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Il paese degli alti valichi

Introduzione
Un viaggio inizia quando si inizia a sognarlo, questo poi ha avuto un valore aggiunto essendomi
venuta dietro mia figlia sedicenne. Monica non è stata subito convinta, prima si, poi forse, poi “ma
potremmo fare qualcos’altro”, “ci penso”, alla fine, dopo l’ultimo giorno di scuola la risposta
definitiva: si. Grande felicità e inizio dei preparativi, se fossi andato senza Monica probabilmente
sarei andato da solo ma essendoci la figliuola ci siamo iscritti ad un viaggio di AnM e anche questa
volta il gruppo si è rilevato simpatico. Se avrete la pazienza di leggere tutto il diario scoprirete che
non proprio tutto è andato bene, anzi ci sono stati dei momenti “drammatici”, degli inconvenienti
spiacevoli, ma il tutto fa parte del Viaggio. Un turista vuole che tutto vada per il verso giusto, che si
rispetti il programma preventivato, un viaggiatore vuole scoprire, l’imprevisto diventa parte
importante dell’esperienza. Un vero viaggio ti cambia dentro è prima di tutto un viaggio dell’anima!
02/08

E non c’è niente di più bello dell’istante che precede


il viaggio, l’istante in cui l’orizzonte del domani viene
a renderci visita e a raccontarci le sue promesse.
Sveglia alle 5:30, ore 6:41 treno; soliti pensieri, quella
sensazione allo stomaco, da adesso si esce dalla propria confort
zone, una sensazione che mi esalta! Arrivo a Roma alle 11:33,
puntualissimo. Portiamo gli zainoni al deposito bagagli poi ci
facciamo un giretto per Roma senza troppe pretese.
Ore 15:30 bus per Fiumicino rimaniamo nei pressi del bancone
di AnM a rilassarci. Poco prima delle 18 arriva Giuseppe con
Arianna, Andrea era già li ma non conoscendoci non ci siamo
incontrati. Le formalità di frontiera sono veloci e il volo parte
puntuale alle 20:40. Siamo sulla Air India, compagnia pessima:
sedili scomodi, pochi film, cibo appena passabile ma
l’importante è che ci siamo, finalmente siamo in viaggio!
03/08

Alcuni luoghi sono un enigma. Altri una spiegazione.

Arrivo a Nuova Delhi alle 8:10 (in Italia sono le 4:40)


sia io che Monica abbiamo dormito poco, ci rifaremo
nei prossimi giorni, oggi dobbiamo visitare New Delhi.
Le formalità di frontiera sono veloci da superare e
appena fuori contrattiamo lungamente per un taxi,
troppo caro ma dall’aeroporto è così. Arriviamo allo
Sky hotel prenotato da Giuseppe tramite booking,
vicino all’aeroporto. A prima vista sembra una
schifezza immane, soprattutto la zona dove è inserito
ma dentro è sufficientemente pulito. Prendiamo posto,
facciamo una frugale colazione e poi andiamo a
prendere la metropolitana. Ci vogliono giusto 10’
arrivare alla stazione a piedi, un casino indescrivibile,
clacson continui, mix di odori pessimo e traffico,
veramente tanto traffico. La metropolitana invece è
un’oasi di modernità e tranquillità, un contrasto
incredibile. Arrivati al capolinea contrattiamo un tuc
tuc in 5 (Monica sta sulle ginocchia mie e di Arianna),
peccato non essere riusciti a filmare il percorso, un
vero delirio di traffico e confusione. Dopo un lungo
percorso arriviamo alla
Jama Majid: conosciuta con il nome di Jama Masjid, ed è la moschea principale della città di
Nuova Delhi in India. Questa costruzione è stata costruita su commissione dell’imperatore
Mughal Shah Jahan ed è diventata la costruzione islamica più famosa della regione indiana. Si
trova all’inizio della Chawri Bazar Road,
una strada centrale molto trafficata della
città di Nuova Delhi. Il suo nome vuole
richiamare alla preghiera settimanale del
venerdì nel rito islamico a mezzogiorno,
ovvero il Jummah che viene fatto solo in
moschea. Il cortile di questa costruzione
sacra può contenere fino a venticinque
mila fedeli e al suo interno sono
conservati pezzi di grande pregio come
una copia antica del Corano scritta sulla
pelle di cervo.
Esteticamente ne ho viste di più belle ma lo stile (Moghul) la rende diversa dalle altre moschee
visitate, prima cosa che salta all’occhio sono i colori, la pietra rossa che fa contrasto con i marmi
bianchi, poi le forme, alcune parti interne morbide ma esternamente piuttosto spigolosa, infine
risalta la pace che regna dentro rispetto a quello che si vive tutt’intorno: una confusione da inferno
dantesco. Usciti dalla moschea ci dirigiamo al Forte Rosso ma ci vorrebbe troppo per visitarlo e
siamo stanchi, così andiamo a mangiare in una bettola vicina. Il posto ha l’aria condizionata e, come
ovunque, ci mettono tempi biblici a servirci ma si mangia bene e soprattutto seduti. Finito di
mangiare prendiamo un taxi che ci porta a
Humayun: la tomba di Humayun.
Humayun, sovrano moghul (popolo
con origini turche e mongole
discendente di Gengis Khan e
Tamerlano) succedette, nel 1530,
come figlio, al primo imperatore
moghul in India, Babur. Humayun
governò in India per un decennio,
finché nel 1537, sconfitto da Sher
Shah Sur, un signore del Bihar,
dovette esiliare in Persia presso lo
scià Safavide, che poi lo aiutò, con il
suo esercito, a riprendere Delhi nel
1555, l’anno prima della sua morte.
Al mausoleo dove egli riposa si accede da un ingresso che conduce ad un parco. Seguendo il
percorso, tra scolaresche, turisti e scoiattoli, si giunge all’ingresso principale, un piccolo arco
da cui già si intravvede, magnifico, il grande edificio, proprio al centro del giardino; questo
nome, “quattro giardini”, è dovuto alla struttura dei giardini quadrilateri in stile persiano,
divisi da passerelle o da acqua che scorre lungo canali poco profondi, sullo stile del giardino
del paradiso descritto nel Corano. Fu Babur, il primo sovrano moghul in India, ad introdurre
nel Paese tali tipici giardini persiani.
Bello, sarebbe stato bello visitarlo da riposati, il posto ispira pace, le linee degli edifici sono
morbide e ben proporzionate. Finita la visita si torna in hotel per il riposo di giusti!
04/08

I turisti non sanno dove sono stati. Il viaggiatore non sa dove sta andando.
Viaggiare spesso vuol dire dormire poco, ieri sera
siamo andati a mangiare in un localino vicino all’hotel,
roba piccante come al solito, tornati all’hotel Monica
non si è addormentata, è svenuta sul letto!
Sveglia alle 4:30 e partenza dall’hotel alle 4:50, ci
vuole poco per arrivare all’aeroporto, solite code,
controlli e timbri ma a breve siamo sull’aereo per Leh.
A monica fa un po’ male l’anulare sinistro, una piccola
infezione a cui, sbagliando, non do particolare peso.
Alle 8:10 siamo a Leh e fuori troviamo il
corrispondente che ci porta in hotel (Dream Ladakh).
Siamo a 3500m di quota e si sente, una strana
sensazione alla testa, in hotel facciamo una veloce
colazione poi usciamo a visitare il centro.
Leh è una ridente cittadina di poco meno di 30kab,
fondamentalmente un enorme centro commerciale ma
in fondo piacevole, lievemente confusa se confrontato
che le nostre esperienze italiche, di una tranquillità
esagerata se confrontata con Delhi. In genere non amo
particolarmente questi luoghi troppo turistici ma devo
dire che il centro di Leh si esplora piacevolmente. Per pranzo troviamo un localino frequentato da
locals in cui una vecchietta fa i momo sotto i nostri occhi, buonissimi. Andando verso l’hotel io
faccio una deviazione a piedi salendo a Shanti stupa,
la quota la sento tutta accidenti! Tornato all’hotel ho
giusto il tempo per il the e si riparte, il nostro autista
(Lotus) ci porterà a visitare alcune attrattive:
Il Palazzo di Leh: è un ex palazzo reale, costruito
sul modello del palazzo Potala di Lhasa, in Tibet.
Il palazzo fu costruito dal re Sengge Namgyal nel
XVII secolo. Il palazzo fu abbandonato quando le
forze Dogra presero il controllo del Ladakh nel
XIX secolo e la famiglia reale si trasferì nel
Palazzo di Stok Il palazzo in rovina fu restaurato
da una spedizione archeologica indiana e oggi è
aperto al pubblico. Si può salire sul tetto per
godere della vista panoramica di Leh e dintorni.
Il palazzo contiene una ricca collezione di
gioielli, ornamenti, abiti cerimoniali e corone.
Thangka cinesi e dipinti di più di 450 anni, con
intricati disegni, conservano colori vivaci e
piacevoli derivanti da gemme e pietre frantumate
e in polvere.
Secondo la guida doveva essere mezzo diroccato invece è ben restaurato, addossato alla montagna,
sale per dieci piani, mano a mano che si sale il
panorama è sempre più bello e ci si rende conto di
come questa zona sia fondamentalmente un
deserto d’alta quota. Le pareti erano
originariamente affrescate ma adesso si può solo
intuire quale poteva essere la bellezza di alcuni
ambienti. Scendendo si può ammirare la cappella
con statue, maschere e preghiere buddiste. Tornati
alla macchina potremmo proseguire a piedi ma
Lotus con un ampio giro ci porta allo
Tsemo gompa: il suo nome significa monastero
del picco, un po’ diroccato ma certamente affascinante (soprattutto poi il panorama che si può
ammirare)
Si riprende la macchina per salire infine allo
Shanti stupa, di recente inaugurazione (1991), finanziato dai giapponesi, bella la struttura ma
bella soprattutto la posizione
05/08

Il viaggio è una specie di porta attraverso la quale si esce dalla realtà come per
penetrare in una realtà inesplorata che sembra un sogno.
Colazione alle 8 (finalmente si dorme!) poi alle 9 si parte con la jeep, usciamo da Leh,
attraversiamo l’Indo e ci dirigiamo verso le montagne di fronte a noi, nel tragitto si incontrano zone
militari e vari paesini e in una mezzoretta arriviamo a
Stok,, quando il sovrano nel XIX secolo si arrese
Zorowar Singh si trasferì qui da Leh (il palazzo
visitato ieri). Costruito nel 1825 da Tsepal Namgyal,
la struttura ne è simile ma la posizione meno
spettacolare, anche perché dietro hanno messo
un’antiestetica antenna ripetitrice. A differenza di
quello di Leh questo palazzo-fortezza è ancora
abitato, all’interno è presente un piccolo museo con
esposizione di arte buddista, pregevoli in particolare
in Thangka antichi, peccato non si possa fare foto.
Tornati alla macchina si risale la valle dell’indo fino a salire a serpentine sulla sinistra fino ad
Hemis: la più grande istutuzione monastica del
Ladakh, appartiene al lignaggio dei Drukpa del
buddismo Mahaiana, con il Gyalwang Drukpa
come sue supremo capo spirituale. Il Gompa di
Hemis, o almeno le sue sezioni più antiche,
risalgono agli anni ’30 del 1600 sotto l’egida
del re Sengge Namgyal, il più illustre monarca
del Ladakh. Un monaco chiamato Palden Sara
supervisionò la costruzione iniziale (aggiunte
continuate nel XVIII secolo) ma la forza
trainante del monastero fu Stag-tsang-ras-pa, il
saggio venerato dal re Sengge Namgyal.
Chiamato anche Sambhunatha, Stag-tsang Ras-
pa apparteneva al subordine Drukpa della
scuola Kagyupa del Buddhismo tibetano; sotto
la sua influenza, Drukpa divenne la religione di
stato del Ladakh e Hemis il suo principale
monastero. Il monastero è stato diretto nel corso
dei secoli dalle reincarnazioni di Stag-tsang
Ras-pa, ma oggi il monastero si trova senza un
abate perché all’attuale reincarnazione non è
stato permesso dalle autorità cinesi di rientrare dal Tibet dove è andato, quando era
giovane, per l’istruzione superiore. Molto bello il museo contenente svariati oggetti sacri
Dopo aver visitato il museo entriamo nelle due sale al pian terreno, risulta divertente cercare di
interpretare la simbologia buddista, peccato che arriva mezzogiorno e i monaci chiudono tutto
perché devono andare a mangiare. Così andiamo anche noi al vicino paese per pranzo.
Si prosegue su bella strada asfaltata, ad un certo punto si svolta a sinistra, si supera un ponticello e
si arriva al monastero di
Stigma, fondato nel tardo sedicesimo secolo da
un monaco Butanese, Chosje Jamiang Palkar. Il
nome significa letteralmente “naso della tigre” a
causa della forma della collina su cui è
costruito, arriviamo che è tutto chiuso, giriamo
un po’ a vuoto finché Giuseppe non va a
svegliare un monaco che ci fa pagare il biglietto
e ci fa entrare. Tra i monasteri visitati è il più
bello, anche perché siamo soli, nessun altro
turista fra i piedi. Dentro è ricco di pitture
apparentemente antiche e di mobilia interessante
Tornati alla macchina, riprendiamo la strada
principale ed in breve siamo al

Monastero di Thiksey: aderente alla scuola Gelug, il monastero sorge sulla collina sopra
l'omonimo villaggio, a nord dell'Indo, a circa tremilaseicento metri di altitudine. Nel XV
secolo lama Tzong Khapa, celebre maestro tibetano il cui insegnamento promosse la
formazione della scuola Gelug, mandò sei suoi discepoli attraverso il Tibet per diffondere la
sua visione del Dharma: a uno di essi, Sherab Sangpo, diede una statuetta del Bodhisattva
Amitabha contenente alcune reliquie, tra cui una goccia del proprio sangue, perché la
consegnasse al re del Ladakh con una richiesta di aiuto per la diffusione del Buddhismo
tibetano nel suo dominio. Il re decise che lo avrebbe aiutato e nel 1433 Sherab Sangpo
fondò la piccola università monastica di
Lhakhang Serpo, il «Tempio giallo», nel
villaggio di Stakmo, che successivamente il
nipote Spon Paldan Sherab decise di
trasferire sul colle attuale. Si racconta che
Sherab Sangpo e Spon Paldan Sherab
stessero preparando il rito della torma
quando due corvi rubarono il piatto
cerimoniale delle offerte e lo posero su un
colle vicino: questo sarebbe stato un segno
divino atto a indicare il luogo più propizio
per l'edificazione del monastero. La comunità monastica, che ospita una sessantina di
monaci, è famosa per il Tempio di Maitreya al suo interno, in cui è custodita una statua a
sua immagine alta quindici metri e occupante ben due piani del gompa, monche per la
somiglianza con il Potala di Lhasa, l'imponente residenza che fino al 1959 fu l'abitazione
del Dalai Lama, ragion per cui viene spesso chiamata «Piccolo Potala». L'edificio più
grande ha circa una dozzina di piani ed è dipinto di rosso, giallo, ocra e bianco, mentre la
sala della preghiera ha una biblioteca con innumerevoli
manoscritti miniati, tra questi i duecentoventiquattro
volumi del Tangyur.
Ultimo monastero della giornata è
Shey dove visitiamo il monastero che fu costruito da
Deldan Namgyal all'inizio del XVII secolo d.C.
L'immagine principale del monastero è la statua a tre
piani del Buddha Shakamuni, realizzata in rame dorato.
Per fortuna è mezzo diroccato così la visita è veloce e
possiamo tornare a Leh.
06/08

Viaggiare è come innamorarsi: il mondo si fa nuovo…


Questa mattina sveglia alle 7 e partenza alle 8, si inizia i
tre giorni di trasferimento verso Padum, Il parlamento
indiano ha approvato una nuova legge che ha fatto
incazzare non poco i mussulmani del Kashmir così ci
sono stati casini e i turisti sono stati evacuati. In Ladakh
la situazione è tranquilla ma non funziona internet così
non possiamo comunicare a casa.
La strada è perfettamente asfaltata, a parte la continua
presenza di militari che mette un po’ ansia (vista anche la
situazione politica) il viaggio è tranquillo. Ci fermiamo a fare qualche foto nel punto dove lo
Zanskar si immette nell’Indo, luogo scenografico soprattutto per i diversi colori dei due fiumi. In
breve siamo ad
Alchi: il complesso monastico fu costruito, secondo la
tradizione locale, dal grande traduttore Guru Rinchen
Zangpo tra il 958 e il 1055. Tuttavia, le iscrizioni nei
monumenti conservati lo attribuiscono a un nobile
tibetano chiamato Kal-dan Shes-rab più tardi nell'XI
secolo. Dukhang o Sala delle Assemblee e il Tempio
principale (gTsug-lag-khang), che è un tempio a tre
piani chiamato Sumtseg (gSum-brtsegs), sono costruiti
nello stile del Kashmir; il terzo tempio è chiamato
Tempio Manjushri ('Jam-dpal lHa-khang). Anche i
Chortens sono una parte importante del complesso.]
Per accedere al complesso si deve passare obbligatoriamente
per una serie di bancarelle, dopo aver pagato il biglietto si
accede al complesso, dove sfortunatamente non si possono fare
foto. Noi ne rubiamo qualcuna anche se poi ci accorgiamo che
ci sono le telecamere di videosorveglianza. Usciti dal
complesso ci gustiamo un ottimo succo di albicocca mentre aspettiamo Andrea che sta contrattando
per una maschera. Proseguiamo e a pranzo ci fermiamo a Lamayuru in un ristorante con ottima wi-
fi così possiamo tranquillizzare casa. La strada prosegue in salita fino al Fotu La, passo a 4080m,
dopo le foto di rito scendiamo per poi risalire ad un secondo passo, il Namika La (3718m) dove
l’autista ci dà il contentino di farci camminare, giusto 1,5
ore di sentiero in gran parte in discesa comunque
abbastanza distante dalla strada da non essere fastidioso.
Ritornati in macchina manca poco a Mulberk dove
visitiamo il
Chamba Laknang, un tempio dove si può ammirare
un’enorme statua scolpita nella roccia del Budda (per la
precisione di Chamba, nome tibetano per il budda del
futuro).
Pochi minuti ancora e siamo alla guest, stanze essenziali con bagno comune ma con un bel giardino
e pulita. Lotus viene a dirci che, a causa della situazione in Kashmir domani dobbiamo passare per
Kargil (cittadina a circa 60km da noi a maggioranza mussulmana) prima dell’alba così sveglia alle
4!
07/08

Siamo tutti viaggiatori nati. Abbiamo polvere di stelle nelle vene, cartine geografiche
con strade d’argento negli occhi e istruzioni per viaggiare fino a Andromeda…
Alle 4 vengono a svegliarci e si parte, l’autista sembra
agitato, fuori è buio, corre eseguendo anche qualche
sorpasso azzardato. Arrivati a Kargil attraversiamo un
ponte e giriamo a sinistra, ancora non si vede nulla,
sembra di intuire una vegetazione rigogliosa (almeno
rispetto alle zone precedentemente visitate). La strada
corre sul fondo della Suru valley presso il torrente
omonimo, comincia ad albeggiare e arriviamo ad una
sbarra dove Lotus paga un pedaggio, l’autista si
tranquillizza, in breve arriviamo ad un check point
dell’esercito, da lì in poi la strada diventa un pessimo sterrato, poco prima di Suru prendiamo una
deviazione verso sinistra, si va lenti, ma i panorami sono belli, di fronte a noi il Kun e il Nun due
7000 gemelli. Aggiriamo a sinistra i due giganti e proseguiamo immersi in panorami di montagna.
Cominciamo a chiedere quando possiamo fare colazione, finalmente, verso le 8, a Parlachik ci
fermiamo ad un piccolo locale, la moschea in
lontananza ci segnala che siamo ancora in zona di
cultura mussulmana ma gli insediamenti sono
minuscoli. Dopo il the e aver mangiato quanto
c’era nel sacchetto fornitoci dalla guest decidiamo
di andare ad ammirare da vicino il sovrastante
ghiacciaio, solo Arianna non viene perché si sente
male. La salita è veloce ma merita la vista della
lingua del ghiacciaio che scende dalla cima
sovrastante. Ritornati alla macchina si riparte, il
viaggio sarà lungo: a destra alte cime innevate, a
sinistra montagne tondeggianti, qua e là qualche marmotta. Poco dopo mezzogiorno arriviamo a
Rangdum, un passo a 4100m dove nuovamente ci controllano i passaporti e dove ci mangiamo un
Dal Bat (unica opzione disponibile nell’unico locate del passo). A breve siamo al campo tendato
dove saremo ospitati, il posto è bello, una ampia pianura sabbiosa di fronte a noi e oltre, montagne
rocciose con stratificazioni pesantemente contorte dall’orogenesi. Io e Monica abbiamo un po’ di
mal di testa così ce ne stiamo a dormicchiare fino alle 3 quando tutti assieme andiamo a visitare il
vicino…
monastero di Rangdum è un
monastero buddista tibetano
appartenente alla setta Gelugpa,
situato sulla cima di una piccola
ma ripida collina sugarloaf ad
un'altitudine di 4.031 m (13.225
piedi) a capo della valle del Suru.
Si trova vicino al piccolo villaggio
di Julidok, a circa 25 km dalla
Pensi La (passo) di 4.400 m
(14.436 piedi), che conduce in
Zanskar. Il monastero di Rangdum
è un monastero buddista tibetano appartenente alla setta Gelugpa , situato sulla cima di una
piccola ma ripida collina sugarloaf ad un'altitudine di 4.031 m (13.225 piedi) a capo della
valle del Suru , in Ladakh . Si trova vicino al piccolo villaggio di Julidok, a circa 25 km
dalla Pensi La (passo) di 4.400 m (14.436 piedi), che conduce in Zanskar .Secondo
un'iscrizione il monastero fu costruito da Gelek Yashy Takpa durante il regno del re
Tsewang Mangyul di Ladakh circa 200 anni fa. Sebbene sia fisicamente nella valle del Suru,
fa parte culturale di Zanskar. Poiché non si può contare sui raccolti raccolti a causa della
breve estate, sia il villaggio che il monastero dipendono da rifornimenti, diversi dai prodotti
lattiero-caseari di produzione locale, allevati nella sterile valle del Suru o oltre i 4.400
metri (14.436 piedi) Pensi La pass di Zanskar. Il monastero ospita circa 30 monaci e quasi
altrettanti asini.
08/08

L’unica regola del viaggio è: non tornare come sei partito. Torna diverso.
La strada continua ad essere sterrata, i panorami sono
eccezionali, quasi subito ci fermiamo a fare foto, in
lontananza si vede ancora il monastero e sopra di noi
dei ghiacciai. La strada sale dolcemente fino al Pensi
La, un magnifico passo a 4500m. Di fronte a noi il
Takar Durung Drung un ghiacciaio che secondo la
guida è lungo 70km. Le cime che lo circondano sono
chiamate genericamente “Z”, sono montagne senza
nome, in gran parte inviolate. La strada ora scende,
ogni tanto qualche guado, i panorami sempre belli ma
la giornata si presenta faticosa. Ad un certo punto sulla destra, oltre il torrente, un piccolo villaggio,
Lotus ci dice che lui abita lì. Prontamente Giuseppe gli dice che possiamo fare una piccola
deviazione se vuole salutare la famiglia, così
attraversiamo il torrente e attraversiamo tutto il
villaggio, quella di Lotus è l’ultima casa. La
casetta, per quanto umile rispetto ai nostri
standard, è forse una delle più curate, la
mamma ci corre incontro per aprire la
recinzione, saliamo in sala da pranzo. La
struttura è semplice: un mobile sul fondo
contenente piatti e tazze varie, niente sedie,
tappeti e cuscini per terra e piccoli tavolini.
Subito ci portano del the con latte e del the
tibetano (salato), veniamo invitati a pranzo e
siamo ben felici di accettare. Si mangia dal bat particolarmente ricco di coriandolo, io e Monica
facciamo fatica a mangiarlo ma finiamo tutto per educazione. Dalla casa torniamo al ponte a piedi
così digeriamo poi ci vorranno ancora due noiose ore per arrivare a Padum, la strada ha anche un
breve tratto asfaltato, chissà perché! Il paese non sembra turistico (niente a che vedere con Leh),
l’hotel dove siamo alloggiati è a malapena dignitoso. A cena andiamo in un ristorante dove ci
garantiscono ci sia carne (a parte Arianna che è vegetariana siamo tutti in crisi d’astinenza)
ordiniamo ma dopo un po’ arriva il cameriere e ci dice che, essendo lunedì, non hanno carne, non
capiamo il motivo, poi oggi è giovedì. Discutiamo un po’ ma non se ne esce, così ordiniamo i soliti
piatti vegetariani, dopo parecchio arrivano e con nostra sorpresa contengono carne di montone!
09/08

Viaggiando alla scoperta dei paesi troverai il continente in te stesso.


Ore 9, andiamo a visitare la scuola di Pibiting, gli
scolari si incontrano per la puja (alla faccia della
laicità della scuola), lunga e noiosa preghiera, dopo
un po’ ci stufiamo e andiamo a visitare l’adiacente
cucina. Finita la parte religiosa vanno in fila presso lo
stupa difronte alla scuola dove vengono disposti in
modo militaresco, alcuni ragazzi salgono sul palco a
dire qualcosa (il preside ci dirà poi che espongono dei
pensieri personali). Una volta che i ragazzi sono
entrati in classe il dirigente ci accoglie nel suo ufficio
per spiegarci il funzionamento della scuola: sostenuta da un’associazione italo/francese, gli studenti
vanno dai 4 ai 16 anni, ogni anno vengono accettati 20 nuovi alunni estratti a sorte, 10 maschi e 10
femmine. La retta per il primo figlio è circa 200€ l’anno (il secondo gratis), gli insegnanti arrivano a
prendere fino a 300€ al mese. Le lezioni sono tenute in quattro lingue, inglese, urdi, Hindo e Bodhi
(un dialetto locale). Finita la visita proseguiamo per il vicino monastero di Stakrmo dove stanno
facendo la puja. Ci sono due edifici, entriamo nel primo ma sembra che siamo arrivati in ritardo, la
preghiera è finita e non sembrano interessati a ricominciare. Ci spostiamo nel secondo edificio di tre
piani dove al secondo piano sono nel pieno della puja. Ci sono
tre monaci, che continuano con un mantra sempre uguale e
ogni tanto usano gli strumenti musicali. Entrano delle persone
locali che si fanno fotografare volentieri, all’inizio è bello
partecipare a questa cerimonia ma dopo un po’ si ripete
sempre uguale e risulta noiosa. Usciamo ed entriamo in una
stanza vicina, dove varie persone chiacchierano e prendono il
the che offrono subito anche a noi. Usciti dal monastero
riprendiamo la macchina e andiamo in paese a mangiare. Il
pomeriggio andiamo al monasteri di Karsha, saliti al
monastero troviamo tutto chiuso, un monaco è sdraiato
all’ingresso ma ci risponde a gesti, probabilmente era
sordomuto. Finalmente troviamo un monaco con le chiavi che
previo pagamento dell’offerta fissa di 50 rupie a testa ci fa
entrare. Ci sono due sale per le cerimonie, quella superiore più
vecchia e quella inferiore apparentemente moderna.
Concludiamo la giornata andando a piedi fino al ponte
sottostante dove c’è Lotus che ci aspetta per riportarci a Padum. Io e Monica andiamo in farmacia a
far vedere il dito e la farmacista gli dà pastigliotte di antiinfiammatorio che non avranno grande
effetto

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