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Rifletti: non ottenere ciò che si desidera può essere una grande fortuna

Un viaggio in Patagonia è prima di tutto un viaggio interiore, terra estrema, desolata,


selvaggia, un enorme nulla.

“Qui le opere inanimate della natura – rocce, ghiaccio, neve, vento e acqua –
sebbene si combattessero tra loro, erano tutte contrarie all’uomo, ed erano le
sole che regnavano con assoluta sovranità” Charles Darwin
Grande tre volte l’Italia con una popolazione di 2,7 Mab, non è un luogo geografico ben
definito, una terra di frontiera senza confini, gran parte è in Argentina e una striscia sottile
in Cile. È la parte meridionale del sud America, la parte Argentina viene posta
convenzionalmente a sud del fiume Colorado, mentre la parte cilena a sud di Puerto
Montt.
Terra estrema, a cominciare dal clima “patagonico”, il nome affibbiato in tempi recenti ma
di etimo incerto:
Quando Magellano passò per queste terre vedendo un indiano Tehuelche che
ballava nudo su una spiaggia esclamò «Ah!Patagon!», cosa volesse dire
nessuno lo può sapere perché non tornò vivo per raccontare la sua versione ma
Pigafetta, cronista di Magellano, interpretò questa esclamazione con il
significato di grandi piedi e contribuì alla leggenda della Patagonia abitata da
giganti. In realtà il riferimento era forse al personaggio mostruoso di un
romanzo cavalleresco dell’epoca.
L’organizzazione inizia a settembre, appena riesco ad ottenere i giorni di congedo
necessari prenoto i campeggi alle torri del Paine, poi il volo su Santiago, poi i voli interni.
Una sola cosa mi è chiara, non voglio fare il turista ma solo montagna, solo natura. Poco
andrà per il verso giusto: il meteo inclemente, qualche scelta infelice, qualche incertezza
ma i viaggi sono questo, uscire dalla confort-zone significa accettare il fallimento, anche
la delusione ma sono un’occasione per capire il mondo e perché no, anche se stessi.

Giorno 1 Venerdì 17/02


Qualunque cosa sogni di intraprendere, cominciala. L’audacia ha del
genio, del potere, della follia
Finalmente il grande giorno è arrivato, alle 17.10,
accompagnato da Anna e Monica, prendo il treno da
Bolzano e arrivo a Roma termini puntuale, mi aspettano
quasi tre giorni di viaggio, un’occasione di riflessione.
Amo questi momenti, un mix di noia, paura, incertezza,
non capisco perché ma sembra diano senso alla vita.
Dubbi sulle scelte fatte, in primis imbarcarmi in un
viaggio del genere da solo, non è che ho fatto una
cazzata? E se qualcosa andasse storto? Se mentre sono
in montagna da solo mi faccio qualcosa, non serve
pensare a qualcosa di drammatico, basta anche solo una
slogatura, cosa faccio? La vita è fatta anche di rischi e
se si vuole vivere bisogna accettarli, adesso che sono
tornato a casa ho una nostalgia infinita di questi
momenti. Passo la nottata a dormicchiare sul pavimento
dell’aeroporto di Fiumicino nei pressi del bancone di Vueling.

Giorno 2 Sabato 18/02


Mi sveglio (si fa per dire) alle 4.30, il bancone di Vueling è già aperto così mi metto in fila,
faccio il check-in e poi via al controllo bagagli. Alle 5 sono già al gate ad aspettare il mio
volo. Alle 9.05 arrivo puntuale a Barcellona, il volo non è stato particolarmente comodo,
Vueling è una low cost ma per poche ore va bene. La coincidenza per Santiago è alle 10.45,
partiamo un po’ in ritardo ma per me non è un problema, al bancone mi chiedono il
certificato vaccinale, se non ce l’avessi avuto credo avrei dovuto fare un tampone. L’aereo
è della compagnia Level (in realtà acquistato con Iberia) altra low cost, tutto è extra: non
vorrebbero darmi i pasti perché
dicono che il mio è un biglietto basic,
ma riesco a farmeli dare, coperta,
cuscino, cuffie, sono tutti extra che si
pagano a parte. Mi aspettano
11136km da fare in 14,5 ore, un
viaggio scomodo, non riesco a
dormire. Alle 21.20 puntuali
atterriamo (in Italia fra poco più di
mezz’ora è domenica), le formalità di
frontiera sono veloci, cambio 205€
(grave errore, molto meglio usare gli uffici di cambio in città).
Vado nel vicino aeroporto per i voli nazionali e trovo una comoda sistemazione per dormire
la notte.

Giorno 3 Domenica 19/02


La Patagonia è un’amante difficile. Lancia il suo incantesimo.
Un’ammaliatrice! Ti stringe fra le sue braccia e non ti lascia più.
Nonostante il posto fosse comodo alle 3 ero sveglio così ho sentito casa e sono andato a fare
il check-in. Il tempo fatica a passare, sono all’ultima tratta e ho voglia di arrivare, con 40
minuti di ritardo partiamo. Attorno a me tante facce da trekker, mi piace immaginarmi le
loro vite i loro sogni, vicino a me due
francesi, uno giovane e uno anziano,
forse padre e figlio. Sull’aereo ci
danno un caffè e uno spuntino. A
mezzogiorno arriviamo, scendo
dall’aereo, l’aria è frizzante, in
lontananza cime innevate, un’intensa
felicità mi pervade, non mi sembra
vero ma sono in Patagonia! Non
cammino ma saltello felice verso i
bagagli (il mio è esattamente l’ultimo
e questo mi dà un po’ d’ansia). Per
4000 pesos (meno di 10€) un bus
navetta porta in città, l’autista è simpatico e ci fa pure da cicerone. I nomi di questi luoghi
sono evocativi di fatti o personaggi, mi trovo a Puerto Natales, adagiato sul fiordo Ultima
Esperanza
Era il 1557 quando Juan Ladrillero passò per questo stretto, era alla ricerca del
passaggio per lo stretto di Magellano dal lato cileno e questo braccio di oceano
era per lui l’ultima speranza di trovare il passaggio. Nessuno si interessò più a
questi luoghi per alcuni secoli, Nel 1911 viene fondata una città (Puerto Natales
appunto) il cui nome deriva dal vicino fiume (Natales) scoperto un 24 dicembre
da dei coloni tedeschi.
Scendo al camping Güino, un campeggio spartano ma accogliente, con tutto quello che
serve, monto veloce la tenda mentre grazie al wi-fi e agli auricolari faccio due chiacchiere
a casa. Il camping è in un luogo strategico, a solo cinque minuti dal terminal del bus che è
la mia prima tappa di oggi. Prenoto il bus per El Calafate il 26 febbraio e il bus di ritorno
dalle torri del Paine il 25 febbraio (e qui faccio il mio primo errore, prenoto quello delle 15
rendendomi quasi impossibile il completamento del Circuit).
Vado in centro e vicino a Plaza de Armas c’è Rental Natales dove si può acquistare il gas.
Adesso posso tranquillamente fare il turista!
La cittadina non ha in sé nessuna attrattiva ma è bella e accogliente, con le sue case color
pastello, i murales che riproducono scene degli indios Aonikenk e Kawesqar, poi il
lungomare con lo storico molo, il monumento della mano (di cui non ho capito il significato)
e una specie di orso (in realtà rappresenta un milodon, animale preistorico i cui resti sono
stati trovati anche in una grotta qui vicino). Vedo dei ciclisti in arrivo e con mia grande
sorpresa vedo un bolzanino che ha appena concluso il giro in bici della caretera austral,
incredibile, trovarsi dall’altra parte del mondo e incontrare un amico con cui ho condiviso
tante avventure in montagna!
Dopo qualche foto di rito vado ad un
supermarket e al campeggio, conosco
un gruppo di spagnoli (baschi per la
precisione) che stanno facendo la
carettera austral verso nord, bevono e
fumano allegramente, non hanno lo
stile degli sportivi. Hanno acceso delle
braci così ne approfitto per grigliare il
chorizo appena acquistato. Ho un po’
esagerato, faccio fatica a stare seduto
da quanto sono pieno.
Giorno 4 Lunedì 20/02
Il mondo ci entra in testa attraverso i piedi
Sono sull’autobus per il parco! Figo! Ripenso
ai giorni appena trascorsi, il tempo si è
dilatato, sembra un’eternità fa che sono
partito da Bolzano e adesso sono qui, giorni
infiniti, un mondo di scoperte. Questa mattina
il fuso orario mi ha fatto svegliare presto così
ho avuto il tempo di fare due chiacchiere con
casa. Mi incasino un po’ a fare lo zaino, ma
pazienza è la prima volta. Sono al terminal del
bus (Rodoviano) con forte anticipo, c’è un
gran carnaio di gente, varia umanità con cui
sento un legame: solo gente innamorata pazzamente della vita può imbarcarsi in una
avventura del genere. C’è di tutto, dall’apparente esperto di montagna a gente alle prime
armi, zaini stracolmi con ammenicoli vari penzolanti. Lungo la strada pochi alberi, un
infinito prato giallo (steppa artica) qualche rilievo rotondeggiante, il cielo è coperto e
appena usciti da Puerto Natales non c’è
più campo. Si passa il bivio per Villa
Castillo (da lì si entrerebbe in Argentina),
il panorama si fa più ampio, c’è un po’ di
sole, tanti animali al pascolo: mucche,
pecore, cavalli e guanachi. Prima
dell’ingresso al parco si passa per la
laguna Amarga, uno specchio d’acqua con
un colore turchese incredibile, peccato
non potersi fermare. All’ingresso un
guardiaparco sale sul bus e ci fa una serie
di raccomandazioni in spagnolo e inglese
su come ci si deve comportare, poi si
scende e si passa a far vedere il biglietto
di ingresso (o a fare il biglietto per chi non
ce l’ha). Finite le pratiche burocratiche
(abbastanza veloci) ci si deve mettere in
coda per il bus che porta a Las Torres
(sono 3000ARS, altrimenti sono 5km di
sterrato). Ho prenotato al camping
Central, passo alla reception, faccio
vedere il passaporto poi posso piantare la tenda liberamente dove voglio, sono nel Parco
nazionale Torres del Paine.
Istituito nel 1959, occupa una superficie di circa 1800km2 (circa metà della valle
d’Aosta), le regole per la protezione dell’ambiente sono molto ferree, oltre a
quelle ovvie che abbiamo anche nei nostri parchi, si può campeggiare solo nei
campeggi autorizzati (da prenotare con grande anticipo) non si può uscire dai
sentieri (e su questo sono stato cazzuolato), il circuito si può percorrere solo in
senso antiorario, alcuni sentieri (quasi tutti) sono ad orario, dopo una certa ora
chiudono.
Finalmente posso partire, sono la
felicità fatta persona, cammino
veloce verso il mitico mirador
Torres. Il sentiero inizia in piano,
sulla destra si vede la valle che
andrò a salire (valle del rio
Ascencio), si deve però andare un
po' oltre, si passa per l’hotel Las
Torres, si attraversa un ponte
sospeso sull’omonimo rio poi al
primo bivio si gira a destra.
Finalmente si inizia a salire,
l’ambiente è desolato, la
vegetazione è composta di bassi arbusti, in breve si raggiunge il passo del Viento (il nome
è tutto un programma). Si scende ora in modo deciso, sulla destra una ripida scarpata e in
fondo l’impetuoso torrente. Alla fine della discesa, dopo aver attraversato il rio si raggiunge
il bel refugio El Chileno, sembra uno dei nostri rifugi di montagna, poco oltre la zona con
tende sopraelevate. Oltrepassato il rifugio si riattraversa il torrente e l’ambiente cambia in
modo radicale, adesso la vegetazione è lussureggiante, un bellissimo bosco di faggi australi
(nothofagus). Il sentiero non è più in salita ma è un continuo saliscendi, fino al bivio per il
mirador dove è indicato anche l’orario di chiusura del sentiero ma non si riesce a leggere.
Ora il sentiero sale in modo deciso, a tratti è stretto e si deve usare le mani per proseguire,
c’è molta gente e quindi rallentamenti, qua e là riesco a superare un sacco di gente (c’è pure
qualcuno che si lamenta). L’ambiente cambia ancora, pochi alberi e terreno roccioso, ad un
certo punto incrocio un gruppo di alpinisti, tra cui Jacopo! In due giorni due Bolzanini, il
mondo è proprio piccolo, il selfi è d’obbligo, lui sta scendendo dopo un mese di tempo non
adeguato per i suoi progetti, io sto
iniziando il mio ben più modesto progetto.
Si cominciano ad intravvedere le torri poi
si arriva in cima e si possono vedere in
tutta la loro maestosità! Di fronte un bel
laghetto, ai lati enormi morene e sopra le
torri (Nord, Centrale e Sud) maestosi
guardiani della valle, si rischia di cadere in
banalità ma sono veramente emozionato, è
uno dei posti più belli che abbia mai visto.
C’è vento freddo, scendo verso il lago e mi
metto sotto una roccia a mangiare e
godermi il panorama.
Scendo veloce al campeggio, ho voglia di riposarmi, così dopo una doccia mi faccio una
zuppa di fagioli e alle 8 sono già in tenda a dormire, domani è previsto brutto e mi aspetta
una lunga giornata

Giorno 5 Martedì 21/02


Ricorda, la Patagonia è cambiamento

Le previsioni mettevano pioggia dalle 3 di mattina ma alle 5.30 mi sveglio e non piove così
tatticamente smonto veloce la tenda e mi trasferisco al tendone cucina. Giusto in tempo,
faccio colazione che sta piovigginando. Parto con una certa calma alle 7.20, oggi mi
aspettano due tappe, so che non devo correre e mi devo prendere tutto il tempo. Il meteo è
esattamente quello che ci si aspetta dalla Patagonia: pioggia e vento forte con sprazzi di
sereno, arcobaleni. Si deve tornare verso il centro visitatori per prendere uno sterrato verso
sinistra che in breve si abbandona per un sentiero che si stacca verso destra. C’è abbondanza
di indicazioni, la mappa è inutile, impossibile perdersi. Piove e c’è vento ma c’è anche il
sole, dietro di me si formano continuamente arcobaleni, l’ambiente in questo tratto è brullo:
prati e bassi arbusti spinosi. Si sale dolcemente, ad un certo punto il sentiero si allarga, quasi
uno sterrato, il tempo peggiora, vento sempre più forte, freddo e pioggia insistente, niente
sprazzi di sereno, niente arcobaleni. Adesso il sentiero è pianeggiante e diluvia, arrivo al
Seron infreddolito e con i pantaloni fradici. Mi piazzo sotto una tettoia a tirare il fiato,
asciugarmi un attimo e mangiare qualcosa. Ho camminato tre ore sotto la pioggia e con
vento a tratti così forte da farmi perdere l’equilibrio, un tizio del rifugio sta facendo le
pulizie, ne approfitto per fare due
chiacchiere e chiedere se sa qualcosa del
meteo, il tutto mescolando spagnolo,
dialetto trentino e inglese. La risposta è
sconfortante, mi dice che in questo settore
del Paine è così, sarà così tutto il giorno,
anzi tutta la settimana, questa è la
Patagonia. Mi metto addosso tutto il
possibile: berretto di lana, pantavento,
guanti e giacca pesante, mi armo di
pazienza e parto, non sono ancora a metà
della giornata di oggi, anzi mi aspetta
adesso il dislivello maggiore, poi ho il passo del Viento da superare. Arrivo a fare sì e no
10 minuti di cammino e il tempo cambia radicalmente, smette di piovere, prima qualche
sprazzo di sereno poi poche nubi, poco vento e soprattutto caldo. Oggi ho imparato che la
Patagonia è soprattutto cambiamento, anche nella giornata peggiore bisogna spettarsi il sole
e anche nella giornata migliore un po’ d’acqua non manca mai. Mi tocca fermarmi per
spogliarmi, sembra di rinascere. A destra il rio Paine scorre placido, lo dovrò seguire per
tutto il giorno. Ad un certo punto il sentiero svolta verso ovest e si deve salire in modo
deciso. Incontro due trekker, sono le
prime persone della giornata (a parte il
signore al rifugio). La salita con lo
zaino da 18kg sulle spalle è faticosa ma
regala fantastiche vedute sui sottostanti
laghetti, in cima si arriva al passo del
Viento. Inutile dire che qui il vento è
particolarmente forte, a tratti mi devo
impuntare con i bastoncini per stare in
piedi e pur essendo sereno vengo
colpito da goccioline d’acqua. Il
coprizaino rischia di essere strappato
via dal vento così lo tolgo, sotto di me
il rio Paine si allarga trasformandosi in
un lungo lago di un bel colore turchese. I dislivelli sono teoricamente finiti ma il sentiero
non è propriamente in piano, ci sono continui saliscendi, il panorama però che si gode lungo
la valle ripaga di tutte le fatiche, in lontananza ghiacciai e montagne innevate, sopra un cielo
variabile che regala momenti di luce intensa che lascia senza fiato, essere solo in un luogo
così affascinante è un valore aggiunto non da poco. Raggiungo la guarderia Coiron, qui si
deve firmare il registro e controllano il passaporto, hanno la lista delle persone prenotate al
rifugio Dickson e se non si è nella lista si deve tornare indietro. Adesso mi aspettano 8km
quasi pianeggianti, sulla sinistra fantastiche pareti di granito (Cerro Paine Chico). Si
raggiunge una zona umida con una lunga passerella in legno, adesso sono stanco, soprattutto
le spalle, continuo a fermarmi. Verso la fine del sentiero si raggiunge un promontorio,
ultima salita della giornata e sotto il lago Dickson con il refugio. Rimango un po’ spaesato,
dopo tutto il giorno da solo mi trovo in un posto alquanto chiassoso, sono stanco ma felice,
decido di festeggiare con una birra (mi costa ben 10€ ma oggi mi merito un’eccezione). Il
GPS segna 33km e 1360m di dislivello.
Giorno 6 Mercoledì 22/02
Chi desidera l’arcobaleno deve imparare ad amare la pioggia
La notte ha piovigginato, non avendo
tanta strada da fare vorrei partire con
tranquillità ma verso le 6 la pioggia
cala così smonto la tenda veloce e
vado a fare colazione. Parto con tutta
calma alle 8, pioviggina e c’è vento
forte, oramai ci sono abituato.
Inizialmente il sentiero è in piano e si
entra in un bellissimo bosco,
l’ambiente è intatto viene da
definirlo primordiale. Ad un certo
punto si inizia a salire ma senza
eccessive pendenze fino al mirador Perros da dove si prosegue con vari saliscendi. In
lontananza si vede la valle che dovrò salire, il meteo resta brutto ma qualche sprazzo di
sereno regala un bel arcobaleno. Si devono attraversare vari ponti di cui uno
particolarmente traballante. A 2km dal rifugio si ricomincia a salire fino a raggiungere una
enorme morena, la pioggia aumenta e il freddo si fa pungente, mi illudo di essere arrivato
ma ci vorrà ancora un po’ (o forse è la pioggia insistente che dilata il tempo). Arrivo al
posto di controllo CONAF dove si devono lasciare i propri dati, sono fradicio fino alle
mutande. Il rifugio è oramai a due passi, Los Perros è il rifugio più essenziale del Paine,
molto rustico, l’unico mezzo di trasporto è la jeep a pelo. Mi sistemo nella cucina, mi faccio
un risotto e mi cambio le braghe, sono le 11.30 e il check-in lo fanno alle 13 ma tanto ho
tempo da perdere. Alle 13 provo a
corrompere il rifugista, chiedo se
questa notte posso dormire in cucina,
ma niente da fare, così aspetto un
momento di pausa per cercare un posto
asciutto dove piantare la tenda
(sarebbe da dire meno bagnato degli
altri), fortuna che la tenda è piccola così
riesco ad imbucarmi sotto un albero.
C’è un po’ di sole e ne approfitto per
andare a vedere il vicino ghiacciaio,
l’alternanza pioggia-sereno rende
l’atmosfera magica, si sale su una morena da cui si vede un laghetto che termina con il
ghiacciaio Los Perros. Il sereno dura poco e comincia pure a nevicare, sono le 15.30 e sono
nuovamente al refugio dove dalla cucina guardo una rabbiosa neve che non cade ma
percorre orizzontalmente l’aria, un po’ preoccupato per la notte passo il pomeriggio tra
qualche breve passeggiata e a leggere. Conosco un ragazzo di Puerto Natales, per lavoro
fa il portatore, percorre questi sentieri con 35kg sulle spalle per circa 80€ al giorno. Ci sono
molti modi per affrontare questo trekking, dal più comodo con portatore, rifugio e cena
pronta al più scomodo come il mio con nulla più della propria tendina, sempre dura
quando nevica e c’è vento forte ma questa sera me ne starei volentieri a dormire nel
rifugio. La sera mi preparo alla notte in tenda: mutandone termico e bottiglia riempita di
acqua bollente nel sacco a pelo, non posso dire di aver dormito come a casa ma non è
andata poi male.
Rispetto al primo giorno qui c’è gente che sembra più preparata alla montagna, d’altronde
è il circuit, non è per tutti. Mi chiedo il perché di questa sofferenza, chi ce lo fa fare, non
ho una risposta certa, forse trovarsi in un luogo esclusivo che solo chi è disposto a
sobbarcarsi la fatica e i disagi che richiedono questi luoghi può godersi. Non so e non
capisco ma adesso che sono nel calduccio della mia casa a Bolzano vorrei essere a Los
Perros ad affrontare una nottata fredda con vento e neve.
Giorno 7 23/02
Ci sono luoghi che se non cammini non vedresti mai.
Questa notte ha piovuto quasi
ininterrottamente (nel senso che un’oretta ha
smesso per nevicare), non ho dormito
benissimo perché il vento era forte ed ero
preoccupato per la tenda. Alle 4 comincia già
ad esserci movimento, io cerco di stare in
tenda, nonostante tutto non si sta male nel
sacco a pelo. Alle 5 preparo rapido lo zaino
e lo porto al coperto poi smonto la tenda, il
sopra è fradicio ma oramai ho la mia tecnica
e nulla mi spaventa. Faccio colazione e sono
pronto alle 6, molta gente è partita e molta sta partendo io non ho voglia di camminare al
buio così aspetto. Alle 6.45 parto, il primo tratto sale per un sentiero esageratamente
fangoso, bisogna stare attenti a non uscirne con i piedi fradici di melma. Supero quasi subito
una ragazza che sembra stremata, mi chiedo come arriverà in cime al passo, bisogna
raggiungere il John Garden a 1180m, si deve fare 600m di dislivello, c’è neve, credo sia
venuta soprattutto questa notte. Raggiungo un gruppo di israeliani con guida, scambio due
chiacchiere e poi supero anche loro. Non vado veloce, non mi interessa correre, voglio
godermi questi posti meravigliosi, ma tengo un passo regolare così supero un sacco di gente.
Uscito dalla vegetazione il sentiero diventa una pietraia ricoperta di neve, anche qui
indicazioni ovunque, impossibile perdersi. Il tempo è bello e dopo un po’ cala pure il vento,

sulla destra un bel ghiacciaio che scenda dal cerro Amistad e cerro Condor, si attraverso più
volte un torrente a tratti ghiacciato. Dietro, in lontananza, il lago Dickson, mi da sempre
una grande emozione vedere la strada fatta. In alto si deve fare attenzione ad alcuni tratti
ghiacciati e in alcuni punti bisogna battere traccia nella neve. Arrivo al passo quasi assieme
ai primi quattro, la vista è di quelle che non si dimentica, davanti a me il Grey
È una lingua glaciale dello Hielo sur, largo 6km, lungo 28km e alto 30m, scorre
a sud fino a immettersi nel lago omonimo. Si stima che si muova ad una velocità
di 450m all’anno e nel corso del secolo scorso ha perso una superficie di 17km2
Non smetterei più di far foto, il posto è
da incorniciare. Il sentiero scende in
modo deciso, si passa sotto la linea
della vegetazione, il ghiacciaio è
sempre sotto. Supero anche i quattro
che avevo davanti, adesso sono solo, la
vegetazione è rigogliosa e permette a
malapena di intravedere il ghiacciaio.
Si attraversa un torrente su due
traballanti assi e si raggiunge il
campamento Paso dove c’è un punto di
controllo CONAF mi registro e
scambio due parole con il guardia
parco. Adesso il sentiero cambia aspetto, con notevoli dislivelli si fiancheggia prima il
ghiacciaio poi il lago stando però sempre molto alti. Vicino a el Paso c’è un bel punto
panoramico, si supera un tratto esposto per poi salire ad un ponte sospeso. Un bivio a destra
porta ad uno stupendo punto panoramico, il luogo regala viste stupende sul ghiacciaio, ogni
tanto si sente un boato: è un pezzo di ghiaccio che cade nel lago. Riparto e dopo altri due
ponti sospesi si arriva al refugio Grey. In quest’ultimo tratto si comincia ad incontrare gente
perché fa parte del più turistico percorso W. La zona tende è piuttosto lontana dal rifugio (e
dalle docce), pianto la tenda, oggi è bagnata ma si asciugherà ben presto grazie al vento
costante della Patagonia.

Giorno 8 Venerdì 24/02


La vera casa dell’uomo non è una casa, è la strada. La vita stessa è un
viaggio da fare a piedi.
E anche l’ultimo giorno del Paine è
arrivato, sono stati cinque giorni intensi in
cui il tempo si è dilatato, quasi non ricordo
com’era la vita ‘normale’. La mia vita in
questi giorni è stata scandita dallo
smontaggio tenda (spesso velocemente
per non bagnarla), colazione e poi zaino
spalla e si comincia a camminare, lento,
regolare, solo io e la natura sempre
mutevole che mi circonda. Ho sofferto le
sere, l’unico momento che mi sentivo
veramente solo. Questa mattina cerco di
svegliarmi con calma, ho tutto il tempo, la notte ha piovuto e le previsioni danno pioggia
tutto il giorno. Verso le 6.30 smette di piovere così veloce smonto tutto e vado in cucina a
fare colazione. Sono le 8 quando comincio la mia marcia di avvicinamento, il sentiero è
pianeggiante, da un certo punto si ricomincia a vedere il lago di Grey con il ghiacciaio in
lontananza, sulla sinistra una bella cascata. Ha quasi smesso di piovere quando attraverso il
turbolento rio Olguin e raggiungo un bel punto panoramico, il ghiacciaio sembra non
volermi abbandonare, bello, poi un arcobaleno quasi a voler sottolineare l’emozione del
momento. Proseguendo si giunge ad un ventoso mirador dove si può vedere per l’ultima
volta il ghiacciaio e cominciare a scendere.
Si passa una zona con alberi morti, segno
di un incendio, si cammina su rocce
montonate che raccontano un passato di
ghiaccio. Segue una lussureggiante foresta
dove alberi crescono anche su altri alberi,
qui la natura sembra qualcosa di
inarrestabile. Si incrociano varie persone,
basta solitudine, si percepisce un lento
ritorno alla civiltà. Sulla destra un bel
laghetto (laguna de los Pasos) e poi la
discesa si fa pronunciata. Adesso
l’ambiente è mutato: pochi alberi, prato e macchie di bassi arbusti, si entra in una valle
appena pronunciata che più sotto si trasforma in un piccolo canyon e al suo termine il
refugio Paine Grande adagiato sul lago Pehoe. Sono le 11, solito check-in e pianto la tenda.
Parto veloce con lo zainetto a farmi un giro, direzione campamento italiano. Si segue per
un po’ la sponda del lago per poi svoltare a sinistra in leggera salita fino in cima ad un
crinale. Davanti a me il bel lago Skottsberg, si deve percorrerne tutta la sponda con vari
saliscendi alcuni anche molto pronunciati. Anche qui la vegetazione cambia, si passa da una
sorta di steppa artica a foresta lussureggiante, davanti si intravede la valle del Frances con
le sue belle montagne. Superato il lago si raggiunge il ponte sul rio Frances e a breve al
campamento italiano sfortunatamente chiuso. Il tempo sembra nuovamente peggiorare,
torno al Paine Grande e decido di farmi una zuppa (sarebbe per tre persone ma ho fame,
anzi ho sempre fame, ho voglia di sentirmi sazio). La cucina è la più grande finora incontrata
ma piccola per il gran numero di persone, io mi tengo stretto il mio posticino che mi sono
guadagnato così posso leggere comodamente.
Giorno 9 Sabato 25/02
Alice: “Per quanto tempo è per sempre?” Bianconiglio: “A volte, solo un
secondo”
Questa notte ha piovuto
ininterrottamente e ha anche
temporalato, volevo prendermela con
calma ma alle 6.30 sono a fare la mia
misera colazione (ho oramai finito tutto).
Poi ho aspettato un momento di calma per
smontare la tenda. Alle 9.15 vado al porto
a prendere il catamarano, dovrebbe
arrivare alle 9.30 ma è in ritardo. Si paga
30$ direttamente sul traghetto e in 45
minuti porta dall’altra parte. Provo a
prendere il bus ma è pieno, tocca spettare le 14.30 per prendere quello che ho prenotato
così passo la mattinata al bar a leggere. Fuori meteo patagonico al 100%, pioggia e vento
fortissimo. Il bus arriva con mezz’ora di ritardo e, dopo essere passato per la laguna
Amarga, mi porta a Puerto Natales dove posso tornare al campeggio, e fare due
chiacchiere a casa. Vado in centro a cambiare 100€ e a fare la spesa così questa sera mi
posso strafogare e bermi tre birre. Tempo di tirare le somme, almeno parziali,
dell’esperienza: un po’ di trekking nella vita ne ho fatti ma questo è sicuramente uno dei
più belli, sia per l’ambiente che per lo stile. Vita vissuta al 100%, tempo dilatato che adesso
sembra sia durato un secondo.

Giorno 10 Domenica 26/02


Non ci sono radici ai nostri piedi, essi sono fatti per muoversi.
Una fase del viaggio è terminata ne inizia un’altra,
si parte verso l’ignoto, dopo un po’ che si vive una
situazione diventa routine, se si cambia si può
nuovamente uscire da confort zone!
Sveglia presto, due chiacchiere a casa e vado al
Rodoviano a prendere il bus per El Calafate,
Argentina. Oramai sono pratico, un professionista
dello smontaggio tenda. Questa notte ha
piovigginato ma poca roba, quasi non ci ho fatto
caso. Al Rodoviano solito carnaio, questa volta
sullo zaino appongono un adesivo per riconoscerlo quando smonteremo, carico tutto e
prendo posto, si parte. La prima parte della strada è nota, la stessa per il Paine, ad un certo
punto si abbandona la strada principale per girare a destra, sono le 8.30 e siamo a Cerro
Castillo, tipico luogo di frontiera, il bus si ferma e dobbiamo entrare nella casetta del
controllo passaporto, veloci formalità che ci fanno entrare nel tratto di terra di nessuno. In
circa 1km si è all’altra frontiera (Cancha Carrera) e si entra in Argentina (qui niente timbro,
solo scannerizzano il passaporto). Ora mi aspettano 200km di nulla. Gran parte del viaggio
è nel nulla: una vasta distesa di steppa artica punteggiata qua e là da bassi arbusti verde
scuro, unico segno di un qualche intervento umano la recinzione a lato della strada e i pali
di legno con i fili elettrici. Alle 10.50 siamo a Esperanza, malinconico villaggio immerso in
questo nulla cosmico. Il cielo sembra diverso da quello di casa: in gran parte sereno con
delle nuvole in lontananza che sembrano schiacciate al suolo, mi chiedo quanto le mie
sensazioni sono reali e quanto suggestione. In fondo non è importante, forse l’unica cosa
reale, l’unica che conta sono le emozioni. Arriviamo a El Calafate poco dopo le 12.30
Paesotto di poco più di 20000 abitanti, il suo nome deriva da un termine
Tehuelche con il significato di Berberis buxifolia, un basso arbusto con bacche
blu scuro commestibili. La sua storia è recente, risale al 1927 quando venne
fondata sul luogo di rifugio di commercianti di lana.
Appena sceso mi faccio un giro per la stazione per vedere i prezzi per El Chalten e per i
tour al Perito Moreno ma mi rendo conto subito che qui non si fanno concorrenza, così
aspetto a comprare i biglietti e vado in ostello. A El Calafate non c’è nulla ma per qualche
motivo mi piace, sufficientemente turistica da avere tutte le comodità che desidero (buoni
ristoranti, birrerie, ecc.) ma senza eccessi. Arrivare al Calafate Hostel ci vuole poco, in circa
15 minuti sono arrivato, mi registro, pago e vado in stanza a farmi una meritata e comoda
doccia. Esco, destinazione Glaciarium.
È un moderno centro di interpretazione dei ghiacciai, è stato inaugurato il 17
gennaio 2011, è dedicato al ghiaccio e ai ghiacciai ed è progettato per educare
i visitatori su questi fenomeni naturali. L'edificio è formato da una sala
principale e tre sale espositive, per un totale di 2.500 metri quadrati. Nell'ottobre
2011 è stato aperto un bar di ghiaccio sembra sia l'unico bar al mondo costruito
completamente con ghiaccio glaciale.
Il museo è fuori città ma vicino al
centro visitatori parte ogni ora un bus
navetta gratuito, io prendo quello
delle 15. L’edificio è una struttura
moderna che vuole assomigliare alla
parete terminale di un ghiacciaio.
Faccio il biglietto combo (museo più
bar), al museo si può accedere
liberamente ma aspettando il proprio
turno anche con guida che spiega
qualcosa (in spagnolo) mentre al bar
danno un orario prestabilito e si entra
solo per 20 minuti. Aspetto la guida
alle 15.30, pur non sapendo bene lo spagnolo un po’ capisco. Dentro molti cartelloni (forse
troppi in poco spazio). Alle 16.30 scendo al Glaciar Bar, una stanza mantenuta a -13° dove
sedie, bicchieri e bancone sono di ghiaccio, si può bere qualche superalcolico e farsi fare
qualche foto. Si può stare al massimo 20 minuti, ma non c’è motivo di stare di più, poi pur
avendo giaccone e guanti dopo un po’ il freddo si sente.
Alle 16 prendo il bus navetta per il centro, così posso andare a fare le ultime cose: biglietto
per il Chalten e per il tour al Perito Moreno e la sera scorpacciata di agnello alla Tablita (per
la precisione un Cordero Patagonico).
Giorno 11 Lunedì 27/02
Il ghiaccio è acqua che è rimasta fuori al freddo e si è addormentata

Unica notte in un letto e ho dormito male, troppo caldo. La colazione è semplice ma


dignitosa, ritempra lo spirito, solo il caffè contiene poca caffeina e questa mattina ne avrei
proprio bisogno. Alle 7 sono pronto per il bus che però arriva con mezz’ora di ritardo. Ci
aspettano 100km per arrivare al Perito Moreno. Ci fermiamo quasi subito in un punto
panoramico da cui si ha una buona visuale sul lago Argentino
È il più meridionale dei grandi laghi della Patagonia Argentina. Si trova a circa
185m s.l.m., ha una superficie di 1500km2 e una profondità media di alcune
centinaia di metri. Le sue ramificazioni entrano in profondità nella catena
montuosa ed è il punto terminale di varie lingue di ghiaccio che scendono dallo
Hielo sur. Il suo nome gli viene affibbiato dall’esploratore Perito Moreno, queste
le sue parole:
«Mare interno, figlio del mantello della nazione, che copre le montagne in questa
grande solitudine, la natura non ti ha nominato: da oggi, il tuo nome sarà Lago
Argentino!»
La sosta è breve, subito si riprende, abbiamo una guida (non richiesta) ci spiega qualcosa
del luogo, in realtà nulla di così rilevante, tutte cose note, all’ingresso del parco si scende a
fare il biglietto per il parco, il costo è 5500 ARS (circa 15€) da pagare con la carta di credito.
Alle 9.40 siamo al Mirador de los Suspiros, da lì si vede il ghiacciaio in lontananza, sopra
di noi un condor. Non rimaniamo
molto anche perché c’è un vento
gelido. Prima della destinazione
finale ci fermiamo dieci minuti al
porto per sbarcare quelli che fanno
il giro in barca. C’è un cartello che
indica l’altezza del lago al suo
massimo nel 2018, capita che il
ghiacciaio scenda al punto da
costituire una diga naturale così il
ramo dove mi trovo adesso (brazo
Rico) sale sempre più di livello finché la pressione è tale da rompere la diga.
In breve, siamo a destinazione, il bus ci dà appuntamento alle 14.45, si parte
all’esplorazione.
Il Perito Moreno ha una superficie di 254km2 e si estende da circa 3000m di
altezza ai 185m del lago Argentino. La sezione che scende dal Cerro Pietrobelli
ha una lunghezza di 23,5km, mentre arriva a 31 km la sezione che parte dal
ghiacciaio del Frias. Impressionante lo spessore che nella parte centrale
raggiunge i 700m mentre le pareti sul lago sono alte 70m. I ghiacciai son in
continuo movimento ma questo ha veramente fretta: si sposta quasi 2m al giorno!
Al parcheggio c’è un bar, un piccolo spaccio e i bagni, da lì partono vari sentieri
contrassegnati con dei colori: giallo il più corto, porta a due punti di osservazione belli ma
non molto vicini, il verde oggi chiuso per troppo vento, il rosso è quello che arriva più
vicino al ghiacciaio e per questo motivo il più bello, infine il blu che va lungo la costa
allontanandosi dal ghiacciaio, se uno è stanco alla fine del blu invece di tornare a piedi può
prendere un bus. Inutile dire che li percorro tutti (tranne il verde ovviamente), poi passo ad
un piccolo centro informazioni con cartelloni in parte copiati dal Glaciarium, infine, con
tutta calma, salgo al punto di partenza.
Il tour è in parte un bidone, i prezzi sono tutti uguali, niente concorrenza, niente
contrattazione; vendono il pacchetto base (solo trasporto ad un prezzo di circa 27€ che
secondo me è troppo) poi sul posto hai molto più tempo del necessario, questo perché ti
spingono ad iscriverti a qualche attività extra altrimenti passi un sacco di tempo a
gironzolare a vuoto. Comunque, il posto è bello, il Perito Moreno in se non è particolare,
nel senso che ci sono ghiacciai più grandi, più alti, più scenografici, solo è il più accessibile,
stare così vicini ad
ammirare questi 70
metri di parete
aspettando un crollo è
bello ed emozionante.
Alle 14.45 saliamo tutti
puntuali sull’autobus e
iniziamo il ritorno,
poco dopo le 16 siamo
in ostello, ne approfitto
per fare due chiacchiere a casa e bermi una birra. Calafate mi è piaciuto, non so nemmeno
io perché, è uno di quei posti che senza nessun motivo mi è rimasto impresso, se avessi più
tempo ci rimarrei un altro giorno solo per gironzolare a vuoto.
Alle 18 ho il bus per El Chalten, bus grande e lussuoso, siamo in pochi così mi metto
comodo. Alle 21 sono a destinazione, il tempo è brutto e pioviggina, dopo aver acquistato
a caro prezzo il bus notturno per Los Antiguos, vado in campeggio, pianto la tenda e
finalmente possi farmi una bella dormita.
Giorno 12 Martedì 28/02
La fortuna è cieca ma la sfiga ci vede benissimo

Ha piovuto tutta la notte, mi sveglio alle 6.30 e smonto la tenda in un momento di tregua,
vado alla cucina a farmi la colazione. Le previsioni meteo non sono buone: danno brutto
tempo per tutta la settimana, secondo la ragazza della reception un meteo tipico di aprile.
Decido di anticipare il bus per Los Antiguos a domani (mi costa 2480 ARS) e di salire
comunque per il sentiero. Vado verso il campamento De Agostini, all’inizio il sentiero sale
in modo deciso e si vede un bel panorama
sulla cittadina, poi si incontra una bella
cascata, si entra in un fitto bosco fino al
mirador Torre, se non fosse brutto tempo si
potrebbe vedere il CerroTorre! Oggi non si
intuisce nemmeno che ci sono delle
montagne. Si prosegue abbassandosi al
sottostante rio, ora la vegetazione è
composta di bassi cespugli ed erba. Su
consiglio di un ragazzo appena incontrato,
al bivio giro a destra, non vado al De
Agostini (troppo vento) ma percorro il
sentiero Madre e Hijo. Si devono
costeggiare due laghetti, il primo più
piccolo chiamato Hijo (figlio) il secondo più
grande Madre. Poco dopo i laghetti, in
mezz’ora, si arriva al Poinceton, un
campamento nel bosco dove si può
campeggiare. Pianto veloce la tenda e
proseguo per la laguna del los Tres. Il
sentiero attraversa un torrente su un bel ponte di legno poi comincia a salire. Si passa per
alcune costruzioni di legno, luogo di un vecchio accampamento ora chiuso, poi si continua
a salire. Usciti dal bosco si passa per una zona di bassi arbusti e poi una pietraia fino alla
laguna. Il posto ricorda vagamente il mirador Torres: un lago in primo piano e sul fondo
una serie di pinnacoli, tra cui nella nebbia il Fitz Roy.
Il nome attuale gli è stato dato dall’esploratore Perito Moreno in onore di un
famoso esploratore, il nome originario sarebbe Cerro Chalten che in lingua
aoniken significa montagna che fuma (a causa delle frequenti nuvole che
stazionano sulla sua cima). Lionel Terray, grande alpinista francese fu il primo
a salire sulla vetta assieme a Guido Magnone. Alto solo 3450m ma ciò che rende
difficile la sua ascesa è il granito particolarmente compatto ma soprattutto le
condizioni atmosferiche di questa zona. Basti pensare che già arrivare alla base
è un’impresa in sé, Poincenot, anch’esso alpinista della spedizione di Terray
annegherà nel tentativo di attraversare un fiume. L’impresa durerà tre settimane,
allestiranno vari campi, affronteranno condizioni al limite dell’umano ma alla
fine il primo febbraio 1952 raggiungono la vetta.

Rincontro due ragazzi con


cui mi ero fermato a
chiacchierare questa mattina
al Chalten, scambio due
chiacchere, il luogo è molto
affascinante nonostante il
meteo inclemente, adesso
non piove e c’è qualche
sprazzo di sereno ma in dieci
minuti ricomincerà a
piovere. Scendo veloce
all’accampamento e scopro
che ho piantato la tenda in
una zona dove non si
dovrebbe così la smonto e la
rimonto tornando nella legalità. Fa freddo e non ho voglia di farmi da mangiare così mi
mangio un po’ di wurstel freddi e mi metto nel sacco a pelo, fuori nevica e tira un forte
vento ma il posto che ho scelto è ben riparato, sento solo i boati delle raffiche.
Oggi è l’inizio delle scelte sbagliate, forse sarebbe stato meglio non anticipare il ritorno e
continuare a vagabondare altri due giorni per queste montagne, forse, chissà, magari se fossi
rimasto mi sarei pentito di non aver anticipato, chi può saperlo.
Giorno 13 Mercoledì 01/03
Ogni alba ha i suoi dubbi
Nonostante le premesse passo una notte
discreta, mi sveglio con calma e
rimanendo nel sacco a pelo mi faccio un
bel caffè caldo. Aspetto un attimo di
tregua dalla pioggia e smonto il sacco a
pelo, alle 9 sono con lo zaino in spalla.
Devo ripercorrere un breve tratto del
sentiero di ieri poi invece di girare a
destra verso il sentiero Madre e Hijo
proseguo dritto, mi trovo in un bel bosco
e a breve sono a los Troncos dove c’è un
laghetto e una possibile area di
campeggio. Poco prima di arrivare al
Chalten c’è un bel punto panoramico da dove si vede la valle che porta al lago del Desierto,
i panorami sono belli e adesso non piove (in realtà dietro di me, verso le montagne si vedono
densi annuvolamenti). In breve, sono in città, giro a vuoto, faccio un po’ di spesa, mi fermo
in birreria e poi vado alla stazione così posso collegarmi al wi-fi della stazione e fare due
chiacchiere a casa.
Mi mancano 12 giorni al termine di questa avventura, i dubbi mi assalgono, sto facendo le
scelte giuste? Forse potevo rimanere in montagna e continuare il mio giro, o forse potevo
andare verso il lago del Desierto e tentare la traversata a villa O’Higgins. La giornata
trascorre così tra mille dubbi e ripensamenti, alle 20.30 salgo sul bus per los Antiguos, posto
comodissimo, meglio dell’aereo.

Giorno 14 Giovedì 02/03


Se traccio confini è per farti venire voglia di evadere
Nottataccia, troppo caldo, mi manca la mia amata tenda.
Arriviamo a Los Antiguos alle 7.20, la città in sé non ha
nessuna attrattiva, a parte essere considerata la città delle
ciliegie (una volta all’anno si svolge un festival al
riguardo). Con me scende un tedesco con un fare da
montanaro, attacco bottone, magari ha i miei stessi
obiettivi, scopro che non sa esattamente dove andare, non
è un montanaro ma un pescatore. In città è tutto chiuso,
chiedo a gente del posto ma mi dicono che tutto apre dopo
le 10, devo andare alla frontiera e non c’è nessun taxi per
il Cile, tuttalpiù un taxi che porta alla prima frontiera
(3km) non conviene. Vago alla disperata ricerca di un
caffè, poi un’idea geniale: il distributore di benzina,
quello deve essere aperto e in genere ha un bar, bingo!
Già che ci sono me ne prendo due di caffè, faccio
colazione e riesco pure a collegarmi alla rete wi-fi e
chiacchierare con casa. C’è un indios su una collina che
vado a vedere poi comincio ad
incamminarmi verso la frontiera.
Provo a fare autostop ma le poche
macchine che passano non si
fermano. La frontiera con
l’Argentina è vicina, poca
burocrazia, scannerizzano il
passaporto e poi mi aspettano 5km
nella terra di nessuno. Se si guarda
una cartina ci si accorge dello strano
percorso che si deve fare, Los
Antiguos e Chile Chico sono
entrambi adagiati sull’enorme lago
General Carrera, sono separati da un affluente il rio Jeinemeni, sono molto vicini, bisogna
però percorrere il rio per circa 6,5km giungere all’unico ponte presente (lì c’è il confine)
quindi tornare indietro, per un totale di 13 km che se ci fosse un ponte subito potrebbero
ridursi forse a 2km.
Sono un una striscia di terra desolata, davanti a me un ragazzo con zainaccio dietro, zainetto
davanti, trolley, sacchetto di plastica, un disperato! Fa autostop sventolando una mazzetta
di banconote ma nessuno si ferma, lui urla dietro alle macchine che tirano dritto. Lo supero,
vado oltre, raggiungo il ponte e subito prima un brutto Cristo della frontiera. Mancano
ancora 2-3 km, cerco di tenere il ritmo e a breve arrivo, alla frontiera con il Cile c’è la wi-
fi perché si deve firmare digitalmente la dichiarazione che non si hanno prodotti freschi.
Adesso mi aspettano altri 5km. Ad un certo punto un pulmino si ferma e mi dà un passaggio
(ma non manca molto a Chile Chico), l’autista sta
andando a Puerto Rio Tranquillo, mi offre un passaggio
per 33$, contratto e accetto per 20$. Il bello di essere
soli è che si può cambiare idea senza dover discutere
con nessuno, chissà, forse Chile Chico ne valeva la
pena ma a Puerto Tranquillo ci sono le famose Capillar
de Marmo.
La strada è tutta sterrata, poche case, si è immersi in un
favoloso nulla, sulla destra il lago General Carrera.
Alle 15 arriviamo, è brutto, pioviggina. Ci sarebbe
subito il bus che porta a villa Cerro Castillo, sarei
tentato di partire subito ma non sarebbe sensato
perdersi le Grotte di Marmo così me ne vado ad un
campeggio, mi dicono che non è detto che domani
potrò imbarcarmi per questa mitica attrazione, dipende
dal meteo. Pianto la tenda e vado a fare la spesa così mi
posso bere birra per affogare nell’alcool le mie delusioni. Ne approfitto per farmi un giro
per il piccolo villaggio ma è un posto veramente triste, non c’è nulla, credo che l’unica
ragione per fermarsi siano appunto queste Capillar de Marmo, anche la ragazza all’ufficio
informazioni è triste e poco disposta a parlare (o forse è il mio umore che mi fa vedere tutto
nero).
Giorno 15 Venerdì 03/03
Io continuo a stupirmi. È la sola cosa che mi rende la vita degna di
essere vissuta

Questa notte ha piovuto fino verso le 4 ma poi ha smesso, mi sveglio con una certa calma,
sistemo lo zaino, lo porto in cucina ma non smonto la tenda così ha il tempo di asciugarsi.
Verso le 8 smonto pure la tenda e parlo con il ragazzo che si occupa della reception, il tour
si fa, devo trovarmi alle 9.30 al porto. Qua non sembra esistere la concorrenza, tutte le
compagnie propongono il tour a 25000ARS (circa
35$) avendolo prenotato tramite il campeggio
risparmio la bellezza di 1,5$ ma questo è il
massimo dello sconto. Si devono aspettare altre
persone così partiamo che sono quasi le 10, ci
danno un poncho (indispensabile per tutti gli
spruzzi che si prendono) e un giubbotto di
salvataggio. Si va a piedi al vicino porticciolo (ci
vogliono cinque minuti) e montiamo sulla barca.
Siamo sul lago General Carrera il più grande del
Cile e il secondo del sud America dopo il Titicaca.
Come prima tappa andiamo a vedere delle vecchie
navi naufragate in questa zona, se ho ben capito
dalla spiegazione in spagnolo quella più grande era
adibita al trasporto minerali perché lungo la costa
del lago c’erano delle miniere. Si prosegue stando
abbastanza vicino alla costa. La roccia che si vede
è marmo formatosi 400Ma fa, le attuali forme sono
dovute alla dinamica dei ghiacciai soprattutto
degli ultimi 10000 anni. Notevoli sono alcune
grotte così grandi da riuscire ad entrare con la
barca, grazie all’erosione del ghiacciaio si sono
create molte curiose forme, con un po’ di fantasia
ci si può vedere un elefante, un condor e altro ancora. Il pezzo forte sono due isolotti
chiamati la Cattedrale (quello più grande) e la Cappella di Marmo (quello più piccolo e più
fotogenico). Arrivati a questi due isolotti si torna veloci al
punto di partenza, vado veloce al terminal del bus per chiedere dell’orario del bus per Cerro
Castillo (illudendomi della regolarità dei trasporti in Patagonia) ma niente da fare, oggi il
bus era la mattina e oramai è passato, il prossimo è domani mattina alle 8.30. Vado al
campeggio a prendere lo zaino e provo a fare autostop. Resto a provarci dalle 14 alle 15.30
in compagnia di due israeliani che in modo non proprio educato si aggregano. Ne approfitto
per fare due chiacchiere, nonostante il comportamento non proprio corretto sono simpatici,
sono in giro da un po’, si muovono in autostop, resteranno in viaggio per tre mesi. Mi
arrendo alle avversità e vado in campeggio, un altro, sempre allo stesso prezzo ma avevo
voglia di cambiare.
Questa sera a cena siamo un bel gruppetto, alcuni cileni e uno spagnolo che parla bene
l’italiano e che è in giro da nove mesi.

Giorno 16 Sabato 04/03


Strana questa cosa dei viaggi, una volta che cominci è difficile fermarsi.
Per sicurezza metto la sveglia presto, alle 6 già tutto
smontato e sono dentro a fare colazione. C’è un tizio che
dorme in cucina, Miguel, un ragazzo di Santiago con cui
scambierò due chiacchiere dopo che l’ho svegliato.
Alle 7 parto per la fermata del bus, l’arrivo è previsto per
le 8 ma mi hanno consigliato di arrivare presto non
avendo prenotato. Alle 7.45 arriva il bus e c’è posto, il
costo è di 15000ARS (circa 20$). La strada è sterrata,
dopo una decina di chilometri si abbandona le sponde
del lago per inoltrarsi nell’entroterra. Pioviggina e si
incontrano poche auto, peccato che i vetri sono
annebbiati, il panorama sembra bello. In 2,5 ore
arriviamo a Villa Cerro Castillo, il villaggio è piccolo, ha
meno di 400 abitanti, subito si incontra una bella piazza con una statua con pastore e
cane. Incontro due ragazzi appena tornati dal trekking mi confermano che è molto bello
ma che il costo di ingresso è stato aumentato a dismisura (ben 30000ARS). Vado ad un
campeggio, piazzo la tenda, spesa al supermarket e pranzo veloce. L’unica attrattiva del
villaggio (a parte il trekking) è il
Paredon de los Manos, non avendo la
macchina devo farmi 5km a piedi sulla
strada per raggiungere l’inizio del
sentiero. Si tratta di un percorso
tematico con vari cartelloni informativi
sulla storia e sull’ambiente naturale,
alla fine del sentiero si arriva ad una
parete dove sono dipinte mani, sia in
positivo che in negativo, si tratta di
pitture risalenti fino a 10000 anni fa,
non si conosce il motivo di questa
pratica ma è presumibile fosse fatta per motivi rituali. Tornando sui propri passi si può
visitale la vecchia scuola trasformata in museo, all’interno una mostra fotografica e
alcuni manufatti mostrano la vita in queste terre di frontiera, la scuola è stata costruita
nel 1955 e rimase in funzione per venti anni. Torno al campeggio, il meteo dà brutto
anche domani, poi migliora, decido, visto che ho qualche giorno da giocarmi di restare
tranquillo un giorno e poi partire, mai scelta fu più sbagliata!
Giorno 17 Domenica 05/03
Nella vita ci possono essere scelte che, se farai sai già che ti pentirai, e se
non farai non ti perdonerai mai.
Ha piovuto tutta la notte così cerco di
alzarmi con tutta calma, alle 8 sono a
fare colazione, fortunatamente il tempo
poi migliora così vado a farmi un giro nei
dintorni. Non è facile girare al di fuori
dei parchi, tutto è recintato perché
sono proprietà private, si deve chiedere
il permesso e sperare che non abbiano
cani troppo feroci. Esco dal paese in
direzione sud-ovest, arrivo ad un bivio,
a sinistra il cimitero, io vado a destra,
verso la palestra di arrampicata.
Percorro un lungo sterrato, sulla destra un aerodromo e, ad un certo punto, a sinistra una
paretina, vado a vedere e ci sono degli spit, nulla di eclatante, sembra basalto, circa una
quindicina di metri di altezza. Proseguo, si attraversa un torrente e si arriva ad un
campeggio, o così almeno c’è scritto, ma è vuoto, non so chi arrivi fino qui per
campeggiare, non ha nessuna particolare attrattiva. Supero un cancello, un gruppo di cani
mi vengono incontro abbaiando, fortunatamente assieme al loro padrone che mi saluta.
Chiedo se si riesce a salire sulla vicina cima: devo arrivare ad un ponte e chiedere alla
padrona del terreno se mi fa passare, faccio come dice ma dopo il ponte il cancello è chiuso
con il lucchetto e della signora nemmeno l’ombra, tocca rinunciare, vado su un’altra cima
più piccola, devo passare per un altro campeggio (vuoto anch’esso), c’è una signora a cui
chiedo il permesso di passare
(questa cosa delle recinzioni è
alquanto fastidiosa ma se si trova
il proprietario in genere è
gentile). Salgo, alla fine è più
lunga di quel che sembra, meglio
così, qua e là qualche lepre
scappa veloce. Per fortuna il cielo
si è aperto e c’è un po’ di sole,
per la prima volta vedo almeno
parzialmente il Cerro Castillo.
Torno velocemente in paese,
anche perché sembra che torni
brutto. Arrivato al bivio faccio
una deviazione e vado al cimitero
del paese, ne è valsa la pena, il cimitero è alquanto singolare, le tombe non sono né lapidi
né croci ma casette, tristi speranze che la vita dell’amato defunto possa continuare, una
in particolare trasmette malinconia: una casetta rosa stracolma di peluche, immagino la
morte di una piccola figlia, i suoi giochi, il suo mondo trasferito in questo luogo freddo.
Il resto della giornata lo passo tra chiacchiere e qualche altro giretto in paese, la sera
diluvia e tira un vento fortissimo, poca voglia di entrare in tenda, cerco di tirarla per le
lunghe, domani migliora ma non sarà un buon giorno. Forse avrei dovuto partire già oggi
o forse se fossi partito me ne sarei pentito perché se qua a valle il vento è stato forte chissà
com’era in montagna!

Giorno 18 Lunedì 06/03


La sconfitta non è il peggior fallimento. Non aver tentato è il peggior
fallimento.
Questa notte ha tirato vento molto forte fino a mezzanotte poi ha continuato a piovere
fino alle 4. Mi sveglio alle 7, sistemo lo zaino, faccio colazione e per ultimo smonto la tenda
(così, nel frattempo, si è asciugata). Il cielo è coperto ma non piove, mi avvio verso
l’ingresso del parco, mi aspettano 8km di noioso sterrato. Arrivo a farne forse cinque di
chilometri e trovo la strada allagata, provo ad entrare togliendo gli scarponi ma non c’è
speranza è troppo alta. Assieme ad altri proviamo da sopra ma il bosco è fitto ed è chiuso
da pareti che rendono l’attraversamento pericoloso. Torno indietro cercando una
soluzione, fortunatamente riesco a prendere un passaggio da due ragazzi canadesi. Passo
al centro visitatori e mi dicono che oggi è chiuso e di passare il pomeriggio per sapere cosa
hanno deciso per i prossimi giorni. Torno al campeggio sconsolato, divoro i panini che
avevo acquistato per il trekking, a mezzogiorno torno al centro visitatori e mi dicono che
hanno deciso di chiudere il parco per tutta la settimana. Vado a fare la spesa, mi bevo tre
birre una di seguito all’altra e mi deprimo per tutto il pomeriggio.
Giorno 19 Martedì 07/03
Se una cosa può andar storta lo farà
Mi sveglio già depresso, devo trovare un
modo di proseguire il viaggio in modo sensato.
Alle 8 faccio autostop verso nord, a breve mi
tira su un signore fino al bivio per Chile Chico,
poi dopo una famigliola che viene da Puerto
Ibanez si ferma, stanno andando a Coyhaique,
almeno qualcosa si mette per il verso giusto.
Alle 10.30 sono arrivato in città, vado al
campeggio El Camping, nulla di eccezionale
ma dignitoso, monto la tenda e parto alla
scoperta di questa cittadina. Mi costruisco un
percorso usando google map, passo per una
serie di mirador poi per la plaza de Armas che
corrisponde con il centro cittadino, infine
obiettivo museo, che è dall’altra parte della
città ma non realizzo quanto sia lungo il
percorso. Coyhaique ha circa 60kab ma è
composto quasi esclusivamente di case a uno,
massimo due piani così risulta molto estesa. Plaza de Armas ha un’atmosfera rilassante, di
forma esagonale con molti alberi e circondata da mercatini. Proseguo per il museo ma a
breve mi accordo che il percorso è tanto lungo. Il museo è carino (e gratis), ci vuole un po’
a girarlo tutto, appena entrati c’è una parte sull’ambiente, con molti pannelli incentrati sui
ghiacciai poi sulla storia della regione, ci sono poi altri edifici, uno sulla lavorazione della
lana, un altro con quadri di artisti locali. Torno passando per strade diverse rispetto
all’andata. In serata sono al campeggio, sono un po’ giù di morale ma almeno un po’ mi
sono sfogato e domani mi farò un lungo giro in montagna.
Giorno 20 Mercoledì 08/03
Anche la più buia delle notti ha la sua alba
Cerco di stare a letto un po’ ma alle 7 sono
già a fare colazione. Parto alle 8.45,
destinazione Riserva nazionale di
Coyhaique, non avendo la macchina mi
tocca fare 5km prima su asfalto
percorrendo una strada trafficata poi
salendo per uno sterrato. Arrivo
all’ingresso, si paga solo son carta di
credito, 7000ARS. Ci sono vari sentieri
percorribili, uno di questi arriva su di una
cima, e li mette assieme un po’ tutti. Il
sentiero parte in piano, a sinistra si nota
uno sterrato, vari tabelloni descrivono gli alberi del parco e non solo, si arriva ad una
casetta indicata come museo ma è chiusa. A breve si arriva ad un bel laghetto (laguna
Verde) da lì il sentiero diventa una poco estetica striscia di cemento per permettere alle
carrozzine di passare. Quando ho quasi completato il giro del lago il mio sentiero gira a
destra e si comincia
finalmente a salire
(sendero Las Piedras).
Subito l’altezza regala
qualche bel panorama su
Coyhaique, l’ambiente è
molto selvaggio, gli alberi
caduti sul sentiero
vengono spostati (se sono
piccoli) tagliati giusto quel
che serve per passare (se
sono grandi) e in alcuni
casi vengono solo intagliati
dei gradini per facilitare il
passaggio. Difficile capire
quanto manca perché si è immersi in una vegetazione molto fitta, ricca di muschio e
licheni. Si attraversa qualche ponticello traballante, l’impressione è che questa parte di
sentiero sia poco frequentata. Uscito dalla vegetazione la cima sembra oramai vicina, si
cammina su una specie di sabbia, credo di origine vulcanica. Ci vorrà più del previsto per
arrivare sulla prima cima, bello il panorama, peccato che il meteo stia peggiorando. Il
sentiero è segnato da dei treppiedi di legno alquanto rustici, vedo la prossima cima di
fronte a me ma il sentiero di salita è sull’altro versante. Ora la nebbia mi avvolge e la
visibilità è prossima allo zero, non c’è un vero e proprio sentiero perché la conformazione
del terreno permette di salire da ogni dove, questo, unito alla scarsa visibilità, mette in
difficoltà il mio senso di orientamento. Per terra dei curiosi licheni che sembrano delle
piantine, unica vegetazione in questa parte
del percorso. In cima non mi fermo, faccio
giusto un selfi così per ridere, scendo subito
perché tira un vento glaciale. Dopo una breve
discesa si sale sulla terza e ultima cima da cui
si scende velocemente, solo quando
raggiungo la vegetazione tiro il fiato perché
almeno c’è un sentiero da seguire e, nebbia o
no, qui non ci si perde più neanche se si vuole.
Il bosco con la nebbia è molto scenografico,
dagli alberi scende una quantità di licheni
impressionante, sembra di entrare in un bosco incantato, di lì a poco mi aspetto di
incontrare una qualche fata. La discesa è molto ripida così si va veloci, raggiunto un bivio
si va a destra, incontro una famigliola di quattro persone, prima traccia di umanità della
giornata, si passa un altro piccolo laghetto e poi si esce dal parco. Scendendo provo con
l’autostop e fortunatamente un militare mi dà un passaggio fino alla caserma in centro. Il
resto della giornata la passo fra qualche giro in centro, birre, due chiacchiere a casa.

Giorno 21 Giovedì 09/03


La vita è un viaggio e chi viaggia vive due volte
Oggi ho poca voglia di
uscire dal sacco a pelo,
faccio colazione alle 8,
dopo parto per
l’escursione che ho trovato
su Wikloc, il difficile sarà
trovare l’imbocco del
sentiero, come già detto
qui tutto è recintato, al di
fuori dei parchi naturali i
sentieri non sono segnati e
non sono frequentati.
Percorro strade secondarie
per arrivare all’incirca
all’estremo giusto della città, solite recinzioni, cani liberi più cattivi del solito perché non
sono randagi. Alla fine della strada una casa somigliante ad un accampamento zingari, c’è
una signora e chiedo se sono giusto per Cerro Mackay, sembra che dica di si, il suo fare
però non è accogliente, nemmeno ostile, forse solo fastidiosamente indifferente. Passo la
recinzione in un punto dove è già mezza abbattuta e prendo un quasi sentiero. Seguo una
traccia di sentiero che qua e là si perde, il GPS indica più a destra ma non sembra possibile
attraversare. Un cane mi ha seguito e me lo porterò dietro per tutto il tragitto. Ad un certo
punto il sentiero scompare, decido di traversare a destra, passo un torrentello e arrivo ad
un’altra traccia meglio marcata. Il sentiero sale fino ad una recinzione che riesco a passare
da sotto in prossimità di uno sterrato. Vado verso sinistra e a breve lo sterrato diventa
sentiero molto ripido, in poco tempo salgo
parecchio, per terra un tappeto continuo
di pigne. Passo per una zona con la
vegetazione così fitta che sembra stia
venendo notte, quando sono quasi fuori
dalla vegetazione, sulla sinistra, si vede la
prima cima, il Cerro Divisadero. Il terreno
ora diventa ampio il suolo è composto di
cenere vulcanica, per terra segni di
pneumatici, forse mountain bike. Arrivare
in cima è questione di forse dieci minuti e
la vista su Coyhaique è magnifica. Di fronte
il Cerro Fraile con la sua sfera bianca (credo un ripetitore), per arrivarci bisogna scendere
circa 300m per poi salire su terreno non comodo. Sulla cima vento freddo, mangio un
panino veloce poi scendo correndo giù per il ghiaione. Salire sul Cerro Divisadero è
tutt’altro che comodo, si arranca sulla cenere vulcanica. Ritornato sui miei passi ripasso
per la zona boschiva e tiro dritto, se girassi a destra tornerei a Coyhaique. In lontananza si
vede la parete del Cerro Mackay che incombe sulla città. Sono in un bosco favoloso, licheni
penzolano dai rami dei faggi artici in abbondanza, il senso di solitudine è notevole, sono
oramai parecchie ore che non incontro nessuno, non c’è rete, nessuno sa dove sono, se mi
succedesse qualcosa chissà quando potrebbero trovarmi! Si deve scendere un po’, il
sentiero è lungo ma la pendenza è moderata. Ad un certo punto il sentiero gira a sinistra
ma il GPS mi dà verso destra, do retta alla tecnologia e a breve arrivo al Cerro Mackay,
chiamato così in onore di Juan Mackay Falcon, personaggio del luogo, da lontano la roccia
può sembrare calcare, in realtà vulcanica, per la precisione riolitica. Il luogo non assomiglia
ad una cima, ma è un bellissimo balcone sulla città. La discesa fiancheggia la parete ed a
tratti è esposto, appena la morfologia della montagna lo permette si butta versa sinistra
lungo un canalone. Il sentiero è molto pendente, ci si deve tenere a radici e alberi per
scendere in sicurezza. Arrivati in fondo si prende uno sterrato verso destra fino a
riprendere il sentiero di questa mattina. Devo riattraversare la città per arrivare al
campeggio per il meritato riposo.
Giorno 22 Venerdì 10/03
Solo chi si muove apprezza le soste e non conosce a noia
Oggi giornata cazzeggiante, passo per la stazione dei bus per vedere gli orari: domani 9.30,
costo 3000ARS e non serve la prenotazione. Vado al supermarket a comprare le ultime
cose e vado fuori a pranzo, un fallimento, avevo trovato un buon posto ma c’era coda e
piuttosto che fare coda sto a digiuno così vado in un posto a livello mensa aziendale. A
sera faccio il check-in per il volo di domani.

Giorno 23 Sabato 11/03


Quando si sente una fine bisogna piantare un inizio
Oggi inizia il lungo ritorno, questa notte ha piovuto ininterrottamente (la Patagonia vuole
salutarmi così), alle 6.30 mi sveglio, sistemo lo zaino e poi, visto che la pioggia dà un attimo
di tregua smonto la tenda e la porto in cucina ad asciugare. Alle 8 sono in partenza per la
stazione, sono in anticipo, un taxista mi offre un passaggio per l’aeroporto, con 1 euro in
più rispetto al bus vado comodamente, accetto. Arrivo alle 9, solita confusione tipica dei
piccoli aeroporti, sono in forte anticipo, l’aereo è alle 14.29, non rimane che aspettare.
L’attesa è un’occasione per tirare le somme, sono in giro da 23 giorni, tempo che arriverò
a casa saranno 25 giorni e 24 notti, due passate in aeroporto, due in bus, una in aereo, una
in ostello, le altre tutte in tenda. Alla fine, me la sono cavata bene, sono sempre stato
asciutto la notte e non ho sofferto il freddo. Un viaggio di rimpianti, piccoli e grandi, mi
viene ancora un nodo alla gola quando penso all’occasione persa al Cerro Castillo. Ma un
vero viaggio è fatto di imprevisti e anche di scelte sbagliate, di fortuna e di sfortuna.
Quando avrò la possibilità di tornarci? Sicuramente mi divertirò a pensare ad un altro
viaggio in questi luoghi.
Vorrei tornare al Chalten, al Cerro Castillo e magari anche ai denti de Navarrino.
L’aereo parte puntuale e arriva a Santiago per le 17 come previsto, adesso mi aspetta una
lunga attesa (il prossimo volo è alle 23.30), ne approfitto per far andare gli ultimi pesos ad
un ristorante.
La coda per il check-in è lunghissima ma tanto non ho niente da fare, poi solito controllo
passaporto e bagagli e posso imbarcarmi. I posti sono stretti, questo è uno dei voli più low
cost della mia vita.
Giorno 24 Domenica 12/03
Alla fine è andata meglio del previsto, ho dormicchiato, non sono riuscito né a leggere né
a vedere un film, alle 17 sono su suolo europeo (a Barcellona) e finalmente posso
telefonare senza preoccuparmi del fuso orario.
Breve controllo passaporti ora tocca aspettare il volo alle 21.40, il tempo passa fra una
telefonata a casa e letture varie. Il volo parte con oltre mezz’ora di ritardo ma
fortunatamente per me non è un problema. A Firenze sono con lo zaino in spalla verso
mezzanotte.

Giorno 25 Lunedì 13/03


Faccio l’ultima pazzia del viaggio, il parcheggio del bus è a circa 7km dall’aeroporto e
decido di farmeli a piedi, seguendo google map. Di notte, per stradine scarsamente o per
nulla illuminate, con 20kg di zaino sulle spalle e con in mano lo smartphone come guida
mi sembra un ottimo epilogo di questo viaggio, non incontro nessuno, tutto è chiuso e alle
2 sono alla fermata del bus. Fa freddo, riesco a prendermi una cioccolata calda alle
macchinette, alle 3.20 arriva il flixbus puntuale, speravo in una maggiore comodità ma
pazienza, l’ultimo sforzo, alle 8.45 sono a Bolzano sud, ovviamente non prendo il bus ma
vado a piedi a casa, ci vuole mezzoretta e ci sono, posso sistemare tutto, farmi una doccia
e prepararmi per andare a lavorare questo pomeriggio.
Un altro viaggio terminato, un viaggio pieno di aspettative infrante, di delusioni e di scelte
sbagliate, forse proprio questo lo rende un VIAGGIO, non ho fatto il turista, tanti incontri,
tanta esperienza. Vorrei tornare indietro nel tempo e cambiare alcune scelte fatte ma non
si può, possiamo solo tenerci i ricordi e devo ritenermi fortunato che, nonostante le
sfortune, ho potuto percorrere questo bellissimo viaggio che chiamiamo vita.

Info pratiche
 Per le torri del Paine ho prenotato usando il sito www.bookingpatagonia.travel, se
si vuole fare l’O bisogna obbligatoriamente andare in senso antiorario.
 Per i voli ho usato skyscanner, comodo e fa risparmiare un po’ di soldini
 Sul posto non ho avuto problemi di prenotazione bus, basta all’arrivo prenotare la
tratta successiva
 La spesa complessiva, comprensiva di assicurazione e spostamenti in Italia è stata
2500€
Principali spese:
Volo Roma-Santiago-Firenze 960,21 €
Volo Santiago-Puerto Natales 203,35 €
Prenotazione Torri del Paine 220 €
Camping Guino x 2 18,00 €
Calafate Hostel 21,00 €
Volo Balmaceda-Santiago 64,94 €
Bus P. Natales El Calafate 40 €
Perito Moreno 40 €
Bus Calafate - Chalten 15 €
Bus notturno per Los Antiguos 100 €
Capillar de Marmo 35 €

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