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Introduzione
Un viaggio inizia quando si inizia a sognarlo, questo poi ha avuto un valore aggiunto essendomi
venuta dietro mia figlia sedicenne. Monica non è stata subito convinta, prima si, poi forse, poi “ma
potremmo fare qualcos’altro”, “ci penso”, alla fine, dopo l’ultimo giorno di scuola la risposta
definitiva: si. Grande felicità e inizio dei preparativi, se fossi andato senza Monica probabilmente
sarei andato da solo ma essendoci la figliuola ci siamo iscritti ad un viaggio di AnM e anche questa
volta il gruppo si è rilevato simpatico. Se avrete la pazienza di leggere tutto il diario scoprirete che
non proprio tutto è andato bene, anzi ci sono stati dei momenti “drammatici”, degli inconvenienti
spiacevoli, ma il tutto fa parte del Viaggio. Un turista vuole che tutto vada per il verso giusto, che si
rispetti il programma preventivato, un viaggiatore vuole scoprire, l’imprevisto diventa parte
importante dell’esperienza. Un vero viaggio ti cambia dentro è prima di tutto un viaggio dell’anima!
02/08
I turisti non sanno dove sono stati. Il viaggiatore non sa dove sta andando.
Viaggiare spesso vuol dire dormire poco, ieri sera
siamo andati a mangiare in un localino vicino all’hotel,
roba piccante come al solito, tornati all’hotel Monica
non si è addormentata, è svenuta sul letto!
Sveglia alle 4:30 e partenza dall’hotel alle 4:50, ci
vuole poco per arrivare all’aeroporto, solite code,
controlli e timbri ma a breve siamo sull’aereo per Leh.
A monica fa un po’ male l’anulare sinistro, una piccola
infezione a cui, sbagliando, non do particolare peso.
Alle 8:10 siamo a Leh e fuori troviamo il
corrispondente che ci porta in hotel (Dream Ladakh).
Siamo a 3500m di quota e si sente, una strana
sensazione alla testa, in hotel facciamo una veloce
colazione poi usciamo a visitare il centro.
Leh è una ridente cittadina di poco meno di 30kab,
fondamentalmente un enorme centro commerciale ma
in fondo piacevole, lievemente confusa se confrontato
che le nostre esperienze italiche, di una tranquillità
esagerata se confrontata con Delhi. In genere non amo
particolarmente questi luoghi troppo turistici ma devo
dire che il centro di Leh si esplora piacevolmente. Per pranzo troviamo un localino frequentato da
locals in cui una vecchietta fa i momo sotto i nostri occhi, buonissimi. Andando verso l’hotel io
faccio una deviazione a piedi salendo a Shanti stupa,
la quota la sento tutta accidenti! Tornato all’hotel ho
giusto il tempo per il the e si riparte, il nostro autista
(Lotus) ci porterà a visitare alcune attrattive:
Il Palazzo di Leh: è un ex palazzo reale, costruito
sul modello del palazzo Potala di Lhasa, in Tibet.
Il palazzo fu costruito dal re Sengge Namgyal nel
XVII secolo. Il palazzo fu abbandonato quando le
forze Dogra presero il controllo del Ladakh nel
XIX secolo e la famiglia reale si trasferì nel
Palazzo di Stok Il palazzo in rovina fu restaurato
da una spedizione archeologica indiana e oggi è
aperto al pubblico. Si può salire sul tetto per
godere della vista panoramica di Leh e dintorni.
Il palazzo contiene una ricca collezione di
gioielli, ornamenti, abiti cerimoniali e corone.
Thangka cinesi e dipinti di più di 450 anni, con
intricati disegni, conservano colori vivaci e
piacevoli derivanti da gemme e pietre frantumate
e in polvere.
Secondo la guida doveva essere mezzo diroccato invece è ben restaurato, addossato alla montagna,
sale per dieci piani, mano a mano che si sale il
panorama è sempre più bello e ci si rende conto di
come questa zona sia fondamentalmente un
deserto d’alta quota. Le pareti erano
originariamente affrescate ma adesso si può solo
intuire quale poteva essere la bellezza di alcuni
ambienti. Scendendo si può ammirare la cappella
con statue, maschere e preghiere buddiste. Tornati
alla macchina potremmo proseguire a piedi ma
Lotus con un ampio giro ci porta allo
Tsemo gompa: il suo nome significa monastero
del picco, un po’ diroccato ma certamente affascinante (soprattutto poi il panorama che si può
ammirare)
Si riprende la macchina per salire infine allo
Shanti stupa, di recente inaugurazione (1991), finanziato dai giapponesi, bella la struttura ma
bella soprattutto la posizione
05/08
Il viaggio è una specie di porta attraverso la quale si esce dalla realtà come per
penetrare in una realtà inesplorata che sembra un sogno.
Colazione alle 8 (finalmente si dorme!) poi alle 9 si parte con la jeep, usciamo da Leh,
attraversiamo l’Indo e ci dirigiamo verso le montagne di fronte a noi, nel tragitto si incontrano zone
militari e vari paesini e in una mezzoretta arriviamo a
Stok,, quando il sovrano nel XIX secolo si arrese
Zorowar Singh si trasferì qui da Leh (il palazzo
visitato ieri). Costruito nel 1825 da Tsepal Namgyal,
la struttura ne è simile ma la posizione meno
spettacolare, anche perché dietro hanno messo
un’antiestetica antenna ripetitrice. A differenza di
quello di Leh questo palazzo-fortezza è ancora
abitato, all’interno è presente un piccolo museo con
esposizione di arte buddista, pregevoli in particolare
in Thangka antichi, peccato non si possa fare foto.
Tornati alla macchina si risale la valle dell’indo fino a salire a serpentine sulla sinistra fino ad
Hemis: la più grande istutuzione monastica del
Ladakh, appartiene al lignaggio dei Drukpa del
buddismo Mahaiana, con il Gyalwang Drukpa
come sue supremo capo spirituale. Il Gompa di
Hemis, o almeno le sue sezioni più antiche,
risalgono agli anni ’30 del 1600 sotto l’egida
del re Sengge Namgyal, il più illustre monarca
del Ladakh. Un monaco chiamato Palden Sara
supervisionò la costruzione iniziale (aggiunte
continuate nel XVIII secolo) ma la forza
trainante del monastero fu Stag-tsang-ras-pa, il
saggio venerato dal re Sengge Namgyal.
Chiamato anche Sambhunatha, Stag-tsang Ras-
pa apparteneva al subordine Drukpa della
scuola Kagyupa del Buddhismo tibetano; sotto
la sua influenza, Drukpa divenne la religione di
stato del Ladakh e Hemis il suo principale
monastero. Il monastero è stato diretto nel corso
dei secoli dalle reincarnazioni di Stag-tsang
Ras-pa, ma oggi il monastero si trova senza un
abate perché all’attuale reincarnazione non è
stato permesso dalle autorità cinesi di rientrare dal Tibet dove è andato, quando era
giovane, per l’istruzione superiore. Molto bello il museo contenente svariati oggetti sacri
Dopo aver visitato il museo entriamo nelle due sale al pian terreno, risulta divertente cercare di
interpretare la simbologia buddista, peccato che arriva mezzogiorno e i monaci chiudono tutto
perché devono andare a mangiare. Così andiamo anche noi al vicino paese per pranzo.
Si prosegue su bella strada asfaltata, ad un certo punto si svolta a sinistra, si supera un ponticello e
si arriva al monastero di
Stigma, fondato nel tardo sedicesimo secolo da
un monaco Butanese, Chosje Jamiang Palkar. Il
nome significa letteralmente “naso della tigre” a
causa della forma della collina su cui è
costruito, arriviamo che è tutto chiuso, giriamo
un po’ a vuoto finché Giuseppe non va a
svegliare un monaco che ci fa pagare il biglietto
e ci fa entrare. Tra i monasteri visitati è il più
bello, anche perché siamo soli, nessun altro
turista fra i piedi. Dentro è ricco di pitture
apparentemente antiche e di mobilia interessante
Tornati alla macchina, riprendiamo la strada
principale ed in breve siamo al
Monastero di Thiksey: aderente alla scuola Gelug, il monastero sorge sulla collina sopra
l'omonimo villaggio, a nord dell'Indo, a circa tremilaseicento metri di altitudine. Nel XV
secolo lama Tzong Khapa, celebre maestro tibetano il cui insegnamento promosse la
formazione della scuola Gelug, mandò sei suoi discepoli attraverso il Tibet per diffondere la
sua visione del Dharma: a uno di essi, Sherab Sangpo, diede una statuetta del Bodhisattva
Amitabha contenente alcune reliquie, tra cui una goccia del proprio sangue, perché la
consegnasse al re del Ladakh con una richiesta di aiuto per la diffusione del Buddhismo
tibetano nel suo dominio. Il re decise che lo avrebbe aiutato e nel 1433 Sherab Sangpo
fondò la piccola università monastica di
Lhakhang Serpo, il «Tempio giallo», nel
villaggio di Stakmo, che successivamente il
nipote Spon Paldan Sherab decise di
trasferire sul colle attuale. Si racconta che
Sherab Sangpo e Spon Paldan Sherab
stessero preparando il rito della torma
quando due corvi rubarono il piatto
cerimoniale delle offerte e lo posero su un
colle vicino: questo sarebbe stato un segno
divino atto a indicare il luogo più propizio
per l'edificazione del monastero. La comunità monastica, che ospita una sessantina di
monaci, è famosa per il Tempio di Maitreya al suo interno, in cui è custodita una statua a
sua immagine alta quindici metri e occupante ben due piani del gompa, monche per la
somiglianza con il Potala di Lhasa, l'imponente residenza che fino al 1959 fu l'abitazione
del Dalai Lama, ragion per cui viene spesso chiamata «Piccolo Potala». L'edificio più
grande ha circa una dozzina di piani ed è dipinto di rosso, giallo, ocra e bianco, mentre la
sala della preghiera ha una biblioteca con innumerevoli
manoscritti miniati, tra questi i duecentoventiquattro
volumi del Tangyur.
Ultimo monastero della giornata è
Shey dove visitiamo il monastero che fu costruito da
Deldan Namgyal all'inizio del XVII secolo d.C.
L'immagine principale del monastero è la statua a tre
piani del Buddha Shakamuni, realizzata in rame dorato.
Per fortuna è mezzo diroccato così la visita è veloce e
possiamo tornare a Leh.
06/08
Siamo tutti viaggiatori nati. Abbiamo polvere di stelle nelle vene, cartine geografiche
con strade d’argento negli occhi e istruzioni per viaggiare fino a Andromeda…
Alle 4 vengono a svegliarci e si parte, l’autista sembra
agitato, fuori è buio, corre eseguendo anche qualche
sorpasso azzardato. Arrivati a Kargil attraversiamo un
ponte e giriamo a sinistra, ancora non si vede nulla,
sembra di intuire una vegetazione rigogliosa (almeno
rispetto alle zone precedentemente visitate). La strada
corre sul fondo della Suru valley presso il torrente
omonimo, comincia ad albeggiare e arriviamo ad una
sbarra dove Lotus paga un pedaggio, l’autista si
tranquillizza, in breve arriviamo ad un check point
dell’esercito, da lì in poi la strada diventa un pessimo sterrato, poco prima di Suru prendiamo una
deviazione verso sinistra, si va lenti, ma i panorami sono belli, di fronte a noi il Kun e il Nun due
7000 gemelli. Aggiriamo a sinistra i due giganti e proseguiamo immersi in panorami di montagna.
Cominciamo a chiedere quando possiamo fare colazione, finalmente, verso le 8, a Parlachik ci
fermiamo ad un piccolo locale, la moschea in
lontananza ci segnala che siamo ancora in zona di
cultura mussulmana ma gli insediamenti sono
minuscoli. Dopo il the e aver mangiato quanto
c’era nel sacchetto fornitoci dalla guest decidiamo
di andare ad ammirare da vicino il sovrastante
ghiacciaio, solo Arianna non viene perché si sente
male. La salita è veloce ma merita la vista della
lingua del ghiacciaio che scende dalla cima
sovrastante. Ritornati alla macchina si riparte, il
viaggio sarà lungo: a destra alte cime innevate, a
sinistra montagne tondeggianti, qua e là qualche marmotta. Poco dopo mezzogiorno arriviamo a
Rangdum, un passo a 4100m dove nuovamente ci controllano i passaporti e dove ci mangiamo un
Dal Bat (unica opzione disponibile nell’unico locate del passo). A breve siamo al campo tendato
dove saremo ospitati, il posto è bello, una ampia pianura sabbiosa di fronte a noi e oltre, montagne
rocciose con stratificazioni pesantemente contorte dall’orogenesi. Io e Monica abbiamo un po’ di
mal di testa così ce ne stiamo a dormicchiare fino alle 3 quando tutti assieme andiamo a visitare il
vicino…
monastero di Rangdum è un
monastero buddista tibetano
appartenente alla setta Gelugpa,
situato sulla cima di una piccola
ma ripida collina sugarloaf ad
un'altitudine di 4.031 m (13.225
piedi) a capo della valle del Suru.
Si trova vicino al piccolo villaggio
di Julidok, a circa 25 km dalla
Pensi La (passo) di 4.400 m
(14.436 piedi), che conduce in
Zanskar. Il monastero di Rangdum
è un monastero buddista tibetano appartenente alla setta Gelugpa , situato sulla cima di una
piccola ma ripida collina sugarloaf ad un'altitudine di 4.031 m (13.225 piedi) a capo della
valle del Suru , in Ladakh . Si trova vicino al piccolo villaggio di Julidok, a circa 25 km
dalla Pensi La (passo) di 4.400 m (14.436 piedi), che conduce in Zanskar .Secondo
un'iscrizione il monastero fu costruito da Gelek Yashy Takpa durante il regno del re
Tsewang Mangyul di Ladakh circa 200 anni fa. Sebbene sia fisicamente nella valle del Suru,
fa parte culturale di Zanskar. Poiché non si può contare sui raccolti raccolti a causa della
breve estate, sia il villaggio che il monastero dipendono da rifornimenti, diversi dai prodotti
lattiero-caseari di produzione locale, allevati nella sterile valle del Suru o oltre i 4.400
metri (14.436 piedi) Pensi La pass di Zanskar. Il monastero ospita circa 30 monaci e quasi
altrettanti asini.
08/08
L’unica regola del viaggio è: non tornare come sei partito. Torna diverso.
La strada continua ad essere sterrata, i panorami sono
eccezionali, quasi subito ci fermiamo a fare foto, in
lontananza si vede ancora il monastero e sopra di noi
dei ghiacciai. La strada sale dolcemente fino al Pensi
La, un magnifico passo a 4500m. Di fronte a noi il
Takar Durung Drung un ghiacciaio che secondo la
guida è lungo 70km. Le cime che lo circondano sono
chiamate genericamente “Z”, sono montagne senza
nome, in gran parte inviolate. La strada ora scende,
ogni tanto qualche guado, i panorami sempre belli ma
la giornata si presenta faticosa. Ad un certo punto sulla destra, oltre il torrente, un piccolo villaggio,
Lotus ci dice che lui abita lì. Prontamente Giuseppe gli dice che possiamo fare una piccola
deviazione se vuole salutare la famiglia, così
attraversiamo il torrente e attraversiamo tutto il
villaggio, quella di Lotus è l’ultima casa. La
casetta, per quanto umile rispetto ai nostri
standard, è forse una delle più curate, la
mamma ci corre incontro per aprire la
recinzione, saliamo in sala da pranzo. La
struttura è semplice: un mobile sul fondo
contenente piatti e tazze varie, niente sedie,
tappeti e cuscini per terra e piccoli tavolini.
Subito ci portano del the con latte e del the
tibetano (salato), veniamo invitati a pranzo e
siamo ben felici di accettare. Si mangia dal bat particolarmente ricco di coriandolo, io e Monica
facciamo fatica a mangiarlo ma finiamo tutto per educazione. Dalla casa torniamo al ponte a piedi
così digeriamo poi ci vorranno ancora due noiose ore per arrivare a Padum, la strada ha anche un
breve tratto asfaltato, chissà perché! Il paese non sembra turistico (niente a che vedere con Leh),
l’hotel dove siamo alloggiati è a malapena dignitoso. A cena andiamo in un ristorante dove ci
garantiscono ci sia carne (a parte Arianna che è vegetariana siamo tutti in crisi d’astinenza)
ordiniamo ma dopo un po’ arriva il cameriere e ci dice che, essendo lunedì, non hanno carne, non
capiamo il motivo, poi oggi è giovedì. Discutiamo un po’ ma non se ne esce, così ordiniamo i soliti
piatti vegetariani, dopo parecchio arrivano e con nostra sorpresa contengono carne di montone!
09/08