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Botswana & Namibia

2022
Siamo fuori come la cappella di un ebreo
(cit John Johnston)

Primo viaggio serio post COVID per la BAM family, ci aspettano 23 giorni intensi,
6000km con tanto sterrato e 9 forature. Dovremo convivere in 14 sconosciuti (più
l’autista-meccanico) durante il giorno in macchina e la notte in tenda. Detta così sembra
la trama di un reality e in effetti a momenti lo è stato, comunque sia, siamo arrivati a fine
vacanza senza menarci e viste le premesse è stato un risultato notevole.
Cominciamo descrivendo i partecipanti:
David: il coordinatore, compito principale avvertirci dell’ora di sveglia (in genere fra le
4.30 e le 5.30), toscano verace (non vuol dire nulla ma mi piaceva la frase) sempre
tranquillo anche quando scattano le sclerate. Autore di preziose freddure quali “Vediamo
di non metterli in Himba-razzo”.
Beppe: l’autore di questo goliardico scritto, vista la mia iperattività in un viaggio di
questo tipo ci sguazzo come una fetta di guanciale nella carbonara.
Anna1: Chiameremo così la mia consorte, sedentaria di carattere ma con gran spirito di
adattamento, segue il marito sopportando strenuamente la sua ironia da patata.
Monica: la figlia, mascotte del gruppo, da anni ad ogni viaggio pensiamo che oramai
sarà l’ultimo con noi, poi inspiegabilmente ce la troviamo sempre appresso.
Laura: preziosa esperta di avifauna, driver esperta, logorroica (si però parla troppo)
Georgia: ebbene sì, ci siamo portati dietro un’intera nazione! Profe di scienze, compagna
di stanza di Laura.
Paolo: esperto di botanica e taciturno, sempre tranquillo, mai uno sclero
Marco: siciliano naturalizzato milanese vince la palma del più tranquillo del gruppo, il
suo principale contributo è stato l’avvistamento del leone nell’Etosha.
Elena: la sua giornata può essere riassunta in una frase: “c’è il wifi?”
Francesca: La cassiera, soprannominata anche braccino corto, ma grazie a lei abbiamo
risparmiato un sacco di soldi
Anna2: la più giovane dopo Monica, ottima cuoca, grazie a lei (e al moroso) abbiamo
passato uno dei momenti più emozionanti della vacanza: la perdita del passaporto!
Alberto: moroso di Anna2, ottimo guidatore, tranquillo, così tranquillo che non riesco a
scrivere altro (e fatti una sclerata ogni tanto così ho qualcosa da scrivere!).
Chiara & Simone: la coppia per eccellenza, sposati da un anno, inseparabili, mai una
litigata, un grazie particolare a Simone, senza di lui mai saremmo riusciti a vincere il
premio “gomme bucate”.
John Johnston: autista meccanico sudafricano ma di origini irlandesi, ha smesso di bere
(tra una birra e l’altra), guida che sembra stia partecipando ad un rally e pur di non
rallentare si inventa scuse puerili (se vai agli 80 ti multano!).
Giorno130 luglio

Una certa capacità di sopportare la noia è quindi indispensabile per avere una vita
felice, ed è una delle cose che si dovrebbero insegnare ai giovani.
(cit. Bertrand Russel)

Dobbiamo essere a Bolzano stazione alle 12.31, ieri sera abbiamo preparato le ultime
cose, così la mattina passa senza fare nulla, il treno parte in orario. Ci aspettano 3 giornate
quasi esclusivamente di trasferimento. La principale emozione sarà la noia, quasi mai
proviamo noia, c’è sempre qualcosa che ci impegna, ma siamo sicuri che la noia sia brutta
e cattiva? Mi imbatto in una frase di Lorenzo Barone che mi sembra esprima bene le mie
riflessioni: personalmente vedo la noia come un qualcosa di positivo da sfruttare al
meglio e non un problema dal quale bisogna distrarsi.
Altra caratteristica dei viaggi come li intendo io è l’abbandono della propria confort-zone:
sensazione entusiasmante che ricerco in continuazione.
Arriviamo a Milano Centrale in leggero ritardo, così prendiamo il treno successivo per
Malpensa. Partiamo quasi tutti da Milano, solo Chiara e Simone partono da Roma.
Partenza 22.05 puntuale.
Giorno231 luglio
Non discutere sulle difficoltà. Le difficoltà lo faranno da sole.
(cit. Winston Churchill)
Nottataccia, non ho dormito quasi nulla e per rendere il tutto più emozionante una mia
vicina di posto ha avuto un attacco epilettico, arrivo 6.25 a Dubai (4.25 in Italia) così
possiamo incontrarci anche con gli ultimi due disperati, prendiamo un caffè ad un prezzo
esagerato e facciamo due chiacchiere, in particolare ci mettiamo d’accordo su quel che
dobbiamo fare appena arrivati a Johannesburg. Ne approfittiamo per versare i 390€ della
cassa viaggi, per eleggere la cassiera (Francesca per acclamazione) e raccogliere i primi
100€ per la cassa comune. Partenza 9.55 ed arrivo 16.15 (questa volta ora italiana).

Qui ci dividiamo io, assieme agli altri quattro autisti (David, Laura, Alberto e Simone)
andiamo all’Europcar, Francesca e Elena vanno a cambiare gli euri e gli altri rimangono a
controllare i bagagli. Ritornate Elena e Francesca il gruppo decide di ricomporsi
all’ufficio dell’Europcar. Qui conosciamo John che porta 4 di noi (Chiara, Francesca,
Marco e Paolo) con la sua macchina a fare la spesa nell’unico supermercato aperto di
domenica. Mentre gli altri rimangono a godersi le scene di discussione tra gli autisti e
l’addetta dell’ufficio. Preferisco non stare qui a descrivere i casini successivi per non
annoiare quell’unico lettore di questo diario, dico solo che tra una discussione e l’altra
passano tre ore prima di avere i nostri Suv, Controllo delle macchine e andiamo a
raggiungere i nostri compagni al supermercato. Io sono l’autista di una macchina e grazie
al GPS riusciamo a raggiungere il supermercato incolumi, nonostante la guida a destra.
Pernottamento presso il Vetho 1 Apartments OR Tambo Airport, al costo di poco più di
11€ a persona
Giorno301 agosto (576km)
Sorridi... Domani sarà peggio.
(cit. Arthur Bloch)
Partenza alle 7, velocemente
usciamo dalla città e imbocchiamo
l’autostrada, la guida a sinistra mi
frega e prendo un spigolo, la
gomma anteriore sinistra è a terra,
c’è uno squarcio da paura!
Cambiamo la gomma con l’aiuto di
John, proseguiamo, ma dovremo
fermarci a Modimolle da un
gommista. Martin’s Drift (la
frontiera con il Botswana) dista
oltre 350km, ci metteremo 5 ore e
mezza in totale, a causa della
foratura (rispetto alla tabella di
marcia 1,5 ore in più).
Arrivati a Martins Drift passiamo
per l’ufficio passaporti per il timbro
di uscita dal Sud Africa.
Procediamo con l’auto per arrivare
ad un punto di controllo dove ci
fanno scendere e passare con le
scarpe sopra ad un tappeto
imbevuto di disinfettante, poi ci
fanno avanzare con l’auto dentro ad una “pozzanghera”, serve per disinfettare le ruote
della nostra auto. Con l’auto avanziamo ancora un po’ per arrivare all’ufficio di frontiera
del Botswana, dove ci fanno il timbro di ingresso sul passaporto, infine abbiamo dovuto
passare per un ultimo sportello e pagare la tassa per l’auto (152 pule).

15.30 tutte le operazioni sono concluse, passiamo a fare benzina e poi via più velocemente
possibile, John corre, faccio fatica a stargli dietro la strada è asfaltata ma con alcune buche
che non ci fanno stare tranquilli. Arrivati a Palapye giriamo a sinistra, il sole sta
tramontando ma oramai manca poco, arriviamo al Khama Rhino Sanctuary che è buio,
non sarà facile montare tende che non conosciamo con il frontalino!
Il Khama Rhino Sanctuary (KRS) è un progetto per la fauna selvatica creato
dalla comunità di Serowe nel 1992 per aiutare a salvare il rinoceronte,
specie in via di estinzione, riportare un'area precedentemente brulicante di
fauna selvatica al suo precedente stato naturale e fornire benefici economici
alla comunità locale del Botswana attraverso il turismo e il uso sostenibile
delle risorse naturali.
Coprendo circa 8585 ettari di deserto del Kalahari, il santuario offre
l'habitat privilegiato per il rinoceronte bianco e nero, oltre a oltre 30 altre
specie animali e più di 230 specie di uccelli. Il Santuario è incentrato sul
Serwe Pan, una grande depressione ricoperta di erba con diverse pozze
d'acqua naturali. Serwe Pan fornisce l'habitat privilegiato per il rinoceronte
bianco e altri animali al pascolo, mentre la vegetazione più fitta nell'area
meridionale del Santuario è favorita da animali brucatori come giraffe e
rinoceronti neri.
(costo entrata al parco più campeggio circa 20€ a testa)
Siamo tutti stanchi così andiamo a mangiare al ristorante del parco. Giornata pesante.
Giorno402 agosto (230km)
Non si fa un viaggio, è un viaggio che ci fa, e talvolta ci disfa

Sveglia alle 5, così alle prime luci siamo pronti sulle macchine per visitare il parco, c’è
una rete di sterrati non particolarmente impegnativi e sulla mappa sono segnate delle
pozze d’acqua. Vediamo quasi subito un rinoceronte però da dietro e nascosto nella
boscaglia. Secondo il guardaparco oggi sarà difficile vedere rinoceronti perché è nuvolo e
se ne stano ad oziare nel bosco.
In compenso vediamo molti altri
animali:
Impala, una specie di antilope
molto diffusa in tutti i parchi del
Botswana,
Alcelafo rosso, è la sottospecie
più meridionale di alcelafo.
Diffuso in passato in gran parte
dell'Africa meridionale (e
marginalmente anche in Angola,
in prossimità del confine con la
Namibia), il numero di esemplari è stato notevolmente ridotto in passato dai coloni
europei, ma la sottospecie sta attualmente espandendo di nuovo il suo areale
Gnu, il cui nome deriva dalla lingua Khoikhoi, dove è pronunciata con la g gutturale, che
probabilmente imita a sua volta il verso tipico di questi animali. È l’animale simbolo del
sistema operativo GNU.
Kudu è un'antilope che popola le zone boschive dell'Africa orientale e meridionale.
Raficero campestre, detto in Afrikaans steenbok (stambecco) è una piccola antilope
diffusa in Africa orientale
Giraffe e zebre
Alle 10 abbiamo finito il giro e ci ritroviamo tutti all’uscita tranne John, sembra sia andato
a lavarsi i denti, non sappiamo dove, aspettiamo inutilmente finché decidiamo di andare a
prenderci un caffe al ristorante. Alla fine partiamo alle 11.35
Ci vuole 1,5h (164km) per arrivare a Lethakame, dove sostiamo per fare benzina e della
spesa (dal Sud Africa non si poteva portare nulla di fresco così la spesa di ieri è stata
limitata). Proseguiamo altri 45km per Mmattshumo dove giriamo a sinistra e inizia lo
sterrato. Dopo pochi chilometri ci fermiamo e, mentre John sgonfia le gomme noi
mangiamo. La strada non è particolarmente impegnativa ma bisogna fare attenzione,
sabbia e rocce sporgenti son un mix non proprio salutare per le nostre gomme, a destra
vediamo l’ipnotica distesa del pan:
Bacini di laghi ormai asciutti, spesso ricoperti di sale, per capirne l’origine
bisogna andare ad oltre 5 milioni di anni fa quando lo Zambesi tirava dritto
(attualmente poco a nord di Kasane devia decisamente a est) scendendo
formava un enorme sistema di laghi (si stima attorno agli 80000 km2, per
avere un’idea, il lago di Garda ha una superficie di 370 km2). A causa
dell’orogenesi l’area a sud si è sollevata e il corso del fiume si è lentamente
spostato (formando poi le cascate vittoria ma questa è una storia che
racconteremo dopo). A questo punto questo sistema di paleolaghi
lentamente prosciugato, depositando sul fondo il sale presente, perché
erano salati come l’odierno mar Caspio (che nonostante il nome è in realtà
un lago) formando un sistema di saline (pan appunto) più grandi al mondo,
si parla appunto di circa 16000 km2, sempre per avere un paragone l’Alto
Adige ha una superficie di circa 14000 km2.
A breve entriamo nella distesa di sale e guidare risulta più semplice, in lontananza
vediamo la nostra meta, la Kubu Island
Nonostante il nome non è un’isola, o
meglio non lo è più. Era un’isola di
granito del paleolago citato sopra, in
lingua sestwana, kubu significa
ippopotamo, memore forse di un
lontano passato (fino a 500 anni fa
questo luogo era desolato ed il clima
diverso dall’attuale).
Notevoli i baobab presenti, ci
fermiamo a sud dell’isola per fare
alcune foto poi ci spostiamo nello
spartano campeggio posto sull’isola.
Giorno503 agosto (318km)
Un buon viaggiatore non ha piani precisi, il suo scopo non è arrivare
(cit. Lao Tzu)

Nottataccia, David Russa e il materassino è bucato! Sveglia alle 5, oggi siamo più veloci
di ieri nello smontaggio tende (stiamo
ingranando), peccato che poi ci perdiamo nei
preparativi. Rispetto al programma preventivato
non passeremo per il Chapman’s baobab perché
sembra si sia completamente decomposto,
tiriamo dritti, per strada vediamo un’uccellaccio,
probabilmente un’otarda kori, due avvoltoi su
di un baobab e due struzzi. Paesaggio favoloso
nella sua monotonia, un locals ci consiglia una
strada diversa da quella che stiamo percorrendo, la traccia si fa sempre più stretta fino a
che non arriviamo ad una zona abitata con piccoli insediamenti con capanne in fango e
recinzioni in legno. Nelle vicinanze di Gweta
gli insediamenti si fanno più fitti. Arrivati
sulla strada asfaltata (la A3) proseguiamo
verso Maun. Ad un certo punto c’è una
deviazione a destra per il Baines baobab ma è
un parco, costa 18€, non ne vale la pena cosi
proseguiamo sulla A3, solo ci fermiamo a
mangiare qualcosa per pranzo. Lungo la
strada a circa 20km da Maun una piacevole
sorpresa: un numeroso gruppo di elefanti e
zebre, sul lato della strada ci sono dei tombini con dell’acqua, così gli animali si fermano
per abbeverarsi, è stato emozionante vedere questi animali così, lungo la strada. Arriviamo
a Maun e perdiamo un sacco di tempo a fare il cambio e a fare la spesa, passiamo anche
da una macelleria per la grigliata di questa sera. Arriviamo in campeggio che è gia notte, è
un hotel con annesso zona tende, il luogo è spartano ma i bagni sono puliti e le docce
calde. A sera mega grigliata annaffiata con vino e birra.
Giorno604 agosto
In viaggio come nella vita le avversità possono trasformarsi in opportunità

Oggi giornata a perdere, tutti tranne 5 (tra quei cinque


ci siamo noi tre) vanno a farsi il volo sull’Okavango,
tornati in campeggio si fa colazione assieme, poi in
programma ci sarebbe un safari dalle parti del delta
del delta dell’Okavango. Partiamo alle 10 e andiamo
al centro visitatori del parco e sembra non ci sia
nessuna possibilità di fare giri diversi da Moremi (che
faremo domani), l’unica attività che ci propongono è
una specie di centro recupero elefanti ad un prezzo
esagerato, la BAM family decide di stare a Maun e
farsi un giro per questa cittadina. Maun non ha
nessuna particolare attrattiva turistica ma è risultato
piacevole girarla con tranquillità approfittandone di
conoscere qualche locals. Come prima tappa andiamo
al museo, così misero che non c’è nemmeno da fare il
biglietto all’ingresso ma è ad offerta libera. Siamo gli
unici turisti e una signora, immagino dipendente del
museo, ci fa da guida, il suo nome è Joyce Mmalebopo Malema che in tswana significa
“signora Universo”. La signora ci spiega con grande passione i pochi oggetti all’interno
del museo; c’è una sala dedicata agli strumenti musicali locali tra cui spicca una specie di
tamburo che riproduce il suono dell’ippopotamo. Usciti dal museo cerchiamo qualcosa da
mangiare e troviamo una signora a bordo strada con della carne stufata deliziosa
accompagnata con del dumping (un impasto dal sapore e consistenza di mollica di pane).
Proseguiamo a casaccio passando per una polverosa via dove due bambini ci vendono dei
mandarini e una signora ci offre di riportarci in centro. È caldo e vicino al mercato locale
ci fermiamo a bere una bibita
fresca, sono pochi i turisti in
giro e ciò nonostante non ci
sentiamo osservati o presi di
mira. È tardi, ci avviamo
verso il campeggio, bisogna
percorrere 7km su una strada
abbastanza trafficata e senza
marciapiede, quando
arriveremo il GPS segnerà
17km, per rinfrescarmi
decido di fare un salto in
piscina e poi insieme alla
famigli una birra al bar del
campeggio.
Giorno705 agosto (204 km)
Se qualcosa può andar storto lo farà
(legge di Murphy)
Il primo giorno nel continente
Africano avevamo bucato,
non si poteva definire sfiga,
forse disattenzione,
imprudenza, ma oramai era un
episodio dimenticato, e
invece… Ma non anticipiamo
troppo, partiamo dall’inizio.
Sveglia alle 4.30 come da
contratto, oggi ci aspetta il
favoloso Moremi Game
Reserve. Da Maun ci
vogliono circa 100km per il
South Gate, oggi siamo veloci
e alle 6, ancora con il buio,
siamo sulle macchine. Lungo
la strada ci godremo un’alba
favolosa, verso le 8.30 siamo
all’ingresso del parco,
numerosi buceri dal becco
giallo sono un invito allo
scatto compulsivo, troppe foto
in queste vacanze. Paghiamo
l’ingresso e possiamo iniziare
la nostra avventura. Il
percorso non è facile,
inserisco il 4x4 quasi sempre
e alcune volte anche le
ridotte, molti tratti sabbiosi a
rischio insabbiamento ma eroicamente proseguiamo. Due parole sul parco:
a est del Delta dell'Okavango, nel Botswana nord occidentale, la Moremi
Game Reserve prende il nome dal capo Moremi della tribù BaTawana. A
partire dal 1960 è diventata ufficialmente una zona di tutela della fauna
locale e oggi occupa una superficie di circa 5.000 km2 e comprende isole,
paludi e piccoli villaggi.

Vediamo numerosi animali: giraffe, elefanti,


facoceri, zebre, manguste, un francolino di
Swainson, bufali, kudu, cercopitecchi verdi e
gli onnipersenti impala. Ci fermiamo a mangiare
qualcosa verso le 11.30 presso una zona paludosa.
Non abbiamo molto tempo, dobbiamo dirigerci
verso il gate nord perché abbiamo in previsione il
giro in mokoro serale. Ad un certo punto la
sfortuna ci assale: prima un elefante si piazza in mezzo alla traccia e non si sposta,
dobbiamo trovare un’altra strada, quando pensiamo di averla trovata becchiamo un
camion che si è impantanato in un guado. Giriamo apparentemente a casaccio per trovare
un’uscita alternativa, adesso siamo in ritardo si deve correre. Sta guidando Simone, si sta
divertendo, è entusiasta quando ad un certo punto becca un tronco e buca due ruote in un
colpo solo! Ok, sfiga, ma non ci perdiamo
d’animo abbiamo due macchine e quindi due
ruote di scorta. Cominciamo con la ruota
anteriore, primo bullone via, secondo via
terzo … non si svita, gira a vuoto e così anche
un altro. Il maschio si è staccato e non
permette al bullone di svitarsi, la situazione è
disperata (anche perché qua nessuno viene a
soccorrerti e se viene notte ci si deve solo
chiudere in macchina). John prega, Simone e
Alberto non si perdono d’animo e facendo
leva con un piede di porco riescono a svitare i
due bulloni (o saranno state le preghiere di
John?). Situazione risolta, si fa per dire perché
adesso stiamo girando senza ruote di scorta e
se buchiamo ancora non abbiamo soluzione.
Arriviamo al gate che il sole è basso
all’orizzonte, tramite locals riusciamo a
trovare un gommista dalle parti di Khwai,
sembra un tipo simpatico, non ha però gomme
di ricambio, una dovrebbe riuscire a ripararla
l’altra non garantisce. Andiamo al campeggio
(Mmbudi campsite), uno dei più wild e spartani in cui siamo stati, scarichiamo veloci poi
con due macchine torniamo al gommista. Lungo la strada il tramonto ci emoziona, lo so
che rischio di cadere nelle banalità, chi non l’ha provato non può saperlo ma è stato uno
dei momenti del viaggio che più sapevano di Africa. Avrei voluto fare una foto ma sono
sicuro che non avrebbe reso l’emozione del momento, quindi meglio così.
Lasciamo la macchina che prenderemo domani e ritorniamo al campeggio, domani è un
altro giorno!
Giorno 806 agosto (267 km)
Il viaggio non è mai una questione di soldi, ma di coraggio
(cit. Paolo Coelho)

Oggi ce la prendiamo comoda, David è riuscito a spostare il giro in mokoro a questa


mattina, così ci svegliamo con tutta calma alle 5.30, alle 6.45 parte il tour:
il mokoro è una bassa canoa tradizionale ricavata da un tronco di ebano o
di kigelia. Attualmente, incoraggiati da gruppi che si battono per la
salvaguardia dell’ambiente, hanno incominciato a costruire i mokoro
utilizzando la fibra di vetro, un albero di ebano o kigelia impiega oltre un
secolo a crescere, un mokoro dura circa cinque anni. Queste imbarcazioni
sembrano molto precarie, in realtà sono stabili e ottime per navigare
all’interno del delta tra la vegetazione, hanno posto per due passeggeri e
per un guidatore che sta in piedi e spinge la barca con una lunga pertica.
Ci sono 7 mokoro con altrettanti ragazzi
armati di pertica, quello che sembra il capo si
presenta e ci fa le raccomandazioni di rito,
poi ognuno dei ragazzi si presenta, io e Anna
montiamo con Baganang. Non andiamo
molto lontani dal campeggio, vediamo delle
aquile pescatrici, poi un gruppo di
ippopotami, sono bestioni maestosi, durante
il giorno rimangono quasi sempre in acqua
per proteggere la pelle delicata dai raggi
solari, poi la sera escono, mangiano erba e
defecano a spruzzo. Poi un bellissimo
esemplare di martin pescatore malachite,
un coloratissimo meropide (bee-eater), una
microscopica painted red frog. Concludiamo
il giro alle 9.30, io e Alberto andiamo veloci dal gommista mentre gli altri smontano il
campo. Ieri sera non l’avevo notato ma il meccanico si è costruito una palestra di pesi
usando i resti di macchine, fantastico. Buone notizie, è riuscito a riparare entrambe le
gomme, una affidabile, l’altra giusto per le emergenze. Torniamo al campeggio,
carichiamo veloci e ripartiamo. Oggi dobbiamo attraversare il Savuti, le strade non
saranno semplici e siamo in forte ritardo, dobbiamo fare molta attenzione a non forare, ci
aspettano oltre 200km di strada difficile, niente soste
che non siano strettamente necessarie. Arrivare al
gate è facile e veloce, ci mettiamo poco più di
un’ora, all’interno del parco la strada è sabbiosa ma
non difficile, vediamo un sacco di animali ma nulla
di rilevante. In due ore siamo al Leopard Rock,
peccato non ci sia tempo per fermarci a visitare le
pitture rupestri, breve sosta alla stretch area per
andare in bagno, ci dividiamo il cibo in modo da
mangiare viaggiando. La strada diventa impegnativa,
la macchina davanti si insabbia, non senza fatica
John riesce con il cavo a risolvere la situazione.
Arriviamo al Ghoha gate, mi illudo che il peggio sia
passato invece c’è un lungo tratto di sabbia fonda, le
nostre macchine sono basse così se ci si ferma non si
riesce a ripartire perché la sabbia tocca sotto.
Bisogna correre per galleggiare, per un po’ tutto va
bene poi sbando leggermente mi tocca fermarmi e sono anch’io insabbiato. Anche qui
John interviene e risolve. Ad un bivio si deve girare a destra e la strada migliora
leggermente, arrivati a Kachikau la strada diventa asfaltata, ci fermiamo a fare benzina e
si riparte, a Ngoma si gira a destra e poco oltre c’è il Ngoma Sedudu transit control gate,
la sbarra è chiusa, dobbiamo scendere e mostrare la prenotazione al camping. È buio e la
situazione è potenzialmente pericolosa, incontriamo diversi animali, il più notevole è una
iena a bordo strada. Arriviamo a Kasane, piccolo villaggio di circa 9000 abitanti dove ci
piazzeremo al Chobe Safari Lodge Campsite, alle 8, mangiamo al volo il riso avanzato da
ieri sera, piantiamo la tenda e poi via di birra!
Giorno907 agosto
La propria destinazione non è mai un luogo ma un nuovo modo di vivere le cose
(cit. Henry Miller)
Oggi giornata da turista, la mattina tour gridato al Chobe Riverfront e pomeriggio giro con
il battello. Sveglia comunque presto (non si deve perdere l’abitudine) alle 4.45, colazione
veloce e alle 5.45
passano a prenderci per
andare alla Chobe game
Reserve. I mezzi sono
dei fuoristrada con 9
posti aperti dietro, fa
freddo e io come mio
solito mi vesto poco così
mi formo il carattere! Ci
vogliono 20 minuti per
arrivare all’ingresso del
parco, all’inizio non
vediamo nessun animale
per noi nuovo poi
finalmente un gruppo di leonesse con cuccioli. Bello, emozionante ma siamo troppi,
almeno 7 macchine che cercano di avvicinarsi il più possibile, sembra di essere allo zoo,
l’emozione positiva iniziale si trasforma in pena per un’esperienza addomesticata. A metà
tragitto ci fermiamo per sosta pipì e ci offrono una fugace colazione, mi chiedo qual è il
senso di tutto ciò, abbiamo pagato per tre ore di tour e spendiamo mezzora per fare
colazione, perché, il dubbio è che sono diventato un vecchio brontolone ma è la prima
giornata di questo viaggio che non la sento mia, sono in balia di decisioni altrui su cui non
posso mettere becco. Il meccanismo è questo: le guide locali sanno dove andare per
massimizzare la probabilità di vedere animali interessanti, quando ne vedono uno si
avvisano reciprocamente così c’è l’ammasso di auto attorno a queste bestie, però l’effetto
è quello di un circo, decisamente poco wild. Ritorniamo vedendo qua e là qualche
mangusta, giraffa ed elefanti.
Al campeggio riesco a farmi una doccia e a lavarmi i vestiti poi vado a dare una mano a
fare la spesa (in realtà non sono di grande aiuto, mi sento un po’ spaesato). A pranzo
Anna2 fa una favolosa pasta con i broccoli e salsiccia. Alle 14 prendiamo le macchine per
andare ad un parcheggio nei
pressi del Chuando (affluente
dello Zambesi) dove incontriamo
Cristine, la corrispondente locale
che ci ridà i passaporti con il
timbro per lo Zimbabwe di
domani. Saliamo sul battello, per
iniziare ci dirigiamo alla vicina
isola Sedudu, il Chuando segna il
confine fra Botswana e Namibia,
quindi l’isola da che parte sta?
Nel 1890 viene stilato un trattato per stabilire il confine fra l’Africa sud
occidentale Tedesca (l’attuale Namibia) e il protettorato di Bechuanaland
(l’attuale Botswana) in cui si parla genericamente del Chobe, ma visto che
in questo punto c’è un’isola, deve essere considerata della Namibia o del
Botswana? Da notare oltretutto che non è nemmeno un’isola permanente
visto che nel periodo delle piogge viene sommersa e oltretutto non ha
abitanti (a parte gli animali) e a carattere intermittente i Masubia popolo
del Caprivi. Nel 1996 per risolvere la questione viene coinvolta la corte
internazionale di giustizia che si esprimerà nel 1999, non essendo
sufficientemente dettagliato il trattato del 1890 utilizzerà il concetto di
talweg ovvero la linea immaginaria composta dai punti di maggiore
profondità che in questo caso passa a nord dell’isola, così dal 1999 l’isola è
del Botswana.
Sull’isola c’è un numeroso gruppo di elefanti che possiamo ammirare da molto vicino
assieme ad una abbondante avifauna: airone testa nera, oca dallo sperone, pavoncella
armata, airone rosso, aquila
urlatrice, martin pescatore bianco
e nero, tantalo beccogiallo, jacana
africana, bufaga beccogiallo,
martin pescatore malachite,
garzetta. Vedremo diversi
coccodrilli del nilo, ippopotami,
bufali, cobo.
Concludiamo il giro ammirando un
favoloso tramonto con sullo sfondo
un gruppo di elefanti.
Qualche riflessione: l’attività di
questa mattina mi ha deluso, credo
quasi nessuno del gruppo sia d’accordo con me, ma mi sono sentito dentro un circo, belli i
leoni ma visti così è come andare allo zoo safari sul lago di Garda. La seconda parte della
giornata paradossalmente l’ho gradita maggiormente, era sì turistica ma senza la pretesa di
mascherarsi di avventura e così l’ho vissuta godendomi i panorami, devo dire che poi il
tramonto è stato tra i più scenografici ammirati fino a questo momento.
Giorno 1008 agosto
Viaggiare rende modesti. Ci mostra quanto è piccolo il posto che occupiamo nel mondo
Gustave Flaubert

Sveglia anche oggi alle 4.45 e partenza alle 5.45, il confine con il Zimbabwe è vicino, in 20
minuti siamo al Kazangula border,

passiamo veloci perché Cristina ci ha fatto fare il timbro già ieri, al confine girano liberi
diversi cercopitechi (sorta di babbuini). Dobbiamo ora arrivare al secondo confine, alle 7.45

siamo in Zambia, da li prendiamo un taxi che ci portano all’ingresso delle Devils pool. Ci
accolgono dicendoci che le Devils pool non sono raggiungibili perché c’è troppa acqua,
andiamo alle più piccole Angels pool. Una lunga presentazione serve per tranquillizzarci
sulla pericolosità del luogo (a dirla tutta non ero per nulla preoccupato). Prendiamo un
battello che ci molla su una riva dopo pochi minuti, con una breve passeggiata arriviamo ad
una rudimentale costruzione dove ci danno il benvenuto con un aperitivo analcolico e ci
chiedono cosa vogliamo per colazione. C’è il posto dove cambiarsi, si lascia tutto in casse
sigillate poi un gruppetto alla volta andiamo alle Angels pool. Una vasca minimale dove a
malapena ci si immerge e una alla volta ci si può sporgere sul precipizio tenuti per i piedi
da una persona. Si fa un giretto per fare qualche foto poi si va a fare una colazione molto
chic!
Chi mi conosce può già immaginarsi il mio commento a questa attività: un furto legalizzato!
Basta non voglio nemmeno perdere tempo a commentarla.
Torniamo velocemente al confine Zambia-Zimbabwe e, ciliegina sulla torta, coda
interminabile per farsi fare il timbro sul passaporto. Fatta la coda andiamo all’ingresso del
parco della cascata che visitiamo dopo aver mangiato i nostri panini.
Cominciamo con il dire che il vero nome sarebbe Mosi-oa-Tunya, nome
dato dalla popolazione locale che significa fumo-che-tuona, nel 1855
Livingston passa di qui e decide di dargli il nome della regina Vittoria. Ma
siccome noi non siamo dei pecoroni le
chiameremo Mosi-oa-Tunia. Si formano lungo
il corso dello Zambesi con una portata media
di 1100m3/s (per avere un paragone il nostro
Po ha una portata media 1500m3/s) e cadono
nel punto più alto per 107m (le famose cascate
del Niagara solo 51m). Per capire come si
sono formate bisogna tornare indietro nel
tempo di circa 150 milioni di anni quando una
intensa attività vulcanica ha formato uno
spesso deposito di basalto che ha ricoperto
un’area estesa in Africa Meridionale. In
seguito al raffreddamento si sono formate
delle spaccature riempite poi di materiale più tenero.
5 milioni di anni fa lo Zambesi tirava dritto e formava più a sud dei laghi,
molto ma molto grandi e salati, in seguito a movimenti tellurici una parte
del Botswana si è sollevata deviando il corso del fiume più a est, i laghi si
sono svuotati (lasciando quello
che oggi chiamiamo i
Makgadikgad pan) e qua viene il
bello questi paleolaghi ad un
certo punto si svuotano
velocemente attraverso il Matesi
e fanno un gran disastro
trasportando via i detriti che
stavano sopra il basalto. Poi il
tempo ha fatto il resto, l’acqua
dello Zambesi ha lentamente
scavato e portato via i materiali
più soffici che riempivano le
spaccature formando una prima cascata, poi via via si è spostata sempre
più a nord e le spaccature sono diventare la gola dove oggi vi divertite a
fare rafting.
Per entrare al parco delle cascate si paga 30$, il posto è strepitoso, in vari punti si formano
arcobaleni, la portata e il salto sono così notevoli che in alcune zone si forma una fitta
nebbiolina e ci si bagna.

Ci sono 16 punti di osservazione e gli ultimo sono i più belli. Tornati all’ingresso
incontriamo John che dopo essere andato a farsi il tampone (è un novax) ed aver sistemato
le gomme è venuto anche lui a vedere la cascate così io e Paolo ci facciamo dare un
passaggio e torniamo veloci a Kasane a prendere la carne per la grigliata di questa sera.
Anche oggi ci stanno le considerazioni finali: le Mosi-oa-Tunia sono spettacolari e una
volta che ci si trova a Kasane sarebbe un peccato perdersele ma il resto dal mio punto di
vista è solo un “trappolone per turisti”. Tornassi indietro e potessi decidere cosa fare
partirei presto ma non troppo da Kasane per farmi con tutta calma il parco delle cascate
poi il pomeriggio mi farei un giro fino a sera al Chobe riverfront.
Giorno1109 agosto
Vivi la vita senza scuse, viaggia senza rimpianti.
(cit. Oscar Wilde)

Oggi scopriremo come sia inutile discutere con un sudafricano (soprattutto se è di origini
irlandesi!). Il resto del gruppo si fa un tour guidato di 9 ore, dalle 9 di mattina alle 18 di
sera, la BAM family decide di farlo in autonomia e, visto che John è a nostra disposizione,
lo facciamo con la sua macchina. Ieri sera ci siamo accordati per partire alle 8.30 e, cartina

alla mano, di fare la traversata del parco da est a ovest. John era d’accordo noi eravamo
felici, questa mattina poco dopo le 8 gli viene in mente che deve lavarsi i panni, non c’è
modo di partire come previsto, partiamo con tutti gli altri alle 9. John è un gran
affabulatore, ha attaccato bottone con un autista delle jeep con cui viaggiano gli altri nostri
compagni, la sua intenzione è quella di seguirli, cerchiamo convincerlo a non farlo perché
non è carino, loro per questo tour hanno pagato circa 100€ a testa, noi pagheremo meno di
100€ tutti e tre, dobbiamo essere autonomi. Non c’è verso di farlo ragionare, poi quando
insisto si irrigidisce ulteriormente, dice che la macchina e sua e va dove vuole, nessuno gli
può dire dove andare ma soprattutto dove non andare! In realtà all’inizio ci separiamo
dagli altri e rimaniamo vicino al fiume
ma John è in contatto telefonico con
una delle guide del gruppo, si
scambiano informazioni. All’inizio
non vediamo animali ma dopo un po’
cominciamo a vederne parecchi, però
sono i soliti: giraffe, ippopotami,
coccodrilli, impala, antilope nera,
zebre ed elefanti. Verso le 12 ci
fermiamo in una streching area
assieme agli altri, attorno a noi
scimmiette ci rubano il cibo, bisogna stare sempre attenti. Dopo mangiato si riparte e John
non si stacca più dagli altri, anzi, quando insisto, ci sta ancora più vicino. Grazie a delle
segnalazioni vediamo una leonessa che riposa all’ombra. Proseguendo arriviamo ad una
piana stracolma di animali: babbuini neri, pellicani bianchi maggiore, zebre, grifoni
africani, turaco unicolore, impala ed elefanti, bello, sembra la scena di un film. Stiamo
andando verso l’uscita quando John viene avvisato della presenza di un leopardo,
arriviamo in zona, siamo tanti ma ad un certo punto riusciamo a trovare una buona
posizione per vederlo bene, grande emozione veramente. Torniamo veloci perché è tardi,
come al solito un tramonto da togliere il fiato ma non c’è tempo il parco chiude, passiamo
al bar del campeggio, gli offriamo un ram e brindiamo assieme alla giornata. John oggi ha
mostrato il suo “lato oscuro” e nulla sarà come prima (vabbè volevo dire qualcosa di
poetico!)

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