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Perché mi sono imbarcato in questa strana avventura? Perché proprio l’Arabia Saudita?

Inutile
girarci attorno, non c’erano molte alternative, causa COVID quasi tutti i paesi sono chiusi al
turismo (almeno per noi italiani), pochi sono aperti e tra i pochi questo era l’unico che mi stimolava.
Che dire, ogni viaggio è un’esperienza indimenticabile e anche questo non è stato da meno ma
andiamo con ordine, qualche informazione sul paese.

• Superficie circa 2,2·106 km2 (circa sette volte l’Italia)


• Abitanti 3,1·107 (poco più della metà dell’Italia)
• Uno dei pochi paesi al mondo dove vige una monarchia assoluta (così assoluta che
nemmeno hanno un parlamento)
• Il nome deriva da Saud, praticamente la famiglia proprietaria
• Vige ancora la pena di morte che viene praticata principalmente per decapitazione ma non
sdegnano nemmeno la lapidazione e la crocefissione (ma sono gentili con le donne le quali
possono scegliere il colpo alla nuca)
• Religione, Sunniti di corrente waabita
Storia in pillole: nel 1750 il sultano Najd Muhammad ibn Saud ha un’idea geniale: si allea con
Muhammad ibn’Abd al.Wahhab, fondatore del movimento Wahhabita, questo movimento (che fa
parte della corrente sunnita) propugna una ortodossia esagerata, il corano e la sunna non devono in
alcun modo essere interpretati, vanno solo letti e applicati. Grazie a questa unione viene creato il
primo nucleo di uno stato Saudita. Venne posta la capitale a Diriya (vicina all’attuale capitale) poi il
seguito è una storia di successi e sconfitte militari fino al 1924-25 quando ibn Saud conquistò la
mecca, ne divenne il protettore e nel 1932 prese ufficialmente il nome attuale (Regno dell’Arabia
Saudita).
E’ solo dal 2019 che si è aperta al turismo, poi c’è stato il COVID quindi eravamo tra i primo turisti
a visitare questo paese, la gente era curiosa, ci fotografava, voleva fare selfi con noi, ci offriva la
spesa e il caffe. L’itinerario ci ha portati come prima tappa a Jeddah, da li con un volo interno siamo
andati a Tabuk. Dopo un paio di giri nei dintorni ci siamo spostati verso sud alla magnifica Alula,
quindi ad Hila. La tappa successiva si è svolta in treno fino a Riyad da dove abbiamo preso l’aereo
del ritorno. Di seguito la mappa sintetica:

Giorno 126/12

Si esce dalla confort zone


Sveglia alle sei, prima delle 7 ero in stazione, il treno parte in orario alle 7.31. Quanto mi mancava
viaggiare, ma quante formalità e spese aggiuntive (solo il tampone PCR mi è costato 120€), adesso
il primo passo è fatto, non ci resta che percorrere la strada: si esce dalla confort zone!
In treno qualche lettura per prepararmi al viaggio, chissà cosa troverò, mi aspetto una sorta di
medioevo moderno: un paese senza costituzione, la cui legge è il corano e la sunna, solo da pochi
anni le donne possono prendere la patente. La cosa che mi lascia più sorpreso forse è che ancora
esiste la crocefissione.
Nonostante le preoccupazioni tutto si svolge regolarmente, i controlli al check-in sono veloci e
puntuale alle 15.45 sono sull’aereo. Il volo è tranquillo, si mangia bene e ci sono molti film, leggo e
scrivo il diario. Atterriamo con leggero ritardo a Doha, abbiamo poco tempo per arrivare alla
seconda tratta, scesi dall’aereo si prende un bus, ci vogliono almeno 15’ perché ci porti a
destinazione, cominciamo a correre, c’è un treno interno da prendere, finalmente arriviamo e …
niente fretta l’aereo parte in ritardo!!

Giorno 227/12

Viaggiare significa scoprire che tutti hanno torto riguardo gli altri paesi
La seconda tratta (da Doha a Jeddah) è meno lussuosa, vorrei dormire ma mi portano da mangiare e
mi svegliano. Arrivati le pratiche burocratiche sono veloci, fuori ci aspetta il taxi che ci porta in
hotel, arriviamo alle 5, io vado in stanza con Giuseppe, mio omonimo che sta ovviamente
dormendo. Mi faccio una doccia e saluto casa. Alle 8 sono già a fare colazione, il posto è lussuoso,
ben al di sopra delle mie abitudini, peccato che non abbia molta fame. Alle 10 ci ritroviamo nella
hall e con calma comincia la visita a Jeddah
Metropoli di circa 4Mab gemellata con Napoli, il nome potrebbe derivare dalla parola araba jadda
(nonna), sembra infatti che qui si trovi la tomba di Eva, nonna di tutta l’umanità per la religione
mussulmana. Famosa per essere la porta di ingresso alla mecca (si trova a soli 65km a est),
tradizionalmente i pellegrini arrivavano via nave al porto.
Con un taxi andiamo al Al-Taybat International
City Museum of Science and Information, un
museo privato, la parte più bella è fuori dove si può
ammirare un edificio tradizionale, all’interno è una
sorta di museo etnologico con la ricostruzione di
vari ambienti dell’Arabia Saudita, poi si possono
trovare opere d’arte, preziosi manoscritti e abiti
tradizionali. Peccato che il tutto sembra posto un
po’ alla rinfusa e senza un ordine logico (ma forse
siamo solo stanchi). Fuori si può visitare la Abdul
Raouf Khalil, una moschea visitabile molto bella internamente (le donne devono entrare da dietro e,
per quanto ho capito, sbirciale da dietro dei parapetti).
Finita la visita riprendiamo i taxi che ci portano al suq, si entra per
la Makkah Gate, la più importante porta della città, il suq è molto
bello da girare perché per nulla turistico, la gente è curiosa, non solo
si lascia fotografare ma chiede di essere fotografata e ci fotografa.
Sono le 14 quando andiamo a mangiare in un ristorante Yemenita, il
cibo non è entusiasmante ma il luogo è figo, diviso in vari ambienti
dove si mangia seduti per terra.
Finito di mangiare
andiamo ad Al
Balad,
praticamente il
centro storico di
Jeddah, con le
tipiche case in
corallo, dichiarato
Patrimonio dell’umanità dall’Unesco, le case sono
in gran parte diroccate, con i tipici balconi in legno
completamente chiusi (così le done potevano
guardare in strada senza essere viste da estranei), l’ambiente ha il suo fascino, si gira
piacevolmente. Ci fermiamo a fare due chiacchiere con un gruppo di arabi, poi andiamo a visitare
una delle case ben ristrutturata e trasformata in museo (gratuito). In terrazza prendo un caffè
espresso (carissimo) e restiamo a goderci il tramonto. Si prosegue che è sera, visitiamo una casa-
museo carina (Matbouh House) che permette di vedere come erano arredati gli ambienti interni,
colpisce come sembra sia stata progettata da un architetto ubriaco: non c’è un muro dritto gli angoli
di 90° non esistono.
Torniamo al Mukkah gate passando per una zona commerciale e poi nuovamente per il vecchio suq,
da li prendiamo il taxi e ci dividiamo: un gruppetto torna in hotel a riposare ma i duri vanno alla
fontana di Re Fahd per mangiare ad un ristorante di pesce fantastico. La giornata è stata lunga,
Jeddah non è proprio quella che si direbbe una chicca ma l’importante è che finalmente si viaggia!
Giorno 328/12

Quando dormire è un optional


Per non farci mancare nulla oggi visitiamo il mercato del
pesce così Giuseppe mette la sveglia alle 5.35, io alle 5.45,
alle 6 siamo sul taxi. C’è coda per entrare, ci chiedono la
Tawakkalna (l’immuni arabo), l’ambiente è diviso in varie
zone, noi entriamo da dove scaricano il pesce, gran
confusione, ammassi di gente. C’è la zona dove si contratta,
assomiglia ad un’asta, un signore anziano con una scopa
sposta il pesce. Poi c’è una zona per la vendita al dettaglio.
Torniamo in hotel a fare colazione, subito dopo un pullmino
ci aspetta e carichiamo i bagagli (non torneremo in hotel più
tardi abbiamo il volo interno). Facciamo un giretto alle
Corniche (il lungomare), zona non entusiasmante, c’è un
parco con installazione di arte moderna, carine le sculture ma
il posto sembra abbandonato, un po’ uno spreco, giriamo
pigramente, un gruppo di turisti kazaki fanno foto, la vicina
moschea si può vedere solo da fuori. Andiamo in un altro
posto squallido: delle rotonde dove sono installate sculture
particolari, veniamo fermati da un signore che ci intima di
non fare foto sia perché vicino sembra ci sia una installazione militare ma anche perché il posto è in
ristrutturazione e se pubblicassimo su qualche social faremmo fare brutta figura alla nazione.
Non sappiamo che fare, chiediamo
all’autista di portarci al quartiere indiano ma
non capisce e alla fine giriamo per un posto
senza nessun particolare interesse. Partiamo
per l’aeroporto a cui arriviamo con grande
anticipo e prendiamo il volo per Tabuk.
Arrivati negli appartamenti c’è giusto il
tempo per una doccia poi andiamo a
mangiare in una bella betola locale dove
mangiamo in abbondanza.
Giorno 429/12

567km non entusiasmanti

Oggi abbiamo tanta strada da fare, dobbiamo svegliarci presto (7) colazione veloce e via, prendiamo
la statale nr.75 verso nord fino a Bir Ibn Hirmas, si gira a sinistra (direzione ovest), dopo oltre
un’ora di strada ci fermiamo in un luogo abbastanza anonimo, per capirci carino era carino ma
come tanti altri luoghi che abbiamo passato.
Comunque sia ne approfittiamo per sgranchirci le
gambe e fare qualche foto. Proseguiamo nel nulla
in una strada a doppia corsia circondati da un
deserto vagamente simile al Wadi Rum (e in
effetti è la sua prosecuzione). Arrivati ad Al
Sharaf si svolta a sinistra fino a giungere al
Ma’ghayer shoaib. La strada è stata lunga e
noiosa così ci fiondiamo subito fuori a
scorrazzare per il sito
Il luogo dove ci troviamo è Al.Bad’a, un’antica oasi abitata fino dalla preistoria, fu una delle più
importanti città del nord-ovest dell’Arabia nell’era dei regni Midianiti ed Edomiti durante il
secondo millennio a.C. In seguito divenne un centro importante lungo la via commerciale che
collegava l’oriente con l’Egitto, era l’epoca dei
Dadaniti, Lihyaniti ma soprattutto Nabatei. Sul
lato ovest del Wadi Efal c’è un bel complesso di
tombe collettive nabatee scavate nella tenera
arenaria. Dai pellegrini erano conosciute come
grotte di Shu’ayb. Le facciate di queste tombe sono
intagliate in modo da formare colonne, fregi e
corone.
Giro da solo, cerco di arrivare sulla sovrastante
cima ma rinuncio per paura di arrivare in ritardo alla macchina (fossi da solo è un luogo dove mi
divertirei a girarlo in lungo e in largo). Finita la visita ci spostiamo nel vicino villaggio dove c’è un
secondo sito poco interessante, è pesantemente restaurato, c’è un antico pozzo che si dice fosse di
Mosè. La guida locale per oggi ha deciso che si fa picnic così passiamo per un ristorantino locale e
ci prendiamo delle razioni di pollo e riso da portare via. Arriviamo in un posto che probabilmente ai
locali piace ma a noi sembra alquanto squallido, mangiamo poi ci fermiamo parecchio senza nulla
da vedere di interessante. Ripresa la macchina andiamo in una bella spiaggia con una grande roccia
a forma di piede (qui sarebbe stato carino fermarsi!), ci
fermiamo giusto il tempo di fare qualche foto per poi
dirigerci al relitto Catalina, un idrovolante americano
abbattuto nel 1960 dall’esercito Saudita (i passeggieri
formati da pilota, moglie e figlio sono rimasti illesi) e
lasciato qua come attrattiva turistica. Giriamo tutto
attorno a questo strano relitto cercato la migliore
angolazione per la foto e poi ripartiamo. La guida decide
che dobbiamo allungare il tragitto del ritorno per vedere
il tramonto da un postaccio e non c’è verso di fare la
strada più corta.
La giornata oggi non è stata delle migliori, certo i posti erano carini ma farsi 567km non era proprio
il caso, non meritavano tutta quella strada.

Giorno 530/12

La felicità è un percorso non una destinazione

Oggi si parte alle 8 e come prima tappa sosta supermarket (oggi pranzo al sacco), rifacciamo un
pezzo della strada che ieri avevamo fatto al ritorno, a breve (circa 70km) facciamo una sosta, sulla
roccia un enorme disegno di re Salman, re attualmente in carica, il posto è carino e si visita
velocemente. Proseguiamo e dopo pochi chilometri giriamo a destra, ci fermiamo in un sito
archeologico, la roccia della nave
Al-Safinah è una roccia a forma vagamente di
nave, è considerata un museo a cielo aperto, le
sue pareti sono piene di iscrizioni in arabo e
thamudico, i primi passavano di qui perché
lungo la rotta per la mecca, per i secondi era
una stazione lungo la rotta commerciale delle
spezie. Alcune inscrizioni arabe sono scritte in
dialetto Hasemita simile al dialetto nabateo.
In seguito breve sosta per sgonfiaggio gomme: si
entra nel deserto. Il luogo è bello, passiamo per
un allevamento di dromedari, ci fermiamo al
volo per qualche foto poi arriviamo all’imbocco di un Wadi che diventa via via più stretto fino a
dover lasciare gli zaini e ad un certo punto strisciare. Il posto è veramente idilliaco ci fermiamo a
mangiare, io mangio in fretta e comincio a girare senza sosta fino al momento della ripartenza. Alle
13.30 si riparte, ci fermiamo ad un piccolo arco naturale, poi ad una roccia con inscrizioni antiche di
4000 anni (a detta della guida). Concludiamo il giro con il grande arco: si arriva ad un parcheggio
poi c’è un breve pendio che porta ad una sella, da lì si svolta a destra, impossibile sbagliare, hanno
riempito il sentiero di
omini con la punta
imbiancata. La guida
non vuole che
andiamo da soli ma
con un gruppetto
facciamo un colpo di
stato e proseguiamo
per i fatti nostri.
Mentre tutti vanno
all’arco noi facciamo
un giro più lungo poi
ritorniamo dove c’è il
resto del gruppone.
La vista è di quelle da
togliere il fiato, super,
rimango fino a che
non sono andati via
tutti così posso fare qualche foto senza gente.
Oggi sono solo 277km, la giornata è stata fantastica, primo giorno veramente super di questo
viaggio!
Giorno 631/12

Le occasioni perse

Partiamo verso sud, molto presto la strada


diventa montuosa e desertica, ci sono vari
saliscendi, ci fermiamo ad un punto
panoramico. Ad un bivio giriamo a destra,
giungiamo ad un cartello su una sbarra con
scritto strada senza uscita, andiamo oltre. La
strada diventa una pista nel deserto, ci
fermiamo a sgonfiare le gomme. A breve si
entra nel Wadi Al-Disah, un canyon con
pareti laterali alte qualche centinaio di metri.
Bello, bello, bello però una sofferenza
farselo in macchina, si sarebbe potuto farselo
a piedi (la parte più bella sono 11km, alle volte i viaggi sono fatti anche di occasioni perse) magari
accorciando la pausa pranzo. Facciamo una prima pausa ad una roccia detta dell’elefante, non è il
luogo più bello dove siamo passati. Proseguiamo in macchina, ci sono dei guadi abbastanza
profondi da passare, arriviamo ad uno slargo (che scopriremo essere quasi alla fine del Wadi) per
pranzare. C’è una famiglia locale che fa picnic, attacchiamo bottone piacevolmente, c’è un uomo, le
due mogli e due figlie. Il niqab mette in risalto gli occhi, ci si immagina visi bellissimi, chissà come
si vive da donna in questi luoghi, non riesco a immaginarlo. Il gruppetto è allegro, si scherza e si
fanno battute, l’unico uomo presente ci offre il the, ci fanno delle foto ma non vogliono essere
fotografati.
Si riparte, a breve ricomincia l’asfalto, ci
manca ancora un lungo tratto di strada per
arrivare ad Alula, non ci fermiamo al paese
ma andiamo direttamente alla roccia
dell’elefante. Il luogo è incantevole, c’è una
maestosa roccia a forma di elefante, oltre la
roccia un rilassante luogo di incontro con un
piccolo baracchino che vende bibite e vari
buchi circolari nella sabbia dove sono poste
sedie dove la gente può rimanere a bere e
chiacchierare. Ci godiamo il tramonto,
veramente magnifico, poi andiamo agli appartamenti, i peggiori in cui siamo stati ma pazienza,
siamo in vacanza! Ritrovo in strada alle 19.30 per andare a piedi alla old city dove c’è il ristorante
che abbiamo prenotato, sono 4km alquanto scomodi perché i marciapiedi sono pressoché assenti e
attraversare la strada è sempre un’avventura. La città vecchia è molto turistica, c’è un viale
pedonabile e lungo il viale troviamo il nostro ristorante dove mangiamo ottimamente. E’ l’ultimo
dell’anno ma a nessuno di noi interessa particolarmente festeggiarlo (poi senza una birretta e un po’
di spumante che capodanno è) così con un gruppetto torniamo negli appartamenti in taxi, possiamo
salutare le rispettive famiglie.
Giorno 701/01

In viaggio come nella vita le avversità possono trasformarsi in opportunità


Per gli ultimi cinque iscritti al viaggio, AnM non è
riuscita ad acquistare il biglietto per old Ula, quindi
noi cinque con una macchina a nostra totale
disposizione andiamo autonomamente dove vogliamo.
Come dice Giuseppe: dalle difficoltà nascono
opportunità
Ed in effetti è una mattinata fantastica, il nostro
autista si chiama Mustafa, è sudanese, parla bene
l’inglese ed è molto simpatico. Andiamo diretti al
Rainbow arch, l’arco dell’arcobaleno. Sono 81km di
una strada ricca di curiose formazioni rocciose, ad un
certo punto si entra in una pista nel deserto, si aggira
delle piccole montagne ed eccoci arrivati! Grande
emozione collettiva, c’è una luce fantastica, giriamo
tutto attorno per cercare l’angolazione migliore per le
foto. Bello, si potrebbe stare tutta la mattina a
girovagare, riprendiamo la macchina e ci facciamo un
giretto nei dintorni, l’atmosfera è magica.
Torniamo verso Alula, ci fermiamo con l’intenzione
di prenderci un caffè e attacchiamo bottone con un gruppetto di
arabi che stanno portando alcuni dromedari a Riyadh per venderli
e scopriamo che costano attorno ai 2000€ l’uno, si fanno
fotografare piacevolmente, mi faccio anche un selfi con i
dromedari. Si vorrebbe visitare il nuovo teatro, ci facciamo
portare da Mustafa ma ci bloccano, non si capisce bene perché,
nel frattempo arriva il resto del gruppo. Sembra che bisogna
andare al Winter Park ad acquistare una qualche attività, ci
proviamo ma niente da fare, bisognava aver già acquistato il
biglietto. Strani meccanismi dell’Arabia Saudita, pur non
essendoci in giro vagonate di turisti tutto va prenotato per tempo.
Facciamo un giretto a piedi lungo il Dadan Heritage Trail To
Old Town. Sentiero pianeggiante carino ma fondamentalmente è
solo un riempibuco, avevamo un’oretta da far andare. All’inizio si
passa un palmeto ombroso, qua e là pure qualche pianta di aranci
poi si svolta a sinistra per una zona di edifici mezzi diroccati in
fango, alcuni sembrano in ristrutturazione. Di per se non è
malaccio si passeggia amabilmente chiacchierando e ammirando
il panorama circostante
Pomeriggio finalmente si va ad Hegra
Nominata come la Petra dell’Arabia Saudita, primo sito patrimonio Unesco di questo paese,
sembra che come importanza per i Nabatei fosse seconda solo alla più conosciuta Petra. Le tombe
vogliono rappresentare l’abitazione per la seconda vita. Hegra è una grande pianura circondata
da montagne. Le formazioni di arenaria sono i resti di stratificazioni risalenti a circa 500 milioni di
anni fa, l’erosione ha creato molte strane figure e i nabatei hanno usato questa pietra per le loro
sculture ma anche come materiale per le loro costruzioni.

Bisogna andare poco fuori Alula a prendere un autobus che porta al centro visitatori, il posto è
accogliente con the e datteri a nostra disposizione, nessuno ci spiega cosa dobbiamo fare, ad un cero
punto arriva una ragazza araba ‘ben in carne’ che
ci porta a piedi alla vicina Qasr AlFarid
Il suo nome significa ‘il castello solitario’,
sembra sia stata costruita nel I secolo d.C. si
possono notare delle commistioni di stili, in alto
mesopotamico, poi scendendo tipico nabateo, le
cornici Egizie, infine ci sono le colonne di chiara
influenza greca. Sopra la porta di ingresso una
fenice protegge il defunto, si ritiene inoltre che la
costruzione sia posta nella direzione in cui
abitava. La parte bassa è più ruvida, questo fa
ritenere che non fosse stata completata e la
dimensione è segno che il personaggio qui
sepolto doveva essere di rango elevato,
probabilmente un militare.

Ritorniamo al centro visitatori e ci spostiamo con l’autobus a Jabal Ithlib


A est di Hegra c’è una fessura naturale che consente il passaggio attraverso il Jabal Ithlib, subito
prima della fessura c’ una grande sala scavata nella roccia, conosciuta con il nome di Diwan. Era
una sorta di sala da pranzo, qui avvenivano banchetti, rituali e forse anche danze. Passando
attraverso la fessura si possono notare diverse sculture rappresentanti divinità nabatee e alcune
scritte. Oltre la fessura una cisterna e alcuni canali per raccogliere l’acqua
Ritorniamo sull’autobus e andiamo ad un gruppo numeroso di tombe scavate sui due la ti di una
montagna, il Jabal AlBanat
La prima che incontriamo è veramente
possente, simile al Qasr AlFaid ma questa
completa, sopra il portone di ingresso
questa volta c’è un aquila probabilmente
simboleggia il dio del sole. E’ una tomba
familiare, sotto l’aquila, nel timpano si può
notare una figura umana con serpenti che
escono dalle orecchie, doveva servire per
spaventare gli avventori. Sopra un
rettangolo in cui doveva esserci una scritta
(presumibilmente una maledizione per chi si
fosse azzardato ad entrare). Di lato e dietro
altre tombe, più piccole e con simbologia
leggermente diversa, in una al posto dell’aquila ci sono due leoni, simbolo di potenza. Entriamo
nell’unica tomba dove sembra non ci fosse la maledizione
Finita la visita, vista che abbiamo un’auto a nostra disposizione ci facciamo un ultimo giro
all’elefant rock prima di cena
Giorno 802/01

La traversata del deserto

Oggi visita a Dedan, l’appuntamento come al solito è al Winter Park alle 7.30, con l’autobus
andiamo all’ingresso del sito, dentro una sala espositiva con vari pannelli, un ragazzo molto
spigliato ci fa una breve lezione sul luogo in inglese poi ci invita ad accomodarci fuori mentre ripete
la spiegazione in arabo. Fuori una bella veranda con poltrone, il luogo è piacevole.
Ci sono molte teorie riguardo alla differenza fra
Dadaniti e Lihyaniti: potrebbero essere popoli
vissuti in quest’area in epoche differenti (con i
Lihyaniti dopo i Dadaniti), oppure Dadan si
riferisce al nome del luogo e Lihyaniti il nome
del popolo oppure che semplicemente i nomi
sono intercambiabili.
La religione giocava un ruolo importante nella
società Lihyanita e probabilmente era parte
integrante della legislazione. I Lihyaniti
veneravano un gran numero di divinità delle quali Dhu Ghaybah era la principale. Un’aspetto
significativo della società Lihyanita fu la grande abilità nell’architettura e nella scultura
(l’esempio più famoso è quello della tomba dei due leoni).
Questo sito fu occupato dall’ottavo al primo secolo a.C., diventò molto importante grazie ai
commerci di incenso, mirra e spezie tra l’oriente e il mediterraneo.
Tre le stazioni di visita la prima si vede con dei
binocoli dall’esterno del centro visitatori, sono le
tombe, peccato doverli vedere da così lontano
Ci sono molte centinaia di tombe, le uniche visibili
per il visitatore sono quelle scavate sulla parete sud
della falesia. La loro posizione riflette il livello
sociale del defunto. Le più famose sono quelle dei
due leoni (l’animale rappresenta potenza e forza),
con questo simbolo si vuole proteggere gli
occupanti), questa tomba, come anche altre sono
occupate da Minei, un popolo che ha convissuto con i Lihyaniti i quali partecipavano al controllo
dei commerci.
Finita la visita si prende un bus che ci porta all’antica capitale, qui non c’è granché da vedere, tutto
è diroccato e non ci si può avvicinare
Gli scavi hanno messo in evidenza la struttura fortemente religiosa della società Lihyanita, al
centro c’era un grande tempio dedicato al loro dio, sembra che la nella loro religione volgeva un
ruolo importante il pellegrinaggio.
Terzo e ultima stazione la biblioteca, una stretta valle
in cui nei secoli i pellegrini che sono passati da questo
luogo hanno lasciato scritte
Ci sono migliaia di scritte, le persone lasciate di qui
hanno voluto lasciare un segno, le più antiche hanno
3000 anni, alcune probabilmente scritte da scribi
professionisti, si possono trovare scritte in Aramaico,
Taymanita, Dadonitico, Minaeo, Nabateo, Greco,
Latino e Arabo. Le scritte sono una vera e propria biblioteca che raccontano agli storici scorci
della vita di popoli lontani.
Finita la visita si parte veloci verso est. La strada da fare è lunga, spesso siamo circondati da un
deserto molto scenografico, il nostro autista (Mustafa) vorrebbe rispettare i limiti ma gli altri due
corrono e gli telefonano di darsi una mossa, il
tachimetro tocca i 180km/h, che Dhu Ghaybah
ci protegga. Ci fermiamo a mangiare nei pressi
di una grande roccia, sosta veloce e poi si
riparte. Arriviamo ad Hilal dopo ben 454km che
c’è ancora luce così scaricati i bagagli ci
facciamo subito portare al suq. Il luogo è carino,
solito mercato caratteristico assolutamente non
turistico e diviso in settori, bella la zona dei
datteri, in un negozio una signora ci vuole
filmare e ci chiede il giro che abbiamo fatto.
Giuseppe, con il suo solito stile riesce a trovarci
un locale caratteristico molto bello, a metà
strada fra un ristorante e un museo, peccato per il cibo che alla fine scopriremo non essere un
granché.

Giorno 903/01

Quando si scopre che alle volte viaggiare è una brutalità


Altra giornata lunga, c’è ben poco tempo da
perdere, oggi pomeriggio abbiamo il treno per
Riyad e nel frattempo dobbiamo vedere un
sacco di cose. Sveglia alle 5.15, colazione
veloce e alle 6.30 siamo in partenza con le
valige caricate in macchina. Prima tappa il
forte di A’Arif
Costruito nel corso del XVII secolo d.C. in
seguito ingrandito e restaurato fino a
raggiungere le dimensioni attuali. Composto di
fango e argilla ha una forma rettangolare di
40m x 11m. Le torri di avvistamento e di
guardia, e altri annessi (come la zonaresidenziale, la moschea, i bagni i magazzini, ecc.) necessari
per la vita del forte furono aggiunti successivamente. Durante il dominio saudita, la fortezza fu
utilizzata per l’avvistamento della luna del Ramadan e per sparare con il cannone Iftar.
Finita la visita ci dirigiamo al vicino palazzo
Al.Qishlah
costruito negli anni '40 durante il principato del
principe Abdul-Aziz bin Musa'ad Al Saud della
provincia di Ha'il. È un palazzo di fango a due
piani, con lunghe mura che si estendono per oltre
140 metri e sono alte 8,5 metri, e ha otto torri di
guardia insieme alle mura con due porte
principali, est e ovest. Il suo nome deriva dalla
parola turca per forte o caserma (Kişla) e lo scopo nella sua costruzione era ospitare le truppe che
stavano proteggendo la parte settentrionale del Regno. Successivamente fu utilizzato come prigione
fino alla fine del principato di bin Musa'ad, quando fu riadattato come edificio storico dal governo.
Possiede 142 stanze, tutte che si affacciano sul cortile interno, c’è anche una moschea in stile
ottomano.
Riprendiamo la macchina e saliamo sul
vicino promontorio per vedere la città
dall’alto. Il tempo è tiranno e partiamo
subito in macchina verso Jubbah, città di
20000 abitanti a 90km a nord-ovest di Hail.
Jubbah giace su un antico lago, a ovest si
trova il monte Jebel Umm Sanman che ha
deviato il flusso della sabbia da ovest,
lasciando una depressione che si è riempita
d’acqua durante i periodi umidi. Intorno al
paleolago si trovano vari siti archeologici
del paleolitico.
Jebel Umm Sanman è designato
patrimonio mondiale dell’UNESCO per le
numerose testimonianze di arte rupestre.
Alcune figure sono incise in dimensione reale, raccontano una storia lunga 10000 anni. Si notano
figure maschili e femminili, inoltre lo status sociale viene rappresentato sia dalle dimensioni che
dagli ornamenti. Si vedono una grande varietà di animali: stambecchi, struzzi, giaguari,
dromedari, tutto ciò da indicazione anche relativamente ai cambiamenti climatici.
Giriamo tre diverse zone con una guida. Finita la visita veniamo invitati nella vicina casa dove ci
offrono datteri e the (a dire il vero cercano anche di venderci magliette di cattivo gusto).

Si torna veloci a Hilal per andare alla stazione dei treni, la struttura è quella di un aeroporto con il
check-in dove va lasciata la valigia poi si passa per il metal detector per andare infine a prendere il
treno. Il viaggio è lungo e noioso anche perché ad ogni stazione si ferma un sacco di tempo.
Arriviamo a Riyad a sera, io decido di starmene in appartamento a rilassarmi
Giorno 1004/01

Dir’iyyah dove tutto ebbe inizio

Oggi abbiamo appuntamento per il PCR alle 8, per


viaggiare in questo periodo bisogna averne tanta
voglia, se qualcuno di noi risultasse positivo al
tampone (come accadrà) vuol dire quarantena! Fatto
il tampone con le macchine andiamo a Dir’iyyah
Fu la prima capitale del regno di Saud, quando nel
1727 l’imam Saud ne divenne l’emiro, Dir’iyyan,
era una delle molte città del Najdi tutte che
puntavano alla supremazia. Il punto di svolta
avvenne nel 1744 quando l’imam Shaikh
Muhammad bin ‘Abd al-Wahhab fu espulso dalla
vicina Al-‘Uyaynah per aver predicato il ritorno alla
purezza originale dell’Islam, al-Diriyyah era il
posto naturale dove rifugiarsi e Saud decise di
stipulare un’alleanza, da questo movimento nacque
il Waabismo. Nel 1818 le truppe ottomane (in
prevalenza egiziane) assalirono e sconfissero
l’emirato di Dir’iyyah ponendo fine al primo stato
saudita.
Il luogo è stato trasformato in un museo, non è ancora aperto ma il nostro coordinatore riesce a farci
entrare e pure gratis. Giriamo il sito con una guida, la città è piacevolmente restaurata, inserito nella
città un bel museo, notevole la parte dedicata ai cavalli arabi.
Finita la visita ci trasferiamo ad un luogo chiamato “red dune”, veramente pessimo, le dune
sarebbero anche carine, ma così vicine alla strada si sente tutto il rumore e sono piene di
immondizie. Comunque sia ci facciamo un giro a piedi e un paio di noi affittano pure uno squod.
Finito il giro facciamo una breve deviazione al Camel
Track, luogo scenografico con rocce a picco sulla
pianura circostante. Ritorniamo a Riyadh a mangiare al
volo qualcosa, poi, visto che c’è tempo, andiamo al
museo nazionale. Il museo è bello e merita una visita,
colpisce come, anche nelle sezioni di carattere scientifico,
non manca il riferimento ad Allah. Concludiamo la
giornata salendo al Global Experience, un grattacelo
dove, a pagamento, si può salire ad ammirare la città.
Attrattiva alquanto cara ma devo dire che merita.
Giorno 1105/01

La fortuna è cieca ma la sfiga …


Oggi la giornata inizia in modo drammatico: sono arrivati i risultati dei tamponi fatti ieri e uno è
risultato positivo! Momenti di panico, brava la coordinatrice che non si arrende all’evidenza e
propone di fare un secondo tampone che, grazie al prezzo esorbitante di 140$, dà il risultato in due
ore, le speranze sembrano ben poche ma si decide di tentare. Più tardi scopriremo che è stata
un’ottima scelta, secondo tampone negativo niente quarantena.

Con un po’ di ritardo si parte, ci vogliono oltre due ore per fare i 155km che ci separano da Al-
Qasab
Visitiamo l’antico villaggio chiamato Al-Oqdah,
parte delle mura sono state demolite dopo l’arrivo
del re Abdulaziz, in parte sono comunque state
restaurate. All’interno del villaggio si trova la
casa storica Al-Zahem, ha più di un secolo, si può
accedere liberamente.
Bello girare per queste rovine, particolarmente
scenografica la porta di ingresso con le due torri.
Finita la visita si prosegue fino a Ushaiger:
è una delle città più antiche della regione saudita del Najd ed era un importante punto di sosta per
i pellegrini provenienti dal Kuwait , dall'Iraq e dall'Iran per eseguire Hajj o Umrah .
Originariamente era conosciuto come A'ekel, ma alla fine il nome fu cambiato in Ushaiqer. Fu
modificato perché il paese è delimitato da un piccolo monte a nord del paese. La montagna è di
colore rosso, ma la gente del posto diceva che era bionda semplicemente perché il rosso e il biondo
erano usati in modo intercambiabile ai vecchi tempi. Ushaiqer significa la "Piccola Bionda", che è
una descrizione di quella particolare montagna. L'importanza storica del villaggio è che i suoi
vecchi edifici di fango sono ancora
intatti. Pertanto, è considerata una delle
aree storiche più attraenti della regione.
Ultimamente, la gente di Ushaiqer aveva
restaurato il villaggio storico per
preservarne il patrimonio e costruito un
museo che espone varie reliquie e pezzi
del villaggio.
Ritorniamo a Ryiadh che sono le 14.30,
abbiamo una breve pausa (in cui tenterò
inutilmente di prendere qualcosa da
mangiare) poi saliamo sullo Sky Bridge
Una struttura in acciaio del peso di circa 300 tonnellate, si trova in cima ad una torre alta 300
metri e domina l'intera Riyadh. La sua posizione unica gli ha dato il vantaggio di essere uno dei più
importanti punti di attrazione per il turismo a Riyadh. Il viaggio verso lo Sky Bridge passa
attraverso due ascensori, il primo ascensore impiegherà circa 50 secondi per raggiungere l'altezza
di 180 metri al livello di trasferimento e il secondo ascensore impiegherà meno di 40 secondi per
raggiungere la sua destinazione finale, lo Sky Bridge.

Fantastico, il panorama sulla città è incredibile, l’interno è illuminato con luci che cambiano colore
periodicamente. Si continua a saltellare da una parte all’altra, si vorrebbe cercare la foto perfetta ma
forse è una di quelle situazioni in cui non c’è foto che rende l’emozione.
La nostra vacanza volge al termine, andiamo, come ultimo tentativo disperato di allungare la
vacanza, al suq ma senza trovare soddisfazione. Dopo esserci fermati a mangiare torniamo in hotel
per riposare qualche ora.
Giorno 1206/01

Un viaggio non inizia nel momento in cui partiamo ne finisce nel momento che
raggiungiamo la meta
Quindici minuti dopo la mezzanotte sveglia e alle 13 tutti alla hall del hotel dove partiamo per
l’aeroporto. Fuori una lunga fila di disperati, forse lavoratori, fortunatamente noi passiamo oltre, la
coda al check-in è lunga ma tanto abbiamo tempo, tutto fila liscio e in breve siamo al gate. Non c’è
molto altro da dire, come al solito il ritorno è fatto di attese e noia, ma è anche l’occasione per
riordinare le idee. Di cos’è fatto un viaggio? E’ fatto di odori, sapori, colori ma anche fatica,
mancanza di sonno, problemi da risolvere ma quello che più mi rimane sono gli incontri che ti
fanno scoprire come in fondo l’altro non è poi così differente da noi.

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