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INDICE
1) Cernobbio - Rovenna - Rifugio Bugone, 2) Tosnacco - Monti di Liscione - Rifugio Bugone, 3) da Schignano al
Monte Comana (Val d’Intelvi), 4) da Ossuccio all'Abbazia di San Benedetto, 5) da Ossuccio al rifuglio
Boffalora, 6) Al passo di San Lucio tra Val Colla e Val Cavargna, 7) da Brunate (Como) a Faggeto Lario, 8)
Torno – Piazzaga - Monte Piatto, 9) Da Valmadrera a San Tomaso passando per il Sasso di Preguda ,
10) ai Corni di Canzo salendo da Valmadrera, 11) Canzo: sentiero spaccasassi, 12) Abbazia di San Pietro al
Monte, 13) da Abbadia Lariana alla cascata della Val Monastero e le case Campelli, 14) Sentiero del
Viandante: da Lierna a Varenna, via S. Pietro / Ortanella
1) Val d'Otro, 2) Rifugio Pastore - Alpe Bors (Rifugio Crespi-Calderini), 3) Alpe Bitz - Rifugio Barba Ferrero
1) Macugnaga e la Miniera d’oro della Guia, 2) Orridi di Uriezzo, 3) Cittiglio – Sasso del Ferro, 4) Eremo di Santa
Caterina del Sasso (Lago Maggiore - Laveno)
Svizzera: pag. 45
1) Canton Ticino: da Carena all'Alpe Gesero, 2) Cantone dei Grigioni: Lago di Cama (Val Mesolcina)
Engadina:
3) Maloja/Pian da Lej - villaggio di Grevasalvas, 4) Maloja - Salecina - laghi Bitabergh e Cavloc, 5) da Maloja a Sils
sul sentiero lungolago, 6) da Maloja - Val Fedoz, 7) Val di Fex , 8) passo del Settimo, 9) da St. Moritz a Muottas
Schlarigna sul sentiero dei pini millenari
Liguria: pag. 52
Varie: pag. 55
1) Val d’Aosta: Valsavarenche (Pravieux)- Rifugio Chabod, 2) Val d’Aosta: Cervinia - Cheneil – Valtournenche,
3) Valcamonica: Valli di Campovecchio, 4) Val di Susa: Sacra di S. Michele
1) Andar per Abbazie nei dintorni di Milano: Abbadia Cerreto, Viboldone, Chiaravalle
2) A zonzo per boschi e parchi milanesi: Boscoincittà, Parco delle Cave, Parco di Trenno e il Milan War Cemetery
3) escursionismo mentale: Dialogo nel buio
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AVVERTENZE
Questa mini-guida ripropone gli itinerari descritti nel sito passolento.it, semplicemente in un formato più comodo da
stampare ed eventualmente fascicolare.
Le zone intorno ai laghi lombardi offrono un ventaglio bellissimo di mete suggestive e tanto più comode per chi come me
abita a Milano e non ama sobbarcarsi ore e ore di viaggi in treno o auto per le escursioni in giornata. E in fondo il senso
del cammino credo sia nel nostro modo di viverlo con occhi e cuore curiosi e ricettivi. Non occorre spostarsi di 10.000 km
per fare un viaggio: ci sono un sacco di mondi a portata di mano - percorsi cosiddetti minori - basta aver la voglia di
andarli a scoprire.
Gli itinerari descritti in questa guida non presentano difficoltà alpinistiche, per la maggior parte si sviluppano a bassa
quota e si possono in genere considerare ‘facili’. Sebbene siano stati tutti sperimentati di persona è possibile che nel
corso del tempo siano avvenuti dei cambiamenti (qualche numero di telefono cambiato, segnalazioni mancanti, sentieri
rovinati...), in questo caso fareste cosa gentile scrivendomi (passolento@tiscali.it) e collaborando così ad aggiornare
le descrizioni, rendendole più accurate.
I quadratini colorati accanto al titolo indicano la difficoltà (o faticosità) di ogni escursione: se siete camminatori alle prime
armi potrete iniziare con la giusta gradualità:
L’indicazione ‘tempo totale di cammino’ comprende sempre salita e discesa, al passo tranquillo di chi cammina
godendosi il panorama, magari facendo qualche foto, quindi un po’ meno di 300 m di dislivello all’ora. Alcuni itinerari
sono esclusivamente di interesse culturale o artistico: può succedere di non non aver voglia di scarpinare o si può
approfittare di una giornata uggiosa per fare un’uscita di tipo diverso.
Tener presente la quota in cui si svolge l’escursione e il clima a cui potete andare incontro. E’ importante andare a
camminare con un equipaggiamento adeguato, anche se non necessariamente supertecnico, per non trovarsi in
difficoltà in caso di maltempo e per evitarsi inutili stress e fatiche. Se andate in montagna non trascurare mai una buona
giacca a vento anche se la giornata promette sole. Soprattutto: non risparmiare sulle scarpe da trekking con suole in
Vibram o altra mescola antisdrucciolo, e buone calze che ci possono salvare i piedi dalle vesciche. Infine: per molto
tempo ho snobbato le magliette tecniche traspiranti finchè ho scoperto che sono veramente confortevoli.
Uno zainetto leggero per le gite giornaliere, contenente indumenti essenziali per un eventuale cambio (messi in buste di
plastica perché non si bagnino in caso di pioggia), borraccia, occhiali da sole, telefonino, panini o barrette energetiche.
Per l’orientamento: procurarsi possibilmente una cartina escursionistica della zona dell'escursione. Divertitevi magari
a esplorare preventivamente il territorio smanettando sul sito delle mappe di Google (http://maps.google.it/maps). Se
avete scarse capacità di orientamento: chiedete indicazioni lungo i sentieri o telefonate ai rifugi.
Anche se tutto si trova facilmente nel web può essere utile avere sottomano alcuni indirizzi
relativi alle zone toccate in questa guida:
www.navlaghi.it
www.ferrovienord.it
www.trasporti.regione.lombardia.it
www.trenitalia.it/home/it/index.html
www.viamichelin.it (per studiare i percorsi in auto)
maps.google.it (per esplorare il territorio, scaricare cartine, cercare indirizzi, ecc)
>> molti altri riferimenti specifici sono dati nelle singole descrizioni
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LAGO DI COMO – TRIANGOLO LARIANO – LAGO DI LECCO
Una passeggiata piacevole e panoramica, che percorre il primo tratto della bella Via dei Monti Lariani. L'itinerario parte
da Rovenna (paese sopra Cernobbio, 450 m circa) in modo da evitare il primo tratto di cammino (salendo da Cernobbio),
che non è sgradevole, ma sicuramente meno interessante. Parcheggiamo vicino al cimitero e l'imbocco del sentiero è a
poche decine di metri, all'inizio della Via Segantini, indicazioni per Scarone/monte Bisbino. Il sentiero si snoda in
moderata salita e arriva al nucleo delle baite di Madrona in circa 1 ora e 20'; qui si prosegue per un breve tratto sulla
strada carrozzabile per poi riprendere la bella mulattiera al primo tornante fuori dall'abitato: la si percorre fino alla fitta
pineta che costituisce l'ultima fatica del percorso; all'incrocio con la carrozzabile che porta al parcheggio proprio sotto la
cima del Bisbino, prendiamo a destra seguendo le indicazioni per il Rifugio Bugone. Ci si trova poco dopo sulla Via dei
Monti Lariani: un sentiero assolutamente bello in tutte le stagioni, con scorci panoramici che si aprono da una parte sul
versante svizzero e dall'altra sul lago di Como, con i suoi caratteristici paesi rivieraschi e i monti boscosi. L'arrivo al
Rifugio Bugone offre la possibilità di un pranzo o di uno spuntino e il piacere di una vista spettacolare sul paesaggio del
lago, che si distende proprio a tutto campo. Il simpatico Rifugio, gestito privatamente, è in funzione quasi tutto l'anno
(telefonare per verifica). Cucina curata, non economicissima: ottimi salumi e formaggi locali, carni, e in autunno non
lasciatevi sfuggire l'eccellente budino di castange. Il ritono a Rovenna (tempo di discesa: circa 2 ore) può avvenire per il
sentiero che parte poco sotto il grande faggio - direzione Monti di Lenno. Dopo circa un'ora di cammino in mezzo al
bosco arriviamo ad un bivio con indicazione per Moltrasio, prendiamo invece a destra e percorriamo un breve tratto di
strada asfaltata, per poi ritrovare, ancora sulla destra, il sentiero che ci riporta alle case di Rovenna. Se fate questa gita
nella prima settimana di ottobre vi capiterà di ritrovarvi in mezzo alla festa 'castagne,
streghe e dintorni' di Rovenna, una simpatica manifestazione, che vede mobilitata
un po’ tutta la piccola comunità: gli abitanti mettono in mostra varie abilità artigianali
e i molti banchetti allestiti nelle corti e nelle strade offrono un po’ di tutto: piatti
tradizionali, prodotti gastronomici locali, oggettistica e così via... L'idea prende
spunto dall'estrazione contadina dei rovennesi, per i quali in passato le castagne,
cucinate in tutti i modi, erano parte forte dell'alimentazione; e le streghe ? beh, pare
che da tempo immemorabile sia questo il soprannome degli abitanti del piccolo
paese ('i strii de Ruena').
il sentiero nei pressi delle Case di P.S.: Variazione al Rifugio Murelli: se avete voglia di camminare un po’ di più, dal
Madrona Rifugio Bugone proseguite per altri 40' circa ed arrivate al Rifugio Murelli: questo
tratto di sentiero è molto suggestivo. Il rifugio è un'ampia costruzione, ex caserma della Finanza, dei tempi della mitica
caccia ai contrabbandieri... Da qui scende un sentiero alternativo, molto bello, che passando per i Monti di Liscione
riporta verso Moltrasio per chiudersi poi a Rovenna. E' consigliabile chiedere indicazioni al Rifugio Murelli, perchè i
segnavia sono quasi insesistenti e il sentiero in certi punti diventa solo un'esile traccia.
Eccoci di nuovo diretti al Rifugio Bugone, oggi però partiamo da Tosnacco, invece che
da Rovenna: piccolo spostamento che rende però molto diversa la nostra passeggiata.
In effetti un itinerario può avere innumerevoli variazioni ed estremizzando si potrebbe
dire: ripercorriamolo infinite volte e lo scopriremo sempre incredibilmente diverso;
cambiano i colori delle stagioni, la luce delle giornate, il manto dei boschi, i fiori dei
prati, l'azzurro dei cieli …cambiano i nostri ritmi e i nostri umori e pensieri. Dunque -
tornando a noi - arriviamo in auto e parcheggiamo nel centro di Tosnacco, paesino
sopra Moltrasio (350 m), giusto quanto basta per accorciare un po' il dislivello
complessivo e tagliar via la porzione meno interessante. Un piccolo suggerimento per si sale a passolento
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chi ama fare sosta al bar prima del cammino: in mancanza di tale bar, entrate con fiducia nell'ottima trattoria 'Del fagiano'
- conosciuta in tutta la zona e frequentata da star internazionali - e approfittate della gentilezza dei gestori ordinando
cappuccino e una bella fetta di una delle squisite torte casalinghe pronte per il pranzo di mezzogiorno - ne vale la pena!
Dal centro del paese troviamo facilmente l'inizio del percorso indicato dal segnavia per il sentiero numero 1 (Via dei
Monti Lariani); dopo soli pochi minuti siamo a un bivio e prendiamo a destra. Ci inoltriamo sul versante del monte che
guarda a Sud-Est: soleggiato e ideale per le passeggiate invernali. L'ampia mulattiera affiancata da gradini aggredisce
senza incertezze il ripido pendio ed è ammirevole la maestria con cui ogni singola pietra è stata messa al suo posto,
disegnando un tracciato magistrale che, tornante dopo tornante, guadagna quota velocemente. Noi però procediamo
lentamente, per goderci la bella vista sul lago e non arrivare alla meta semidistrutti. Ampi terrazzamenti, un tempo
intensamente coltivati, scolpiscono la montagna: possiamo immaginare quanto sia stata frequentata e importante questa
via acciottolata, percorsa su e giù da contadini, artigiani, boscaioli e animali vari intenti a trasportare ogni genere di
materiali. Dopo circa un’ora di cammino, un’insegna ci informa che stiamo entrando nell'antico borgo dei Monti di
Liscione (700 m), nucleo contadino le cui origini risalgono al XVII° secolo. Il piccolo abitato, adagiato su un poggio
stupendamente panoramico si anima d'estate, quando i proprietari delle case vi fanno ritorno per una pausa di vacanza
all'insegna della natura e del silenzio. All'uscita dal villaggio eccoci a un bivio: a sinistra si va per Lemno/Rovenna, noi
prendiamo a destra (Bugone). Attraversiamo un maestoso castagneto dai tronchi secolari e ignorando la successiva
deviazione per i Monti di Urio, proseguiamo per il nostro sentiero sino all'arrivo al Rifugio. Siamo a quota 1119 m e
riprendiamo fiato godendoci la spettacolare vista sul lago: riconosciamo di fronte a noi i paesini di Blevio, Torno, Faggeto
Lario che tante volte abbiamo attraversato in innumerevoli passeggiate. Lasciamo riposare adeguatamente il nostro
corpo: inevitabilmente la discesa sarà ripida tanto quanto la salita e se manca un minimo di allenamento sarà prevedibile
un po' di mal di gambe il giorno dopo. Meglio allora fare delle soste e rientrare alla base senza fretta.
Adagiato sul versante più orientale della Valle d'Intelvi e raggiungibile anche con mezzi pubblici, Schignano è un piccolo
borgo, animato soprattutto nel periodo estivo e durante il carnevale (vedi nota 1), da cui si può partire per numerose
escursioni sui monti circostanti: itinerari 'facili', non affollati, panoramici e ricchi di spunti interessanti (Prabello, Sasso
Gordona, Gringo, Monte Comana, Monte San Zeno…).
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NOTA 1: il famoso carnevale di Schignano (il sabato e il martedì precedenti le Ceneri) attira numerosissimi visitatori alla
divertente sfilata dei cosiddetti 'mascherun': grotteschi personaggi travestiti con pelli di pecora e maschere artigianali
intagliate nel legno. Curiosamente Schignano, pur facendo parte della diocesi di Como (rito romano), festeggia il
carnevale secondo il rito milanese, essendo appartenuta anticamente a Campione d'Italia, feudo del monastero di
Sant'Ambrogio.
NOTA 2: da Schignano a Posa si può andare anche a piedi tramite la 'strada vecchia': chiedere indicazioni in paese.
I due itinerari che seguono partono da Ossuccio, delizioso paesino felicemente situato in una delle posizioni più
suggestive del centro lago: di fronte all’Isola Comacina, la penisola di Bellagio, e il profilo maestoso delle Grigne…
Un'escursione di forte interesse storico-artistico, che in sole 2 ore di cammino ci porta lontano dagli abitati, dal rumore
delle strade; un salto nel tempo di mille anni fa.
Inizio del percorso: scendendo dall'autobus proveniente da Como (fermata Ossuccio/Spurano), prendiamo a pochi metri
di distanza, sul lato opposto della strada, la Via per il Santuario della Madonna del Soccorso: iniziamo così la salita che,
insinuandosi tra vecchie stradine e varie cappellette, porta al Santuario. Lì troviamo anche un bar/ristorante aperto tutto
l'anno dove possiamo rifornirci d’acqua o fare sosta per uno spuntino prima affrontare l'escursione vera e propria. Dal
Santuario l'ampio sentiero acciottolato prosegue per giungere in circa 15 minuti a un bivio che a sinistra porta al Rifugio
Boffalora e a destra all'Abbazia di San Benedetto. Prendiamo
dunque a destra e poi non sarà possibile sbagliarsi.
L'Abbazia si raggiunge in circa 2 ore di cammino molto
rilassato: moderate salite si alternano a brevi saliscendi, in un
percorso in mezzo al folto bosco di faggi e castagni (in
autunno la zona si presta ottimamente anche alla tradizionale
castagnata) che si apre qua e là su piccole radure pianeggianti
popolate di baite e casali contadini. Questa passeggiata è
piacevole in qualsiasi periodo dell'anno (anche d'estate: il
sentiero è ombreggiato) noi l’abbiamo fatta in una limpida
giornata autunnale, con le cime tutt'intorno già spruzzate di
neve, in contrasto con la veste autunnale del bosco
macchiettato di gialli e rossi. La chiesa di San Benedetto è
un'improvvisa apparizione, scenario d'altri tempi che si svela
inatteso dopo un ultima salitina: una sorpresa che accresce il
fascino di questo luogo silenzioso ed appartato. Erano passati Abbazia di San Benedetto
pochi decenni dall'anno mille quando uno sparuto gruppo di
monaci decise di costruire la chiesa e il complesso del monastero (chiostro, stalle e fattoria): in un luogo distanziato e
quindi protetto dai conflitti sanguinosi che si svolgevano tra le piccole concorrenti potenze del lago, ma al tempo stesso
panoramico, quindi in grado di controllare i movimenti e l'accesso alla valle. La minuscola comunità (costituita da 3
monaci e l'abate) visse il suo periodo di massimo 'splendore' (se così si può dire) intorno alla prima metà del XII secolo,
avendo acquisito terreni e possedimenti a seguito di varie donazioni testamentarie. I pendii dove ora si estende il bosco
erano in gran parte intensamente coltivati: oliveti, segale, ortaggi e vigne, come del resto in tutta la regione del Lario.
L'influenza del monastero andò poi gradatamente declinando a vantaggio della concorrente Abbazia dell'Acquafredda,
finché nel 1420 San Benedetto insieme alle sue terre venne inglobato in quest'ultima. In seguito tutto il complesso andò
incontro all'abbandono e al degrado finché nel secondo dopoguerra, sul finire degli anni '50, l'amministrazione locale,
sostenuta dall'Associazione San Benedetto, intraprese i lavori di restauro: l'edificio della chiesa è stato integralmente
recuperato mentre restano tuttora in decadenza il corpo del monastero e la fattoria (come al solito mancano i fondi).
Intento dell'Associazione è non solo il restauro degli edifici, ma anche il ricreare un tessuto di attività comunitarie intorno
all'Abbazia. Un'aspirazione che trova ora qualche momento di realizzazione: ad esempio la Messa, che viene celebrata
la prima domenica del mese di maggio. Se il portale è aperto possiamo visitare l’interno: ecco la semplice armonia dello
spazio scandito in tre navate, tipico dello stile romanico e una nota originale: l'altare in pietra con un curioso buco in
mezzo - era un tempo una unità per la misura del grano.
Il ritorno: seguiamo il sentiero che prosegue sul versante sinistro della valle. La piacevole passeggiata offre bellissimi
scorci sul centro lago, con il severo massiccio delle Grigne sullo sfondo. L'ampio sentiero si conclude a Lenno (circa 1
ora e 30' di cammino), passando per il Santuario dell'Acquafredda. Il rientro a Como si può effettuare con l'autobus o col
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battello: quest'ultima soluzione è meno economica ma decisamente più appagante per le innumerevoli suggestioni del
paesaggio del lago nelle luci sfumate del tramonto.
Introduzione:
Andiamo al passo di San Lucio, situato a 1540 m sul crinale che divide lago di Lugano e lago di Como, e dove sorge,
proprio sulla linea di confine, un'antica chiesetta risalente al XVI secolo, al centro di una prospettiva panoramica che
spazia a 360 gradi su una stupenda cerchia di monti. Se le notizie sulle origini di questa bella costruzione religiosa sono
molte vaghe, se ne possono comunque indovinare le ragioni considerando le caratteristiche e l'economia della zona
nella loro evoluzione. I percorsi di crinale, su questo e altri passi dell'Alto Lario, sono stati frequentati e privilegiati, per
motivi di sicurezza, sin dalla protostoria, ma è soprattutto in epoca romana e medioevale che si sviluppano sentieri
trasversali che collegano vallate su fronti opposti, creando una 'rete', dotata di punti segnaletici e di riparo più o meno
rudimentali, su cui si ampliano successivamente strutture più elaborate, a supporto dei pastori nelle loro transumanze e
dei portatori che trasportano prodotti e materiali da una zona all'altra. Possiamo immaginare che inizialmente sul passo
del San Lucio sorgesse un semplice altare votivo, dove i viandanti offrivano oboli per propiziarsi la sicurezza del
cammino, e che per fasi successive venisse ampliato sino all'articolata costruzione (con navata centrale, campanile
quadrangolare e portico) che oggi possiamo ammirare. Tuttora, il 12 agosto di ogni anno, si continua a celebrare la festa
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di San Lucio, considerato il protettore dei casari e spesso ritratto, secondo l'iconografia tradizionale, con una forma di
formaggio.
Il passo di San Lucio è raggiungibile sia dal versante italiano che da quello svizzero. L'italiana Val Cavargna presenta un
territorio montano più spoglio, anche a causa della secolare attività di lavorazione del ferro, che ha impoverito i boschi,
lasciando però un patrimonio di storia locale e sociale che è ben raccontato nel Museo della Valle di Cavargna.
L'itinerario dalla svizzera Val Colla ci immerge invece in un ambiente boschivo davvero suggestivo, che merita forse
qualche punto in più.
Qualche morbido rilievo ed eccoci all'Alpe Cottino (1441 m), raggiunta anche dalla strada sterrata che sale da Certara
(ottimo itinerario per ciclisti): siamo a soli 10 minuti dalla meta ma il campanile della chiesa di San Lucio si fa vedere solo
all'ultimo momento, nascosto com'è appena sotto il crinale che segna il confine tra Svizzera e Italia (1542 m).
2) Itinerario dalla Val Rezzo/Val Cavargna: questa passeggiata parte da Buggiolo in Val Rezzo, dove arriviamo in auto
e parcheggiamo. Il minuscolo paese di Buggiolo ha un'aria piuttosto abbandonata, i residenti rimasti ad abitare
stabilmente non devono essere più di qualche decina.
Un tempo in queste valli, decisamente appartate, incuneate tra il lago di Como e quello di Lugano, una delle principali
attività economiche era costituita dall'estrazione e lavorazione del ferro: il combustibile per attivare i forni era dato dal
carbone di legna e questo comportò purtroppo un certo impoverimento dei boschi, che secoli addietro dovevano ricoprire
tutti i versanti. Sono vallate relativamente isolate e fuori dai grandi flussi turistico-escursionistici: è questo il loro fascino
speciale.
A Buggiolo il sentiero non è esplicitamente indicato (si capisce subito che NON siamo in Svizzera), comunque inizia
dove finisce la strada asfaltata e inizia la sterrata: è difficile sbagliare. La salita è molto tranquilla e il panorama si fa
sempre più arioso e suggestivo man mano che si procede.
Si arriva alla chiesetta di San Lucio in meno di 2 ore andando molto placidamente. Il ritorno a Buggiolo si effettua sullo
stesso sentiero dell'andata.
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da Brunate (Como) a Faggeto Lario
dalle atmosfere 'fin de siècle' di Brunate al bosco di faggi più bello del lago
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alternativa 2 Dalla Bocchetta di Molina prendiamo a sinistra il sentiero in discesa (prima della sbarra della capanna San
Pietro, attualmente in disuso). Nonostante l'inesistenza di indicazioni si tratta di un piacevolissimo ampio sentiero in
mezzo al bosco con stupendi sguardi sul lago, che in circa 1 ora e 30' ci porta al caratteristico borgo, che già possiamo
scorgere dall'alto, acciambellato sul cucuzzolo del monticello in posizione panoramicissima. Questo paesino poco
rinomato ci sorprende per la bellezza del suo insieme: un intrico di antiche vie, corridoi coperti, bei portali in pietra,
piazzette e lunghe gradinate. Diversi bar offrono la possibilità di una sosta prima dell'ultimo tratto fino alla Statale per
Como: prendere l'acciottolata 'via per Molina' (nell'incerteza chiedere ai locali) che scende passando per il Cimitero.
Fermata dell'autobus per Como poco distante dal punto di incrocio col sentiero.
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sito correlato: www.santomaso.it
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Raggiungiamo il Rifugio SEV (sotto i Corni di Canzo) evitando
il solito itinerario che sale da Canzo (Fonti di Gajum), la più
classica tra le escursioni a portata di treno da Milano.
E' una passeggiata di una certa impegno (900 m di dislivello)
che conduce a una meta indiscutibilmente bella e di grande
apertura panoramica, che abbraccia tutto il meraviglioso
bacino del lago di Como.
Raggiungiamo velocemente Valmadrera in auto e andiamo a
parcheggiare nella zona più in alto, Frazione Belvedere,
giusto per evitare poche noiose centinaia di metri tra i
condomini. Alla fine della strada c'è il parcheggio con tutte le
indicazioni dei sentieri. Prendiamo il sentiero numero 7,
direzione Pianezzo, poi è impossibile sbagliare, ad ogni bivio
le segnalazioni sono chiarissime (attenzione solo al bivio dopo il lago di Como visto dal Rifugio SEV
la fontana Sambrosera: qui bisogna prendere a destra).
Complessivamente il sentiero si arrampica nel bosco senza concedere divagazioni o grossi spunti panoramici: questo
lato del triangolo lariano è piuttosto raccolto su se stesso e la prospettiva sul lago si apre alla vista dell'escursionista solo
quando si arriva all'ampio pianoro sottostante il rifugio SEV.
Essendo molto frequentato, questo rifugio è piuttosto rumoroso, meglio evitare il pranzo all’interno (a menochè non diluvi
!) e cercarci il nostro posto sul bel prato dove goderci un rilassato picnic con vista lago.
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proseguire per giungere al Rifugio SEV (dove siamo già stati nell’itinerario precedente), ma stavolta presi da pigrizia ci
limitiamo a completare l'itinerario tornando a valle per il più movimentato sentiero geologico (nr. 2) che con i suoi
numerosi zig-zag attraversa ripetutamente il corso del torrente Ravella (non c'è nessuna difficoltà). In circa 1 ora ci
ritroviamo alle fonti di Gajum, alle porte del paese (circa 15 minuti per ritornare alla Stazione). Scendendo invece per il
più rilassato sentiero nr. 1 (ampia mulattiera) può valer la pena fare una puntatina all'azienda agricola Repossino e
comprare qualcuna delle loro specialità davvero stuzzicanti (vedrete l'indicazione a lato di uno degli ultimi tornanti).
Quando la bellezza della natura si unisce alla creatività artistica degli umani, il risultato di questo connubio può essere
davvero speciale: se questa premessa non vi sembra un esercizio di retorica o una smaccata esagerazione, allora
dovete assolutamente andare in piacevole pellegrinaggio a all'antica Abbazia di San Pietro in Monte sopra Civate
(provincia di Lecco), non per acquistare indulgenze, come facevano i pellegrini di qualche secolo addietro, ma per
ammirare uno dei più antichi capolavori dell'architettura romanica di Lombardia. Questo luogo, visitato da appassionati
all'arte, provenienti da tutta Europa, paradossalmente non è abbastanza conosciuto proprio da chi risiede a poche
decine di chilometri di distanza.
Arrivando dalla superstrada SS 36 Milano-Lecco, usciamo nei
pressi del laghetto di Annone (segnalazione per Oggiono /
Civate) e seguendo poi le indicazioni marroni per San Pietro al
Monte, velocemente ci lasciamo alle spalle anonimi condomini e
operose fabbrichette per andare poi a fermarci all'ultimo
parcheggio nella parte alta del paese, nei pressi della Via Pozzo.
Di qui varie frecce segnalano la direzione per San Pietro; eccoci
in pochi minuti alla frazione 'Pozzo', è l'inizio della nostra
escursione e già si respira un'atmosfera agreste: siamo alle
pendici del Monte Cornizzolo, sotto di noi le belle linee sinuose
del laghetto di Annone e più a est i profili decisi dei monti
lecchesi. I segnavia indicano diversi itinerari, noi prendiamo il
sentiero nr. 10. Ci stiamo inoltrando nella Valle dell'Oro, parola
fortemente evocativa, ma non raccoglieremo pepite sul cammino:
la denominazione deriva dal latino 'oris' (sorgente) e in effetti
troveremo diverse fontane lungo il breve percorso che ci riflessi sul lago di Annone
condurrà, in circa un ora e un quarto, al pianoro dove sorge San
Pietro. Fino alla Cascina dell'Oro il tracciato è quasi in piano, di qui invece la mulattiera acciottolata inasprisce la
pendenza e prosegue senza incertezze fino alla meta. E' un sentiero molto ben curato, quasi troppo, proprio per
agevolare il cammino anche a chi non è un'escursionista abituato ai terreni accidentati.
Arrivati in prossimità della panoramica conca dove sorge San Pietro, il complesso architettonico non si mostra
all'improvviso nella sua interezza, ma si svela gradualmente. Per primo fa la sua apparizione l'oratorio di San Benedetto
(secolo XI): bella struttura in pietra, su pianta a croce semplice, lineare ed elegante nell'armonia delle sue proporzioni. Di
qui un'ampia scalinata ci conduce al fronte semicircolare di ingresso: il talento architettonico ha preso spunto dalla
naturale irregolarità della montagna per creare un insieme dal disegno movimentato che piega alle proprie esigenze i
canoni ufficiali della più facile architettura di "pianura". Saliamo con calma questi gradini così densi di storia millenaria e
ci troviamo nell'ampio portico che circonda in un abbraccio protettivo il corpo principale della chiesa. Uno spazio di
penombra silenziosa che ci induce a una pausa prima di
entrare all'interno: le belle finestre a bifora che incorniciano
il paesaggio, giocando con la luce del sole creano una
trama di riflessi che illumina e dà vita a questo ambiente
quieto, sospeso tra il 'fuori' e il 'dentro'. Molte e complesse
le ragioni storiche e le esigenze difensive che indussero
alla costruzione di questo come di altri monasteri, ma mi
piace pensare che si siano scelti certi luoghi proprio anche
per la loro bellezza. Le radici della fondazione di San Pietro
pare si debbano alla volontà di Desiderio, ultimo re
longobardo (siamo nel lontano VIII secolo d.C.): il
monastero fu per molto tempo un'istituzione importante; di
qui sono passati arcivescovi e imperatori e la sua
evoluzione si intreccia con le più ampie vicende storiche
che coinvolsero tutta la regione. Varchiamo la porta di
il complesso abbaziale di San Pietro ingresso e siamo sorpresi dalla raffinatezza delle
decorazioni che ornano gli archi, le colonne e i pannelli
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delle piccole cappelle del pronao. Gli affreschi, risalenti al secolo XI, sono tra i più importanti tra quelli coevi conservati in
Italia; stupendo soprattutto quello sulla parete di fondo, ispirato ai miti dell'Apocalisse: con deciso cromatismo traduce in
un disegno drammatico e altamente simbolico il tema della lotta contro il male, quel terrifico drago a sette teste che da
sempre minaccia le esistenze umane.
Di solito pensiamo al romanico come esempio di stile sobrio e spoglio, ma
non era così originariamente e attivando un po' la fantasia possiamo
immaginare le pareti intonacate e riccamente affrescate: era importante in
epoche in cui la 'comunicazione della parola religiosa' doveva essere
rinforzata da immagini di forte effetto e di chiara lettura. Innumerevoli gli
spunti iconografici rappresentati nei bassorilievi che rivestono, con disegni
stilizzati e motivi orientaleggianti, la transenna della scala che scende alla
cripta, ma è soprattutto l'eleganza del ciborio ciò che maggiormente colpisce
l'attenzione: databile tra il X e l'XI secolo, è l'elemento artistico più
importante della basilica - ne troviamo un esempio similare nella Basilica di
Sant'Ambrogio a Milano. La discesa nella cripta riserva un'ulteriore
emozione: luogo nascosto che suscita sempre una sensazione di mistero;
siamo nella parte più antica e originale di tutto il complesso: l'intimità di
questo spazio ristretto dedicato alla Madonna, movimentato da una piccola
selva di agili colonnine, è valorizzata da preziosi bassorilievi che un tempo,
insieme agli affreschi, dovevano rivestire gran parte delle superfici.
Indicazioni pratiche: la basilica è aperta sempre nei giorni festivi grazie
all'impegno dei volontari dell'Associazione Amici di San Pietro (09:00-12 /
13:30-16:00) che provvedono anche alle visite guidate. Per eventuali
ulteriori informazioni e accordi per la visite guidate: tel 0341/551576
(Famiglia Canali). particolare dell’affresco
Una presentazione storica e artistica ampia, approfondita e molto documentata può essere reperita sul sito:
http://xoomer.virgilio.it/carlo315/guida.htm
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lama tagliente nell'alta parete rocciosa. Dopo circa un'ora e mezza di passeggiata arriviamo all'imbocco del sentiero che
porta alla cascata (indicazioni inesistenti) - Attenzione: il sentiero si trova alla nostra sinistra una cinquantina di metri
PRIMA DEL PONTICELLO sul torrente. Saliamo per questo stretto sentierino e al bivio successivo prendiamo a destra.
Lo scrosciare delle acque è un richiamo che ci guida; in pochi minuti ci troviamo proprio ai piedi della cascata. E' un
angolo suggestivo di aspra, inconsueta bellezza: un poderoso salto d'acqua di decine di metri e impressionanti masse
rocciose modellate in forme scultoree. D'estate un fresco delizioso e che piacere immergersi nell'acqua rigenerante sotto
gli spruzzi della cascata ! Torniamo al ponte, lo passiamo e subito dopo teniamo il sentiero sulla sinistra, proseguire la
salita verso la piccola frazione di Campelli (circa 900 m).
Questa parte del percorso non presenta particolari incertezze. Alzando lo sguardo ci vediamo circondati dai pinnacoli
aguzzi delle Grigne, col Rifugio Rosalba incredibilmente abbarbicato proprio sul bordo delle rocce. A Campelli non c'è
nessun rifugio, quindi niente polenta né spezzatini. In compenso il panorama è proprio bello e la posizione aperta e
soleggiata. Ci attende il sentiero del ritorno: poiché è noioso tornare dalla stessa strada dell'andata possiamo
sperimentare una variante: è il sentiero cosiddetto dell'acquedotto, che segue inizialmente il camminamento sopra le
tubazioni dell'acqua (imbocco del sentiero ai margini del paese, non è difficile individuarlo); questo passaggio
ufficialmente è proibito (anche se lo fanno tutti) quindi a voi la scelta. Il percorso si snoda sui pendii a monte della
cascata per poi andare ad incrociare il sentiero che scende dal Pian dei Resinelli. La discesa si effettua in circa 2 ore
(passolento!). Attenzione ai vari bivi (come al solito non ci sono indicazioni, qui ci vuole un po’ di senso
dell'orientamento): tenete tendenzialmente la sinistra altrimenti concluderete la passeggiata a Mandello e non ad
Abbadia (ma non è grave perchè si riprende ugualmente il treno). Se siete inesperti o avete poco senso
dell'orientamento tornate a Linzanico per lo stesso sentiero dell'andata.
Arrivati all'Alpe di Mezzedo, a lato di un bel casolare in posizione stupenda, si può osservare la curiosa costruzione di
una antica 'nevera' (piccolo edificio circolare in pietra, ora ristrutturato), usata un tempo per la conservazione degli
alimenti (veniva refrigerata grazie all'accumulo di neve al suo interno).
Di qui si prosegue per la bella mulattiera e dopo l'ultima salita si arriva alla chiesetta di S. Pietro, risalente al XIII secolo e
radicalmente ricostruita in stile romanico (ore 2,45' dall'inizio). L'ampio, soleggiato e panoramico pratone circostante è il
posto ideale per il pic-nic, nei dintorni ci sono anche tavoli, attrezzature per grigliate e una fontana; se invece volete
rifocillarvi al ristorante proseguite ancora qualche minuto lungo la sterrata per Ortanella (m 958), dove troverete il
Ristorante Cacciatori.
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Si riprende o si prosegue il cammino seguendo le frecce arancioni del 'Sentiero del Viandante'. Ci lasciamo alle spalle
l'abitato di Ortanella e al primo bivio nel bosco prendiamo a sinistra: ampia sterrata in falsopiano che sembra farci
tornare un po’ indietro; pochi minuti ed eccoci all'incrocio col sentiero che in netta discesa punta decisamente verso
Varenna: ci attende ora la parte più panoramica dell'escursione, con
scorci a picco su un paesaggio spettacolare esaltato dal contrasto tra
acque scintillanti e montagne in controluce.
in avvicinamento a Varenna
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VALSASSINA E DINTORNI
(1) da Pasturo:
Il bel sentiero nr. 33 che porta al rifugio Pialeral parte dal nucleo storico di Pasturo, a poche decine di metri dalla
seicentesca chiesa della Madonna della Cintura. L'imbocco del sentiero manca di segnalazioni, ma la mulattiera è molto
ben visibile, è difficile sbagliare. E' una passeggiata veramente bella, che si può fare quasi tutto l'anno (verificare però la
situazione della neve in inverno). Il sentiero sale costantemente senza strappi, all'ombra di faggi, querce, betulle tra prati
e vecchie baite (ristrutturate con buon senso), con aperture panoramiche ariose e suggestive su tutto l'arco dei monti
che circondano la Valsassina. Avvertenza: a circa mezz'ora dall'arrivo al rifugio, lungo il sentiero 33 c'è un bivio (dove
bisogna prendere a sinistra), segnalato da un cartello blu scolorito e coperto da un'alta siepe: c'è il rischio di sbagliare e
di dirigersi molto più in alto...
In poco più di 2 ore si arriva al rifugio Pialeral: accogliente e ben gestito a livello famigliare. Si mangia bene in una
atmosfera calda e cordiale: nei fine settimana è aperto tutto l'anno.
Ritorno a Pasturo per lo stesso sentiero.
La posizione di questo rifugio è ideale come base per un programma un po’ più ampio; pernottando al rifugio il giorno
dopo potremmo proseguire per la traversata bassa della Grigna (per gli escursionisti tranquilli) o verso la Grigna
settentrionale/Rifugio Brioschi (escursionisti più allenati).
L'attacco del sentiero: arrivando in auto da Lecco lungo la provinciale nr. 62, poco dopo Ballabio vediamo sulla nostra
sinistra, in località Balisio, un grande distributore di benzina; lì accanto una stradina e una indicazione a freccia per il
rifugio Pialeral. La imbocchiamo e procediamo per qualche centinaio di metri per poi parcheggiare nei primi spiazzi
disponibili, anche per non deturpare col traffico d'auto quello che è già l'inizio di un cammino nella natura (tra l'altro
d'inverno questo primo tratto di strada è poco soleggiato e possono esserci dei lastroni di ghiaccio sul terreno). In meno
di 20 minuti arriviamo alla Cappella del Sacro Cuore: dedicata alla Fabbriceria di Pasturo (ente che gestisce beni
destinati a finanziare la manutenzione di edifici di culto). Ecco poi nelle vicinanze l'indicazione per il rifuglio Pialeral: tutto
l'itinerario è ben segnalato e a ogni bivio troveremo i segnavia giusti. L'ampio sentiero segue le moderate ondulazioni di
questa graziosa valle, appartata e tranquilla e quasi non ci si accorge della salita. Siamo nella valle dei 'Grassi Lunghi':
pare che questo buffo nome derivi dal fatto che un tempo si definivano 'grassi' i prati che venivano concimati col letame
(e 'magri' quelli non concimati), quindi grassi e lunghi, perchè in effetti si tratta di una fascia di prati che si estendono
parecchio in lunghezza. Qua e là cascine ancora in funzione e ponticelli che attraversano il bel torrente Pioverna, che
scende tortuoso in Valsassina per poi tuffarsi nel lago nei pressi di Bellano. La vera fatica inizia dopo circa un'ora e 15' di
passeggiata, che ci sarà servita come riscaldamento. La valle sembra chiudersi, a sinistra il segnavia indica Pian dei
Resinelli ma noi prendiamo a destra per Rif. Brioschi/Pialeral. Ora il sentiero punta decisamente verso l'alto e ci richiede
un impegno maggiore; d'inverno prima o poi troveremo della neve ma in genere non è difficile seguire le orme di chi ci ha
preceduti perchè è un itinerario piuttosto frequentato. L'avvicinamento alla meta è molto suggestivo e ci stimola nello
sforzo finale della salita: siamo al cospetto delle Grigne, al centro di un luminoso scenario di montagne che ci avvolge a
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360 gradi. I bei pratoni soleggiati intorno al rifugio sono ideali per la sosta-pranzo e per un giusto ozio pomeridiano. Poi il
ritorno, con calma, sullo stesso sentiero dell'andata.
al Pialeral d’inverno
tempo totale di cammino: circa 2 ore (1,15' per la sola salita al rifugio); un pò di più se si va anche alla Rocca e ai Sassi
Rossi
dislivello complessivo: circa 400 m da Baiedo (598 m) al rifugio Riva (1020 m)
difficoltà: veramente molto facile, adatta a tutti, anche a famiglie con bambini.
dove rifocillarsi o pernottare: rifugio Riva, tel 3288647386 - nuova gestione (2007)
come arrivare da Milano: treno Milano-Lecco poi autobus di linea per la Valsassina, oppure in auto, superstrada SS36,
raccordo per la Valsassina fino a Pasturo-località Baiedo
Cartina: Kompass 105
Baiedo è una frazione di Pasturo ed è raggiungibile sia con mezzi pubblici che in auto: in quest’ultimo caso
parcheggiamo vicino al Bar Rocca e all'incrocio notiamo subito le indicazioni per Piani di Nava. La comoda mulattiera
che andremo a percorrere si imbocca dal centro storico del paese (piazza del Municipio) seguendo le indicazioni per il
rifugio Riva / Passo della Stanga; dopo poche decine di metri ci troviamo a un trivio: a destra si va alla Rocca, diritto ai
Sassi Rossi, a sinistra al Rifugio Riva. L'antica rocca fu, nel lontano passato, teatro di furibondi scontri guerreschi: ora
non sono rimaste che scarse tracce a testimonianza di questa fortificazione: dovremo far leva sulla fantasia per
immaginare la struttura di queste vicende.
L'arrivo all'alpe di Nava, dopo 2 ore di cammino molto rilassato, è una piacevole sorpresa: qui si apre un ampio
soleggiato pianoro dall'atmosfera bucolica e ingentilito dalle numerose belle baite ristrutturate. Camminiamo ora in piano
per poi piegare a sinistra alla fine del pianoro; di qui ancora 5 minuti ed eccoci al rifugio Riva: accogliente struttura, a
gestione privata, ai piedi della possente parete rocciosa sul versante settentrionale della Grigna, può essere una
gradevole e comoda base per ulteriori percorsi ad anello o per giri in mountain bike.
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Girovagando intorno a Morterone: il comune più piccolo d'Italia
Itinerario: Morterone - sorgente Forbesette - rifugio Tironi Consoli
dislivello: pochissimo, circa 250 m da 1070 m a 1400 m
tempo di cammino: circa 3 ore in tutto
come arrivare da Milano: in auto, superstrada Milano-Lecco, uscita per la Valsassina, poco prima di Ballabio deviazione
per Morterone.
dove rifocillarsi: Rifugio Tironi Consoli (tel.3474642269)
Cartina: Kompass 105
Al Pian dei Resinelli, da agosto 2002, sono state riaperte, dopo una completa opera di ristrutturazione e messa in
sicurezza, due antiche miniere - miniera Anna e miniera Cavallo/Silvia (*vedi nota) - dove per secoli (dal 1600 fino agli
anni '50) sono stati estratti vari tipi di minerali di piombo. Questa iniziativa della Comunità montana vuole anche essere
uno stimolo per creare nuove opportunità di lavoro in una zona dove il turismo e l'escursionismo tradizionale non
bastano più a sostenere l'economia locale e ad arrestare lo spopolamento.
La Valsassina, come le valli bergamasche e bresciane, è stata una importante 'area mineraria' sulla quale si è sviluppata
una notevole attività di produzioni metallurgiche (armi, attrezzi agricoli, utensili), che fornivano il Ducato di Milano e la
Repubblica di Venezia. Lo sfruttamento di numerose piccole miniere di ferro e altri minerali è stato reso possibile anche
grazie alla disponibilità di legname dei boschi circostanti, fino a determinarne lo spoglio radicale in determinati periodi
storici: pensiamo che per ottenere 5 kg. di ferro occorreva trattare 200 kg. di minerale bruciando 25 metri cubi di legno!
Si è calcolato che in 40 giorni una sola carbonaia poteva esaurire un bosco nel raggio di un chilometro. Fu tra la fine
dell'800 e l'inizio del '900 che i progressi tecnologici permisero la più ampia utilizzazione delle risorse minerarie del
lecchese, cambiando radicalmente il lavoro in miniera (perforatori pneumatici, uso della dinamite, trasporto su
teleferiche, ecc.). Dopo la seconda guerra mondiale l'abbassamento dei prezzi determinò la decadenza di queste attività,
fino alla chiusura degli impianti avvenuta alla metà degli anni '50.
Come vivevano in passato i minatori: lavoravano in miniera prevalentemente
nelle stagioni fredde (causa le infiltrazioni d'acqua durante l'estate) senza
orario o soste, e talvolta dormivano anche in miniera (qui la temperatura è
costante, circa 10°, quindi spesso più calda che all'esterno). Partivano a
novembre con muli carichi di farina, panni e altre poche masserizie e si
sistemavano in rudimentali baite nei pressi della miniera; venivano retribuiti
non a giornata ma 'a cottimo' (diremmo noi oggi), cioè in base alla quantità
di minerale estratto; il salario era costituito parte in natura (generi alimentari
ecc.), parte in denaro, parte in minerali (che poi dovevano rivendere - il
pagamento in minerali fu vietato solo con provvedimento del 1789) e in
attrezzi (per continuare il lavoro!). La scarsa preparazione dei minatori, le
rudimentali tecnologie disponibili, i turni di lavoro disumani e l'accumulo di
materiali di scarto lungo le gallerie rendevano l'ambiente tremendamente
insicuro e pericoloso: i crolli non erano infrequenti, innumerevoli gli incidenti,
le malattie e la perdita di vite umane.
Le visite guidate (bisogna prenotare): si effettuano in piccoli gruppi, con
partenza dallo chalet delle guide (vicino al parcheggio sotto il rifugio SEL -
un tempo questa stessa costruzione era una baracca di minatori). E'
un'escursione interessante per tutti: adulti, scolaresche e bambini. Anche
perché il mondo della miniera evoca una selva di sensazioni contrastanti:
l'entrare nelle 'viscere' della terra (la pancia della mamma ?), l'immergersi
nel buio (luogo dei nostri fantasmi), l'essere rinchiusi ma anche protetti dalle curiose formazioni di ghiaccio
intemperie o dai pericoli del mondo esterno, e inoltre: la fatica dell'arduo
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lavoro del minatore e il coraggio necessario per affrontarne i pericoli. Si ritorna all'aperto, dopo l'esauriente percorso
nell'intrico delle gallerie, con la sensazione di aver fatto qualcosa di più che la consueta gita domenicale.
La miniera Anna si presta ad una visita fattibile da tutti (non occorre essere escursionisti) perché è un itinerario che non
presenta nessuna difficoltà; si accede all'imbocco della miniera dopo un agevole sentiero nel bosco di circa 500 metri.
Entrando ci si trova nel sotterraneo, più o meno come doveva apparire nel '700-'800; tutto il sistema dei puntelli è stato
ricostruito con travi di legno e si è pensato anche ai bambini attrezzando una 'kinder area' dove pannelli disegnati e
modellini di 'gnomi minatori' con i loro tipici attrezzi raccontano ai più piccoli, col linguaggio delle fiabe, il mondo della
miniera. Il complesso ha un ampio sviluppo di gallerie e spiazzi/caverne di dimensioni ragguardevoli (non sono più gli
angusti cunicoli dell'epoca medievale), che testimoniano un impianto tipico dell'epoca rinascimentale: è uno sviluppo
ragionato che permette di seguire con razionalità i movimenti della vena mineralizzata (chiaramente visibile in molti
tratti). Nel procedere lungo il percorso si ha modo di comprendere l'evoluzione delle tecniche nel corso del tempo, anche
grazie ai vari attrezzi (martelli manuali o pneumatici, carrelli, lampade ad aria compressa, ecc.) opportunamente collocati
e spiegati ai visitatori.
La miniera Cavallo è invece raggiungibile dal sentiero (circa 800 metri) che parte dal 12° tornante della carrozzabile: la
miniera si inserisce in un percorso escursionistico di maggior interesse che offre una visione più suggestiva del
paesaggio montano. La struttura si sviluppa su vari livelli in ordine verticale, determinando un paesaggio con salti e vuoti
spettacolari. I camminamenti richiedono un minimo di attenzione.
(*) nota: sembrano nomi piuttosto buffi per delle miniere: 'cavallo' deriva dal nome della omonima località del Pian dei
Resinelli dove si trovano questi siti; quanto ad 'anna' e 'silvia' è un uso abbastanza frequente e consolidato assegnare
nomi di donne (mogli, figlie, mamme, sante...) alle concessioni minerarie.
Un itinerario davvero bello e panoramico, proiettato sulla traiettoria che segue la dorsale montuosa tra la Valsassina e la
Valtorta e che, alternando leggere discese e successive risalite, ci offre innumerevoli quadri paesaggistici. Inizialmente ci
concediamo un lusso: con la moderna funivia raggiungiamo i Piani di Bobbio (1662 m) - punto d'inizio della nostra
escursione - superando con un solo balzo gli 800 m di dislivello che separano da Barzio (842 m). All'arrivo ci si apre un
paesaggio piacevolissimo, dominato dalle svettanti pareti rocciose dello Zuccone Campelli, se non fosse per i numerosi
impianti sciistici che fanno sentire la loro prepotente presenza. In mancanza di indicazioni (come al solito), ci avviamo
per la sterrata che sale a fianco (ben visibile - vedi sotto nota 1). Allo skilift una freccia indica il Rifugio Buzzoni (dato a
40 minuti) e per il momento la seguiamo, ma la nostra destinazione è il rifugio Grassi. E' una stradina comoda, in parte
sotto l'ombra di bei faggi. Ci capita di imbatterci in un grosso
gregge di capre dalle corna contorte e acuminate: con finta
indifferenza ci facciamo largo sotto gli occhi incuriositi di questi
animali dall'incedere altero. Incontreremo poi sugli alti pascoli
altri greggi, pecore e mucche. Qui la pastorizia resiste con
tenacia, per quanto tempo ancora ?
Dopo un ultimo curvone la sterrata si restringe all'improvviso e
piega nettamente a destra in discesa, per raccordarsi al sentiero
descritto in nota 1 Il panorama si è aperto a tutto campo
rivelando la bellezza di uno scenario che abbraccia innumerevoli
rilievi: i massicci maestosi delle Grigne da una parte e le
movimentate catene delle Orobie dall'altra. Quando arriviamo al
passo Gandazzo siamo ancora solo a 1651 m: camminiamo da
circa 1 ora (dall'inizio) e abbiamo fatto solo qualche moderato
saliscendi. Davanti a noi il sentiero si impenna decisamente e
affronta con determinazione la risalita del pendio erboso che ci
all’inizio una comoda stradina fa guadagnare rapidamente 300 m di quota. Abbiamo lasciato i
boschi alle nostre spalle, d'ora in poi saremo sempre allo
scoperto sotto il grande cielo. Ci troviamo sul sentiero delle Orobie Occidentali: per la loro geologia e l'arditezza di
alcune importanti cime, ALPI Orobie e non semplici Prealpi. Superiamo brevi passaggi su facili roccette e qualche
momento che ci richiede un po' di concentrazione, perché i pendii sotto di noi si sono fatti decisamente molto verticali (il
sentiero è però sempre ben tracciato). Siamo diretti al passo del Toro: superata una minuscola fresca sorgente (con
bicchierino), raggiungiamo il passo in circa 20' minuti (Passo del Toro, 1945 m). Qui una lapide in memoria di un certo
Cesare ci rammenta che la montagna va sempre affrontata con saggezza anche quando - o forse soprattutto - non
manifesta pericoli evidenti. Andiamo avanti, ci manca circa un'ora alla meta. Un punto dove il crinale si restringe quasi
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fosse un esile ponticello tra due precipizi ci regala qualche brivido; più avanti invece il sentiero si incassa scolpito nella
roccia, alcuni tratti attrezzati con catene (ma servono solo in caso di neve o ghiaccio). Destinazione in avvicinamento, il
rifugio è ormai avvistato.
Davanti a noi la sagoma triangolare del Pizzo dei tre Signori si staglia sempre
più precisa: un tempo la sua bella cima segnava il confine tra il Ducato di
Milano, la Repubblica di Venezia e la Valtellina sottomessa ai Grigioni. L'ultimo
tratto del percorso è un susseguirsi di panettoni erbosi, grandi pascoli e
distese di rododendri. Soprattutto una sensazione di spazio immenso e tanto
silenzio: solo il rumore dei nostri passi, il fruscio del vento e il fischiettare delle
marmotte. Qua e là macchie di blu intenso: è l'aconito, un fiore tanto bello
quanto velenoso. Poco prima del rifugio una palina ci indica altre possibili
destinazioni, noi però siamo arrivati (rifugio Grassi, 1987 m). Un pannello
informativo racconta brevemente la storia delle attività minerarie che si
svolgevano in zona fino a qualche decennio fa (chiusura delle miniere verso gli
anni '50-60).
Picnic e relax al sole dei 2000 e poi ritorno per lo stesso sentiero.
in Val Biandino
sulle orme della guerra partigiana
itinerario: Introbio - Val Biandino - agriturismo 'La Baita'
tempo totale di cammino: circa ore 3,30' circa
dislivello complessivo: circa 550 m da Introbio 586 m all’Agriturismo 1100 m circa
dove rifocillarsi: agriturismo 'La Baita' tel 3475212186
come arrivare da Milano: in treno FFSS fino a Lecco poi autobus di linea per Introbio (Valsassina)
Cartina: Kompass 105
Questa graziosa valle trasversale della Valsassina, scavata dall'impetuoso torrente Troggia, offre molteplici possibilità
escursionistiche a vari livelli, dalla semplice passeggiata di poche ore all'escursione impegnativa per chi ha ambizioni
alpinistiche: i suoi numerosi rifugi (Madonna della neve, Tavecchia, Bocca di Biandino,) dislocati tra i 1500 e i 2000 metri
sono un’ottima base per trek di più giorni o ascensioni al Pizzo dei Tre Signori ecc.
Qui proponiamo una semplice passeggiata adatta a tutti, comprese famiglie con bambini, fattibile e piacevole in tutte le
stagioni: da Introbio all'agriturismo la Baita (3 ore e mezza di cammino, tra andata e ritorno - passo tranquillo).
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Ancora una manciata di minuti ed eccoci in vista della semplice costruzione dell'agriturismo 'La Baita'. Nella bella
stagione ci sarà magari capitato di incontrare sul sentiero il folto gregge di capre di proprietà dei gestori, d'inverno invece
gli animali vengono riparati a valle. Le piccole salette interne vi accolgono in una cordiale calda atmosfera: ambienti dai
soffitti bassi e ben riscaldati da una gloriosa stufa di ghisa, innumerevoli antichi attrezzi appesi alle pareti. C'è posto per
un numero limitato di commensali: per pranzare è necessario prenotare (tel. 3475212186), ma non c'è problema per un
più semplice ma appagante spuntino a base di salumi e formaggi (magari completati da una bella crostata casalinga):
sono veramente pregevoli.
Ritorniamo a Introbio scendendo per la comoda strada sterrata: anche quando c'è neve è comunque battuta e sempre
percorribile.
Percorriamo in auto gran parte della Valsassina fino a raggiungere il piccolo paese di Indovero dove parcheggiamo
vicino al Bar Piccolo e ci incamminiamo per la strada (è asfaltata solo per poche decine di metri) che si inoltra nella valle
verso l'Alpe Ortighera. Ci troviamo ai confini tra l'Alta Valsassina e la Valvarrone, sulle pendici del Monte Muggio, la cui
cima facilmente raggiungibile (1780 m) domina un fantastico panorama a 360 gradi: il Monte Legnone e il Pizzo dei Tre
Signori, le Grigne, i rilievi della Valchiavenna e le meravigliose forme del lago che si distende ai suoi piedi. Il cammino si
svolge inizialmente sulla comoda e piacevole stradina sterrata che innalzandosi molto lentamente, si addentra nella
piccola valle silenziosa. In meno di un'ora raggiungiamo il grazioso alpeggio di
Intelco e dopo altri 20' siamo all'Alpe Ortighera (1290 m): è un posto davvero
bello, un pianoro panoramico che ci dà un piccolo anticipo dei paesaggi più
grandiosi che godremo dall'Alpe Giumello. Alla fontana possiamo fare scorta
d'acqua e l'ampia struttura di ricovero per gli animali potrebbe tornare utile in
caso di acquazzone emergenziale. Poco più in su un cartello indica la direzione
per l'Alpe Giumello; ora il sentiero si fa più ripido, prende quota con un po' di zig
zag per poi proseguire sulla linea di costa, il panorama è sempre più aperto
mentre di fronte a noi si distendono le vaste praterie che ricoprono il
rotondeggiante 'panettone' che prelude all'Alpe vera e propria. Se alzate lo
sguardo potrete notare le sagome oscillanti dei parapendii che cercano di
innalzarsi dai pratoni poco distanti dal Rifugio Capanna Vittoria. Il panorama che
ci circonda è entusiasmante ma è ora di pranzo e non avendo portato generi
alimentari, approfittiamo della cucina del rifugio che oltre a vari piatti della
tradizione muggiasca offre una scelta di formaggi e salumi locali decisamente
stimolanti. Dall'Alpe Giumello è possibile salire alla vetta in circa 45' (sentiero
agevole su pendii erbosi) oppure fare il giro degli Alpeggi, che in circa 2-3 ore
permette di circumnavigare questa simpatica montagna privilegiata da una
posizione così panoramica. Si può acquistare la Cartina escursionistica
sosta all’Alpe Ortighera
dettagliata della zona presso la Capanna Vittoria e gli altri rifugi e chiedere
informazioni ai gestori, che sono molto cordiali.
Si ritorna a Indovero per lo stesso sentiero, oppure, se siete escursionisti decisamente 'debosciati' non vi sarà difficile
farvi dare un passaggio da qualche automobilista che ridiscende a valle (la carrozzabile si raccorda a Indovero per
diverso tracciato).
La Valvarrone: da Bellano (lago di Lecco) si snoda stretta e tortuosa, incassata tra ripidi pendii dominati da cime
importanti: il Legnone, il Pizzo dei tre Signori, le Grigne. Premana si raggiunge in circa un'ora di autobus (in auto molto
meno): si presenta aggrappata ad un pendio tanto scosceso che ci si domanda: ma perchè costruire un paese in un
posto così scomodo ? La risposta è semplice: i giacimenti di ferro esistenti in valle hanno consentito lo sviluppo della
lavorazione del ferro sin dall'epoca preromana, dando alle popolazioni un'attività economica di notevole importanza. Ora
le miniere sono chiuse, ma l'attività continua tuttora a pieno ritmo: si può dire che gran parte dei caseggiati ha un
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laboratorio o un un'aziendina al pian terreno, dove si producono forbici o coltelli (oltre il 50% della produzione nazionale
!!). E' proprio grazie a questa particolare attività che il paese
non si è spopolato in questi ultimi decenni e i suoi abitanti
mantengono un forte legame con il territorio e con le tradizioni
ad esso connesse. Il percorso di questa tranquilla e piacevole
escursione inizia in Via Repubblica (la strada sopra la Chiesa
parrocchiale), all'altezza del civico 21, direzione Piancalade. I
pendii della montagna all'inizio sono piuttosto ripidi ma il
sentiero è gradevole, seppure in costante salita fino all'alpeggio
Piancalade (1480 m); qui si prende a destra e si prosegue verso
l'alpe Solino: come dice il nome stesso è una splendida terrazza
soleggiata dall'alba al tramonto; le piccole baite sono
curiosamente allineate in un unica fila che guarda verso
mezzogiorno. Si prosegue poi in leggera discesa in una bella
vegetazione: betulle, larici, ginestre, rododendri... Il periodo
ideale per questa passeggiata è intorno a maggio/giugno
quando le fioriture colorano i pendii con vivaci macchie di giallo
Premaniga in mezzo ai rododendri e di rosa. Arrivati al grazioso alpeggio di Premaniga si può
sostare al Rifugio Pizzo Alto: piccolo, rustico, un'atmosfera di
grande autenticità. In questa zona gli alpeggi sono ancora dei luoghi vissuti intensamente dagli abitanti, anche se sono
pochi quelli che ancora hanno del bestiame. Periodicamente vi si tengono anche riunioni, sotto la guida del 'capo-
villaggio', per affrontare i diversi problemi locali e organizzare iniziative per le varie ricorrenze.
Ritorno a Premana su sentiero più breve (nr.5) che in circa 45 minuti ci riporta alla base.
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Varrone per poi prendere subito dopo a destra nei pressi della fontana.
Camminiamo tranquillamente (1,20’ ore) mentre la sterrata prende quota
con gradualità ed eccoci in vista dei maggenghi dell'Alpe Forno (circa 1200
m). D'improvviso si è aperto uno scenario diverso: la valle si è allargata e
con la luce del sole che irrompe da un avvallamento laterale, le casette,
strette una all'altra, sembrano dar vita a un paesaggio da presepe. Il
villaggio è composto da 2 nuclei, noi passiamo da Alpe Forno di sopra (lato
destro della valle). Il sentiero poi si stringe, si addentra nel bosco di larici e
rododendri: ci sono anche zone attrezzate per picnic e grigliate. Qui un
pannello spiega la storia della 'strada del ferro' e dell'economia della valle.
Avvicinandoci alla soglia superiore della valle la mulattiera prende a salire
con più determinazione, in un disegno regolare modellato su ampi tornanti;
Rifugio Casera Vecchia scorci di impervie pareti rocciose si alternano a suggestivi passaggi sul
torrente mentre in lontananza si delineano le forme eleganti delle vette più
elevate. Lasciata a destra l'indicazione per l'Alpe Arpino proseguiamo in un paesaggio di aperte praterie che ci fa intuire
l'avvicinarsi della meta, senza però svelarla ancora.
D'inverno i tratti in ombra della strada parzialmente cementata possono rivelarsi piuttosto insidiosi: qui fare attenzione
per non farsi male in una banale scivolata.
L'ultimo tratto di strada compie un percorso semicircolare intorno a un rilievo rotondeggiante. Camminiamo ormai da
quasi 3 ore e siamo decisamente ansiosi di arrivare: all'ultimo ponte sul torrente una palina ci dà il rifugio a 10 minuti. Ci
siamo, ancora poche centinaia di metri ed ecco la piccola baita finalmente in vista. Un rifugio piccolo, ben sistemato e
accogliente. Aperto nei weekend anche d'inverno, offre piatti tipici e dolci fatti in casa decisamente stuzzicanti.
Legnoncino: un nomignolo affettuoso e dal tono un po' canzonatorio che non dà certo l'idea della montagna aspra e
possente. In effetti questo monte si ritrova ad essere un po' messo in ombra dalla fama del suo più grande fratello, il
Monte Legnone, che con i suoi 2600 m di altezza calamita gli interessi degli escursionisti più impegnati. Eppure la sua
più modesta vetta di 1700 m rappresenta uno dei punti di maggior verticalità affacciati sul lago di Como, straordinaria
piattaforma panoramica su tutta la regione lariana; inoltre le postazioni della grande guerra disposte sui suoi ripidi pendii
in vari punti strategici arricchiscono l'escursione di spunti storici sicuramente interessanti ed emozionali.
Siamo a quota 1200 in un habitat decisamente montano; il minuscolo laghetto è adagiato su un bellissimo pianoro,
ombreggiato da larici maestosi. Questo piccolo bacino artificiale serviva un tempo per abbeverare il bestiame, ora è un
luogo ideale per un pic nic o una sosta distensiva. Poco distanti possiamo notare le costruzioni e le vecchie strade
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militari della 'linea Cadorna': alcuni passaggi sotterranei di collegamento sono ora ostruiti e parecchi tratti di strada
trasformati in ampi sentieroni erbosi protetti da forti muretti in pietra. Vari pannelli esplicativi vi daranno informazioni più
dettagliate sulla funzione e la struttura di questo esteso complesso di fortificazioni della Grande Guerra, che dal Gran
San Bernardo raccordava la Valmalenco e la Valtellina. Proseguendo per il nostro itinerario seguiamo nei pressi del lago
le indicazioni per il rifugio Bellano: qua e là incontreremo postazioni per l'artiglieria, osservatori difensivi, camminamenti,
trincee e gallerie. Siamo nella parte più panoramica dell'itinerario, che aggira il monte sul suo versante nord e sovrasta lo
snodo dove s'incrociano la Valtellina e la Valchiavenna e le acque dell'Adda si allargano in quel profondo fiordo che è il
lago di Como.
Salendo ci imbattiamo in un bizzarro groviglio di faggi dai rami contorti e intrecciati, affiancato da un alto casotto: è il
'Roccolo di Artesso’: in sostanza una trappola ingegnosa e spietata (l'invenzione risale a XVI secolo) che serviva, grazie
anche all'uso di richiami (uccelli in gabbia posti all'interno del boschetto), spauracchi e reti, alla cattura degli uccelli nel
periodo del passo autunnale. Ora il roccolo resta a testimonianza di una storia non troppo lontana, quando la povera
agricoltura di montagna con le sue carestie ricorrenti metteva a dura prova la vita di queste genti; i tempi cambiamo e dal
1996 la postazione è stata trasformata in stazione di inanellamento per lo studio dei movimenti migratori. Poco più avanti
grandiosi faggi secolari e una bella casa bianca con stupendo scenario panoramico. Ancora un breve tratto ed eccoci in
un'ampia radura in vista del Rifugio-bivacco Bellano, struttura autogestita disponibile per iniziative di gruppo previo
accordo col responsabile (tel. 341820217); un cartello ci indica il rifugio Roccoli a 45' di cammino. Il dislivello è ormai
quasi del tutto superato, il nostro passo si rilassa, siamo a picco sul laghetto di Piona e guardiamo l'interminabile profilo
di cime che si staglia contro il cielo. Tutt'intorno mirtilli e rododendri a perdita d'occhio, e poco sotto il sentiero i resti dei
camminamenti e delle trincee; presso una lapide a ricordo di un giovane morto a 20 anni, una galleria percorribile con
pila. Di qui alla graziosa sella dove si trova il rifugio Roccoli Lorla (1460 m) ancora solamente 20': la cucina del rifugio è
decisamente accattivante - si consiglia una bella sosta pranzo.
Chi volesse proseguire l'escursione può raggiungere la vetta del monte Legnoncino in circa 1 ora, lungo la strada
sterrata che si imbocca poco sotto il rifugio Roccoli: la vista panoramica che vi si offre vale sicuramente questo sforzo
ulteriore.
E' decisamente una gran bella montagna il monte Legnone: con la maestosità dei suoi 2600 m sovrasta la piana di
Colico e domina lo scenario dell'alto lago di Como. Facendo base al grazioso Rifugio Roccoli Lorla (1450 m), situato in
una piacevole posizione in mezzo a larici e faggi ombrosi, sono possibili vari itinerari che soddisfano esigenze di
escursionisti di livelli differenti: dai più esperti alle famiglie con bambini. Aggiungiamo che quando il cuoco si impegna la
gastronomia del rifugio è decisamente non banale, quindi è senz'altro piacevole passarvi un fine settimana e godersi
anche pranzo e cena.
Al rifugio si arriva in auto su una ex-strada militare ora asfaltata, a tratti molto stretta e curvosa, che si arrampica nella
solitaria Valvarrone sino al parcheggio proprio sotto il rifugio.
Itinerari consigliati:
1) alle postazioni della linea Cadorna (circa 40 minuti + ritorno): il sentiero parte dal laghetto sotto il rifugio e si addentra
di un suggestivo bosco di larici, betulle e rododendri sulle pendici del monte Legnoncino, con splendidi scorci sull'ampio
panorama dell'alto lago di Como.
3) Dal rifugio alla vetta del Monte Legnone (2600 m) o più modestamente
al Bivacco Cà de Legn (2146 m). Imbocco del sentiero a sinistra del
rifugio, in mezzo ai magnifici faggi. Inizialmente un po' di saliscendi e poi
leggera salita. Facilmente può capitare di imbattersi in greggi di caprette:
basta qualche urlaccio e vi lasceranno la precedenza sul sentiero. Nel
primo alpeggio che incontrate potrete acquistare caprini molto saporiti. Si
prosegue in mezzo ai larici con ampie aperture verso gli imponenti
massicci rocciosi del Badile, Disgrazia, Bernina e verso la verdeggiante
Valvarrone, fino a giungere all'alpeggio di Agrogno (1750 m), dove,
volendo, possiamo fare una prima sosta con spuntino a base di formaggi
vari. Riprendendo la salita si arriva in 20 min. al bivio, prendete a destra
indicazione sentiero 1A per Monte Legnone. Gradatamente il bosco si
dirada, il paesaggio si fa più aspro, si cammina su un costone prima
erboso poi roccioso; poco prima del bivacco un passaggio attrezzato con
corde, niente di difficile, richiede solo un po' di attenzione. Siamo a quota
2146, il Bivacco Cà de Legn è decisamente disadorno, ma può essere un
buon riparo in caso di maltempo. Da qui la vetta del Legnone sembra già
a portata di mano, ma ci sono ancora 500 m di dislivello da superare, che
non presentano vere difficoltà alpinistiche ma richiedono comunque una
certa esperienza escursionistica (passaggi su roccette) e un
abbigliamento adeguato alla quota; dalla vetta si gode una vista
impareggiabile, ma per i meno allenati basterà fermarsi al bivacco con la passaggio salendo al Bivacco Cà de Legn
soddisfazione di aver già fatto fin qui una passeggiata bella e ugualmente
gratificante.
Tempi: rifugio-bivacco ore 2,30' + ritorno; rifugio-vetta Legnone 4 ore + ritorno (passolento: 300 m di dislivello all'ora)
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VALCHIAVENNA E DINTORNI
Quante volte siamo passati da Chiavenna diretti in Val Bregaglia o nella più celebre Engadina, e ci siamo fermati solo
per uno spuntino in qualche crotto o un veloce cappuccino. Oggi invece andiamo alla scoperta dell'affascinante territorio
che si sviluppa proprio a ridosso della bella cittadina - il Parco delle Marmitte dei Giganti - per poi salire all'antico borgo
di Uschione (quota 835), sul soleggiato pianoro proprio sopra Chiavenna e completamente nascosto alla vista dal
fondovalle. Passeggiata a bassa quota, dunque particolarmente indicata per le stagioni intermedie, quando il caldo non è
ancora soffocante.
E poi le cave di pietra ollare: qui per secoli generazioni di cavatori hanno faticato scavando la montagna
(prevalentemente in cave a cielo aperto ma anche in numerosissime soffocanti gallerie, attualmente non visitabili) per
estrarre questo particolare tipo di roccia piuttosto 'tenera' - contenuta all'interno della più consistente 'pietra verde' -
utilissima per ricavare contenitori vari e pentole ('laveggi') ottime per la cottura dei cibi senza aggiunta di grassi (ora
continua una limitata produzione di alto artigianato a prezzi
vertiginosi). Fate attenzione sui sentieri: gran parte
dell'acciottolato è di pietra ollare, che in caso di pioggia risulta
decisamente scivolosa. Girovagate a vostro piacere ma non
trascurate di raggiungere le sommità di Sasso Dragone e
Belmonte: luoghi panoramici decisamente suggestivi. In circa 2
ore e 30' visitiamo il Parco delle Marmitte e proseguiamo così per
Uschione: da Passo Capiola raggiungiamo Pratogrande, di qui
prendiamo la direzione 'al roccolo' (indicazioni su palina) poi
ancora avanti attraversando la 'frana di Pratogiano' fino a
incrociare, sul poggio erboso del Belvedere, l'ampia mulattiera
gradinata che da Chiavenna sale a Uschione. Abbiamo perso un
po' quota, ora ci tocca risalire (di qui circa 400 m di dislivello). La
mulattiera, perfettamente acciottolata, sale regolarmente a tornanti
in un ambiente suggestivo, movimentato da possenti blocchi di
rocce disseminate in mezzo alla fitta vegetazione, alternando tratti
Uschione
piuttosto faticosi ad altri più rilassanti. L'apparire dei terrazzamenti
un tempo coltivati indica che ci stiamo avvicinando al paese, pochi
minuti ed ecco le prime costruzioni. Le antiche case in pietra, con piazzette, viottoli e fontane, si raggruppano in 3
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'contrade' intorno ai grandi spazi erbosi, e si popolano soprattutto d'estate, ma fino agli anni '50 qui c'era una attiva
comunità stabile di circa 300 persone (contadini, allevatori, cavatori, artigiani…), con scuola, parrocchia e luoghi di
ritrovo. Niente auto e grandi prati perfetti per il pic-nic di metà giornata e c'è anche un piccolo bar poco distante dalla
chiesa (bello soprattutto l'alto campanile che sovrasta i tetti tutt'intorno).
Si ritorna a Chiavenna percorrendo interamente la stessa mulattiera su cui siamo saliti, e che va a sbucare proprio in
vicinanza del piazzale della stazione.
Questa escursione fa parte del più ampio percorso storico-escursionistico lungo l'antica via Spluga, che per secoli,
insieme ai passi del Maloja e del Settimo, ha collegato la Valchiavenna e l'area comasca al Nord Europa. L'itinerario
completo, il cui ripristino è stato completato in occasione del Giubileo, si sviluppa su 65 km, da Thusis a Chiavenna, e
naturalmente si può fare a tappe, in tutto o in parte; esistono convenzioni tra gli alberghi e i rifugi, che provvedono anche
al trasporto dei bagagli (chiedere informazioni all'APT di Chiavenna).
Si arriva al Lago di Montespluga in circa 3 ore: qui il paesaggio è abbastanza desolato, tipico del resto dei passi a
quest'altitudine, ma è possibile fare sosta al Rifugio Stuetta oppure sugli ampi prati circostanti.
Di qui si può tornare a Isola, magari facendo alcune varianti oppure scendere a Madesimo lungo il sentiero degli
Andossi, seguendo i lunghi muretti che suddividono i pascoli: un paesaggio pastorale in netto contrasto con quello
sperimentato lungo la salita nella gola del Cardinello.
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in Valchiavenna sui tracciati della transumanza
tempo totale di cammino: circa 4 ore
dislivello complessivo: circa 500 m da Borgonuovo di Piuro (400 m) a Savogno (932 m)
dove rifocillarsi e pernottare: Rifugio Savogno (tel 034334699)
come arrivare da Milano: con treno linea Milano/Lecco/Colico + eventualmente autobus locale dalla stazione di
Chiavenna a Borgonuovo.
ulteriori informazioni: Consorzio Turistico Chiavenna tel. 034333442
sito correlato: www.valchiavenna.com
Cartina: Kompass 92
Questa passeggiata ripercorre un'antica mulattiera, che per secoli è stata via della transumanza verso i pascoli dell'Alpe
di lago. Si può partire a piedi direttamente dal centro di Chiavenna sul sentiero pedonale che si imbocca da piazza
Castello, oppure prendere l'autobus e scendere a Borgonuovo: il sentiero inizia proprio alla base (alla destra) delle
spettacolari cascate dell'Acqua Fraggia. Sono possibili delle varianti ai punti panoramici più suggestivi che permettono di
ammirare i salti impetuosi del torrente. La mulattiera sale passo dopo passo su circa 3.000 gradini: si sale costantemente
ma agevolmente, senza saliscendi. E' un ottimo esercizio muscolare ! Però se si volesse poi rendere la discesa più
variata e meno faticosa, sarà meglio tornare a Chiavenna lungo il sentiero per Sant'Abbondio. Nel corso della salita si
incontrano i ruderi di antiche stalle che costituivano dei punti tappa per il bestiame nel tragitto verso gli alpeggi in alta
quota. Savogno è tuttora un paese senza strade, collegato alla
valle solo tramite le vecchie mulattiere. E' stato abitato fino circa
agli anni '50, poi si è spopolato, come molti altri villaggi di
montagna. E' un paese molto bello, le sue viuzze offrono scorci
architettonici e panoramici interessanti e la vista dal piazzale
antistante la canonica è davvero magnifica. Ora questo borgo si
sta rivitalizzando, anche grazie all'apertura di un rifugio
funzionante tutto l'anno e gestito in modo intelligente.
Ristrutturando la vecchia scuola elementare, è stata ricavata
una struttura accogliente e confortevole, una via di mezzo tra
l'albergo e il rifugio vero e proprio. La cucina è particolarmente
curata e il cibo presentato in modo accattivante: un'indirizzo
senz'altro adatto quindi anche per gite con pranzi sociali e così
via. Se avete voglia di allungare un pochino la passeggiata vale
decisamente la pena di raggiungere (in circa 30') il villaggio di
Dasile: è un sentiero bellissimo e la sua posizione panoramica
Savogno
offre una più ampia vista sulle montagne circostanti.La discesa:
da Savogno è consigliabile tornare a Chiavenna per il sentiero
che scende ai borghi di San Abbondio e Crana per finire poi a Prosto (Piuro): è una discesa più rilassata e offre scorci
suggestivi sui meandri del torrente e sugli antichi abitati che punteggiano a mezza costa questa bella valle.
Se avete a disposizione più tempo o più energie, l'escursione si può ampliare. Ad esempio: la salita verso Alpiggia ed
eventualmente al Lago (2043 m) è molto piacevole: il paesaggio in questa parte alta cambia veramente e si fa spazioso
e movimentato - attenzione però al dislivello complessivo della discesa che diventa piuttosto faticoso.
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sentiero panoramico (2 ore; imbocco presso la mulattiera che sale a Savogno). Noi optiamo invece per un giro più
modesto, che passando per i vecchi borghi di S. Abbondio e Cranna, ci conduce alla località Cortinaccio dove andremo a
visitare Palazzo Vertemate. Dunque dal parcheggio prendiamo la strada che porta alla Chiesa di S. Abbondio dove si
trova anche il Museo di Piuro. Proseguiamo salendo le gradinate che intersecano le caratteristiche antiche viuzze. La
mulattiera prosegue oltre il paese andando a incrociare la stradina in più punti. Si raggiunge il ponte sul torrente Valle
Drana (558 m) e si prosegue in leggera salita sino alle case del nucleo di Cranna. Di qui si può avere una bella
inquadratura di Palazzo Vertemate: attraversiamo il paese e seguiamo la strada sino all'ingresso del Palazzo a
Cortinaccio.
La visita guidata, che dura circa 1 ora, ci permette non solo di ammirare un'opera di squisita raffinatezza ma anche di
cogliere alcuni tratti peculiari della storia della Valchiavenna. Dimora di rappresentanza di una agiata famiglia di
commercianti del XVI secolo (i fratelli Guglielmo e Luigi Vertemate Franchi) testimonia anche la solidità dell'economia del
tempo, in una valle che è sempre stata incrocio di scambi commerciali e culturali da e verso il Nord Europa (tramite il
passo dello Spluga, il Settimo e per ultimo il Maloja), dunque una valle ricca e aperta agli influssi culturali e artistici
internazionali.
Se Palazzo Vertemate si salvò dalla rovinosa frana del 1618 fu grazie alla sua fortunata posizione, alta sulla valle e
panoramicissima. Entriamo nel micromondo di questa raffinata dimora: con i suoi orti, il vigneto, la chiesetta, il
castagneto, le stalle, le case dei dipendenti costituiva un luogo quasi autosufficiente per la piccola comunità che vi
gravitava intorno.
Una realtà autonoma dunque e notevole per le sue dimensioni - in un contesto di montagna. All'esterno ammiriamo i bei
giardini fioriti e la vigna, curatissima, da cui di ricava un vino di pregio: da notare l'alto muro che la circonda e che,
assorbendo calore, ha la funzione di favorire la maturazione; ingegnosi anche i parapetti in pietra, con basi semicircolari,
su cui si mettevano i vasi con piante di agrumi per mantenerli più caldi durante la stagione invernale; Chiavenna tra
l'altro ha un microclima mite: mediamente le temperature d'inverno sono di 8 gradi superiori rispetto a Sondrio nella
vicina Valtellina. Caratteristica dell'aspetto esteriore del palazzo, come del resto di molti palazzi di Chiavenna, è
l'estrema semplicità in netto contrasto con la ricchezza di decorazioni all'interno. Varchiamo il portone d'ingresso,
sormontato dallo stemma con l'aquila imperiale: all'interno ci si apre un ambiente di colori, affreschi raffinati, decorazioni
sorprendenti dei soffitti, cura estrema di tutti i particolari. Al piano terra ecco la sala di rappresentanza, magnificamente
affrescata e ricca di dettagli che denotano l'attenzione con cui il progetto è stato realizzato: per esempio il disegno del
dio Marte che sembra voltarsi allargando le braccia al cambio di prospettiva dell'osservatore. Passiamo nella stanza
successiva, l'accogliente 'Stube', interamente rivestita da calde boiseries, dove troneggia una favolosa stufa di
fabbricazione tedesca; particolare curioso: lo stanzino dello scrivano, deputato a registrare tutto il contenuto delle
conversazioni e/o contrattazioni che vi si svolgevano ! Proseguendo verso la stanza adiacente notiamo sopra la porta
l'elaborato e perfetto lavoro d'intaglio nel legno. Al primo piano ecco la galleria con ritratti di famiglia, tutti piuttosto
seriosi, e la camera detta di Napoleone dove in realtà l'imperatore non soggiornò mai, pur avendo avuto un ruolo
determinante nel sottrarre la Valchiavenna alla dipendenza dai Grigioni (la valle fu incorporata nella Repubblica
Cisalpina nel 1797). Il secondo piano è il piano nobile, ogni stanza ha una sua impronta particolare, con affreschi e
soffitti intagliati di straordinaria maestria… camera arancio, camera blu, camera dei mestieri e camera del capofamiglia
con le cariatidi: buffa quella che se ne sta seduta con espressione di paziente sopportazione. Interessante la stanza 'del
Carducci', dai soffitti sobri ed eleganti, dove il poeta soggiornò in vari periodi estivi. E infine bella serie di dipinti di
Strozzi, pittore genovese, specialmente un San Gerolamo con leone molto inquietante.
Questa descrizione è purtroppo assolutamente sommaria e ci vorrebbero pagine e pagine per descrivere
esaurientemente tutti i particolari di questo ambiente straordinario, ma il bello è proprio di andarci di persona, senza
sapere già tutto in anticipo.
Finita la visita riprendiamo la nostra passeggiata per ritornare al punto di partenza, alle cascate: uscendo dalla villa
costeggiamo il muro di cinta e all'angolo del muraglione imbocchiamo il sentiero seguendo poi le indicazioni per il
'percorso vita': bella mulattiera fiancheggiata da forti muretti in pietra. Si raggiunge piacevolmente il torrente Valle Drana
e lo si attraversa proseguendo poi senza difficoltà per ritornare al parcheggio dove abbiamo lasciato l'auto.
Indicazioni pratiche: l'itinerario descritto è un anello che partendo da Novate Mezzola (frazione Mezzolpiano) porta in
circa 2,30' ore a Codera, passa quindi sull'altro versante della valle per arrivare al villaggio San Giorgio e scendere poi al
punto di partenza; in tutto circa 4 ore e 30' di cammino (più le eventuali soste). A Novate Mezzola si arriva in treno sulla
linea Lecco/Colico/Chiavenna oppure in auto per la SS36 da Lecco. In tutti i casi dal paese bisogna portarsi alla frazione
Mezzolpiano da cui parte il sentiero vero e proprio (dalla statale vedrete i vari segnavia del CAI che indicano i sentieri).
Il percorso: da Mezzolpiano l'ampia mulattiera gradinata inizia subito a salire a tornanti, arrampicandosi con decisione
sul pendio che stringe l'imbocco della valle e quasi la nasconde allo sguardo di chi proviene dal lago. E' la prima ora di
cammino la più faticosa perchè si sale costantemente. Superato l'iniziale dislivello di circa 3-400 m il sentiero prosegue
più agevolmente con tranquilli numerosi saliscendi. Senza possibilità di sbagliare si avvistano le prime case di Codera
dopo circa 2 ore e 30' (andando piano). Questo grazioso simpatico villaggio è forse l'unico in Lombardia che, pur non
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avendo collegamenti con la pianura (tramite strade o funivie), non si è
ancora del tutto spopolato. Il lungo contrasto che ha opposto due
opposte fazioni (coloro che volevano la strada e quelli che
privilegiavano la salvaguardia dell'integrità della valle e delle sue
peculiarità) non si è ancora risolto e resta aperto il problema di come
mantenere in vita la valle pur rispettando il suo valore ambientale e
umano. A Codera è attiva una piccola comunità, animata dalla
Associazione degli Amici della Val Codera, che dà vita a numerose
iniziative finalizzate a stimolare l'interesse per questa zona e
sviluppare un turismo escursionistico consapevole e non di massa. Il
piccolo e ben organizzato Museo Etnografico di Codera ricostruisce
gli attrezzi e gli ambienti della vita quotidiana e dell'economia del
passato. Per secoli l'attività economica principale è stata l'estrazione
e la lavorazione della pietra: il picco più alto si raggiunse tra la fine
il villaggio di San Giorgio
dell'800 e i due decenni tra le guerre mondiali, arrivando a impiegare
fino a 700 addetti nelle diverse cave; nel secondo dopoguerra l'uso del granito andò declinando a favore di materiali più
economici e le cave chiusero causando il graduale spopolamento del paese nel corso degli anni '70. Resistono ancora
però alcuni abitanti che risiedono a Codera quasi stabilmente, inoltre la locanda è aperta tutto l'anno. E' piacevole fare
sosta a Codera e godersi la suggestione di questo piccolo borgo pensando che solo fino a pochi anni fa vi si svolgeva un
tipo di vita, che ora ci sembra lontana anni luce. Per proseguire nell'itinerario dovremo prendere il sentiero che dal paese
scende al torrente Codera e l'attraversa; nel percorso verso San Giorgio alcuni punti sono veramente suggestivi: dove ad
esempio il sentiero è incuneato sotto le rocce o dove passa sugli splendidi ponti in pietra. Si oltrepassano diverse baite
fino ad arrivare in meno di 2 ore nel bel villaggio di San Giorgio che appare placidamente adagiato su un ampia sella
erbosa sottostante il monte Provinaccio. Le armoniose case di pietra sono ora per lo più seconde case di gente che abita
a Novate Mezzola, e nell'insieme si nota la cura con cui sono state restaurate e il desiderio di salvaguardare la semplice
bellezza di questo antico borgo. Una curiosità: presso il cimitero si trovano due notevoli massi avelli risalenti
probabilmente al periodo romano.
In Val Codera sono possibili numerosi altri itinerari che la percorrono in tutta la sua notevole lunghezza (fino al Rifugio
Brasca) in un paesaggio che proseguendo si fa sempre più alpino.
itinerari:
1° giorno: da Campo Franscia (1650 m) all'Alpe Prabello (2287 m); dislivello: circa 630 m
2° giorno: dall'Alpe Prabello a Caspoggio; dislivello: circa 500 m in discesa
tempo totale di cammino: 1° giorno: 4 ore e 30'; 2° giorno: 6 ore
come arrivare da Milano: treno Milano/Sondrio + autobus per Chiesa Valmalenco/Campo Franscia
dove pernottare e rifocillarsi: Rifugio Cristina all’Alpe Prabello tel 0342452398; 0342452436; Rifugio Zoja tel 0342451405
ulteriori informazioni: APT Valmalenco tel 0342451150;
Cartina: Kompass n. 93
Siamo sull'Alta Via della Valmalenco: grande itinerario escursionistico, promosso nel 1974 dal Museo della valle, che in 8
tappe (totale 110 km) raccorda alpeggi e rifugi in quota, disegnando una sorta di anello alle pendici dei gruppi Disgrazia,
Pizzo Bernina, Pizzo Scalino; il percorso completo, pur non presentando difficoltà tecniche, richiede un adeguato
allenamento data la lunghezza di alcune tappe.
Il tratto descritto in questa pagina rappresenta l'ottava tappa e lo proponiamo per un fine settimana, per godersi con tutta
tranquillità la suggestione di un magnifico scenario panoramico e l'incantevole atmosfera dell'Alpe Prabello.
Si parte da Campo Franscia (1560 m) - ci si arriva anche con i mezzi pubblici - al termine della carrozzabile che da
Chiesa Valmalenco passa per Lanzada per poi finire qui. Vi si trovano bar e ristoranti dove eventualmente acquistare
panini e bibite.
Inizio del cammino: poco dietro l'albergo Fior di Roccia scendiamo verso la fontana per poi incamminarci sul sentierino
che sale in direzione dello Chalet Conca Verde (segnalazioni inesistenti - attenzione: non si attraversa il torrente).
Saliamo tranquillamente in un paesaggio che si fa via via sempre più suggestivo, e dopo circa 1 ora e 45' eccoci a un
bivio: prendiamo la direzione per Campomoro; percorriamo un breve tratto di strada carrozzabile dove purtroppo arriva
anche qualche rara automobile; poco male, in circa 15' arriviamo alla diga: di qui si stacca il sentiero che in pochi minuti
sale al dosso ove si trova il Rifugio Zoja (2020 m): la sua bella terrazza panoramica è il posto giusto per fare una
gradevolissima sosta.
Il sentiero prosegue poi in leggera salita addentrandosi tra larici e pini mughi: inizia il tratto veramente panoramico
dell'escursione; cammineremo ora in quota seguendo leggere ondulazioni e moderate risalite, in una cornice panoramica
dominata dai grandi massicci del Disgrazia sul versante opposto della valle.
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A tratti si incontrano possenti rocce monolitiche smussate dall'azione dei ghiacciai e vertiginose pareti verticali (falesia
dello Zoja) dove sono state aperte impegnative vie di arrampicata (6°, 7° grado).
Prabello è uno degli alpeggi più belli e curati che si possano trovare sulle alpi
lombarde: le tipiche baite dai tetti in pietra (molte dotate di moderni pannelli
solari) si dispongono lungo una planimetria che abbraccia un grande spazio
Pizzo Scalino circolare sovrastato dalla restaurata chiesetta in stile gotico-alpino, posta su
un rilievo roccioso a protezione della piccola comunità.
Il secondo giorno non è meno bello del primo: si riprende il cammino tenendo
come destinazione Piazzo Cavalli. Il sentiero corre a lungo in quota, e ci
troviamo sempre immersi in un panorama stupendo; meritano particolare
menzione i bei pianori e le baite di Acquanera (m 2116) e l'Alpe Cavaglia
(2050 m).
la chiesetta nelle luci del tramonto
A Piazzo Cavalli arriva la seggiovia di Caspoggio: i più pigri potranno optare
per questa soluzione altrimenti giù per la discesa del pistone da sci e poi per
pista forestale.
Si giunge in località S.Antonio, poi ancora 40' circa ed eccoci a Caspoggio
(1780 m circa).
Alpe Prabello
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VALSESIA
3 itinerari da Alagna
come arrivare ad Alagna da Milano: in auto, autostrada A8 per Sesto Calende, poi A26 per Alessandria, uscita a
Romagnano Sesia e statale 299 fino ad Alagna
informazioni: APT Alagna, tel 0163564404, Centro del Parco tel 016354680
sito correltato: www.valsesia.it
Val d'Otro: la valle dei Walser. Vi si arriva da Alagna su un agevole sentiero di circa 2 ore: è il cammino che gli abitanti di
Alagna facevano quando, all'inizio della stagione estiva, lasciavano le loro abitazioni in paese e si trasferivano negli
alpeggi a quote più elevate, per restarvi all'incirca fino a Natale. Un'escursione 'facile' ma che, forse più di altre, merita di
essere vissuta con calma e curiosità e che ci permette di avvicinarci alla storia e al particolare sistema di vita comunitaria
di queste popolazioni. Mentalmente facciamo un salto nel passato, quando, alcuni secoli fa, in Valsesia e nelle vallate
circostanti si insediarono in modo sempre più radicato le piccole ma tenaci comunità Walser, provenienti dal vicino
Vallese. Un popolo di straordinari pastori-agricoltori che ha impresso un'impronta originale in un'ampia zona delle Alpi
Occidentali.
Dalla piazza centrale di Alagna prendiamo una stradina che passando per il quartiere 'Riale superiore' ci conduce in
pochi minuti all'uscita del paese: alla grande fontana facciamo scorta di acqua fresca prima di iniziare la salita vera e
propria; procediamo sul sentiero acciottolato che si addentra nella valle: pochi minuti e incrociamo una strada sterrata -
noi tiriamo dritti seguendo l'indicazione per la Val d'Otro (sentiero nr. 3). In breve siamo in mezzo al fresco bosco; eccoci
al primo bivio, laddove ambedue i sentieri portano in Val d'Otro: noi prendiamo a destra il nr. 3, che punta più
direttamente alla nostra destinazione (il 3A, sulla sinistra, col suo sviluppo più lungo e la salita meno ripida, era quello su
cui transitava il bestiame condotto agli alpeggi). Saliamo regolarmente, gradino dopo gradino, un tornante dopo l'altro;
lungo la via svariate cappellette. E' un itinerario ombreggiato, relativamente fresco anche nelle calde giornate estive.
Tratti a gradoni più impegnativi si alternano a momenti più rilassati semipianeggianti. Ancora una fontana: qui seguiamo
il tornante che piega a destra, destinazione sempre Otro. Camminiamo da circa 1 ora e 30' ed ecco che la valle inizia ad
allargarsi, scorgiamo le prime sagome del villaggio mentre il sentiero si fa pianeggiante e luminoso, abbellito da vivaci
fioriture di epilobio e invitanti cespugli di lamponi.
verso Follu
La Val d'Otro è una 'valle sospesa': si dice così quando lo sbocco della valle presenta una sorta di salto notevolmente
verticalizzato rispetto al piano della valle sottostante (in questo caso quello della Valsesia); una tipica morfologia prodotta
dall'erosione glaciale, dove il potere di erosione del ghiacciaio principale è stato decisamente superiore (ha scavato di
più) rispetto a quello tributario. La 'valle sospesa' è però anche e soprattutto una 'sorpresa', un paesaggio che si rivela e
si dispiega davanti a noi quasi all'improvviso, con un impatto decisamente suggestivo. Nell'ampio pianoro (quota circa
1660 m), incorniciato da un frastagliato ventaglio di monti, sono adagiate sei piccole frazioni, perfette nella bellezza delle
tipiche architetture di case Walser che si stringono protettivamente l'una all'altra, ma tutte con lo stesso orientamento
rivolto verso il sole, mentre si notano sui declivi le precise geometrie dei campetti un tempo più intensamente coltivati.
Sullo sfondo del gruppo di case più decentrato (Feglierec) spicca il profilo maestoso del monte Tagliaferro, mentre Follu
si raccoglie intorno alla chiesetta affrescata, dedicata alla Madonna della Neve. C'era un sacerdote che risiedeva
stabilmente in questa località e i bambini che frequentavano la scuola ad Alagna, facevano tutti i giorni il cammino su e
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giù. Il forno da pane, restaurato, lo troviamo nella frazione Dorf: la cottura del pane era un rito collettivo fondamentale,
che si faceva 2 volte all'anno. Scarpia è l'ultimo villaggio, in posizione particolarmente suggestiva; qui notiamo anche la
singolare struttura delle case, difese dalle valanghe da un terrapieno che si raccorda ai tetti a mo' di protezione.
L'armonia è l'impronta dominante di questa bella valle: natura, villaggi, campi coltivati e pascoli sembrano formare un
insieme perfettamente equilibrato, ed è facile sentirsi invasi da un sentimento misto di ammirazione e nostalgia di un
mondo passato che ci si presenta in tutta la sua bellezza, mentre la durezza di quelle condizioni di vita rimane più in
ombra. In Val d'Otro le strade e le auto non sono arrivate e capita ancora di incontrare qualche agricoltore che trasporta
le sue cose a dorso di mulo. Per fortuna la comunità locale resiste alla tentazione di massificare questo luogo splendido
che verrebbe completamente snaturato perdendo tutto il suo fascino.
Da Scarpia si prosegue per Pianmisura (circa 30': segnavia all’ingresso del villaggio sulla destra): vale assolutamente la
pena di completare questo giro perché il sentiero che si percorre è bellissimo e la salita moderatissima. Pianmisura si
trova quasi alla testata della valle, una conca dal carattere severo e affascinante insieme, soltanto prati e rocce e piccoli
nuclei di casette in pietra decisamente spartane, in gran parte abbandonate. Spicca per contrasto l'elegante facciata
della chiesetta restaurata. A Pianmisura si respira un'atmosfera un po’ malinconica, c'è la chiara percezione di un tempo
perduto, di una storia conclusa e che non può tornare - anche se alcune case recentemente restaurate sono il segno
dell'attaccamento di questa gente ai propri luoghi e della volontà di tenerli in qualche modo vivi.
Introduzione: Ad Alagna seguiamo la carrozzabile di fondovalle per lasciare l'auto all'ultimo parcheggio consentito e di
qui raggiungiamo, con un comodo bus-navetta (in funzione nella stagione estiva), il piazzale ai piedi delle schiumeggianti
cascate dell'Acqua Bianca. Inizia qui l'ampio sentiero gradinato che in circa 20' ci conduce al Centro visitatori del Parco
dell'Alta Valsesia (Alpe Bitz), dove possiamo reperire informazioni e cartine escursionistiche, nonché visitare il grazioso
giardino botanico e la piccola esposizione interna. Siamo nel parco più alto d'Europa, i cui confini comprendono le vette
del Monte Rosa e la testata delle valli del Sesia e dei suoi affluenti. Un territorio estremamente interessante per la sua
complessità geologica (siamo sul fronte della linea insubrica, raccordo e scontro tra la piattaforma africana e l'europea),
la maestosità del paesaggio e la peculiare impronta storico-culturale impressa a queste valli nel corso del tempo dalle
comunità Walser.
Itinerario: Dall'Alpe Bitz passiamo sul versante destro della vallata traversando il ponte coperto: scorcio davvero
vertiginoso sulle acque turbinanti del Sesia che si scagliano con violenza contro le alte pareti rocciose; poco più avanti
ecco l'ampio pianoro del rifugio Pastore (Alpe Pile, 1575 m): minuscolo, accogliente villaggio di case in pietra (è una ex-
casera), riattate dal CAI di Varallo, gode di un panorama privilegiato al cospetto del Monte Rosa, che al mattino si
illumina di una luce splendente, ed è frequentato da un pubblico vario di escursionisti da tutt'Europa che fanno il tour del
Monte Rosa (10 tappe) e d'innumerevoli famiglie con bambini che di domenica ne fanno meta di gite con picnic e giochi
vari.
Dalla radura prativa antistante il rifugio proseguiamo sul sentiero
nr. 6: un cammino rilassato su lunghi falsopiani che,
oltrepassando alcune casere, in vari punti accosta le anse del
fiume e che in meno di un'ora e 30' ci porterà all'Alpe di Bors.
Qua è la si fanno notare grandi frassini: le foglie di questi alberi
erano un tempo scorta di cibo d'emergenza per gli animali in
caso di carestia di fieno. Giganteschi massi rocciosi sparpagliati
nel rado bosco di larici creano scenari dall'atmosfera magica,
che presagisce la sortita di gnomi o folletti. Giungiamo in breve
all'attraversamento del torrente Bors (bello!) e di qui prendiamo
a sinistra il sentiero nr. 10, che arrampica con decisi gradoni sul
salto roccioso che contrassegna l'imbocco della Valle di Bors.
Un cartello segnala l'angusto ingresso (sbarrato) della Miniera
San Maurizio, attiva dal 17° secolo e ora non più coltivata. Tutto
il territorio del gruppo del Rosa è stato scavato e sfruttato sin
dall'antichità per i suoi giacimenti di oro, pirite, minerali di rame e
lungo il sentiero nr. 6 quant'altro. Ora le miniere sono dismesse ma c'è ancora in giro
qualche cercatore solitario che si ostina a setacciare le acque del Sesia alla ricerca di pagliuzze d'oro (che in effetti ci
sono). Dalla miniera ci separano pochi minuti dall'arrivo all'alpe di Bors (quota 1829 m); c'era una comunità di
pastori/agricoltori e di minatori che abitava questo minuscolo villaggio, tra l'altro le prime case all'inizio dell'abitato
fungevano da mensa per i minatori e foresteria per gli ingegneri minerari. Nei pressi del paesino placide mucche
pascolano nell'ampia prateria che si sviluppa lungo il corso del torrente Bors; sullo sfondo, alla testata della valle, lo
spettacolare salto d'acque (ben 200 m) della Cascata delle Pisse.
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Si ritorna ad Alagna sostanzialmente per lo stesso sentiero
dell'andata, magari con una piccola variante: dal Rifugio Pastore
proseguiamo lungo il sentiero nr. 6 per arrivare a piedi fino ad
Alagna evitando il bus.
Invece, per chi volesse impegnarsi ulteriormente, dall'alpe di
Bors, l'itinerario nr. 10 prosegue traversando la vallata e
risalendo il versante destro per giungere in circa 2 ore alla
Bocchetta delle Pisse (2396 m): splendida piattaforma
panoramica su tutto il magnifico anfiteatro di montagne,
disseminata di minuscoli deliziosi laghetti e festose fioriture
alpine (dalla Bocchetta si può tornare comodamente ad Alagna
in cabinovia).
E' un sentiero soleggiato, accompagnato dalla voce strepitante del torrente che
rumoreggia tumultuoso sotto di noi per lunghi tratti. Siamo in mezzo a un arioso
bosco misto di larici, aceri, ontani. Gradatamente guadagniamo quota e ci
avviciniamo alla maestà del Monte Rosa: come in un lento zoom la sua immagine
si fa sempre più dominatrice. Dopo un'ora di cammino rilassato la salita si fa più
decisa; volgendo lo sguardo indietro osserviamo la forma della vallata su cui si
trova l'Alpe Pile: tipico profilo a U delle valli modellate dall'azione dei ghiacciai.
La cascata del Rio Vigne, con le sue forme rocciose scolpite geometricamente, è
uno scenario troppo bello che ci obbliga a una sosta gratificante. Non ci manca
la cascata del Rio Vigne poi molto per arrivare all'Alpe Vigne dove si trova il piccolo Rifugio Barba Ferrero
(2250 m), solo ancora un po’ di salita e infine una svolta decisamente sulla destra.
Siamo al centro della grandiosa conca glaciale alla testata della Valsesia, straordinario punto panoramico sugli oltre
4500 m della cima Gnifetti avvolta dalla massa abbagliante dei ghiacciai sempre imponenti, nonostante il graduale ritiro.
Un particolare lodevole: nel rifugio è in funzione un'efficiente cucina solare che col semplice ausilio della luce cuoce
ottimamente salsicce e spezzatini vari.
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LAGO MAGGIORE E DINTORNI
Buoni motivi per fare una puntata a Macugnaga non mancano di certo: adagiata proprio di fronte al maestoso Monte
Rosa, è la base di innumerevoli escursioni e ascensioni alpinistiche, inoltre offre uno spunto interessante abbastanza
unico: la visita all'antica miniera d'oro della Guia.
Si arriva a Macugnaga uscendo dalla superstrada per Domodossola a Piedimulera: di qui iniziano circa 30 km di strada
decisamente stretta e curiosa. I vari paesi che si attraversano mostrano nella bella architettura delle case la particolare
impronta tipica della cultura dei Walser, popolazioni di origine vallese che nei secoli passati colonizzarono soprattutto la
parte alta della valle. Qui hanno mantenuto nel tempo le loro tradizioni di vita comunitaria e la lingua di ceppo tedesco,
come si nota anche dalle numerose insegne bilingui.
Ecco il breve resoconto di un unica giornata passata a Macugnaga nel corso di un’estate: una facile escursione e la
visita alla miniera.
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di vedere brillare l'oro alle pareti: questo prezioso metallo si presenta in un composto con altri minerali da cui deve
essere separato se si vuole estrarlo, ciò che si vede brillare è solo l'umile pirite. L'esposizione dei vecchi rudimentali
strumenti di lavoro rende l'idea di quanto fosse massacrante il lavoro del minatore, che con il piccone manuale in una
intera giornata di lavoro poteva avanzare al massimo di circa 30 cm ! Con l'introduzione del martello pneumatico si ebbe
un forte incremento della produttività e conseguenze devastanti per i polmoni dei minatori (un tasso altissimo di malattie
quali la silicosi e una durata di vita media molto breve) dovute alla grande quantità di polvere prodotta da questa tecnica.
La miniera è un grande, drammatico spaccato di vita e di storia sociale.
Nel corso della visita guidata, che dura circa 40-50 minuti, viene mostrato anche un video che racconta le diverse fasi e
tecniche di estrazione dell'oro ed è molto chiaro e interessante. Per informazioni sugli orari e periodi di apertura: tel
032465570
Siamo in Valle Antigorio, proseguimento naturale della Val d'Ossola, che continua poi da una parte in Val Formazza e
dall'altra in Valle Devero. Se il tratto iniziale della valle piò apparire qua e là desolatamente segnato dall'attività di cave e
officine di lavorazione della pietra, una volta arrivati nella conca di Baceno si approda invece in uno scenario di natura
veramente bella, fatta di piccoli antichi borghi, prati e fitti boschi, ripidi pendii che si raccolgono sullo sfondo intorno alla
geometrica bellezza del grande monte Cervandone.
L'escursione agli orridi di Baceno-Uriezzo e alle Marmitte dei Giganti è l'occasione per fare non solo una bella
passeggiata, ma un vero e proprio viaggio in un'altra era geologica, un salto di oltre 14.000 anni (millennio più o meno),
quando, durante l'ultima glaciazione, un'immensa distesa di ghiaccio copriva, come una trapunta spessa circa 1000
metri, gran parte della valle, lasciando emergere solamente le cime più alte. E' stata proprio l'alternanza di ere glaciali e
interglaciali, raffreddamento / riscaldamento, a modellare nel corso dei millenni le sorprendenti forme di paesaggio.
Il nostro itinerario in questa zona ci porta a visitare i tre principali Orridi e le Marmitte dei Giganti: l'Orrido Sud (il più
spettacolare, lungo circa 200 metri e profondo fino a 30 metri), l'Orrido di Nord-Est (lungo circa 100 metri e molto stretto
in alcuni punti) e il più modesto Orrido Ovest. L'intero giro (di circa 3 ore) non è difficile e sono possibili diverse
alternative; per meglio orientarsi è consigliabile procurarsi la Cartina del luogo che si può richiedere all'Ufficio
Informazioni Turistiche di Crodo.
Tecnicamente gli orridi sono il risultato dell'azione di erosione del
ghiacciaio: le spinte dinamiche del lento ma inesorabile movimento
verso il fondo valle e lo scorrere vorticoso dei torrenti subglaciali, che
trascinavano nelle loro acque di scioglimento sabbie, detriti e rocce,
furono tanto potenti da spaccare e modellare la roccia in questo tratto di
valle creando paesaggi straordinari: forre profondissime, stretti
passaggi quasi labirintici, strapiombi di decine di metri, conche e piscine
naturali, cascate improvvise e giochi d'acqua inaspettati.
A Baceno il sentiero prende avvio a lato dell'antica chiesa di San
Gaudenzio (sec. XII e oltre: se aperta visitare l'interno !) e discende in
mezzo al bosco, affiancato da alte pareti rocciose, per condurre in circa
mezz'ora (al primo bivio tenere la direzione Verampio) in località
Maiesso dove si possono ammirare, lungo il corso del fiume Toce, le
cosiddette 'marmitte dei giganti': le sponde rocciose investite dalla
vorticosa corrente subglaciale, sono state scolpite come fossero
morbida argilla, dando luogo a forme semicircolari, sinuose, levigate ed
avvolgenti, splendide insenature dove la corrente si rilassa e il torrente
si allarga in scintillanti specchi d'acqua verde-azzurra che invitano a un
tuffo e a una immersione 'vivificante'.
Di qui torniamo poi sui nostri passi e ci dirigiamo verso l'Orrido Sud. C'è
una sensazione di stacco brusco quando ci addentriamo in quella che
sembra la porta misteriosa al cuore stesso della montagna: quasi
all'improvviso passiamo da un paesaggio dolce, soleggiato e
il torrente a Maiesso
verdeggiante a uno spazio di penombra dove rari raggi di sole stentano
a penetrare sfiorando le pareti come lame di luce, ci immergiamo nel
fresco-umido dove solo muschi e licheni riescono prosperare e a svilupparsi.
Si cammina agevolmente su un fondo pianeggiante e asciutto, creato dai depositi dei torrenti (che ora seguono un
diverso corso), grandi cavità irregolarmente arrotondate si alternano a passaggi angusti e sopra le nostre teste
vertiginose pareti sembrano a tratti quasi congiungersi lasciando solo strette aperture verso il cielo per ricordarci che non
siamo in una caverna. Mi sono chiesta perché chiamiamo 'orrido' questo tipo di paesaggio, un aggettivo che si associa a
idee di paura, bruttezza, inquietudine ma anche attrazione, fascinazione, mistero. Una scogliera a picco sul mare o una
vetta possono essere inaccessibili e ben più pericolose ma non le chiamiamo 'orrido': forse anche perché le vediamo
chiaramente, incutono rispetto, ammirazione o voglia di conquista.
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L'orrido non può essere conquistato, casomai ci dà la sensazione di
poterci fagocitare: mi guardo intorno e penso ai bambini incantati nella
fiaba del pifferaio magico.
Proseguiamo per l'Orrido di Nord-Est attraverso un ampio pianoro dove si trova l'Oratorio di Santa Lucia e alcune
caratteristiche case in pietra. Il sentiero che conduce infine all'Orrido di Nord-Ovest è piuttosto stretto, ma reso più sicuro
da corde fisse (potrebbe creare però qualche problema a chi soffre di vertigini).
La tranquilla cittadina di Cittiglio, pigramente adagiata ai piedi del monte Sasso del Ferro - e nota forse ai ciclisti per aver
dato i natali ad Alfredo Binda, che su queste strade si 'faceva le gambe' - è la base di partenza di questo itinerario ad
anello che ci porta senza troppa fatica in uno dei punti più panoramici affacciati sul lago Maggiore. Percorriamo un tratto
del più ampio anello Valcuviano che da Laveno conduce a Vararo, al passo del Cuvignone e alla più celebre Arcumeggia
(dipinti murali).
Giunti in treno a Cittiglio è facile individuare l'inizio del sentiero seguendo: via Marconi (lungo la ferrovia), Via Vararo, Via
Alpi - indicazioni 3V (Via Verde Varesina), segnavia rosso/bianco. Il Sasso del Ferro, con i suoi 1062 metri sovrasta
Laveno; noi però non arriviamo alla vetta: camminiamo per meno di 2 ore lungo il sentiero-mulattiera che risale il pendio
della montagna ma dopo aver sottopassato il tracciato della cabinovia che proviene da laveno pieghiamo sul versante
Nord della montagna e iniziamo la moderata discesa che in meno di un'ora giunge a Casere (750 m): graziosa
minuscola frazione raccolta su una piacevole selletta circondata dai boschi e aperta a Sud sullo splendido panorama del
lago, incorniciato dalle bianche vette alpine dominate dal Monte Rosa. Ora il nostro inevitabile consiglio è di fare sosta
all'ottimo ristorante Gigliola: bella la terrazza panoramica e soprattutto si mangia molto bene.
Casere
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I più ascetici potranno invece optare per un'ulteriore aggiunta di percorso e salire in circa 25' al Sasso Barbè (920 m) e
godersi una vista decisamente spettacolare a picco sul lago.
La discesa è molto più veloce: la comoda mulattiera porta a Laveno in max. 1 ora e 30'. E' un tratto veramente bello:
specialmente nella luce del pomeriggio i riflessi sullo specchio del lago regalano immagini di grande suggestione.
Una accortezza: a Laveno arrivano sia le ferrovie Nord che le FFSS - studiatevi bene gli orari per trovare la
combinazione più favorevole per il ritorno.
itinerario: non un itinerario escursionistico, ma una splendida gita di interesse culturale e artistico
come arrivare da Milano: con treno Milano - Laveno (Ferrovie Nord o FFSS) poi battello Laveno - Santa Caterina;
oppure in auto: autostrada Milano - Sesto Calende, poi direzione Ispra / Leggiuno. L'Eremo si trova nel Comune di
Leggiuno, nei pressi del paese di Reno.
informazioni: ufficio dell'Eremo tel 0332647172
sito correlato: www.provincia.va.it/santacaterina
Il restauro ha valorizzato frammenti di affreschi molto belli e tutta l'articolata struttura architettonica, ma è la straordinaria
collocazione nel paesaggio e la vista che si gode dalle sue balconate ciò che rende particolarmente affascinante questo
monastero, attualmente gestito da una comunità di laboriosi frati domenicani: i loro prodotti erboristici sono in vendita nel
negozio all'interno.
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PAESAGGI FLUVIALI
Castelletto è un luogo di grande relax, con poche eccezioni: la domenica pomeriggio e le altre feste comandate - troppa
gente !
Di fronte al vecchio ponte c'è la simpatica omonima osteria (Osteria del Ponte: tel. 0274219) dove si può fare uno
spuntino o, durante la settimana, pranzare a un prezzo molto modico. Da ammirare la saletta interna con il monumentale
camino. Per la sera bisogna sempre prenotare.
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ettari di estensione il Parco Annoni è uno dei più significativi esempi di
giardino paesistico di Lombardia, ispirato al modello del parco di
Monza. Realizzata verso la fine del '700 dalla facoltosa famiglia Annoni,
questa sontuosa residenza estiva risulta tanto più imponente se
confrontata col minuscolo paese che la ospita. L'architetto Zanoja che
curò la progettazione del complesso si ispirò al concetto di giardino
paesistico inglese: giardino, natura, agricoltura in un mix armonioso che
non esclude qualche tocco esotico, come ad esempio i coloratissimi
pavoni che si aggirano numerosi all'entrata del parco, per dare un
festoso benvenuto ai visitatori. La rete di sentieri che interseca il parco
alterna tratti rettilinei ad altri più zigzaganti in modo da creare una
successione di scenografie paesaggistiche sempre diverse: bosco,
lago, collina, vigneto, frutteto, giardino esotico, tante variazioni sul tema
che scopriamo lentamente passeggiando in lungo e in largo (se si la zona del laghetto
percorrono tutti i sentieri si cammina per 7 chilometri !). E' il contrario
della rigida geometria del giardino all'italiana, ma non mancano sezioni prospettiche essenziali che esaltano la
complessità dell'insieme e ne dilatano le proporzioni. Numerosissime le specie arboree presenti nel parco: querce,
carpini, robinie, aceri, ailanti, gingko biloba, cedri del libano e tanti altri ancora. Inoltre, disseminate qua e là nel territorio,
troviamo piccole costruzioni immerse nella vegetazione in bella armonia: coffee house, casa dei daini, casa dei caprioli,
tempietto ionico, grotta artificale, casino di caccia. Piccolo mondo privato dove il conte poteva andare a caccia, a cavallo
o a passeggio senza rischiare il contatto con la gente comune.
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costruite le ville dei capireparto e dei dirigenti (piccoli gioielli architettonici di stile eclettico e diverse le une dalle altre),
che troviamo nel quartiere più a sud.
Il villaggio è tuttora una realtà viva, non un museo: le case sono ora di proprietà di molti discendenti di ex-lavoratori della
fabbrica Crespi e sono numerosi gli anziani in grado di testimoniare la vita dei tempi passati.
Il paese di Brivio (poco meno di 4.000 abitanti) si affaccia sulle rive dell'Adda con il suo castello, una imponente
costruzione, che, pur rifatta e variamente rimaneggiata nel corso dei secoli, conserva, con le sue torri a pianta quadrata
e circolare, un certo fascino.
La particolarità di questo paese consiste però nel piccolo antico ghetto ebraico
che si trova proprio nel cuore del centro storico. Nei secoli XV-XVI agli ebrei non
era permesso abitare a Milano, dove però potevano recarsi durante il giorno per
lavoro. Le piccole comunità ebraiche si insediarono dunque nei paesi circostanti
(Abbiategrasso, Broni, Voghera, ecc.) da cui gli spostamenti erano più agevoli. I
rapporti con il potere e la popolazione lombarda ebbero un andamento oscillante
tra periodi di tranquillità e scoppi di ostilità, che sfociavano in processi dove
spesso gli ebrei venivano condannati a pesanti pene pecuniarie (modo anche per
cancellare i debiti contratti con i banchieri ebrei): il più rilevante tra questi
processi fu quello del 1488 contro 39 ebrei accusati di utilizzare libri ingiuriosi
contro la religione cattolica (i 172 libri incriminati vennero poi pubblicamente
bruciati a Milano nel 1490), conclusosi con la condanna a morte di 9 imputati,
commutata poi al pagamento di 19.000 ducati.
La controriforma accentuò la repressione sino ad arrivare al decreto di
espulsione di tutti gli ebrei tra il 1591 e il 1597: fino all'inizio dell'800 non vi furono
più ebrei in Lombardia. Il piccolo ghetto di Brivio si raggiunge dalla piazza
principale del paese, percorrendo la via Ignazio Cantù fino a pochi metri dopo il
numero 6, qui si prende a destra passando sotto un arco e si sbuca nella
Brivio: stradina del centro storico piazzetta della Sinagoga; le stradine strette e in parte semicoperte richiamano
altri tipici quartieri ebraici di altre città.
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Ritornati sulla sponda dell'Adda prendiamo (direzione sud) il sentiero pedonale/ciclabile e passeggiando per poco più di
3 km arriviamo all'altezza di Imbersago, dove troviamo ancora in funzione il traghetto manuale progettato 5 secoli fa da
Leonardo da Vinci. Per Leonardo, ospite per anni della famiglia Melzi a Vaprio d'Adda, i paesaggi rocciosi delle Prealpi
lecchesi e lo scorrere affascinante delle acque furono spunto per infinite ispirazioni pittoriche e sperimentazioni
tecnologiche.
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SVIZZERA
itinerario: Carena - Alpe Croveggia - Alpe Gesero - Sasso Guidà - Melirolo - Carena
dislivello: circa 800 m da Carena (958 m) all'Alpe Gesero (1770 m)
tempo totale di cammino: circa 6 ore
dove rifocillarsi e pernottare: alla Capanna Gesero, tel +41918271271
come arrivare da Milano: in auto, autostrada Milano - Como - Lugano - uscita Bellinzona Sud, poi direzione Val Morobbia
fino a Carena
ulteriori informazioni: Bellinzona Turismo tel +41918252131
Cartina: Strade di Pietra nr. 3
In Val Morobbia arriviamo comodamente in auto: autostrada fino all'uscita Bellinzona Sud e di qui in pochi chilometri su
stretti tornanti risaliamo fino a Carena, paese da cui inizia la nostra escursione. Il paesaggio che ci offre questa valle
poco frequentata è quello di una forma sinuosa e allungata, incorniciata da un fitto ventaglio di monti in stretta
successione, i cui pendii scoscesi sono fittamente punteggiati da alpeggi strappati al bosco su porzioni di territorio in
vertiginosa pendenza; una valle dalla ricca vegetazione che alterna, alle diverse quote, boschi misti prealpini alle
macchie di larici e abeti. Geologicamente la valle si colloca all'interno di quella zona denominata 'linea insubrica', dove si
incontrano e si scontrano le piattaforme continentali africana e europea, dando luogo a importanti fenomeni di
geomorfismo. Il cartello collocato all'ingresso di Carena ci dice che ci troviamo nell'antica via del ferro, collegata a Sud
all'italiana Val Cavargna, tramite la Bocchetta di Sommafiume e il Motto della Tappa (o Cima Verta): sin dall'antichità in
queste valli si sviluppo’ un'intensa attività mineraria e di lavorazione del ferro che continuò, con alterne vicende, fino ai
primi decenni del XIX secolo.
Attraversiamo il tranquillo paesino disteso lungo la via principale,
in fondo alla quale, accanto alla Casa della Dogana Svizzera,
una palina con meticolose indicazioni ci indirizza a sinistra,
destinazione Capanna Gesero (data a 2,45' ore). Cominciamo la
salita sui gradini acciottolati: pochi minuti e siamo già dentro al
lasciando spazio qua e là a piccole radure prative. L'antico
sentiero, magistralmente strutturato - ecco le pietre ben disposte
a gradini, dove è più necessario per agevolare il passo - a piccoli
regolari tornanti arrampica senza fatica sui ripidi pendii e
guadagna quota rapidamente. Superiamo più di una fontana e
raggiungiamo l'Alpe Croveggia in circa 1 ora e 45' (quota 1580
m). Qui una piccola baita privata, resti diroccati di una stalla e
ampio prato; il panorama si fa solamente intuire nei brevi sprazzi
in cui le nubi si sollevano un po', scoprendo qualche fugace
frammento. Riprendiamo il cammino nel bosco che si è fatto
decisamente alpino. In circa 30' arriviamo a un bivio e di qui Alpe Croveggia
proseguiamo nella vasta prateria raggiungendo la Capanna
Gesero in circa 20' . Dal terrazzo di questo rustico rifugio, di
proprietà della Unione Ticinese Operai Escursionisti (UTOE), si gode un panorama splendido. Per pranzare è
consigliabile telefonare in anticipo perché il luogo non è abitualmente frequentato da grandi masse di escursionisti. In
alternativa si può consumare il proprio picnic pagando una piccola quota.
Dopo pranzo torniamo sui nostri passi sino all'ultimo bivio prima
del rifugio e stavolta prendiamo a destra per il Sasso Guidà: il
sentiero di srotola ora diritto lungo il costone, affiancato da resti
di trincee e reso più emozionante dall'ampio panorama che si
apre a perdita d'occhio e dalla verticalità dei pendii che lo
fiancheggiano. Al Sasso Guidà trincee e casamatta, costruite
durante la seconda guerra mondiale, affacciate sulla valle in
posizione strategica e decisamente suggestiva. Poi inizia sul
serio la discesa, in decisa pendenza ma senza pericoli. Dopo 1
ora e 20' circa di cammino (dal rifugio) siamo ai 'laghetti della
costa' (1622 m), di qui seguiamo per Piano Dolce, poi a sinistra
per Melirolo nel bel bosco di betulle; il sentiero si fa più esile e
segue per qualche tempo le curvosità della montagna, tagliando
diversi ruscelletti. Traversiamo gli ordinati borghi di Melirolo e
Melera: poi le ultime poche centinaia di metri sulla strada
inizia la discesa asfaltata ed eccoci di nuovo al punto di partenza di Carena.
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Cantone dei Grigioni: Lago di Cama (Val Mesolcina)
Facilmente raggiungibile in auto da Milano, la Val di Cama non è certo tra le mete più conosciute del Cantone dei
Grigioni, tuttavia offre molti spunti suggestivi e forti contrasti di paesaggio.
Arriviamo dall'autostrada Milano/Lugano/Bellinzona, uscita Roveredo, poi ancora qualche chilometro ed eccoci a Cama,
dove lasciamo l'auto nel parcheggio regolamentare.
7 ITINERARI IN ENGADINA
Gli itinerari possibili in Engadina, sicuramente una delle valli più belle d'Europa, sono infiniti: solo una scelta abbastanza
arbitraria e diciamo anche di comodità (Maloja è il paese più vicino al confine italiano), spinge a proporre gli itinerari
descritti qui di seguito che sono facili e molto panoramici: naturalmente possono essere allungati e resi più impegnativi, a
seconda dell'energia e del tempo a disposizione.
come arrivare da Milano: superstrada SS36 Milano-Lecco-Colico, da qui direzione Chiavenna- St. Moritz. Maloja è il
primo paese subito dopo l'omonimo passo. Per una vacanza di più giorni si possono utilizzare i mezzi pubblici: treno
Milano/Colico/Chiavenna poi autobus fino a Maloja; in Engadina si raggiunge qualsiasi località anche con i trasporti
pubblici.
dove pernottare: Casa per vacanze 'Salecina' (www.salecina.ch), nonché numerosi alberghi e Gasthaus
ulteriori informazioni: Ufficio Turismo Maloja (tel 0041818243188)
Ente Turistico Svizzero: tel 0080010020030 (numero verde)
sito correlato: www.engadin.stmoritz.ch
Cartina: Oberengadin (Kuemmerly+Frey)
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verso sud-ovest in graduale discesa, volgendosi sullo splendido panorama della Val Bregaglia; tranquillamente il sentiero
perde quota insinuandosi tra roccioni dalle forme bizzarre e fitti boschetti di pini mughi. Giunti alla località di Pila vale la
pena di fare una visitina dal locale macellaio artigianale, che espone in bella mostra file di pregiati salamini e carne
secca di vario tipo. Siamo ormai alle porte di Maloja, di qui si possono seguire le indicazioni del percorso glaciologico
(marmitte dei giganti) e arrivare alla torre Belvedere: è un falso medievale di fine '800, ma è ugualmente suggestiva e
ospita spesso mostre di storia locale, fotografia o altro. Avvicinandosi poi al paese si nota un curioso padiglione a pianta
circolare con cupola: è l'atelier dove lavorava il pittore Segantini e che oggi funge da mini-museo di memorie
segantiniane. La tomba del pittore si trova nel tranquillo piccolo cimitero poco distante oltre la strada. Qui finisce il nostro
giro; per riprendere l'auto a Plaun da Lej, si può fare l'autostop oppure prendere il postale.
Nota: Questo itinerario è stato descritto con partenza da Plaun da Lej ma è possibile salire a Grevasalvas anche
partendo direttamente da Maloja, e cioè prendendo il sentiero che si trova subito dopo l'hotel Longhin.
tempo totale di cammino: circa 3 ore, di cui 1 ora per lago Cavloc, + 1.30' per il Bitabergh e 30' di discesa
dislivello: 200 m. circa, di cui 120 m da Maloja (1790 m) al Cavloc (1910 m) + un pò di saliscendi per il Bitabergh
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da Maloja a Sils sul sentiero lungolago
Una passeggiata di circa 7 km davvero per tutti: escursionisti rilassati, ciclisti, famiglie con bambini (alcuni tratti del
sentiero sono stati risistemati per facilitare anche il passaggio di passeggini). E anche d'inverno chi non scia può
tranquillamente camminare sul lato pedonale a fianco della pista di fondo. Niente forti dislivelli, solo qualche saliscendi
giusto per movimentare il cammino. Ho fatto innumerevoli volte, e con grande appagamento, questa bella passeggiata
scoprendo sempre qualche dettaglio nuovo. Portiamoci magari anche un libro da leggere o un blocchetto per tentare
qualche schizzo (anche se non siamo disegnatori: proviamo ugualmente…); le immancabili panchine disseminate lungo
la via sono un comodissimo invito alla sosta.
Tra Isola e Sils un breve tratto risale a mezza costa (scorci belli sulla graziosa isoletta di Chaviolas) per poi ridiscendere
di nuovo sulla riva.
Un piccolo imbarcadero con barche a noleggio, e poi avanti ancora verso Sils in mezzo a immensi prati e festose
fioriture. Sils ci accoglie con le sue sobrie case tradizionali e pasticcerie invitanti ma, volendo, possiamo prolungare la
nostra camminata facendo un giretto sulla penisola detta 'di Nietzsche', per dilettarci a meditare sulle varie magniloquenti
citazioni di questo controverso filosofo o semplicemente per goderci il tramonto da un punto perfetto.
La sua bella casa nel centro di Sils è aperta alle visite (il mercoledì visite guidate in tedesco); per i gruppi italiani è
possibile concordare la visita guidata in italiano (telefonare per accordi).
Ritorno a Maloja o a piedi per lo stesso sentiero o con comodo bus (a caro prezzo).
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da Maloja sui sentieri della solitaria Val Fedoz
Val Fedoz: valle trasversale dell'Engadina, immersa nella semplicità di una natura sobria e silenziosa, libera dalle orde di
escursionisti che a volte intasano i sentieri più famosi. Una escursione rilassata (soli 300 m di dislivello) che possiamo
modulare in vari modi, assecondando i nostri tempi e che ci offre parecchi spunti affascinanti.
Da Maloja dobbiamo prendere uno dei sentieri che puntano verso Isola/Sils; ci sono varie possibilità, ed è facile
orientarsi, dobbiamo in pratica dirigerci verso il lago: per esempio seguiamo le indicazioni collocate presso l'hotel
Schweizerhaus e passiamo accanto al piccolo cimitero dov'è sepolto il pittore Segantini insieme alla compagna Bice,
oppure dal parcheggio centrale prendiamo la stradina che conduce all'impianto di skilift e di lì ci addentriamo nel bel
boschetto di pini mughi (sentiero ampio ma privo di segnavia).
Qui una biforcazione: lasciamo perdere il sentiero a sinistra che porta a Sils (potrebbe essere però una interessante
variante per il ritorno) e tiriamo dritto per addentrarci nella valle. Non incontreremo altre case né rifugi, solo il corso
tranquillo del Rio Fedoz, rari escursionisti, mucche e tanto silenzio, rotto solo dal fischiettare delle marmotte e dal
gorgoglio sommesso delle acque. Spiccano nel paesaggio sobrio le note eclatanti di fioriture gialle e blu. Fiori e rocce:
micropaesaggi modestissimi che a volte mi incantano più dei panorami sontuosi e riconosciuti. Se avete occhi attenti non
vi sarà difficile avvistare animali (stambecchi, camosci) che corrono agilissimi sui ripidi versanti opposti. Possiamo
proseguire sino alla testata della valle (circa 2100 m) e avvicinarci a quel che resta della vedretta di Fedoz (ora molto
ridimensionata) oppure fermarci dove ci pare, e goderci una pace assoluta.
Per il ritorno:
1) possiamo ripercorrere lo stesso sentiero e rientrare così a Maloja, oppure
2) in più punti è possibile traversare il ruscello, passare sul sentiero che scende sul versante opposto e che va a
incrociare il sentiero per Sils, presso l'Alpe Petpreir (1991 m), posto in posizione davvero privilegiata con vista
spettacolare sul lago. Di qui 1 ora circa di cammino ed eccoci a Sils: una discesa piacevolissima, in un paesaggio
variato, per boschi, radure e valloncelli. Da Sils per il rientro a Maloja: autobus (a caro prezzo) dal piazzale della posta.
itinerario: da Sils-Maria in Val Fex attraverso i nuclei di Platta, Crasta, Muot, Curtins
tempo totale di cammino: circa 3 ore
dislivello: circa 300 m da Sils (1800 m) a Muot Selvas (2070 m)
dove rifocillarsi e/o pernottare: numerosi ristoranti, pensioni e alberghi lungo la valle
verso Curtins 50
la tipica azione modellatrice dell'ultima glaciazione, mentre alla testata della valle resistono (non si sa fino a quando) i
rimasugli di un modesto ghiacciaio. Oltre la sella che si apre sotto il Pizzo Tremoggia (3435 m - caratteristico per il nitido
biancore delle rocce calcaree della sua vetta) si scenderebbe in Valmalenco.
L'itinerario: iniziamo la nostra passeggiata dalla piazzetta centrale di Sils-Maria - dove si trovano anche il Comune
(Chesa Comunela) e l'Ufficio Turistico. Notiamo subito la palina con tutte le destinazioni vicino allo spiazzo di sosta delle
carrozze a cavallo con le quali, volendo, si può salire nella valle. Prendiamo la direzione indicata: Val Fex - Curtins.
Quello che descriviamo è il sentiero più semplice per andare in Val di Fex, ma, dotandovi di una buona Cartina, e
orientati dalle impeccabili indicazioni che troverete immancabilmente a ogni bivio, potrete costruirvi delle varianti più
originali e soprattutto non ripetere al ritorno lo stesso sentiero dell'andata (a voi la scelta).
L'ampio sentiero si addentra subito in una suggestiva forra scavata dal fragoroso torrente che attraversa tutta la valle;
sentiero super agevole e molto curato, che supera senza sforzo, con una serie di tornanti ben strutturati, il modesto
strappo iniziale. Bello il passaggio coperto, e utile soprattutto d'inverno per riparare dalle cadute di neve.
Superato in 15 minuti il tratto più ripido, già ci si apre un ampio pianoro circondato da boschi: siamo nel nucleo di Platta:
prati ondulati e case impeccabili dalle sobrie architetture. Nei pressi della pensione Chesa Pool, belle sagome levigate
scolpite in forma di chiocciola. Proseguiamo tranquillamente con moderatissime discese e risalite; sulla strada che risale
la valle passa qualche rara auto (transito riservato ai residenti con permesso) ma sono talmente poche che non danno
alcun fastidio.
Dopo un tratto sostanzialmente pianeggiante eccoci a un ponticello con fontana: lo si attraversa per portarsi sul versante
opposto e si continua sul sentiero che sale sulla sinistra. Il paesaggio si fa più aperto: vasti pascoli, prati perfetti e sullo
sfondo le vette che dominano la valle con cime e residui nevai. Guardando in giù, nuvole che si attorcigliano intorno a
Maloja come un pigro serpentone (è una giornata dal tempo incerto). Camminiamo da un'ora (passo ultra lento) e già
raggiungiamo la località Crasta - se possibile diamo un'occhiata all'interno della chiesetta, ci sono dei bellissimi affreschi.
Superiamo l'Hotel Sonne e proseguiamo il cammino sulla strada carrozzabile, peraltro pochissimo trafficata; oltrepassati
i nuclei di Vals e Muot avvistiamo il nucleo di Curtins: poco dopo ecco l'Hotel Fex, situato in panoramica posizione a
fianco di un'alta parete rocciosa. Di qui è possibile proseguire, passando sull'altro lato del torrente (ponticello) per
raggiungere in circa 40 minuti il Plan Vadret (Piano della Vedretta), anfiteatro glaciale dove si trova anche un piccolo
ristoro e da cui si può godere una bella inquadratura panoramica su tutta la valle.
Itinerario: Maloja - lago longhin, passo Longhin – valle di Bever – passo del Settimo - Casaccia
tempo totale di cammino: 6 ore circa
dislivelli: 845 m in salita da Maloja (1800 m) al passo Longhin (2645 m); 1200 m di discesa dal Longhin (2645 m) a
Casaccia (1458 m)
difficoltà: impegnativa, attrezzatura adeguata alla quota
nota: lungo il percorso non ci sono rifugi, quindi portarsi panini.
Un po’ di storia: Il passo del Settimo ha una storia molto antica che solo recentemente è stata messa in luce da studi
sistematici e ricerche sul campo (stimolate dall'attività di Armon Planta), che hanno fatto riscoprire parte degli antichi
tracciati romani, sepolti sotto strati successivi. Il sentiero attuale si colloca sulla via romana che collegava i Grigioni
(Svizzera) e la regione lariana: partendo da Chiavenna lungo la Val Bregaglia risaliva sino all'attuale Casaccia per poi
piegare a sinistra, baipassando il passo del Maloja e l'Engadina, e arrivare poi a Bivio. Per secoli è stata una via
importante, tanto che nel 1387 se ne decise un sostanziale miglioramento con rifacimento parziale dell'acciottolato. Di
qui passarono re e imperatori, personaggi mitici quali Federico Barbarossa e soprattutto schiere di carovanieri, che, con
il sistema delle "cooperative" di trasportatori - con depositi in vari villaggi - assicuravano gli scambi commerciali tra Coira
- Chiavenna - Milano e oltre. A metà dell'800, con la costruzione delle strade del Maloja, San Bernardino e Spluga l'utilità
del Settimo cessò e finì per essere abbandonato. Resta ora uno splendido itinerario, percorso dagli escursionisti e
amanti delle antiche vie.
L'itinerario classico per il passo del Settimo prevede la partenza da Casaccia e l'arrivo a Bivio (e ritorno al punto di
partenza con autobus Bivio - Julierpass, Maloja, Casaccia). Qui proponiamo invece una variante (Maloja, passo Longhin,
passo del Settimo, Casaccia), che ci sembra molto più bella paesaggisticamente e più pratica dal punto di vista dei
trasporti. E' un'escursione fattibile anche in giornata venendo da Milano ma risulta piuttosto tirata. La si gode di più se si
arriva la sera prima a Casaccia (si può pernottare all'Albergo Stampa o in camere private), e si prende la mattina
successiva il postale per Maloja (15 minuti).
Punto di partenza dell'escursione: St. Moritz, località celeberrima e una delle prime ad affermarsi come meta turistica
alpina, sin da metà ottocento. Confesso: St. Moritz non mi piace. Tanti condomini moderni, tante auto, negozi più o meno
eleganti, gli alberghi dei VIP, aria di città non di borgo di montagna - ciò nondimeno, una posizione stupenda e dal clima
privilegiato che le regala un record di giornate soleggiate ogni anno. Dunque partiamo da qui, per la precisione St.
Moritz-Bad, per fare un'escursione davvero gratificante in un paesaggio vario e di grande respiro. Se arriviamo in auto
parcheggiamo da qualche parte nei pressi del campo di atletica e ci avviamo per la via Surpunt che porta al grande
Ostello della Gioventù. Dall'Ostello la strada diventa subito sterrata (ed è anche pista ciclabile) e si immerge nel bosco
dirigendosi verso la nostra prima destinazione che è il lago di Statz, (ci si potrebbe arrivare anche con altri percorsi, noi
scegliamo questo per comodità). Ad ogni bivio seguiamo le inequivocabili frecce indicanti Lej da Statz (dove arriveremo
in meno di mezz'ora). Il percorso iniziale si snoda quasi in piano, non lontano dalla zona delle torbiere - se stiamo attenti
noteremo dei pannelli che spiegano l'evoluzione di queste formazioni che a uno sguardo superficiale sembrano soltanto
dei grandi prati. Il lago di Statz è un minuscolo specchio d'acqua circondato da boschi meravigliosi: lì intorno un
ristorante (aperto tutto l'anno), piazzole per il barbecu, cabine per spogliarsi, pontile per tuffarsi. D'inverno questo
laghetto, quasi nascosto dalle colline che lo circondano, si veste di un fascino speciale, con gli sciatori che scivolano
silenziosi sulle piste innevate o i pattinatori che volteggiano sulla sua superficie ghiacciata. Dietro il ristorante una palina
indica la nostra prossima destinazione: Alp da Statz-3,8 km e al bivio successivo a destra sempre per Alp da
Statz/Muottas Schlarigna (che è la nostra vera meta). Andiamo. Superiamo un cancello di legno con panchina e li vicino
altre indicazioni: siamo nel regno della perfezione segnaletica e non c'è spazio l’incertezza. Raggiungiamo le baite di
Statz in circa 40': siamo a quota 1942 m - poco sopra le baite dell'Alpe una freccia indica Muottas Schlarigna a 1 ora.
Ora la salita, su agevoli tornanti, si fa più decisa, il sentiero più stretto e il panorama sempre più ampio ed emozionante.
Sovrastiamo lo snodo delle valli che da una parte guardano verso i laghi di St. Moritz, Silvaplana e l'alta Engadina,
dall'altra verso la piana di Samedan e la valle di Pontresina che punta verso
il passo del Bernina. In alto i profili aguzzi di tante cime importanti e
suggestive.
Il sentiero è costeggiato da magnifici pini centenari, uno in particolare ci
colpisce per la sua maestosità, vero monumento della natura, non è retorico
dire che seduta sulle sue gigantesche radici mi sento piccola e insignificante:
ha più di 1400 anni e generazioni di tagliaboschi l'hanno risparmiato per
rispetto alla sua magnificenza. Proseguendo il paesaggio ci appare sempre
più aereo mentre il bosco si dirada, lasciando spazio a grandi distese di
eriche, arbusti e tanti sconosciuti fiori alpini. Sempre seguendo il nostro
sentiero ci imbattiamo in una freccia che indica la discesa su Pontresina
(potrebbe essere un'idea per il ritorno, volendo fare una variazione). L'arrivo
a Muottas Schlarigna è davvero emozionante, è un posto bellissimo. Intorno
a noi fiori e rocce dalle infinite sfumature e un panorama incredibile a 360
gradi.
Per la discesa: torniamo sui nostri passi e al primo bivio dove una freccia
indica Alp da Statz a destra prendiamo invece diritto per St. Moritz Bad.
Quest'ultimo sentiero prosegue in quota per un lungo tratto permettendoci di
godere di stupendi panorami nella calda luce del tramonto e di diluire la
fatica della discesa senza nessuno sforzo. Il sentiero sbuca a St. Moritz-Bad
ai piedi dell’albero più antico nei pressi del campo giochi, ma se necessario non vi sarà difficile individuare
una qualche 'bretella' per scenderre prima avvicinandovi più comodamente
all'auto parcheggiata.
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LIGURIA: in cammino tra cielo, terra e mare
itinerario: Camogli - San Rocco - Galletti - Gaixella - Semaforo nuovo - Pietre strette - base 0 - Portofino
tempo totale di cammino: ore 4,30’ circa
dislivello complessivo: circa 450 m (un po’ di più se si considerano i saliscendi...)
dove rifocillarsi: picnic al sacco
come arrivare da Milano: in treno FFSS, linea Milano-Genova-La Spezia, stazione di Camogli
ulteriori nformazioni: Ente Parco Portofino tel 0185289479; APT Camogli tel 0185771066
Cartina: Tigullio – Studio FBM
Il sentiero che sale a San Rocco è la partenza di vari itinerari che Camogli
solcano il monte di Portofino: lo si imbocca in fondo al parcheggio a
lato della caserma dei carabinieri. Tra muretti a secco e uliveti si arriva al piazzale di San Rocco in circa mezz'ora (221
m). Una curiosità: di fianco alla chiesa, il monumento al cane, festeggiato nell'annuale ricorrenza del 16 agosto con
premi per episodi di particolare fedeltà o coraggio. L’itinerario descritto in questa pagina è sicuramente appagante
soprattutto per la varietà dei diversi ambienti attraversati e per la sua panoramicità: da San Rocco si addentra verso
l'interno in mezzo alla macchia mediterranea (prendere l’indicazione Galletti/Gaixella), poi si rivolge verso il Golfo
Paradiso (direzione di Semaforo Nuovo), per piegare ancora verso l'interno per Pietre Strette (460 m) suggestivo
crocevia caratterizzato da conformazioni rocciose imponenti e contorte. Di qui l'ampio soleggiato sentiero ci porta a base
0, passando per le bocche di San Lorenzo.
L'arrivo a Portofino è sempre piacevole; nonostane l'atmosfera artificiosa creata dal turismo massiccio e i prezzi
ladroneschi praticati nei locali, questo antico borgo mantiene una sua indiscutibile bellezza.
Per il ritorno: prendere il bus per Santa Margherita e di qui treno per Milano.
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Cinque Terre: da Riomaggiore a Portovenere
Il sentiero numero 1 (Alta Via), che correndo lungo i crinali per circa 35/40 km collega Portovenere a Levanto è stato
definito 'la madre' di tutti i sentieri delle Cinque Terre: di qui sono passati per secoli i traffici delle merci che provenivano
dall'interno e andavano alla costa (trasportando bestiame, cereali, legname) e viceversa (vino, sale, pesce, olio). Pur
raggiungendo anche quote di circa 800 m, il suo sviluppo intelligente evita inutili salite alle vette tagliandole lateralmente
e si adatta alla sinuosità delle varie selle. In lunghi tratti si presenta come un'ampia via che rispecchia la sua importanza
storica, altrove invece si è ristretto, aggredito dall'avanzare della bella ma invadente macchia mediterranea; è comunque
sempre individuabile (segnavia bianco/rossi, AV1). E soprattutto è assolutamente spettacolare e sorprendente nel
susseguirsi di paesaggi sempre diversi: terrazze coltivate a vigna o ulivo, pinete o fitti castagneti, e lunghi splendidi tratti
affacciati a picco sul mare. Molto meno frequentato (via dalla pazza folla !) dei più battuti sentieri litoranei (per alcuni dei
quali si paga un biglietto), grazie alla sua più alta quota ci regala i panorami più appaganti su questa meravigliosa
regione. Inoltre, essendo intersecato da numerosi sentieri trasversali, può essere percorso 'a pezzi', in modo da adattarsi
alle diverse esigenze di tempo e di resistenza.
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Passeggiamo nelle stradine interne medioevali o lungo la strada a mare, fiancheggiata da antiche case coloratissime e
alte fino a 7 piani, e raggiungiamo la scenografica chiesetta di San Pietro, che, abbarbicata sulle rocce contorte del
promontorio dell'Arpaia, sembra protendersi verso il grande mare aperto. Se dobbiamo ritornare a Riomaggiore o a un
altro paese delle Cinque Terre, il battello è il mezzo più piacevole (attenzione: informarsi prima sugli orari!): potremo
rivedere da un'angolazione differente tutto l'itinerario che abbiamo percorso ed ammirare nella luce del tramonto e in
modo rilassato l'aspra bellezza di questa costa così speciale.
Monterosso, pur essendo circondato da un ampio semicerchio di monti che sembrano proteggerlo dal territorio
circostante, è tra i paesi delle Cinque Terre quello che storicamente ha subito il minor isolamento e che fin dalla prima
metà del novecento ha cominciato ad attirare un certo flusso turistico, elitario ma amante della natura. L'attuale abitato è
sostanzialmente diviso in due nuclei di cui quello più antico (estremità più orientale) mantiene una fisionomia più
caratteristica e seducente.
L'itinerario verso Punta Mesco-Levanto tocca alcuni dei punti più
panoramici delle Cinque Terre ed è di gran lunga meno battuto
degli altri sentieri litoranei, quindi tanto più apprezzabile da chi non
ama camminare in folti squadroni.
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VARIE (Val d’Aosta, Valcamonica, Val di Susa)
dislivello: circa 400 m in salita (quota massima circa 2300 m) - circa 800 m in discesa
tempo totale di cammino: 6 ore
nota: indicazioni segnaletiche piuttosto approssimative, però non è difficile orientarsi
come arrivare da Milano: in auto, autostrada Milano – (Torino) - Aosta, uscita Chatillon/St. Vincent, poi direzione Cervinia
dove rifocillarsi e pernottare: Albergo Ristorante Panorama 'AL BICH' a Cheneil (tel. 016692019)
ulteriori informazioni: Azienda Trasporti SAVDA: tel. 0165 262027* - AIAT Cervinia: tel. 0166940986
Cartina: Kompass 87
Questo bellissimo itinerario parte dal piazzale in vicinanze di Cervinia, dove arriva la pista di bob (sentiero 107), ma può
essere un inizio più suggestivo fermarsi giusto poche centinaia di metri prima, all'altezza dell'hotel Chalet Valdotain, per
trovarsi subito sulle sponde del Lago Blu e farsi un giretto li intorno o magari sostare un attimo per godersi la bellezza di
questo specchio di incredibili acque cristalline che vibrano dal turchese al verde smeraldo. Tanto belle da indurre al
desiderio di fermarsi lì tutta la giornata in orientale meditazione. Invece la nostra escursione impone di mettersi in
cammino: non comporta pesanti fatiche (il dislivello in salita è di soli 400 m circa), nè difficoltà tecniche, ma ha
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comunque un certo sviluppo in lunghezza (circa 11 km) e quindi esige 5 o 6 ore di cammino (passolento !). Vale proprio
la pena di fare questa passeggiata con la massima tranquillità e immergersi in un paesaggio che come nelle dissolvenze
fotografiche cambia ritmicamente scenario, offrendo spunti sempre diversi. L'inizio è subito al top: avanziamo di fronte al
Cervino, non la più alta ma forse la più spettacolare tra le montagne delle Alpi: il suo profilo aristocratico sembra
distanziarsi da tutto il resto, marcare la superiorità rispetto alle cime circostanti, belle si ma senza la stessa maestà.
Zigzagando il sentiero si volge verso sud dentro il bosco di larici e rododendri, dolcemente sale di quota per uscire poi
allo scoperto oltre la linea della vegetazione.
Dopo circa 1 ora e 15' dalla partenza avvistiamo la prima baita con
fontana (località Tramoiz). Al bivio successivo prendere il sentiero
21; ora siamo su un'ampia carrareccia che collega le numerose
belle baite sparse qua e là su questa sorta di altopiano
morbidamente ondulato, circondato da un suggestivo anfiteatro di
innumerevoli cime. Si tocca la quota più alta (2300 m) poco sopra
la Cappella della Madonna della Salette, non lontano dall'arrivo
dell'ovovia di Valtournenche. Non per niente l'itinerario si chiama
Gran Balconata: siamo proprio sopra una specie di immenso
terrazzo e in certi punti il 'bordo' è proprio a picco sulla valle
(tranquilli: il sentiero è sempre arretrato, non ci sono tratti esposti).
Avvistiamo il villaggio di Cheneil dopo circa 5 ore (compresa però
la pausa pranzo). Di qui sono partite storiche ascensioni alle belle
montagne circostanti, la più importante delle quali (Gran Tourmalin)
fu raggiunta dal conquistatore del Cervino, Jean Antoine Carrel, e
qui più modestamente si può far sosta e rifocillarsi nella simpatica di fronte al Cervino
piazzetta del Bar/Ristorante 'Al Bich' o se il tempo è inclemente
nelle sue accoglienti salette interne.
E poi finalmente è tutta discesa per circa 1 ora (sentiero GTA) fino alla frazione di Cretaz: che belle le sue antiche case
in pietra e le vie strette e contorte ! Ancora solo qualche centinaio di metri e siamo arrivati a Valtournenche.*
* attenzione: poichè l'escursione comincia a Cervinia e finisce a Valtournenche è necessario informarsi sugli orari
dell’autobus per ritornare a Cervinia
come arrivare da Milano: in auto autostrada MI-VE, uscita Seriate, statale 42 per Lovere-Boario sino ad Edolo, poi a sx
ss.39 per l'Aprica, passato il paese di Corteno dei Golgi sulla sinistra si imbocca la stradina per le Valli di S. Antonio, si
raggiunge l'omonimo paese e si parcheggia.
dove pernottare e rifocillarsi: Rifugio Alpini (tel 0364-74101) a Campovecchio
sito correlato: www.waltellina.com/orobie/campovecchio
Cartina: Kompass 107
Anche per questo è consigliabile fare una gita di almeno 2 giorni, facendo base al rifugio Alpini (a Campovecchio), che si
raggiunge in circa 1/2 ora di cammino dal grazioso villaggio di S.Antonio dove si lasciano le auto. Questo rifugio è
veramente delizioso, curato, accogliente e gestito in modo simpatico: altamente raccomandato. I sentieri di valle sono
molto ben tenuti e segnalati, perciò non ci sono grossi problemi nell'individuare i percorsi. Si possono fare molte belle
passeggiate (ad esempio ai Laghi di Culvegla, m1830, o al lago Piccolo, 2378 m, il più grande lago alpino naturale delle
Orobie), la scelta dipenderà dal tempo che avete a disposizione e dalla voglia di camminare, perchè disogna notare che
il dislivello tra la valle e le montagne che la circondano è notevole (le cime variano tra i 2500 e i 2800 m) Sono possibili
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però diversi itinerari a mezza costa o semplicemente tranquille passeggiate lungo i torrenti o nei boschi (bellissimi). Si
può anche pescare o raccogliere funghi (ci vogliono però i permessi!) o andare in mountain bike.
Lungo i sentieri è facile avvistare o imbattersi in vari animali: marmotte, caprioli, camosci o più semplicemente cavalli o
caprette. Il comune di Corteno ha prodotto qualche anno fa una bella guida ricca di informazioni, consigliabile a chi
volesse studiare percorsi più dettagliati e ampliare le proprie conoscenze sugli aspetti storici e naturalistici di questa
zona.
itinerario: dal centro di Avigliana (Val di Susa) per mulattiera al piazzale della Sacra
dislivello: 450 m; passeggiata adatta a tutti, d'interesse culturale e artistico
tempo totale di cammino: al massimo 2 ore e 30’
come arrivare da Milano: in auto, autostrada Milano - Torino, uscita Avigliana (qui si parcheggia)
dove rifocillarsi: presso il bar nel piazzale della Sacra, oppure picnic al sacco
informazioni: tel. Padri Rosminiani 011939130
sito correlato: www.sacradisanmichele.com
Se si passa per la Val di Susa si è colpiti da un imponente costruzione che, abbarbicata sulla cima di un monte, sovrasta
la valle, stagliandosi contro il cielo con piglio dominatore a guardia di quello che nel medioevo era un importante tratto
della via Francigena: quella rete di strade e sentieri percorse dalle migliaia di pellegrini che dalla Francia o dall'Inghilterra
scendevano verso Roma e anche oltre, a San Michele Arcangelo nelle Puglie o addirittura in Terra Santa. E' la Sacra di
San Michele, chiesa, fortezza e ospizio per i pellegrini, di origini medioevali - oggi monumento simbolo del Piemonte.
Cenni di storia: Per la sua posizione strategica questo luogo era già
stato scelto dai romani per costruirvi le prime postazioni difensive ampliate
poi dai Longobardi; nel corso del X secolo per iniziativa di un piccolo
gruppo di eremiti, guidati da Giovanni Vincenzo vengono costruite le
prime cappelle e la fama di santità di Giovanni comincia ad attirare un
certo afflusso di fedeli. Ma dobbiamo a un ricco signore d'Alvernia - Ugo di
Montboissier - l'ingente investimento necessario a realizzare il monastero
che costituisce il nucleo essenziale di questa stupefacente struttura:
doveva averne combinate di tutti i colori se il Papa gli impose una
missione così onerosa come condizione per la cancellazione dei suoi
peccati ! L'abbazia nasce dunque sul finire del sec. X come espressione
delle istanze di salvezza che attraversano il mondo cristiano e nel pieno
della cultura del pellegrinaggio. Il secolo XII segna il culmine della potenza
della comunità abbaziale, ricca di numerosissimi possedimenti che
spaziano sino alla Francia e alla Spagna; successive alterne vicende
avviano la comunità ad un graduale declino fino alla soppressione del
centro monastico decretato da Gregorio XV nel 1622 La svolta radicale
arriva invece alla fine del secondo millennio, quando negli anni '90 la
Regione decide di fare della Sacra il Monumento simbolo del Piemonte e
ne finanzia sostanziali lavori di restauro, con queste motivazioni "… per la
sua storia secolare, per le testimonianze di spiritualità, di ardimento,
d'arte, di cultura e l'ammirevole sintesi delle più peculiari caratteristiche
che può offrire del Piemonte, nonché per la sua eccezionale collocazione la Sacra di San Michele
e visibilità"
La sua struttura architettonica è davvero originale e particolarmente complessa in quanto la basilica a 3 navate poggia
non sul terreno ma sulle cappelle preesistenti e tutto l'insieme del basamento, delle scalinate e dei contrafforti di
sostegno fa corpo unico con le contorte masse rocciose della montagna: un'impresa costruttiva veramente ammirevole
se pensiamo alle limitate tecnologie del medioevo.
La visita guidata è obbligatoria e interessante (opportuno prenotare); inoltre le guide non mancano di raccontare gustose
vicende leggendarie che colorano di un tono romantico le mura severe di questo sito solenne.
L'itinerario: dal centro di Avigliana, nei pressi della chiesa parrocchiale inizia una piacevole passeggiata lungo una bella
mulattiera che in ampi tornanti e senza strappi tranquillamente si snoda sui pendii del Monte Pirchiriano e conduce in
circa un'ora e 30' al piazzale della Sacra di San Michele: qui si può fare sosta per un picnic e godersi l'ampia scenografia
di vette alpine che fanno da cornice alla valle, prima di iniziare la visita vera e propria.
I più arditi arrampicatori possono invece raggiungere il piazzale della Sacra tramite una impegnativa via ferrata (550 m di
sviluppo, tempo di salita da 2 a 4 ore).
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PASSEGGIATE MILANESI
Andar per Abbazie nei dintorni di Milano: Abbadia Cerreto, Viboldone, Chiaravalle
Introduzione: Il nord e il sud di Milano: due paesaggi, due mondi così radicalmente diversi. Da una parte un magma di
innumerevoli industrie grandi e piccole immerse in una rete di paesi e città, dilatata sino a formare un'immensa
megalopoli che quasi senza soluzione di continuità arriva a lambire le pendici dei primi monti. Dall'altra, la campagna
ordinata, coltivata razionalmente, cascine sparse e semplici paesi senza prestese; un paesaggio pianeggiante, creato
dal lavoro umano e che, non avendo in fondo più nulla di 'naturale', esprime un suo particolare fascino rarefatto:
geometrie dei campi, scandite da filari di pioppi o gelsi, luci nei cieli immensi, riflessi nelle acque che attraversano in
lungo e in largo la pianura. Andiamo a visitare le splendide antiche Abbazie disseminate nella zona a sud di Milano:
capolavori architettonici e centri di comunità monastiche che storicamente sono state essenziali per lo sviluppo agricolo
di questa parte del territorio (comunemente detto 'bassa'). Mentre a nord di Milano si è affermata l'industria, al sud si è
imposta, nel corso dei secoli, un'economia quasi esclusivamente agricola. Questo tratto di pianura, delimitata grosso
modo dalla città, dalla Via Emilia e dalla strada per Pavia, dopo la colonizzazione romana era ritornata ad essere, intorno
all'anno mille, una distesa di foreste. Fu allora decisiva l'opera costante delle congregazioni religiose, che impresse una
svolta decisiva per la rinascita dell'agricoltura: si prosciugano acquitrini, si disboscano le macchie, si resero produttivi i
campi perfezionando la tecnica della coltura a marcita invernale alternata alla risaia estiva. Determinante fu anche il
fattore 'acque': la rete di canali, rogge e fiumi, sapientemente sfruttati, è stata la base per la rinascita di questa zona.
1) Abbadia Cerreto
Fondata sul finire del secolo XI, l'Abbazia, prima gestita dai Benedettini e poi
dai Cistercensi, venne soppressa nel 1798. Dell'ampio complesso abbaziale
resta ora la sobria chiesa in laterizi, risalente al secolo XII e restaurata nel
corso del '400 e verso la metà del '900. L'elegante facciata è movimentata
dall'accogliente struttura del pronao che precede l'ingresso vero e proprio:
l'interno ci immerge in una atmosfera di pacata semplicità; lo spazio a tre
navate in stile romanico, scandito da pilastri e archi a sesto acuto e a tutto
sesto, è arricchito da affreschi dai toni delicati.
Da segnalare la bella tela di Callisto Piazza (Madonna con bambino e santi).
Fuori dalla chiesa, girando a destra nel giardino e addentrandosi magari un po'
nei campi ci si può portare a una certa distanza per ammirare meglio il
complesso nel suo insieme, dominato dalla bella torre ottagonale.
la facciata dell’Abbadia Cerreto A ridosso dell'edificio abbaziale un moderno allevamento di bovini imprime un
simpatico rustico contrasto che richiama la prosaicità del vivere materiale.
2) Abbazia di Viboldone
Fondata dagli Umiliati nel XII secolo e passata agli Olivetani fino al 1777,
ospita attualmente una comunità di clausura di monache benedettine. La
costruzione della chiesa, iniziata nel 1176, si protrasse fino al completamento
della facciata nel secolo XIV. Del grande complesso originario ora resta solo la
chiesa. L'insieme presenta un accostamento di elementi romanici e gotici. La
tipica facciata lombarda in laterizi, a capanna, è impreziosita da monofore e
bifore a vari livelli e soprattutto dallo splendido portale in marmo con la lunetta
e le due edicole che la fiancheggiano, opera di un anonimo scultore
campionese, detto 'il maestro di Viboldone'. Dietro la chiesa e ben visibile si
staglia l'elegante campanile, coronato da una cuspide a forma di cono.
L'interno a 3 navate ci stupisce per la bellezza degli affreschi, che un tempo
dovevano rivestire tutte le superfici e di cui ora rimangono notevoli resti,
rappresentanti scene del Vecchio e del Nuovo Testamento. Da notare nella facciata dell’Abbazia di Viboldone
campata del presbiterio 'Madonna in trono e i Santi' di impronta giottesca, il
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'Giudizio universale' e 'i Santi Padri' opera attribuita al maestro fiorentino Giusto di Menabuoi. Tutto l'interno esprime uno
stile di grande equilibrio, di profonda armonia nell'intreccio degli spazi architettonici, le linee dei decori e le nuances
luminose dei colori.
Per saperne di più visitate il sito: www.viboldone.it, un sito fatto in modo eccellente !
3) Abbazia di Chiaravalle
Accesso da Milano: vi si arriva comodamente anche in autobus nr. 77, da Porta Romana - fermata proprio all'ingresso
dell'Abbazia. Per l'itinerario con l'auto: www.viamichelin.com
Visite guidate: ogni domenica alle ore 16:00, sono molto interessanti e non occorre prenotare. Per informazioni tel
0257403404 – Presso il negozio all’ingresso dell’Abbazia sono disponibili varie guide e libri di storia
Prima di tutto il nome: Chiaravalle è l'italianizzazione di Clairvaux, in quanto l'Abbazia è stata fondata da Bernardo di
Clairvaux (Francia), abate dell'omonima Abbazia e promotore dell'ordine cistercense - movimento monastico che tese a
un rispetto più rigido della regola benedettina in opposizione alla crescente promiscuità tra interessi religiosi e feudali.
Lo sfondo storico: siamo in pieno Medioevo, intorno all'anno 1135. E' l'epoca dei comuni e Milano è governata dal
vescovo Anselmo V della Posterla - il vescovo è una figura che rappresenta al tempo stesso la chiesa e il potere politico,
investito dall'imperatore. È il tempo dello scontro tra papa Innocenzo II contrapposto all'Antipapa e imperatore Anacleto
II. Milano è schierata con l'Antipapa ma il Concilio di Pisa del 1135, dove Bernardo di Clairveaux svolge un ruolo
determinante dichiarando che il papa è stato eletto nel rispetto delle regole, riafferma la legittimità di Innocenzo. Milano si
ritrova per così dire 'spiazzata' e chiede a Bernardo di fare il vescovo. Lui rifiuta ma acconsente però a costruire il
monastero di Chiaravalle e a svolgervi la funzione di Abate. La costruzione del complesso si protrae sino al 1221, data
della consacrazione.
L'architettura: si presenta in forme eleganti, chiare e semplici,
tipiche del modulo cistercense; intorno allo spazio centrale
rappresentato dal chiostro si raccordano gli spazi riservati alle
diverse attività della vita monastica, basata sulla
complementarietà dei momenti di preghiera, meditazione, lavoro
manuale e intellettuale (chiesa, dormitorio, refettorio, sala
capitolare). Nell'insieme ora ci troviamo di fronte a una
stratificazione di interventi secolari, con parti che risalgono ad
epoche distanti nel tempo (ad esempio la torre nolare è del '300
mentre la parte inferiore della facciata è del '600). L'interno della
chiesa si struttura su un impianto a croce latina. La decorazione
originariamente era bandita ma successivamente si è affermato
un uso delle immagini di forte impatto emotivo a rinforzo della
predicazione e come strumento di lotta contro la riforma di
Lutero: del 1300 sono gli affreschi del transetto, poi nel '600 i
maestri 'fiamminghini' affrescano tutte le pareti.
Abbazia di Chiaravalle di notte
L'affresco della controfacciata racconta la vicenda di Chiaravalle: la città di Milano (a destra), Bernardo che riceve i titoli,
al centro la donna con la tiara simboleggiante la Chiesa e a sinistra la costruzione della chiesa stessa.
Nel transetto: meravigliosi affreschi, tra cui spicca (a sinistra), per forza espressiva, 'Bernardo ucciso da un musulmano
per aver convertito le sorelle' e cappella tutta al femminile, dedicata a Maria Maddalena e ad altre sante. Particolare la
statua di Manzù, che simboleggia la resurrezione. A destra scala che conduce ai dormitori, al cui capo si trova una
suggestiva Madonna con Bambino (detta ‘della buona notte’), opera giovanile di Bernardino Luini. Dalla navata destra si
accede al bellissimo chiostro, restaurato e integrato, risalente al XIII sec. Nella concezione benedettina/cistercense è il
cuore del monastero - apertura verso il cielo, protezione contro l'esterno, spazio che contiene e protegge comunicando
un meraviglioso sentimento di pace intereriore. Ai suoi lati si innestano gli spazi adibiti alle diverse funzioni:
> la Sala Capitolare, da 'capitulum', capitolo della regola che viene letta sistematicamente ogni giorno e luogo dove si
prendono le decisioni per la vita della comunità
> il Refettorio: luogo dall'acustica perfetta, dove si mangia in silenzio ascoltando il frate lettore che legge pagine della
Bibbia
> la splendida Torre Nolare ottagonale (nolare deriva da Nola, dove si fondevano le campane), movimentata da un ricco
intreccio di bifore e loggette
Il meraviglioso complesso abbaziale di Chiaravalle offre innumerevoli elementi di grandissimo interesse, che è difficile
sintetizzare in una sola pagina. La visita richiede e merita alcune ore. Se si fa la visita guidata: consiglio comunque di
fare prima un giro individualmente, per farsi un'idea dell'insieme e poi la visita con la guida, che approfondisce numerosi
aspetti specifici.
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A zonzo per boschi e parchi milanesi
Camminare in un ombroso sentiero in mezzo al bosco, attraversare un ruscello su un leggero ponte di legno, poi trovarsi
in un campo di granoturco in aperta campagna e infine sedersi sul bordo di uno stagno a osservare il placido movimento
delle paperelle sul filo dell'acqua... Dove siamo ? Non in capo al mondo ma proprio nella città di Milano, nel
'BOSCOINCITTA', primo esempio in Italia di forestazione urbana. Non è un giardino ma un vero e proprio bosco nella
città: su una grande estensione di 80 ettari, troviamo zone di bosco, prati, campi coltivati, canali, ruscelli e il grande
stagno con i canneti e gli uccelli acquatici. A poche centinaia di metri dall'ingresso l'antica cascina San Romano,
restaurata e attrezzata con tavoli, panche e griglie: questa bella struttura è l'ideale per organizzare picnic e feste all'aria
aperta (telefonare per informarsi e prenotare: tel 02 4522401) - lì si trova anche l'ufficio operativo del parco.
Sono molte le scuole che organizzano escursioni nel boscoincittà per fare attività di educazione ambientale, giochi o
feste.
Lungo il lato ovest del parco troviamo la zona degli orti: piccoli appezzamenti di terreno dati da coltivare a singoli cittadini
che ne fanno richiesta (credo vi sia una lunga lista d'attesa per ottenerli), e curati meticolosamente da numerosi anziani
che si dedicano con passione a questa salutare attività e fanno di questi fazzoletti di terra dei veri e propri piccoli giardini;
peccato questa esperienza sia così limitata; in Germania gli orti di città sono una istituzione radicata e diffusa in molte
metropoli: abbelliscono i quartieri periferici formando una sorta di cintura perimetrale verdeggiante e fiorita. Niente a che
vedere con quegli squallidi sgangherati orti abusivi che spesso vediamo passando lungo le ferrovie o le strade delle
nostre periferie.
Accesso: (Milano, zona OVEST) raggiungibile in auto (preferibilmente da Via Novara/Via Caldera o Via Forze Armate/Via
Cancano), in bici, autobus (49, 64, 78) e MM (Stazione MM Bisceglie)
'Un parco per amico' è stato lo slogan che ha accompagnato l'azione di chi per lunghi anni si è impegnato e ha lottato
per realizzare il sogno di trasformare un'area degradata in un grande parco a disposizione di tutti i cittadini.
Insieme al Parco di Trenno e al vicino Boscoincittà oggi il Parco delle Cave, con i suoi 120 ettari di superficie, completa il
grande polmone verde che ossigena la zona ovest della città di Milano, segnando uno stacco all'espansione progressiva
di quartieri più o meno residenziali. Un vasto spazio di natura dove troviamo grandi prati, zone di bosco, campi coltivati,
orticelli, fontanili, sentieri ciclabili e pedonali, attrezzature sportive, laghetti e cascine ancora in attività: un luogo che
specialmente nel weekend viene allegramente 'invaso' da un variegato popolo di 'runners', ciclisti, pescatori, famiglie con
bambini, cittadini di tutte le età che vi trovano un'atmosfera piacevole in cui fare sport, camminare o semplicemente
rilassarsi con la sensazione di essersi lasciato lontano il frastuono della città. Numerosissimi anche i pescatori impegnati
con soddisfazione nella pesca di trote, storioni o carpe.
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Lunga e tribolata la storia che ha portato alla realizzazione di questo
parco. All'inizio (anni '20), in un territorio sostanzialmente agricolo,
c'erano 4 cave (Cabassi, Casati, Ongari-Cerutti, Aurora) da cui si
estraevano sabbia e ghiaia; negli anni '70 l'attività di estrazione e
l'agricoltura sono in abbandono, avanzano le discariche abusive e il
degrado anche sociale. Nel '73 il Consiglio di Zona abbozza la proposta
di trasformare l'area in un grande parco: di qui in poi seguono lunghe
tormentose vicende, dove il 'progetto parco' si scontra con l'assalto della
delinquenza che nel corso degli anni '90 praticamente colonizza vaste
aree creando una situazione di invivibilità per gli abitanti della zona.
Spaccio di droghe giorno e notte, scontri cruenti tra spacciatori, rapine e
sparatorie, vandalismi nelle scuole e nel quartiere esasperano la
cittadinanza, che reagisce con coraggio e tenacia in numerosissime
iniziative promosse dalle molte associazioni che si battono in prima
persona contro l'illegalità. Nel '97 il Comune affida la gestione del parco
al CFU/Italia Nostra (che gestisce anche il Boscoincittà) e verso il 2002
si arriva a una sostanziale sistemazione di gran parte dell'area. Notevoli
anche gli interventi realizzati per migliorare la sicurezza: dal
pattugliamento alle numerose colonnine SOS, ai fari per l'illuminazione
notturna in punti cruciali. Dopo molti anni di faticoso travaglio il parco è
diventato finalmente una realtà concreta, oggi vissuta intensamente da
migliaia di cittadini, anche se c'è ancora parecchio lavoro da fare in
ampie zone. Per esempio, la Cava Ongari è tuttora recintata e non
accessibile a causa dell'instabilità delle sue sponde, e sarebbe bello se, una volta sistemata, vi si potesse andare in
barca o imparare i primi rudimenti della canoa.
E' l'acqua l'elemento protagonista del parco delle cave: i 4 laghetti che si sono formati dove un tempo ci sono stati gli
scavi, e che ora sono incorniciati da fitta vegetazione e prati ben tenuti, danno un respiro davvero particolare a questo
parco che si differenzia da altri spazi verdi.
Gli accessi al parco sono parecchi (sarebbe opportuna una segnaletica stradale nelle vie circostanti per indirizzare
meglio i visitatori) e forse l'itinerario più comodo è quello che da Via Forze Armate girando in Via Cancano (qui si
parcheggia l'auto) porta in riva al lago Cabassi, una zona particolarmente animata e da cui si può iniziare l'esplorazione
del parco seguendo i numerosi itinerari che lo attraversano in tutte le direzioni (sono però carenti segnavia e mappe
lungo i sentieri). All'ingresso del parco da Via Caldera troviamo invece l'omonima cascina, con la sua tipica architettura,
le stalle, il fienile e, a volte, spensierate comitive di oche in giro per i prati.
Il Milan War Cemetery (Cimitero di guerra di Milano) si trova nel parco di Trenno, su Via Cascina Bellaria, con cancello
d'ingresso praticamente poche decine di metri dopo la cascina stessa. E' sempre aperto e può essere visitato in
qualsiasi momento.
Il Parco di Trenno si estende su una vasta area (circa 600.000 mq.) poco distante dallo stadio. Belle zone alberate si
affiancano a grandi prati attraversati da percorsi pedonali e ciclabili. Nel parco ci sono anche alcune cascine.
Rappresenta una delle aree più vaste strutturate per l'uso ricreativo presenti nell'area occidentale del Parco Sud ed è
raggiungibile con i mezzi ATM (bus 72).
Quasi nascosto dalla siepe che lo circonda, sul lato ovest del parco si trova il Cimitero di guerra inglese. Non ci sono
grandi indicazioni a segnalare l'esistenza di questo luogo della memoria: forse per discrezione o per timore che un
afflusso più consistente di visitatori possa guastare l'atmosfera di grande pace e rispetto che regna assoluta.
Camminando in questo silenzio, in questa bellezza, ho provato grandissima commozione e gratitudine per tutti quelli che
ci hanno offerto il loro sacrificio. Il 3 settembre 1943 le Forze Alleate avevano invaso la penisola italiana, in coincidenza
con l'armistizio firmato dagli Italiani, i quali in pratica rientrarono in guerra a fianco degli Alleati. L'avanzata degli alleati fu
bloccata durante i due successivi inverni: nel 1943 lungo la linea difensiva tedesca 'Gustav' (sulla triettoria tra il fiume
Gargliano a ovest e il Sangro a est) e nel 1944 sulla linea Gotica nell'Appennino settentrionale. All'inizio di Aprile '45 gli
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Alleati lanciarono l'offensiva finale contro le ultime resistenze tedesche in via di dissolvimento e si fecero strada
rapidamente nella pianura padana. A Milano, già liberata dai partigiani, il 4° Corpo d'Armata Statunitense entrò senza
combattimenti il 2 maggio 1945, giorno della resa della Germania. Dato che sostanzialmente a Milano non ci furono
scontri, le perdite da parte dei reparti del Commonwealth furono minime. La maggior parte delle tombe nel cimitero sono
di prigionieri di guerra o aviatori trasferiti qui dopo la guerra da cittadine più o meno distanti (Bergamo, Boves, Carpi,
Cicogna, Modena, Parma, Piacenza, Torino, e Val d'Isere). Nel Cimitero di Guerra di Milano sono sepolti 417 caduti della
Seconda Guerra Mondiale, appartenenti alle nazioni del Commonwealth, 27 dei quali non identificati.
Dopo il successo della prima edizione di questo evento davvero speciale (ottobre 2002 - marzo 2003), DIALOGO NEL
BUIO è tornato a Milano nel dicembre 2005, in un allestimento realizzato presso la sede dell'Istituto dei Ciechi, in Via
Vivaio 7.
DIALOGO NEL BUIO è una mostra-itinerario, che i visitatori percorrono nel buio
assoluto, accompagnati da una guida non vedente: i diversi ambienti riproducono
contesti urbani e naturali, che non vengono svelati ma che si possono riconoscere
ed esplorare senza l'aiuto della vista ma 'solo' con gli altri sensi e la guida
rassicurante di un accompagnatore non vedente. La visita si conclude
Con gli occhi vediamo nell'ambiente rilassato di un bar (rigorosamente al buio) dove i partecipanti,
solo buio … e con gli bevendo un drink o un cappuccino (preparato da baristi non vedenti) scambiano le
altri sensi ? proprie impressioni sull'esperienza fatta. Ideata dal tedesco Andreas Heinecke,
questa iniziativa, già presentata in molte capitali europee, ha riscosso ovunque
grande successo, e ad Amburgo è una installazione permanente visitata da
migliaia di persone.
DIALOGO NEL BUIO è un'idea creativa per avvicinare noi vedenti alla realtà di chi non vede, ma anche e soprattutto
un'occasione per comunicare al di fuori degli schemi correnti e limitanti dell'apparenza. La cecità è per noi vedenti
associata all'idea del buio, della perdita, del lutto. La vista: il bene più prezioso, ma può essere anche una barriera
conformistica che genera pregiudizi e discriminazioni. Il buio è uno dei nostri spauracchi più profondi, il luogo dove
prendono corpo i nostri fantasmi, ma nel percorso, dove i ruoli tra visitatori-vedenti e guida non-vedente sono capovolti,
siamo costretti ad affinare tutti i nostri sensi per vedere la realtà in modo diverso e interpretarla secondo processi mentali
per noi inusitati. Si entra in un percorso per 'uscire con un altro punto di vista': spesso sono i bambini e i ragazzi i più
ricettivi e pronti ad entusiasmarsi in questo esperimento.
La mostra è anche una importante occasione di lavoro per molti non vedenti, infatti vari servizi organizzativi sono gestiti
in prima persona da loro: un modo anche per valorizzarne le capacità e rivendicare un più ampio ruolo nella società.
Nel corso degli anni DIALOGO NEL BUIO si è arricchita di varie originali iniziative: 'Cafenoir', cene al buio, spettacoli
teatrali e altro ancora.
> J. Saramago: Cecità. (ed. Einaudi). Romanzo: Un'epidemia di cecità sprofonda nelle tenebre la popolazione di un
paese immaginario. Ed è proprio nel mondo delle ombre che i protagonisti scoprono aspetti sconosciuti di se stessi e del
mondo che credevano di conoscere.
> A. Quintana: Vento che parla sabbia che canta. Il libro di Bod Pa (ed. TEA). Romanzo: In una specie di Mongolia
fantastica e selvaggia, uno sciamano cieco e ubriacone conduce un adolescente all'iniziazione alla vita. Un racconto
fatto con umorismo, poesia e paradossale gusto filosofico.
> John M Hull: Il dono oscuro. Nel mondo di chi non vede. (Ed. Astrolabio). Un libro stupendo, intenso e toccante;
l'autore racconta in pagine sintetiche il suo percorso verso la cecità. Il libro non è in circolazione ma è reperibile presso la
Biblioteca Braidense di Milano.
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