata al parco) dove andiamo a pranzare all’ottimo Besha
Gojio. Alle 15:30 andiamo al museo etnografico, assolutamente da sconsigliare, 500birr a testa per
vedere pochi reperti scarsamente spiegati e dei filmati che si possono reperire anche online.
Torniamo a piedi passando per il mercato. Bello, tipico mercato africano, confuso e ricco di umanità
peccato solo per i bambini che qui sono particolarmente fastidiosi.

Figura 10: foto di gruppo dai mursi

5° Giorno: Da Jinka a Turmi passando per il villaggio Aari e per il mercato di Dimeka
Partiamo con calma per andare a visitare
il villaggio Aari vicino a Jinka, molto
bello, popolo pacifico e relativamente
benestante, i bambini sono molto carini,
appena arriviamo ci prendono per mano e
ci accompagnano, non chiedono soldi,
penne o altro. Belle le capanne dipinte
(tipico lavoro femminile), una signora sta
lavorando l’argilla ci vorranno dei giorni
affinché venga essiccata al punto giusto,
poi possiamo vedere un tubo per distillare
un mix di sorgo e mais per farne una
specie di grappa locale. Ci portano dal
fabbro dove, utilizzando scarti delle
automobili costruisce attrezzi per
Figura 11: reparto dis lleria l’agricoltura, una signora ci fa vedere
come producono il pane.
Finita la visita si prosegue per Dimeka dove visitiamo il mercato, la guida non è granché ci porta in
giro senza dire quasi nulla, non abbiamo gli spicci per le foto e la gente è alquanto scontrosa. I
souvenir per turisti sono troppo cari e non trattabili, carina invece la parte dedicata alla vendita del
bestiame (mucche e capre). Finita la visita andiamo a mangiare in un ristorantino economico ma
non particolarmente buono. Turmi è vicina, prendiamo possesso delle camere (spaziose e con l’aria
condizionata).
Alle 17 andiamo ad un vicino villaggio Hamer: Gurdo di 450 anime. Anche qui quasi tutte donne e
tra i pochi uomini alcuni hanno il fucile, ci dicono che serve per difendere le mandrie dai predatori.
La guida è brava, ci da un po’ di spiegazione relativamente alla cultura di questa etnia. Girando si
possono notare le cicatrici sulla schiena delle ragazze: segno del singolare rito di passaggio
chiamato salto del toro.

Figura 12: Foto di gruppo al villaggio Hamer

6° Giorno: i Dassanech e il salto del toro


Oggi giornata piena, partiamo dall’hotel alle
7:30, direzione Omorate. Questa notte ha
piovuto insistentemente e anche questa
mattina pioviggina. La strada è asfaltata così
si percorre velocemente. Lungo la strada si
incrocia un enorme villaggio Dassanech,
all’apparenza un’enorme baraccopoli ma non
è diverso da altri villaggi già incontrati solo si
sono presi l’abitudine di usare le lamiere
come copertura delle case così l’effetto è
esteticamente pessimo. Arrivati ad Omorate si
Figura 13: I dassanech amano la lamiera!
deve passare al controllo passaporti e visti
(siamo vicino al confine con il Kenia), oggi ha
piovuto troppo così non è sicuro attraversare il fiume con le barche, le attraversiamo con il ponte
(comunque si faccia, il costo è 400birr/pax). Oltre il ponte si prosegue a piedi, a causa della pioggia
il sentiero è molto fangoso e ci si porta appresso una gran quantità di melma. Il villaggio non è
particolarmente bello a causa delle lamiere che ricoprono le capanne ma loro ritengono sia
funzionale. I Dassanech sono divisi in 9 clan, il villaggio che visitiamo fa parte del clan Elele ed è
abitato da 900 persone, anche qui pochi uomini, sembra che siano a caccia, vanno verso il lago
Turkana (Kenia) per cacciare ippopotami e coccodrilli, inscenano una breve danza, qualcuno
compra qualche souvenir poi ritorniamo verso le auto.

Figura 14: foto di gruppo

Torniamo a Turmi, Henok dice che il salto del toro è in forse: si


deve guadare un fiume che, a causa delle piogge, si è ingrossato
troppo. Mentre siamo all’Emerald Lodge a mangiare Henok va a
controllare: tutto ok, si può passare! Alle 14 si parte e in 5 minuti
siamo al guado, le nostre tre macchiane passano (non senza
qualche apprensione), la macchina dopo di noi si blocca a metà
guado, Henok prova ad aiutarli ma non riesce, ci tocca andare ma
da Turmi qualcuno è partito a dare una mano. Ci vuole un’ora di
difficile sterrato per arrivare al villaggio dove le donne stanno
danzando e suonando dei corni. La cerimonia è appena iniziata, le
donne (giovani e anziane) ballano assieme (più che un ballo
sembra jogging lento), questa parte è lunga e noiosa. Comincia a
piovere, all’inizio si cerca di resistere ma poi la pioggia aumenta.
Ci rifugiamo tutti nelle macchine, il salto del toro potrebbe
“saltare”. Fortunatamente a breve smette, ritorniamo nel piazzale.
Inizia la parte più impressionante: le ragazze, parenti del ragazzo Figura 15: impressionan i segni delle
che deve compiere il rito vanno dai ragazzi con una frusta in mano frustate
e chiedono di essere frustate, il ragazzo sembra essere
seccato, solo dopo una certa insistenza prende la frusta, le
frustate che vengono date con grande forza e le ragazze
sembra non provino nessun dolore, una prova di coraggio
non da poco. Il risultato è una schiena rovinata (questo è il
nostro punto di vista, loro sembra ne siano fiere). Finita
questa parte ci si sposta in un altro piazzale dove hanno
preparato i tori, le ragazze danzano attorno alle bestie quasi
a volerle innervosire, il ragazzo completamente nudo gira
per il piazzale, vengono scelti sei tori, vengono tenuti fermi
e comincia a saltarli, il tutto va ripetuto altre tre volte.
Conclusa la cerimonia con successo il ragazzo è diventato
adulto e potrà sposarsi!
Finita la cerimonia partiamo veloci verso Turmi, arriviamo
al guado che sta venendo notte, il fiume è ingrossato, Henok
passa bene, dietro una macchina di spagnoli, si ferma a
metà, comincia a sprofondare da un lato, un gruppo di
locals corre a tirare fuori i due turisti, in breve la macchina
sprofonda e non si vede più, le altre macchine rimangono
Figura 16: si salta!! dall’altra parte bloccate dalla forza della natura. Dovremo
aspettare fino dopo le 23 affinché l’acqua cali a sufficienza
da far passare le due macchine del gruppo. Possiamo festeggiare il Capodanno assieme!

Figura 17: Un po' di avventura serale


7° Giorno: i Karo e i Nyangaton
Nonostante la nottata non proprio tranquilla alle 8 siamo in
partenza, oggi Karo e Nyangaton. La strada è asfaltata così si può
andare veloci, ad un certo punto si gira a destra per percorrere un
lungo sterrato che ci porta a Kolcho-Karo, ci abbiamo messo circa
1,5 ore, ancora piove ma sta smettendo. Il posto è molto
scenografico con l’Omo sotto di noi, sul piazzale c’è il posto per le
tende. Questo popolo è famoso per le pitture corporali (soprattutto
maschili) bello ma un po’ troppo costruito, un gruppo di uomini sta
bevendo un intruglio da un bidone per pittura: è birra di sorgo, ce
la offrono ma nessuno ha il coraggio di assaggiarla! Alla fine, si
mettono in posa per la foto di rito nel piazzale con dietro il fiume.
Qui i bambini chiedono insistentemente di tutto: penne, quaderni,
t-shirt. Anche i Karo hanno la tradizione del salto del toro ma non
la compie un ragazzo da solo ma un gruppetto di adolescenti. Una
volta superata la cerimonia viene fatto un taglio sull’orecchio che
Figura 18: birra locale!
simboleggia l’effettivo superamento del rito. Ritorniamo alla strada
asfaltata, ne percorriamo ancora un tratto fino ad un ponte che ci permette di attraversare il fiume. Il
villaggio Nyangaton è vicino, una guida ci accompagna, è bravo e si dilunga in spiegazioni: i
Nyangaton fanno parte di una vasta entità culturale che possiamo trovare anche in Kenya, in Sudan
e in Uganda, sono poligami ed è l’uomo che deve pagare la famiglia della sposa per potersi unire in
matrimonio e anche parecchio (50/60 mucche o più). Colpiscono le collane particolarmente
voluminose e il vezzo di attaccarsi addosso oggetti occidentali quali i cinturini degli orologi. A
differenza dei Karo non chiedono soldi, penne o altro, sembrano più dignitosi, anche le foto se le
fanno fare ma sembrano indifferenti, non si mettono in posa. Si ritorna al ponte e ci fermiamo ad un
bar a mangiare l’ultimo cibo portato dall’Italia. Concludiamo la giornata tornando a Turmi per
visitare il mercato settimanale.

Figura 19: villaggio Nyangaton


8° Giorno: Aluba market e visita alla scuola
Oggi si parte con tutta calma alle 9:30,
destinazione Aluba market, ci vuole 1,5
ore per arrivare, quando manca poco si
comincia a vedere molte persone che
stano andando a piedi verso il villaggio.
Prendiamo la solita guida e questa volta
risulta brava e desiderosa di dare
spiegazioni, il mercato è molto bello e
grande, il più interessante fra quelli
visitati. Qui si mescolano Banna, Hamer
e Tsemay, interessante la zona “bar”, la
gente sembra accogliente e simpatica.
Figura 20: Aluba market Tornati a Turmi nel programma avremmo
la scuola costruita e gestita dalla Onlus
italiana Barjo Ime, dovremmo però attraversare il fiume di ieri, Henok ce lo sconsiglia perché
potrebbe nuovamente gonfiarsi, Wado, il manager locale dell’associazione, ci propone
un’alternativa: andare a piedi da un posto vicino a Turmi guadando il fiume in un posto più
tranquillo. In sei accettiamo la proposta ed è stata un’ottima scelta, si arriva in macchina fino ad un
pozzo (sempre finanziato dalla Barjo Imé) da dove si prosegue a piedi. Meno di 1km di strada
immersi in una vegetazione favolosa (ci sono dei baobab fioriti) e arriviamo alla scuola nei pressi
del villaggio Hamer Labela. Ci attendono gli insegnanti con gli alunni, scopriamo che la paga
mensile di un insegnante è circa 70€ e che tutto è pagato dallo stato. Esperienza molto toccante tra
le più significative del viaggio.

Figura 21: un'aula scolas ca


9° Giorno: da Turmi a Konso e Yabelo
Oggi sveglia presto per dirigerci a Konso, la strada è lunga,
facciamo un’unica sosta a Key Afer per il solito caffè di rito. Per
strada incontriamo un ragazzino Banna sui trampoli, sembra che
in passato camminare sui trampoli servisse per evitare l’attacco
di predatori mentre si era al pascolo con il bestiame, adesso ha
uno scopo rituale ma soprattutto turistico. Anche noi non
possiamo esimerci dal fermarci per qualche foto pagando il
giusto obolo. Lungo a strada si possono notare i terrazzamenti
con muro a secco, caratteristici di questa popolazione di
agricoltori che hanno pensato bene di coltivare ogni fazzoletto di
terra. Arriviamo a Konso alle 11:30, giriamo a destra su di uno
sterrato, i ragazzi stanno uscendo da scuola, la scena è
impressionante, sono tantissimi, con una popolazione che non
raggiunge i 6000 abitanti i bambini sono tantissimi, segno di un
livello di natalità esagerato. Su mia insistenza andiamo ad una
Figura 22: ragazzo Banna sui trampoli formazione geologica
chiamata “New York”.
Ci accompagna una
guida locale, il posto è suggestivo, assomigliano alle
nostre piramide di terra ma sono più grandi e di un bel
colore rosso. La guida ci spiega l’origine geologica
(ovviamente gli agenti atmosferici hanno eroso il terreno
agendo con maggiore vigore dove era più tenero) ma
anche mitologica di queste formazioni (un po’
raffazzonata e poco convincente). Per quanto riguarda il
nome, in origine si chiamavano Gersegio come il villaggio
adiacente, un gruppo di giornalisti in visita appena hanno
visto gli svettanti pinnacoli rocciosi li hanno associati ai
grattaceli di New York!
Scendiamo in città a mangiare all’Hotel Konso, ambiente
bello e rilassante, cibo discreto e prezzo ottimo. Dopo
mangiato andiamo a visitare il villaggio Gamole (io
volevo andare a Machekie ma Henok me l’ha sconsigliato
e visto che finora ci ha sempre dato buoni suggerimenti mi
sono fidato). Il villaggio è molto bello, a differenza dei Figura 23: ville a familiare
villaggi visti fino a questo momento ha una serie di mura
difensive concentriche con le entrate disposte in modo da sembrare un labirinto. All’ingresso dei
ragazzini vendono dei manufatti in legno, dentro percorriamo le varie mura concentriche, al centro
una sorta di casa (mora) dove dormono i ragazzi e delle piazze dove vengono eretti i pali delle
generazioni (ogni 18 anni una nuova generazione avrà il compito di gestire la comunità e in
quell’occasione si aggiungerà simbolicamente un palo) e dove si trovano le pietre da circa 50kg che
servono nei riti di passaggio.
Finita la visita si riparte, la strada è asfaltata e noiosa, qua e la si incontrano dei cammelli.
Arriviamo a Yabelo, prendiamo posto all’ottimo Yabelo hotel dove, dopo una più che meritata
doccia, andremo a mangiare in un anonimo ristorante dove festeggeremo il compleanno della
mascotte del gruppo!
10° Giorno: El Sod ed Awasa
Alle 6:30 partiamo in macchina per il
ristorante a fare colazione e alle 7:30
partiamo in direzione El Sod. Valeria e
Massimiliano rimangono nella stanza
(Massimiliano teme di non essere in grado
di fare l’escursione, Valeria è stata male
ed ha vomitato tutta la notte). Per qualche
motivo gli autisti non corrono come al
solito, ci mettiamo quasi due ore per il
villaggio dove parte l’escursione, per
strada vediamo un’antilope e un gruppo di
struzzi. Il posto è molto bello, si scende
Figura 24: salita a dorso d'asino per un sentiero non adatto a tutti (si deve
fare un po’ di attenzione). Gli ultimi ci
mettono circa un’ora a scendere, sul fondo due locals si immergono per noi a raccogliere il sale.
Sospetto che l’attività estrattiva non sia più in auge e per inciso ciò è meglio perché provocava gravi
danni alla vista e all’udito, questo però rende l’escursione meno interessante (a me è piaciuta, al
gruppo meno). Salendo Lia e Massimo vanno in crisi (probabilmente ne risentone del caldo) e
prendono un asino a testa (25€), alla fine ci metteremo circa 2 ore a risalire. È oramai tardi,
dobbiamo rinunciare alla visita al villaggio Borana, passiamo da Yabelo a mangiare e poi veloci ad
Awasa (l’ultimo tratto di notte non è stato piacevole).

Figura 25: estra ori di sale al lavoro


11° Giorno: da Awasa a Addis Abeba
Alle 8 andiamo al mercato del pesce, un posto
imperdibile, molto bello. Costa più degli altri
mercati ma la guida fa vedere tutte le fasi del
mercato, molto scenografico con gli enormi
marabù che girano indisturbati a raccogliere le
frattaglie, gruppi di persone sistemano le reti,
altri si occupano della vendita, poi c’è chi
pulisce il pescato e chi lo cucina. A malincuore
verso le 9 saliamo in macchina e partiamo.
Addis non è lontana ma alla fine ci metteremo 5
ore per arrivare al museo nazionale a causa del
Figura 26: il mercato del pesce
traffico congestionato. Il museo è stata
un’ottima scelta, non ci sono i resti originali di
Lucy ma solo una riproduzione è comunque ricco di reperti interessanti da vedere. Nel sotterraneo i
reperti di paleontologia, oltre alla riproduzione di Lucy si trovano i resti di vari generi homo, in
particolare il

Figura 27: Lucy

più antico cranio di homo Sapiens, poi una specie oramai estinta di maiale selvatico gigante e altro
ancora. Al piano terra reperti archeologici di epoca pre aksumita, al secondo piano vari quadri,
infine all’ultimo piano una polverosa sezione etnografica. Proseguiamo per la chiesa di san Giorgio,
non certo un posto imperdibile ma carina. Io e Valeria entriamo alla chiesa e al piccolo ma
interessante museo dove un entusiasta guardiano ci legge testi ecclesiastici in ge’ez (la lingua della
usata nelle liturgie etiope, possiamo paragonarla al nostro latino). Henok ci propone uno shop, il
gruppo risponde con entusiasmo così possiamo fare gli ultimi acquisti per gli amici e parenti a casa.
Concludiamo la giornata con una favolosa cena allo Yod Abissinia, assolutamente da consigliare.
L’aeroporto è vicino, i controlli veloci, non rimane che salutarci e sperare di vederci in qualche
prossimo viaggio.

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