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Lions Club Rotary Club

Andar per
Marostica Bassano Castelli

Alberi e Castelli
Sentiero dei Carmini
Sentiero panoramico e naturalistico
tra la città ed il castello superiore
Cari amici,

la presentazione della minuta di “Andar per Alberi e Castelli” costituisce


motivo di particolare soddisfazione perchè consente di suggellare l’inizio di
una collaborazione in grande amicizia tra i nostri Club. Volutamente abbia-
mo riservato questo evento come ultimo atto ufficiale del nostro mandato in
questo incontro congiunto. Il progetto, importante e di particolare utilità per
il visitatore, non dovrebbe fermarsi alla sola pubblicazione della guida: nelle
previsioni vi è l’installazione alla partenza del Sentiero di un grande tabellone
riportante il percorso con i punti di interesse, e il posizionamento lungo il
cammino di apposite tabelle-schede che consentano l’individuazione concreta
di quanto illustrato nel testo della guida. Per il momento ci siamo fermati alla
presentazione di una bozza di ciò che dovrebbe essere la pubblicazione di
riferimento, ma questo è un punto fondamentale del service, che ci auguriamo
possa trovare con i Presidenti incoming la completa realizzazione. Vogliamo
anche ringraziare quanti hanno collaborato: Beppe Busnardo, Stefano Furlani,
Paolo Grendele, Antonio Muraro, Chiara Padovan, Ivonita Azzolin, Fabrizio
Marcon, Diego Morlin, Sergio Toniazzo e quanti intenderanno ancora offrire
il loro apporto affinché questo service - a favore della Città di Marostica che
lega i nostri Club non solo nel simbolo ma anche nei sentimenti di apparte-
nenza - abbia definitiva e completa attuazione.

Gianni Maroso Gaetano Sebellin


Roberto Pozzobon Casimiro Petucco
Rotary Club Castelli Lions Club
Bassano del Grappa Marostica

Marostica, 30 Maggio 2009


DOMANDE - RISPOSTE

Dove si trova la passeggiata?


Sul colle Pausolino, sul quale è situato il Castello Superiore di Marostica. Si tratta di un rilievo ben distinto
nella fascia collinare che lo comprende per motivi sia di ordine orografico (due vallette profonde lo deli-
mitano a destra e a sinistra) che storico-paesaggistico (Castello e Cinta murata lo rendono immediata-
mente percepibile). Condivide però con i colli vicini alcune importanti caratteristiche ambientali: posizione
ad immediato ridosso della pianura, fianco meridionale ripido e ben soleggiato, fianco settentrionale
meno scosceso, più freddo e maggiormente lasciato al bosco.

Cosa c’è di interessante da vedere?


A Marostica non si possono non visitare il Castello Inferiore, la Piazza degli Scacchi, la Chiesa di
S.Antonio Abate (con la famosa pala d’altare che Jacopo Bassano dedicò nel 1574 alla “predicazione di
S.Paolo”), Borgo Giara con il Convento di S.Sebastiano e numerosi altri siti d’interesse storico-artistico.
Lungo questa passeggiata si lambisce in più punti la Cinta murata del colle, si raggiunge il Castello
Superiore e, sulla sommità del Pauso, si mettono i piedi sul luogo nel quale venne edificato già in epoca
romana un artico fortilizio (tracce ancora visibili) su un sito che aveva visto già insediamenti preistorici.
Anche le manifestazioni naturalistico-ambientali sono molteplici: prati da sfalcio punteggiati di oliveti (un
aspetto tipico del bassanese), boschetti di vario tipo (castagneti, carpineti con Carpino nero…), balze
rupestri aride e soleggiate alternate a piccole gole ombrose. E poi coltivazioni di ciliegie (celebri queste di
Marostica), vigne, prati terrazzati ed altro ancora. Rilevanti e attraenti i numerosi scorci panoramici che
si succedono lungo la passeggiata: verso la sottostante Marostica, verso la pianura vicentina e verso le
prealpi vicentine.

Cosa (e come) noi vi proponiamo di osservare ?


Una piccola scelta di alberi ed erbe che siano facilmente e lungamente riconoscibili e, allo stesso tempo,
anche ben significativi, ovvero capaci di caratterizzare l’individualità del luogo e i diversi ambienti che lo
compongono. Meglio poco ma bene. Con una ciliegina sulla torta: la segnalazione di un’ erba curiosa e
rarissima da poco scoperta presso alcune balze rupestri in prossimità del sentiero. E’ questo il segno che
questo nostro territorio nasconde ancora preziosità naturali che lo rendono davvero speciale.
Non potrà mancare un piccolo sguardo alle rocce, così determinanti nel modellare il colle, i suoi paesaggi
e le stesse condizioni di esistenza sia per la natura che per le coltivazioni agrarie. Non mancheranno,
naturalmente, alcuni brevi suggerimenti per capire la presenza del Castello e di altri siti d’interesse
storico. Lungo la passeggiata, ciascuno di questi elementi da osservare sarà indicato dalla presenza di
alcuni tronchetti che indicheranno altrettanti punti tappa (o punti sosta) e la cui numerazione rimanderà
alla numerazione delle tappe nel testo di questo libretto.
Se avrete voglia di sapere di più, una piccola bibliografia in appendice vi consiglierà alcune buone letture.

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L’ESCURSIONE

Salita. Lasciata alla propria destra (est) la Chiesa dei Carmini, si imbocca il sentiero selciato che prende
subito a salire sul fianco meridionale del colle.
Fatte alcune svolte in mezzo agli olivi (tappa n. 1), si abbandona il tragitto principale e si devia verso
destra (est) iniziando a percorrere un sentiero in terra battuta che dapprima lambisce un affioramento
rupestre (tappa n. 2) e poi sale deciso con alcune svolte e qualche breve tratto ripido fino a raggiun-
gere un bivio. Si va sulla destra (est) e si arriva ad una torre della cinta muraria orientale. Ottimo punto
panoramico.

Si ritorna sui propri passi ripercorrendo a ritroso per breve tratto il sentiero e lasciato verso il basso il
sentiero da cui siamo saliti, si continua diritto (ovest) con breve tratto semipianeggiante (tappa n. 3) e si
va a ricollegarsi al tragitto principale del sentiero selciato (che in precedenza avevamo abbandonato).
Si ritorna a camminare su questo (tappa n. 4) e con alcune svolte si giunge di fronte alle mura del
Castello Superiore.
Si passa di fronte all’ingresso (tappa n. 5) e si percorre ora, in discesa, la strada asfaltata di accesso al
Castello stesso. Usciti oltre le mura (ottimo punto panoramico) e aggirato un tratto settentrionale del col-
le, si perviene subito ad un parcheggio per auto (antistante il Museo Ornitologico) sul cui angolo orientale
si noterà l’inizio di un sentiero (tabelle).

Si imbocca questo e si continua a scendere (tappa n. 6), ora in direzione est, fino ad arrivare ad una
apertura del colle e ad un bivio. Continuando diritti (est) si può effettuare una deviazione fin sulla sommi-
tà del Pauso (tappa n. 7).
Deviazione verso la sommità del Pauso. Si imbocca il sentiero che prosegue in mezza costa verso est e,
dopo circa 200 m., presso una sella prativa si devia a destra (sud-est) seguendo una traccia che traversa
il prato e poi risale il piccolo fianco nord del Pauso giungendo rapidamente sulla sommità contrassegnata
da una grande croce.

Ritorno a Marostica. Ridiscesi dal Pauso, si può scendere a destra (est) seguendo il sentiero che traver-
sando il versante nord del Pauso stesso scende al Borgo Giara di Marostica.
Di qui, per vie cittadine, si ritorna in Piazza degli Scacchi.
In alternativa, si ritorna al bivio sopra citato e si imbocca il sentiero selciato che scende sul lato di una
valletta (Val di Botte) e che raggiunge rapidamente le case di Marostica
Oppure, infine, si può compiere a ritroso il percorso fatto in precedenza.

ISTRUZIONI PER L’USO

Punto di partenza sul lato ovest della Chiesa dei Carmini (quota 110 m circa).

• Come arrivare al punto di partenza: arrivati a Marostica (alcuni parcheggi per auto sono situati fuori le
mura) si raggiunga la Piazza degli Scacchi e di qui, imboccando verso nord si raggiunge la grande e
suggestiva chiesa di S.Agostino Abate. Subito a monte di questa, in posizione evidente al di sopra di
una scalinata, è situata la Chiesa dei Carmini sulla cui sinistra (ovest) si trova il punto di partenza.
• Tempo di cammino: 2 ore per andata e ritorno (al netto delle soste).
• Dislivello: 150 metri.
• Tipo di percorso: sentiero (in larga parte ampio e selciato) e un breve tratto su strada.
• Segnalazioni: tabelle logistiche sia in legno che metalliche (alcune si riferiscono ad altri percorsi che qui
si incrociano); tronchetti in legno (numerati) per individuare i punti di osservazione.
• Difficoltà: nessuna (ma serve attenzione al possibile transito di auto nel breve tratto su strada).
• Informazioni: Pro Loco Marostica (0424.72127), presso il Castello Inferiore, aperta tutti i giorni con
orario 9-12.30 / 14.30-18.30.

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PRIMA DI INIZIARE IL CAMMINO, UNO SGUARDO ALMENO A...

CASTELLO INFERIORE - Il Castello inferiore, tutto merlato, ha pianta rettangolare, è un tipico castello-
recinto costruito a ridosso di un imponente mastio e costituisce un pregevole esempio di architettura
militare. Dopo la guerra della Lega di Cambrai, che danneggiò gravemente il Castello superiore, il podestà
vi trasferì la sua sede.
Molti ed autorevoli sono i testimoni che ci raccontano del Castello da basso. Lo storico Matteazzi (1708)
ricorda la possente e solida architettura militare, capace “a tenere lungi un esercito” e la residenza del
podestà “così comoda et decorosa che altri castelli da me vedduti non hanno la compagna certo”. E poi
l’inglese H. Brown (1884) che ci racconta che “l’intera facciata è dipinta di rosso, ma un rosso di quattro
o cinque tinte differenti, che passano dal chermisino al porpora, dove il dipinto e l’intonaco son molto
antichi e resistenti alle intemperie”. Infine lo Spagnolo (1907) che descrive l’uso e la distribuzione dei
locali che all’epoca ospitavano le carceri (nel mastio centrale), il teatro sociale, le scuole elementari e
commerciali, la pretura, l’ufficio postale e la gipsoteca Ferrari. Tutto ciò fino al grande restauro del 1934-
36 che restituì al Castello l’attuale immagine. Dal 1936 al 1984 fu sede del Municipio di Marostica e di
tutti i suoi uffici.
Un nuovo recentissimo intervento di restauro ha interessato il Castello inferiore, che attualmente ospita
la sede della pro Marostica, il Museo Cappelli di paglia di Marostica e il Museo dei costumi della Partita a
scacchi, sale espositive e sale di rappresentanza.
Entrando nel cortile, a piano terra si possono ammirare due affreschi secenteschi di San Cristoforo e S.
Antono Abate, il pozzo coperto da una grata medievale, e una bifora in pietra, collocata sulla parete a
ponente del loggiato, proveniente dal chiostro di San Sebastiano. A ovest il cortile è dominato dal grande
mastio.
Al primo piano si incontrano affreschi del XVII secolo con richiami a episodi mitologici, il busto di
Prospero Alpini (botanico ed esploratore vissuto tra il XVI e XVII secolo, che al rientro da un viaggio in
Egitto introdusse il caffè in Europa), una piccola ara votiva dedicata al culto della dea Diana e una curiosa
iscrizione che utilizza i segni del canto gregoriano.
Sempre al primo piano si trovano la Sala del Consiglio, la saletta delle Armi, la sala d’onore e la il museo
dedicato alla celebre Partita a Scacchi.

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PIAZZA CASTELLO - Conosciuta anche come Piazza degli scacchi deve la sua fama alla celebra mani-
festazione della Partita a scacchi a personaggi viventi che proprio qui viene rappresentata ogni due anni.
A sud della piazza, incastonata nel marmo, una grande scala racchiusa in una cornice a scacchi bianchi
e neri testimonia la dominazione degli scaligeri di Verona, che a Marostica dominarono nel XIV secolo. Al
centro, gigantesca e maestosa, la scacchiera in marmo bianco e rosa di Asiago, una delle principali attra-
zioni turistiche della città, realizzata nel 1954 dall’allora sindaco Marco Bonomo per mettere in scena la
prima edizione della Partita a Scacchi del dopoguerra. Sulla colonna di nord-est si incontra il leone di San
Marco, simbolo della Repubblica di Venezia, con il Vangelo aperto a testimoniare la libera scelta di Maro-
stica, avvenuta nel 1404, di porsi sotto la tutela veneziana. Proprio in quell’anno, infatti, la città si rivolse
alla Serenissima nella speranza di porre fine ad un periodo caratterizzato da dominazioni e sofferenze.
A nord-ovest di trova l’Albero della Libertà, fatto innalzare da Napoleone nel 1797 per celebrare la scon-
fitta di Venezia e porre al centro della città il simbolo della Francia, sul cui pennone sventola il vessillo di
Marostica così come si presenta nello stemma della città.
In alcune foto d’epoca è ancora possibile ammirare la fontana risalente al 1430, collocata nell’angolo
nord-est della piazza, demolita nel XX secolo.

PALAZZO DEL DOGLIONE - A nord della piazza sorge il Palazzo del Doglione, imponente edificio a pianta
rettangolare con torre merlata, loggetta campanaria e meridiana.
Di origine duecentesca (se ne ha traccia fin dal 1218) venne demolito e ricostruito tra il 1928 e il 1930;
l’ultimo restauro è avvenuto tra il 1992 e il 1995. Il nome Doglione deriva dal termine duecentesco don-
gione, manufatto fortificato. Negli anni ha avuto diverse funzioni: Cancelleria comunale, Collegio dei notai,
Monte di pietà, Congregazione di carità, Società Elettrica, sede del Corpo dei Pompieri, Biblioteca Civica.
Oggi è sede della Banca Popolare di Marostica.
Sulla facciata che guarda la piazza compare il simbolo della città di Marostica, mentre ai piedi della torre
si trova il Monumento ai Caduti. Sotto il porticato un simbolo che testimonia la vocazione scacchistica
della comunità: tre scacchiere dove giocare con pezzi giganti (per utilizzarli rivolgersi alla Pro Marostica)

CORSO MAZZINI - Quando nel XIV secolo gli scaligeri ridisegnarono il volto di Marostica, spostando il
centro civico da Borgo Giara, ai piedi del colle Pauso, al centro storico odierno, sviluppato sotto il colle del
Pausolino, il percorso lineare che fino ad allora aveva seguito la Pedemontana venne in parte modificato
e l’arteria principale del borgo divenne l’attuale corso Mazzini. Secondo lo schema voluto da Cangran-
de della Scala su questa via dovevano innestarsi, perpendicolari, le altre strade all’interno della cinta
muraria, così come si incontrano oggi. Lungo corso Mazzini si affacciano portici e palazzi di pregio, con
delicati rosoni, ringhiere in ferro battuto, ingressi in stile decò, cornici in pietra e facciate liberty. Alcuni
palazzi conservano tuttora la veste medievale, con merletti e torrette.

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CHIESA DI SANT’ANTONIO ABATE - Edificata intorno al 1383, per circa tre secoli fu anche chiesa
conventuale, precisamente fino al 1650, quando per volontà papale venne soppresso il convento dei frati
francescani. Ampliata tra il 1730 e il 1740 si presenta oggi con un’unica navata, con abside, un altare
maggiore e sei altari laterali. Il campanile, tipico esempio di torre campanaria, presenta una cella a bifore
ogivali e cuspide conica.
Tra i dipinti all’interno il più prezioso è sicuramente la Predicazione di San Paolo, datato 1574, opera di
Jacopo e Francesco Da Ponte.
Degni di nota sono la Deposizione di Cristo e Santi (1768) di Felice Cignaroli e la Santissima Trinità e San-
ti (1617) di Luca Martinelli. Sul soffitto, divisi in tre scomparti, affreschi di Giuseppe Graziani raffiguranti
la Gloria di Sant’Antonio Abate; al santo è dedicata anche la statua.
Notevoli gli altari, con paliotti policromi, e le statue presenti nel chiostro, in particolare San Rocco e San
Sebastiano, San Giuseppe, San Pietro e San Paolo.

CAPPELLA DEL SANTISSIMO SACRAMENTO -


Meglio conosciuta come Scholetta, è datata 1486
e venne edificata per volontà della Confraternita
del Santissimo Sacramento, all’epoca partico-
larmente influente a Marostica. Di particolare
interesse, sulla lunetta esterna, che si affaccia
alla chiesa di Sant’Antonio, un affresco di Jacopo
Da Ponte (1535) raffigurante il volto di Cristo, che
doveva fare parte di un apparato molto più ampio
sviluppato sull’intera facciata. L’affresco è stato
di recente restaurato grazie all’intervento del
Lions Club.

BORGO E CHIESA DEI CAR-


MINI - E’ uno degli angoli più
suggestivi e sereni di tutto il
centro storico, da raggiunge-
re risalendo verso nord una
delle vie che si dipanano da
corso Mazzini (via Tempesta,
via Cecchin, via Sant’Antonio,
via XXIV maggio).
La chiesetta, grazioso esem-
pio barocco, venne edificata
nel 1618 per volontà della
Confraternita del Carmine; a
pianta centrale presenta sul
soffitto affreschi di Giuseppe
Graziani (1699-1760). Di
fronte ad essa si apre la sca-
linata di origine seicentesca,
di recente restauro, utilizzata
come naturale palcoscenico
per concerti e rappresen-
tazioni.
Per la sua particolare posizio-
ne, dalla quale si può ammirare un suggestivo scorcio della piazza e di porta Vicenza, dà l’avvio a quello
che viene definito il dialogo tra le tre Chiese, con la parrocchiale di Sant’Antonio Abate e la Scholetta.

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IL VERSANTE MERIDIONALE DEL COLLE

Lasciata alla propria destra (est) la Chiesa dei Carmini, si imbocca il sentiero selciato che prende a salire
subito, molto deciso, sul fianco meridionale del colle. Si fanno alcune svolte in mezzo agli Olivi e si giun-
ge all’altezza di una deviazione verso destra. Qui sono state posizionate la tappa n. 1 (l’Oliveto) e, pochi
metri dopo aver imboccato questa deviazione, la tappa n. 2 (le rocce e la Felce ruggine).

Il versante meridionale del colle, che viene percorso


nel tratto iniziale del nostro itinerario, è attualmente
ricoperto, in larga parte, da un vecchio Oliveto. Qua
e là però, a macchie, stanno guadagnandosi spazio
sia alcuni alberi del bosco originario della collina
(Bagolari, Carpini neri, Ornielli, Roverelle), sia un
paio di temibili alberelli infestanti ed estranei ai no-
stri ambienti (Ailanto e Robinia). Nella parte centrale
del versante, invece, c’è un terzo elemento che si
fa vistosamente notare: alcuni gruppi di Conifere
di stampo ornamentale. E’ questo il frutto di un
impianto effettuato negli anni 1960-1970, oggi ben
visibile per il colore verde scuro cupo delle chiome,
che venne realizzato quando questi terreni vennero
donati al Comune di Marostica da Virgilio Salin. In
suo ricordo, poi, quest’area venne chiamata Parco
Salin. Vecchie colture di Olivo, nuovi impianti di
Conifere ed esuberante dinamismo degli alberi ori-
ginari del colle. Ma se volessimo restringere all’osso
e cercare un simbolo che ci racconti l’anima ed il senso profondo di questo versante solatio, questo non
può che essere dato che dal Bagolaro (vedi scheda a pag. 13). Nasce spontaneo dappertutto, ma soprat-
tutto sui suoli più sassosi, più aridi, più bruciati dal sole. Perché, essendo una pianta mediterranea, è il
sole e il secco che cerca. E non è questa sua esuberanza selvatica e spontanea la migliore testimonianza
visiva del microclima asciutto e temperato di questo versante meridionale, ripido e spesso rupestre ?
Uno sguardo (anzi, più d’uno) non può mancare alla Cinta murata che racchiude il fianco del colle. Venne
realizzata durante la dominazione degli Scaligeri, a partire dal 1372 (successiva ai due Castelli che erano
stati edificati nel 1311, subito all’inizio del possesso dei Signori di Verona). Si compone di un giro di mura
(che scendono a comprendere anche il centro urbano sottostante), di alcune torrette (i “rivellini”) ed è
dotata di camminamenti sulla sommità delle mura stesse.

Tappa 1 – L’Oliveto

Come ovunque nel bassanese in condizioni analoghe, in questo versante così ben soleggiato vennero
messi a dimora moltissimi Olivi. Ai loro piedi vi sono prati da sfalcio, magri e poco redditizi nelle condizio-
ni estreme date da balze così ripide e sassose

L’Olivo (Olea europea L. - Oleaceae)

E’ una pianta che si fa derivare, come entità coltivata, da alcune forme selvatiche dette Oleastro (di
dubbio indigenato in Europa, forse proveniente in epoche antichissime dall’Asia). E’ stato (ed è tutt’ora)
un albero fondamentale per tutte le civiltà del Mediterraneo.

Il suo riconoscimento è facile. Le foglie sono sempreverdi, opposte, lanceolate (1-2 x 4-8 cm), intere,
verde chiaro-grigiastro sopra e più chiare-pelosette sotto, con picciolo brevissimo. La chioma assume
colore e portamento inconfondibili.

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Pochi alberi, come l’Olivo, sono portatori di forti simbologie e sono stati capaci di ispirare celebri poeti e
tradizioni popolari. Rametti d’Olivo venivano dati ai vincitori delle Olimpiadi nell’antica Grecia e si usavano
nella Roma imperiale per augurare prosperità all’aprirsi dell’anno nuovo. La colomba che ritornò da Noè,
dopo il diluvio, aveva un ramoscello d’Olivo nel becco. E si potrebbe continuare con mille altre simbologie.

Tappa 2 – Le rocce affioranti

Lungo la passeggiata l’incontro con le rocce è continuo e molto evidente: nel selciato del sentiero, nei
muretti a secco, nella cinta muraria, nei bastioni del castello e poi, ripetutamente, in grossi blocchi e in
lastre che affiorano dovunque spezzando il pendio prativo. Che rocce sono ? E che importanza hanno ?

E’ bene anticipare subito che i colli di Marostica e Bassano possiedono una struttura geologica così
complessa che, da almeno due secoli, sono stati una sorte di laboratorio di ricerca per molte generazioni
di studiosi. Noi qui, perciò, ci limiteremo ad alcune minime annotazioni.
La loro origine risale ad un arco di tempo che dal periodo dell’ Eocene (iniziato circa 55 milioni di anni
fa) a quello del Miocene (conclusosi circa 4 milioni di anni fa). Sono dovute prevalentemente a depositi
sedimentari in ambiente marino tra i quali si sono insinuati o sovrapposti colate laviche di tipo basaltico.
L’ultima orogenesi ha poi provveduto a sollevare ed inarcare questa enorme deposito formatosi nel tempo
con la sovrapposizione di materiali diversi provocando spesso in più zone anche rovesciamenti e fratture
degli strati rocciosi. Il modellamento degli agenti atmosferici ha fatto il resto e ci ha consegnato le forme
delle colline come noi oggi le vediamo. E’ perciò facile capire l’importanza di questo intricato labirinto di
rocce. Dove affiorano strati più duri e tenaci, l’erosione ha fatto più fatica nel suo lavoro e noi oggi vedia-
mo balze rupestri che spezzano un colle e inibiscono la presenza di colture agricole ed abitazioni. Dove
affiorano, invece, sedimenti più teneri e friabili, l’erosione ha potuto modellare con facilità e regalarci quei
pendii dolci che favoriscono la presenza di un campo, di una vigna e, naturalmente, di case e contrade.

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A questa sorte non è scampato il colle del castello e tutto questo si apparirà chiarissimo lungo il cammi-
no se ci guarderemo attorno con attenzione. Lungo tutta la salita si incontrano esclusivamente rocce se-
dimentarie: dapprima lastre di arenarie e sabbie indurite, poi blocchi sporgenti di calcari duri e compatti
e poi ancora altre arenarie. Su queste ultime è costruito il Castello superiore. Quando si aggira il colle e si
inizia la discesa, invece, il farsi frequente del colore nerastro dei ciotoli del sentiero e dei muretti ci indica
inequivocabilmente che nei dintorni ci sono affioramenti di basalto. Poche decine di metri più oltre, dopo
il bivio per la Val di Botte, queste lave vulcaniche di tipo basaltico fanno bella mostra di sé proprio lungo il
sentiero (vedi anche a pag 18).

La Felce ruggine (Ceterach officinarum DC - Aspleniaceae)

Sulle crepe e sulle fessure delle balze rupestri


più aride e soleggiate vive copiosissima una
piccola felce che ci racconta molte cose. Come il
Bagolaro, è anch’essa una pianticella mediter-
ranea e la sua vigoria non è che una ulteriore
prova del carattere mite e temperato di questo
versante. Sui fianchi ombrosi e umidi dei colli
retrostanti potrete cercarla inutilmente: lì non ce
la fa a vivere.
Altre curiosità ci vengono dal binomio scientifico
con il quale venne battezzata oltre due secoli
fa. Ceterach è un termine di origine araba e
venne utilizzato presumibilmente per accentuare
questo suo carattere mediterraneo-orientale.
Officinarum (dal latino officina = farmacia) invece
ci ricorda che in passato se ne faceva uso come
astringente, come vermifugo e come anticatarrale
(soprattutto per la cura dei polmoni).

Distinguerla è facile. E’ piccolina (10-20 cm) ma può formare cespi vistosi; è di forma allungata con il
margine diviso in lobi arrotondati. Il carattere inconfondibile è sulla pagina inferiore: una fitta coltre di
squame e setole color ruggine estese dal picciolo all’apice.

Effettuata la deviazione verso destra (est) e lasciata alle spalle la tappa n. 2, si prosegue lungo il
sentiero in terra battuta. Alcune svolte ripide ci fanno
guadagnare quota e raggiungere rapidamente un altro
sentiero, ben marcato, che traversa pianeggiante tutto
il pendio da sinistra e destra. Giunti a questo punto, è
consigliabile una breve diramazione verso destra (est)
per raggiungere una delle torri della cinta murata (dove
è ospitata la sede della Compagnia delle Mura). Da que-
sta posizione si gode un magnifico panorama. Ritornati
sui propri passi, si prende invece il tratto pianeggiante
che, verso sinistra (ovest), ritorna a congiungersi con
il sentiero principale che in basso avevamo abbando-
nato. Lungo questo breve tratto in traversata è stata
posizionata la tappa n. 3 (le Conifere coltivate). La tappa
n. 4 (gli alberi spontanei) è posta invece più avanti, alla
prima svolta che si compie dopo aver ripreso il sentiero
principale.

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Tappa n. 3 - Conifere coltivate

Come già detto sopra, all’interno della cinta murata vennero messe a dimora anche molte Conifere
ornamentali per dare a questo luogo l’impronta di un parco cittadino (il Parco Salin). Di quell’impianto
rimangono ancora numerosi esemplari di Cipresso comune, di Cipresso dell’Arizona, di Pino da pinoli, di
Tuje e di Cedro dell’ Himalaya.
Si tratta di alberi non-spontanei nei nostri ambienti prealpini ma che, come altrove, una volta piantati
sono poi divenuti parte integrante del paesaggio.

Il Cedro dell’Himalaya (Cedrus deodara G.Don - Pinaceae)

Introdotto in Europa dai monti dell’Asia centrale nel 1822, è divenuto rapidamente uno degli alberi più
amati e più usati nei giardini delle nostre città. Venne subito apprezzato, in modo particolare, per la sua
capacità di dare una grande chioma piramidale sempreverde che si rivelò adatta per abbellire o scher-
mare spazi verdi.

Si può riconoscere facilmente osservando come le foglie aghiformi (molto sottili, pungenti a morbidi al
tatto, lunghe 4-6 cm) siano raggruppate a formare dei fascetti formati ciascuno da più di 5-6 aghetti
(fuorchè nelle punte dei giovani rametti, dove inizialmente gli aghi sono singoli). Attenzione: non va
confuso con gli affini Cedro del Libano e Cedro dell’Atlante (entrambi con aghetti più rigidi e lunghi solo
fino a 3 cm).

I Cedri, longevi e grandiosi, sono da sempre carichi di simbologie. Il Cedro dell’Himalaya era considerato,
nei suoi paesi d’origine, l’albero degli dei (da cui il nome “deodara”). Il Cedro del Libano, noto nel bacino
del Mediterraneo fin dall’antichità, era l’albero dell’Immortalità. Nella Bibbia venne usato ripetutamente
come sinonimo di forza e di capacità di resistere alla corruzione.

foto: Eric in SF

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Tappa 4 – Alberi spontanei

In ogni angolo di questo versante, che non venga sottoposto regolarmente allo sfalcio dell’erba, si può
agevolmente osservare il fenomeno dell’attecchimento spontaneo di molti alberelli. Sono Bagolari,
Carpini neri, Olmi campestri e Ornielli (accompagnati, in misura minore, da altre specie) i quali non fanno
altro che cercare di riprendersi uno spazio che era stato tolto loro nell’antichità con il disboscamento del
colle a fini agricoli. Questo è il loro ambiente originario di vita e qui cercano, con uno sforzo incessante,
di ritornare. Da alcuni , però, non sono più soli. Accanto a loro nascono spontaneamente anche altre
pianticelle che i nostri antenati non conoscevano. Due nomi tra tutti: la Robinia (vedi a pag. 17) e l’Ailanto.
La prima (detta volgarmente anche “cassia”) è nord-americana, la seconda è invece di origine cinese.
Sfuggite chissà quando e chissà dove da giardini e da colture, entrambe hanno dimostrato grande vitalità
e forte capacità competitiva. Come andrà a finire ? I nostri figli vedranno il paesaggio dei loro nonni o un
paesaggio globalizzato ?

Il Bagolaro (Celtis australis L. – Ulmaceae)

E’ un albero spontaneo e autoctono in tutte le regioni italiane, ma con spiccata preferenza per i luoghi a
clima mite e mediterraneo. Frugale e molto adattabile, attecchisce di preferenza su terreni magri, aridi,
sassosi e apparentemente ostili. Longevo, bellissimo e maestoso a maturità, è stato anche (ed è tutt’ora)
largamente usato in giardini antichi, in cortili di case di campagna, in spazi verdi cittadini.
Per poterlo riconoscere bisogna osservare con attenzione le sue foglie che sono di forma ovato-lance-
olata, regolarmente seghettate, di solito ruvide al tatto. Un buon aiuto è dato dalla caratteristica forma
che assume la punta della foglia: molto allungata e quasi acuminata. Decisivo è l’aspetto del frutto (però
presenti in piante adulte solo a tarda estate): una pallina carnosa (1 cm di diametro), bruno-nerastra,
lungamente penzolante.

Il Bagolaro (nel dialetto veneto detto bessolara, bagolar, perlara, pisoler o anche spaccasassi) era ben
conosciuto dai nostri nonni per l’utilità del suo legno. Duro e tenace ma anche elastico, si usava per stan-
ghe, assi, ruote e parti di macchine. Se ne faceva ottima legna da ardere ed anche una buona base per
carbone vegetale. Si mescolavano le foglie al fieno per aumentare la massa del foraggio. Se ne poteva
usare, infine, anche la corteccia per ricavarne un discreto colore giallo.
Lasciata alle spalle la tappa n. 4, si prosegue lungo il sentiero principale che compie alcune svolte e in
breve ci porta di fronte al Castello Superiore. foto: Manuel M Ramos

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CASTELLO SUPERIORE E CINTA MURARIA

Costruito su un precedente fortilizio, di cui si trova traccia nel 1262, il castello fu inizialmente sede della
famiglia del podestà di Marostica. Era dotato di mastio centrale ed aveva numerose stanze di residenza
per la famiglia nobile e per il personale di servizio. All’interno vi erano due cortili ed un camminamento
di ronda, all’esterno era circondato da un fossato con ponti levatoi. Gravemente danneggiato durante la
guerra della Lega di Cambrai (1508), tanto da costringere il podestà a trasferire la residenza nel Castello
inferiore, non venne restaurato e perse un po’ alla volta il suo aspetto originario. Scomparvero così anche
la chiesa, il mulino a vento e, nel 1550, la campana della torre alta. La cinta muraria, che collega i due
secolari manufatti, merlata e intervallata da 24 torresini, venne costruita a partire dal 1372, con cammi-
namenti di ronda, un profondo fossato e ponti levatoi agli ingressi.
Contemporaneamente iniziò la costruzione delle quattro porte, ciascuna preceduta da un rivellino ad
ulteriore protezione e difesa. Tre prendono il nome della città verso cui sono rivolte, porta Vicenza, porta
Bassano, porta Breganzina. La quarta, sulla sommità del Pausolino, si chiama porta di Tramontana.
Porta Breganzina venne murata in occasione dell’attacco degli Ungheri di Sigismondo di Lussemburgo, e
riaperta solo nel 1464. Va precisato che in realtà a Marostica vi sono cinque ingressi alla città murata: la
quinta porta, denominata Porta stazione, è in realtà un passaggio realizzato solo tra il 1934 e il 1935 per
facilitare l’accesso dei cittadini alla stazione.

NB. E’ possibile compiere una breve diramazione per visitarne l’interno e per ammirare il magnifico pano-
rama, che dal piazzale o dai bastioni, si apre verso Marostica e la pianura vicentina.
Ritornati sui propri passi, prima di proseguire in discesa lungo la strada asfaltata, si incontra, appena
dopo la porta d’ingresso al Castello, la tappa n. 5 (il Cappero e la flora muraiola)

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Tappa 5 – Flora muraiola

Il Cappero (Capparis spinosa L – Capparidaceae)

Ancora una prova di quest’impronta mite e temperata del lato meridionale del colle: alcuni cespi di
Cappero vivono sui tratti più soleggiati e riparati delle mura del Castello superiore. Un presenza che
rappresenta la normalità più assoluta nelle città del centro-sud della penisola e che si manifesta, invece,
come una vera rarità al nord, limitata com’è a pochi centri urbani situati nel pedemonte prealpino (anche
ad Asolo, ad esempio).

Riconoscere il Cappero è facile, anche perché le poche altre erbe muraiole che condividono il suo
ambiente di vita (le vecchie mura, appunto) sono generalmente molto diverse. Ha un ceppo legnoso con
foglie rotondeggianti, disposte sull’asse in modo alterno, intere sul margine ma spesso con due piccole
spine sul picciolo. I fiori appaiono ad inizio estate e sono formati da quattro petali bianco-rosei molto
vistosi.
Di questa pianta è ben noto l’uso che si
fa dei boccioli fiorali. Raccolti quando
sono ancora chiusi, vengono messi in
salamoia o sotto aceto per essere poi
utilizzati per arricchire pietanze. Forse
meno conosciute, invece, sono alcune
proprietà farmacologiche. La corteccia
della radice contiene una sostanza
amara (capparirutina) con effetto diure-
tico, astringente e tonico.

La flora muraiola

Nelle piccole fessure, tra i blocchi di


pietra delle mura, riesce a vivere un
piccolo contingente di altre erbette che,
per essere specializzate per questo
ambiente sicuramente duro e ostile,
sono dette “muraiole”. Sono frugali e
parsimoniose, poiché devono far tesoro
per tutti i mesi dell’anno di pochi schizzi
di terra portati dal vento e delle poche
gocce d’acqua piovana che riescono a
trattenere prima che scivolino via lungo
le mura. E in queste condizioni devono
far fronte al sole che le brucia dal mat-
tino alla sera e poi agli sbalzi termici
al calar della notte. Le campionesse di
questa vita sono le Parietarie (presenti
qui sulle mura con le specie Parietaria
diffusa e Parietaria officinalis), erbette
ben note alle nostre nonne che,
sfruttando la presenza sulle loro foglie
di minutissimi cristallini calcarei, ne
facevano mazzetti e scopette per pulire
l’interno le bottiglie di vetro.

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IL VERSANTE NORD-ORIENTALE DEL COLLE

Si lascia il Castello superiore e si prosegue lungo la stradina asfaltata che, in discesa, aggira le mura
verso sinistra (nord-est), oltrepassa una porta e si affaccia al versante settentrionale del colle. Improvvi-
samente cambia tutto e il panorama si apre verso il bordo meridionale dell’ Altopiano dei Sette Comuni.
Si scende ancora brevemente fino ad un piazzale antistante l’edificio del Museo Ornitologico. Il museo,
collocato a poca distanza dal Castello superiore, si caratterizza per la sua connotazione legata al terri-
torio. Comprende al piano terra un’aula didattica ambientale dove, attraverso immagini e suoni, viene
presentata al visitatore la storia dell’evoluzione degli uccelli e la classificazione delle varie specie in Italia,
con particolare attenzione all’avifauna della provincia di Vicenza. Al piano superiore è esposta una sezio-
ne della prestigiosa collezione Dalla Riva Massimino che presenta tutte le specie di uccelli che nidificano
nella provincia di Vicenza. E’ disponibile anche una ricca biblioteca.
Per la sua particolare collocazione il museo è particolarmente adatto per abbinare la conoscenza teorica
con quella pratica. Sono numerosi infatti i sentieri che, partendo dal museo, permettono di immergersi
nella natura e incontrare e conoscere le varie specie di uccelli della zona. Tel. 0424 471097. Aperto
domenica 10-13 / 15-19.30; gli altri giorni su prenotazione. Per informazioni www.museornitologico.org

Portandosi sull’angolo nord-orientale del piazzale, si trova l’inizio di un sentiero lastricato (tabelle) che
volge ad est e che, con tratto in leggera discesa, traversa il lato nord del colle. Lungo questo tratto è
posizionata la tappa n. 6 (boschetto con Castagno, Sambuco e Robinia).

Il versante nord-orientale

Quando si aggira il Castello e ci si affaccia al lato settentrionale del colle, si percepisce immediatamente
un forte cambiamento degli ambienti circostanti. La posizione ombreggiata (rispetto all’insolazione diur-
na, che invece grava costantemente a sud) determina un microclima più fresco e più umido. Il bosco si fa
più fitto e le erbe (quasi tutte diverse rispetto a quelle viste in salita) si fanno più lussureggianti. Il terreno
(anche se le balze rocciose non mancano) non è più arido ma diviene profondo e più ricco di humus.
Logico, dunque, aspettarsi che anche buona parte degli alberi siano diversi.

Cosa mancherà ? Sicuramente l’Olivo ed il Bagolaro, c’è troppa ombra e umidità per loro (può resistere
occasionalmente qualche individuo). E chi, invece, si avvantaggerà in queste condizioni e comparirà per-
ciò in questo bosco ? Castagno e Sambuco, per citarne solo due importanti. Il primo ha bisogno proprio
di terreni ricchi di humus e possibilmente acidificati, il secondo è più adattabile ma non manca mai in
queste situazioni. C’è però un terzo incomodo: la Robinia. Aggressiva e invadente, quest’albero di origine
nord-americana è un brutto segnale dello stato di degrado in cui versa questo versante.
Purtroppo, il sentiero che stiamo percorrendo non attraversa il bosco ma ne lambisce solo la parte
superiore. Anche il fianco del colle, sotto di noi, è molto ripido e ciò non facilita l’osservazione. I Castagni,
gli alberi più “nobili” e meritevoli d’essere notati, rimangono un po’ nascosti e si intravvedono qua e là.
Robinia e Sambuco, invece, arrivano fin sull’orlo e si possono distinguere con più facilità.

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Tappa 6 - Boschetto di castagni

Castagno (Castanea sativa Miller – Fagaceae)


Si distingue per le foglie semplici, alterne, lanceolate, con margine seghettato.

Sambuco (Sambucus nigra L. - Caprifoliaceae)


Ha foglie composte, opposte sul rametto, con foglioline lanceolate seghettate, spesso emananti un odore
poco gradevole.

Robinia (Robinia pseudoacacia L. – Leguminosae)


Ha foglie composte, alterne sul rametto, con foglioline a margine intero. La pianta è spinosa.

IL VERSANTE ORIENTALE DEL COLLE

Lasciata alle spalle la tappa n. 6, si percorrono pochi metri e si arriva ad una ampia sella prativa con-
trassegnata da un evidente bivio (tabelle). Un primo sentiero scende a meridione, percorre la Val di Botte
e porta in pochi minuti alle case di Marostica (si arriva in via Prospero Alpini, appena fuori le mura). Un
secondo sentiero, invece, traversa l’ampia sella prativa in direzione est e poi, mantenendo la medesima
direzione, si sposta sul fianco nord del Colle del Pauso (vedi a pag ….) e scende a Borgo Giara, nella
porzione più orientale di Marostica. Di qui, per via Beato Lorenzino, si torna verso il centro.

Il versante orientale del colle ci riserva un’immagine ancora diversa: prati da sfalcio, qualche albero da
frutto (non mancano le celebri ciliegie), frammenti di orti e di vigne. In pratica, il volto di quella parte della
collina che è stata utilizzata per abitare e per sopravvivere. Un volto frequente e ricorrente, soprattutto là
dove la natura delle rocce ha permesso il formarsi di pendii più morbidi e più propizi per l’insediamento
dell’uomo.

Poco al di là dei prati, verso la direzione del sole che nasce, il pendio si impenna nuovamente e forma il
modesto ma netto rilievo del Colle del Pauso. Una grande croce, posta sulla sua sommità, lo rende incon-
fondibile. Tutt’attorno, fanno corona siepi e boschetti di Carpini e Querce. E’ un altro tassello di questo
ricco mosaico ambientale nel quale ci siamo immersi.

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Rocce bianche e rocce nere

C’è una curiosità in più che rende attraente ed interessante questa sella prativa: la presenza, a stretto
contatto, di rocce di un colore nettamente biancastro con altre rocce di tonalità marrone-brunastra e
quasi nera. Come mai ? La spiegazione è semplice. Siamo arrivati proprio nel luogo in cui si può vedere
come, pochi milioni di anni fa, una colata vulcanica di tipo basaltico (le rocce nere) si sia fatta strada in
mezzo a sedimenti calcarei (le rocce bianche) che si erano andati formando e indurendo in fondo al mare.
Poi il colle si è sollevato, ma loro sono rimaste là, per raccontare al passante che non sia frettoloso un
pezzo della lunga storia di questo nostro territorio.

Deviazione per raggiungere la sommità del Pauso

Lasciato alle spalle il bivio descritto in precedenza e imboccato il sentiero di sinistra (est), si traversa
un prato in leggera discesa fino a trovare sulla destra (sud-est) una traccia che abbandona il percorso
principale ed entra decisa nella parte bassa del prato stesso. Si segue questa traccia che, pochi metri
dopo, sale decisa e supera il piccolo gradone ripido che delimita la sommità del Pauso. Ancora pochi
metri verso est e si arriva presso la grande croce eretta nel punto più prominente di questa collina. Nei
pressi è posta la tappa n. 7 (il boschetto sommitale). Splendido panorama. Bella e insolita l’immagine che
di qui si può godere verso il Castello superiore.

Il colle sul quale stiamo salendo, ben distinguibile per una grande croce posta sulla sommità, è detto
Pauso (m. 212). Fu sede di insediamenti già in epoca preromana, come documentato da alcuni reperti
(frammenti di vasellame) ritrovati alcuni decenni or sono. Fu poi un importante fortilizio romano che
poteva controllare i primi nuclei abitati alla base del colle stesso e tutti gli accessi dalla pianura. Alla base
della croce, sono ancora visibili le basi di alcune mura che si fanno risalire a questa struttura di epoca
romana. In seguito, fu anche la base di un presidio longobardo.

Il colle, in realtà, è solo la massima elevazione di un poderoso gobbone allungato verso oriente. Sulla sua
estremità orientale, sui resti di un precedente edificio religioso riferibile al 1200, venne edificato (a partire
dal 1485) il grande Convento di S.Sebastiano (in parte osservabile anche oggi).

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Tappa n. 7 - Il boschetto sommitale

Anche sulla sommità del Pauso, come in altri luoghi un tempo coltivati ed ora abbandonati, l’esuberan-
te vitalità della natura sta cercando di conquistarsi gli spazi che le erano stati sottratti. Dove c’era un
campicello oppure dove con grande fatica era stato ricavato un terrazzamento (soprattutto sull’orlo sud),
lì oggi è in atto una dura competizione tra alberi ed arbusti per assicurarsi una nuova supremazia. Carpini
neri, Ornelli e Roverelle, accompagnati da una fitta schiera di Aceri campestri, Biancospini, Cornolari,
Noccioli, Prugnoli e Sanguinelle, nascono ovunque e danno vita ad una boscaglia a tratti impenetrabile.
E’ un bosco giovane, che attende di essere governato per trovare una propria definitiva fisionomia.
Fortunatamente, sembra che qui la tremenda Robinia abbia ancora un ruolo marginale. Ma l’aspetto più
interessante, per noi che vogliamo capire questa natura che ci circonda, è che tutto lavora per creare un
ambiente ancora diverso da quelli visti in precedenza.

Carpino nero
(Ostrya carpinifolia Scop. – Corylaceae)
Si distingue per le foglie semplici, alterne, ovali-lanceo-
late, regolarmente seghettate. Può essere confuso con
l’affine Carpino bianco che però possiede frutti dotati
di una tipica brattea trilobata (nel Carpino nero questa
brattea racchiude invece il seme come fosse un piccolo
involucro).

Roverella - (Quercus pubescens Willd. – Fagaceae)


Possiede le foglie con il tipico margine lobato, ma si può
distinguere da altre Querce osservando come il picciolo
della foglia sia corto e molto peloso.

Orniello - (Fraxinus ornus L. – Oleaceae)


Le sue foglie sono composte, opposte sul rametto, formate
da foglioline ovali-lanceolate, debolmente seghettate.

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RITORNO A MAROSTICA, come fare

Ridiscesi dal Pauso, per concludere la passeggiata e ritornare a Marostica, possiamo scegliere tra tre
possibilità:
- una prima è ritornare al sentiero principale e volgere verso destra (est) per imboccare il tratto che
traversa il lato nord del pauso e scende a Borgo Giara, nella porzione orientale dell’abitato di Marostica.
Di qui, per via Beato Lorenzino, si ritorna nel centro della cittadina. Tempo dal Pauso: 30-40 minuti.
- una seconda è riprendere il sentiero principale a ritroso (verso sinistra, nord-ovest) fino al vicino bivio
(tabelle). Di qui, per la ripida Val di Botte, si scende a Marostica arrivando in via Prospero Alpini (appena
fuori le mura). Tempo dal Pauso: 20-30 minuti.
- una terza, infine, è ritornare sui propri passi e seguire a ritroso tutto il percorso fatto in precedenza.
Tempo dal Pauso: 50 minuti.

ALTRO DA VEDERE

CONVENTO DI SAN SEBASTIANO - Monumento estremamente interessante, ma purtroppo in stato


di grave rovina. Se ne ha notizia fin dal 1259; inizialmente pare fosse benedettino, poi venne retto da
eremiti della Congregazione di Pietro da Malerbe.
Nel 1484 il Comune di Marostica lo affidò ai frati francescani osservanti, che lo ampliarono.
Sconsacrato da Napoleone nel 1806 è oggi in gran parte privato; vi si accede da una scala a gradoni che
sale dal capitello dedicato al Beato Lorenzino nella via omonima.

CHIESA DI SANTA MARIA ASSUNTA - Di origine longobarda (probabilmente il nucleo originale si colloca
tra VII e VIII secolo), subì negli anni alcune trasformazioni fino a giungere, intorno al 1700, alla forma
attuale.
L’interno si presenta a tre navate, sostenute da colonne in pietra rossa di Asiago.
Sul soffitto della centrale sono riportate rappresentazioni della vita del Beato Lorenzino, del pittore Dusi,
risalenti alla prima metà dell’Ottocento; nella navata di destra si trova l’altare a lui dedicato. Di Dusi è
anche la Trasfigurazione della volta dell’abside.
Sull’altare maggiore vi è una copia dell’Assunta di Tiziano, opera di un pittore locale, Giuseppe Fortunato
Centazzo; ai lati dell’abside Davide che suona l’arpa e il Sacrificio di Melchisedec di Andrea Celesti; di
Pietro Menegatti è il Cristo nell’Orto.

CHIESA DI SAN MARCO - Collocata nell’estremo angolo sud-est del centro storico, risale al 1450, quan-
do venne edificata per volontà del comune, che voleva così onorare il Santo protettore della Repubblica
di Venezia. All’interno si presenta con un’unica navata ed abside ad ampio arco acuto. Sconsacrata ormai
da diversi anni, dopo un’attenta opera di restauro è divenuta uno dei maggiori centro culturali cittadini ed
ospita mostre espositive, concerti, conferenze.

PARTITA A SCACCHI - La storia della bella Lionora e dei suoi due contendenti, Rinaldo da Angarano e
Vieri da Vallonara, che nello stesso tempo si accesero d’amore per lei fino a sfidarsi a duello pur di otte-
nere la sua mano, ha fatto il giro del mondo facendo innamorare migliaia di persone. La leggenda, tratta
da un testo di Mirco Vucetic, risale al 1454, quando Marostica era una delle fedelissime della Repubblica
di Venezia ed era retta da un podestà nominato direttamente dalla città di San Marco.
Venuto a conoscenza dell’imminente duello, Taddeo Parisio, che non voleva perdere nessuno dei due
valenti giovani, impedì il cruento scontro rifacendosi ad un editto di Cangrande della scala di Verona,
emanato poco dopo la tragedia di Giulietta e Romeo, e confermato ed aggravato dal Serenissimo Doge.
Decise quindi che l’amata figlia sarebbe andata in sposa a quello dei due rivali che avesse vinto una
partita al nobile gioco degli scacchi; con abile diplomazia decise anche che allo sconfitto sarebbe andata
in moglie sua sorella Oldrada, zia di Lionora, ancora giovane e bella
L’incontro si sarebbe svolto in un giorno di festa nella piazza del Castello da basso, con pezzi grandi e
vivi, bianchi e neri, alla presenza del Castellano, di Lionora, Oldrada, dei signori di Vallonara e di Angara-

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no, dei nobili delle città vicine e di tutto il popolo.
Stabilì anche che l’incontro sarebbe stato onorato da una mostra in campo di uomini d’arme, fanti e
cavalieri, fuochi e luminarie, ballerine e giocolieri, suoni e danze. E così avvenne.
Lionora, trepidante perché segretamente innamorata di uno dei due, aveva fatto sapere alle sue ancelle
che se la vittoria fosse andata al suo innamorato avrebbe fatto illuminare il castello di candida luce,
affinché tutti potessero partecipare alla sua gioia.
Oggi come allora, ad ogni settembre degli anni pari, l’emozione si rinnova in una fastosa cornice di
costumi, gonfaloni, luci, colori, guitti e saltimbanchi, ballerini e vessilliferi, gran dame e valorosi cavalieri,
protagonisti di uno spettacolo messo in scena, con grande professionalità e impegno dall’associazione
Pro Marostica.
La scelta delle mosse che porteranno alla vittoria di Vieri da Vallonara non è mai casuale: ad ogni edizione
viene scelta una partita giocata dai massimi maestri del gioco degli scacchi e riproposta in un contorno
di attesa e trepidazione.
Nelle ultime edizioni i riflettori della piazza hanno illuminato le mosse dell’Immortale, creata, durante una
seduta di gioco libero, dal genio di Adolph Anderssen (1818-1879), riconosciuto dai suoi contemporanei
come Campione del Mondo tra il 1851 ed il 1866.
Con seicento figuranti e centinaia di volontari che ad ogni edizione rinnovano la loro disponibilità ad
essere impiegati nei vari servizi necessari all’accoglienza dei turisti e alla realizzazione dello spettacolo,
la Partita a scacchi è sicuramente l’avvenimento più importante della città.
Molti sono anche i paesi che l’hanno ospitata in trasferta: Toronto, Vancouver, Bruxelles, Denver, Chicago,
San Paolo del Brasile, ed altri ancora, riscuotendo ovunque ampio successo e contribuendo a costruire o
a rinsaldare i legami con altri popoli e con le numerose comunità di italiani residenti all’estero.
Informazioni consultando il sito internet www.marosticascacchi.it

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UNA RARITA’ ASSOLUTA IN QUESTO COLLE

La curiosa graminacea Heteropogon contortus (L.) Beauv.

Renato Pampanini, un celebre botanico di inizio ‘900, è arrivato a definirla “una reliquia, un superstite
della flora calda preglaciale”. E per sottolineare ancor di più l’interesse del recente ritrovamento di
questa rara graminacea nel colle del Castello superiore, basti dire che le dita di una sola mano sono già
troppe per contare le altre località del Veneto in cui è stata finora individuata. E pochissime sono le altre
località italiane. Si ritiene, infatti, sia una specie con prevalente distribuzione tropicale, forse più diffusa
nella nostra penisola prima delle glaciazioni e poi spazzata via dall’avvento del clima freddo instauratosi
con l’espandersi dei grandi ghiacciai sulle Alpi. Dove è riuscita a nascondersi e a conservarsi ? Evidente-
mente in qualche anfratto del bordo prealpino, dove trovava nicchie calde e riparate che non le facevano
mancare “l’aria di casa”. Miracolosamente, da migliaia di anni, è ancora là, su alcune lastre rupestri
solatie nei pressi del Castello, a far bella mostra di sé, con la sua curiosissima infiorescenza contorta.

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PER SAPERNE DI PIU’

La bibliografia su Marostica è sicuramente ampia.


Segnaliamo tra le varie pubblicazioni, recuperabili in libreria:

Marostica. La Città degli scacchi, di Ivonita Azzolin e Chiara Padovan.


Editrice Artistica Bassano, 2002

Escursioni nel territorio di Marostica, di Caterina Consolaro e Giorgio Parise


Edizioni Asterisco, 1994

Marostica e i comuni del suo territorio, di Giovanni. Spagnolo


Ristampa edizioni Atesa, 1979

Storia Manoscritta di Marostica, di Mario Consolaro e Giuseppe Antonio Muraro


Grafiche Stocchiero, 1984

Le Tre Venezie – Marostica, autori vari


Edizioni Europrint, 1999

Il Palazzo del Doglione nella storia di Marostica, di Giuseppe Antonio Muraro


Edizioni Banca Popolare di Marostica, 1995

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Particolare della mappa d'Avviso del Comune di Marostica
Autore: Giuseppe Antonio Agostini, 8 ottobre 1809

Cortesia dell'Archivio di Stato di Bassano del Grappa


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Comune di Marostica Ass. Int. Città Murate
Lions club

Associazione
PRO MAROSTICA

Consorzio Bacino Imbrifero Montano del fiume Brenta

con la collaborazione della


Compagnia della Mura

Ideazione: Giancarlo Rossi


Testi: Giuseppe Busnardo, Chiara Padovan, Antonio Muraro, Ivonita Azzolin
Consulenza geologica: Cristina Busatta (Museo civico di Bassano del Grappa)
Disegni: Nico Lorenzon, Paolo Grendele
Immagini fotografiche: Sergio Toniazzo, Mario Bozzetto
Collaborazione: Diego Morlin, Fabrizio Marcon

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