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La Capitanata nel 1799
a cura di
Saverio Russo
b./bb. busta/buste
c./cc. carta/carte
f./ff. foglio/fogli
ISBN 88-8431-041-5 fasc. fascicolo
fs. fascio
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ms./mss. manoscritto/manoscritti
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s. d. senza data
Claudio Grenzi sas SNSP Archivio della Società Napoletana
Piazzale Italia, 6 di Storia Patria
Via Le Maestre, 71
71100 Foggia v. verso
5
Presentazione
Le pagine che seguono propongono al lettori gli atti della giornata di studi sulla
Capitanata nel 1799, promossa dall’Amministrazione della Provincia di Foggia e
organizzata da chi scrive il 4 dicembre del 1999.
Questo Ente ha ritenuto di portare in tal modo il suo contributo alle celebrazio-
ni del bicentenario della Repubblica napoletana che, con numerose iniziative, han-
no punteggiato un intero anno, dal convegno napoletano del gennaio ’99 a quello
molisano, del gennaio 2000, dedicato a Vincenzo Cuoco, il primo storico della
“rivoluzione di Napoli”.
Il convegno di Foggia ha chiuso il ciclo delle iniziative che, con differente impe-
gno scientifico ed organizzativo e diversi “umori” politico-ideologici, hanno inte-
ressato i centri minori della Capitanata, da Torremaggiore a San Severo, da Troia a
San Marco in Lamis. Inoltre, collocandosi temporalmente quasi a termine del ciclo
delle celebrazioni, ha consentito ad Angelo Massafra di delineare un primo provvi-
sorio - ma prezioso - bilancio di un anno di convegni e di iniziative sul ’99.
Anche in Capitanata, come altrove, il bicentenario del 1799 non è stato solo
l’occasione per rinnovare la “memoria dei martiri”, con pubblicazioni 1, con lapi-
di 2, con alate conferenze. Questo secondo centenario, al di là della presenza più o
meno di “colore” di rappresentanti del movimento neoborbonico in molte manife-
stazioni, ha palesato in misura talvolta esplicita, non tanto sul piano della ricerca
storica, quanto su quello della “costruzione del senso comune storiografico” - su cui
talvolta gli storici di professione hanno scarsa incidenza - un deliberato tentativo di
rovesciamento di uno schema interpretativo a lungo egemone (si veda, anche da
questo punto di vista, il saggio di Angelo Massafra). Certo, non è il primo caso di
una celebrazione attraversata da conflitti più o meno espliciti. Anche per il primo
centenario in Capitanata, la ricostruzione di un anno drammatico, dal febbraio ’99
al febbraio 1800, che fece Luigi Manzi si concludeva con il ricordo dei protagonisti
dauni più importanti della Repubblica partenopea e con il rimprovero all’ammini-
strazione comunale di Foggia del tempo e ad ambienti culturali conservatori di una
deliberata politica dell’oblio:
[...] non ha guari una mia proposta di commemorazione centenaria dei
martiri di Capitanata del 1799 diè luogo alla pubblicazione di certa pro-
sa scettica poco opportuna e niente sennata, la quale sotto colore d’uno
spiritismo fantastico d’oltretomba, ci ha rappresentato un marchese Bru-
no ignoto, senza patria e seccato di essere turbato negli eterni riposi 3.
Nella giornata di studi del dicembre 1999 - come in alcuni altri - non si è inteso
solo “commemorare”, ma si è cercato di trarre l’utile maggiore che le commemora-
zioni posson dare. Come ricorda Benedetto Croce nel brano citato da Anna Maria
Rao - “centenari e commemorazioni spingono molti a ricercare e a pubblicare do-
cumenti che in altri tempi non sarebbero venuti fuori, e a compiere lavori critici, ai
quali non si sarebbe pensato” 4.
Al di là dell’invito a tutti i relatori a privilegiare, con l’ottica “provinciale”, la
dimensione della ricerca archivistica e l’analisi delle fonti, è parso opportuno impe-
gnare una parte delle risorse che la Provincia di Foggia ha messo a disposizione per
la giornata di studi, per finanziare alcune “puntate” di giovani ricercatrici (France-
sca Lo Faro e Simona Tiecco) in archivi pubblici e privati finora scarsamente scan-
dagliati. Perciò, gli obiettivi che si prefiggevano chi ha organizzato e l’Ente che ha
promosso questa “giornata di studi” si potranno ritener conseguiti se le nostre co-
noscenze sulla Capitanata nel 1799, “un’area - ha scritto Angelo Massafra - di cru-
ciale importanza per il controllo politico, economico e militare del Regno nelle
difficili giornate della Repubblica napoletana e della sua drammatica fine”, e le
ricerche di più ampio respiro sul Mezzogiorno si gioveranno, in qualche misura,
delle pagine di questi atti.
Sommario
probabilmente, una delle più coinvolte, anche per l’alto numero di personaggi di
origine pugliese che svolsero ruoli di primo piano nella breve storia delle repubblica
(ricordo, per tutti, i Ciaia e gli Albanese) o per la drammaticità dei conflitti che
costellarono in Puglia quella breve stagione di vera e propria guerra civile, con i
massacri - di segno politico spesso opposto, ma simili per modalità di svolgimento
e per conseguenze - di S. Severo, Andria, Trani, Altamura e di molti altri centri.
Ma l’amor di campanile o la curiosità per vicende e personaggi che spesso la
toponomastica cittadina richiama alla memoria anche di persone di media cultura
non bastano a spiegare il gran numero di iniziative per il Bicentenario e, ancor più,
l’eco che esse hanno suscitato anche sui mass media. C’è una dimensione politica
dell’evento che talora ne ha condizionato l’impostazione o lo svolgimento, proiet-
tando sul presente, in modo spesso velleitario ed anacronistico, contrapposizioni
antiche e che sarebbe stato legittimo attendersi fossero da tutti considerate ormai
superate 1.
Per alcuni, infatti, l’esaltazione degli ideali di libertà, di democrazia e di unifica-
zione politica della penisola, che animarono gli esponenti più in vista e lucidi del
movimento “patriottico” e repubblicano, è stata l’occasione per rivendicare la persi-
stente validità di una tradizione liberale, laica ed unitaria formatasi nel corso del
Risorgimento e rafforzatasi dopo l’Unità, quando la nuova classe dirigente ha cer-
cato di legittimare la propria egemonia ideale e politica richiamandosi all’eredità di
quanti quella tradizione avevano costruito a prezzo di persecuzioni, di esilio e, spes-
so, della vita.
Per altri la sottolineatura del carattere sostanzialmente minoritario dello schiera-
mento repubblicano, dell’ampiezza e radicalità delle “insorgenze” antirepubblicane
ed antifrancesi, dell’astrattezza - reale o, più spesso, presunta - degli ideali e dei
programmi politici dei patrioti meridionali, le cui eventuali buone intenzioni sa-
rebbero state frustrate dal pesante condizionamento politico, finanziario ed orga-
nizzativo dell’armata francese, sono state l’occasione non solo per rilanciare antiche
delle riforme nello studio del “triennio” e della rivoluzione napoletana del 1799,
per comprendere le motivazioni politico-culturali e psicologiche che portarono molti
illustri esponenti del movimento riformatore ad optare, già a metà degli anni ’90,
per una soluzione che non escludeva, anzi in qualche caso auspicava, una rottura
rivoluzionaria e l’instaurazione della repubblica.
L’emigrazione di molti patrioti coinvolti nella cospirazione antiborbonica del
1794 rappresentò un’occasione di formazione e di esperienza politica rivoluziona-
ria di primo ordine per molti dei futuri protagonisti del 1799, mentre per i riforma-
tori rimasti all’interno del Regno il completo blocco di ogni spinta riformatrice da
parte della monarchia borbonica costituiva una spinta decisiva verso una conversio-
ne rivoluzionaria che, comunque, non fu per nessuno né facile e né indolore 4. Le
esperienze di M. Delfico, di F. M. Pagano, di G. Conforti e, in negativo, di G. M.
Galanti, analizzate nella prima sessione del convegno di Napoli sono, da questo
punto di vista, esemplari
Un secondo tratto pressoché comune a questi convegni è rappresentato dallo
sforzo di inserire le vicende napoletane e meridionali all’interno del più ampio
contesto storico e politico rappresentato dalla diffusione del modello rivoluzionario
in gran parte della penisola italiana e dell’Europa nord-occidentale, in un’ottica
comparativa che, pur senza far riferimento a modelli paradigmatici, si sforzi di
cogliere analogie e differenze tra le diverse esperienze rivoluzionarie.
Esplicita e consapevolmente programmata nel convegno di Potenza, nel quale
l’esperienza del 1799 e delle repubbliche “sorelle” è stata esaminata in riferimento
alle vicende non solo delle repubbliche italiane, ma anche di alcune loro consorelle
dell’Europa centro-settentrionale, la prospettiva comparativa è stata ben presente
anche nel convegno di Napoli, nel quale una serie di relazioni ha analizzato anche
l’influenza esercitata dall’iniziativa politica e dalle posizioni ideologiche di intellet-
tuali e leader rivoluzionari francesi sulla rivoluzione napoletana.
In questa prospettiva si è tenuto conto non solo della politica del Direttorio,
generalmente penalizzante per le aspirazioni di autonomia nutrite dai gruppi diri-
genti delle repubbliche “sorelle”, ma anche dei vincoli che la collocazione geografi-
ca della nostra penisola, e soprattutto del Regno di Napoli, imponeva al conflitto
fra Inghilterra e Francia nella lotta per l’egemonia sul Mediterraneo.
Non si è mancato, inoltre, di sottolineare la specificità dell’esperienza napoleta-
4 - Sul complesso rapporto fra la stagione delle riforme e la rivoluzione del 1799 cfr. A.M.
RAO, Mezzogiorno e rivoluzione: trent’anni di storiografia, in “Studi storici”, 1996, n. 4, soprattutto
le pp. 994-1001.
16 La Capitanata nel 1799 A. Massafra
na rispetto a quella di altre repubbliche italiane; una specificità legata non tanto al
comportamento di generali e commissari francesi come Championnet o Jullien,
quanto alla lunga esperienza politica e cospirativa fatta da molti esuli meridionali,
emigrati dopo il 1794 in Francia o, più tardi, nella repubblica cisalpina. Di tale
esperienza avrebbero fatto tesoro nei difficili mesi della repubblica napoletana an-
che per rivendicare, sia pur con scarso successo, una maggiore autonomia rispetto
alla politica del Direttorio e soprattutto per metter mano ad una serie imponente di
provvedimenti legislativi diretti a riformare, in una situazione di continua emer-
genza, le istituzioni, l’amministrazione e le strutture sociali del Regno.
Un altro filone d’indagine privilegiato in alcuni di questi convegni, soprattutto
in quello di Napoli del gennaio 1999 ed ancor più in quello programmato a Saler-
no su Il Novantanove in idea, è stato lo studio degli strumenti e dei linguaggi della
comunicazione politica, strettamente funzionali all’acquisizione del consenso e alla
mobilitazione delle coscienze, sia sul versante repubblicano, sia su quello della con-
trorivoluzione. Linguaggi, riti, strategie della comunicazione; quindi studio dei gior-
nali, dei catechismi repubblicani, delle espressioni “alte” della cultura rivoluzionaria
(teatro, musica, melodramma, poesia, strategie retoriche adottate nei testi scritti e
nell’oratoria, ecc.) e di quelle meno auliche (iconografia popolare, poesie e canzoni
in vernacolo, ecc.).
Ma il campo d’indagine forse più battuto in questi incontri è stato, mi sembra,
quello della costruzione, lungo l’arco di due secoli, della memoria della repubblica
napoletana del 1799, dall’immagine che di essa fornirono già i contemporanei (a
questo proposito specifici contributi sono stati dedicati, per es., a Lomonaco, a
Foscolo e, soprattutto, a Cuoco) alle ricostruzioni proposte dalla pubblicistica con-
trorivoluzionaria della Restaurazione, quando si tentò di operare una vera rimozio-
ne della memoria del 1799 e del “decennio” ricostruendo un’ideale, quanto fittizia,
continuità tra il riformismo borbonico settecentesco e la politica della monarchia
restaurata, soprattutto durante il regno di Ferdinando I e di Ferdinando II.
Ma è soprattutto nella seconda metà dell’Ottocento che si costruisce, e poi
tende a cristallizzarsi, un’immagine della tragedia del ’99 in cui l’ammirazione per
l’eroismo e per la nobiltà d’animo e di ideali dei repubblicani, mandati al patibolo
o in esilio, si accompagnava ad una lettura in chiave moderata dei loro programmi
e della loro azione politica, di cui si sottolineava soprattutto la dimensione utopica
ed anticipatrice dei futuri sviluppi del processo di unificazione della penisola e, sulle
orme di Cuoco, l’astrattezza dei progetti e l’incapacità di comunicare con i ceti
popolari.
Oltre che nelle scritture memoriali, le tappe e gli esiti della costruzione della
memoria dei protagonisti e delle vicende della rivoluzione del 1799 sono stati inda-
A. Massafra Tra storiografia e politica 17
gati nella letteratura (soprattutto del Novecento), nella drammaturgia, nel cinema,
nella riflessione politica e storiografica, nella produzione giornalistica e sulle riviste
(diversi interventi sono stati dedicati, a questo proposito, alle celebrazione del pri-
mo centenario della repubblica, nel 1899), nella toponomastica e nell’iconografia
dei monumenti eretti soprattutto tra la fine del secolo scorso e la prima guerra
mondiale (specifici contributi sono stati dedicati a questo tema nei convegni di
Potenza e di Altamura-Matera e numerosi altri se ne attendono per il convegno di
Salerno del prossimo dicembre).
Particolare attenzione è stata riservata, in alcuni convegni, alla costruzione della
memoria del giacobinismo italiano nell’Ottocento, in relazione allo sviluppo di
correnti ideali e di partiti politici che, come i repubblicani, i radicali e, in minor
misura, i socialisti, si consideravano eredi delle componenti democratiche del mo-
vimento risorgimentale. È lecito prevedere che su tutti questi temi contributi di
particolare interesse verranno dal citato convegno su Il Novantanove in idea, che al
tema dei miti e della memoria del 1799 dedica ben quattro sessioni di lavoro e circa
una trentina di relazioni.
Si possono segnalare, a conclusione di questo intervento, altri due elementi che
in varia misura hanno caratterizzato e caratterizzano questa stagione di convegni sul
1799 nel Mezzogiorno continentale: da un lato l’attenzione prestata alle insorgenze
e, più in generale, ai movimenti di opposizione alla repubblica e, dall’altro, una
tendenza alla regionalizzazione della ricerca, intesa come studio dei processi di ade-
sione alla repubblica o di resistenza antirepubblicana ed antifrancese nelle province
del Regno.
Quanto al primo di questi due aspetti, si può osservare che a promuovere lo
studio delle insorgenze anche da parte di studiosi che non sono spinti da particolari
motivazioni politiche o da consonanze ideologiche, è stato anche il progressivo
mutamento di prospettive nello studio del modello-principe di rivoluzione a fine
Settecento: la Rivoluzione francese, vista sempre meno “come un blocco unitario,
quasi istantaneamente realizzata da un popolo pressoché unanimemente in armi
per la conquista della libertà; una rivoluzione ‘attiva’ alla quale si contrapponeva il
carattere passivo e tutto elitario della rivoluzione italiana” 5.
Dalla consapevolezza che “gli orientamenti politici pro o contro la rivoluzione
fossero ben lontani dal produrre rigide contrapposizioni fra classi e gruppi” è nata, in
Francia come in Italia, l’esigenza di “dar conto della molteplicità delle forme di par-
6 - Ibidem.
7 - “Al malcontento popolare per una crisi economica resa ora insostenibile dalle contribuzio-
ni, dalla guerra e dalla crisi monetaria, si intrecciano faide familiari, scontri tra fazioni e frazioni
della borghesia, l’azione sobillatrice del clero e delle nobiltà locali, che rendono dilagante l’insor-
genza nell’estate del 1799” (A. M. RAO, Introduzione, cit., p. 340). In definitiva dagli studi sulle
insorgenze presentati nel citato fascicolo di “Studi storici”, come da diverse relazioni presentate ai
convegni di Avellino e di Altamura-Matera “l’insorgenza emerge in tutta la sua irriducibile com-
plessità di fenomeno fortemente differenziato nello spazio e nel tempo” (ibid.). Sulla molteplicità
dei fattori e delle spinte che provocarono le insorgenze cfr. l’accurato, anche se sintetico, bilancio-
programma di lavoro proposto da A. M. RAO in Mezzogiorno e rivoluzione, cit., pp. 1007-1010.
A. Massafra Tra storiografia e politica 19
Ancora molto resta, tuttavia, da fare per avere un quadro di insieme esauriente
e convincente delle insorgenze nel Regno di Napoli; una serie di contributi presen-
tati ad alcuni dei convegni sopra ricordati aprono prospettive di ricerca di sicuro
interesse.
Qualche anno fa A.M. Rao segnalava, in una puntuale e ricca rassegna degli
studi pubblicati negli ultimi decenni sulla stagione giacobina e rivoluzionaria nel
Mezzogiorno d’Italia, che “la ‘regionalizzazione’ degli studi ha avuto anche per
questo periodo esiti fruttuosi, riportando l’attenzione sulle province, sulla loro dif-
ficile ‹repubblicanizzazione› e sulle ‘insorgenze’: il bicentenario della rivoluzione
francese ha agito da stimolo ulteriore in questa direzione” 8.
La tendenza alla regionalizzazione della ricerca risale, in verità, almeno alla se-
conda metà degli anni ’60 ed in altre occasioni si è avuto modo di segnalare alcuni
dei fattori che l’hanno provocata o, comunque, favorita 9. Qui basterà osservare che
tale tendenza, se si è affermata rapidamente nelle ricerche di demografia storica e di
storia delle strutture economico-sociali, ha tardato a produrre frutti significativi nel
campo della storia politica e culturale.
Anche se già negli anni ’50 del Novecento G. Cingari aveva dato prova della
fecondità di una prospettiva di ricerca che spostava dalla capitale alle province il
punto di osservazione nello studio della crisi di fine Settecento, con il risultato di
cogliere, nel conflitto fra “giacobini” e “sanfedisti”, un ventaglio di motivazioni e di
obiettivi molto più ampio e ricco di quanto l’interpretazione crociana, pur integra-
ta ed in parte corretta dalle diverse versioni dell’interpretazione “sociale”, consentis-
se di fare 10, è pur vero che occorrerà attendere gli anni ’80 per registrare progressi
significativi nella regionalizzazione delle ricerche anche nel campo della storia poli-
tica, almeno per quanto attiene allo studio dell’età delle riforme e della crisi rivolu-
zionaria di fine Settecento. Soprattutto la Puglia, la Basilicata, gli Abruzzi ed alcune
province della Campania sembrano aver beneficiato in misura rilevante di questa
tendenza.
È vero anche, però, che la situazione degli studi sui travagliati anni della repub-
blica e dell’“anarchia” (1799-1801) è ancora tale per cui “mancano ricostruzioni
metodologicamente aggiornate della vicenda repubblicana nel suo complesso” 11, a
parte quella offerta, sia pur in termini molto sintetici, dalla stessa A.M. Rao nei
capp. V e VI del saggio sul 1799 da lei pubblicato a metà degli anni ’80 nel IV
volume (tomo II) della Storia del Mezzogiorno 12.
Si comprende, pertanto, come pressoché tutti i convegni svoltisi su questo tema
nel corso di quest’anno abbiano riservato almeno una seduta dei loro lavori allo
studio della “democratizzazione” e delle reazioni che essa suscitò, in varia misura, in
tutte le province del Regno. Quest’ottica “provinciale” (non c’è, ovviamente, nulla
di riduttivo in questa definizione) risulta, anzi, decisamente privilegiata nei conve-
gni di Altamura-Matera e di Maratea, essendo convinti i loro organizzatori che
proprio un ampliamento ed un approfondimento delle indagini su scala provincia-
le o regionale consente una più puntuale contestualizzazione delle vicende e dei
personaggi studiati.
Data, infatti, la grande frammentazione del quadro politico del Regno tra gli
ultimi mesi del 1798 ed il periodo repubblicano e tenendo conto della debole coe-
sione delle varie componenti della società meridionale durante la crisi di fine Sette-
cento, di fronte alla difficoltà di proporre una lettura unitaria delle scelte e dei com-
portamenti delle forze in campo nelle province meridionali, è necessario evitare ge-
neralizzazioni astratte e, invece, “indagare caso per caso, momento per momento le
ragioni dell’adesione o della lotta alla Repubblica, inquadrandole continuamente
nell’insieme dei contrasti sociali del periodo precedente alla rivoluzione” 13.
La prospettiva provinciale, quindi, non è un semplice, per quanto utile espe-
diente per individuare ambiti spaziali “controllabili” dalla capacità di ricerca e di
analisi delle fonti da parte di un singolo studioso, ma una scelta di metodo che serve
tica ha quasi oscurato agli occhi dei lettori il paziente lavoro di scavo documentario
compiuto da Croce, che è stato impoverito nella formula riduttiva e fuorviante
della “Repubblica dei martiri”, celebrata come origine del Risorgimento nazionale
italiano ma al tempo stesso assunta a emblema dei suoi insuperati limiti interni: la
debolezza della classe dirigente, l’astrattezza filosofica degli intellettuali, la loro in-
capacità di instaurare un legame con le masse popolari. Nella stessa direzione ha
operato la lettura altrettanto distorta del Saggio sulla rivoluzione di Napoli di Vin-
cenzo Cuoco del 1801 – di cui rende compiutamente conto e ragione la recente
edizione critica curata da Antonino De Francesco 3 -, interamente appiattita sulla
formula della “rivoluzione passiva” 4. Sebbene estesa a tutta l’Italia del “triennio”
repubblicano 1796-1799, ai suoi ripetitori acritici la formula è servita soprattutto,
per i celebratori dei “martiri”, a ribadire i vizi d’origine della classe dirigente meri-
dionale, pur lamentandone l’esiziale distruzione, facendone alibi, da un lato, di una
sua fatale impossibilità di ricomposizione, consolatorio rifugio, dall’altro, in glorie
passate; e, per i loro detrattori, è servita a comprovare l’inefficacia e il fallimento dei
repubblicani, a fronte di masse neglette, oppresse dall’idealismo o dall’ambizione e
dall’opportunismo nostrani, dalla cupidigia straniera.
Le semplificazioni delle formule brevi quasi sempre hanno la meglio, spesso
non solo nella pubblicistica divulgativa, rispetto agli sforzi di lettura critica delle
fonti e di interpretazione compiuti dagli storici. Non solo, ma nonostante l’interes-
se quasi unanime - e in molti casi quasi certamente effimero - che essa sembra
riscuotere fra questi ultimi in occasione del secondo centenario, le ricerche critica-
mente documentate sulla Repubblica napoletana non sono poi molte, e molti suoi
3 - V. CUOCO, Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli, edizione critica a cura di A. DE FRAN-
CESCO, Manduria-Bari-Roma 1998. Il Saggio ha avuto anche una riedizione nella Biblioteca Uni-
versale Rizzoli, Milano 1999, con una nuova densa Introduzione di Pasquale Villani. L’interesse per
Cuoco, mai sopito nella tradizione storiografica e filosofica meridionale, va conoscendo punte
particolari in questi anni di bicentenario del 1799 e della prima edizione del Saggio (1801), mani-
festandosi in studi e convegni. Vanno segnalati in questo quadro: A. DE FRANCESCO, Vincenzo
Cuoco. Una vita politica, Roma-Bari 1997 e, nel quadro delle iniziative promosse dall’Università
degli studi di Napoli “Federico II” per la celebrazione del bicentenario, V. CUOCO, Scritti giornali-
stici 1801-1805, a cura di D. CONTE e M. MARTIRANO, 2 voll., Napoli 1999. Si segnala inoltre il
Convegno Vincenzo Cuoco nella cultura di due secoli, Campobasso, 20-22 gennaio 2000.
4 - Sulla cui reale diffusione resta d’obbligo il riferimento a M.A. VISCEGLIA, Genesi e fortuna di
una interpretazione storiografica: la rivoluzione napoletana del 1799 come “rivoluzione passiva”, in
«Annali della Facoltà di Magistero dell’Università degli studi di Lecce», I, 1972, pp. 5-47.
A. Massafra Tra storiografia e politica 25
5 - Per una ricognizione critica degli studi recenti, aggiornata al 1996, rinvio a A. M. RAO,
Mezzogiorno e rivoluzione: trent’anni di storiografia, in «Studi storici», 37, 1996, pp. 981-1041.
6 - B. CROCE, Lettere a Giovanni Gentile (1896-1924), a cura di A. CROCE, Introduzione di
Gennaro Sasso, Milano 1982, pp. 50-51. L’interesse e la fortuna dell’Albo in questione, La rivolu-
zione napoletana del 1799 illustrata con ritratti, vedute, autografi ed altri documenti figurativi e grafici
del tempo, a cura di B. CROCE, G. CECI, M. D’AYALA, S. DI GIACOMO, Napoli 1999, sono stati, in
effetti, tali da indurre a riprodurlo nel secondo centenario in ristampa anastatica presso Tullio
Pironti, Napoli 1799, per iniziativa del Lions Club e dell’Istituto italiano per gli studi filosofici,
che ne hanno proposto anche una traduzione in francese.
26 La Capitanata nel 1799 A.M. Rao
la vendita in proprietà privata dei feudi rientrati alla corona per estinzione della
linea di successione feudale dei possessori introdusse un primo importante fattore
di erosione in un sistema plurisecolare, che i baroni, e con essi molti giuristi, difen-
devano come cardine insopprimibile della monarchia 9.
La collaborazione tra i “filosofi” - nel senso pragmatico e utilitaristico che il
termine aveva assunto nel linguaggio illuministico e nelle lezioni genovesiane - e il
governo, tuttavia, si rivelò subito effimera e contraddittoria: le radicali proposte dei
primi nella loro attuazione pratica venivano svuotate dei contenuti più eversivi, e
adattate alla consueta politica del caso per caso propugnata dagli ambienti ammini-
strativi. Corruzione e lotte di corte - com’era accaduto in Francia - rendevano sem-
pre meno credibile il comportamento degli stessi sovrani Ferdinando e Maria Ca-
rolina, liberatisi della Spagna, ma solo per dipendere sempre più strettamente dagli
interessi politici ed economici dell’Austria e dell’Inghilterra. Ben lontani, inoltre,
essi erano dalle propensioni costituzionali che, sia pure senza effetti, aveva mostrato
Pietro Leopoldo di Toscana, proprio mentre le aspirazioni costituzionali a una
monarchia “temperata” dalle leggi costituivano lo sbocco del pensiero riformatore,
da Gaetano Filangieri a Melchiorre Delfico, Giuseppe Maria Galanti, Mario Paga-
no. La Scienza della legislazione di Gaetano Filangieri, morto nel 1788, indicava
ormai un modello di Stato del tutto nuovo, e delineava una società anch’essa rinno-
vata nei suoi fondamenti, aperta al merito e ai talenti, contro qualunque privilegio
di nascita. Esigenze di rinnovamento che la monarchia borbonica, invischiata nelle
difficoltà finanziarie e ancorata alla sua vocazione assolutistica, non poteva e non
voleva soddisfare, emergevano anche nelle province, dove i nuovi giornali letterari e
scientifici della capitale, le società agronomiche e le logge massoniche locali forni-
vano ora strumenti di aggregazione e di espressione agli uomini di cultura, ai gen-
tiluomini e ai proprietari terrieri aperti ad istanze di trasformazione economica.
Fu in questa temperie di realizzazione e crisi delle riforme che la rivoluzione
scoppiata in Francia agì da fattore di cristallizzazione, portando da un lato a chiarire
e precisare le posizioni in campo, dall’altro introducendo elementi inediti nella
lotta politica. Qualunque residua speranza di pacifica prosecuzione di una politica
riformatrice venne meno con l’ingresso del Regno di Napoli nella guerra antifran-
cese, nel 1793. E già alla fine del 1792, in occasione dell’arrivo a Napoli della flotta
guidata dal Latouche-Tréville, venuta a chiedere conto e riparazione dei torti diplo-
matici inflitti da John Acton alla Repubblica francese, si era avviata la costituzione
di società politiche segrete con intenti cospirativi. I contatti con gli agenti francesi e
la diffusione delle idee d’Oltralpe in tutta Italia portarono alla formazione di club
che, come ha dimostrato la recente ricostruzione di Giuseppe Giarrizzo 10, piegaro-
no la preesistente struttura associativa massonica alle nuove esigenze politiche. A
impegnarvisi, più che i “riformatori” (il cui fronte era peraltro sguarnito dalla mate-
riale scomparsa di molti di loro, da Filangieri a Palmieri), furono i loro più giovani
allievi, reclutati nell’ambito delle professioni liberali, giuridiche, mediche, nei ran-
ghi della nobiltà cadetta educata nei nuovi collegi militari, fra chierici destinati alla
carriera ecclesiastica dalle strategie familiari e dalla mancanza di altri sbocchi alle
loro competenze scientifiche, matematiche, botaniche o anche umanistiche, filolo-
giche, antiquarie. Questi, concretamente, gli “intellettuali” di cui tanto si parla
come protagonisti del 1799 napoletano, quando il lavoro intellettuale non era an-
cora pienamente riconosciuto in quanto tale né dava sostentamento, tranne per i
pochi professori dei collegi e dell’Università, ed era piuttosto al servizio “pubblico”
del foro, dello Stato e della Chiesa o al servizio privato di nobili e mecenati 11.
Tutt’altro che mera conseguenza “passiva” dell’arrivo delle armate francesi, la
repubblicanizzazione italiana fu il frutto anche di questa attività cospirativa, della
rete di relazioni intessuta da un capo all’altro della penisola con la Repubblica fran-
cese, delle pressioni esercitate dai patrioti per un intervento militare nel quale vede-
vano realisticamente l’unico strumento per rovesciare gli antichi governi, tentando
al tempo stesso di porre le condizioni perché la “guerra di liberazione” non portasse
a una pura e semplice conquista. E tutt’altro che realizzazione armata dall’esterno
del sogno idealistico di un idilliaco cenacolo platonico di filosofi la Repubblica
napoletana fu il frutto di un’attività cospirativa intensa e frenetica, ben presto con-
giunta all’aperta attività di propaganda condotta all’interno delle repubbliche crea-
te nel resto d’Italia.
I fatti sono noti, grazie ai risalenti accurati studi di Nicola Nicolini e Attilio
Simioni 12: la scoperta e la repressione della congiura del 1794, la nuova ondata
repressiva del 1795, che arrivò a investire perfino il capo della Vicaria, organo depu-
tato al controllo della polizia della capitale, Luigi de’ Medici, i processi, gli arresti, la
16 - Non c’è che da rinviare, in proposito, alle ricerche su Le insorgenze popolari nell’Italia
rivoluzionaria e napoleonica, pubblicate su «Studi storici», 39, 1998, n. 2, ed ora al volume Folle
controrivoluzionarie. Le insorgenze popolari nell’Italia giacobina e napoleonica, a cura di A. M. RAO,
Roma 1999.
17 - Si vedano i bilanci tracciati da A.M. RAO, La Repubblica napoletana del 1799, in Storia del
Mezzogiorno, diretta da G. GALASSO e R. ROMEO, vol. IV, t. II, Roma 1986, ora in A. M. RAO, P.
VILLANI, Napoli 1799-1815. Dalla Repubblica alla monarchia amministrativa, Napoli 1995, in
particolare pp. 77 sgg.; J. DAVIS, Les sanfédistes dans le Royaume de Naples (1799): Guerre sociale ou
guerre civile?, in Les résistances à la Révolution, Actes du Colloque de Rennes (17-21 septembre
1985) recueillis et présentés par F. Lebrun et R. Dupuy, Paris 1987, pp. 310-320, ID., The ‘Santa-
fede’ and the crisis of the ancien régime in southern Italy, in Society and politics in the Age of the
Risorgimento. Essays in honour of Denis Mack Smith, a cura di J. A. DAVIS e P. GINSBORG, Cambridge
1992, pp. 1-25; ID., Rivolte popolari e controrivoluzione nel Mezzogiorno continentale, in Folle con-
trorivoluzionarie, cit., pp. 349-368. Si vedano inoltre F. M. LO FARO, Terra di Bari tra rivoluzione e
controrivoluzione, ivi, pp. 325-348 e, sulla cosiddetta «anarchia popolare» a Napoli, A. M. RAO,
Dal furore della reazione alle guerre napoleoniche: le Memorie di Giuseppe De Lorenzo, Introduzione
a G. De Lorenzo, Memorie, a cura di P. RUSSO, Napoli 1999, pp. VII-XLIX.
32 La Capitanata nel 1799 A.M. Rao
sogni di emancipazione universale dall’altro. Di qui l’attenzione con cui le sue vi-
cende furono seguite sulla stampa francese, che contribuì in larga parte alla nascita
del mito della Repubblica dei filosofi. Il caso napoletano divenne quasi il simbolo
della difficile integrazione popolare nelle nuove pratiche della democrazia e del dif-
ficile compimento della rivoluzione, identificato con la realizzazione dei suoi obiet-
tivi costituzionali: difficoltà che la stessa Francia del 1799 stava sperimentando 18.
Momento chiave, dunque, non solo del triennio italiano 1796-1799 ma del
decennio rivoluzionario 1789-1799 nel suo insieme, la Repubblica costituì una
frattura decisiva nella storia del Regno di Napoli. Anche qui fece irruzione la poli-
tica moderna inaugurata dalla rivoluzione francese, con tutto il corredo delle sue
pratiche di libero confronto ed espressione delle opinioni: società politiche, stampa
periodica, dibattito assembleare 19. E a Napoli come altrove i repubblicani diedero
prova di una considerazione tutt’altro che astratta dei problemi della costruzione
del consenso e del radicamento delle nuove idee e pratiche democratiche 20. La
vigorosa attività legislativa dei mesi repubblicani mise fine all’antico regime: aboli-
zione dei titoli nobiliari e della feudalità, riforma degli apparati amministrativi, in
particolare giudiziari, riorganizzazione del territorio provinciale e creazione di nuo-
vi organi di governo municipali.
Molto, nelle precarie circostanze politiche e finanziarie, rimase sulla carta e avrebbe
trovato realizzazione solo nel cosiddetto decennio 1806-1815, al ritorno dei france-
si. Ma l’esperienza politica del 1799 ebbe un ruolo fondamentale proprio per la
formazione di un nuovo ceto dirigente, che sotto il governo di Giuseppe Bonaparte
e Gioacchino Murat contribuì alla radicale trasformazione dello Stato napoletano,
una trasformazione che la nuova restaurazione borbonica dové almeno in parte far
propria. Fu decisiva nell’imporre al centro della riflessione il problema del governo
delle province e della loro integrazione nella nuova monarchia amministrativa, pro-
18 - Si vedano in proposito A. M. RAO, Esuli, cit.; ID., La Repubblica Napoletana del 1799 nella
stampa periodica francese (già in «La Provincia di Napoli», n. 6, dicembre 1990), Napoli 1999.
19 - Sulla stampa, cfr. M. BATTAGLINI, Napoli 1799. I Giornali giacobini, Roma 1988. Sul
problema dell’educazione repubblicana e sulle società politiche, cfr. A. M. RAO, L’Istituto Naziona-
le della Repubblica napoletana, in «Mélanges de l’École Française de Rome, Italie et Méditerranée»,
tome 108, 1996, 2, pp. 765-798; ID., Popular societies in the Neapolitan Republic of 1799, in
«Journal of Modern Italian Studies», 4, 1999, 3, pp. 358-369.
20 - Si veda ora in proposito L. GUERCI, Istruire nelle verità repubblicane. La letteratura politica
per il popolo nell’Italia in rivoluzione (1796-1799), Bologna 1999. Si veda inoltre i Catechismi
repubblicani. Napoli 1799, a cura di P. MATARAZZO, Presentazione di E. CHIOSI, Napoli 1999.
A.M. Rao La Repubblica napoletana del 1799 33
blema che non a caso occupò un ruolo fondamentale già nelle prime memorie
redatte a caldo dagli esuli meridionali, da Vincenzo Cuoco a Amedeo Ricciardi 21.
E fu decisiva, infine, per la maturazione di esigenze costituzionali che, rimaste di-
sattese nel 1799, quando il progetto di costituzione elaborato dall’apposito comita-
to e in particolare da Mario Pagano non ebbe neanche il tempo di essere approva-
to 22, nuovamente disattese nel decennio, che non vide mai integralmente applicato
lo statuto di Baiona di Giuseppe Bonaparte, avrebbero ispirato i movimenti demo-
cratici e liberali dell’800.
21 - Il testo del Ricciardi, già pubblicato da B. MARESCA, Memoria sugli avvenimenti di Napoli
nell’anno 1799 scritta da Amedeo Ricciardi napoletano, in «Archivio storico per le province napole-
tane», XIII, 1888, pp. 36-94, è stato recentemente ristampato a cura di Silvana Musella per l’edi-
tore Franco Di Mauro, Napoli 1994.
22 - Del Progetto di costituzione della Repubblica Napolitana presentato al Governo Provvisorio
dal Comitato di Legislazione, già pubblicato in M. BATTAGLINI, Mario Pagano e il progetto di costitu-
zione della Repubblica napoletana, Roma, 1994, si ha anche un’edizione curata da Arturo Fratta per
il Comune di Napoli e l’Università degli studi di Napoli “Federico II”, Napoli 1997.
35
Espongo in questa sede, con qualche rischio di disorganicità, una serie di rifles-
sioni sui fatti del ’99 in Capitanata, visti in un’ottica di comparazione con quanto
allora avvenne in Terra di Bari, che successivamente potranno essere approfondite e
dotate di un più adeguato supporto documentario.
1 - . Cfr. S. RUSSO, Questioni di confine: la Capitanata tra Sette e Ottocento, in Storia d’Italia. Le
regioni dall’Unità ad oggi. La Puglia, a cura di L. MASELLA e B. SALVEMINI, Torino 1989, pp. 245-
273; Id., Grano, pascolo e bosco in Capitanata tra Sette e Ottocento, Bari 1990. Si veda pure A. LEPRE,
Storia del Mezzogiorno d’Italia, 2 voll., Napoli 1986, vol. II, p. 182 e sgg.
2 - M. FRACCACRETA, La passione di Sansevero del 1799, Foggia 1929, p. 29. Sull’argomento e,
in generale, sugli eventi che investirono la provincia, cfr. S. CAPONE, I racconti della rivoluzione.
Documenti per una storia del 1799 in Capitanata, Foggia 1999.
36 La Capitanata nel 1799 A. Spagnoletti
periodo di stabilità repubblicana durò più a lungo, mentre in Terra di Bari le situa-
zioni incerte si protrassero nel tempo anche a causa dell’attività delle bande realiste
comandate da Giovan Battista De Cesari nel sud est della provincia.
Se in Terra di Bari la democratizzazione delle vecchie università aveva fatto emer-
gere tre centri importanti (Bari, Barletta, Altamura) nessuno dei quali riuscì però ad
imprimere, per la peculiare struttura urbana della provincia 3, una propria decisiva
impronta al movimento repubblicano, in Capitanata Foggia assurse subito al ruolo
di centro di coordinamento delle municipalità democratiche divenendo il capoluo-
go del dipartimento dell’Ofanto. La posizione di rilievo che Foggia rivestì in tale
occasione era sostenuta non solo dalla presenza in città di contingenti militari fran-
cesi, ma anche dalle dimensioni di massa che assunse il movimento democratico e
che consentì alla municipalità di arruolare per la propria difesa migliaia di uomini.
A questa capacità elevò un tributo Vincenzo Cuoco: la città di Foggia - egli scriveva
- era piena di democratici, la sua guardia nazionale ascendeva a 2000 persone e la
metteva in condizione di “trarsi dietro la provincia intera” 4. Le osservazioni dello
scrittore molisano erano confermate, se pur con le prevedibili esagerazioni, da Il
Monitore napolitano che ascriveva a 6000 il numero dei cittadini mobilitati e, da
altro versante e alcuni decenni più tardi, da Gennaro Marulli, figlio del conte Troia-
no, che riscontrava la presenza a Foggia di numerosi repubblicani di grande ascen-
denza anche se attribuiva questa circostanza al timore che nella città si nutriva per i
francesi più che all’amore per la repubblica 5.
3 - Sull’articolazione urbana della provincia, cfr. B. SALVEMINI, Prima della Puglia. Terra di Bari
e il sistema regionale in età moderna, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità ad oggi. La Puglia, cit.,
pp. 3-218, specie le pp. 109-149.
4 - V. CUOCO, Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, a cura di P. VILLANI, Roma-
Bari 1976, p. 181.
5 - P. DRUSCO, Anarchia popolare di Napoli dal 21 dicembre 1798 al 23 gennaio 1799 ed i
Monitori napoletani del 1799, a cura di M. ASCELLA, Napoli 1884, p. 104; G. MARULLI, Ragguagli
storici del Regno delle Due Sicilie dall’epoca della francese rivolta fino al 1815, 2 voll., Jaccarino,
Napoli 1844, vol. I, p. 328.
6 - Ludovico Freda fu uno dei marchesi creati da Ferdinando IV nel corso del suo soggiorno
foggiano del 1797. Sul comportamento delle famiglie marchionali foggiane nelle vicende del 1799,
cfr. R. COLAPIETRA, Elite amministrativa e ceti dirigenti fra Seicento e Settecento, in Storia di Foggia
nell’età moderna, a cura di S. RUSSO, Bari 1992, pp. 103-118, pp. 117-118.
A. Spagnoletti Capitanata e Terra di Bari 37
Come nella provincia barese, le vicende del ’99 evidenziano nella Daunia una
forte polarizzazione sociale, più accentuata ovviamente nei centri medio-piccoli
rispetto a quelli più popolosi. E in questa provincia, come in Terra di Bari, la pola-
rizzazione portò a conflitti sanguinosi e ad efferati episodi di violenza (a Troia, a San
Severo, a Deliceto, a Torremaggiore, a Candela, ad Ascoli) 8 soprattutto nei con-
fronti di coloro che sembravano essere più contigui alle istanze repubblicane.
Ho l’impressione, tuttavia, che nella provincia di Lucera si registrasse un più
debole tasso di mediazione politica e un più frequente ricorso a forme di violenza
che erano supportate da improvvisati capipopolo o dalle comitive di briganti che
avevano fatto di molte contrade della provincia la loro terra di elezione.
L’uso più intenso della violenza e la difficoltà ad incanalare il lealismo monar-
chico o l’adesione alla repubblica verso forme più propriamente politiche o l’inca-
chia” 12. A Monte Sant’Angelo il contrasto fu tra il dottor Filippo D’Errico, repub-
blicano, coadiuvato dai suoi sostenitori e Lorenzo Notarangelo e Antonio Cravuti 13.
Quasi sempre assenti come gruppo sociale compatto, i galantuomini di paese
furono immediatamente visti come giacobini e, quindi, come i nemici da abbattere.
A Castelnuovo furono arrestati due insorgenti, fratelli e uomini di campagna
che avevano suscitato nel paese una controrivoluzione e fatto unione con altri citta-
dini per massacrare e saccheggiare 14.
La posizione dei “giacobini” diventava subito insostenibile soprattutto se essi
avevano avuto l’imprudenza di palesare pubblicamente i propri reali sentimenti e di
gioire troppo della fuga di Ferdinando IV. Non avrebbe certo sciolto il proprio
codino nella pubblica piazza e affisso proclami il medico Vincenzo Petruzzi di Troia
se avesse saputo che l’albero nella sua città sarebbe stato subito divelto e che egli
sarebbe diventato vittima della furia popolare 15. La salvezza per alcuni dei galan-
tuomini fu nel porsi alla testa, ma cavalcando istanze terroristiche, delle masse con-
trorivoluzionarie, il che consentiva loro di eliminare i propri rivali nella gestione del
potere locale e delle risorse comunitarie.
Alla contestazione del loro potere e della loro influenza sulla società non sfuggi-
rono - come in Terra di Bari - i vescovi: quello di San Severo fu accusato di giacobi-
nismo perché predicava la pace e la resa ai francesi e quindi arrestato 16, quello di
Ascoli lanciò esortazioni inascoltate alla pacificazione, i presuli di Troia e di Manfre-
donia (il primo accusato di aver favorito l’innalzamento dell’albero della libertà) 17
furono delegittimati in maniera violenta 18. Probabilmente in alcuni di questi casi
agirono logiche fazionarie promosse da membri del clero locale che testimoniano
ancora una volta della frantumazione all’interno di gruppi che avevano una certa
possibilità di influire sulle vicende delle comunità 19.
Dalle poche cronache, come anche dalle testimonianze rese da coloro che furo-
no incarcerati perché repubblicani o perché autori di atti di violenza emerge quello
19 - A Troia si lamentava lo stato deplorevole in cui versava quella chiesa per l’assenza del
vescovo e per gli effetti dell’anarchia. Il vicario pro tempore aveva subito ricorsi da parte di quello
precedente e si difese affermando che era stato sempre attaccato al re, non aveva mai esercitato
cariche repubblicane. Per questo motivo si era cercato di allontanarlo dall’incarico accusandolo di
non possedere qualità patriottiche. ASF, Dogana, serie V, b. 40, fasc. 4389, “Carteggio dell’Ill.mo
e Rev.mo Mons. Ludovici Visitatore Generale”, ff. 4-5.
20 - “Notizie sul processo per i massacri di Ascoli Satriano istruito dalla r. Udienza di Trani per
speciale delegazione”, in G. BELTRANI, Nelle province del Mezzogiorno. Come deve ricostruirsi la loro
vita nel 1799, Trani 1912, pp. 167-169.
21 - V. CUOCO, Saggio storico, cit., p. 148.
22 - Ibid., p. 150.
A. Spagnoletti Capitanata e Terra di Bari 41
che potremo definire un “governo per vendetta” secondo lo schema che Michael
Broers ha fornito per inquadrare le vicende politiche delle comunità piemontesi tra
1794 e 1821 23.
Non è che da questa forma di governo fossero immuni le comunità di Terra di
Bari: essa si sviluppò nelle località della provincia che presentavano le stesse caratte-
ristiche di quelle che si riscontravano nella Daunia (isolamento, esiguità e frantu-
mazione dei gruppi dirigenti) o che erano state testimoni delle più spregiudicate
ascese sociali di uomini che avevano fatto poi la scelta di campo repubblicana (si
pensi agli Albanese di Noci) o che agli occhi delle masse si palesavano come “giaco-
bini”; ma in Capitanata il governo per vendetta assunse proporzioni veramente
impressionanti e si trasformò in una resa dei conti che si protrasse anche al di là del
giugno 1799 fra frazioni dei gruppi dirigenti o fra questi e le masse popolari 24.
Le testimonianze rese dal carcere agli uomini del visitatore Ludovici o del vica-
rio Troiano Marulli ci presentano personaggi arrestati per delazione dei propri ne-
mici personali sotto l’accusa di essere stati municipalisti. L’indulto regio del 1801
riportò in circolazione non solo gli uomini rei di aver parteggiato per la repubblica,
ma anche coloro che si erano macchiati dei più atroci delitti. Ebbene, questi ultimi
ben presto ritornarono più spavaldi di prima nelle terre di origine, pronti a consu-
mare le proprie vendette, come avvenne ad Ascoli ove la loro tracotanza faceva il
paio con il dolore ancora vivo dei parenti dei repubblicani massacrati il 2 maggio 25.
Ad essi si aggiungevano - non meno pericolosi - coloro che, come Filippo Basile
ancora nel 1806 governatore di Manfredonia, si erano arricchiti inquisendo pre-
sunti rei di stato 26 o il sacerdote di Accadia Domenico Vassalli che, in cambio di
cospicue somme di denaro, si offriva di aiutare coloro che erano perseguitati da
gente che agiva per private vendette 27.
28 - J.A. DAVIS, Rivolte popolari e controrivoluzione nel Mezzogiorno continentale, in “Studi stori-
ci”, IXL, 1998, n. 2, pp. 603-622, specie le pp. 615-617, ora in Folle controrivoluzionarie. Le insor-
genze popolari nell’Italia giacobina e napoleonica, a cura di A. M. RAO, Roma 1999, pp. 349-368.
29 - G. MARULLI, Ragguagli storici del Regno delle Due Sicilie, cit., pp. 392-393.
30 - B. MARESCA, Il cavaliere Antonio Micheroux nella reazione napoletana del 1799, in “Archi-
vio storico per le provincie napoletane” XVII, 1893, pp. 494-526; XIX, 1894, pp. 97-139, 251-
A. Spagnoletti Capitanata e Terra di Bari 43
299, 482-531, 659-691, p. 125. Il riferimento è alle modalità della realizzazione di Cerignola da
parte degli abitanti di Canosa. A Torremaggiore le truppe comandate dal De Cesari furono fatte
segno ad alcuni colpi di fucile per cui si constatò che anche nelle piccole terre vi erano dei “malcon-
tenti”. Dal “Diario storico” di V. Durante pubblicato da T. Pedio in Giacobini e sanfedisti in Italia
meridionale, 2 voll., Bari 1972, vol. I, p. 369.
31 - V. CUOCO, Saggio storico, cit., pp. 183-184.
32 - B. MARESCA, Il cavaliere Antonio Micheroux, cit., p. 254.
33 - G. MARULLI, Ragguagli storici del Regno delle Due Sicilie, cit., p. 390.
34 - SASL, Fondo notarile, s. II, not. Angelo Cicella, prot. 3281, 27 maggio 1799.
44 La Capitanata nel 1799 A. Spagnoletti
crare i patrioti detenuti “ma le misure che innanzi erano state prese, un tal colpo
mandarono a vuoto, e fu Foggia così salvata da un grande disastro che la sovrastava” 35.
35 - G. MARULLI, Ragguagli storici del Regno delle Due Sicilie, cit., p. 391.
36 - Dopo il 1799 il timore di una ripresa dell’anarchia popolare indusse le autorità a ritornare
su posizioni più legalitarie. A. LEPRE, Storia del Mezzogiorno nel Risorgimento, Roma 1974, p. 66 e
sgg.
37 - G. A. e E. TEDESCHI, Ascoli Satriano dal 1799 al 1829, cit., p. 39. M. CAFFIERO, Perdono
per i giacobini, severità per gli insorgenti. La prima restaurazione pontificia, in “Studi storici”, XXXIX,
1998, pp. 569-602 (ora in Folle controrivoluzionarie, cit., pp. 291-324).
38 - Gli esempi sono tratti da ASF, Dogana, serie V, b. 38, fasc. 4375, “Per l’ecc.mo Sig. Duca
d’Ascoli vicario generale di S.M. nelle province di Matera, Lucera, Trani, Lecce” (cc.nn., luglio
1800) e b. 40, fasc. 4389, cit., cc.nn., 9, 11 e 24 luglio 1800.
A. Spagnoletti Capitanata e Terra di Bari 45
1817 e poi membro del parlamento del 1820 39, o Bernardino Vischi o Filippo
D’Errico, tutti di Monte Sant’Angelo. Anche in questo caso vi furono coloro che
non riuscivano a capire perché gli ex municipalisti fossero rimasti al proprio posto
come Vincenzo Cruciani di Cagnano, ufficiale di Dogana, che aveva perso la pro-
pria carica perché “municipe” e subito dopo era stato riassunto nell’esercizio delle
sue funzioni 40 o come Domenico Sarni di Ascoli, reo di stato, che continuava ad
esercitare impieghi regi 41. Sicché mi sembra che vedesse bene Giambattista Ric-
ciardi di Sepino, condannato a morte, che in carcere catechizzava i detenuti comu-
ni e “contorce[va]” la loro mente inducendoli a dichiararsi giacobini di fronte ai
giudici, visto che quel termine veniva “stimato col carattere di galantuomo...[...]
essendo stato un partito adottato da’ migliori dell’Europa” 42.
Mi rendo conto, al di là dei pochi esempi addotti e dei pochi documenti finora
consultati, che il discorso sulla collocazione politica e sul destino degli uomini del
’99 in Capitanata, e più in generale nelle altre province del Mezzogiorno, è molto
complesso e non è sempre inquadrabile entro lo schema che ho proposto. Sono
necessari - a mio parere - nuovi e più approfonditi studi sui gruppi dirigenti locali,
sulla loro formazione, sui loro rapporti con le istituzioni municipali e con le forme
del potere politico che si succedettero a Napoli tra 1799 e 1815. Solo studiando
questi uomini e le loro carriere potremo rispondere alle domande che Guglielmo
Pepe, dal suo esilio londinese, poneva al re Francesco I appena asceso al trono:
Infatti, perché questo popolo nel 1799, guidato da un cardinale, ed
insignito della Croce, metteva la Capitale e le città nelle provincie a
sacco e a fuoco, perché massacrava senza aver riguardo ad età e a sesso?
E perché nel 1820 questo stesso popolo dapertutto in arme si condusse
con inaudita saviezza, non isparse una sola goccia di sangue, non com-
mise né nella Capitale, né nelle provincie la più leggera offesa alla pro-
prietà? 43
Il Pepe, in realtà, una risposta la dava ai suoi quesiti: erano stati i “lumi del secolo
nelle nostre contrade penetrati [...] fin nell’ultima classe del popolo” 44 a tener lon-
tano le masse dalla violenza, ma credo che le ragioni di questo comportamento
dovessero risiedere nel processo che, attraverso la prova drammatica del 1799 e la
dura esperienza del Decennio francese, aveva portato alla formazione di una classe
dirigente più coesa, più compatta e più capace di segnare con il proprio protagoni-
smo l’intera società.
44 - Ivi.
47
La Dogana di Foggia
nel Trimestre repubblicano
Saverio Russo
1 - ASF, Dogana, I s., v. 12. Dopo il “buco” di circa un anno e mezzo, la raccolta riprende con
il provvedimento di sospensione dall’incarico di avvocato dei poveri di Domenico Maria Cimaglia,
“dopo presa informazione dal visitatore generale Ludovisi” (c. 389).
2 - M. BATTAGLINI, Atti, leggi, proclami ed altre carte della Repubblica napoletana, 1798-1799,
Chiaravalle centrale 1983, v. II, p. 1516.
3 - Si vedano in particolare nella prima serie, la b. 556, fasc. 16324 (Volume del denaro che
settimanalmente si rimette dal percettore doganale nella Real Tesoreria Generale) e la b. 711, nella
quinta il registro 3852 (Libro di inviti al Tribunale della Dogana dal Governo repubblicano attinenti
lo stesso) e la b. 86.
48 La Capitanata nel 1799 S. Russo
secondo altre il 7, nella piazza antistante Porta Reale 4, mentre il Tribunale della
Dogana inalbera la bandiera tricolore repubblicana, con il blu, il rosso e il giallo. Il
governatore della Dogana in quel momento è Giuseppe Gargani, uditori sono Mi-
chele Accinni e Giovanni De Gemmis, avvocato dell’Erario doganale è Pasquale
dell’Acqua e tesoriere Pasquale Ferrucci 5. Resteranno tutti al loro posto, anche in
ossequio al decreto dell’11 piovoso (30 gennaio) che dispone che ”tutte le autorità
e tutti i magistrati che esistevano sotto la monarchia distrutta, resteranno al loro
posto e continueranno le loro funzioni finché sarà altrimenti ordinato”. Si invita,
inoltre, “il Presidente di Foggia […] a far continuare le autorità costituite dall’anti-
co Regime ad amministrare la giustizia tra cittadini”. Si precisa, infine, un paio di
giorni dopo, che “i tesorieri, amministratori ed incaricati alla percezione dei pub-
blici pesi, il cui stato provvisionale rimane sull’antico piede, continueranno nel-
l’esercizio delle loro cariche” 6. Deliberazioni, tutte e tre, segno non già di moderatismo
continuista o di acquiescenza a logiche trasformiste, ma di sano realismo, soprattut-
to se si considera la complessità di macchine burocratiche come la Dogana e il suo
Tribunale, istituzione estremamente importante, non solo per le sue funzioni eco-
nomiche e giurisdizionali, ma anche per il rilevante interesse fiscale che riveste (da
Foggia arrivavano nelle casse centrali dello Stato alcune centinaia di migliaia di
ducati nell’arco di poche settimane, mentre il “carico” del ’99 è stimato in oltre
cinquecentomila ducati).
I bilanci della Dogana - che ora dipende dal Comitato delle Finanze - sono
caratterizzati da una evidente continuità di gestione. Significativamente il primo
rendiconto viene reso per un mese e mezzo a cavallo della “democratizzazione”, dal
20 gennaio al 2 marzo. Nelle prime settimane, quando, dal 23 gennaio, a Napoli
opera già il governo provvisorio, mentre Foggia è ancora borbonica, si pagano - si
legge nel rendiconto finale - “al cittadino Domenico De Luca 1.712 ducati per le
vacche e gli agnelli forniti all’ex Re”, così come si erogano 1800 ducati al “cittadino”
Donadio per le fabbriche che si stanno facendo nella “posta” del principe eredita-
4 - S. CAPONE, I racconti della rivoluzione. Documenti per una storia del 1799 in Capitanata,
Foggia 1999, p. 133. A questo testo si rinvia per il racconto degli avvenimenti foggiani, mentre
sull’attività del governo repubblicano cfr. A.M. RAO, La repubblica napoletana del 1799, in A.M.
RAO - P. VILLANI, Napoli 1799-1815. Dalla repubblica alla monarchi amministrativa, Napoli 1995.
5 - ASF, Dogana, s. I, b. 556, fasc. 16324.
6 - Ivi, s. V, reg. 3852.
S. Russo La Dogana di Foggia 49
rio 7 e si rimborsano le spese sostenute per l’affitto dei letti per i servi al seguito di
Adelaide e Vittoria, zie di Luigi XVI, che transitano per Foggia, dirette a Manfredo-
nia dove cercano un imbarco per Trieste. Per il resto si pagano gli stipendi ai funzio-
nari, ai subalterni, agli algozini e ai soldati, le spese di pane, cibarie e talvolta vestiario
per i carcerati poveri, nonché la numerosa scorta del procaccio dal ponte di Bovino
fino a Manfredonia. I bilanci danno conto, inoltre, della difficoltà crescente di cam-
biare fedi di credito, per le quali si arriva a pagare un aggio del 55%, e del faticoso
avvio dei Dipartimenti, per le cui spese giornaliere e per il “soccorso agli ufficiali
impiegati nei burò”, si erogano 1000 ducati e, verso la fine del Trimestre, si prestano
quindici uomini della squadra doganale per formare la gendarmeria dipartimentale 8.
Nello stesso rendiconto dell’”esatto e del pagato” si documentano anche le spese
(38 ducati) di cera veneziana per l’illuminazione per tre giorni, dal sette al nove
febbraio, del palazzo della Dogana “per essersi democratizzato questo pubblico di
Foggia” e, in uno successivo, si annota la piccola spesa per la pittura dell’effigie della
“Libertà napolitana”, realizzata da Domenico Caso sul baraccone della Fiera di
maggio, regolarmente effettuata, sia pure con attività ridotta rispetto al consueto 9.
E più tardi, tra la fine di maggio e giugno (Foggia ritorna borbonica il 21 maggio),
alle risorse della Dogana si attinge per le più fastose celebrazioni controrivoluziona-
rie, dall’illuminazione con cera “avanti li regali ritratti e nel prospetto di questo
Regale Palazzo”, alla costruzione dell’orchestra su cui i musici si esibiscono in occa-
sione dell’”acclamazione del popolo fatta al nostro legittimo sovrano”, alla nuova
illuminazione per l’onomastico del “nostro amabilissimo sovrano”, il 30 maggio,
alle spese per musica, messa solenne, Te deum nella chiesa di Gesù e Maria, dove si
svolgono le celebrazioni organizzate dal Tribunale doganale.
La Dogana provvederà all’acquisto di altra cera in occasione della “fausta notizia
di essersi presa Napoli”, alle spese per “fornacelli” e “olio nei fanali” nel giorno
dell’arrivo a Foggia del ministro plenipotenziario Antonio Micheroux, agli oneri
7 - Si discuterà nelle prime settimane della Repubblica della vendita di tale azienda armentizia,
frutto di un dono fatto dai locati al principe ereditario Francesco, in occasione delle sue nozze
celebrate a Foggia nel 1797, ma si rinvierà la decisione anche sulla scorta di un parere dell’Inten-
dente della masseria, l’armentario abruzzese Carlo Cappelli, che sostiene non essere opportuna
una vendita in inverno di un bene valutato 30 mila ducati, in un contesto in cui i potenziali
compratori si sarebbero tenuti lontani “per non essere sicuri della compra” a causa dell’instabilità
politica (Dogana, s. I, b. 711, fasc. 17302, lettera del 18 febbraio).
8 - Ivi, s. V, b. 34, fasc. 4296, 5 maggio 1799.
9 - Sulla fiera nel ’99 si rinvia a R. COLAPIETRA - A. VITULLI, Foggia mercantile e la sua fiera,
Foggia 1989, pp. 190-91.
50 La Capitanata nel 1799 S. Russo
per far dipingere “imprese”, corone e “collane regali” sopra il portone del Palazzo
doganale, nel salone, nel baraccone in Fiera, per ribadire con prontezza il ritorno
all’ordine, che, peraltro, a Foggia sarà piuttosto tranquillo, come tranquilla era stata
la democratizzazione, per il saldo controllo della situazione da parte del moderati-
smo dell’élite cittadina 10. Intanto tutti i “reali ritratti” tornano al loro posto 11. Non
saranno le uniche feste: ci saranno, qualche giorno dopo, quelle organizzate dagli
amministratori della città, con messa e Te deum nella Collegiata di Santa Maria,
otto giorni di festa con archi trionfali 12, su cui è affissa un’iscrizione composta dal
presidente della Dogana Gargani, ben noto verseggiatore d’occasione 13. Nell’ulti-
mo giorno un fuoco d’artificio, pagato da cittadini benestanti, chiuderà le fastose
manifestazioni. L’istituzione doganale non costituirà solo la cassa per rendere possi-
bile la propaganda realista, ma avrà anche un ruolo importante per il controllo del
“buon ordine della polizia e tranquillità pubblica” della città di Foggia 14.
La Dogana, “il membro più importante del tesoro reale nel Regno”, aveva forni-
to in età spagnola un decimo circa delle entrate nette dello Stato, peraltro raccolte
in poche settimane, in primavera 15. Non diminuisce di molto il suo rilievo fiscale
10 - ASF, Dogana, s. I, b. 556, fasc. 16324, Esatto e pagato in questa R. Percettoria dal 19 maggio
al 13 luglio 1799.
11 - Cfr. la dichiarazione del portiere del Tribunale della Dogana, Gaetano Novi Chavarria,
che, durante le indagini sui comportamenti dei funzionari della Dogana nel Trimestre, ricorda di
aver conservato in una soffitta i ritratti che era stato costretto a rimuovere e di averli portati in giro
per la città “pieno di giubilo” il 21 maggio, prima di esporli davanti al portone del palazzo doganale
(Ivi, s. V, b. 40, fasc. 4389).
12 - Ivi, s. V, b. 86, fasc. 5513, c. 4r, 19 giugno 1799. Devo la segnalazione di questo docu-
mento, pubblicato in appendice alla tesi di cui sono stato relatore, alla dott.ssa Monica Siciliano.
Nel documento - una lettera a Francesco Ruffo – Gargani, temendo l’epurazione, chiede compas-
sione per le sue “debolezze”. Nominato nel ’95, confermato per altri due anni nel novembre 1797
(Ivi, s. I, b. 708), sarà rimosso il 12 agosto del ’99 (s. I, b. 711, fasc, 17302 e s. V, b. 34, fasc. 4296),
pochi mesi prima della scadenza dell’incarico.
13 - Cfr. un precedente in A. VITULLI, Un incauto sonetto di Giuseppe Gargani, governatore della
Dogana di Foggia contro Napoleone, in “Rassegna di studi dauni”, a. III, n. 1-2, genn.-giugno 1976,
pp. 99-101
14 - Cfr, il bando, firmato da Giovanni De Gemmis, uditore della Dogana e suddelegato di
Polizia in cui, dopo aver dato notizia dei “segni di giubilo” manifestati dalla popolazione alla
notizia della resa di Napoli, segnala “alcuni sconcerti” ad opera di pochi “mal’intenzionati”. Nel
bando, mentre si dà libero campo alle varie forme di festeggiamento, si vieta “espressamente di
sparare delle arme da fuoco di qualunque sorta esse siano, pistoni, schioppi” (Dogana, s. V, b. 86,
fasc. 5558, bando del 17 giugno 1799).
15 - Cfr, J. A. MARINO, L’economia pastorale nel Regno di Napoli, Napoli 1992, p. 271.
S. Russo La Dogana di Foggia 51
16 - Macedonio aveva chiesto che i pagamenti si facessero tutti in contanti “essendo indubita-
to che le vendite dei grani e delle merci si faceva dai locati tutta in moneta sonante”, ma si accon-
tenta, “per le calamitose circostanze”, di un pagamento metà in contanti, metà in “carte di banco”
(ASF, Dogana, s. I, b. 711, fasc. 17302, 5 fiorile). Dopo il 10 fiorile, per la scarsezza di circolante,
i locati denunciano di essere costretti a pagare un aggio elevato per cambiare le fedi di credito.
Peraltro, per le insorgenze in corso lungo il cammino del servizio postale, si interrompe l’invio di
denaro a Napoli. Si ritorna così ad una modalità di pagamento mista: 20% in contanti, il resto in
fedi di credito (Ivi, I s., b. 556, fasc. 16324, lettera a Macedonio del 16 fiorile).
17 - CAPONE, op. cit., pp. 89 e 95. Sull’orientamento tendenzialmente filorealista del mondo
pastorale abruzzese “che dal tradizionalismo monarchico si sente più garantit[o] che non dalle
novità giacobine”, cfr. R. COLAPIETRA, Abruzzo citeriore, Abruzzo ulteriore, Molise, in Storia del
Mezzogiorno, vol. VI, Le Province del Mezzogiorno, Roma 1986, p. 174.
18 - L’abolizione di tutte le giurisdizioni particolari è già nel “Piano provvisorio per i tribunali dei
Dipartimenti ed i giudici dei cantoni”, elaborato da Melchiorre Delfico (A. M. RAO, op. cit., p. 37).
19 - ASF, Dogana, s. V, reg. 3848, 20 germile (9 aprile).
20 - Si tratta di Andrea Longo, di Bisaccia, detenuto nelle carceri doganali con “ferri al piede”
e “catene al collo” (Ivi, reg. 3852, 26 ventoso, 16 marzo).
52 La Capitanata nel 1799 S. Russo
geografia dei poteri dello Stato sul territorio. La potente istituzione foggiana aveva
sempre avuto grandi competenze al riguardo, tanto da fare ombra all’Udienza di
Lucera sia dal punto di vista amministrativo, che da quello giudiziario. “Questo
Tribunale - precisa il Governatore, scrivendo a Lauberg, presidente del Governo
provvisorio - non ha la giurisdizione territoriale, ma bensì personale sui locati […]
e altri che godono del foro doganale”. Importante è tuttavia la rete di 400 “officiali”
su cui può contare la Dogana in un territorio molto più vasto di un Dipartimento
o di una Udienza. Inoltre, la presenza di un piccolo drappello di uomini in arme e
la disponibilità di risorse finanziarie cospicue consentono alla Dogana - al di là delle
sue funzioni giudiziarie - di poter intervenire rapidamente, su delega delle strutture
del governo napoletano, anche in materie lontane dalle competenze istituzionali.
La confusa definizione territoriale dei Dipartimenti - Foggia con decreto del 21
piovoso, 9 febbraio, è capoluogo di quello dell’Ofanto, ma il provvedimento sarà
modificato il 25 aprile, con il ripristino dei confini della vecchia Udienza, con
capoluogo Lucera, ma con denominazione mutata di nuovo in Dipartimento del
Gargano 21 - non mancherà, inoltre, di accompagnarsi a conflitti di competenza: il
Governo provvisorio, sollecitato da una rimostranza del Tribunale della Dogana,
dovrà richiamare l’Amministrazione Dipartimentale “perché si contenga nei limiti
della sua ispezione [in materia di riscossioni di tributi e rendite, n.d.A.] e non
prenda nessuna ingerenza in cose estranee alla sua Commissione” 22. Tuttavia, la
riforma giudiziaria, in preparazione ma varata solo pochi giorni prima della fine
della Repubblica, prevede l’abolizione del Tribunale doganale. Ancora agli inizi di
aprile il Comitato di legislazione, pur dando parziale soddisfazione al Commissario
del Dipartimento dell’Ofanto, Vincenzo Bianco, conferma che l’immediata aboli-
zione del Tribunale potrebbe provocare problemi, “il più grande de’ quali sarebbe il
trattarsi gli affari della Dogana, che ricercano delle persone da lungo tempo versate
nella comunicata materia, da gente ancora inesperta”. Inoltre la cessazione del Tri-
bunale non può avvenire prima dell’organizzazione degli altri Dipartimenti. Si dà,
tuttavia, soddisfazione al Commissario invitandolo “ad assistere in cotesto Tribuna-
le, perché tutte le di lui risoluzioni, siano economiche, o siano tendenti all’ammini-
strazione della Giustizia” non sfuggano alla “sua intelligenza” 23. Nell’attesa della
riforma giudiziaria, il Ministro delle Finanze interviene, caso per caso, per limitare
24 - Lettera di Macedonio a Gargani del 22 fiorile (11 maggio), in ASF, Dogana, s.V, b. 3852.
25 - J. A. MARINO, op. cit., p. 171.
26 - ASF, Dogana, reg. 3852, (22 fiorile), 11 maggio 1799.
27 - Pensieri del cittadino Giuseppe Olivieri sul patrimonio della Dogana di Foggia, Napoli 1799.
Nelle carte della Dogana (s. I, b. 711, fasc. 17302) c’è anche una breve memoria dell’ex percettore
Raffaele Giudilli che, rispondendo nei primi giorni di febbraio ad un invito del Comitato delle
Finanze e dichiarandosi competente solo di problemi tecnici di esazione delle rendite e non dei
problemi complessi di un “tribunale di giustizia e di economia”, propone comunque di censire, a
beneficio dei cittadini delle comunità interessate, i demani comunali su cui gravano servitù di
pascolo a favore dei locati.
28 - ASF, Dogana, s. V, b. 40, fasc. 4388.
54 La Capitanata nel 1799 S. Russo
Le fonti archivistiche non chiariscono il ruolo del clero nei mesi convulsi della
breve parabola repubblicana. Le numerose difese e testimonianze di cittadini a fa-
vore di ecclesiastici che affiorano dai protocolli notarili sembrerebbero segnalare un
vasto coinvolgimento di questo ceto nelle vicende rivoluzionarie di Capitanata,
suggellato da un’inchiesta ad ampio raggio. Ma gli atti pubblici sono documenti
atipici, da valutare con la massima attenzione, perché rogati in un particolare mo-
mento storico e facilmente falsificabili. Anche le Carte dei rei di stato, un elenco di
nominativi senza causale, deputato ad accertare il patrimonio degli inquisiti, non
registrano dati precisi, né spiegano i motivi degli espropri.
Bisogna considerare che le inchieste seguite al ritorno della monarchia borboni-
ca, condotte in Capitanata dal vescovo di Policastro Ludovico Ludovici, collabora-
tore ed uomo di fiducia del cardinale Ruffo, erano fondate esclusivamente su testi-
monianze, spesso indirette o trasversali e che il clero, per la sua attitudine a mediare
tra i gruppi in conflitto, nei giorni frenetici delle insorgenze era un polo catalizzato-
re delle aspirazioni, della rabbia e del disorientamento delle comunità.
Molti ecclesiastici esercitavano il loro apostolato anche non condividendo affat-
to il mutamento politico e collaboravano con i governi repubblicani - la carica più
frequente di cui erano investiti era Giudice di pace - per desiderio delle comunità,
per tutelare la casa e la parrocchia, o per cercare di placare situazioni delicate, possi-
bili vendette tra gruppi e famiglie. Altri, più numerosi, in occasione dei giorni della
repubblica, si schieravano nettamente a favore della monarchia, anche se non man-
cavano sporadiche manifestazioni di simpatia giacobina da parte di ecclesiastici
rivoluzionari. In generale il clero, in una delicata svolta storica, riusciva a mediare
tra i gruppi in conflitto, manifestando buon senso e disponibilità alla collaborazio-
ne dettati più dalle preoccupazioni del momento che da effettive aspirazioni ideo-
logiche.
Le Istruzioni ai Patrioti del Governo Provvisorio avevano proclamato l’ugua-
glianza, abolito i titoli “vani e fastosi”, raccomandato di piantare l’albero della liber-
56 La Capitanata nel 1799 S. Capone
1 - Istruzioni generali del Governo Provvisorio della Repubblica Napoletana ai Patrioti, in Il Mo-
nitore Napoletano 1799, a cura di M. BATTAGLINI, Napoli 1974, supp. n. 2 (5 febbraio 1799) p. 56
e sgg.; cfr. T. PEDIO, La repubblica napoletana del 1799, Bari 1986, pp. 34-36.
2 - Le Municipalità, coordinate da un commissario di governo, amministravano le città. Ognuna
eleggeva un suo rappresentante nell’amministrazione cantonale. Cfr. Facoltà delle Municipalità e de’
limiti di loro giurisdizione, in C. COLLETTA, Proclami e sanzioni della Repubblica Napoletana pubbli-
cati per ordine del Governo Provvisorio, Napoli 1863, p. 33. Il territorio della Repubblica era diviso
in undici dipartimenti (suddivisi in Cantoni) ciascuno retto da un’Amministrazione Centrale de-
putata a riscuotere le contribuzioni dirette e a gestire i beni demaniali dell’area di sua competenza.
La Capitanata rientrava nel Dipartimento dell’Ofanto, diviso in quattordici Cantoni: Foggia (ca-
poluogo), Ascoli Satriano, Bisaccia, Cerignola, Lucera, Manfredonia, Melfi, Minervino Murge,
Monte Sant’Angelo, Pescopagano, San Marco in Lamis, Sansevero, Troia e Vico. Questa “divisione
ineseguibile, ridicola”, in quanto non considerava i confini naturali del regno, veniva annullata in
seguito dal commissario Abrial il quale ripristinava l’antica distribuzione territoriale. Cfr. T. PEDIO,
La repubblica, cit., p. 50; V. CUOCO, Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli del 1799, Napoli
1995, p. 86.
3 - ASF, Dogana, s. V, b. 86, fasc. 5540. “Per eleggere i municipi in una nazione, la quale già
anche nell’antica costituzione aveva un governo municipale, si volle seguire il metodo di un’altra
che non conosceva municipalità prima della rivoluzione; e così, mentre si promettevano muovi
diritti al popolo, se gli toglievano gli antichi”, in V. CUOCO, Saggio, cit., p. 200.
4 - “La lealtà francese garantirà le vostre persone, e le vostre proprietà”, ASF, Ibidem.
5 - Cfr. F. VILLANI, La nuova Arpi. Cenni storici e biografici riguardanti la città di Foggia, Salerno
1876, p. 113.
S. Capone Clero e rivoluzione 57
ti avevano innalzato l’albero della libertà a San Severo 6, Lucera 7, Troia 8, Monte
Sant’Angelo 9. In questo clima pochi “Galantuomini” aderivano sinceramente al
programma riformatore. La borghesia provinciale, fedele alla dinastia borbonica e
legata ai propri interessi, si adeguava alla nuova situazione politica per conservare
una posizione dominante nella piramide sociale. Il gioco delle parti permetteva ai
nuovi ricchi di consolidare il potere, difendere i possedimenti rurali ed urbani. Il
sottoproletariato, abbandonato da repubblica e monarchia ai piani di una élite sem-
pre più ambiziosa, era turbato, “compiangendo l’allontanamento del Re e l’entrata
dei Francesi in Napoli” 10:
[…] ad alta voce si diceva, viva Dio, viva la Religione, viva la libertà,
mora il Tiranno, ed il Popolo applaudiva soltanto alle prime due voci,
senza rispondere all’altre due seguenti 11.
La fedeltà del popolo alla religione e al trono sarebbe stata una costante degli
eventi rivoluzionari, voluti da una minoranza di patrioti, ma vissuti tra indifferenza
e sospetto dalla maggior parte delle popolazioni daune. Popolani, artigiani, ele-
menti della piccola e media borghesia estranei ai gruppi egemoni, dimenticati dal
potere centrale e cittadino, suggestionati dalla paura dei francesi, insorgevano con-
tro i municipalisti. Il 10 febbraio, folle disordinate e incontrollabili, istigate da “Ga-
lantuomini” esclusi dalle amministrazioni comunali, prevalevano su alcune oligar-
6 - Cfr. F. D’AMBROSIO, Memorie Storiche della città di San Severo in Capitanata, Napoli 1875,
p. 150; M. FRACCACRETA, La passione di San Severo nel 1799, Foggia 1929, pp. 21-23; G. CLEMEN-
TE, Il sacco di San Severo del 25 febbraio 1799, Foggia 1989, p. 14.
7 - SASL, Protocolli notarili, s. II, vol. 954, cc. 14 v.-16 v, atto pubblico stipulato dal notaio
Giuseppe Marra di Lucera il 10 giugno 1799.
8 - SASL, Protocolli notarili, s. II, vol. 2943, cc. 53 r.-58 r., atto pubblico stipulato dal notaio
Pasquale Liguori di Troia il 16 dicembre 1799.
9 - SASL, Protocolli notarili, s. II, vol. 398, cc. 93 r.-93 v., atto pubblico stipulato dal notaio
Francesco Saverio Giordano di Monte Sant’Angelo l’8 maggio 1800.
10 - G. A. e E. TEDESCHI, Ascoli Satriano dal 1799 al 1829, a cura di Mario Simone, Napoli-
foggia-Bari 1963, p. 9.
11 - N. BECCIA, Cronistoria di Troia (dal 1584 al 1900), Lucera 1917, p. 110.
58 La Capitanata nel 1799 S. Capone
chie repubblicane di Capitanata. A Troia 12, Lucera 13, San Severo 14, Monte
Sant’Angelo 15 il “popolo basso” distruggeva l’albero della libertà e piantava nelle
piazze il vessillo borbonico. L’insanabile conflitto tra notabili e ignobili, l’antagoni-
smo tra paesi, città e campagne alimentavano - dal 10 al 20 febbraio - insorgenze in
quasi tutta la provincia. Le controrivoluzioni anticipavano i moti sanfedisti e spesso
degeneravano in crimini efferati 16. Ufficiali dell’esercito borbonico, funzionari regi
e proprietari terrieri organizzavano e finanziavano squadre armate. Pietro Sorina 17,
“regio letterario” dell’ufficio postale di Manfredonia e corriere particolare di Ferdi-
nando IV, “regalizzava” San Marco in Lamis, San Giovanni Rotondo e Rodi; Luigi
Maria Giuffredi, “capitano sopraguardia” dei cavalieri di marina, rifugiatosi a Vie-
ste, incitava alla ribellione le popolazioni della “Montagna degli Angioli” (il Garga-
no, legato al culto di San Michele); Pasquale Tortora, amministratore della Doga-
na, profugo nei boschi di Vieste, preparava la reazione; Michele Fresini di Manfre-
donia, nello stesso promontorio garganico, adunava uomini armati 18. I Casali e i
12 - “Essendosi in questa città la mattina del 10 febbraio dello spirante anno 1799, giorno di
domenica, tagliato l’albero dal popolo”, in SASL, Protocolli notarili, s. II, vol. 2943, cc. 50 v.-51 r.,
atto pubblico stipulato dal notaio Pasquale Liguori di Troia il 16 dicembre 1799.
13 - “nel dì dieci Febraro […]lo Popolo Basso di questa suddetta città […] levò l’albero che
due giorni prima situatosi nel largo della cattedrale”, SASL, Protocolli notarili, s. II, vol. 954, cc. 15
r.-15 v., atto pubblico stipulato dal notaio Giuseppe Marra di Lucera il 10 giugno 1799.
14 - Cfr. F. D’AMBROSIO, Memorie, cit., pp. 150-151.
15 - “Nel giorno dieci poi del medesimo mese D. Scipione Ursomando […] si cooperò a far
spiantare l’albero infame”, SASL, Protocolli notarili, s. II, vol. 398, cc. 93 v.-94 r., atto pubblico
stipulato dal notaio Francesco Saverio Giordano di Monte Sant’Angelo l’8 maggio 1800.
16 - La controrivoluzione del 10 febbraio 1799 culminava tragicamente in tre città. Il popolo
minuto di Lucera assediava e saccheggiava le case dei giacobini, uccidendo un capitano francese
ospitato dalla famiglia Cavalli. A Troia i realisti fucilavano “sotto l’Albero” il capo dei repubblicani
Vincenzo Petruzzi e ammazzavano Luigi Giuliani che aveva cercato di difenderlo. La folla infero-
cita di Sansevero trucidava il sottotenente Gaspare Cordera, Crescenzio de Ambrosio, i fratelli
Carlo e Ambrogio de Ambrosio, Antonio e Giovanni Santelli, Vincenzo e Raimondo Galliani.
Cfr. SASL, Protocolli notarili, s. II, vol. 954, c. 27 r., atto pubblico stipulato dal notaio Giuseppe
Marra di Lucera il 4 settembre 1799; N. BECCIA, Cronistoria, cit., p. 112; F. D’AMBROSIO, Memorie,
cit., p. 150.
17 - Pietro Sorina “della città di Fiume, casato e commorante da molti anni in quella di Man-
fredonia”, nel febbraio 1799 girava per le città di Capitanata “in qualità di corriere straordinario di
Corte”. Cfr. ASN, Affari Esteri, b. 4138.
18 - ASN, Affari Esteri, b. 4138. Cfr. A. LUCARELLI, La Puglia, nel Risorgimento, Bari 1934, II,
pp. 221-222; C. GARGIULO, L’albero della libertà in Capitanata, Napoli 1975, pp. 24-25.
S. Capone Clero e rivoluzione 59
19 - SASL, Protocolli notarili, s. II, vol. 1695, c. 19 v., atto pubblico stipulato dal notaio Mi-
chelangelo Surdi di San Marco La Catola il 3 luglio 1799.
20 - SASL, Protocolli notarili, s. II, vol. 2265, c. 31 v., atto pubblico stipulato dal notaio Gio-
vanni Pinto di San Marco La Catola il 29 giugno 1799.
21 - ASN, Carte dei rei di stato, b. 169; A. LUCARELLI, La Puglia, cit., p. 222.
22 - Cfr. A. LUCARELLI, La Puglia, cit., p. 255.
23 - Ettore Carafa, conte di Ruvo, non partecipava al massacro del 25 febbraio 1799, in quan-
to nello stesso giorno era “partito per la via di Benevento”, Il Monitore, cit., n. 8 (26 febbraio 1799),
p. 182. Sul ruolo di Carafa nello scontro di San Severo cfr. L. MANZI, Commemorazione centenaria
dei martiri di Capitanata (dal febbraio 1799 al febbraio 1800), Foggia 1899, p. 5; A. LUCARELLI, La
Puglia, cit., p. 262.
24 - Il generale Duhesme “in Bovino aveva fatto punir con la morte i colpevoli della ribellio-
ne”, Cfr. P. COLLETTA, Storia del reame di Napoli, Milano 1989, p. 229.
25 - SASL, Protocolli notarili, s. II, vol., 3127, cc. 27 v.-28 r., atto pubblico stipulato dal notaio
Emilio Bargia di Foggia il 22 giugno 1799. Nello stesso giorno alcuni reparti dell’esercito francese
si insediavano a Lucera. SASL, Protocolli notarili, s. II, vol. 373, c. 5 r., atto pubblico stipulato dal
notaio Giuseppe De Palma di Lucera il 20 gennaio 1800.
26 - A. LUCARELLI, La Puglia, cit., p. 256.
60 La Capitanata nel 1799 S. Capone
politici, il ritrovo di molti patrioti, il quartiere generale delle truppe francesi 27. L’as-
sedio e il saccheggio di San Severo del 25 febbraio 1799 terrorizzava le comunità,
pronte a ripiantare l’albero della libertà e a dichiarare fedeltà al Governo Provvisorio.
In questo quadro caravaggesco il clero, suo malgrado, era pienamente coinvol-
to. Il popolino, imprevedibile nei suoi moti, ingabbiato nelle consuetudini e negli
obblighi urbani, emarginato ai confini della scala gerarchica sociale, pur essendo
estraneo ad ogni ideologia rivoluzionaria, cercava rivincite contro gli odiati “Galan-
tuomini”, padroni di terre e di braccianti. Solo i sacerdoti, in un momento così
difficile per tutte le città di Capitanata, erano in grado di prevenire e controllare in
qualche modo le insorgenze delle folle. Le riunioni del popolo nella Chiesa Madre,
le invocazioni alla pace, la lettura dei comunicati del Governo Provvisorio, le pro-
cessioni e benedizioni, i panegirici pro e contro la repubblica proiettavano gli eccle-
siastici in primo piano 28. I documenti registrano la presenza di sacerdoti in quasi
tutte le municipalità:
27 - “Foggia divenne una piazza d’armi, ove i soldati, atti ed espertia guerra, facean mostra
spessissimo della loro istruzione, e del militare valore in que’ dintorni. E quivi ogni progetto di
spedizione: quivi le rimostranze di gioia, applaudendosi alla libertà ed alla repubblica, sempre che
giungevan nuove de’ trionfi dell’esercito sulle moltitudini poco docili o ricalcitranti”, F. VILLANI,
La nuova, cit., p. 116.
28 - Numerosi protocolli notarili testimoniano il nuovo ruolo della Chiesa Madre: nucleo di
riunioni politiche, di votazioni pubbliche, di scontri tra fazioni, di lettura e commento dei procla-
mi francesi. La cattedrale, cuore della città, centro propulsore di culto, diventava centro di coordi-
namento e di proiezione delle nuove idee, tra il disorientamento dei suoi ministri, costretti a
subire, per paura o per necessità, questa nuova situazione.
S. Capone Clero e rivoluzione 61
Una presenza dovuta soprattutto al ruolo del clero, al prestigio e al carisma che
parroci e curati di campagna e di città esercitavano sul popolo. Soprattutto nei
piccoli paesi gli esponenti del clero erano figure egemoni, sicuri poli d’attrazione e
riferimento nella scala gerarchica della società. Quotidianamente assillati da folle di
questuanti, beghine, villani, gestanti, promessi sposi e untori, vecchi e bambini,
svolgevano, oltre l’apostolato, una importante funzione sociale, accogliendo i pove-
ri e gli emarginati, promuovendo la circolazione dei libri 29 , educando i cittadini
alla pazienza, alla misura, smussando certi arroganti atteggiamenti di derivazione
ispanica a favore di nuove regole del buon vivere, fondate sul rispetto e la reciproca
tolleranza. Influenzati dall’Illuminismo, ne assimilavano l’ideologia della prossimi-
tà dei ceti, dell’uguaglianza sociale, della fratellanza.
Anche nelle città più importanti il clero, sia pure assestato su posizioni ideologi-
che conservatrici, era un necessario regolatore dei costumi. Foggia era una città
bifronte: conventuale ed amministrativa. Più di altri luoghi del regno, era un centro
conventuale - non a caso, anni prima, l’area della Capitanata era stata scelta da S.
Alfonso de’ Liguori per il suo apostolato - in cui coabitavano cappuccini, teatini,
celestini, domenicani, agostiniani, alcantarini, scolopi, frati minori. La presenza
della Real Dogana aveva trasformato la città in un polo d’attrazione di molteplici
interessi e scambi commerciali. Tuttavia Foggia, con le sue chiese ed i numerosi
conventi, era anche un crocevia di ordini religiosi.
Dalle fonti emerge lo smarrimento di pacifici sacerdoti, costretti, per quieto
vivere, per timore, per difendere la casa e la parrocchia, per calmare gli animi e
favorire la pace, ad accettare - oltre la benedizione forzata dell’albero della libertà -
imposizioni fino a pochi giorni prima improponibili: votazioni, riunioni della guardia
29 - Cfr. S. CAPONE, Una raccolta di libri napoletani del ’700 nella biblioteca provinciale di
Foggia, in Editoria e cultura a Napoli nel XVIII secolo, a cura di ANNA MARIA RAO, Napoli 1998, pp.
657-668.
62 La Capitanata nel 1799 S. Capone
civica 30, comizi, lettura dei proclami governativi, salmi in onore della repubblica in
chiesa e a subire impotenti - come a Monte Sant’Angelo - angherie e saccheggi:
La mattina seguente venerdì, primo marzo, ci posero ducati duemila di
contribuzione che furono pagati all’istante, ed il giorno partirono per
Manfredonia. La sera seguente salirono quindici ufficiali e seicento pe-
doni e dalle ore tre in poi diedero il sacco alla Basilica di S. Michele e
condussero via nove muli carichi di argento, oro e gioie, ponendo nello
stesso tempo altra contribuzione di cinque cantaja di salame, cinquanta
barili di olio, cento di vino, due muli da tiro e due cavalli da sella che li
vennero somministrati nel giorno di domenica in Manfredonia 31.
Disorientati e confusi come la maggior parte dei loro fedeli, gli ecclesiastici
vivevano nel timore i difficili giorni repubblicani, ma c’era anche chi aderiva chia-
ramente al progetto rivoluzionario, svelando la propria identità giacobina. Eccezio-
ni, “pecore nere” isolate dalla massa conservatrice, palesavano i sintomi di una crisi,
di un disagio, dei conflitti tra alto e basso clero, celati dal chiuso dei conventi.
Inseriti da ragazzi in una sfera di vita completamente diversa da famiglie indigenti
preoccupate di affidare ai conventuali bocche da sfamare, cresciuti senza vocazione,
intolleranti delle rigide regole monastiche, imbevuti di cultura illuministica, alcuni
ecclesiastici, in occasione dei moti rivoluzionari del 1799, svelavano apertamente la
loro ideologia, ribellandosi ai canoni di un vivere scandito dalla preghiera e dall’iso-
lamento.
Gli atti pubblici rogati dal notaio Michele Di Iorio rivelano che a Castelluccio
Valmaggiore il sacerdote Giuseppe Paolella guidava con i fratelli Daniele e Gramazio
la gestione repubblicana del paese. Durante il periodo della rivoluzione il canonico
indossava la coccarda tricolore e leggeva pubblicamente gli editti ed i dispacci del
Governo Provvisorio, informando la popolazione sulle notizie che giungevano da
Napoli. Una mattina (“per ordine del presidente di lui fratello Gramazio”) espose
nella sua chiesa un proclama francese, spiegandone il significato e, in onore della
30 - BPF, ms., fondo Simone, in corso di catalogazione. Alcuni documenti sparsi segnalano le
riunioni della Guardia Civica di Foggia in cattedrale.
31 - È la testimonianza di Giuseppe Luigi Bassi, patriota di Monte Sant’Angelo, in G. TANCRE-
DI, Il Gargano nel Risorgimento (Anni 1799 e 1820), pp. 10-11; “l’inimiche Truppe Francesi invase-
ro questa Reale Celeste Basilica di S. Michele Arcangelo nel Monte Gargano, spogliando la statua
di detto glorioso Principe di tutti l’arredi preziosi, non solamente, che del ricco tesoro di statue e
lampade d’argento, ed altre argentarie”, in SASL, Protocolli notarili, s. II, vol. 159, cc. 117 r.-117 v.,
atto pubblico stipulato dal notaio Cataldo Longhi di Monte Sant’Angelo il 13 giugno 1800.
S. Capone Clero e rivoluzione 63
32 - SASL, Protocolli notarili, s. II, vol. 1881, cc. 30r.-31r., atto pubblico stipulato dal notaio
Michele Di Iorio di Castelluccio Valmaggiore il 14 giugno 1799.
33 - Ivi, c. 31v.
34 - Ibidem.
35 - Ibidem. Cfr. S. CAPONE, I racconti della rivoluzione. Documenti per una storia del 1799 in
Capitanata, Foggia 1999, p. 19.
64 La Capitanata nel 1799 S. Capone
36 - SASL, Protocolli notarili, s. II, vol. 1881, c. 38 r., atto pubblico stipulato dal notaio Mi-
chele Di Iorio di Castelluccio Valmaggiore il 16 giugno 1799.
37 - Protesta del vescovo di Ascoli Satriano, Emmanuele de Tommasi, in ASF, Atti di Polizia,
s. I, b. 355, fasc. 2716.
S. Capone Clero e rivoluzione 65
38 - Ibidem.
39 - Sull’argomento cfr. A. LUCARELLI, La Puglia, cit., p. 561.
40 - Le inchieste del monsignor Ludovici duravano più di un anno. Nel 1801 veniva sostituito
da Troiano Marulli, duca d’Ascoli, inviato a Foggia con poteri dittatoriali. Cfr. V. PILONE, Storia di
Foggia dalla venuta di Carlo di Borbone al 1806, Foggia 1971, p. 121.
66 La Capitanata nel 1799 S. Capone
“figli di famiglia”, non possedevano “beni di sorta alcuna” 41. Le inquisizioni som-
marie, estese a tutti i gruppi sociali, parziali e indiziarie, inducevano molti ecclesia-
stici, membri dei passati governi, o comunque costretti ad una “passiva” adesione
repubblicana, a cautelarsi con pubblici attestati. Le testimonianze di affetto e di
gratitudine dei cittadini, non sappiamo quanto disinteressate o sincere, (predicava-
no la penitenza, i buoni costumi, esortavano a mutar vita) sono molto ricorrenti
negli atti pubblici. I protocolli notarili svelano una catena di testimonianze incro-
ciate tra preti, in soccorso di colleghi accusati di “simpatie” repubblicane: il sacerdo-
te Rocco Gasparri e i chierici Ascensio Rosati, Salvatore de Bellis, Francesco Saverio
Sessa e Francesco Pellegrini, gli accoliti Pietro Crisologo Brunetti e Michele Pa-
squale Mastrolilli di Biccari sono difesi da Giovanni (arciprete) e Giulio Baselice.
Il sacerdote Giuseppe Stella di Foggia è difeso da altri ecclesiastici: i secolari
Michele del Vecchio, Pasquale de Benedictis, Domenico del Conte, Gaetano Polli-
ce, Michele Valle, Nicola Maria Gallo. Quest’ultimo era difeso da Michele Grieco,
Michele Bucci, Pasquale Sorrentini (canonici) i secolari Domenico Vascininno,
Francesco Saverio Colelli, Francesco Saverio Vacca, Carlo Maria Candela.
Altri sacerdoti foggiani implicati nelle inchieste erano: Emilio Azzariti, vicario
Curato della parrocchia di San Tommaso, Andrea Porta (diacono) Michele Consal-
41 - ASN, Carte dei rei di stato, Notamento dei beni sequestrati per reità di stato, b. 171/41, cc. 1
r.-5 v. L’indice alfabetico per nome dei rei di stato continua in altri fascicoli e nelle cc. 8 r. e sgg. con
il Notamento de’ beni confiscati e Pubblicati estratto dal medesimo libro: come siegue. Altri inquisiti
erano: Francesco e Pietro Paolo del Po, Matteo Beniamino e Cosimo Cavalli, Raffaele Tedeschi e il
patrizio Francesco Fiani di Lucera; Francesco e Andrea Centula, Domenico Iannucci e Michele
Nanni di S. Marco in Lamis; Ferdinando Cicchitti, Giuseppe Lembo e Francesco Scrocca di San
Marco la Catola; Onofrio Lisi, Michele Carrabba e il canonico Samuele Angeloni di San Giovanni
Rotondo; Vincenzo Lamonica di Vieste; Tommaso Tinelli e Nunzio Greco di Apricena; Costanti-
no Bilancia, Giacomo Minutelli, Nicola Lombardi, Giovannantonio Summonte, Pietro Ricci,
Nicola Ruggiero e il canonico Tommaso Lembo di Volturara; Vincenzo Camisa, Domenico Perna,
Pasquale D’Addario, Vincenzo Celenza, Saverio Cerulli, Michelangelo Simone, Cherubino Augenti,
Vincenzo e Pietro Leone, Carlo Durante e Nicola Capuano di Celenza Valfortore; Saverio de
Sanctis, Antonio e Giovanni Raso, Giuseppe e Luigi Chitti, Vincenzo Smillari, Pasquale Florimo,
Francesco Febares e Giuseppe Crifossi di Casalnuovo; Giuseppe Viglione di Troia; Liberato Cle-
mente e il canonico Pietro Paolo Pepe di Sant’Agata; Giuseppe Maria Scorsa, Luca, Francesco,
Michele e il canonico Nicola Mitola di Candela; Giuseppe Maria Lanave, Pasquale Castellucci e
Giuseppe Saliola di Roseto; il monaco Innocenzo Tiscione di Biccari; Giulio Castelnuovo di Ser-
racapriola; Nicola Dentice di Accadia. Cfr. A. LUCARELLI, La Puglia, cit., pp. 265-266.
S. Capone Clero e rivoluzione 67
42 - I dati sono ricavati dall’analisi di numerosi protocolli notarili, rogati dai notai foggiani
Angelo Cicella, Giovanni Battista Sorrentini, Michele Taliento.
43 - Cfr. N. BECCIA, Cronistoria, cit., p. 114.
44 - SASL, Protocolli notarili, s. II, vol. 2943, c. 20 r., atto pubblico stipulato dal notaio Pa-
squale Liguori di Troia il 29 giugno 1799.
69
1 - cfr. A LUCARELLI, La Puglia nella rivoluzione napoletana del 1799. Storia documentata, II ed.
a cura di M. PROTO, Manduria 1998, pp. 325 sg. ed il recente lavoro di S. CAPONE, I racconti della
rivoluzione. Documenti per una storia del 1799 in Capitanata, Foggia 1999.
2 - Ivi.
70 La Capitanata nel 1799 M. Spedicato
1. Nelle vicende del 1799 una maggiore attenzione merita l’episcopato per le
responsabilità pastorali di cui è investito. Conoscere e analizzare il comportamento
degli uomini che guidano le dieci diocesi daune consente di avanzare ipotesi di
lettura che possono più estensivamente riguardare il ruolo esercitato dalle gerarchie
ecclesiastiche locali prima, durante e dopo la rivoluzione repubblicana. Questo è
tanto importante quanto utile ai fini della ricerca se si considera che nella Capitana-
ta, diversamente dalle altre due province pugliesi, si assiste nell’ultimo scorcio del
’700 ad un mutamento radicale in materia di reclutamento episcopale. In base,
infatti, agli accordi stipulati nel 1791 tra Ferdinando IV e Pio VI vengono introdot-
ti nuovi meccanismi selettivi e precostituiti nuovi equilibri nei rapporti di forza tra
Roma e Napoli. Con il diritto di nomina acquisito dal sovrano napoletano in tutte
le diocesi del regno, infatti, la Capitanata perde l’antica configurazione di provincia
pontificia per partecipare a pieno titolo al processo di statalizzazione della chiesa
meridionale, già da tempo avviato con la politica del Tanucci 3. Un approdo che se
per un verso appare scontato 4, per un altro risulta subire un’improvvisa accelerazio-
ne in seguito alle paure scatenate nei governi dell’Europa dalla rivoluzione francese
del 1789 5. Le ricadute “politiche” prodotte da questa concessione giurisdizionale
non sono, quindi, trascurabili, anche se nella sostanza non si verifica un vero e
proprio sconvolgimento della precedente fisionomia episcopale. Prevale una certa
continuità con il passato, dal momento che le preferenze maggiori cadono verso i
soggetti con alle spalle un’esperienza di direzione pastorale in qualità di vicari dioce-
sani, a cui si accompagna un’accresciuta (rispetto al trend del secolo) immissione di
elementi del clero regolare, scelta quest’ultima che conferma la predilezione del
sovrano nei riguardi dei soggetti provenienti dai cosiddetti ceti “forti”, considerati
politicamente più affidabili e più organici agli interessi della corona 6.
3 - Cfr. M. ROSA, Politica ecclesiastica e riformismo religioso in Italia alla fine dell’antico regime,
in AA. VV., La chiesa italiana e la rivoluzione francese, a cura di D. MENOZZI, Bologna 1990, pp.
17-45.
4 - L’arma legislativa del regio assenso e del regio patronato consente negli anni ’70-90 del ’700
di ripristinare il controllo del sovrano su un gran numero di istituzioni ecclesiastiche regnicole:
sugli esiti di questo processo in Capitanata cfr. M. SPEDICATO, Le istituzioni ecclesiastiche in Capita-
nata e a Foggia nella crisi di fine Settecento, in IDEM, Istituzioni ecclesiastiche e società nella Capitanata
moderna (secc. XVI-XVIII), Bari 1999, pp. 99-126.
5 - Cfr. Ivi ed anche M. ROSA, Politica ecclesiastica e riformismo religioso, cit.
6 - Cfr. M. SPEDICATO, Quadri diocesani e avvicendamenti episcopali nella Capitanata moderna
(secc. XVI-XVIII), in IDEM, Istituzioni ecclesiastiche e società, cit., pp. 17-97.
M. Spedicato Tra rivoluzione e controrivoluzione 71
1777, tutti gli altri sono di recente nomina regia. I presuli di Vieste, Domenico
Arcaroli, e di Termoli, Anselmo Maria Toppi, vengono chiamati alla guida delle
loro diocesi nel 1792, cioè immediatamente dopo la concessione del diritto di
nomina al sovrano da parte del papato; l’elezione, invece, dei restanti titolari risale
ad un periodo quasi a ridosso della rivoluzione repubblicana. Giovanni Clemente
Francone (fratello di Tommaso Maria) viene traslato nell’ottobre del 1797 da Gae-
ta a Troia, una provvista che arriva dopo quasi quattro anni di vacanza episcopale;
nello stesso periodo viene dato un titolare alla sede di San Severo, vacante dall’ago-
sto del 1793, con il trasferimento di Giovanni Gaetano del Muscio da Carinola.
Nel 1798 si pone mano alle altre diocesi ancora senza vescovo: a Bovino viene
chiamato il domenicano Vincenzo Maria Parruca, dopo un periodo di vacanza che
dura dal gennaio del 1792, a Lucera, priva di un titolare sin dall’agosto del 1793,
viene destinato il foggiano Alfonso Maria Freda, a Larino il salernitano Filippo
Bandini (che succede a Carlo D’Ambrosio morto nel 1796) e a Volturara (vacante
dal 1795 per la morte di Giovanni Coccoli) l’indigeno (di San Bartolomeo in Galdo)
Nicola Martini 7.
Da una prima, sommaria analisi degli avvicendamenti emerge come più della
metà delle diocesi soffre nell’ultimo decennio del secolo una certa, a tratti prolun-
gata, instabilità pastorale. Accanto alle sedi di Ascoli Satriano e di Manfredonia che
godono da lungo tempo di una stabilità nella guida del governo diocesano si posso-
no associare tardivamente solo quelle di Vieste e di Termoli, che in virtù dell’ondata
di nomine effettuate dal sovrano tra la fine del 1791 e l’inizio del 1792 riescono ad
uscire definitivamente fuori dalla precarietà registrata nel corso degli anni ’80 del
secolo. Per le restanti diocesi prevale l’incertezza. Sorprende soprattutto la lentezza
nella provvista. In un decennio, come quello di fine secolo, caratterizzato da costan-
ti preoccupazioni politico-militari (aggravate anche da un’acuta crisi economico-
finanziaria) rinunciare a provvedere con rapidità le diocesi prive dei loro titolari può
sembrare paradossale. Certamente torna poco vantaggioso per lo stesso governo
centrale, interessato in un momento particolarmente insidioso per la vita dello
Stato a coinvolgere i presuli nel controllo del territorio e delle popolazioni periferi-
che. La stessa novità rappresentata dal diritto di nomina concesso al sovrano di
fronte alle brevi o lunghe vacanze registrate spinge ad ipotizzare che la monarchia
incontri non poche difficoltà ad esercitare questo compito con tempestività ed
efficacia. I ritardi possono avere molteplici ragioni, senza escludere del tutto il cat-
tivo funzionamento della burocrazia statale, troppo lenta nel gestire queste nuove
7 - Ivi.
M. Spedicato Tra rivoluzione e controrivoluzione 73
8 - Sul reclutamento episcopale nelle diocesi pugliesi tra fine ’700 inizio ’800 si rinvia a M.
SPEDICATO, L’episcopato pugliese durante il Decennio francese, in “Quaderni dell’Istituto di Scienze
Storico-politiche della Facoltà di Magistero dell’Università degli Studi di Bari”, 1, 1980, pp. 389-
426.
9 - Cfr., al riguardo, M. MIELE, Il clero nel regno di Napoli, 1806-1815, in “Quaderni Storici”,
37, 1978, pp. 284-313.
10 - Il primo, il Francone, da tempo aveva manifestato l’intenzione di ritornare in Puglia,
dopo essere stato alla guida della chiesa di Cosenza e di Gaeta, per stare vicino al fratello, Tommaso
Maria, titolare di Manfredonia; il secondo, il del Muscio, per avvicinarsi alla sua famiglia, origina-
ria di Foggia: cfr. M. SPEDICATO, Le istituzioni ecclesiastiche in Capitanata e a Foggia, cit., pp. 105 sg.
11 - Cfr. M. SPEDICATO, Quadri diocesani e avvicendamenti episcopali, cit., pp. 65-81.
74 La Capitanata nel 1799 M. Spedicato
ghese emergente, quello chiamato ironicamente dal Tanucci dei “cavalierotti” 12, che
attraverso la caccia ad un vescovado tentano di accelerare i processi di nobilitazione
delle proprie famiglie. Il sovrano, che nel passato aveva mostrato spiccate preferenze
verso i cadetti di famiglie nobili o patrizie entrati tra le file degli ordini monastici più
importanti per la provvista delle poche sedi di sua pertinenza, ora, invece, senza
tradire una tale propensione di fronte all’esercizio di un diritto di nomina “assoluto”
cerca di valorizzare le competenze acquisite da una schiera di soggetti nel governo
delle diocesi, favorendo la promozione di questi, convinto anche di trascinare le loro
famiglie nella difesa della vacillante monarchia. Nella realtà accade, sia pure con
ritardo, quanto temuto qualche decennio prima dal rappresentante della S. Sede a
Napoli, il quale, lamentandosi per le frequenti nomine nelle sedi pontificie di vicari
generali, considerati “ecclesiastici di scarso talento”, suggerisce alla Curia romana di
seguire le scelte del sovrano, tutte orientate a premiare “soggetti di nobile estrazione
(ricchi) di capacità e di merito” 13. Nelle nomine di fine ’700 il sovrano non rinuncia
ad affidarsi al clero regolare (numericamente e percentualmente, infatti, il loro peso
aumenta) 14, ma deve anche tenere necessariamente conto di orientamenti consoli-
dati che non può stravolgere. Un aggiustamento, quindi, più che un radicale muta-
mento, quello che si registra durante l’ultimo decennio nella composizione sociale
dell’episcopato. La prevalente selezione filo-borghese dei vescovi viene imposta non
solo dalle “particolari calamitose circostanze”, ma resa anche compatibile dall’avan-
zato processo di statalizzazione della chiesa meridionale, nel cui alveo vengono ricer-
cati i nuovi equilibri in materia di nomine episcopali. Del resto il precedente clima
conflittuale che aveva a lungo caratterizzato i rapporti tra Chiesa e Stato nel corso
della seconda metà del ’700 resta solo uno spiacevole ricordo: ora il ricompattamento
dell’episcopato meridionale avviene intorno al lealismo monarchico e alla fedeltà
alla Santa Sede, o più semplicemente intorno alla ritrovata alleanza del trono con
l’altare, che, dopo la rivoluzione francese del 1789, sembra orientare all’unisono gli
atti e i comportamenti dei titolari delle diocesi nella periferia del regno.
15 - Cfr. M. DELLA MALVA, Mons. Domenico Arcaroli (1792-1817), in “Il Gargano Nuovo”, I,
1975, articolo ripreso da IDEM, Vieste e la Daunia nel Risorgimento, Foggia 1963, e poi rielaborato
nel volume collettaneo L’arcidiocesi di Manfredonia e la diocesi di Vieste. Guida Storica per l’Anno
santo 1975, AST di Manfredonia, Quaderno n. 3, Foggia 1975, pp. 125-36; per una ricostruzione
complessiva dell’attività pastorale del vescovo si rinvia a M. SPEDICATO, Sancta infelix ecclesia. La
diocesi di Vieste in età moderna (1555-1818), Lecce 1995, pp. 80 sg.
76 La Capitanata nel 1799 M. Spedicato
L’impegno dei presuli nel sostegno della monarchia borbonica risulta intenso e
molto coinvolgente. Si arriva ad elaborare una catechesi controrivoluzionaria, fino
a giustificare la necessità della guerra. In questo schieramento non si registrano
distinzioni significative. Il corpo episcopale resta fortemente determinato a com-
battere “una guerra santa” contro la Francia per prevenire o annullare gli effetti
devastanti provocati dalla rivoluzione. Atteggiamenti così rigidi trovano interpreti
diversi per sensibilità e cultura, finendo per mettere sullo stesso piano il mite arcive-
scovo di Manfredonia, Tommaso Maria Francone, con lo scontroso vescovo di
Vieste, Domenico Arcaroli, il vecchio titolare di Ascoli Satriano, Emanuele De
Tommasi, con l’emergente vescovo di Termoli, Anselmo Maria Toppi.
La situazione pastorale della Capitanata tuttavia non sembra però favorire il
consolidamento del fronte episcopale. Le ripetute vacanze registrate tra il 1793 e il
1798 nella maggior parte delle diocesi creano confusione e disorientamento. Dove
una guida nel governo delle chiese locali tarda ad essere assicurata si lamentano,
come a Troia, “disordini introdotti dall’anarchia” 16. La lentezza negli avvicenda-
menti episcopali impedisce, fino a compromettere, una rapida normalizzazione
della vita diocesana. Si trascura senza plausibili ragioni di porre mano alla nomina
dei vescovi. La svolta che si registra nella primavera del 1797 appare tardiva e ricon-
ducibile a circostanze occasionali. Si deve, infatti, alla visita di re Ferdinando in
diverse città pugliesi se il problema delle nomine nelle diocesi vacanti ridiventa di
estrema attualità. In breve tempo, come già segnalato, si mettono in moto le proce-
dure selettive e designati i nuovi titolari. Alla vigilia della rivoluzione repubblicana
la monarchia può nuovamente contare sul sostegno attivo dei presuli. Ma questo
non è più sufficiente per tutelarsi dal precipitare degli eventi.
Alla stregua dei vecchi titolari, anche i nuovi vescovi di Capitanata non fanno
mancare il loro contributo in difesa della monarchia borbonica. Chi in maniera
calda e intensa, come Alfonso Freda vescovo di Lucera, chi, invece, in maniera più
tiepida e distratta, come Nicola Martini e Giovanni Gaetano Del Muscio rispetti-
vamente vescovi di Volturara e di San Severo, cerca di guadagnarsi l’attenzione della
corona, predisponendosi a “pagare” il debito di riconoscimento per la mitria rice-
vuta. Nel 1798, allorquando il rischio di invasione dell’armata francese appare im-
minente, il fronte episcopale si ritrova compattamente attestato a difendere il trono
minacciato. Sul piano ideologico come su quello politico. Le circolari sulla necessi-
tà dell’arruolamento volontario diventano martellanti per far breccia nella popola-
zione indifferente. Il clero delle parrocchie viene allertato e invitato a non rimanere
passivo. Vengono in più parti promosse “collette” per sostenere la guerra. Ma que-
sto non basta per evitare il peggio.
Dopo la disfatta militare e la fuga del sovrano in Sicilia la paura domina su tutto.
L’arrivo delle truppe francesi a Napoli e l’avvio del processo di “democratizzazione”
delle università del regno spingono i vescovi a maggiore cautela, a ritrovare la mo-
derazione perduta, a recuperare spazi di autonomia prima soffocati. Non mancano
però forme eclatanti di nostalgia. Ancora nei primi mesi del 1799 il vescovo Arcaroli
guida i viestani in numerose processioni penitenziali per reclamare l’intervento di-
vino in favore della monarchia 17. Si registrano anche nette, seppure isolate, chiusu-
re verso il nuovo regime, come quella espressa dal vescovo Freda di Lucera, che
rifiuta di benedire l’albero della libertà e di cantare il Te Deum in cattedrale. La
stragrande maggioranza dei presuli, invece, si attesta su posizioni moderate, apren-
dosi alla collaborazione per assicurare la quiete pubblica e la coesione sociale. In
questo modo si assiste ad un repentino cambio di campo che, seppure a prima vista
può sembrare sfociare nell’opportunismo, viene in realtà suggerito da inderogabili
necessità pastorali. L’arcivescovo di Manfredonia ospita nei primi di febbraio il
commissario venuto a democratizzare la città 18; il vescovo di Ascoli Satriano si
guarda bene dal condannare la nuova municipalità 19, il titolare di Troia benedice i
“democratici” ed assiste di persona alle manifestazioni (tra cui l’assemblea per l’ele-
zione dei membri del governo cittadino) più importanti 20; anche il presule di San
Severo si mostra non ostile al nuovo ordine sociale, finendo però per diventare il
capro espiatorio delle lotte fazionanti, fino a subire durante l’insorgenza popolare di
fine febbraio la segregazione coatta 21. Questi e altri episodi, pur estrapolati da con-
testi diversi, sono emblematici di una situazione in movimento, che prefigura uno
scenario in cui non solo la tattica prevale sulla strategia, ma un comportamento
misurato, duttile, aperto al confronto si rivela più fruttuoso rispetto ad un altro
rigido e chiuso al confronto. È la strada responsabilmente seguita da non pochi
vescovi. Non si tratta però di un ribaltamento delle precedenti opzioni ideologiche
e politiche, ma semplicemente di una correzione necessaria, dettata da ragioni squi-
sitamente pastorali e alimentata dalla volontà di esercitare un ruolo di mediazione
per poter assicurare la pace sociale e la tranquillità pubblica.
21 - Sui moti di San Severo del febbraio del 1799 la letteratura disponibile è abbondante. Una
testimonianza diretta è quella di M. Fraccacreta, il cui diario è stato pubblicato postumo La passio-
ne di San Severo nel 1799, Foggia 1929; successivamente è ritornato sull’argomento F. DE AMBRO-
SIO, Memorie storiche della città di San Severo in Capitanata, Napoli 1875 e più recentemente A.
LUCARELLI, La Puglia nella rivoluzione napoletana, cit., pp. 325 sg.. Significative integrazioni e
puntualizzazioni si ritrovano pure in due altri lavori, quali quelli di G. GARGIULO, L’albero della
libertà in Capitanata (anno 1799), Napoli 1975, pp. 26 sg. e di G. CLEMENTE, Il sacco di San Severo
del 25 febbraio 1799, Foggia 1989; IDEM, Gli atti pubblici nei protocolli notarili riguardanti il sacco
di San Severo del 25 febbraio 1799, in “Atti del 6° Convegno sulla Preistoria - Protostoria - Storia
della Daunia (San Severo, 14-16 dicembre 1984)”, San Severo 1988, tomo I, pp. 121-82, oltre
naturalmente nel recentissimo lavoro di S. CAPONE, I racconti della rivoluzione, cit., pp. 164 sg.
Tuttavia sia nella produzione più datata come in quella più vicina il ruolo esercitato dal vescovo del
Muscio è stato appena toccato e/o interpretato in maniera eccessivamente stereotipata; solo ulti-
mamente è stato oggetto di una convincente e inedita lettura: in merito si rinvia a A. PRIGIONIERI,
Il vescovo Giovanni Gaetano Del Muscio nella congiuntura del 1799 a San Severo, in “Atti delle
Giornate di Studio sul 1799, Bicentenario dei moti rivoluzionari (San Severo, 3 dicembre 1999)”,
in corso di stampa.
M. Spedicato Tra rivoluzione e controrivoluzione 79
stragrande maggioranza dei presuli, invece, cerca di non farsi imprigionare da scelte
manichee, di restare vigile e disponibile al dialogo, rinunciando a difendere a priori
il vecchio come il nuovo regime. Nè con la rivoluzione nè contro la rivoluzione, ma
solo con la chiesa per assolvere i compiti rivenienti dalla “cura animarum” e per
garantire “la felicità de’ popoli”.
Questi vescovi, pur di non tradire la loro missione e di raggiungere gli scopi
prefissati, vengono a compromessi con il potere politico dominante. Si dimostrano
prudenti, ma possibilisti, accettano di intervenire nelle manifestazioni pubbliche,
ma senza farsi coinvolgere sino in fondo, distinguono con precisi riferimenti evan-
gelici le competenze della chiesa da quelle dello Stato. Non sono indifferenti alla
tragedia sociale. In molti si attivano allorquando già nel febbraio 1799 il ministro
dell’Interno della repubblica partenopea, l’abate Francesco Conforti, si rivolge di-
rettamente a loro per esortarli ad un’azione di mediazione in favore di una
ricomposione dei conflitti aperti 22. Soprattutto nei centri in cui le insorgenze po-
polari assumono proporzioni preoccupanti i vescovi non tardano ad intervenire, a
proporsi come soggetti interessati a ristabilire la pace e la concordia. L’esempio di
San Severo (per restare in Capitanata) può, al riguardo, più di altri tornare emble-
matico. Un vescovo che si espone di persona per evitare eccessi, mette a repentaglio
la sua incolumità per proteggere la popolazione da ritorsioni più gravi, ma che alla
fine paga il prezzo della prigione solo per essersi mostrato disponibile al dialogo e
alla collaborazione con il nuovo governo 23.
Il comportamento dei vescovi in quei difficili mesi del 1799 va, quindi, letto ed
analizzato rifuggendo da schemi precostituiti. Non si tratta di valutare se sia stato
solido o gracile il loro attaccamento alla monarchia minacciata, quanto piuttosto di
verificare il livello di autonomia goduto e rivendicato nel governo pastorale delle
diocesi. Desumere, inoltre, da episodi contingenti la loro convinta o necessitata
adesione al regime francese per classificare l’appartenenza ad uno schieramento
rispetto ad un altro finisce solo per semplificare un problema, di per sè abbastanza
complesso. È certo che i vescovi hanno avuto una parte non trascurabile nelle vi-
cende del 1799. Sia durante la prima fase repubblicana sia durante quella sanfedi-
sta. Non è raro trovare presuli, che con i loro atti pubblici legittimano l’uno e l’altro
regime. Classificare però in maniera opportunistica siffatti comportamenti può
24 - Cfr. E. CHIOSI, A. Serrao: apologia e crisi del regalismo nel Settecento napoletano, Napoli
1981; P. STELLA, G. Capecelatro, in “Dizionario Biografico degli Italiani”, 18, 1975, pp. 445-52.
M. Spedicato Tra rivoluzione e controrivoluzione 81
successiva al 1799) 25 che spesso l’adesione formale alla Repubblica avviene per
stato di necessità, ovvero per cause di forza maggiore, al fine di salvaguardare l’auto-
nomia episcopale da ingerenze esterne e, nello stesso tempo, con lo scopo di limita-
re i danni e le conseguenze negative sulla chiesa loro affidata. Ragioni, quindi, di
convenienza pastorale suggeriscono maggiore flessibilità e disponibilità. Requisiti
che consentono in più circostanze di gestire con lungimiranza e con equilibrio crisi
difficili, oltre che di dare sbocchi moderati alle diverse insorgenze popolari.
Tra il primo, minoritario, ed il secondo, maggioritario, gruppo di presuli si
registrano distanze notevoli, dovute essenzialmente alle competenze che si vogliono
assegnare alla funzione episcopale. I vescovi regalisti e giansenisti insistono nel valo-
rizzare l’autonomia pastorale fino a prospettare una forte riduzione del potere papa-
le nel governo delle diocesi; quelli conservatori, invece, si dichiarano “devotissimi”
del pontefice romano, ma anche docili sudditi del sovrano, a cui spesso guardano
per dare legittimazione ai loro atti 26. Tuttavia tra coloro i quali aderiscono alla
repubblica con convinzione e quelli per stato di necessità si può trovare un punto di
contatto non proprio trascurabile, desumibile dalle motivazioni con cui anche ‘a
posteriori’ cercano di giustificare la loro (provvisoria o duratura) adesione. La difesa
della scelta in favore della repubblica poggia sul rispetto che i pastori della chiesa
debbono al governo dominante (qualsiasi esso sia), in virtù di uno specifico obbligo
espresso dallo stesso S. Paolo in una lettera ai romani, con la quale richiama i cristia-
ni all’obbedienza dell’autorità costituita. Ancorandosi ad un riferimento così forte
sia gli uni come gli altri vescovi coinvolti esorcizzano non solo l’accusa di tradimen-
to, ma ritrovano anche spazi per valorizzare una decisione, che in quella particolare
congiuntura appare senza alternative.
I vescovi di Capitanata, tranne, come già segnalato, qualche isolata eccezione
che esprime posizioni estremistiche di netto rifiuto del nuovo regime, nella loro
stragrande maggioranza si collocano nello schieramento conservatore, certamente a
difesa del trono e dell’altare, ma attenti anche a non compromettere le prospettive
del magistero pastorale. La collaborazione con le nuove municipalità “democratiz-
zate” si spiega con la necessità di salvaguardare le ragioni della chiesa e nello stesso
tempo di garantire la coesione sociale. Da qui un atteggiamento politicamente di
basso profilo, che consente a molti di tollerare la repubblica e di diventare interlo-
cutori discreti del governo, senza rinnegare nulla del loro passato. Un passato che
riemerge con tutto il suo peso non appena il movimento sanfedista vittorioso apre
le porte della restaurazione borbonica. Come nella fase della rivoluzione, anche in
quella della controrivoluzione l’episcopato si presta con la sua autorità e con la sua
presenza nelle manifestazioni pubbliche a dare legittimazione al potere costituito,
ad inneggiare in favore della monarchia, a riscoprire l’antica vocazione legittimista.
La parentesi repubblicana viene però troppo rapidamente oscurata, se di lì a poco,
con il Decennio francese, i vescovi meridionali sono chiamati a prove ancora più
dure 27.
27 - Cfr. M. MIELE, Il clero nel regno di Napoli, 1806-1815, cit.; IDEM, Il governo francese e la
residenza dei vescovi nell’Italia meridionale (1806-1815), in “Rivista di Storia della Chiesa in Italia”,
29, 1975, pp. 45-81; per l’episcopato pugliese si veda in particolare M. SPEDICATO, L’episcopato
pugliese durante il Decennio francese, cit.
83
1 - L’atto istituivo del corpo nell’ordinamento regnicolo risale infatti al lontano 22 aprile del
1563; cfr. Nuova collezione delle Prammatiche del Regno di Napoli, Napoli 1803, pp. 179-187. In
questo testo è contenuta l’intera raccolta delle prammatiche emanate in materia di milizie civili dal
1563 al 1803, cfr. ivi, pp. 178-312. Lo Stato avrebbe continuato ad affidare alle milizie civili (e per
esse, come si dirà, alle élites locali) ampie responsabilità nella difesa interna almeno per tutta la
prima metà dell’Ottocento. Per questo motivo le guardie civiche si configurano come una tappa
fondamentale nel processo di transizione dalla delega feudale al monopolio statale della violenza
legittima, tappa durante la quale la difesa interna venne condivisa dallo Stato con rilevanti settori
della società. Sulla questione della delega feudale della funzione militare tra seconda metà del ’700
e prima metà dell’Ottocento cfr. A. M. RAO, Antiche storie e autentiche scritture. Prove di nobiltà a
Napoli nel Settecento, in Signori, patrizi, cavalieri nell’età moderna, a cura di M. A. VISCEGLIA,
Roma-Bari 1992, p. 280; EAD., Esercito e società a Napoli nelle riforme del secondo Settecento, in
“Rivista italiana di studi napoleonici”, 1, 1988, n. s., pp. 93-159; E. CHIOSI, Il Regno dal 1734 al
1799, in Storia del Mezzogiorno, vol. IV, tomo II, Roma 1986, p. 413; per la normativa sulle milizie
dal decennio al 1848 cfr. S. TIECCO, Le milizie civili nell’Italia meridionale (Terra di Bari): 1806-
1848, tesi di dottorato di ricerca, Università degli Studi di Bari, a.a. 1998-1999.
2 - ASF, Dogana, s. V, b. 86, fasc. 5537, c. 26r., Rapporto del Tribunale della Dogana alla
Segreteria di Stato e d’azienda, Foggia 1-10-1799.
84 La Capitanata nel 1799 S. Tiecco
3 - L’11 agosto del 1798, constata la “infinita lentezza con cui procede[va] la leva de’ volontarii”,
Ferdinando era costretto a “completare le piazze mancanti ne’ Reggimenti del Real Esercito” ordi-
nando “una Leva di Milizie Provinciali”. In esecuzione del reale dispaccio, in ogni “Città Terra e
Casale” del Regno si sarebbero dovuti sorteggiare 8 militi per ogni 1.000 abitanti affinché fossero
immediatamente incorporati, “durante l’attual straordinario armamento, al [Real] Esercito”; Reale
dispaccio per l’arruolamento delle milizie provinciali, in M. BATTAGLINI, Atti, leggi, proclami ed altre
carte della Repubblica napoletana 1798-1799, Chiaravalle centrale 1983, vol. I, p. 166; cfr. S. LA
SORSA, La vita di Bari durante il secolo XIX, parte prima, Dalla fine del secolo XVIII al 1860, Trani
1913, p. 55. Per le reali ordinanze del 24 febbraio e del 20 aprile 1798 relative al reclutamento dei
volontari, cfr. M. BATTAGLINI, Atti, leggi, proclami, cit., pp.165-166, 168n..
4 - Su tali riforme cfr. A.M. RAO, Esercito e società, cit., pp. 93-159; E. CHIOSI, Il Regno dal
1734 al 1799, cit., pp. 373-467, passim; F. LO FARO, Ordine pubblico e disciplina collettiva in Sicilia
tra la fine del XVIII secolo e la rivoluzione del 1820, in “Rivista italiana di studi napoleonici”,
XXVIII, 1991 (n. s.), pp. 91-123.
5 - La riflessione illuminista aveva molto dibattuto il rapporto esistente tra forme di “reggi-
mento” politico e di organizzazione militare ed aveva portato alla contrapposizione di due modelli
dominanti: quello monarchico-dispotico fondato sull’esercito regolare (e cioè professionale, sti-
pendiato e permanente) e quello repubblicano fondato invece sull’ideale del cittadino-soldato. Per
il dibattito settecentesco sul rapporto fra guerra e politica si veda A. M. RAO, Esercito e società a
Napoli, cit., pp. 93-159; EAD., Guerra e politica nel “giacobinismo” napoletano, in Esercito e società a
Napoli nell’età rivoluzionaria e napoleonica, a cura di A. M. RAO, Napoli 1990, pp. 187-245; EAD.,
Organizzazione militare e modelli politici a Napoli fra illuminismo e rivoluzione, in Modelli della
storia del pensiero politico, II, La rivoluzione francese e i modelli politici, a cura di V.I. COMPARATO,
Firenze 1989, pp. 39-63.
S. Tiecco Ordine pubblico e controllo sociale 85
chia 6. La cesura segnata dalla parentesi repubblicana del ’99 nella parabola evoluti-
va delle milizie civili fu determinata dal particolare “stato di guerra” in cui si venne
a trovare l’ex Regno, anche a prescindere dalla presenza delle truppe francesi e dal-
l’ambiguo rapporto che legò Napoli alla “Grande Nazione” e che rese la repubblica
un regime, diremmo, a “sovranità limitata”, almeno per quanto attenne al settore
militare 7. Nel ’99 vi fu la coincidenza di un conflitto bellico e di una rivoluzione
politica e ciò produsse due immediate conseguenze: in primo luogo equiparò le
esigenze della difesa interna a quelle della conquista propriamente militare del ter-
ritorio alla causa repubblicana; in secondo luogo connotò in senso politico la stessa
funzione della difesa interna. Infatti, le municipalità “democratizzate” non dovette-
ro soltanto difendersi dalle invasioni di truppe nemiche, ma dovettero anche orga-
nizzarsi per fronteggiare le minacce che venivano mosse loro dall’interno stesso
delle singole realtà locali, sia che si concretizzassero in reati comuni, sia che assu-
messero una chiara connotazione “controrivoluzionaria”.
Tanto la funzione politica quanto quella repressivo-poliziesca affidata alle guar-
die nazionali vennero sottolineate in tutti i proclami dei patrioti e nelle leggi ema-
nate dalle autorità centrali. Così nelle Istruzioni generali del Governo Provvisorio
della Repubblica napoletana la milizia civica era presentata come un baluardo delle
libertà, lo strumento con il quale i “buoni Cittadini” 8, gli “uomini liberi”, potevano
6 - Il trapianto dell’ideale del cittadino soldato nell’ordinamento regnicolo era avvenuto nel
1782 quando Ferdinando aveva sancito “che ogni Cittadino [era] un difensore nato della sua
Patria, e del suo Re; che il suo primo dovere [era] di prendere le armi contro al nemico dell’una e
dell’altro”. Sull’accoglienza riservata alla riforma della milizia del 1782 da parte dell’establishment si
veda E. CHIOSI, Il Regno dal 1734 al 1799, cit., pp. 444-446; A. M. RAO, Le strutture militari nel
Regno di Napoli durante il Decennio francese, saggio di prossima pubblicazione.
7 - Sull’argomento si veda per tutti A.M. RAO, Guerra e politica, cit., pp. 187-245.
8 - Nella dicitura “buoni Cittadini” era sottinteso un complesso di qualità economico-sociali
(l’essere “possidente”) e politiche (l’essere “patriota”) che contrapponevano i destinatari degli ap-
pelli alle “masse”, ai “lazzari”, agli “artigiani torbidi” quasi innatamente caratterizzati invece da
tendenze anarchiche se non controrivoluzionarie. Come si legge in un messaggio del Comitato
militare di Napoli “la virtù [era considerata] la base di ogni ben fondata Repubblica […]; ma
presso un popolo invecchiato nella schiavitù, atterrito dalla più spaventevole delle Tirannidi e forse
circondato da vili e clandestini perturbatori, questa virtù non [poteva] radicarsi senza un’assidua e
mai interrotta cura del Governo”; Messaggio dal Comitato militare della Municipalità ai cittadini per
invitarli ad arruolarsi nella Guardia Nazionale, Napoli s. d., in M. BATTAGLINI, Atti, leggi, proclami,
cit., vol. II, p. 792. Compito affidato dal governo alla guardia nazionale non era solo quello di
difendere il regime, ma anche di diffondere tale virtù. In altri termini, per i “giacobini” del ’99 (così
come era stato per gli esponenti del riformismo settecentesco) il servizio nelle milizie repubblicane
svolgeva anche un ruolo pedagogico, era uno strumento di crescita morale e contribuiva a far
86 La Capitanata nel 1799 S. Tiecco
prendere coscienza ai cittadini della perfetta coincidenza fra interesse pubblico ed interesse privato.
Sulla funzione pedagogica attribuita al servizio nelle milizie civiche si veda M. DELFICO, Discorso
sullo stabilimento della milizia provinciale [s.t.], Teramo 1782, p. XV; Ragionamenti economici,
politici e militari riguardantino la pubblica felicità dedicati a S. M. la Regina delle due Sicilie dal
Principe di Strongoli. Seconda edizione con moltissime aggiunte, divisa in due parti, Napoli 1783 (la
prima edizione era del 1782); A. M. RAO, Organizzazione militare e modelli politici, cit., pp. 39-63.
9 - Appare assolutamente generica e perciò fuorviante l’identificazione della componente eversiva
della società repubblicana nella categoria professionale degli artigiani. Evidentemente, infatti, ogni
realtà locale aveva la propria classe di individui facinorosi, generalmente individuabile in funzione
della specifica distribuzione della povertà fra le diverse categorie socio-professionali locali. L’enun-
ciata equazione poteva presumibilmente valere per la realtà della metropoli napoletana, ma non si
adattava a quella delle città pugliesi studiate da chi scrive per le quali le cronache del tempo segna-
lano due categorie sociali “pericolose”: quella dei marinai per le municipalità costiere, e quella dei
contadini per città dell’interno. Cfr. G. PETRONI, Storia di Bari dagli antichi tempi sino all’anno
1856, vol. II, (ristampa anastatica dell’edizione di Napoli 1857-1858), Bologna 1980, p. 223 e
segg.; G. C. BERARDUCCI e V. BISCEGLIA, Cronache dei fatti del 1799, a cura di G. CECI, Trani 1900,
passim; F. LO FARO, Conflitti sociali e lotta politica nel Mezzogiorno del tardo Settecento: Terra di Bari
tra antico regime e rivoluzione, tesi di dottorato di ricerca dell’Università degli Studi di Catania, a.a.
1995-1996, p. 252; G. A. e E. TEDESCHI, Ascoli Satriano dal 1799 al 1829, a cura di M. SIMONE,
Napoli-Foggia-Bari 1963, p. 24 e segg., il libro è una sintesi del manoscritto originale conservato
nella BPF, ms., n. 140.
10 - Preambolo del decreto dell’Assemblea dei rappresentanti sulla organizzazione della Guardia
Nazionale del Comune di Napoli, Napoli 6-2-1799, in M. BATTAGLINI, Atti, leggi, proclami, cit., vol.
II, p. 775. Si fa ampio riferimento alla normatva varata per la guardia nazionale della capitale
perché le milizie repubblicane di tutti i dipartimenti dovettero organizzarsi, “per quanto […]
possibile, sul metodo prefisso e pubblicato pel Comune di Napoli”; art.IV, Il Comitato Centrale del
G[overno] P[rovvisorio] stabilisce le norme relative alla contabilità della G[uardia] N[azionale] in
tutti i Dipartimenti della Repubblica, Napoli 31-3-1799, ivi, p. 813.
S. Tiecco Ordine pubblico e controllo sociale 87
11 - Preambolo e art. XI, decr. 6-2-1799, in M. BATTAGLINI, Atti, leggi, proclami, cit., vol. II,
pp. 775-777. Sul problema della “imprégnation militaire” della società si veda per l’antico regime
A. CORVISIER, Armées et sociétés en Europe de 1494 à 1789, Paris 1976, p. 16 e segg.; per il periodo
rivoluzionario A. M. RAO, Guerra e politica, cit., specie pp. 219-227; per la prima Restaurazione F.
LO FARO, Ordine pubblico e disciplina collettiva in Sicilia, cit., pp. 91-123.
12 - Un regolamento provvisorio pel servizio della Guardia civica da prestarsi ne’ ventiquattro
quartieri destinati ed in altri luoghi, datato 4 aprile 1799, venne approvato dal Governo Provvisorio,
ma “non ebbe seguito ed è sconosciuto alle fonti coeve”, cosicché le norme cui il corpo si attenne
nell’espletamento del proprio servizio sono quelle contenute nel citato decreto del 6 febbraio e
nella legge “organica” del 23 aprile 1799; M. BATTAGLINI, Atti, leggi, proclami, cit., pp. 779-784,
786-788. Per quanto inattuato, questo regolamento descrive puntualmente le mansioni realmente
svolte dalle guardie nazionali del ’99. In esso venivano indicati i compiti degli ufficiali della milizia
(Cap. I e segg.), era fissata a 24 ore la durata dei turni di servizio delle guardie (art. 1, Cap. II) e
soprattutto si davano disposizioni circa le mansioni da svolgere nei turni il servizio (Cap. III), nei
posti di guardia (Cap. IV), e quelle spettanti alle pattuglie (Cap. VII). “La Guardia Civica Nazio-
nale av[eva] due turni di servizio. Il primo pe’ Distaccamenti, per scorte, e per la Guardia de’ Posti;
il secondo per le Ronde, e Pattuglie” (art. 1, Cap. II). Le sentille dei posti di guardia dovevano
restare armate “pure dentro alla Galitta” e di notte dovevano “percont[are] le persone, che pass[ava]no
pel loro Posto colla voce di chi Viva” (artt. 17, 21, Cap. IV). “Vedendo, o sentendo le sentinelle una
rissa vicino al loro Posto”, o rendendosi conto del divampare di un incendio, dovevano gridare
“all’arme” per consentire l’intervento di uomini dal corpo di guardia, ma non dovevano intervenire
autonomamente (artt. 19, 26, Cap. IV). Spettava alle pattuglie, comandate sempre da un caporale
e “solo nei casi urgenti, e premurosi, […] da un Ufficiale, o Sergente”, “arrest[are] tutti coloro che
commette[va]no risse, o disordini” e condurre i rei “al Quartier Generale, dove sar[ebbero stati]
messi in prigione” (artt. 1, 3, Cap. VII). Norme dettate dal G[overno] P[rovvisorio] in materia di
disciplina della G[uardia] N[azionale] vennero emanate invece il 12 marzo, il 6 e il 21 aprile del
1799. Con il primo decreto in ordine di tempo si stabilivano le pene previste per “le trascuraggini
di servizio nella Guardia Nazionale”, “le mancanze di disciplina” e “i delitti d’insubordinazione” (le
pene andavano dagli arresti nei corpi di guardia alla pena di morte); con il secondo decreto si
proibiva alle guardie “soprannumerarie” (e cioè fuori servizio) di portare le armi o di indossare
88 La Capitanata nel 1799 S. Tiecco
l’uniforme; con l’ultimo si vietava “a qualunque Cittadino, che si trova[va] ascritto nelle Legioni
attive di passare fra’ contribuenti, come anche di cambiar Compagnia”; M. BATTAGLINI, Atti, leggi,
proclami, cit., pp. 815-816.
13 - Senza contare i proclami e le numerosissime disposizioni particolari (quali ad esempio il
Regolamento per la divisa ed il vestiario della Guardia Nazionale, Napoli 12-4-1799, ivi, p. 784), nel
breve arco della parentesi repubblicana, vennero varati: un decreto (Napoli 6-2-1799, ivi, pp. 775-
777) ed una legge per l’organizzazione della guardia nazionale della città di Napoli (Napoli 23-4-
1799, ivi, pp. 786-789); istruzioni relative alla coscrizione della guardia nazionale in tutti i diparti-
menti della Repubblica (Napoli 12-3-1799, ivi, pp. 793-794); quelle relative alla cavalleria (Napoli
3-4-1799, ivi, p. 810) e alla contabilità del corpo sia della capitale che delle diverse municipalità
(Napoli 31-3-1799 e 27-4-1799, ivi, pp. 811-4). Disposizioni relative al servizio della guardia
nazionale erano inoltre contenute anche nelle istruzioni sulle dipendenze dei Commissari di Polizia
(Napoli 9-4-1799, ivi, pp. 832-833, art. 7) e in quelle relative all’organizzazione della gendarmeria
(Napoli 31-3-1799, ivi, pp. 834-835, artt. 2, 6, 10).
14 - In realtà l’adozione del modello francese di organizzazione della difesa interna comportò
anche la creazione della gendarmeria cui affidare il “mantenimento della tranquillità esterna” e cioè
“la polizia delle Campagne”, la sicurezza delle comunicazioni, “del commercio interno”, delle perso-
ne e delle proprietà “contro gli assassini e i malintenzionati”. Per l’organizzazione del corpo si decise
che i “Commissari de’ dipartimenti, di concerto con le rispettive Municipalità” eleggessero, tra “i
soggetti più benemeriti e coraggiosi” della guardia nazionale, un contingente di uomini da destinare
alla gendarmeria proporzionato alla possibilità che ciascun comune aveva di pagarli. Onde garantire
“l’accerto della sicurezza pubblica”, i gendarmi, che dovevano riunirsi “nel Capo-luogo del canto-
ne”, dovevano stare “in continuo movimento”; artt. 1-2, 5-6, Istituzione e organizzazione della
Gendarmeria, Napoli 31-3-1799, ivi, p. 834. Notizie relative alla presenza della gendarmeria nel
dipartimento dell’Ofanto sono contenute nella cronaca del Tedeschi. Giuseppe Antonio Tedeschi ci
informa che il 15 maggio del ’99 il “capitan di gendarmeria” Prospero Fiordelisi, di stanza a Troia,
dava disposizioni alla municipalità di Ascoli riguardo al trattamento che la cittadina avrebbe dovuto
riservare a 3.000 soldati provenienti da Bovino che sarebbero di lì transitati per dirigersi poi verso
Altamura; cfr. G. A. e E. TEDESCHI, Ascoli Satriano, cit., p. 16.
S. Tiecco Ordine pubblico e controllo sociale 89
15 - Cfr. Il Comitato Centrale del G[overno] P[rovvisorio] stabilisce le norme relative alla contabi-
lità della G[uardia N[azionale] in tutti i dipartimenti della Repubblica, Napoli 31-3-1799, artt. I-
IV, in M. BATTAGLINI, Atti, leggi, proclami, cit., pp. 812-813. Fra le norme contenute in questo
decreto vi era la divisione della “massa della Coscrizione […] in due classi l’una sedentanea e l’altra
attiva”. I cittadini maschi abili alle armi erano “tenuti al servizio personale, senza che se ne po[tessero]
esentare con qualunque pagamento”, mentre tutti gli altri (i cosiddetti “sedentanei” o “contribuen-
ti”) dovevano surrogare tale onere personale con il pagamento di una tassa mensile il cui introito
complessivo veniva poi impiegato per provvedere al “mantenimento economico” del corpo. Il
compito di operare una simile distinzione spettava alla municipalità, ferma restando la ratifica del
commissario del governo e dell’ufficiale destinato all’organizzazione.
16 - Sulla base di quel poco che è dato di conoscere circa la composizione socio-professione
delle guardie nazionali del ’99 si può affermare che anche nella fase repubblicana l’intera articola-
zione gerarchica del corpo venne definita nel pieno rispetto degli equilibri sociali esistenti in loco e
ciò nonostante le leggi avessero stabilito che le nomine dei graduati (dai caporali ai capitani) di
ciascuna compagnia dovessero essere effettuate per cooptazione diretta dei sottoposti da parte dei
rispettivi diretti superiori (art. VI, decr. 6-2-1799, cit.) e successivamente dalla truppa mediante
elezione diretta (art. 19, L. 23-4-1799, cit.). Il rispetto delle gerarchie e degli equilibri sociali nella
selezione dei quadri di comando delle milizie (come dei corpi regolari) venne osservato ancora a
lungo al punto che per gran parte dell’Ottocento continuò a valere la regola generale secondo la
quale i nobili dovevano fornire gli ufficiali superiori, i “borghesi” gli ufficiali ed i sottufficiali, il
“popolo” la truppa.
90 La Capitanata nel 1799 S. Tiecco
nel 1797 17 ed era quindi un esponente di spicco dell’élite sociale cittadina 18. Il
comandante della guardia nazionale di Ascoli Satriano fu Luigi d’Autilia, figlio del
notaio Potito, presidente della municipalità. Dopo la strage degli ascolani del 2 e 3
maggio, la guardia nazionale venne riorganizzata e posta sotto il comando di Marcia-
no Gallo. Questi era l’emissario di don Angelo Forni, a sua volta agente del duca di
Ascoli, Troiano Marulli, e cioè di colui il quale poteva vantare diritti feudali su quella
cittadina e che, a fine dicembre del 1798, aveva seguito Ferdinando IV in Sicilia 19.
Come si vede, ciò che accomunava tutti questi individui non era tanto (o sol-
tanto) l’appartenenza al giacobinismo o all’élite economico-sociale locale, bensì il
grado di “influenza”, l’autorità, il potere personale che ciascuno di essi esercitava
all’interno della singola comunità. Può essere interessante ricordare i criteri suggeri-
ti da Napoli per la nomina dei vertici di comando delle cosiddette “legioni carboni-
che” organizzate nel 1820-21. Nel nonimestre le autorità centrali diedero precise
disposizioni affinché i comandanti delle milizie civiche reclutate in occasione della
parentesi costituzionale fossero scelti in funzione del grado di “influenza e di
possidenza” del singolo e successe anche che individui estranei al settarismo venisse-
ro preferiti a dei carbonari proprio in virtù del differente grado di potere e di presti-
gio del quale godevano 20. E, sebbene le informazioni disponibili sulle guardie na-
zionali non siano in alcun modo commisurabili a quelle di cui si dispone per le
milizie ottocentesche, in base ai dati in nostro possesso si può affermare che le
analogie fra guardie nazionali del ’99 e “legioni carboniche” del 1820 non si limita-
no ai criteri adottati nella selezione dei quadri di comando di questi due corpi, ma
riguardano anche quelli relativi al reclutamento della truppa 21. Come nel nonimestre,
anche nel ’99 la truppa venne reclutata fra i settori politicamente moderati, ma
20 - Per un’analisi della composizione sociale e del grado di “effervescenza” delle “legioni car-
boniche” cfr. S. TIECCO, Le milizie civili nell’Italia meridionale, cit., pp. 175n., 242. Nel gennaio
1821 quando nella provincia di Terra di Bari si dovette procedere alla formazione dei reggimenti
delle milizie, la giunta di scrutinio giustificò le proprie proposte di nomina adducendo appunto la
“buona” od “ottima” “opinione” ed “influenza” di cui godevano i singoli prescelti. Ciò è quanto
avvenne, ad esempio, in occasione dell’organizzazione della compagnia dei militi di Turi per la
quale “si propo[s]e il Capitano de’ Legionarj Don Gonnelli Antonio, e non il Tenente de’ Militi
Don Giuseppe d’Eramo, perché il primo [aveva] più influenza sul Circondario, ed [aveva] maggio-
ri risorse, essendo ricchissimo proprietario”. Se, in questo caso, la scelta cadde sul Gonnelli in
quanto questi soltanto apparteneva alla carboneria, il caso di Conversano, dove si preferì “Tarsia al
[carbonaro] Tenente Minunni per la ragione di Turi”, è lì a dimostrare che nemmeno nel momen-
to in cui ci si stava ormai preparando per la “guerra santa contro l’Austria” il criterio politico
condizionò in maniera determinante le scelte delle autorità locali; ASB, Intendenza. Legioni e Com-
pagnie Provinciali, Gendarmerie Ausiliarie, b. 8, fasc. non numerato.
21 - Nell’organizzazione delle milizie di Terra di Bari durante il nonimestre la posizione rico-
perta dal singolo nella gerarchia sociale, in quella “militare” ed il grado di “effervescenza” vennero
considerate tre variabili dipendenti legate fra di loro in un rapporto di proporzionalità diretta.
Infatti, se si scorrono gli elenchi delle compagnie delle milizie civili del 1820-21 si vede che più si
scende lungo la gerarchia legionaria e sociale più diminuisce il numero di carbonari e aumenta
quello dei moderati.
92 La Capitanata nel 1799 S. Tiecco
collocati nelle fasce medio-basse della piramide sociale e che per questo rappresen-
tavano una potenziale minaccia all’ordine costituito 22.
L’organico dei corpi di cittadini soldati di ciascuna municipalità era peraltro
notevole, decisamente superiore a quello previsto in “tempo di pace”: la guardia
nazionale di Foggia contava circa 500 individui, quella di Ascoli era forte di 300
uomini divisi in 6 compagnie, quella di Bari era pari a 1.500 guardie e addirittura
quella di Napoli superava le 11.000 unità 23. Ad eccezione della guardia della capi-
tale e di quelle dei centri in cui maggiore fu la presenza delle truppe francesi, il
rapporto fra numero di cittadini soldati ed abitanti fu pari a 1 guardia ogni 12-13
abitanti 24. Quindi, anche a prescindere dalla formale adozione dell’obbligatorietà
del servizio nella milizia repubblicana (principio ribadito in Capitanata dagli uffi-
ciali francesi) 25, in un contesto di massiccia “militarizzazione” della società quale fu
22 - Sappiamo per certo che molte delle guardie di Ascoli, Foggia, Cerignola, erano “artieri” e
provenivano cioè proprio dalla componente sociale che nelle Istruzioni del governo provvisorio era
stata indicatata come la più “torbida”.
23 - Per la guardia nazionale di Foggia si veda BPF, ms., fondo Simone, attualmente in via di
catalogazione; ASF, Dogana, s. V, b. 86, f. 5537, c. 26 r.; S. CAPONE, I racconti della rivoluzione.
Documenti per una storia del 1799 in Capitanata, Foggia 1999, pp. 90, 131-142; per quella di
Ascoli cfr. G. A. e E. TEDESCHI, Ascoli Satriano, cit, p. 10; per quella di Bari cfr. S. LA SORSA, La vita
di Bari, cit., p. 49; G. PETRONI, Della Storia di Bari, cit., p. 213; per Napoli si rimanda ai già citati
atti normativi in M. BATTAGLINI, Atti, leggi, proclami, cit., vol. II, pp. 774-777, 786-788.
24 - Tale rapporto è fin troppo ottimistico giacché, non disponendo del preciso numero di
cittadini maschi, adulti e abili alle armi, è stato calcolato sul totale della popolazione dei diversi
comuni. Per avere un’idea ancor più precisa del livello di “militarizzazione” raggiunto dalla popo-
lazione nel ’99 basti pensare che la “legge organica” sulle milizie civiche del 1808 stabilì che in ogni
comune del regno ci fosse un milite ogni 100 abitanti; cfr. art. 25, Legge per la riorganizzazione delle
guardie civico-provinciali del regno, Napoli 8-11-1808, in Bullettino delle leggi del Regno di Napoli,
Napoli 1808, p. 625.
25 - Sebbene le leggi avessero di fatto introdotto il criterio dell’affidabilità politica come requi-
sito all’allistamento, le autorità centrali decretarono (e poi ribadirono più volte) anche l’obbligato-
rietà del servizio nella guardia nazionale e precisarono che nessuno avrebbe potuto “ottenere alcun
grado, o impiego senza essere precedentemente notato su i registri della Guardia Nazionale”; arti-
colo I del decreto sull’Obbligatorietà del servizio nella Guardia Nazionale e relative sanzioni, Napoli,
26-2-1799, in M. BATTAGLINI, Atti, leggi, proclami, cit., vol. II, p. 778; cfr. S. CAPONE, I racconti
della rivoluzione, cit., p. 135n.. Vincenzo Cuoco criticò duramente le numerose contraddizioni
della legislazione repubblicana sulle milizie e rilevò l’inconciliabilità del principio dell’obbligato-
rietà del servizio con il requisito dell’affidabilità politica delle guardie nazionali; V. CUOCO, Saggio
storico sulla rivoluzione napoletana, con introduzione, note e appendici a cura di Nino Cortese,
Firenze 1926, pp. 178-179, 778.
S. Tiecco Ordine pubblico e controllo sociale 93
il ’99, non era ipotizzabile che le guardie nazionali potessero essere reclutate facen-
do esclusivo affidamento sul concorso dei notabili.
Per i rappresentanti delle categorie socio-professionali pesantemente colpite dalla
crisi economica di fine secolo, aggravata dagli enormi oneri finanziari imposti dalla
guerra, il reclutamento nella milizia civica comportò sì l’onere del servizio persona-
le, ma significò anche poter godere del diritto al soldo 26. È stata già sottolineata la
rilevanza della concessione del soldo alle guardie nazionali del ’99 27, in considera-
zione della crisi economico-finanziaria della repubblica e del principio generale
secondo il quale il servizio personale nelle milizie era un diritto-dovere del singolo
cittadino e non un impiego da retribuire 28. Il fatto che, nel ’99, i possidenti dell’ex
Regno venissero oberati di un’ulteriore imposizione per “prezzolare” le guardie,
oltre che per procurare le forniture necessarie al servizio della milizia, può essere
spiegato solo a patto di accettare l’idea che il soldo venisse concesso come una sorta
di “sussidio di povertà”, come deterrente dei saccheggi, oltre che, ovviamente, come
incentivo al servizio stesso 29.
26 - Sappiamo che per il mantenimento della guardia di Marciano Gallo di Ascoli Satriano, il
comune dovette “sostenere il peso di dc. quaranta al giorno”; G. A. e E. TEDESCHI, Ascoli Satriano,
cit., p. 15. Non conosciamo invece l’esatto importo dell’onere di mantenimento della guardia
nazionale di Foggia, ma sappiamo che anche questa milizia fu “prezzolata” grazie alla più o meno
regolare riscossione della “tassa civica” imposta ai “buoni e cattivi soggetti di ogni arte” oltre che ai
gentiluomini di quella città; ASF, Dogana, s. V, b. 86, fasc. 5558, c. 61v., dispaccio del presidente
generale del tribunale della Dogana alle autorità cittadine, Foggia 17-7-1800. Oltre al soldo con-
cesso ai miliziotti, i proventi della tassazione imposta alla classe dei “contribuenti” servivano per
fornire il corpo delle armi, munizioni, carbone ed olio per le lanterne (necessari nei turni di notte)
e, come si vedrà in seguito, del foraggio per i cavalli degli ussari della guardia. Anche “tutt’i con-
trabbandi che [furo]no arrestati dalla Guardia nazionale, si vers[aro]no nella di lei Cassa” di introi-
to ed esito di ogni comune, nella quale confluivano appunto tutti i fondi destinati al mantenimen-
to della milizia; art. VI, decr. 31-3-1799, in M. BATTAGLINI, Atti, leggi, proclami, cit., vol. II, p. 813.
27 - Si fa riferimento alla relazione dal titolo Ordine pubblico e controllo sociale in Terra di Bari
tra rivoluzione e Restaurazione (Altamura 15-10-1999), tenuta da chi scrive nel Convegno di studi
‘Patrioti’ e ‘insorgenti’ in provincia: il 1799 in Terra di Bari e Basilicata (Altamura e Matera 14-16
ottobre 1999) i cui atti verranno prossimamente pubblicati.
28 - Questo principio generale avrebbe giustificato la gratuità del servizio ordinario prestato
dai cittadini in armi delle milizie civico-provinciali per tutta la prima metà dell’800; cfr. S. TIECCO,
Le milizie civili nell’Italia meridionale, cit., cap. II.
29 - Ovviamente, il soldo costituiva anche un valido deterrente all’adesione di questi gruppi
sociali al partito dei “regalisti”: a Bisceglie (un comune sito a pochi chilometri da Bari) si decise di
aumentare la paga delle guardie per impedire che queste accogliessero l’invito fatto loro dai “regalisti”
ad arruolarsi tra le loro fila avendoli allettati con le rosee prospettive del saccheggio delle città
“democratizzate”; cfr. G. CECI, Cronache, cit., p. 335.
94 La Capitanata nel 1799 S. Tiecco
Quindi, comandate dai più influenti, o se si preferisce dai più potenti, cittadini
delle singole municipalità, stipendiate, “riempite” di esponenti presi fra i settori
medio-bassi, ma moderati, della società, sottoposte ad un regime disciplinare pres-
soché militare, le guardie nazionali del ’99 non svolsero esclusivamente una funzio-
ne repressiva, di difesa armata nei confronti della società esterna. Esse agirono an-
che di per sé stesse come ammortizzatore delle tensioni socio-economiche latenti e,
insieme, come strumento di disciplinamento, se non di politicizzazione 30, delle
componenti sociali potenzialmente eversive o controrivoluzionarie che erano state
cooptate all’esercizio della funzione “militare”. Alla luce di quanto si è sin qui detto
i corpi di cittadini soldati si delineano come un’entità complessa, non solo perché
posta a metà strada fra le funzioni e l’esercizio di tutela dell’ordine e quelli del
controllo sociale, ma anche per lo stretto e, a sua volta, complesso rapporto che
collega le guardie nazionali alla realtà locale e agli equilibri, alle dinamiche, ai con-
flitti e alle tensioni comunali 31. Questi corpi costituivano infatti lo strumento at-
traverso il quale i gruppi locali egemoni esercitavano, esibivano e soprattutto con-
servavano il proprio potere sulla società 32.
30 - È stato autorevolmente sostenuto che l’organizzazione delle guardie nazionali era dettata
da “motivazioni di ordine politico e fiscale più che propriamente militare” e che quindi il recluta-
mento nella milizia repubblicana fu principalmente “uno strumento di mobilitazione, aggregazione
e controllo dello ‘spirito patriottico’” e “un mezzo di tassazione sui benestanti che chiedevano l’esen-
zione dal servizio attivo”; per tutti A. M. RAO, Guerra e politica, cit. p. 216 da cui è tratta la citazione.
31 - Altro elemento di complessità è il “carattere misto” delle milizia civica e cioè il suo essere
“in parte corpo militare, in parte corpo di polizia civica” con tutti i problemi che ciò comportava
non solo sul piano normativo per pervenire ad un’esatta distinzione fra le mansioni dei diversi
corpi armati (regolari e non) esistenti, ma anche sul piano delle dipendenze gerarchiche e, quindi,
dei conflitti di competenza che inevitabilmente venivano a crearsi. Su tale rilevante questione si
rimanda per tutti a L. ANTONIELLI, Tra polizia e Militare: la Guardia Nazionale della Repubblica
Cisalpina, in Esercito e società a Napoli, cit., specialmente pp. 100-106.
32 - L’appartenenza al corpo venne percepita ed utilizzata dai cittadini soldati come un’oppor-
tunità per accrescere (o fondare) il proprio prestigio e potere personale sui concittadini e per questo
motivo tale appartenenza venne ostentata a dispetto delle disposizioni normative. Prova di ciò
sono gli innumerevoli decreti e bandi emanati nel vano tenativo di far rispettare alle guardie fuori
dai turni di servizio il divieto di girare per la città armati e/o in divisa. A puro titolo esemplificativo
si citano per la parentesi repubblicana artt. I-II, delle norme disciplinari per le guardie nazionali
soprannumerarie, Napoli 6-4-1799, in M. BATTAGLINI, Atti, leggi, proclami, cit., vol. II, p. 816; per
la prima Restaurazione le istruzioni per le Pattuglie, e le Sentinelle, emanate a Foggia il 10 luglio del
1799; ASF, Dogana, s. V, b. 86, fasc. 5558, c. 31 r.. Numerosissimi sono i decreti e le circolari
ministeriali di questo tipo relative all’Ottocento per le quali si rimanda a ASB, Intendenza, Legioni
e Compagnie Provinciali, Gendarmerie Ausiliarie, specie b. 3, fasc. 12.
S. Tiecco Ordine pubblico e controllo sociale 95
Cesare d’Alessandro, d. Agostino Papa” 37: il primo era il giudice di pace della mu-
nicipalità, il secondo, un ecclesiastico, era tenente della 1a compagnia della guardia
nazionale di Ascoli. Il primo maggio si ebbe la reazione degli emissari del duca:
Forni incontrò Marciano Gallo e poi lasciò il paese mentre l’altro fomentò un
tumulto popolare. Uno dei risultati conseguiti da questa “controrivoluzione” fu
l’arresto di numerosi “giacobini” fra i quali un terzo del corpo ufficiali della guardia
nazionale di Luigi d’Autilia. Il giorno seguente, un deputato della municipalità,
Francesco Paolo Selvitella, che era riuscito a sottrarsi al carcere “dichiarandosi reali-
sta”, tentò di liberare i suoi compagni, ma il suo gesto non fece altro che fornire alla
controparte un valido pretesto per procedere ad un’esecuzione in massa dei giacobi-
ni carcerati e non 38. Fatta pressoché piazza pulita dei repubblicani della prima ora,
il 6 maggio del ’99 si poteva procedere all’elezione della nuova municipalità e Mar-
ciano Gallo otteneva il comando della nuova guardia nazionale di Ascoli, approvata
da Foggia l’8 maggio 39. Il 13 di quel mese, don Angelo Forni poteva, quindi,
rientrare in una città ormai pienamente restituita al suo potere.
Ciò che preme evidenziare della vicenda ascolana, non è la mobilità o l’uso
strumentale degli schieramenti politici e l’interscambiabilità dei ruoli e delle posi-
zioni dei singoli in una realtà locale evidentemente caratterizzata da un “modo
‘arcaico’ di far politica” 40 e cioè schiacciato sulle logiche fazionarie. Al di là del
paradosso di una guardia nazionale comandata dagli emissari del duca d’Ascoli e
dai mandanti della strage dei giacobini, ciò che qui preme sottolineare è il fatto che
Forni e Gallo si siano mostrati del tutto disinteressati ad assumere personalmente la
presidenza della municipalità, ma abbiano invece lottato strenuamente per assicu-
rarsi e mantenere il comando sulla milizia civica cittadina. Il potere personale degli
emissari del duca sugli ascolani ed il comando sulle milizie civili da essi esercitato
direttamente a partire dal maggio del 1799 fino ai primi mesi della Restaurazione
borbonica 41, erano più che sufficienti per costoro per dirigere l’evoluzione del cor-
so politico nel senso da essi desiderato, almeno fino al 7 febbraio 1800 quando
“dalla truppa, venuta improvvisamente”, veniva “catturato e messo a morte Marcia-
no Gallo” e si avvicinavano le noie anche per il Forni 42.
Le vicende ascolane non sono del resto un’eccezione: anche a Foggia si verifica-
rono casi in cui l’organizzazione e l’attività delle milizie vennero piegate agli interes-
si e alle esigenze delle élites locali. Tuttavia, se quanto accadde durante la parentesi
repubblicana non produsse uno scontro fra le diverse fazioni o i centri di potere
cittadini, quanto si realizzò nei primissimi mesi della Restaurazione borbonica gra-
zie all’azione congiunta e solidale del gruppo dirigente locale, fu la sostanziale tra-
sformazione della milizia civica in qualcosa di molto prossimo ad uno strumento di
contropotere saldamente controllato dagli amministratori della città e dal coman-
dante del corpo di cittadini soldati.
Per quello che ci è dato di sapere, durante il trimestre rivoluzionario a Foggia non
accaddero episodi di rilievo relativamente all’attività della milizia repubblicana. Pro-
babilmente a causa della presenza francese in città, l’organizzazione della guardia na-
zionale avvenne nel pieno rispetto delle norme dettate da Napoli ed il servizio reso dal
41 - Se nel periodo rivoluzionario gli emissari del duca si spinsero fino al punto di compiere un
massacro pur di perseguire nei loro intenti, nella prima Restaurazione instaurarono un clima di
terrore perché venisse riconfermato loro il comando sulle reali guardie urbane organizzate per
ordine del visitatore generale della provincia Ludovici. Forni riuscì ad essere nominato comandan-
te di un corpo che era composto, guarda caso, “di soli galantuomini, artigiani ed altra gente di città,
non essendosi toccata la gente di campagna principalmente per non interessarla”; invece, Marcia-
no Gallo, che aveva avuto modo di macchiarsi di altri delitti, oltre alla strage dei primi di maggio,
continuò ad esercitare un potere di fatto e le funzioni di comando sulla guardia di campagna
organizzata a fine ottobre del 1800, ma non ottenne mai una ratifica ufficiale del suo incarico; cfr.
G. A. e E. TEDESCHI, Ascoli Satriano, cit., pp. 24-25.
42 - Angelo Forni venne arrestato a Napoli il 18-7-1800, ma fu scarcerato l’8-8-1800; cfr. ivi,
pp. 34-35. La vicenda di Gallo (esempio di trasformismo politico), che aveva favorito la
“regalizzazione” di alcune municipalità, non può essere pienamente assimilata a quella dei capi
massa del ’99. Tuttavia, la sua eliminazione da parte delle truppe borboniche resta un esempio del
difficile rapporto che si instaurò nei mesi immediatamente successivi alla restaurazione monarchi-
ca fra la corona e quanti avevano concorso alla “regalizzazione” del Regno; cfr. M. CAFFIERO, Perdo-
no per i giacobini, cit.; G. ALESSI, Giustizia e polizia. Il controllo di una capitale. Napoli 1779-1803,
Napoli 1992, passim.
98 La Capitanata nel 1799 S. Tiecco
corpo assicurò alla città un clima di relativa pace sociale 43. In conformità con quanto
disposto dal Governo Provvisorio, la popolazione foggiana venne divisa “in due classi
l’una sedentanea e l’altra attiva”; gli attivi vennero a loro volta ripartiti fra le diverse
compagnie della guardia nazionale a piedi e, a partire da fine marzo, anche in quelle
della milizia repubblicana a cavallo, di cui il generale Duhesme dispose l’organizza-
zione 44. Il corpo entrò in attività fin dall’indomani dell’innalzamento dell’albero del-
la libertà 45, anche grazie all’opera di addestramento che un ufficiale, Vincenzo Pesce,
dovette svolgere prima ancora che il generale francese lo nominasse “Tenente ed Istrut-
tore” della cavalleria 46. Il servizio ordinario 47 della guardia nazionale fu di “rondare”
di giorno e di notte per le vie di Foggia, di fare la guardia al quartiere generale del
corpo e alle porte della città, di fornire le “guardie avanzate” 48. Ma le guardie naziona-
li, e specialmente quella a cavallo, dovettero anche agire di concerto con le truppe
francesi tanto nel pattugliamento delle campagne, per controllare le vie di comunica-
zione e prevenire le mosse del nemico e reprimere le azioni dei “malintenzionati” 49,
quanto nelle operazioni di “democratizzazione” dei centri del dipartimento ancora
fedeli alla monarchia. L’impegno dei corpi civili nella conquista militare del territorio
dell’ex Regno era ovviamente caldeggiata dalle autorità napoletane e dagli ufficiali
rispettivi ufficiali ispettori. Uno di questi rapporti, datato 10 febbraio 1799, ci descrive una città
tranquilla nella quale “non vi [era] stata novità alcuna, ma si [era] stata nella perfetta pace”. Gli
ufficiali ispettori erano gli ufficiali “destinati per turno ad essere in servizio” con l’incarico di “visita-
re” tutti i “luoghi affidati alla custodia della Guardia civica nazionale” e responsabili del corpo “du-
rante le 24. ore di questo servizio”; art. 1, Regolamento provvisorio pel servizio della Guardia Civica
nazionale, Napoli 4-3-1799, cit., in M. BATTAGLINI, Atti, leggi, proclami, vol. II, cit., p. 779 e segg..
46 - Don Vincenzo Pesce era un ex “Tenente della cavalleria del Reggimento Roccaromana” e
aveva contribuito a democratizzare la città; SASL, Protocolli notarili, s. II, vol. 3127, cc. 28r-28v,
atto pubblico stipulato a Foggia il 22-6-1799 dal notaio Emilio Borgia; cfr. S. CAPONE, I racconti
della rivoluzione, cit., p. 211.
47 - Per espletare il servizio ordinario le guardie di turno venivano quotidianamente divise in
pattuglie di 10-15 uomini l’una. La divisione delle guardie di turno in pattuglie e, in genere, la
diffusione di qualunque informazione relativa ai turni di guardia e al servizio del corpo avvenivano
nella piazza antistante il “Municipio” o in chiesa, ossia nei luoghi pubblici per eccellenza. Tale
scelta mirava ad assicurare la massima pubblicità e diffusione possibili alle comunicazioni di servi-
zio e nulla ha invece a che vedere con un uso strumentale della religione e dei ministri del culto da
parte dei francesi e dei repubblicani che, relativamente ad altre questioni, pure ci fu; BPF, fondo
Simone, cit..
48 - Le cosiddette “guardie avanzate” erano pattuglie di sentinella o di ronda negli avamposti,
ossia nei “posti di guardia”, siti in luoghi strategici fuori della città; cfr. SASL, Protocolli notarili, s. II,
vol. 1501, c. 66 v., atto pubblico stipulato a San Severo il 27-6-1799 dal notaio Carlo De Dominicis.
Il presidio delle campagne nel foggiano e, in generale in Capitanata, restò questione di vitale impor-
tanza anche dopo la caduta della repubblica, tant’è che il 28 luglio del ’99, il capitano della squadra
della Dogana di Foggia, Giacomo Battaglia, chiedeva al tribunale della Dogana “che si mettessero le
guardie avanzate in Campagna a tutti i Capistrada, che portano in questa città” onde potere dispor-
re “che in mano di d[ett]e Guardie avanzate [tutti i forestieri venuti a Foggia] depositassero le armi,
affinché entrassero in città inermi”; ASF, Dogana, s. V, b. 86, fasc. 5558, c. 36 v.
49 - Queste mansioni erano normalmente affidate alla guardia nazionale a cavallo in tutte le
municipalità in cui si trovavano di stanza delle truppe regolari. Prova di ciò è fornita dalla cronaca
di quei giorni resaci da Vitangelo Bisceglia per la realtà altamurana caratterizzata anch’essa dalla
presenza di un contingente di truppe di linea e del “Generale Comandante della Guardia Civica
del Dipartimento”, Mastrangelo di Montalbano; cfr. G. CECI, Cronache, cit., p. 323.
100 La Capitanata nel 1799 S. Tiecco
francesi e va peraltro considerata anche come parte di una accorta politica difensiva
che mirava a impedire l’isolamento delle singole municipalità e, nel caso dei centri
pugliesi, anche ad assicurare i collegamenti dei dipartimenti con la capitale onde
garantire a Napoli un continuo e costante approvvigionamento di viveri. Peraltro,
non si deve dimenticare che nel ’99, parallelamente all’organizzazione dei corpi di
difesa urbana, procedeva anche il reclutamento delle cosiddette “legioni patriottiche”
e cioè di milizie irregolari che svolsero una funzione eminentemente militare combat-
tendo al fianco delle truppe francesi. La compagnia “degli Ussari volontari della Guardia
nazionale di Foggia” comandata dal capitano Orazio Salerni dei marchesi di Rose
partecipò attivamente alla “democratizzazione” di alcuni importanti centri pugliesi e
si trasformò in milizia patriottica. Questa compagnia aveva “dimandato tutta intera
di seguire il Quartier Generale di Broussais [sic]” quando questi era partito con i suoi
uomini alla volta dei centri del Barese. “Lo zelo, l’attività, il coraggio e il patriottismo”
dimostrati dall’ufficiale foggiano in occasione della “totale disfatta dei ribelli di An-
dria” furono tali che il Comitato rivoluzionario lo propose al “grado di Generale di
Brigata della Guardia Nazionale del Dipartimento” 50. Convertendo le compagnie
della guardia in legioni patriottiche da un lato e dall’altro attribuendo una forte valen-
za politica alle azioni di conquista militare dei centri “regalizzati”, le autorità costituite
riuscirono a passare sotto silenzio e a fare accettare come legittima quella che era una
sostanziale deroga al mandato espressamente civile attribuito normativamente alle
guardie nazionali. Non si deve peraltro dimenticare che la mancata soluzione delle
ambiguità normative relative al “carattere misto” del corpo condizionò l’intera para-
bola evolutiva delle milizie civili e costituì uno dei tratti caratteristici dell’intera legi-
slazione in materia ancora per tutta la prima metà dell’Ottocento 51.
50 - Il Monitore Napoletano, cit., n 15, 30-3-1799. Figlio del marchese Saverio Salerni, che
sarebbe stato arrestato per il suo giacobinismo subito dopo l’ingresso a Foggia del generale Miche-
roux, il ventiduenne Orazio venne deferito alla Giunta militare di Napoli per essere scarcerato sola-
mente a seguito dell’indulto del 17 febbraio del 1801. Orazio Salerni era il marito di Caterina Zezza,
figlia di quel Francesco Paolo che, per essere stato membro della municipalità di Foggia, venne
inscritto fra i rei di Stato e sottoposto al sequestro dei beni. Il nome di Francesco Paolo Zezza
compare nell’elenco dei carcerati per reati politici datato 21 aprile 1800. (SASL, Protocolli notarili, s.
II, vol. 3200, cc. 17 r.- 18 v., atto pubblico stipulato il 3-5-1799 dal notaio Amanzio Della Martora
di Foggia; ASF, Dogana, s. V, b. 40, f. 4390, c. 58). Sulla famiglia Salerni si veda anche A. VITULLI,
Una famiglia di patrioti foggiani: I Salerni marchesi di Rose, in “La Capitanata”, 2, 1994, pp. 143-161.
51 - Per la normativa ottocentesca relativa al carattere misto del corpo e riguardo ai problemi
che l’ambigua connotazione militare sortì nella cosiddetta classe legionaria nel secolo XIX cfr. S.
TIECCO, Le milizie civili nell’Italia meridionale, cit., cap. II, specie pp. 79-82.
S. Tiecco Ordine pubblico e controllo sociale 101
52 - Serafino della Martora era stato “costretto dai giacobini ad arruolarsi come milite nella
Guardia Civica”. Questo individuo, che nella prima Restaurazione avrebbe cercato di dimostrare
d’aver svolto un ruolo rilevante nella “regalizzazione” della città, durante il periodo repubblicano si
“rifiutava di eseguire i pattugliamenti e le esercitazioni militari”, cosicché “i soldati”, dopo averlo
invitato inutilmente “a rispettare il suo turno di sentinella” lo deferivano al “secondo tenente Enri-
co Ravallese” e questi a sua volta “al comandante di piazza Pepe Giuseppe”. Alla fuga del della
Martora che ne era seguita, il comandante di piazza rispondeva ordinando “di arrestarlo ovunque
si trovasse”. Sebbene rintracciato da una pattuglia, il ricercato riusciva a fuggire; SASL, Protocolli
notarili, s. II, vol. 3127, cc. 65 v.-67 r., atto pubblico stipulato a Foggia il 22 novembre 1799 dal
notaio Emilio Borgia. Sulla presunta attività controrivoluzionaria svolta da della Martora durante
la parentesi repubblicana anche come reclutatore di uomini cfr. ivi, vol. 3790, cc. 123 r.-126 r.,
atto pubblico stipulato a Foggia il 3 novembre 1799 dal notaio Giovanni Battista Sorrentini. Sul
suo ruolo nella “regalizzazione” di Foggia cfr., ivi, vol. 3281, cc. 77 r.-77 r., atto pubblico stipulato
a Foggia il 27 maggio 1799 dal notaio Angelo Cicella; S. CAPONE, I racconti della rivoluzione, cit.,
p. 91n.. Come a Napoli, un po’ ovunque numeroso era il numero dei realisti nella guardia civica
“che procura[va]no di aumentarsi e di rendersi superiori di forza”; C. DE NICOLA, Diario napoleta-
no, cit., p. 88.
53 - BPF, Fondo Simone, cit..
102 La Capitanata nel 1799 S. Tiecco
54 - Nel ’99 infatti, alla massiccia militarizzazione della società non era corrisposta un’equiva-
lente espansione del corpo ufficiali (i 10 capitani della guardia nazionale di Foggia costituivano il
solo 2% dell’organico totale del corpo). Così le aspirazioni a funzioni e ruoli di comando di molti
esponenti delle élites locali erano destinate a rimanere per lo più deluse. Nell’organizzazione delle
pattuglie ciò poteva produrre vistose alterazioni al tradizionale parallelismo esistente fra gerarchia
sociale e gerarchia “militare”, e faceva sì che esponenti del gruppo patrizio nobiliare si trovassero
costretti a prestare proprio servizio agli ordini e alle dipendenze di graduati di truppa provenienti
da settori sociali medio-bassi della società. Infatti, a tali gruppi sociali, che fornivano la percentuale
maggiore di uomini alla milizia e ai quali era precluso l’accesso ai vertici del corpo, veniva general-
mente riconosciuta una considerevole quota dei posti di graduato di truppa (sergenti e caporali).
Uno dei correttivi approntato a livello normativo per ovviare ai “guasti” derivanti da un simile
stato di cose venne fornito dal limite di tempo imposto alla durata delle cariche. Il criterio della
turnazione dei quadri di comando, favorendo il ricambio del corpo ufficiali, doveva alleviare (e
comunque rendere temporaneo) il disagio dei rappresentanti delle élites sociali rimasti sprovvisti di
gradi al momento della cosiddetta “originaria organizzazione”. La durata massima delle cariche era
stata fissata in sei mesi, ma non è difficile trovare municipalità in cui le nomine degli ufficiali e
graduati delle pattuglie avvenivano addirittura quotidianamente; cfr. artt. 19-22, L. 23-4-1799, p.
787; Durata in carica degli Ufficiali della G. N. e norme per la loro nomina, s. d., p. 807.
55 - Anche Ruffo aveva suggerito al cavaliere Micheroux di affidare la difesa interna di Foggia
ad una guardia urbana al fine di disarmare i giacobini, “per non dire ch’era assai meglio catturarli”;
ASN, Esteri, b. 4331. La sostituzione della guardia nazionale con quella monanchica, sancita dalle
autorità borboniche in tutti i centri “regalizzati”, era in realtà un atto più formale che sostanziale:
generalmente la “reale guardia urbana” manteneva la struttura interna, la “forza” e spesso gli stessi
uomini (con l’unica eccezione dei vertici di comando del corpo) della milizia repubblicana. Nel
S. Tiecco Ordine pubblico e controllo sociale 103
periodo pre-rivoluzionario. Per Foggia questo significava che la polizia della città, e
quindi, il potere d’ispezione e di comando sugli organi preposti alla sicurezza inter-
na dovevano essere restituiti al presidente del tribunale della Dogana o, per esso, a
un suo delegato scelto fra i magistrati di quel tribunale 56. L’impiego di pattuglie di
guardia urbana in funzione di supporto alla squadra della Dogana (il corpo nor-
malmente incaricato della “Polizia della città”) era normativamente lecito, ma, con
il ripristino dello status quo ante, l’amministrazione dell’università di Foggia risulta-
va espropriata della funzione di comando sulla milizia che aveva esercitato durante
la parentesi repubblicana e, di fatto, veniva privata di una propria, autonoma forza
caso foggiano pare, però, che la milizia monarchica fosse composta quasi esclusivamente da “arti-
giani e bottegai, protagonisti della controrivoluzione cittadina” arruolati, fra gli altri, dal tenente
Nicola Maria Urbano, fervente realista fin dai tempi della repubblica, fra “i suoi uomini più fida-
ti”; S. CAPONE, I racconti della rivoluzione, cit., p. 93 n.. Risulta difficile crede che una guardia
comandata dall’ex presidente della municipalità e composta di ben 10 compagnie di 50 guardie
l’una (compreso il capitano e il tenente) sia stata interamente organizzata secondo i dettami di un
qualunque tenente. È invece più probabile che Urbano abbia riempito la propria compagnia di
suoi sodali, analogamente a quanto era accaduto a Foggia in passato per l’organizzazione corpora-
tiva delle pattuglie. Peraltro, l’intera vertenza apertasi fra il tribunale della Dogana e i reggimentari
dimostra che forte era il grado di lealtà e di coesione dimostrato dal corpo nei confronti del gruppo
dirigente locale. Inoltre, nella prima stesura di una lettera (poi emendata del testo qui citato)
inviata al cardinale Ruffo il 3 agosto del ’99, i ministri del tribunale dicevano espressamente che la
guardia urbana di Freda era stata “formata dagli avanzi della già guardia civica” repubblicana; ASF,
Dogana, s. V, b. 86, fasc. 5537, c. 16 r..
56 - “Fin dall’anno 1779 credette S. M. espediente al suo Regal Serv.io, e al Buon ordine di
questa città di affidare la Polizia della medesima al Presid.e di questa Dogana colla facoltà di
suddelegare un Ministro del Trib.le, che più gli fosse piaciuto. Da quel tempo in poi i Presid.i Gov.i
sono sempre stati in possesso di questo interessantissimo Ramo di giurisdizione; né è mai salito, o
poteva mai salire in testa agli amm.ri del pubblico, o a qualunque privato concittadino di prender-
ne ingerenza. Hanno i Presid.i Gov.i, o per essi i suddelegati disimpegnata la incombenza, avvalen-
dosi della forza della Dogana, e anche formando delle pattuglie di guardia urbana”; ASF, Dogana,
s. V, b. 86, fasc. 5537, cc. 21r.-21 v., Lettera del presidente del tribunale della Dogana, Giuseppe
Gargani, al preside di Lucera, marchese Isastia, Foggia 30-9-1799. Il reale rescritto cui si fa riferi-
mento risaliva al 19 giugno del 1779, stando a quanto si legge in un rapporto inviato dallo stesso
tribunale di Foggia alla segreteria di Stato e di azienda il primo ottobre del 1799; ivi, cc. 25 r.- 29
v.. Giuseppe Gargani detenne la carica di presidente del tribunale della Dogana dal 1795 all’agosto
del ’99 quando venne sostituito da Vincenzo Sanseverino; ivi, s. I, b. 708, f. 21; ivi, b. 86, fasc.
5558, 5375. Per tutto il periodo di cui qui si tratta il “suddelegato” per la polizia della città fu
Giovanni de Gemmis, uditore del tribunale della Dogana; la delega gli venne conferita da Gargani
il 13 giugno del 1799 e successivamente gli fu riconfermata il 14 agosto e il 23 settembre 1799 da
Sanseverino; ivi, s. V, b. 86, fasc. 5558, cc. 54r., 64 r.. Capitano della squadra della Dogana di Foggia
era il già citiato Giacomo Battaglia.
104 La Capitanata nel 1799 S. Tiecco
esecutiva. Quindi, oggetto del contendere non era la sola affermazione dell’esclusi-
va titolarità del potere di disposizione e di comando sulla “real guardia urbana” di
Foggia, bensì la rivendicazione della stessa capacità d’intervento e di governo sulla
società che da tali poteri sulla milizia in gran parte dipendeva 57. Protagonisti di
questa sorta di strascico rivoluzionario, seppure calato in un contesto formalmente
“regalizzato”, furono Ludovico Freda e altri ex municipalisti e “giacobini” che erano
stati chiamati ad amministrare la città alla vigilia dell’ingresso del cavaliere Miche-
roux a Foggia 58. La riconferma al potere di individui seriamente compromessi con
i fatti del ’99 denota la contraddittorietà delle scelte effettuate nella prima fase della
restaurazione monarchica, ma soprattutto dimostra che, in quel momento, la que-
stione dell’ordine pubblico assunse un’importanza prioritaria anche rispetto alle
esigenze dell’epurazione del gruppo dirigente locale 59.
Infatti, se gli organi di potere non erano “regalizzati” e i giacobini non appariva-
no affatto “disarmati”, la società intera si mostrava tutt’altro che pacificata. A desta-
re le preoccupazioni delle autorità costituite non era soltanto il dilagare dello “spiri-
57 - Nel pieno dello scontro per la soppressione della guardia del Freda il tribunale della Do-
gana parlerà dell’operato della milizia in questi termini: “Il Trib.le, allora, che vedeva con suo
rammarico di volersi sostituire la Forza privata, alla pubblica, e di fomentarsi con ciò lo spirito
d’insubordinaz.e in vece di sbandirne i residui, fu nel caso d’informarne il nostro Degn.mo Vic.o
Gen.le”; ivi, fasc. 5537, c. 27r., Relazione del tribunale della Dogana alla Segreteria di Stato e
d’azienda, Foggia 1-10-1799.
58 - Presidente della municipalità repubblicana di Foggia era Ludovico Freda e gli altri com-
ponenti erano: Giuseppe Liborio e Francesco Paolo Celentano, Domenico Maria Cimaglia, Pa-
squale de Nisi, Francesco Paolo Villani, Francesco Paolo Zezza, Domenico de Luca, Francesco
Saverio Massari, Nicola Maria Rota, Giuseppe Antonelli, Giuseppe della Rocca, Girolamo del
Pezzo, Andrea de Carolis, Giuseppe Azzariti, Ottavio Gaeta, Emilio Patroni, Francesco Rosati,
Giovanni Pepe. Il 22 maggio del 1799 Pasquale de Nisi, Giuseppe Liborio Celentano, Ludovico
Freda e Domenico Cimaglia, in qualità di “Mastrogiurato ed Eletti dell’attual Governo” accoglie-
vano a Foggia il cavaliere Micheroux e il 21 giugno dello stesso anno, quegli stessi individui avreb-
bero accolto al palazzo della Dogana il governatore Antonio Candida, “destinato dal cardinal
Ruffo a ristabilire l’ordinamento borbonico a Foggia”; cfr. S. CAPONE, I racconti della rivoluzione,
cit., pp. 93, 138. Nemmeno allora gli ex municipalisti sarebbero stati rimossi dai loro incarichi e lo
scontro per l’abolizione della “real guardia urbana” avvenne fra questi reggimentari e il tribunale.
59 - Generalmente l’autorità borbonica “rimetteva in carica gli antichi ufficiali, purché non
avessero avuto ingerenza nella passate vicende” repubblicane; cfr. S. LA SORSA, La vita di Bari, cit.,
p. 76. Il caso foggiano dimostra come, di fronte alle preoccupante condizione dello “spirito pubbli-
co”, l’appartenenza dei nuovi reggimentari e del comandante della milizia all’élite cittadina fornisse
garanzie di affidabilità sufficienti a far passare in subordine il loro personale coinvolgimento con il
governo repubblicano e ciò nonostante a Foggia l’epurazione fosse già iniziata da tempo. Infatti, se
S. Tiecco Ordine pubblico e controllo sociale 105
il Micheroux, al suo ingresso a Foggia, aveva liberato tutti (o quasi) i detenuti del carcere della
Dogana, il 2 agosto del 1799 il capitano Battaglia chiedeva altri uomini per poter custodire le
prigioni nelle quali “vi [era]ono circa trenta individui detenuti per materia di Stato”; ASF, Dogana,
s. V, b. 86, fasc. 5537, c. 10r.. Fra i prigionieri doveva esserci anche Michele Cinquepalmi, ex
segretario della municipalità, che era stato già carcerato durante la controrivoluzione, liberato dal
Micheroux e nuovamente imprigionato come “perturbatore” per ordine di Ludovico Freda; SASL,
Protocolli notarili, s. II, vol. 1098, cc. 262 v.-263 r., atto pubblico stipulato a Foggia il 5-7-1799 dal
notaio Michele Taliento. Sull’entità delle scarcerazioni effettuate dal Micheroux; cfr. S. CAPONE, I
racconti della rivoluzione, cit., pp. 93-94n.
60 - Probabilmente fu proprio a causa delle preoccupazioni che destava lo “spirito pubblico”
cittadino che a Foggia, il processo di delegittimazione (e quindi di criminalizzazione) dei reati
commessi in nome di un presunto lealismo monarchico, cominciò contemporaneamente alla for-
male “regalizzazione” delle istituzioni. Oltre che dalle voci allarmanti diffuse dai “perturbatori” e
da delinquenti armati che giravano vestiti con gli abiti dei soldati delle squadre della Dogana o
camuffati con il “manto, o qualunque altro abito per nascondere il viso”, “la pace dei buoni Citta-
dini” di Foggia era compromessa da ragazzi e giovanotti armati di pietre, mazze e fionde che, uniti
in “squadre a guisa di soldati”, minacciavano chiunque capitasse loro sotto tiro. Inoltre, a partire
dal giugno del 1799 si moltiplicano le segnalazioni di “masnade” e di gruppetti di “uomini armati
in unione per que[ll]e Campagne, e territori”; ASF, Dogana, s. V, b. 86, fasc. 5558, cc. 1v.-6v..
Bando sull’ordine pubblico emanato da de Gemmis il 15 giugno del 1799; cfr. bandi successivi ivi,
cc. 43 r.-45 r; cc. 75 r.-76 v.; cc. 78 r.-81 r..
61 - “Come i soldati di campagna di questo Tri.ble [e i Soldati della Guardia Urbana], cui è
affidata la custodia della Città, delle volte invece di conservare la custodia della med.a, la turba[va]no
colle carcerazioni capricciose, e fatte al fine di estorcere denaro, o di sfogare altre private passioni”,
de Gemmis ordinava “loro di mantenersi ne’ limiti del dovere poiché abusando de’ loro impieghi,
ne [sarebbero] rima[asti] subito privi, e sar[ebbero stati] puniti secondo le circostanze, che [aveva-
no] accompagn[at]o i loro eccessi”. Inoltre, “acciò la moderaz.ne, che da essi si esige[va] non li
[avesse] fa[tti] cadere nell’indolenza, espressam.te” il tribunale comandava che soldati e guardie
procedessero “alla carceraz.ne de’ controvertitori di q.l Bando, de’ Rei degli altri delitti, che [avesse-
ro] trova[to] nella flagranza, e di quelli di cui [avessero] precedenti ordini di magistrati”; ASF, Doga-
na, s. V, b. 86, fasc. 5558, cc. 3 v.-4 r, artt. 6-8 del citato bando del 15 giugno 1799. È importante
sottolineare che i documenti d’archivio e le stesse disposizioni prese da de Gemmis dimostrano che
gli uomini di Battaglia erano soliti agire con altrettanta arbitrarietà e discrezionalità delle guardie di
Freda. Come si vedrà, però, gli abusi della squadra della Dogana erano considerati atti di disobbedienza
ed erano attribuiti a precise responsabilità individuali, mentre quelli dei cittadini soldati venivano
considerati veri e propri attentanti all’ordine pubblico e al regime monarchico.
106 La Capitanata nel 1799 S. Tiecco
chiari segnali di forte conflittualità e antagonismo fra gli uomini della squadra della
Dogana e le guardie urbane di Ludovico Freda, al punto che l’uditore de Gemmis
era stato costretto ad intervenire personalmente, regolamentando i rapporti di col-
laborazione fra i due corpi di pubblica sicurezza in modo tale da ridurre al minimo
indispensabile le occasioni d’incontro fra guardie e soldati 62.
È in questo clima di forte tensione che un evento esterno offrì al presidente del
tribunale Gargani l’opportunità per chiedere lo scioglimento della “Regal guardia
urbana” del Freda e per risolvere a suo vantaggio il conflitto apertosi con gli ammi-
nistratori cittadini. Con lettera del 30 luglio del ’99 il preside di Lucera aveva infor-
mato il tribunale della Dogana di Foggia del veto opposto dal re alla creazione di
una guardia urbana a Campobasso organizzata sull’esempio di quella foggiana “co’
di loro Uffi[cia]li, e Comandanti”, “non dovendosi in tempo di pace mantenere tali
truppe, le quali distoglievano il popolo da’ suoi affari” 63. Convocata una riunione
straordinaria dei ministri del tribunale, il 2 agosto del 1799, il presidente Gargani
risolse di rendere immediatamente esecutiva la “Reale Determinazione per la di-
smissione della Milizia Urbana” e di accordare al capitano Giacomo Battaglia la
62 - In base alle istruzioni alla guardia urbana spettava di rondare “dalle ore 24. fino alle 4.”,
mentre ai soldati della Squadra del tribunale tale onere spettava “dalle ore 4. fino al giorno”. Fermo
restando l’obbligo imposto a entrambi i corpi di darsi reciprocamente “man forte” dietro una
richiesta formale, per evitare che “avven[isse] qualche confusione, o disordine quando nelle ore
destinate alle pattuglie delle Guardie” accadeva che “una, o l’altra a[vesse] bisogno di far uscire uno,
o più soldati per servizio”, gli ufficiali responsabili dovevano “rispettiv.e darsene l’avviso” preventi-
vo. È importante rilevare anche che queste stesse istruzioni disponevano che gli ufficiali di guardia
delle pattuglie della squadra della Dogana presentassero quotidianamente il rapporto al “Suddele-
gato di Polizia di quello, che mai [fosse] avvenuto la notte precedente”. Come si vede, se l’obbligo
di restare consegnati nei propri corpi di guardia durante il turno di riposo dal pattugliamento
scongiurava il rischio che guardie e soldati armati s’incontrassero per le vie della città, gli orari
fissati per i turni di servizio e l’obbligo di fare rapporto espressamente imposto ai soli soldati del
capitano Battaglia riducevano al minimo indispensabile anche le possibilità che lo stesso de Gemmis
fosse costretto a incontrare le guardie urbane; ASF, Dogana, s. V, b. 86, fasc. 5558, c. 31 r-32v., artt.
2-7, Istruzioni per le Pattuglie, e le Sentinelle, Foggia 10-7-1799.
63 - ASF, Dogana, s. V, b. 86, fasc. 5537, c. 22v., lettera del tribunale della Dogana al Marchese
Isastia, Foggia 30-9-1799. Il re aveva negato all’università di Campobasso il permesso di formare
“ad esempio di Foggia un corpo di Milizia urbana, comandandola co’ di loro Uffi.li, e Comandan-
ti”; ASF, Dogana, s. V, b. 86, fasc. 5537, c. 12, Lettera di Ruffo al marchese Isastia, Napoli 24-7-
1799. Il preside di Lucera ne aveva informato il presidente del tribunale della Dogana con altra sua
missiva del 30 dello stesso mese.
S. Tiecco Ordine pubblico e controllo sociale 107
facoltà di reclutare altri uomini nella squadra della Dogana 64. In sostanza il tribu-
nale sfruttava a suo vantaggio la distinzione formale, fatta propria dall’estensore
della volontà sovrana, fra il reclutamento di uomini in supporto alle forze militari
istituzionali, che continuava ad essere consentito, e l’organizzazione di un vero e
proprio corpo paramilitare dotato di una propria gerarchia interna, che era stata
arbitrariamente effettuata dalle autorità cittadine. L’esistenza di un vertice di co-
mando della milizia era una circostanza senza precedenti dal momento che anche
“quando la Guardia Urbana [era stata] creata per l’addietro solo nelle urgenze mo-
mentanee, non [aveva] mai avuto altro capo del Magistrato che l’a[veva] istituita, o
qualche altro Individuo surrogato da Lui, e a Lui sempre subordinato” 65.
La risposta delle autorità cittadine fu immediata. Mentre il comandante Ludo-
vico Freda prendeva tempo e poi mostrava di obbedire agli ordini del tribunale 66,
gli amministratori eludevano il problema sollevato da quei ministri, fingendo di
non averne pienamente intesi i termini e la rilevanza, e chiedevano lumi riguardo
una decisione che essi dimostravano essere inopportuna, controproducente e arbi-
traria sotto ogni profilo 67. Partendo dall’assunto che per il caso foggiano il re aveva
risoluto che “restasse ad arbitrio di Vs. Ill.ma [Gargani] unire quella gente che
stimava necessaria per il servizio pubblico” e sottolineando da subito che, quindi,
64 - Il capitano Battaglia era stato convocato nella seduta straordinaria per essere “interrogato
se colla forza ordinaria potev’adempire esattamente a tutte le incumbenze, e precise alla Custodia
alle Carceri della Città coll’allontanare i delitti”. Poiché questi aveva risposto che non era “ciò
possibile senza l’aggiunsione di dieci, o dodici altri individui”, il tribunale permise al Battaglia di
aggiungere “all’istante altri individui coraggiosi, non inquisiti, e probi per impiegarli a tenore delle
circostanze”; ASF, Dogana, s. V, b. 86, fasc. 5537, relazione del tribunale della Dogana, Foggia 2-
8-1799.
65 - Ivi, c. 26r., Rapporto del tribunale della Dogana alla Segreteria di Stato e d’azienda, Fog-
gia 1-10-1799.
66 - Quello stesso 2 agosto Ludovico Freda così scriveva a Gargani: “conviene che si compiac-
cia dirmi a punto fisso cosa debba io fare in ubbidienza delle Regali risoluzioni: A me spetta
eseguire, e non interpretare le leggi”. Il giorno seguente i ministri del tribunale rispondevano al
comandante della milizia “che d[oveva] dismettere la Guardia Urbana prontissimamente” e
aggingevano che la lettera del preside di Lucera “non [aveva] bisogno d’interpretarsi”; ivi, c. 11. I
documenti di epoca successiva parlano di una formale dismissione della guardia di Freda, ma come
si vedrà, se mai ci fu, essa fu temporanea.
67 - La lettera datata 2 agosto 1799, è firmata dagli amministratori cittadini Pasquale de Nisi,
Giuseppe Liborio Celentano e Domenico Cimaglia e contiene una vibrante protesta nei confronti
della risoluzione del “Presidente Governatore della Regia Dogana” cui la missiva è indirizzata; ivi,
cc. 7 r-11 v..
108 La Capitanata nel 1799 S. Tiecco
dismissione della guardia di Ludovico Freda ottenuta a dispetto “degli ostacoli messi
dagli amm.ri di questa univ.tà” 71. Il fatto che le guardie non avessero restituito né
“una quantità speciosa di armi, […] né alcuni fondaci di questo Regal Palazzo
Doganale usurpatisi fin dal tempo dell’anarchia” 72 e, soprattutto, che il comandan-
te mantenesse in attività i suoi uomini trasformando il corpo in una vera e propria
milizia privata 73 non ridimensionava affatto la portata di una vittoria che sul piano
formale poteva considerarsi assoluta. Infatti, il presidente del tribunale era riuscito
a collocare l’azione del corpo che si era sempre sottratto alla sua autorità al di fuori
della legge e aveva quindi trasformato quanto in precedenza era spacciato come
pubblico servizio dei cittadini soldati in esercizio abusivo della violenza praticato da
privati cittadini. Il problema però si ripropose con maggiore forza quando “ragioni
di Stato” fecero sì che Napoli ordinasse la riorganizzazione della real guardia di
Ludovico Freda restituendo con ciò legittimità a quanto era stato cassato come
abuso. Il tribunale, che aveva dimostrato di aver compreso la gravità della questione
fin da quando aveva denunciato che con l’organizzazione della milizia “apparente-
mente si tenta[va] di uscire dall’Anarchia, ma che in sostanza si vo[leva] sostenere
col non restituire alle leggi, e ai Magistrati di S. M., […], l’autorità loro dovuta” 74,
era costretto ad attivare tutti i possibili canali con le autorità governative per caldeg-
giare un loro intervento finalmente risolutivo. È importante sottolineare che, nel
perorare la propria causa, i magistrati della Dogana affrontassero la questione della
difesa interna in termini squisitamente politici e ancora più espliciti rispetto a quanto
non avessero già fatto in passato. Infatti, essi affermavano, privando il tribunale del
potere di comando e d’ispezione sulla guardia urbana e trasformando gli uomini
della squadra della Dogana in “Enti inesistenti per lo serv.o della potestà legittima”,
71 - ASF, Dogana, s. V, b. 86, fasc. 5537, c.22 v., lettera del tribunale della Dogana al preside
di Lucera, Foggia 30-9-1799.
72 - Ivi, c.27 r., lettera del tribunale della Dogana alla Segreteria di Stato e d’azienda, Foggia 1-
10-1799.
73 - Il 15 agosto, ad esempio, l’ex comandante della “regal guardia urbana” aveva posto i suoi
uomini di piantone alle porte della città per impedire che i forestieri “sorti[ssero] brighe e altercazioni”
con la popolazione residente. In particolare, si temeva che alcuni “naturali di San Severo”, che
avevano già inviato lettere di minaccia a Freda, convinti che i foggiani “avessero la roba presa nel
sacco di quella cittadinanza”, cercassero di approfittare dei festeggiamenti del giorno di ferragosto
per compiere vendetta; ivi, cc. 7 r-15 r.; lettera del presidente del tribunale della Dogana al preside
di Lucera, Foggia 11-8-1799; cfr. V. PILONE, Storia di Foggia, cit., pp. 17-18.
74 - ASF, Dogana, s. V, b. 86, fasc. 5537, lettera del tribunale della Dogana al Cardinale Ruffo,
Foggia 3-8-1799.
110 La Capitanata nel 1799 S. Tiecco
“gli amm.ri della Città, e la guardia urbana prend[eva]no il luogo per involverci in
un nuovo, e forse altrettanto orribile caos” di quello procurato dai francesi 75. In
una città nella quale la guardia urbana “si era all’intutto sottratta dalla soggezione
[del] Tribunale, e aggiva indipendentemente” 76, i referenti locali del potere centrale
rischiavano di divenire “Enti inesistenti” per il governo stesso della città rimanendo
ostaggio degli amministratori cittadini e della loro milizia privata. Il potere di co-
mando sulla “regal guardia urbana”, esercitato dalle élites locali attraverso i reggi-
mentari e i vertici di comando del corpo, trasformava la questione delle tutela
dell’ordine in problema politico in quanto attribuiva una regia, un preciso orienta-
mento strategico all’azione della milizia e caricava quindi di significati e di una
valenza potenzialmente eversiva quanto “apparentemente” poteva sembrare un sem-
plice atto di insubordinazione o di disobbedienza all’autorità costituita 77.
Grazie all’insistenza con la quale il nuovo presidente del tribunale della Dogana,
Sanseverino, perorò la propria causa presso le autorità centrali, fra l’autunno e l’ini-
zio dell’inverno del ’99 la guardia urbana di Foggia veniva definitivamente aboli-
ta 78 e così i ministri del tribunale potevano procedere al massiccio reclutamento
degli ex cittadini armati di Freda come riserva e supporto della squadra della Doga-
75 - Ivi, cc. 28 r.-28v., Rapporto del tribunale della Dogana alla Segreteria di Stato e d’azienda,
Foggia 1-10-1799; ivi, cc. 23 r.-23 v., lettera del tribunale della Dogana al preside di Lucera,
Foggia, 30-9-1799. Il tribunale spiegava a Napoli come “nel volerla far risorgere gli amministratori
del pubblico, e chiunque altro ci avesse avuta mano, come per istizza di essersi dal Tribunale contro
la volontà loro, altra volta dismessa in forza de’ reali ordini; e chi sa se non per altri fini”, non solo
avevano privato l’autorità legittima di ogni potere d’ispezione e di comando sul corpo, ma addirit-
tura avevano preteso che le pattuglie di guardia urbana “visit[asser]o gli individui della Squadra del
Trib.le”, e che questi ultimi andassero “assolutam.te senz’armi di notte, e per conseguenza, che
[fossero] Enti inesistenti per lo serv.o della potestà legittima”. Inoltre, era anche avvenuto che una
guardia, Nicola Maria Genzano, uccidesse un soldato del tribunale, Domenico Meola, esclusiva-
mente perché quest’ultimo apparteneva alla squadra della Dogana.
76 - Ivi, fasc. 5558, c. 40 r., lettera del tribunale della Dogana alla Segreteria di Stato e d’azien-
da, Foggia 5-10-1799; ma i ministri del tribunale si erano espressi in questi stessi termini anche
con il vicario generale Ludovici, il quale da Benevento faceva sapere loro di avere scritto l’occorren-
te al preside di Lucera circa “l’assurdo [che] costà regna[va] relativamente alla Gu. urbana, che agir
pretende[va] indipendentemente”; cfr. ivi, cc. 41 r. e 42 r.-42 v..
77 - Si ricordi che lo stesso de Gemmis riconesceva che l’esercizio abusivo e discrezionale del
potere repressivo era fenomeno diffuso sia fra le guardie del Freda sia fra i soldati della Dogana.
78 - Non si conosce la data precisa della definitiva abolizione della “regal guardia urbana” di
Ludovico Freda, ma il 5 marzo del 1800 il tribunale ne parlava al vicario Ludovici come di cosa
ormai avvenuta; ivi, c. 46 r., lettera del tribunale della Dogana al Ludovici, Foggia 5-3-1800.
S. Tiecco Ordine pubblico e controllo sociale 111
79 - Il 9 luglio del 1800 Sanseverino chiedeva agli amministratori della città che gli fornissero
i nomi di oltre duecento persone della abolita guardia urbana, “le più oneste, e coraggiose, che non
a[vessero] alcun impedimento di delitto, e che [fosser] attaccati al Re”. Fra quei nominativi il
presidente del tribunale avrebbe poi scelto alcuni individui per “impiegarli con quei stabilimenti
che [avrebbe] prescritto”; ivi, c. 56 r.- 56 v., lettera del tribunale della Dogana agli “Attuali del
governo di Foggia”, Foggia 9-7-1800. Ciò significava che oltre il 40% delle ex guardie veniva
reclutato per supportare la squadra della Dogana nella difesa interna della città. In quell’occasione
le autorità cittadine fecero l’impossibile per ostacolare la volontà del tribunale ritardando l’invio
dei nominativi richiesti e suscitando nuovamente l’indignazione di quei magistrati; cfr. ivi, cc. 57
r.-62r..
80 - Ludovico Freda risulta peraltro incluso nella nota dei rei Stato incarcerati presso quel
tribunale al 21 aprile del 1800; cfr. S. CAPONE, I racconti della rivoluzione, cit., pp. 142-143.
113
1 - Ringrazio il duca Sebastiano Marulli d’Ascoli per avermi consentito di consultare le carte di
famiglia ed i documenti dei tre rami in cui è suddiviso il casato: duchi d’Ascoli, conti di Barletta,
duchi di S. Cesareo. Maria Carmela Marinaccio ha recentemente ricostruito la storia del ramo di
Barletta e non ha mancato di sottolineare come i Marulli, fin dal XVI sec., abbiano svolto un
notevole ruolo nell’economia, nella società e nella vita politica della Puglia. Una famiglia patrizia
pugliese in età moderna: i Marulli, Foggia 1996.
2 - Troiano Marulli fu citato da G. GIUCCI, Notizie biografiche degli scienziati italiani, formanti
parte del VII Congresso di Napoli nell’autunno MDCCCXLV, Napoli, Tipografia parigina di A.
Lebon, 1845, pp. 277-280. Note biografiche sul conte possono leggersi in R. D’ADDOSIO, Trecento
quaranta illustri letterati ed artisti della provincia di Bari, Sala Bolognese, 1976 (rist. anast. dell’ed.
di Bari 1894), p. 70. La bibliografia delle opere del Marulli è in C. VILLANI, Scrittori ed artisti
pugliesi antichi, moderni e contemporanei, Trani, 1904, p. 305. Il conte fu padre dello storico Gen-
naro e del letterato Giacomo (1822-1883), autore teatrale e di poesie in dialetto napoletano. Cfr.
E. DE MURA, Enciclopedia della canzone napoletana, vol. I, Napoli 1968, p. 357.
114 La Capitanata nel 1799 F. M. Lo Faro
pensieri politici, i suoi giudizi personali, le sue considerazioni etiche e morali 3. Nei
suoi scritti il conte fa filtrare sentimenti fortemente orientati in senso legittimista e
filoborbonico. La sua fu una formazione profondamente religiosa, nutrita alle idee
di una “massoneria cattolica” infusagli dal padre, a cui si aggiungeva una cultura
intrisa di intensa propaganda controrivoluzionaria, di marca cattolica. I francesi
erano da lui aborriti e visti come esseri immorali ed irreligiosi, distruttori dell’ordi-
ne stabilito. La sua insofferenza per qualsiasi novità fu totale, al punto che rifiutò di
vaccinare i figli contro il vaiolo, convinto che non bisognasse contrastare in nessun
modo la volontà del Signore. La cifra finale della sua esistenza fu quella di un uomo
bloccato nel passato e, nelle sue pieghe più intime, portato ad una amara riflessione
sull’inaccettabile sensazione che avvertiva vivendo in un’epoca di trapasso, rappre-
sentata dai decenni densi di eventi che stanno a cavallo dei due secoli.
Come tanti altri militari suoi contemporanei il Marulli scrisse delle Memorie,
conservate nell’archivio di famiglia e la cui stesura si colloca dopo “le buffonesche
idee, e demagogiche jattanze dell’anno italiano 1848”. A quell’epoca il conte era
ormai un uomo vecchio e stanco di rivoluzioni. Aveva visto scorrere sotto i suoi
occhi il ’99, il cambiamento di dinastia, le trasformazioni istituzionali del Decennio
francese, i moti costituzionali del ’20-21, le fiammate turbinose del ’48. L’ormai
anziano conte ricorda però con freschezza quella che forse fu l’avventura più esal-
tante della sua vita, ovvero la sua partecipazione alla marcia dalla Puglia a Napoli,
assieme alle truppe russe, sotto le insegne borboniche, alla riconquista della capitale.
Quell’avventura, ricordata dopo molti anni, diventa oggetto di glorificazione.
Nelle sue memorie il conte rimarca il valore delle truppe controrivoluzionarie e ne
esalta le gesta e l’azione fino al tragico. Tace, però, gli episodi di efferatezza che
accompagnarono la reazione. Soffermandosi a riflettere sui caratteri dell’insorgen-
za, Marulli non individua i collegamenti tra legittimismo e violenza. Nega che
molti borbonici agirono unicamente con la prospettiva del bottino e del saccheg-
gio. Disconosce qualsiasi connessione tra insorgenza, da una parte, e brigantaggio o
fenomeni di protesta sociale, dall’altra. La reazione - dice Marulli - non fu condotta
da fanatici e superstiziosi. Il popolo non insorse in nome della religione cattolica, né
in nome delle antiche tradizioni. Ciò che contribuì al recupero del Regno fu il
valore militare dalle armate controrivoluzionarie, comandate da giovani ed orgo-
gliosi ufficiali, che provenivano dalle fila dell’esercito borbonico, quello stesso eser-
cito che nella campagna romana del dicembre 1798 aveva dato una pessima prova
a causa del velleitarismo del generale Mack. Molti encomi il Marulli riserva al cavalier
Antonio Micheroux e alle truppe alleate che, provenienti da Corfù, sbarcarono in
Puglia per sostenere i realisti. Poche e laconiche parole sono invece riservate al car-
dinale Ruffo, le cui azioni sono addirittura sfalsate cronologicamente, forse per fare
rifulgere maggiormente i meriti di altri personaggi e dello stesso conte 4.
Quello che appassiona il Marulli è soprattutto il carattere prettamente militare
dell’impresa sanfedista. Ricostruendo le fasi principali dell’iniziativa controrivolu-
zionaria, il conte enumera le diverse componenti in campo. Descrive la strategia, le
battaglie, la geometrica facilità di penetrazione dell’armata realista. La sua attenzio-
ne si concentra sulle apprezzabili capacità logistiche che consentirono di organizza-
re e mettere in marcia migliaia di uomini. Si sofferma sulla formazione dei corpi
(cavalleria, fanteria, artiglieria) che costituirono il primo nucleo del rinato esercito
borbonico. La sua testimonianza, sebbene talvolta tendenziosa e caratterizzata ideo-
logicamente, resta per noi preziosa e schiude nuove prospettive sulla realtà strategi-
ca, bellica e umana di quei fatti d’arme 5.
Il conte Troiano Marulli ebbe una vita straordinaria. Conviene riassumerla, per
meglio comprendere le pieghe più intime della sua personalità e le ragioni che lo
spinsero ad affermare i principi dai quali dipese la sua azione politica. Per sgombra-
re il campo da equivoci, occorre precisare che il conte non deve andare confuso
4 - Una clamorosa imprecisione riguarda la caduta di Altamura, che è collocata alla fine di
maggio, dopo che Micheroux e le truppe russe avevano già organizzato il grosso della spedizione per
la conquista di Napoli. In realtà accadde esattamente l’inverso. La presa della repubblicana Altamura
da parte di Ruffo rappresentò il vero avvio che spianò la strada alle successive operazioni delle truppe
controrivoluzionarie. È possibile che la ricostruzione sfalsata del Marulli celi i dissapori che correva-
no tra i capi militari realisti e, in particolare, tra Micheroux e Ruffo. Cfr. F. M. LO FARO, L’azione
politica e militare delle forze regie nelle province pugliesi (gennaio-giugno 1799), in Atti del Convegno “Il
Mezzogiorno d’Italia e il Mediterraneo nel triennio rivoluzionario 1796-1799” (Avellino, 18-20 marzo
1999), a cura del Centro di Ricerca Guido Dorso, di prossima pubblicazione.
5 - Il fenomeno delle insorgenze antigiacobine costituisce un tema assai controverso. Per un
aggiornato quadro di insieme vedi A.M. RAO (ed.), Folle controrivoluzionarie. Le insorgenze popola-
ri nell’Italia giacobina e napoleonica, Roma, 1999. Le insorgenze italiane hanno caratteri assai di-
versi da quelle spagnole. Cfr. V. SCOTTI DOUGLAS, La guerriglia antinapoleonica spagnola: la scena e
i personaggi, in “Il Risorgimento” a. XLI, n. 1 (1993), pp. 55-96. Dello stesso a. si veda Le insorgen-
ze antinapoleoniche in Italia: controrivoluzione ideologica o sommosse di affamati; in Atti del Congresso
Internazionale Napoleonico (Cittadella di Alessandria, 21-26 giugno 1997), Alessandria 1999, pp.
557-575.
116 La Capitanata nel 1799 F. M. Lo Faro
6 - Paolo Marulli, terzo conte di Barletta, fu storico, letterato, poeta e filologo. Amico di Me-
tastasio, che conobbe a Vienna, fece parte della Accademia poetica degli speculatori di Lecce.
Appartenne alla massoneria. Altre notizie biografiche su questo personaggio possono leggersi più
oltre.
7 - Come lui stesso ci informa nelle sue Memorie, il conte Troiano Marulli fu uomo non
particolarmente prestante e dall’aspetto tutt’altro che marziale, sempre in preda a malattie croni-
che che provarono il suo fisico, ma non gli impedirono di vivere sino a tardissima età.
8 - Nel collegio, che dopo la soppressione dei gesuiti era diretto dai padri scolopi, il piccolo
Troiano rimane per quattro anni. A 11 anni si stabilì a Bologna, dove proseguì gli studi. Per
qualche anno si trasferì a Pisa e, tornato a Bologna, vi rimase sino ai 22 anni di età. Cfr. Memorie.
9 - La concessione della cittadinanza bolognese rappresentò un piccolo caso diplomatico, che
coinvolse anche l’allora pontefice. Cfr. Archivio di Stato di Bologna, Assunteria di magistrati, 29
sett. 1795. Ringrazio di cuore Giuseppe Troiano Marulli di Barletta per i preziosi suggerimenti e
per avermi segnalato, oltre a quello appena cit., numerosissimi altri interessanti documenti ineren-
ti la sua famiglia.
F. M. Lo Faro Un nobile volontario di cavalleria 117
Quando arrivò “il torrente devastatore Francese sceso dall’Alpi a tutti sconvol-
gere uno per uno i paesi della nostra Penisola infelice”, il Marulli cominciò a speri-
mentare le prime serie difficoltà della sua vita. A causa del passaggio di Bologna
sotto l’influenza francese, fu costretto ad abbandonare quella città ed a tornare nel
Regno di Napoli, dove Ferdinando IV aveva fatto una chiamata personale a tutta la
nobiltà, affinché accorresse alla difesa del Regno minacciato di invasione straniera.
Nobili o benestanti delle province risposero all’appello e, a proprie spese, radunaro-
no, armarono e vestirono volontari 10.
Anche Troiano Marulli nel 1796 volle offrire un numeroso corpo di volontari:
“Io mi credei nel preciso dovere di farlo - rammenta - per la gratitudine sincera, che
nutrivo pel Re, e la Regina per quanto alla morte di mio padre fatto aveano ai miei
Fratelli, e a mia Madre”. Il giovane conte era riconoscente: non aveva dimenticato
che, per volontà dei sovrani, i celebri medici di corte Domenico Cotugno e Miche-
le Troja avevano curato suo padre, ammalato. Quando poi quest’ultimo era morto,
il re aveva assegnato alla vedova una pensione di 40 ducati al mese ed il permesso di
istruire i due figli minori all’Accademia militare di Napoli 11.
Nel clima di disorientamento imposto dalla guerra antifrancese, il Marulli ri-
chiamò in Barletta i suoi fratelli, Carlo e Giuseppe, che si trovavano rispettivamen-
te a Bologna ed a Malta. Tutti e tre intrapresero il servizio militare nel corpo dei
“Volontari nobili di cavalleria”, sotto il comando del principe Leopoldo. Presto
furono insigniti del grado di alfiere 12. Dopo due anni quel corpo fu sciolto. I com-
ponenti furono incorporati nei reggimenti di fanteria e cavalleria della nuova leva
(1798) e, in parte, passarono al servizio nelle piazzeforti e nei castelli 13. Sedici Vo-
lontari Nobili furono promossi al grado di sottotenente (patente dell’8 sett. 1797)
ed insigniti di medaglia d’oro “in ricompensa delle straordinarie commissioni ese-
guite”. Uno dei premiati fu Troiano Marulli, che divenne sottotenente addetto allo
stato maggiore del castello di Barletta 14. Il giovane conte Marulli aveva aderito alla
leva volontaria del 1796 sulla spinta di aspirazioni a gradi ed incarichi 15. Tuttavia,
il suo slancio nasceva anche dalla consapevolezza che l’esercizio delle armi era un
preciso compito dell’aristocrazia, che doveva garantire sia la difesa del Regno sia la
solidità all’ordine sociale esistente. Il sistema di reclutamento volontario, con inca-
richi riservati all’ufficialità nobile, era un modello che il giovane conte conosceva
assai bene. La sua famiglia aveva ricevuto da Carlo VI d’Austria il titolo di conte del
Sacro Romano Impero, per aver fatto parte dei reggimenti italiani al servizio di quel
paese 16. Durante la dominazione austriaca un reggimento Marulli, composto da
baresi e barlettani e comandato da Filippo Marulli (nato nel 1711), combattè nella
battaglia di Velletri ed in Ungheria, nella guerra contro i turchi, alle dipendenze del
principe Eugenio di Savoia 17. Nella stessa epoca il cavalier Francesco Saverio Marulli
fece una splendida carriera divenendo feldmaresciallo, governatore di Belgrado,
consigliere aulico di guerra e primo consigliere dell’amministrazione del Regno di
14 - ASN, Ministero Guerra, fs. 288, inc. 4753. Troiano prese il posto che era stato di Paolo,
suo padre. Quest’ultimo, dopo esser entrato al servizio di Ferdinando ed esser stato promosso nel
1784 tenente colonnello dello stato maggiore e vice direttore delle Marine dell’Adriatico, fu nomi-
nato comandante del castello di Barletta e commissario di guerra dei Reggimenti svizzeri, che a
quei tempi erano di guarnigione nelle fortezze della Puglia.
15 - Sulle motivazioni che spingevano i giovani militari cfr. A.M. RAO, Guerra e politica nel
“giacobinismo” napoletano, in Esercito e società nell’età rivoluzionaria e napoleonica, a cura di A.M.
RAO, Napoli 1990, p. 234.
16 - La concessione del titolo risale all’8 giugno 1726. Lo stemma dei conti Marulli di Barletta
è composto da uno scudo, sormontato da corona comitale, partito in due campi: nel 1° aquila nera
bicipite con ciascuna testa coronata di oro, scudo ovale d’argento e leone d’oro; nel 2° d’azzurro,
croce di Malta, leone con fauci aperte, tre zampe poggiate e una alta e ripiegata.
17 - Il reggimento cambiò “generale proprietario” varie volte. Dapprima passò al tenente ma-
resciallo Pallavicini di Genova, da cui poi prese il nome, e quindi, alla morte di quest’ultimo,
“generale proprietario” diventò Caprara, un aristocratico appartenente alla celebre famiglia bolo-
gnese. Alla fine del ’700 prese il nome di “Reggimento Arciduca Giuseppe” e combattè sotto le
bandiere austriache assieme al “Reggimento Belgioioso”, che era composto anche da italiani. Cfr.
Memorie. Si veda inoltre V. ILARI - G. BOERI - C. PAOLETTI, Tra i Borboni e gli Asburgo. Le armate
terrestri e navali italiane nelle guerre del primo Settecento (1701-1732), Ancona 1996, e R. GHERARDI,
Potere e costituzione a Vienna fra Sei e Settecento, in “Studi Settecenteschi”, a, I (1981), fasc. I, pp.
35-59, in cui si ricostruisce la vicenda del conte bolognese Marsili che ebbe un percorso umano
assai simile a quello dei conti Marulli.
F. M. Lo Faro Un nobile volontario di cavalleria 119
18 - A Francesco Saverio Marulli (Barletta 1675-Bologna 1751) Giacinto Gimma dedicò Della
storia naturale delle Gemme, delle Pietre, e di tutti i minerali ovvero Fisica sotterranea di G.G., tomo
I, Napoli, nella stamperia di Gennaro Murgio, 1730. Eccetto l’elogio funebre scritto da padre
Giovanni Granelli, mancano dettagliate biografie del feldmaresciallo.
19 - Un esempio è costituito dalla carriera di Paolo Marulli, padre di Troiano. Dopo aver
studiato a Napoli, dai gesuiti, intraprese la carriera militare nell’armata austriaca, a servizio nel
“Reggimento Marulli” (dal 1756 al 1771). Nei 16 anni di servizio, con quel reggimento partecipò
alla guerra dei Sette anni contro Federico II di Prussia. Combatté a Breslavia, Praga, Dresda. Lui
stesso ne accenna in un’operetta scritta in occasione della morte di Carlo III. In seguito entrò al
servizio di Ferdinando IV Borbone.
20 - Cfr. il ms. di Scipione Elefante in BPDG e B. PAOLILLO, Barletta nel 1799. Ricordi cronistorici
con un’Appendice sui patrioti barlettani di quel tempo, Barletta 1921.
120 La Capitanata nel 1799 F. M. Lo Faro
fare argine agli elementi più esaltati, oppure per moderare le pretese delle contribu-
zioni di guerra che colpivano chi, come lui, era tra i maggiori possidenti della città.
Nelle stesse settimane un suo zio, il cavalier Francesco Marulli 21, preside della
provincia di Lecce, morì avvelenato, forse suicida, in modo assai misterioso, dopo
essersi sforzato di contrastare la democratizzazione delle città pugliesi 22.
La scomparsa del preside rappresentò per Troiano l’assunzione di nuove respon-
sabilità di carattere politico, che lo fecero divenire il depositario dell’iniziativa con-
trorivoluzionaria. Il giovane conte, giovandosi del credito proprio e del suo defunto
zio, cominciò ad intrattenere segreti legami con gli ambienti legittimisti e manten-
ne vivo il partito regio tra i suoi concittadini 23. Potè finalmente venire allo scoperto
soltanto quando, intorno alla metà di maggio, si sparse la voce che lungo l’Adriati-
co, all’altezza delle coste pugliesi, era stata avvistata la squadra navale alleata, che si
aspettava da tempo.
La spedizione era il risultato dell’iniziativa diplomatica di Antonio Micheroux,
che il 13 febbraio si era recato a Palermo per portare la notizia che i russi erano
pronti a dare soccorso all’Italia e al Regno di Napoli. Il 15 febbraio il re consegnò a
21 - Nato nel 1737, Il tenente colonnello Francesco Marulli fu feudatario di Grassano, appar-
tenente all’ordine gerosolimitano. Assunse il gran priorato nel 1740. Cfr. BNB, ms. II, 11-156. Il
cavaliere fu “direttore generale di tutto il litorale e delle marine dell’Adriatico e Jonio, dal golfo di
Taranto al fiume Tronto confine con lo Stato pontificio”. Cfr. ASB, Sacra Regia Udienza (d’ora in
poi SRU), Affari diversi, b. 9, fasc. 86, anni 1785-87. Francesco Marulli, in qualità d’alter ego, fu
anche a capo della delegazione straordinaria voluta dal governo per combattere la delinquenza e
ristabilire l’ordine pubblico in alcune province meridionali. In tale qualità il cavaliere ispezionava
le province di Bari e Capitanata ed i due Abruzzi (Chieti e Teramo), tutte soggette alla sua giurisdi-
zione (la delegazione fu costituita con dispaccio dell’1 luglio 1797; ASB, SRU, Affari diversi, b. 5,
fasc. 49).
22 - Francesco Marulli subì in modo tragico gli eventi rivoluzionari. La sua fine fu il tragico
epilogo di una carriera segnata da un alto spirito di servizio. La notizia della sua morte lasciò i
sovrani increduli. Circolarono notizie contrastanti: dapprima si credette che egli fosse morto in
uno scontro tra realisti e repubblicani, poi si disse che era morto per cause naturali (B. CROCE, La
riconquista del Regno di Napoli nel 1799. Lettere del cardinale Ruffo, Bari 1943, ad nomen). La
morte del cavaliere colpì molto anche l’opinione pubblica, giacché in Puglia era un personaggio
ampiamente conosciuto.
23 - “Era il Marulli militare ancor esso, essendo a quell’epoca Sotto-Tenente di Cavalleria,
godeva egli insiememente alla famiglia sua del credito tra cittadini, e fermentissimo nell’attacca-
mento al Sovrano, non poco contribuito avea a mantener viva la divozione di quelli al Trono del
suo Signore”. G. MARULLI, Ragguagli storici del Regno delle Due Sicilie, vol. I: Dal 1789 al 1815,
Napoli, dalla tipografia Carruccio, 1844. p. 392 ss. Si veda anche B. MARESCA, Il cavaliere Antonio
Micheroux nella reazione napoletana dell’anno 1799, in ASPN, 18 (1893), pp. 115-116.
F. M. Lo Faro Un nobile volontario di cavalleria 121
24 - Il 13 aprile la flottiglia alleata, composta dal vascello Fortuna, da due fregate russe, una
corvetta ottomana ed un brik tripolino cominciò a veleggiare per la Puglia, comandata dal com-
modoro Sorokin. La piccola divisione approdò a Brindisi, abbandonata dai francesi. Il 18 aprile
Micheroux e le forze alleate erano però costrette a rientrare a Corfù. Tornarono nel Salento il 3
maggio per portare aiuti ai realisti pugliesi con quattro fregate russe ed una corvetta della marina
napoletana con una cinquantina di uomini. Le navi trasportavano 8 pezzi di campagna. Cfr. S.
CAPONE, I racconti della rivoluzione, Foggia 1999, p. 85 ss.
25 - Il castello in particolare fu occupato dai dipendenti della direzione delle marine dell’Adria-
tico, che erano legati per ragioni professionali allo zio del conte Marulli. (Memorie cit.).
26 - Altri giacobini furono arrestati il 20 maggio, BPDG, Fondo De Gemmis (d’ora in avanti
DG), b. 2, fasc. 3, Barletta 21 maggio 1799, scritto di Alessandro Magno.
27 - Ibidem.
28 - Barletta 16 Maggio 1799, il Cav. Antonio Micheroux a S.E. Il Sig.r Cav. Acton. BPDG,
Fondo Beltrani (FB), trascrizione da ASN, Esteri, b. 4331.
122 La Capitanata nel 1799 F. M. Lo Faro
Il cavaliere Micheroux, che fu ospite di casa Marulli 29, assieme al conte progettò
di mettere subito in piedi una truppa, da spingere in avanti e usare come cerniera
tra i corpi di realisti che stavano negli Abruzzi e le truppe del cardinale Ruffo, che
erano alle spalle 30. Il piano era dettato dall’esiguità del contingente russo - circa
400 uomini - che era ben minore di quanto Micheroux aveva lasciato sino ad allora
ad intendere 31. Sebbene la “realizzazione” di Barletta e di Trani, avesse significato
agli occhi di tutti, di per sé, il segnale della completa vittoria del partito realista, i
pochi uomini di truppa russa erano certamente insufficienti per “sdemocratizzare”
velocemente la Capitanata, dove i francesi si erano trattenuti più a lungo e dove si
sentiva più forte l’influenza del governo repubblicano 32.
Nel tentativo di portare anche la Capitanata sotto le insegne borboniche, Mi-
cheroux e i russi partirono da Barletta 33 e, reimbarcatisi, passarono a Manfredonia.
29 - Micheroux fu ospite “e ciò per la vecchia amicizia, che correva tra lui ed un Zio del Conte
nominato Giacomo Ministro Plenipotenziario del Gran Duca di Toscana e dell’Imperatore di
Germania nelle Legazioni Pontificie da prima, e poi alla Cispadana ed alla Cisalpina sedicente
repubblica”. G. MARULLI, Ragguagli, cit., p. 392. Il conte Giacomo Marulli (Barletta 1729 - Vene-
zia 1799), marito della nobile bolognese Camilla Boccadiferro, non ebbe figli. Prese a cuore l’edu-
cazione dei giovani nipoti e in particolare di Troiano, suo erede spirituale. Un panegirico di Giaco-
mo fu scritto da F. TOGNETTI, Avvenimenti politici ecclesiastici, militari e civili della città di Bologna
e suo territorio dall’ingresso delle vittoriose truppe Austro Russe accaduto il 30 giugno 1799 in appresso,
tomo I, Bologna, Sassi, 1799, p. 91.
30 - Micheroux scriveva da Barletta il 16 maggio ad Acton: “Penso di metter subito in piedi un
corpo di Truppa, e spingerli innanzi, onde riunire il Cardinale e gli Abruzzesi”. BPDG, FB, trascri-
zione cit.
31 - La vera entità delle forze a disposizione di Micheroux emerge da una lettera da lui scritta
a Ruffo, in data 18 maggio: “Le dirò intanto il mio segreto, tacciuto unicamente finora, per timore
che le lettere essere potessero intercette. Noi dunque siamo.... ma ho vergogna a dirlo. Noi abbia-
mo poco più di 350 Russi e 70 Napoletani. Si può far conto benanche d’un altro pajo di centinaja
di marinaj, i quali trattan benissimo lo schioppo. Ma ripeto, che tutti costoro son gente addetta a’
Legni, e da non potersi innoltrar nelle Terre, soprattutto stando i Legni dove non son Porti. Ciò
non ostante gli spingeremo a Foggia colle buone, o per forza”. Ibidem.
32 - Scrive da Barletta il 16 maggio Micheroux ad Acton: “Altra mia premura si è di
sdemocratizzar subito Foggia, onde obbligare i Locati (i quali non desideran nulla di meglio) a
rimettermi le solite ingenti somme”, Ibidem.
33 - I russi lasciarono per alcuni giorni una piccola guarnigione nel castello di Barletta. Il 27
maggio 1799, il sacerdote sanfedista Alessandro Magno scriveva: “Da qui son partiti per Terra j
Moscoviti ad unirsi alle Truppe di Sua Altezza, e di Micheroux, alle quali sonosi aggiunte porzioni
di quelle di Sua Eminenza, e sul punto sta per partire da questa Rada la Fregata Russa, che và ad
unirsi alla Divisione che sta in Manfredonia, per indi assieme ritornare qui, poi passare in Brindisi,
per unirsi alla Squadra Turco Russa ivi residente, e quindi prender la volta di Napoli”. BPDG, DG,
b. 2, fasc. 3, Barletta 27 maggio 1799.
F. M. Lo Faro Un nobile volontario di cavalleria 123
Allo scopo di consolidare il dominio sulle città riconquistate ed aprirsi una comuni-
cazione diretta e continua con Ruffo, il 24 maggio i russi si accamparono a Monte-
calvello, una altura a pochi chilometri da Foggia, alla destra del fiume Cervaro, sulla
strada per il ponte di Bovino, in posizione centrale all’interno della provincia 34.
Nel campo cominciarono a convergere le schiere sanfediste provenienti dal Gar-
gano, da San Severo, Manfredonia e da altri paesi della Puglia. Molti uomini furono
raccolti nel Barese dal cardinale Ruffo che, dopo la presa di Altamura, aveva ordina-
to alle università della provincia di Trani “di far presentare presso l’Armata Reale
Cristiana tutti i soldati ritornati dal campo, armati, e vestiti a spese de’ Possidenti” 35.
Per preparare la resistenza antifrancese, il conte Marulli prese munizioni e can-
noni dal castello di Barletta 36 e radunò “soldati sbandati, armati e munizionati alla
meglio”. Nel giro di quattro giorni soltanto riuscì a mettere insieme, a proprie spe-
se 37, novecento uomini tra fanteria, cavalleria ed artiglieria 38. Per fortuna ciò non
era particolarmente difficile perché i soldati, dopo la campagna romana, si erano
ritirati nei loro paesi ed avevano portato e conservato con sé armi e bagaglio, e molti
anche i cavalli. Giunto a Cerignola, il conte recuperò altri trenta cavalli e oltre due-
cento soldati. Nel campo di Montecalvello, condusse un totale di 1200 uomini, che
furono passati in rivista da Micheroux e dal commodoro Beil, che lo lodarono per
quanto aveva saputo fare: la notte, in un quadro di ottimismo generale, il conte
brindò nel bivacco “in mezzo agli hurras dei moscoviti, e agli evviva dei nostri”.
In un consiglio di guerra tenuto sul momento Micheroux e Beil - che aveva
assunto il comando in qualità di generale della spedizione - progettarono un campo
trincerato. Il conte, però si oppose, giacché “il Calvello era soltanto una nuda eleva-
zione di terreno in mezzo alla gran pianura”, lontana da ogni abitato: una buona
posizione per una battaglia ma non certo per un campo di osservazione e difesa,
perché appunto, per la sua lontananza dai centri abitati, le sussistenze sarebbero
state presto e facilmente intercettate. Il conte propose invece di passare subito alla
conquista di Ariano: una città che posta com’è in posizione fortissima, quasi inat-
taccabile, formava “un baluardo, e la chiave della Puglia dalla parte di Napoli”. La
presa di Ariano - suggeriva il conte - avrebbe significato l’acquisto di tutto il resto
della Capitanata e di una buona parte di Principato Ultra. Le masse armate avreb-
bero avuto le sussistenze e si sarebbero rese padrone della grande strada postale, che
era l’unico sbocco della provincia verso la capitale.
Micheroux e Beil, che non avevano la minima cognizione dei luoghi, comprese-
ro l’utilità del suggerimento del conte e gli affidarono l’incarico di proseguire con i
suoi uomini la marcia per Ariano, allo scopo di impadronirsi di una posizione tanto
importante, prima che da Napoli potessero giungere rinforzi per i repubblicani 39.
Il Marulli coi suoi uomini si pose in marcia, preceduto da un plotone di caval-
leria. Alla testa della colonna, avanzava un piccolo distaccamento russo, costituito
da un picchetto di tre ufficiali. La presenza dei russi aveva lo scopo di assicurare le
popolazioni che le notizie circa gli aiuti alleati erano vere. La marcia fu lunga e
faticosa, quasi tutta in salita. Fu necessario far fare due riposi ai soldati durante le 25
miglia che andavano percorrendo sotto il sole dei primi giorni di giugno, partico-
larmente a picco nella lunghissima gola dei monti, che formano il vallo di Bovino.
Il conte giunse ad Ariano senza aver subito scontri. La sua colonna prese “il pompo-
39 - Micheroux, che aveva corrispondenti dappertutto, aveva saputo che a Napoli si preparava
una spedizione contro la Puglia, sotto il comando dei generali Pasquale Matera e Francesco Federici.
Il timore dell’arrivo di una colonna repubblicana spinse i capi del fronte regio a riunirsi il 30
maggio, ad Ascoli Satriano, in un consiglio di guerra. Al consiglio intervennero Ruffo, Micheroux
ed il comandante Beil. Fu decisa la strategia da tenere e fu disposto che il conte Marulli, formando
l’avanguardia di tutta l’armata, dovesse procedere e manovrare obliquamente da Ariano a Bene-
vento, passando per S. Giorgio la Molara e trattenendosi in quella città finché non fosse stato
raggiunto dal corpo comandato dal De Cesare. Marulli doveva poi prendere il comando di tutta la
colonna. Vedi G. MARULLI, Ragguagli, cit.
F. M. Lo Faro Un nobile volontario di cavalleria 125
so titolo di vanguardia della armata russa, che diceva accampata a monte Calvello
in numero di quattro mila, e in aspettativa di altri sei mila”. In realtà, come si è già
detto, la consistenza dei reparti russi era molto minore.
Nelle stesse ore la colonna repubblicana spedita da Napoli per contrastare l’avan-
zata dell’armata sanfedista era giunta a Campanariello, borgata sulla strada postale
a tre ore di marcia (12 miglia) da Ariano. Il conte diede disposizioni per resistere in
caso di attacco e respingere ogni tentativo nemico. Dislocò diverse vedette in punti
dominanti, non tanto per spiare da lontano le mosse dei nemici, quanto per far loro
credere che l’armata del re era già padrona di quell’importantissimo posto, che
sbarrava loro il procedere 40. Con le sue manovre Marulli ottenne ciò che voleva.
Cioè che i repubblicani avessero sentore che i realisti erano già ad Ariano. Anziché
attaccare, essi retrocedettero in fretta sino a Benevento - per le valli di Montesarchio
e di Arpaia - e si ritirarono in Capua 41.
Dopo questo brillante risultato, il conte ricevette l’ordine di continuare a stazio-
nare ad Ariano, sino a quando Ruffo non fosse venuto a congiungersi con le sue
forze. Micheroux e il Beil ritenevano infatti che senza l’aiuto delle truppe del cardi-
nale il conte sarebbe stato troppo debole per assicurare l’avanzata della sua divisione
in Principato Ultra e in Terra di Lavoro. Bisognava, dunque, attendere il cardinale
che era ancora in Puglia, allo scopo di concentrare le forze divise in un punto, e
spingerle unite con più vigore in direzione della capitale.
Ad Ariano il conte Marulli provvide ad organizzare meglio le sue milizie, che
assunsero la forma di truppe regolari. Con l’intervento di alcuni possidenti di Aria-
no e Benevento, il reggimento di fanteria aumentò di consistenza e si arricchì di
molti sottufficiali che, tornati nelle proprie case dopo lo sbandamento dell’esercito
borbonico, erano ancora muniti di armi. La fanteria contò in totale 1400 uomini,
suddivisi in due battaglioni, con ufficiali in ciascuna compagnia, stato maggiore,
tamburi, banda e bandiere. Si seguì così lo stesso sistema e organizzazione degli
antichi reggimenti che i Marulli allestivano al tempo della dominazione austriaca.
40 - Marulli fece disporre in batteria quattro pezzi di artiglieria a cavaliere sulla strada maestra,
in modo da impedire l’accesso alla colonna repubblicana. In un altro punto dominante, il conte
situò una forte guardia avanzata con le necessarie vedette. Quattro pattuglie di cavalleria furono
inviate a perlustrare la strada sino a Grottaminarda.
41 - La prontezza della marcia dei regi sconcertò il piano di guerra dei repubblicani. Parte della
colonna repubblicana del Federici restocedendo si sbandò. Alcuni disertori, specialmente svizzeri
ed albanesi, entrarono a fare parte dei reparti del Marulli. Il conte informa che i disertori apparte-
nevano ai precedenti reggimenti reali e che erano stati costretti a forza dal governo repubblicano a
marciare contro i realisti.
126 La Capitanata nel 1799 F. M. Lo Faro
al tenente colonnello Luigi De Gambs (figlio del tenente generale) e costui, poco
prima di entrare a Napoli, concentrò tutte le forze disponibili affinché, con una im-
ponente offensiva, la conquista della capitale avesse maggiori possibilità di successo.
Il conte Troiano Marulli forse avrebbe preferito seguire il cardinale nella marcia
verso Napoli, ma ricevette l’ordine di fermarsi nel quartier generale di Caserta col
compito di intercettare ogni comunicazione tra le guarnigioni nemiche. Di fronte
alla contingenza del momento, il conte continuò a dare buone prove di sé e, con la
sua divisione, prese parte alle operazioni per il blocco di Capua, la cui fortezza era
presidiata da circa quattromila uomini posti al comando del generale Girardon. Per
quattro volte il Marulli partecipò ad azioni contro le sortite della guarnigione nemi-
ca e per quattro volte rimase ferito, riportando lesioni permanenti. Il conte non
avrebbe mai dimenticato quelle ferite di guerra: anni dopo, nelle sue Memorie an-
noterà con autocommiserazione: “ne porto ancor le marche con una piccola ferita
nella mascella destra inferiore ed una contusione sempre visibile sul metacarpo
della mano destra” 49.
La prontezza e la rapidità d’azione che di solito contraddistinguevano il conte
ebbero modo di emergere durante l’assedio di Capua, quando la divisione da lui
comandata effettuò una serie di marce e contromarce, poi descritte nei Ragguagli
storici del Regno delle Due Sicilie, dallo storico Gennaro Marulli, figlio del conte e
militare anch’esso. Con la sua narrazione minuziosa, ricca di episodi, Gennaro integra
le Memorie e si dilunga sui particolari inerenti alle azioni di guerra, sorvolando però su
una serie di attacchi nemici che inflissero una sonora batosta alle truppe regie 50.
Nel promuovere ed attuare la mobilitazione controrivoluzionaria il conte riuscì a
trasformare una accozzaglia di soldati indisciplinati in un reggimento di tutto rispet-
to, valido ed efficiente. Anche il sovrano riconobbe ben presto il valore di Troiano
Marulli e, premiandolo prima di ogni altro ufficiale, nell’ottobre 1799 lo nominò
colonnello di fanteria, consentendogli di comandare il “Reggimento Marulli”, che
entrò a fare parte ufficialmente della nuova armata reale in via di organizzazione nel
Napoletano. Con la promozione, il conte da semplice sottotenente si trovò ad essere
per anzianità di servizio il primo colonnello del nuovo esercito borbonico 51.
49 - Memorie, cit.
50 - Ragguagli, cit.
51 - La patente con la nomina fu spedita da Palermo il 31 ottobre 1799. Tutti gli ufficiali che
avevano seguito il conte furono confermati nei rispettivi gradi che provvisoriamente avevano eser-
citato durante la campagna di riconquista del Regno. Giuseppe Cito dei marchesi di Torrecuno fu
nominato tenente colonnello del “Reggimento Marulli”, che restò di guarnigione a Capua sino al
1801, come si legge nei doc. conservati in ASNM, Aggiusti, b. 230; Riviste antiche, b. 228.
F. M. Lo Faro Un nobile volontario di cavalleria 129
Una così sensazionale ascesa non costituiva certo una eccezione. La facilità di
acquisire gradi militari ed incarichi di prestigio fu una prerogativa degli eserciti
rivoluzionari e, su altro versante, divenne pure una caratteristica delle armate con-
trorivoluzionarie anche quando non risentirono immediatamente del radicale mu-
tamento operato dalla rivoluzione francese nella struttura organica e strategica degli
eserciti 52. Il successo dell’impresa sanfedista fu favorito dal meccanismo di recluta-
mento, che assicurava rapide carriere ai comandanti. Menzioni e riconoscimenti
furono le giuste ricompense per il conte Marulli che, impersonando il nesso tra
orgoglio militare ed origine aristocratica, aveva letteralmente dissipato un cospicuo
patrimonio al fine di assoldare gli uomini del suo reggimento 53.
Nel ’99 il conte Troiano Marulli ebbe successo perché unì al prestigio del pro-
prio nome e alla sua invidiabile posizione economica e mondana, la capacità di
aggregare attorno a sé i consensi popolari, molto più di un qualsiasi soggetto bor-
ghese appartenente a famiglie recentemente arricchite 54. Ma il successo dipese an-
che dagli uomini di cui il conte seppe contornarsi. Per particolari capacità si segna-
larono i barlettani Filippo Devoli 55 e Francesco Graziano 56. Nelle concitate gior-
nate di Ariano vennero alla ribalta i sacerdoti Crescenzo e Filippo Albanese 57 ed
alcuni notabili locali, quali don Felice Mazza e Giovanni Corbuors. Un aiuto im-
portante all’iniziativa controrivoluzionaria del Marulli venne, inoltre, dai marchesi
Figlioli, Perrotti, Torragnoli. Tra gli aiutanti del conte una particolare menzione
merita Federico Guarini dei duchi di Poggiardo, che si mise in luce nel campo
controrivoluzionario come capitano di cavalleria 58. Alcuni di questi personaggi,
cessata la rivoluzione, mantennero un atteggiamento antifrancese e, nel Decennio,
promossero l’eversione politica contro il regime franco-napoletano.
Un grande contributo alla causa borbonica fu dato anche dai fratelli del conte,
che costituirono un vero punto di forza del “Reggimento Marulli”. Come già ac-
cennato, Troiano assunse il comando dei suoi uomini in qualità di generale della
spedizione. Alla testa della fanteria egli pose se stesso e suo fratello Filippo, a capo
dell’artiglieria suo fratello Domenico. A capo della cavalleria designò suo fratello
Giuseppe ed il già citato Federico Guarini dei duchi di Poggiardo. Tutti i Marulli
erano giovanissimi, praticamente ragazzi: 15 anni Domenico, 16 Filippo, 24 Giu-
seppe, 25 il conte Troiano. La giovane età non deve stupirci: in quell’epoca il batte-
simo di fuoco era molto precoce per chi intraprendeva la carriera delle armi. Nono-
stante l’età, i nobili barlettani riuscirono ad avere sulle truppe ascendente e credibi-
lità. Il loro rigido senso del dovere li portò ad essere sempre in prima linea nelle
azioni più pericolose. Pur con un diverso temperamento, ciascuno di loro era soste-
nuto da una vera vocazione alle armi - che poneva al centro della sua azione e la
sorreggeva tutta - al di là di qualsiasi considerazione di ordine opportunistico.
Vale la pena di ricostruire brevemente le biografie dei giovani fratelli Marulli,
non foss’altro perché sino ad ora questi personaggi sono stati trascurati dalla storio-
grafia 59. Domenico studiò nell’Accademia militare di Napoli. Si distinse nell’ap-
prendimento della matematica e della balistica, sotto la guida del celebre Vito Cavelli
e del lucchese canonico Saladini. Fu primo paggio dei sovrani (“paggio di balice”).
Appena tredicenne, nel 1797, fu nominato alfiere nel “Reggimento Re Artiglieria”,
58 - Tenente di cavalleria, dopo lo sbandamento dell’esercito, alla fine del 1798, abbandonò il
suo reparto per tornare a Lecce, sua città, o per raggiungere Caserta, dove suo padre era intendente
di quei Siti reali. A causa dell’invasione francese si fermò a Barletta, in casa Marulli. Contribuì,
come altri proprietari, a mettere in salvo molti abitanti di Trani, sfuggiti ai francesi. Nel 1799 fu
nominato capitano di cavalleria. Quando scoppiò la rivoluzione del 1820 era intendente a L’Aqui-
la, ove aveva avversato la rivoluzione come calderaro e amico di noti reazionari. (Cfr. le note di N.
CORTESE, alla Storia del reame di Napoli, di P. COLLETTA, vol. III, Napoli 1957, p. 294 ). Il Guarini
è ricordato dal contemporaneo Antonio Stassano come “persona violenta, esaltata, insultante”. (A.
CESTARO, Memorie storiche del Regno (1799-1821), Venosa 1994, p. 423).
59 - Troiano ebbe anche due sorelle: Amorosina e Giovannina, che studiò a Firenze, nel celebre
Ritiro della Quiete. Ulteriori notizie su questi interessanti personaggi si leggono nelle Memorie.
F. M. Lo Faro Un nobile volontario di cavalleria 131
giacché “tanto precoce fu la sua riuscita in quest’arma scientifica” 60. L’anno succes-
sivo partecipò alla campagna romana nella colonna di riserva spedita negli Abruzzi
e comandata dal tenente generale De Gambs. Dopo la disfatta l’esercito tornò a
Barletta e coi fratelli fece la campagna per la riconquista del Regno, segnalandosi
negli assedi ed in una valorosa impresa, tra Capua e Caiazzo, che molto contribuì
alla capitolazione dei nemici 61. Filippo come Domenico fu educato nell’Accade-
mia militare di Napoli, “a regie spese, attesa la grazia ed il volere del re”. Divenne
paggio. Il mondo delle armi sembrava a lui precluso perché epilettico, ma una serie
di circostanze favorevoli condizionarono in positivo la sua carriera. Nel 1799 parte-
cipò alla spedizione controrivoluzionaria, alla testa dei granatieri 62. Giuseppe, dopo
aver studiato dai 5 agli 11 anni nel collegio Tolomei di Siena, fu mandato a Vienna,
all’Accademia militare imperiale, al fine di intraprendere il servizio militare nell’ar-
mata austriaca e proseguire la tradizione di famiglia 63. Dopo aver acquisito una
severa disciplina e un addestramento militare di prim’ordine, a 16 anni come fon-
cadet (alfiere) entrò nel “Reggimento italiano Caprara” (che, come già rammentato,
era stato l’antico “Reggimento Marulli”) e prese parte ad azioni militari in Piemon-
te ed in Lombardia, contro le truppe francesi, al comando dei generali Beaulieu e
Alvinczy 64. Allo scopo di avere maggiori possibilità di carriera, Giuseppe passò nel
60 - Memorie.
61 - Domenico nacque il 4 gennaio 1784. Cessata la rivoluzione, fu nominato capitano te-
nente e rimase per qualche tempo di guarnigione a Capua. Fu un noto musicista e nel Decennio
intraprese la carriera della magistratura, che proseguì in Calabria e in Sicilia, negli anni della Re-
staurazione, in veste di regio procuratore nei tribunali civili. Fu deposto dopo la rivoluzione del
1820-21, cfr. R. MOSCATI, Il Regno della Due Sicilie e l’Austria. Documenti dal marzo 1821 al
novembre 1830, Napoli 1937, vol. I, p. 278. Sull’attività di Domenico come musicista si veda O.
GAMBASSI, L’Accademia filarmonica di Bologna, Firenze 1932, p. 355.
62 - Filippo nacque il 15 marzo 1783. Il 16 luglio 1799, sotto Capua, fu protagonista di azioni
di valore contro i francesi. Dopo la rivoluzione “da paesano fu elevato a capitano dei granatieri del
reggimento Marulli”. Dopo la pace di Firenze, soppresso il “Reggimento Marulli” e formatisi sei
nuovi battaglioni di cacciatori regolari, passò a fare parte come capitano della I compagnia del
Battaglione Appuli sotto il comando del tenente colonnello Santer.
63 - L’Austria possedeva due Hochschülen militari: l’Accademia militare Wiener Neustadt e
l’Accademia del Genio militare a Vienna. Sulla storia e caratteristiche di queste importanti istitu-
zioni vedi A. SKED, Radetzky e le armate imperiali. L’impero di Austria e l’esercito asburgico nella
rivoluzione del 1848, Bologna 1983, p. 22.
64 - Giuseppe nacque l’1 agosto 1775, Nell’assalto di Forte Lantosca, in Piemonte, alla testa dei
volontari austriaci, “fu il primo alla scalata a montar sulle mura inalberandovi la bandiera austriaca
imperiale”: per tale azione ricevette un encomio dall’arciduca Ferdinando, governatore della Lombardia.
132 La Capitanata nel 1799 F. M. Lo Faro
65 - Carlo nacque il 2 aprile 1779. Fece la sua professione come cavaliere nel 1797 ed ebbe la
commenda in Sicilia, a Ragusa.
66 - Dopo il 1799, Giuseppe fu promosso secondo maggiore e rimase nella “Cavalleria Marul-
li”. Come i suoi già ricordati fratelli, fece altre campagne militari. Nel 1805 passò con i Borboni in
Sicilia.
67 - Ad Otricoli Carlo Marulli - assieme al barlettano Giacinto Esperti ed al principino di
Ripa - si mise alla testa di un distaccamento di quaranta borbonici, volontari di due reggimenti,
per sbaragliare l’offensiva di una avanguardia francese, di trecento granatieri. Ripa fu ucciso ed
Esperti rimase ferito. Carlo Marulli, fatto prigioniero, fu condotto a Milano. Nel 1803 tornò a far
parlare di sé riguardo ad una congiura antifrancese che vide coinvolti esponenti dell’apparato di
potere borbonico, i generali napoleonici Lechi e Verdier, e “giacobini” del nord Italia.
F. M. Lo Faro Un nobile volontario di cavalleria 133
avesse approntato un esercito con gradi, incarichi e spazio per le loro aspirazioni,
questi giovani barlettani avrebbero combattuto nelle schiere democratiche?
È difficile sostenerlo, soprattutto se si tiene conto della mentalità di Troiano, un
uomo che fece della controrivoluzione l’essenza ed il punto di forza della propria
esistenza. Il 1799 fu decisivo per la sua vita perché gli conferì successi, onori, nomi-
ne, che agevolarono il suo ingresso ai più alti livelli dell’esercito. Presto però, per
motivi di famiglia, dovette dare le dimissioni, mentre la minaccia di un ritorno dei
francesi rendeva sempre più necessario riorganizzare l’esercito, per fronteggiarli. Tra
il 1800 ed il 1805 il governo napoletano attraversò momenti difficili e un uomo di
talento come il conte non dovette attendere a lungo per essere richiamato per servi-
re il suo paese: difatti, nel 1804 fu mandato alla frontiera per organizzare un cordo-
ne sanitario e l’anno dopo fu nominato preside dell’udienza di Salerno. Il ritorno
dei francesi nel Regno di Napoli interruppe però la sua carriera, per cui - come lui
stesso lascia intendere - il Decennio gli rubò tutto, sostanze e speranze. Carcerato e
perseguitato, non volle mai accettare alcuna carica dal governo franco-napoleta-
no 68. La sua emarginazione dalla vita pubblica proseguì negli anni della Restaura-
zione, quando la “politica dell’amalgama” ritardò a lungo qualsiasi prospettiva di
riscatto per chi, come Marulli, osteggiava le riforme istituzionali e giudiziarie, o si
trovava su posizioni politiche apertamente reazionarie. Un avanzamento si verificò
soltanto dopo la rivoluzione del 1820-21, quando, dopo molti anni e molti scac-
chi, il conte Troiano Marulli fu nominato presidente del secondo Consiglio di
guerra e potè concludere la sua carriera come generale comandante delle armi della
provincia di Capitanata 69. Sempre sensibile al sentimento dell’onore, che ripropo-
se come motivo costante della propria vita, il conte sino alla sua morte trascorse la
maggior parte del tempo a riversare la sua insofferenza per la politica del tempo in
diversi scritti che, rappresentando la testimonianza di una vita quanto meno singo-
lare, ci auguriamo potranno essere presto pubblicati.
68 - In quegli anni il conte pubblicò diverse opere. Nel 1810 a Napoli, per l’editore Raffaele
Raimondi, diede alle stampe Una nuova poetica o sia quattro discorsi accademici sulla eccellenza della
Poesia [...] con altra traduzione di 24 odi scelte di Anacreonte tradotte dal conte D. Trojano Marulli.
Durante la sua detenzione, quando “languiva da più mesi in carcere, senza potere scrivere, senza poter
leggere” e la separazione dalla famiglia tormentava il suo animo, cominciò a progettare un poema
morale. Le sconsolate riflessioni, teneramente dedicate ai figli, trovarono poi spazio nella Tobiade.
Poema morale in ottava rima del conte D. Trojano Marulli, Napoli, a spese di Nunzio Pasca, 1816.
69 - In tale qualità nel 1837 scrisse una relazione, relativa ad alcuni episodi miracolosi avvenu-
ti in occasione dell’epidemia di colera, cit. da G. MORONI, Dizionario di erudizione, vol. 81, Vene-
zia 1858, p. 94.
134 La Capitanata nel 1799 F. M. Lo Faro
L’ultimo decennio del Settecento vide aggravarsi la grave crisi economica e so-
ciale che già da tempo travagliava il Regno di Napoli. Il sistema latifondistico, la
principale causa di tutti i mali, resisteva a ogni tentativo di modifiche proposte dalle
menti più illuminate e la miseria nelle campagne rendeva ancora più profonda la
frattura tra proprietari di terre e contadini, diffondendo in questi ultimi un genera-
le malcontento, reso ancora più acuto dalla leva del 1798.
La Capitanata, in modo particolare la parte piana, dove più dure erano le con-
seguenze del latifondo, era divisa tra baroni, ecclesiastici e galantuomini, mentre
infelici erano le condizioni di vita dei contadini, aggravate, inoltre, dalla mancanza
di sicurezza nelle campagne, dovuta all’endemico fenomeno del brigantaggio, che li
costringeva a vivere nei villaggi o nei centri urbani, ammucchiati in misere catapec-
chie, il cui interno era buio e sporco, insieme alle bestie e agli arnesi di lavoro.
A peggiorare ulteriormente la crisi economica contribuivano certamente anche
la scarsità dei traffici interni, ostacolati dalla pericolosità delle strade su cui spadro-
neggiavano bande di malfattori, e la quasi assoluta mancanza di opifici che rende-
vano impossibile in Capitanata ogni tentativo di sviluppo industriale, che pure
altrove incominciava timidamente a manifestarsi.
Meno travagliata l’esistenza del clero secolare, il quale, pur entro certi limiti,
godeva di alcuni privilegi, tanto che la massima aspirazione di ogni famiglia era
quella di avere un figlio prete, perché avrebbe considerevolmente contribuito al so-
stentamento dei suoi parenti. I seminari della Capitanata erano pieni di aspiranti al
sacerdozio ed elevato era il numero dei religiosi rispetto alla popolazione. Quello di
San Severo ospitava nel 1794 oltre cento seminaristi e le quattro parrocchie cittadi-
ne, sebbene affollate di preti, erano ricche e le prebende alte, percependo il clero una
rendita globale annua di 18.000 ducati dalle terre e di 10.000 ducati dalle decime 1.
1 - A. LUCARELLI, La Puglia nel Risorgimento, Trani 1931, vol. I, p. 118 e S. LA SORSA, Storia di
Puglia, Bari 1960, vol. IV, p. 216.
136 La Capitanata nel 1799 G. Clemente
5 - SASL, Fondo notarile, s. II, notaio F. Fraccacreta, anno 1798, prot. 1418, f. 1762.
6 - Ivi, f. 207.
7 - Ibidem, notaio C. De Dominicis, anno 1798, prot. 1500, f. 223.
8 - Ibidem, notaio F. Fraccacreta, anno 1798, prot.1418, f. 208.
138 La Capitanata nel 1799 G. Clemente
va. C’era grande incertezza, si parlava, anzi si discuteva per sentito dire. I primi che
ruppero gli indugi furono i proprietari, i quali, non certamente mossi da motivi
ideologici, assunsero “pieni poteri nei propri paesi” 9, per difendere i privilegi di cui
godevano e, in vista di rivolgimenti nelle amministrazioni locali, il prestigio perso-
nale. Pur non sapendo contro chi dovevano difendersi, organizzarono e finanziaro-
no gruppi armati per far fronte a ogni possibile minaccia, sia da parte dei francesi,
che da parte del popolo.
I contadini della Capitanata e i ceti popolari urbani in principio si erano illusi
credendo che con la caduta della monarchia fosse giunto il momento da sempre
invano atteso, quello cioè della distribuzione delle terre e degli sgravi fiscali, e che i
poveri e i diseredati, stando ai principi di uguaglianza sociale sbandierati ai quattro
venti dai francesi, potessero avere finalmente una vita più dignitosa e, perché no, un
maggior peso politico nella gestione del potere locale. Sembrava a essi l’inizio della
rivolta, sempre soffocata, contro i proprietari terrieri. Vi furono manifestazioni po-
polari contro i galantuomini borghesi, usurpatori delle terre comunali, i quali, te-
mendo di perdere in tutto o in parte le loro proprietà, non intendevano affatto
dividere il potere nelle amministrazioni cittadine con i rappresentanti del basso
popolo e furono all’inizio contro la rivoluzione, contro i giacobini, contro i france-
si. Quando poi da Napoli si seppe con certezza che il generale Championnet, al
quale l’appoggio della borghesia terriera della capitale era indispensabile, mirava
innanzitutto a mantenere l’ordine pubblico, evitando qualsiasi rivolgimento socia-
le, la ricca borghesia della provincia si tranquillizzò, ormai certa che i precedenti
privilegi sarebbe rimasti immutati e che avrebbe conservato il diritto di proprietà, e,
fugato ogni residuo dubbio, riconobbe il nuovo ordinamento politico e si schierò
con il governo repubblicano, impadronendosi saldamente dei comuni, tenendo
lontano dalla pubblica amministrazione le altre classi sociali. Fino a ieri fedeli sud-
diti borbonici, oggi ferventi giacobini, pronti però a ritornare sotto le bianche ban-
diere gigliate. È il trionfo del camaleontismo.
I contadini e gli artigiani si schierarono di conseguenza contro il nuovo gover-
no. Non furono perciò ideologici i conflitti che si accesero nelle province tra i
sostenitori e gli oppositori della repubblica, ma piuttosto il risultato di un dramma-
tico riproporsi di antiche lotte sociali per i demani e gli usi civici.
Anche l’alto clero, avendo proprietà e privilegi da difendere, seguì la politica
della ricca borghesia, si schierò dalla parte dei francesi e non ostacolò, anzi promos-
se in alcuni casi, la costituzione delle municipalità.
9 - T. PEDIO, Giacobini e Sanfedisti in Italia Meridionale. Terra di Bari, Basilicata e Terra d’Otranto
nelle cronache del 1799, Bari 1974.
G. Clemente Febbraio 1799 139
Nelle sue linee generali l’evolversi delle vicende a San Severo, centro agricolo
dove più vive erano le motivazioni socio-economiche, non si discostò molto da
quanto accadeva in altre parti del regno. L’unica variante, assai importante per gli
effetti che ebbe, fu la reazione di alcuni proprietari rimasti fuori dalla municipalità.
Nella cittadina dauna vi fu inizialmente una entusiastica adesione della popolazio-
ne al movimento rivoluzionario, soprattutto per le già ricordate ragioni sociali, non
tanto per quelle politiche. La gente si riversò nelle strade principali “con suoni,
canti e viva la libertà” 10, ma nessuno osava prendere iniziative concrete per la estre-
ma incertezza della situazione, fino a quando non venne da Lucera un tale Scipione
Vicerè. Costui, giacobino convinto, probabilmente uno dei tanti commissari del
governo provvisorio inviati nelle province, disse che aveva il compito di organizzare
la formazione della municipalità e lo fece non senza un pizzico di astuzia. Per susci-
tare intorno a sé un certo interesse si faceva chiamare Vincirè e alcuni notabili di
San Severo si unirono a lui per innalzare l’albero della libertà. Erano Crescenzo
D’Ambrosio, dottore fisico, i fratelli Carlo e Ambrogio D’Ambrosio, Francesco
Saverio e Filippo Maddalena, Antonio e Giovanni Santelli, Nicola Niro, cugino dei
Santelli, Giuseppe Nobiletti, dottore fisico, Antonio Galluccio, Carlo di Lorenzo e
il sottotenente Gaspare Cordera. Costoro ebbero dalla loro parte, più per necessità
di cose, però, che per convinzione, anche il vescovo Giovanni Gaetano del Muscio,
il quale si dichiarò favorevole all’iniziativa e convocò in curia il mastrogiurato Fran-
cesco Antonio Petrulli, i sindaci, i decurioni e i più influenti proprietari per decide-
re il da farsi. Costoro costituirono una commissione, della quale fu presidente Emilio
Mazzilli, per piantare l’albero della libertà e per portare in processione, sempre
d’intesa con il vescovo, la beata Vergine del Soccorso affinché li proteggesse.
L’albero della libertà, simbolo del governo repubblicano, fu piantato la mattina
di venerdì 8 febbraio 1799 nella Piazza della Trinità, all’angolo sud della Chiesa dei
Celestini, da un gruppo di giacobini tra cui c’erano i fratelli Santelli e Crescenzio
d’Ambrosio, i quali, subito dopo, per convincere il popolo che il tempo delle ingiu-
stizie e dei privilegi era ormai definitivamente tramontato, si recarono nel “piano
del Carmine” e distrussero la baracca nella quale un esattore del Principe di Sangro
esercitava la riscossione dei diritti feudali 11.
10 - M. FRACCACRETA, Teatro Topografico Storico Poetico della Capitanata e degli altri luoghi più
memorabili e limitrofi della Puglia, vol. VI, Lucera, 1843 (ristampa anastatica, Bologna 1974, p. 61).
11 - La baracca, detta anche “casa del tremuoto” perché rifatta in legno dopo il terremoto del
1627, non fu più ricostruita, poiché il 2 agosto 1806 Giuseppe Bonaparte promulgava la legge che
aboliva la feudalità (F. D’AMBROSIO, Memorie storiche della città di San Severo in Capitanata, Napoli
1875, p. 150).
140 La Capitanata nel 1799 G. Clemente
15 - SASL, Fondo notarile, s. II, notaio C. De Dominicis, anno 1800, prot. 1502, c. 253.
16 - Ivi, notaio G. De Santis, anno 1799, prot. 770, f. 27.
17 - Ivi, notaio C. De Dominici, anno 1799, prot. 1501, f. 67.
18 - Ivi, notaio F. Fraccacreta, anno 1799, prot. 1419, f. 102.
142 La Capitanata nel 1799 G. Clemente
ribelli al nostro Re” minacciava San Severo, da San Marco partirono altri uomini
guidati da Francesco Saverio Calvitto. Non combatterono, perché il 20 di quel
mese il cav. Antonio Micheroux era sbarcato a Manfredonia con truppe russe e
turche per “integrare il Trono, il Regno, la Religione e la Fede Cristiana”. I sammar-
chesi, comandati sempre dal Toma, “accudirono a’ suddetti soldati in detta città di
San Severo” 19.
Anche Poggio Imperiale diede il suo contributo alla difesa della cittadina dauna
e “alla notizia che li francesi venivano in San Severo, a semplice invito di quella
città, da detta villa andarono in dodici persone ben armate in soccorso” 20.
Insorgenze antigiacobine si verificarono anche in altre province del Regno e in
Puglia, oltre a quella di San Severo, sono da ricordare anche le rivolte di Andria e di
Trani. Inizialmente il governo della Repubblica Napoletana le sottovalutò, ritenen-
do che fossero originate dalla voce che si era diffusa sulla ribellione della plebe nella
capitale e sull’imminente ritorno del sovrano. Quando, però, il Cardinale Ruffo 21
iniziò dalla Calabria la sua avanzata verso Napoli, per i francesi divenne di capitale
importanza domare le rivolte nella parte settentrionale della Puglia, e, in modo
particolare, quella di San Severo, nodo stradale di importanza strategica, divenuta il
centro di una lega monarchica in Capitanata. Così il 19 febbraio da Napoli partiro-
no una armata di 6.000 uomini al comando del generale Duhesme e una legione
della Guardia Nazionale affidata a Ettore Carafa, che, dopo aver costretto alla resa
Bovino, Troia e Lucera, il 22 febbraio entrarono a Foggia.
Il Duhesme, ben sapendo che tra i suoi soldati e quella “bruzzaglia” non ci
sarebbe stata battaglia, bensì massacro, mandò ambasciatori ai cittadini di San Se-
vero, offrendo loro il perdono in cambio della resa. L’atto di clemenza fu sdegnosa-
mente respinto e, alla presenza degli ambasciatori, fu ucciso chi era favorevole alla
resa. “Insuperbiscono”, scrive il Fraccacreta, “per molti armati de’ paesi finitimi
[…], li stizziscono più le donne armate come furie” 22. Si illusero di attirare i fran-
cesi in città e di tendere loro un’imboscata “quando il nemico avaro e lascivo andas-
se, com’è costume, spicciolatamente in cerca di ricchezze e di piacere” 23.
Il generale francese ruppe allora ogni indugio e ordinò di attaccare i ribelli. A
sollecitare la sua venuta a San Severo vi erano anche alcuni proprietari sfuggiti
all’eccidio del 10 febbraio e rifugiatosi a Foggia, in particolare Giovanni D’Ambro-
sio e Colomba Galliani, che volevano vendicare la morte dei loro congiunti 24.
Il piano dei francesi fu messo meticolosamente a punto in modo da non lasciare
scampo ai rivoltosi. Due colonne attaccarono San Severo: una guidata dai generali
Duhesme e La Foret con 6.000 uomini, sette cannoni e due obici, proveniente
dalla strada di Foggia, e l’altra, comandata dal generale Serpentier con 2.000 uomi-
ni e due cannoni, che veniva dalla strada di Lucera 25. Ai francesi si unirono anche
giacobini foggiani agli ordini di Nicola Giannuzzi, un losco avventuriero, Primo
Maggiore del Reggimento Cavalleria Abruzzo 26 e, negli ultimi giorni di febbraio,
anche un migliaio di napoletani che costituivano la legione della Guardia nazionale
di Ettore Carafa, conte di Ruvo 27. All’avvicinarsi dei francesi in città si vivevano ore
di tensione, mentre fervevano gli ultimi preparativi di difesa. Scrive ancora il Frac-
cacreta che “ […] di ogni età, di ogni sesso si armano tutti”, e che “il popolo
minaccia Foggia, e di lei protettori francesi. Al loro numero non crede, a’ loro
armamenti […] minaccia chi annunzia la verità”, ma aggiunge anche che “i cittadi-
ni onesti in silenzio deplorano, per tema della bruzzaglia anelano i francesi” 28.
22 - M. FRACCACRETA, op. cit., p. 65. Oltre che da Apricena, S. Marco in Lamis e Poggio
Imperiale, uomini armati giunsero a San Severo anche da Torremaggiore, Sannicandro Garganico,
Rodi e Vieste. C’erano anche bande di molisani di origine albanese.
23 - M. FRACCACRETA, op. cit., p. 72.
24 - Entrambi avevano perso due fratelli: Carlo e Ambrogio D’Ambrosio e Vincenzo e Rai-
mondo Galliani (F. D’AMBROSIO, op. cit., p. 152 e A. IRMICI, op. cit., parte II, p. 97).
25 - M. FRACCACRETA, op. cit., pp. 64-65.
26 - Nicola Giannuzzi, durante la sua permanenza a San Severo, dimorò insieme a cinque
ufficiali francesi presso Vincenzo Bucci. Oltre a essere il più arrogante nei confronti dei padroni di
casa, si impossessò del denaro e degli oggetti preziosi contenuti nella scrivania di Bucci, dopo
avergli sottratto la chiave.
27 - Il conte Ettore Carafa di Ruvo non prese parte alla strage del 25 febbraio, perché proprio
in quel giorno partì con i suoi uomini da Napoli per recarsi in Puglia con il compito di soffocare gli
ultimi facolai di ribellione. Cfr. C. DE NICOLA, Diario Napoletano dal 1798 al 1825, in “Archivio
Stor. delle Province Napoletane”, anno XXIV, 1, p. 63.
28 - M. FRACCACRETA, op. cit., p. 64.
144 La Capitanata nel 1799 G. Clemente
L’attacco ebbe luogo la mattina del 25 febbraio. Era lunedì. Travolta in breve ogni
resistenza, le truppe francesi entrarono in San Severo. La gente, in preda al panico,
non sapeva cosa fare e dove andare. C’erano ordini contrastanti e molta confusione.
Seguì “strage d’inermi, di donne, di fanciulli, e la città messa a ruba e a sacco” 29.
Non senza un certo tono trionfalistico il Duhesm e, nel rapporto inviato al
generale Mac Donald il 7 marzo successivo 30, afferma: “Dopo le manovre valoro-
samente eseguite dalle nostre truppe è stata chiusa la ritirata ai ribelli. Il resto della
giornata non è stato altro che un massacro, il quale ebbe termine perché le donne e
i fanciulli fuggiti il giorno avanti si misero fra i ribelli e i soldati”, poi, però, rivelan-
do la sua indole di soldato leale, aggiunge: “Avevo giurato di far incendiare San
Severo, sorgente dell’insurrezione generale, i cui abitanti avevano dato morte a tutti
quelli che avevano parlato di arrendersi […] ma fui commosso dalla sorte lacrime-
vole di una popolazione di ventimila anime. Feci cessare il sacco e perdonai” 31.
Particolarmente rapaci nel saccheggio furono i foggiani di Nicola Giannuzzi,
che fecero quasi a gara con i francesi nel portare via la “roba” migliore dalle case
abbandonate 32.
Ma di tutto quanto avvenne a San Severo in quel triste 25 febbraio 1799, ciò
che ha lasciato una profonda traccia nella memoria dei suoi abitanti è stato l’elevato
numero dei morti. Discordanti sono i dati riportati dagli storici: il Colletta parla di
tremila morti 33; per La Sorsa e Lucarelli, invece, le vittime sono state poco più di
trecento 34; per D’Ambrosio trecentoventi 35; il Fraccacreta, infine, attingendo ai
registri dei morti della quattro parrocchie, afferma: “Caddero in questa rotta […]
232, oltre 96 e più de’ finitimi, secondo lo stato delle Parrocchie da me letto, di S.
Giovanni 51, di S. Nicola 37, di S. Severino 72 e 72 della Cattedrale” 36.
Le cifre riportate dal Fraccacreta sono quelle che a una verifica si avvicinano
all’effettivo numero delle vittime. Esatti sono i dati relativi alle parrocchie di S.
Giovanni e di S. Nicola, ma non quelli della Cattedrale e di San Severino, i cui
morti furono rispettivamente 77 e 75. Questo lieve errore di calcolo il Fraccacreta
lo commise probabilmente perché gli sfuggirono coloro che, sempre a causa delle
gravi ferite riportate il 25 febbraio, erano deceduti alcuni giorni dopo e i cui nomi
furono riportati nelle pagine successive dei registri. In totale perciò le vittime del 25
febbraio 1799, tenendo anche presente che nella confusione del momento alcuni
morti vennero registrati contemporaneamente in due parrocchie, furono 240 e
non 232, così suddivise: Cattedrale 75 37, San Severino 77 38, San Giovanni 51 39, e
San Nicola 37 40. Ad esse vanno aggiunte “96 e più de’ finitimi” e oltre 100 francesi.
In totale quindi circa 450 morti. Veramente tante le vittime dei soldati del generale
Duhesme per una cittadina come San Severo!
Oltre alla testimonianza del Fraccacreta va ricordata quella di Giovanni La Ce-
cilia, il quale riferisce che i francesi “dopo un giorno di orribile saccheggio, ebbri di
vino, stanchi di stupri e di prede”, imposero una taglia di centomila ducati che fu
pagata nelle successive ventiquattro ore e costituì la rovina delle famiglie più ricche
di San Severo. Aggiunse, per averlo sentito dire dal nonno e da uno zio prete, che i
soldati “quando non trovavano più da predare, sfondavano le botti del vino e le
33 - P. COLLETTA, Storia del Reame di Napoli, vol. I, a cura di N. CORTESE, Napoli 1951, p. 153.
34 - S. LA SORSA, op. cit., vol. V, p. 113 e A. LUCARELLI , op. cit., vol. II, p. 260.
35 - F. D’AMBROSIO, op. cit., p. 153.
36 - M. FRACCACRETA, op. cit., p. 69.
37 - Archivio della Cattedrale di San Severo, Registro dei morti dal 1769 al 1801, ff. 279-282.
38 - Archivio della Parrocchia di San Severino in San Severo, Registro dei morti dal 1795 al
1804, ff. 220-223.
39 - Archivio della Parrocchia di S. Giovanni Battista in San Severo, Registro dei morti dal
1787 al 1812, ff. 115-116.
40 - Archivio della Parrocchia di S. Nicola in San Severo, Registro dei morti dal 1785 al 1801,
ff. 62-63.
146 La Capitanata nel 1799 G. Clemente
anfore di olio, onde le cantine si mutavano in laghi. Gli oltraggi, gli stupri metteva-
no orrore. Un barbaro soldato per togliere un anello ad una mia zia, voleva reciderle
il dito. E siccome i francesi, anche fra gli orrori sono faceti, si videro ad un tratto
molti di essi vestiti da canonici o da prete, coi capelli incipriati, con ceri e con
musica, cantare una messa di requie nella piazza a suffragio delle anime de’ compa-
gni uccisi nella battaglia” 41.
Tra i morti di San Severo vi furono anche undici donne, alcune uccise mentre
davano man forte ai loro uomini, altre massacrate nel momento in cui cercavano
scampo nella fuga o nelle chiese. Appartenevano alla parrocchia di San Severino:
Felicia Bonsanto, deceduta il successivo primo marzo per le ferite riportate il 25
febbraio; Teresa Iannetti, che aveva già perso il marito Giuseppe Di Girolamo; Rosa
Rossi, una diciassettenne nata a Napoli; Lucia Felicia Tetro e Agata Valente, morta
il 5 marzo, perché anch’essa “a Gallis mortaliter sauciata” il 25 febbraio. Erano
“filiane” della Cattedrale: Mattia Di Fazio, Isabella La Roia, Giovanna Racano, di
anni 65, la più anziana delle donne, deceduta il 12 marzo, e Annantonia Virgilio.
Era, infine, della parrocchia di S. Giovanni Angela Giuliani, uccisa insieme alla
figlia Antonia Moscatelli, di appena un anno, che in quel momento stava allattando.
Considerando poi l’età dei morti, si nota che più della metà non superava i
quarant’anni. Ventisei vittime avevano un’età compresa tra gli 11 e i 20 anni; ses-
santacinque tra i 21 e i 30; trentanove tra i 31 e i 40. I rimanenti avevano una età
più avanzata: quarantanove da 41 a 50 anni; ventotto da 51 a 60 e sedici da 61 a 70.
Tre erano i più anziani: Rocco Valente di anni 71, Rocco Oliva di anni 82 e Nicola
Parisi di anni 87. Non mancavano purtroppo i bambini: Gerardo Prattichizzo di
anni 6, Gerardo Melchioni di anni 7 e Lorenzo Petti di anni 9. Di dieci vittime non
si conosce l’età. Spulciando ancora l’elenco dei morti, si nota che ebbero la doppia
registrazione Michele Preziosi, abate della Cattedrale 42, Giuseppe Fiorilli e Gio-
vanni Bucci, i cui nomi sono riportati sia nei registri della Cattedrale che in quelli di
San Severino; Vincenzo Totaro e Vincenzo Minischetti, inclusi nei registri di San
Severino e di S. Giovanni, e Gennaro Candela, il cui nome compare nei registri
della Cattedrale e di San Nicola.
Tra i morti c’era anche chi, nato in altra località, aveva fissato la propria residen-
za in San Severo, come Atanasio Boborio di Giannina in Epiro, giunto in Capita-
41 - G. LA CECILIA, Storia segreta delle case regnanti d’Italia, Genova 1860, p. 322.
42 - Ucciso mentre dall’altare della Cattedrale rammentava ai fedeli, che terrorizzati vi si erano
rifugiati, il cruento sacrificio di Cristo (A. IRMICI, Storia della Parrocchia di San Nicola, parte II, p. 97).
G. Clemente Febbraio 1799 147
nata insieme ad altri greci circa dieci anni prima; Giovanni Bucci di Bovino; Bal-
dassarre Di Giulio di Tocco a Casauria; Vincenzo Manfredi di Troia, Rosa Rossi di
Napoli, i fratelli Emilio e Filippo Ruscitti di Loreto Aprutino, Vincenzo Russi di
Foggia; Modesto Ruta di Casalciprano; Tommaso Sasso di Serracapriola e Antonio
Matteo Sorrento di S. Paolo di Civitate.
Lo stesso Fraccacreta ci fornisce, da ultimo, un altro particolare sulle vittime. Il
primo sanseverese ad essere ucciso dai francesi fu Rocco D’Errico di anni 34, il
quale in località Macchione, convinto di aver ucciso un cavaliere francese, gli si
avvicinò per spogliarlo delle armi, ma fu “fatto a pezzi” da altri francesi accorsi in
aiuto del loro commilitone 43.
Questi scarni dati non riusciranno mai a rendere in tutta la sua intensità il
dramma vissuto dalla popolazione di San Severo, dramma che forse si può appena
intuire esaminando attentamente di ogni vittima il nome dei congiunti o quello dei
genitori, l’età e la parrocchia di appartenenza per scoprire legami di parentela che in
molti casi le univano. Si viene così a scoprire che interi gruppi familiari furono in
gran parte soppressi. Ecco che tra i morti della parrocchia di S. Giovanni troviamo
Angela Giuliani di anni 30, moglie di Francesco Muscatelli, e la figlia Antonia di
appena un anno e tra quelli di S. Nicola Sabino Di Lisa di anni 36 e il figlio
Giovanni diciassettenne. Più numerose le famiglie decimate tra i “filiani” della Cat-
tedrale e della parrocchia di San Severino. Appartenevano alla prima Domenico Di
Fazio di anni 47 e i figli Mattia di anni 22 e Antonio Maria di anni 17; Nicola Lo
Fino di anni 56 con i tre figli Giovanni, Michele e Orazio, che avevano rispettiva-
mente 18, 28 e 31 anni; Leonardo Lombardi di anni 63 e il figlio Michele di anni
21; i fratelli Viglione, Nicola e Vincenzo, di anni 24 e 27. Facevano parte della
seconda, infine, Giuseppe Di Girolamo di anni 27 e la moglie Teresa Iannetti di
anni 25; Giuseppe Fiani di anni 57 e il figlio Vincenzo di anni 21, e i già ricordati
fratelli Ruscitti, Emidio e Filippo, di 16 e 24 anni.
Finalmente a sera ebbe termine il massacro. La gente raccolse i propri morti per
dare ad essi degna sepoltura e incominciò a riflettere sull’assurdità di ciò che era
accaduto. I francesi, invece, continuarono a sfogare la loro rabbia abbandonandosi
al saccheggio delle chiese, degli edifici pubblici e privati e delle comuni abitazioni.
43 - M. FRACCACRETA, op. cit., p. 66. Macchione è un toponimo, oggi non più usato, che
indicava una località appena fuori dal paese, alle spalle della chiesa di Croce Santa, dove ora sorge
un edificio delle scuole elementari.
148 La Capitanata nel 1799 G. Clemente
44 - Il generale Guglielmo Filiberto Duhesme, dopo aver soffocato nel sangue la rivolta di San
Severo, lasciò insieme alle truppe francesi il Regno di Napoli nel giugno successivo. Ritornò a
Foggia all’inizio del Decennio il 25 febbraio 1806 e fu ospite, anche in questa circostanza come nel
1799, dei Signori Zezza. Morì combattendo valorosamente nella battaglia di Waterloo. Vedere F.
VILLANI, La nuova Arpi. Cenni storici e biografici riguardanti la città di Foggia, Bologna, 1975
(ristampa anastatica dell’edizione di Salerno 1876), p. 116 e Il giornale patrio Villani, a cura di P. DI
CICCO, Foggia 1985, p. 131.
45 - Giovanni Gaetano Del Muscio, nato a Foggia nel 1747, fu vescovo di Carinola (Ce), di
San Severo dal 17 dicembre 1797 al 29 ottobre 1804, di Manfredonia - Siponto dal 29 ottobre
1804 al 24 dicembre 1807, quando morì a Napoli. (Cronotassi, Iconografia e Araldica dell’Episcopa-
to Pugliese, Bari 1984).
46 - A. IRMICI, Notizie riguardanti la Chiesa e la Confraternita della Santa Croce in San Severo,
manoscritto 1913, p 111 e Archivio della Cattedrale di San Severo, Registro dei morti dal 1769 al
1801, f. 282.
G. Clemente Febbraio 1799 149
da persone fidate, pronti a vendere cara la pelle se anch’essi fossero stati assaliti. Ma
a un tratto - continua l’autore della lettera - la folla tumultuante si radunò davanti
al portone della loro abitazione, bussando e chiamandoli per nome. Seguirono
momenti di terrore e, mentre i due fratelli con i loro sostenitori armati di fucili
trovavano rifugio sul loggiato, il maniscalco Francesco Panipucci si affacciò al por-
tone e chiese alla gente cosa volesse. Con grande meraviglia il popolo cacciò i fazzo-
letti bianchi e, dopo aver invocato la pace, chiese ai due fratelli di diventare loro
capi. Questi inizialmente non volevano accettare, ma poi si lasciarono convincere e
da quel momento il popolo si calmò. Cessarono i saccheggi e nel paese tornò la
calma 50. Falso è, sempre secondo l’anonimo parente, anche quello che Fraccacreta
dice dopo e cioè che i fratelli Antonio e Giovanni Santelli furono condotti dal
popolo alla presenza dei Russi e fucilati per loro ordine 51. Anzi alcuni giacobini, tra
cui Gallucci Antonio, si salvarono proprio perché trovarono rifugio in casa del
notaio, dove furono trattati con ogni riguardo. I fratelli Russi, poi, unitamente ai
Mazzilli, tentarono di dissuadere la folla eccitata ad opporsi ai francesi, perché ne
sarebbero stati sopraffatti, ma nessuno volle ascoltarli. In ultimo, quando, come essi
avevano previsto, accadde l’irreparabile, sempre insieme ai Mazzilli, cercarono la
salvezza nella fuga.
Questa, stando al documento, fu la condotta di Nicola e Matteo Vincenzo
Russi. È chiaramente una difesa poco convincente, un estremo tentativo di riabili-
tare agli occhi della cittadinanza i due fratelli per salvare il buon nome della fami-
glia. Non ci sono, però, al momento, prove oggettive, testimonianze inequivocabili.
Certo è che di quegli avvenimenti e delle persone che nel bene e nel male ne
furono i protagonisti si conservò a lungo il ricordo. Ciò che avvenne lasciò un solco
profondo non solo nella memoria di chi quei tragici momenti ebbe la ventura di
vivere, ma anche in quella di coloro che, negli anni successivi, li sentirono rievocare
dai superstiti. Infatti fino al 1860 le campane della Croce Santa ogni 25 febbraio
richiamavano alla mente con i loro lenti rintocchi le vittime di quel giorno di follia.
Nel processo celebrato contro Paolo Del Sordo, sindaco di San Severo, e altri per i fatti
del 1848, un testimone, il farmacista Vincenzo Lombardi, ricorderà alla corte, a oltre
50 - È questo l’unico punto in cui la versione dei fatti data dal parente dei Russi concorda con
quella di Matteo Fraccacreta, che a p. 63 dell’opera citata scrive “Più stata sarebbe (la strage n.d.r.)
se que’ Russi e più proprietari probi ed imponenti alla testa non frenano la ciurmaglia!”.
51 - “Quel don Crescenzo e i fratelli Santelli presi dal popolaccio nel Casone sono condotti a
Caifas e Pilato, al notar don Nicola e germano Vincenzo Matteo Russi […]; i codesti despoti loro
concedono appena la confessione, li mandano al macello sotto l’albero” (M. FRACCACRETA, op. cit.,
p. 63).
G. Clemente Febbraio 1799 151
cinquanta anni di distanza, ancora con terrore, le infauste giornate del febbraio 1799 52.
Il dominio francese fu però di breve durata. Sin dai primi di aprile le truppe
transalpine incominciarono a sguarnire la Capitanata per fronteggiare l’avanzata
delle forze sanfediste, ma inutilmente, perché il 13 giugno 1799 il cardinale Ruffo
entrò in Napoli e il successivo 10 luglio vi giunse anche Ferdinando IV, il quale,
però, per un po’ di tempo restò prudentemente a bordo della nave Sirena, ancorata
nel porto. Ebbe così inizio l’immancabile e spietata reazione. A Napoli imperversa-
va, esercitando potere assoluto, la Giunta di Stato con il compito di scoprire e
punire i partigiani della Repubblica. Numerosi furono i processi sommari, le con-
danne, anche alla pena capitale, e le confische dei beni. Nelle province si fece ricor-
so alla formazione di una nuova classe di funzionari, eufemisticamente chiamati i
“visitatori”, i quali venivano inviati negli angoli più remoti del regno per castigare i
giacobini 53. Erano due le categorie dei nuovi persecutori: i “Visitatori politici”, che
indagavano sul comportamento dei cittadini per accertare se durante il governo
repubblicano avessero commessi atti contrari alla monarchia, e i “Visitatori econo-
mici”, voluti da Giuseppe Zurlo, Soprintendente delle Reali Finanze, che gestivano
i beni confiscati ai giacobini. Erano coadiuvati da “assessori”, “inquisitori”, “assi-
stenti fiscali”, “consegnatari”, uno stuolo di collaboratori che ogni Visitatore sce-
glieva nella provincia in cui operava e tra i quali non mancavano “delatori prezzolati
e preti o frati fanatici”, veri oppressori da cui bisognava difendersi, che si arricchiva-
no depredando e commettendo ogni specie di violenza 54.
Dovunque si scatenò la caccia al giacobino e molti, pur essendo innocenti, veni-
vano denunciati solamente per soddisfare meschine vendette personali. Tuttavia il
principale compito dei Visitatori era quello di ricondurre il popolo allo stato in cui
si trovava prima della venuta dei francesi, ricostruendo le amministrazioni cittadi-
ne, procedendo alla riscossione delle imposte regie e reintegrando i baroni e gli
agenti feudali nell’esercizio delle loro funzioni 55.
Per le province di Lucera, Trani e Montefusco alla fine di luglio fu nominato
Visitatore Generale monsignor Ludovico Ludovici, vescovo di Policastro, già triste-
52 - A. IRMICI, Notizie riguardanti la Chiesa e la Confraternita dalla Santa Croce, cit., p. 100 e
G. CLEMENTE, San Severo 1848: un inutile processo politico, in “Atti del 3° Convegno di Preistoria,
Protostoria e Storia della Daunia”, San Severo 1981.
53 - P. COLLETTA, op. cit., vol. I, p. 272. Cfr. A. LUCARELLI, op. cit., vol. II, p. 557 e S. LA SORSA,
op. cit., vol. V, p. 162.
54 - A. LUCARELLI, op. cit., vol. II, p. 561 e S. LA SORSA, op. cit., vol. V, p. 163.
55 - N. RODOLICO, Il popolo agli inizi del Risorgimento nell’Italia Meridionale (1798 - 1801),
Firenze 1926, p. 252.
152 La Capitanata nel 1799 G. Clemente
mente famoso per essere stato uno dei capi delle bande sanfediste del Cilento. Ebbe
con dispaccio regio del 9 agosto 1799 come assessore il giudice Carlo Pedicini, fissò
la sua dimora in Monte S. Angelo e fu spietato nell’assolvere il suo compito, che era
prima di tutto quello di liberare il regno dai nemici “del trono e dell’altare”. Biso-
gna, però, aggiungere anche che tra le attribuzioni del Visitatore c’era anche quella
di segnalare al re i nomi di coloro che erano rimasti fedeli sudditi per una eventuale
ricompensa con sussidi o pensioni o anche impieghi proporzionati all’opera svolta
al servizio della monarchia durante il periodo repubblicano.
Nel febbraio del 1800 mons. Ludovici si trovava a Foggia per la visita generale e
venne raggiunto dalle “rispettive madri, mogli e figli di coloro che nella espugnazione
fatta dai Nemici Francesi della città di San Severo, ebbero i Mariti, i Padri, e i Figli
uccisi nel conflitto”. Gli esposero i loro problemi e implorarono l’aiuto del re. Mons.
Ludovici affidò all’avvocato fiscale del Tribunale di Lucera l’incarico di raccogliere
tutte le richieste delle “Famiglie lasciate dagli uccisi”, che vennero affidate al Vesco-
vo di San Severo Giovanni Gaetano del Muscio, con il compito di scegliere “dieci
probi Ecclesiastici ed altri tanti fra Galantuomini, Artisti, e Massari tutti probi ed
intesi delle circostanze delle famiglie e de’ fatti” con i quali le doveva vagliare una
per una e formare un elenco delle persone effettivamente bisognose.
A San Severo gli arcipreti Michele Masciocchi della Cattedrale, Vincenzo Posi-
tani di San Severino, Pasquale Masselli di San Nicola e Severino Tura di S. Giovan-
ni Battista insieme a Francesco Saverio Maddalena, Francesco Galiberti, Giuseppe
Ripoli, Giuseppe Santelli e Rocco Iannarelli compilarono il 30 marzo 1800 un
primo elenco che conteneva i nomi delle vedove e degli altri familiari che “furono
gratificate da S. M. (D.G.) per la morte de’ rispettivi mariti, padri, figli o fratelli,
che uccisi furono dai francesi nel fatale giorno de’ 25 febbraio 1799".
La “mappa” comprende 163 nomi, quasi tutte donne, tra i quali vanno eviden-
ziati quelli di:
Eleonora Oliva, di anni 47, a cui erano stati uccisi il marito Nicola Lo Fino e i
figli Orazio, Michele e Giovanni. “Povera del tutto”, rimase con un figlio maggio-
renne e due figlie, una di 14 e l’altra di 3 anni. Ebbe 24 carlini al mese e due
maritaggi di 20 ducati per ognuna delle figlie.
Rosalinda Pazienza, vedova di Nazario Dell’Aquila, fucilato dai francesi “per
essere stato fedelmente e vigorosamente attaccato alla religione, ed al Trono”. La sua
casa fu saccheggiata. Rimase con quattro figli, due maschi e due femmine. Ebbe 30
ducati per vestirsi, 6 ducati al mese e due maritaggi per le figlie.
Maria Nicola Genovesi, di anni 49, alla quale erano stati uccisi il marito Dome-
nico Di Fazio, il figlio Matteo e una figlia nubile “che sacrificò la vita per serbare
l’onestà”. Abbandonata dal marito, rimase con due figlie, una nubile e una sposata,
G. Clemente Febbraio 1799 153
Numerosi altri furono i cittadini che a San Severo, Apricena, Poggio Imperiale
e San Marco in Lamis con la lusinga di una ricompensa o con la speranza di un
risarcimento si recarono dai notai, seguiti da una schiera spesso nutrita di testimo-
ni, per redigere un atto pubblico in cui venisse dichiarata la loro fedeltà e lealtà alla
causa monarchica. Si procurarono il prezioso documento i sudditi veramente fedeli
al Borbone per allontanare da sé ogni ombra di dubbio; quelli che avevano subito
danni al patrimonio o avevano perso le persone più care; gli abitanti di Poggio
Imperiale che, per i meriti acquisiti nella lotta contro i francesi in difesa di San
Severo, chiesero a Ferdinando IV condizioni di vita più dignitose; ma soprattutto
chi, giacobino pentito, aveva da temere più degli altri dai Visitatori.
Sono documenti di eccezionale importanza nei quali i fatti appena narrati appa-
rentemente sembrano stemperarsi, perdere quasi il loro intenso vigore drammatico
nelle piccole, personali vicende di coloro che, comunque, ne restarono coinvolti,
ma che in realtà ne escono rinvigoriti dalla notevole carica umana che sempre la
vicenda della gente umile, “la storia dei senza storia” reca ai grandi avvenimenti.
Sono 22 atti pubblici che si trovano nel Fondo Notarile, II Serie, della Sezione
dell’Archivio di Stato di Lucera. Il primo porta la data del 14 aprile 1799 e l’ultimo
quella del 25 agosto 1801, redatti nella gran parte a San Severo dai notai Giuseppe
De Santis (quattordici), Carlo De Dominicis (due) e Savino Costanzo e Domenico
Tondi (uno ciascuno). I rimanenti quattro furono stesi ad Apricena dal notaio
Felice Fraccacreta. Sono tutti qui di seguito riportati, operate le opportune sintesi,
in stretto ordine cronologico, quasi a voler sottolineare l’urgenza con la quale furo-
no richiesti e l’importanza che avevano per chi in essi riponeva tutte le sue speranze.
A San Severo colui che, con molta lungimiranza, avvertì per prima la necessità
di un documento che comprovasse la sua condotta durante il periodo repubblicano
fu Francesco Paolo Nardillo, alias Bellizzo. Appena intuì che i francesi erano in
procinto di lasciare la Capitanata, il 14 aprile 1799 si recò dal notaio Giuseppe De
Santis con tre testimoni i quali attestarono che era stato arrestato dalle truppe fran-
cesi con l’accusa di insurrezione e che anche successivamente era stato trattenuto in
carcere per ordine della municipalità 58.
Una conferma di quanto scrive il Fraccacreta a proposito del palazzo di Recca
che fu saccheggiato dai francesi, i quali poi buttarono “nel pozzo di quel portone” le
armi tolte ai vinti 59, si trova nella testimonianza di quattro operai, i quali, su richie-
sta di Michele Del Pozzo, del notaio Nicola Russi e del mastrogiurato Donato
58 - SASL, Fondo notarile, II serie, notaio Giuseppe De Santis, anno 1799, prot. 770, f. 12.
59 - M. FRACCACRETA, op. cit., p. 67.
G. Clemente Febbraio 1799 155
Pompilio, il 3 giugno 1799 si recarono dal notaio Giuseppe De Santis per dichiara-
re che, mentre erano intenti a “polizzare e a monare il pozzo del magnifico Nicola
Recca, sistente dentro la sua casa palazziata” 60, avevano rinvenuto nel pozzo stesso
435 “canne di schioppo in diverse forme: rotte, spezzate ed alcune sane” 61, che
erano state buttate dai francesi durante l’occupazione. Le armi furono poi recupera-
te e 221 pezzi vennero portati in casa di Michele Del Pozzo, 34 in casa del notaio
Russi e i rimanenti 180 furono depositati in cancelleria.
Anche il funzionario Vincenzo Setaro, originario di Nocera dei Pagani, ma resi-
dente in Lucera perché Presidente della Regia Udienza, si recò dal notaio Carlo De
Dominicis il 27 giugno 1799 con ben 19 testimoni, perché si affermasse che, tro-
vandosi egli in San Severo sin dal 13 febbraio e avendo notato come la città “era
insorgente a difendere la sacrosanta religione e per vendicare i torti fatti alla maestà
del nostro Sovrano” 62, volle restare nella nostra città e, come soldato semplice,
partecipò alla difesa di San Severo nella squadra di Matteo Manzi. Combattè valo-
rosamente e “nel campo animava la gente della squadra […] ad usare il solito valore
e fedeltà e di non sbigottirsi nell’attacco” 63. Alla fine, quando ormai la disfatta era
inevitabile, fuggì insieme agli altri, ma il suo impegno nella lotta era stato tale che
un proclama francese ne ordinava l’arresto e la condanna a morte per fucilazione.
Chi aveva, invece, da temere più degli altri dalla restaurazione borbonica e, quindi,
dai visitatori era Giuseppe Maria Mazzilli, perché figlio del più noto Emilio Mazzilli
che presiedette la costituzione della municipalità in San Severo. Si recò perciò due
volte dal notaio Felice Fraccacreta in Apricena. La prima il 28 giugno 1799 con
sedici testimoni, tutti di Apricena, che avevano partecipato alla difesa di San Severo,
i quali dichiararono che il 25 febbraio Giuseppe Maria Mazzilli “a cavallo, ben
armato, insieme co’ medesimi, con sommo valore ed ardimento combattè con quel-
li fino a tanto che, superati, si posero in fuga per salvare la vita” 64. Questo attestato
non era, però, sufficiente, non lo metteva completamente al sicuro dall’inquisizione
dei visitatori. La sua posizione era estremamente delicata, considerando la parte
avuta dal padre nel tormentato periodo repubblicano. Andò perciò una seconda
volta dal notaio Fraccacreta il 15 agosto dello stesso anno, con quattro testimoni tra
cui lo stesso storico Matteo Fraccacreta, il quale affermò che in sua presenza Mazzilli
60 - SASL, Fondo notarile, II s., notaio G. De Santis, anno 1799, prot. 770, ff. 19-20.
61 - Ibidem.
62 - Ibidem, notaio C. De Dominicis, anno 1799, prot. 1501, ff. 65-67.
63 - Ibidem.
64 - Ibidem, notaio F. Fraccacreta, anno 1799, prot. 1419, ff. 52-54.
156 La Capitanata nel 1799 G. Clemente
“ammazzò due francesi di cavalleria, uno dopo l’altro, che caddero a terra estinti” 65.
Un altro dei quattro testimoni, tale mastro Luigi Musto, aggiunse di aver visto
ancora Giuseppe Maria Mazzilli uccidere un altro cavaliere francese.
Anche Michele Del Pozzo si presentò due volte al notaio Giuseppe De Santis. Il
30 giugno 1799 con quattro testimoni di Apricena, i quali sapevano per certo che
Del Pozzo, prima che San Severo fosse invasa dai francesi, non aveva distribuito
coccarde né contribuito a piantare “l’infame” albero della libertà. Era un vero lealista,
attaccatissimo alla corona, tanto che il 25 febbraio, armato e a cavallo, si era battuto
contro i francesi 66. Il successivo 4 luglio ritornò dal notaio con tre testimoni di San
Severo, perché voleva si sapesse anche che la notte del 24 febbraio, quando le trup-
pe francesi erano vicinissime alla città e tutte le campane suonavano per dare l’allar-
me, egli, insieme al suo “cavalcante”, armato e a cavallo, era uscito per un giro di
perlustrazione intorno all’abitato “per mettere a giorno la verità di tale notizia, ed
osservare la posizione del nemico”. I testimoni aggiunsero anche che Michele Del
Pozzo aveva sempre rifiutato incarichi nel governo repubblicano della città e che
spesso aveva rischiato la vita per diffondere notizie a favore della corona 67.
Il 1° luglio 1799 si recò anche mastro Gaetano Del Forno dal notaio De Santis.
Lo accompagnavano sei testimoni, tutti di San Severo, i quali sostennero che egli,
senza conoscerne il motivo, era stato a lungo detenuto ai ceppi nelle carceri cittadi-
ne dal “Governo de’ Municipalisti formato dai Francesi” e composta da Matteo
Fantasia, Vincenzo Faralla, mastro Antonio Gallucci, Antonio Gervasio, Vincenzo
Maddalena, Giuseppe Palumbo, don Michele Petrella sacerdote, Giampietro Petrulli,
e dallo scrivano Carlo Vincenzo Longo 68.
Pure il magnifico Diomede De Petris aveva subito ogni sorta di vessazioni, per-
ciò lo stesso 1° luglio anch’egli si recò dal notaio De Santis con tre testimoni di San
Severo, i quali deposero che, proprio per essere stato sempre fedele al re, De Petris
era stato costretto a nascondersi lontano dalla città per tre mesi, perché perseguitato
sia dai francesi che dai municipalisti, che volevano fucililarlo. Suo più accanito
avversario era stato il noto giacobino Domenico D’Ambrosio, il quale, tra l’altro,
tre giorni dopo il sacco, aveva depredato l’abitazione del De Petris e si era impossessato
di due cavali e una mula 69.
Ma ecco quello che è certamente il fatto più singolare emerso dagli atti notarili: la
insolita richiesta, almeno per quei tempi, di affrancamento feudale avanzata dagli
abitanti di Poggio Imperiale, allora un villaggio di circa 600 abitanti, fondato nel
1761 dal Principe di Sant’Angelo dei Lombardi Placido Imperiale, signore di Lesina.
Era gente povera che viveva con il proprio lavoro e mal sopportava le ingiustizie e i
balzelli, tra cui il focatico e l’erbatico, a cui era sottoposta dal barone “che tutto possie-
de”. Approfittando, perciò, della situazione creatasi con il ritorno a Napoli di Ferdi-
nando IV, una nutrita rappresentanza della popolazione si recò due volte dal notaio
Felice Fraccacreta in Apricena, perché venissero prima di tutto pubblicamente attesta-
ti i servizi resi al sovrano partecipando alla difesa di San Severo contro i francesi e poi
anche per denunciare i soprusi a cui venivano sottoposti. La prima volta, il 7 luglio
1799, erano in trentanove e si lamentavano principalmente di non aver mai avuto un
proprio governo e di aver sempre ubbidito agli ordini “dell’illustre possessore”. Eppu-
re gli abitanti del piccolo villaggio avevano sempre fornito militari di leva al servizio di
Sua Maestà e avevano anche contribuito con un carro, un bue e un cavallo alla raccol-
ta della paglia che veniva trasportata a San Severo per foraggiare gli animali al seguito
delle truppe. Pagavano puntualmente i tributi, anche se appena quattro famiglie pos-
sedevano beni e tutte le altre erano nullatenenti. Infine, quando i francesi stavano per
attaccare San Severo, non avevano esitato ad inviarvi, in un primo momento, dodici
uomini ben armati, “in difesa della real corona”, uno dei quali, Antonio Gianquitto,
era stato ucciso dai francesi proprio il 25 febbraio. Poi altre quattro persone armate
erano partite alla volta di San Severo, ma giunte ad Apricena ed appresa la notizia della
disfatta, avevano ritenuto prudente tornare indietro. Per questo comportamento i
francesi, domata la rivolta di San Severo, avevano imposto anche al piccolo villaggio,
come a tutti gli altri centri del circondario, un pesante tributo. Poggio Imperiale era
stata costretta a pagare duecentodieci ducati, cento in contanti e centodieci con due
cavalli. Agli abitanti erano stati sequestrati anche trentaquattro schioppi e altre armi.
Il barone aveva contribuito, dopo “tanto strepito e clamore della popolazione”,
con appena venticinque ducati al pagamento dell’elevata imposta. Egli pensava
solamente a riscuotere le tasse e non si preoccupava affatto dei bisogni della popo-
lazione, tanto da lasciarla persino senza parroco. “ Il sacerdote che esiste viene dalla
popolazione pagato, la quale languisce per la somministrazione dei sacramenti e
delle messe. Più poi patisce per la mancanza di un fonte battesimale, per cui devono
portare in ogni stagione i loro bambini a battezzare nella suddetta convicina città di
Lesina con sommo pericolo di morire per la strada” 70.
to dal notaio Savino Costanzo di San Severo il 27 settembre 1799 con la deposizio-
ne di nove testimoni si legge che il 25 febbraio due ufficiali francesi avevano preso
due cavalli nelle stalle del palazzo D’Alfonso e altri soldati, saliti al piano di sopra,
avevano fracassato “scrigni e scrivanie”, impossessandosi dell’oro e dei gioielli della
signora Maria Patavino, moglie di Matteo. Era stata asportata anche l’argenteria di
casa e la cassa con il denaro messo insieme dai possidenti di San Severo per pagare
i gruppi armati che dovevano combattere contro “i nemici della pace, dell’onore,
della monarchia e della religione”. Il denaro, l’oro, l’argento e tutti gli altri oggetti
presi nella casa di Matteo D’Alfonso erano stati posti in “due facce di coscini”, che,
ben legate, erano state sistemate in un sacco più grande. Anche la casa di Antonio
Maria attigua a quella di Matteo, era stata saccheggiata. I francesi si erano imposses-
sati di tre cavalli e un calesse per portare via il bottino ed era proprio Antonio Maria
che, minacciato con le armi, aveva portato giù il sacco e lo aveva sistemato “nella
cassetta del calesse”. Quando erano andati via, i francesi si erano trascinati dietro
Domenico Carotenuto, uno dei testimoni, e si erano recati prima a Foggia, dove
avevano pernottato, e il giorno dopo avevano preso la strada per Napoli. Giunti al
Ponte di Bovino, avevano abbandonato il malcapitato, il quale aveva fatto ritorno a
San Severo stremato dalla fatica e dalla fame 73.
Patetica è la storia di due anziani coniugi, Donato Florio ed Eufrasia Rispoli,
che per “difendere la santa religione e il nostro amabilissimo sovrano”, nella leva del
1798 avevano mandato a proprie spese due figli al servizio militare, i quali, però,
agli inizi del 1799 erano ritornati a San Severo “smarriti e nudi”. Malgrado ciò,
sempre per dimostrare il loro attaccamento al re, il 25 febbraio avevano unito tutti
i loro figli per combattere i francesi e uno di essi, il sacerdote don Giacinto, parteci-
pante della parrocchia di S. Giovanni Battista, unica fonte di sostentamento per
l’intera famiglia, era stato barbaramente ucciso dai francesi e la sua casa saccheggia-
ta. Gli sfortunati genitori vivevano “nella massima afflizione ed indigenza con l’in-
tera famiglia” e avevano inoltre “una figlia nubile, anche di buonissimi costumi,
timorata di Dio”, che difficilmente, data la condizione, avrebbe potuto trovare
marito. Il 31 gennaio 1800 si recarono perciò insieme a quattordici testimoni, tutti
di San Severo, dal notaio Giuseppe De Santis, affinché la loro situazione fosse
pubblicamente attestata e il re concedesse loro un sussidio. Il sovrano, per premiare
tanta dedizione alla corona, conferì a don Domenico, un altro loro figlio sacerdote,
“una Badia della Cattedrale di San Severo” 74.
Anche la casa di Benedetto Toma era stata depredata dai francesi il 25 febbraio
e il malcapitato ridotto in miseria. Ciò fu confermato da sei testimoni, tutti di San
Severo, che il 7 maggio 1800 andarono dal notaio De Santis per attestare che il
Toma “per tirare avanti l’industria della sua masseria da campo ha dovuto prendere
ad interesse diversi generi di robbe, consistenti in grano, orzo ed avena da merca-
danti di questa riferita città” 75. Alla fine però aveva dovuto cedere tutto il raccolto
ai suoi creditori, senza poter trattenere per sé nemmeno un tomolo di grano e con
questo atto mirava, appunto, a ottenere un risarcimento dei danni subiti.
Un altro che si era tenacemente battuto a cavallo contro i francesi in quel dram-
matico 25 febbraio fu Nicola Tiani di Vincenzo che, dopo aver ucciso due militari
francesi, aveva resistito fino all’ultimo, quando fu costretto a fuggire e a nascondersi
per diverso tempo, onde evitare la fucilazione a cui era stato condannato. Questo
episodio fu testimoniato da sei persone, che il 5 giugno 1800 andarono dallo stesso
notaio De Santis 76.
Importantissimo è l’atto compilato dal notaio Domenico Tondi il 5 luglio 1800
in cui, su esplicita richiesta dei Procuratori delle quattro chiese parrocchiali di San
Severo, si afferma che la Curia Vescovile, la Cattedrale, S. Severino, S. Giovanni e S.
Nicola il 25 febbraio avevano subito il saccheggio dei beni e la distruzione degli
archivi, in cui quasi tutti i documenti erano stati bruciati, strappati e dispersi 77. Le
conseguenze di questo scempio si possono notare ancora oggi, essendo gli archivi
ecclesiastici della città quasi del tutto privi di documenti anteriori al 1799.
Pure Francesco Paolo Gallucci, fratello di Antonio, che aveva fatto parte della
municipalità, temeva i visitatori e, nonostante fosse trascorso circa un anno e mezzo
dai tragici fatti, sentì la necessità di avere un documento che lo mettesse al sicuro da
spiacevoli sorprese. Perciò il 27 luglio 1800 ben quattordici testimoni, tra i quali
alcuni protagonisti di quegli avvenimenti come Emilio Mazzilli e Vincenzo Matteo
Russi, andarono dal notaio De Santis per affermare che il Gallucci, caporale del
Reggimento Sicilia, non aveva preso parte alcuna alla costituzione della municipa-
lità, che era stato sempre un lealista convinto, tanto che il 25 febbraio aveva com-
battuto valorosamente contro i francesi insieme a molti dei testimoni, fino a quan-
do non sono stati costretti a fuggire di fronte alla superiorità dei nemici. Il Gallucci,
inoltre, era stato uno dei primi a rendere omaggio ad Antonio Micheroux, quando
questi il 20 maggio 1799 sbarcò a Manfredonia con soldati russi e turchi per caccia-
re i francesi 78. Alcuni giorni dopo, tornato di notte a San Severo insieme ad altri
lealisti, aveva abbattuto l’albero della libertà e al suo posto aveva piantato “il vessillo
della Santa Croce” 79.
Il notaio Nicola Russi, ormai notissimo per essere stato il principale animatore
della resistenza antifrancese, il 30 settembre 1800 andò come unico testimone dal
notaio Carlo De Dominicis per affermare che Fortunato Marotta di Boschiano,
casale di Lauro in Terra di Lavoro 80, gendarme in servizio a San Severo nel 1799,
aveva fatto parte del gruppo armato da lui comandato e che la notte del 24 febbraio
aveva pattugliato la città. Il 25, poi, fu tra i primi a combattere contro i francesi e
“non solamente mostrò il suo ardire nell’attaccare, ma ancora animava la gente a
non sbigottirsi, ma ad osare il loro solito valore e fedeltà” 81, anche se alla fine è stato
costretto a fuggire come tutti gli altri. Nel mese di maggio, però, il Marotta faceva
parte dei gruppi armati che, con l’avvicinarsi delle truppe del re, si erano ricostituiti
a San Severo per combattere i giacobini.
Se al Marotta era bastato un solo autorevole testimone, ben dodici ne condusse
dal notaio De Santis il 27 aprile 1801 Carlo Colletta di Sant’Anastasia, ma residen-
78 - Il cavaliere Antonio Micheroux, nato nel 1755 da famiglia originaria delle Fiandre, ma
residente a Napoli fin dai tempi di Carlo III, fu avviato alla carriera militare che però dovette
abbandonare nel 1782 per la sua malferma salute. Abile, prudente e, soprattutto, fedele alla coro-
na, si fece subito strada nella diplomazia borbonica. Il re, dopo avergli dato il grado onorifico di
capitano aggregato all’esercito e la croce del Reale ordine costantiniano, nel maggio 1785 lo nomi-
nò suo ministro nella Repubblica Veneta. Durante la rivoluzione francese ebbe una parte di primo
piano nei rapporti diplomatici tra Parigi e Napoli. Lasciata Venezia subito dopo la pace di Campo-
formio e rientrato a Napoli nel gennaio del 1798, Ferdinando IV lo mandò a Milano come suo
rappresentante nella Repubblica Cisalpina. Ma nell’autunno dello stesso anno, scoppiata la guerra
tra la Francia e il Regno di Napoli, abbandonò Milano e, dopo essersi rifugiato in Toscana, nel
febbraio del 1799, raggiunse la corte a Palermo. Godeva la piena fiducia della regina Maria Carolina
e, su sua insistenza, il 15 febbraio 1799 gli fu affidato il delicato incarico di recarsi a Corfù per
ottenere dai russi, che assediavano l’isola, un contingente di tremila uomini che combattesse con-
tro i comuni nemici francesi per il ritorno dei Borboni a Napoli. Dopo complesse trattative,
Micheroux giunse a Messina con truppe russe e turche e man mano risalì la penisola. Il 14 maggio
1799 sbarcò a Bari, il 16 a Barletta, il 20 a Manfredonia e il 22 entrò in Foggia, dove ricevette una
delegazione di San Severo, che dichiarava la sua fedeltà al re.
79 - SASL, Fondo notarile, s. II, notaio G. De Santis, anno 1800, fasc . 771, ff. 63-65.
80 - Oggi Lauro, frazione del comune di Sessa Aurunca, in provincia di Caserta.
81 - SASL, Fondo notarile, s. II, notaio C. De Dominicis, anno 1800, prot. 1502, ff. 252-
254.
162 La Capitanata nel 1799 G. Clemente
1 - Sul tema vedi il saggio di P. DI CICCO, Una giurisdizione speciale del Regno di Napoli: il
Tribunale della Dogana delle Pecore di Puglia (sec. XV-XIX) in “La Capitanata”, XXIV, gennaio-
giugno 1987, che contiene una completa bibliografia sull’argomento.
2 - Cfr. G. PALMIERI, Pensieri economici relativi al Regno di Napoli, Napoli 1789.
164 La Capitanata nel 1799 A. Vitulli
5 - Cfr. Lettera al Comitato delle Finanze a firma Bassi (?) del 9 Pratile (29 marzo) al Governa-
tore della Dogana Gargani in ASF, Dogana, s. V, fasc. 3852.
6 - Sulla peculiarità della Procedura doganale cfr. R. COLAPIETRA, La Dogana di Foggia, Storia
di un problema economico, Bari 1972, pp. 14-17.
166 La Capitanata nel 1799 A. Vitulli
1 - Tale era infatti il cognome completo. Secondo l’uso del tempo, però, la famiglia si serviva
più spesso del solo predicato de la Grennelais. Nel secolo XIX tale abitudine si è trasformata in uno
stato di fatto, ingenerando qualche confusione nell’attribuzione del cognome ai fratelli de la
Grennelais; nel seguito si farà riferimento ad essi, secondo l’uso ormai consolidato, con il cognome
de la Grennelais.
2 - L’atto di battesimo è registrato nei libri della Propositura di San Giacomo Maggiore Apo-
stolo di Porto Azzurro (LI). Alla part. 901 si legge: “Die 16 eiusdem mensis 7bris 1762 - Ludovicum,
natum heri p° mane, ex Dominus Tenentis Enrigo Renato Cesbron de la Granelais Gallicus, et Domina
Elisabetta Gasperi de hac loco coniugibus ego Prepositus Stephanus Rocca solemniter baptizavi. Patrinus
fuit Dominus Marchione D. Ludovicus Torbellis Gubernator huius Regiae Plateae Belgicus”.
3 - Per la genealogia completa della famiglia de Cesbron de la Grennelais, si veda in A. RÉVÉREND,
Annuaire de la Noblesse de France, vol. LVI, Paris 1900, pp. 178 e sgg., ed in J. SAILLOT, C. SALIOU,
M. TAILLANDIER, Dictionnaire généalogique des familles illustres de l’Anjou, fasc. 21, s. l. 1996, pp.
534 e sgg.; inoltre anche ASN, Manoscritti Serra di Gerace, Tavole Genealogiche, vol. III, f. 1290.
4 - ASNM, Libretti di Vita e Costumi, I serie, vol. 384/15 (Libretto di Vita e Costumi dei Signori
Ufficiali del Reggimento Haynaut), f. 10.
5 - Copia del diploma in AdlG.
6 - Venne battezzata il 23 maggio 1777 nella Cappella del Castello, padrini quel Nicola delli
Santi, che sarebbe poi stato il primo presidente della Municipalità rivoluzionaria di Manfredonia,
e la di lui moglie Giuseppa Ungaro. Clelia morì poi in Napoli il 21 ottobre 1836.
170 La Capitanata nel 1799 E. de la Grennelais
tantissimo porto Luigi, che era entrato nell’esercito ad otto anni col grado di “Ca-
detto alla Piana Maggiore” nello stesso Reggimento Haynaut, manifestò ben presto
forte inclinazione alla vita di mare, tanto che il padre fece in modo di farlo ammet-
tere nella Reale Accademia dei Cavalieri Guardie Marine, che fioriva allora in Na-
poli e dove il Nostro entrò nel marzo 1779 7. Luigi de la Grennelais si distinse
subito per prove di ingegno e di attitudine, tanto che già il 1 maggio dello stesso ’79
fu imbarcato con nove suoi compagni sullo sciabecco “San Giuseppe” alla volta di
Tolone e poi di Brest, dove si allestiva la flotta gallo - ispana che doveva combattere
contro l’Inghilterra, potenza con cui Francia e Spagna erano in guerra a motivo
dell’indipendenza delle colonie americane 8. Erano con lui gli allievi guardiamarina
Carlo Diaz, G. Battista del Coral, Carlo de Stefano, Alessandro Spadafora, G. Bat-
tista Mastelloni, Matteo Correale, Raffaele Doria e Salvatore Saint-Caprais; tutti
erano comandati dal conte Marescotti, tenente di vascello. Raggiunta la flotta, forte
di 99 navi, i marinai napoletani vennero separati. Il de la Grennelais, il Doria, il
Saint-Caprais ed il Mastelloni ebbero posto sulla fregata “Bourgogne”, sulla
“Couronne” gli altri cinque. Dopo cinquanta mesi di navigazione, conclusasi la
pace, Luigi de la Grennelais fece ritorno in patria, avendo dato di sé ottime prove in
tutti i combattimenti in cui si era trovato 9. Nel 1781 era stato nominato sottobri-
gadiere, poi brigadiere 10, alfiere di vascello l’anno seguente; ma nel combattere per
l’indipendenza e la libertà di un paese che non era il suo, cioè gli Stati Uniti d’Ame-
rica, gli si era insinuata nell’animo la carità di patria, il desiderio del pubblico bene
che dovevano portarlo al martirio. Nominato il 3 giugno del ’85 capitano, gli oc-
corse contemporaneamente un episodio che contribuisce a far luce sul suo carattere
e che è opportuno riportare. Dal 1784 al 1798 quasi ogni anno le navi napoletane
ebbero a combattere contro quelle dei pirati barbareschi; accadde che in uno di
questi scontri il Nostro fosse il comandante in seconda della fregata “Aretusa”, agli
ordini del capitano Sterlich. La battaglia volgeva al peggio; l’“Aretusa” era in grave
7 - Copie dei Reali Dispacci di ammissione in AdlG; per la carriera nel Reggimento Haynaut,
si veda invece ASNM, Libretti di Vita e Costumi, I serie, vol. 384/16 (Libretto di Vita e Costumi dei
Signori Ufficiali del Reggimento Haynaut), f. 104.
8 - Per i dettagli della spedizione si confronti in B. MARESCA, La Marina Napoletana nel secolo
XVIII, Napoli 1902, p. 51.
9 - ASNM, Excerpta, inc. 763, f. 2: “[S. M] crea Sotto Brigadieri nella Real Compagnia dei
Cav. Guardie Marine D. Luigi la Grenelais e D. Salvatore Saint-Caprais per gli ottimi riscontri
ricevuti della loro condotta, e portamento ne’ vari combattimenti nei quali si sono trovati”.
10 - Per la carriera di Luigi de la Grennelais si veda in ASNM, Stati di Servizio di Marina, fs. 1,
inc. 3.
E. de la Grennelais Cenni biografici 171
pericolo. Il comandante era fuggito nella sua cabina e si era prostrato ai piedi di una
sacra immagine, implorando dal miracolo quello scampo che venirgli poteva solo
dal valore. Il giovane comandante in seconda riunisce allora intorno a sé l’equipag-
gio già sgomento, lo infiamma con un virile discorso, lo dispone alla resistenza e
non esita a chiudere a chiave il comandante nella cabina dove si era ritirato a prega-
re. Poi, assale con violenza la nave algerina e, sebbene l’altro legno napoletano che
navigava di conserva con l’“Aretusa” non possa intervenire, respinge i corsari e li
costringe alla fuga. Tornato a Napoli, viene “ricompensato” per il suo valore con tre
o quattro mesi di prigionia in castello, sotto l’accusa di insubordinazione 11.
Come già detto, da molto tempo erano in animo a Luigi de la Grennelais l’amo-
re della libertà e l’odio degli oppressori; non è forse sbagliato ritenere che l’origine
francese, le frequentazioni cosmopolite sia a Napoli sia in Manfredonia 12, una cer-
ta preparazione alle nuove idee abbiano influenzato le sue azioni e quelle della sua
famiglia. Però la coscienza dei suoi doveri lo costrinse a serbar fede al Sovrano sino
a quando questi non divenne, come si è detto, il nemico del proprio paese. Quando
Ferdinando IV, infatti, incendiato il naviglio napoletano, fuggì in Sicilia, Luigi de la
Grennelais si sentì sciolto da ogni obbligo. Volle tuttavia riconsegnare la fregata che
comandava a chi gliela aveva affidata: ancorata l’“Aretusa” a Palermo, presentò le
sue dimissioni 13. È pensabile che ciò avvenisse il giorno 5 febbraio; il 6 lasciò Paler-
mo, insieme al Caracciolo 14, il 9 si trovava già a Napoli o nelle sue vicinanze, come
riportato dal Monitore Napoletano della stessa data 15. Si riunì quindi ai suoi fratelli
(Annibale e Guglielmo) e sorelle (Clelia e Sofia), che si trovavano già in città. Essi
non mancarono di abbracciare la stessa causa della libertà, sebbene con assai diversa
fortuna: il primo fu incarcerato a Palermo, agli altri toccò l’esilio. Annibale 16 era
stato preso prigioniero dai francesi a Capua, il 4 gennaio 1799, mentre comandava
un attacco della sua Compagnia del Reggimento Messapia; era tornato nella Capi-
tale al seguito delle truppe di occupazione 17. Guglielmo 18, insieme al suo compa-
gno d’armi Nicola Verdinois, ebbe parte principale in quella occupazione di Castel
S. Elmo che, se agevolò l’entrata dei francesi in Napoli, liberò la città dalle mani dei
lazzari e la salvò dal saccheggio e dalla strage. Tale occupazione è narrata con molti
particolari in una Memoria degli avvenimenti seguiti in Napoli nel gennaio 1799,
pubblicata il 27° giorno di quell’anno 19. Da questa memoria si evince come l’assal-
to dei patrioti al Castel Sant’Elmo, deliberato in casa del Duca di Roccaromana, fu
guidato dal capitano comandante Simeoni e dai capitani tenenti Guglielmo de la
Grennelais, Nicola Verdinois e Antonio Sicardi. L’assalto riuscì: il giorno 19 il ca-
stello era in mano repubblicana. Il giorno 20 aprì le porte agli altri patrioti, tra cui
14 - B. MARESCA, La Marina napoletana, cit., p. 157: il giorno 4 aveva firmato, insieme allo
stesso Caracciolo e a Diego Naselli, una durissima lettera di protesta al Comandante del diparti-
mento di Messina, Brigadiere Vicugna, a proposito di una polizza di pagamento – che serviva per
il soldo e i premi degli equipaggi e degli ufficiali - che era stata sottratta con vistosi maneggi
dall’Amministrazione.
15 - Il Monitore Napoletano 1799, a cura di M. BATTAGLINI, Napoli 1974, pp. 79-80.
16 - Annibale de la Grennelais (Napoli, 25 marzo 1769 - Napoli, 11 marzo 1837) era entrato
nell’esercito nel 1776 e, dopo essere stato allievo nel Battaglione Real Ferdinando e cadetto nel
Reggimento Haynault, fece sino al 1799 la sua carriera nel Reggimento di Messapia. Allo scoppio
della Rivoluzione era capitan tenente. Dopo la tempesta rivoluzionaria, venne reintegrato nel gra-
do il 25 aprile 1801, nello stipendio circa un anno dopo, e concluse la sua carriera il 1 settembre
1823 da maggiore del Reggimento Reali Veterani (AdlG, Stato di Servizio di Annibale de la
Grennelais).
17 - ASNM, Segreteria di Guerra, fs. 891, Riviste del Reggimento Messapia.
18 - Guglielmo de la Grennelais (Gaeta, 21 febbraio 1765 – Messina, 30 maggio 1823), venne
ammesso cadetto nel Reggimento Haynault nel 1775. Passò poi nella Artiglieria; allo scoppio della
Rivoluzione era capitan tenente del Reggimento Regina Artiglieria. Venne reintegrato nel grado il
21 luglio 1806, creato Cavaliere dell’Ordine delle Due Sicilie nel 1815, ed alla morte era tenente
colonnello, direttore delle Artiglierie della Cittadella di Messina (AdlG, Stato di Servizio di Gugliel-
mo de la Grennelais).
19 - Tale memoria è stata pubblicata da A. DUMAS nell’Appendice al IV volume (Documenti)
del suo I Borboni di Napoli, Napoli 1862.
E. de la Grennelais Cenni biografici 173
20 - AdlG, Stato di Servizio degli Ufficiali di Artiglieria [compromessi nell’anarchia], copia anti-
ca dall’originale documento dell’ASNM, Segreteria di Guerra, b. 286, distrutto durante l’ultima
guerra.
21 - M. BATTAGLINI, Atti, Leggi e Proclami della Repubblica Napoletana 1798 - 1799, Chiaravalle
centrale 1983, vol. II, p. 710.
22 - Rodolfo de la Grennelais (Napoli, 19 aprile 1767 – Palermo, 7 giugno 1847), divenne
cadetto del Reggimento Haynault nel 1775; passò poi al corpo Reale di Artiglieria. Nel 1798 - 99
era governatore interino della Piazza di Catania, e capitan tenente; rimase in servizio ininterrotto,
e concluse la sua carriera nel 1844 governatore della Piazza di Messina.
23 - Il fascicolo istruttorio del processo ad Annibale e Rodolfo de la Grennelais si trova in
ASNM, Segreteria di Guerra, fs. 316.
24 - M. BATTAGLINI, Atti, Leggi e Proclami, cit., p. 2079.
25 - Ivi, p. 750.
174 La Capitanata nel 1799 E. de la Grennelais
26 - C. DE NICOLA, Diario Napoletano 1798 - 1825, Napoli 1906, vol. I, pp. 102 -103.
27 - P. COLLETTA, Storia del Reame di Napoli, Bruxelles 1847, lib. V, cap. XIV, par. VII; D’AYALA,
Vite, cit., pp. 224 - 225.
28 - Ci si riferisce alle rubriche riportanti gli estremi dei capi di imputazione e le decisioni della
Giunta di Stato, pubblicate in A. SANSONE, Gli avvenimenti del 1799 nelle Due Sicilie. Nuovi
Documenti, Palermo 1901, pp. CCIII e sgg..
29 - D’AYALA, Vite, cit. p. 225; A. DE LA GRENNELAIS, Luigi de la Grennelais, cit., p. 7; ed anche
nel Cronista di San Paolo alla data dell’8 febbraio 1800 (inedito citato dal Catalogo della Mostra
Storica Napoletana, Napoli 1911).
E. de la Grennelais Cenni biografici 175
in francese le smorfie che gli faceva una vecchia che li seguiva 30. Dal patibolo guar-
dò la folla spettatrice e disse: “Vi ci riconosco molti miei amici: vendicatemi! 31”.
Con la morte del martire non finirono le persecuzioni della sua famiglia: come già
accennato, Guglielmo fu esiliato 32 e riuscì a rientrare a Napoli e ad essere reintegra-
to nel grado solo nel 1806 33. Anche la sorella Clelia, esiliata 34, rientrò a Napoli
quando vi si insediò Gioacchino Murat, nell’esercito del quale si erano arruolati sia
Guglielmo sia il già nominato capitano Verdinois, con cui si era sposata nel 1802 35.
Diversa sorte patirono invece il fratello Annibale, che rimase in carcere duro nel
Castellammare di Palermo fino al giugno 1800 36 e a tutto il 1804 risultava ancora
sospeso dal servizio attivo “in attesa di Sovrana Risoluzione”, e la sorella Sofia 37,
che fu carcerata per molto tempo nel reclusorio di Santa Maria in Agnone 38, vicino
a Castel Capuano a Napoli, e poi venne esiliata con il fratello Guglielmo 39. Ultima
nota che conviene fare è che Annibale, partecipò anche ai moti del ’20 - ’21, dopo
i quali venne costretto a lasciare l’esercito e collocato a riposo 40.
30 - “[...] mentre si avviava al patibolo “Voyez les grimaces de cette vieille femme”; egli disse
ridendo, nel vedere le smorfie che gli faceva una vecchia deforme [...]” (PARISE, op. cit.)
31 - V. CUOCO, Saggio Storico sulla Rivoluzione di Napoli, edizione critica a cura di A. DE
FRANCESCO, Manduria 1998, p. 498.
32 - AdlG, Stato di servizio dei Signori Capitani di Artiglieria, cit.; giunse a Marsiglia il 20
messidoro dell’anno VIII (8 luglio 1799).
33 - AdlG, Stato di Servizio di Guglielmo de la Grennelais, cit.
34 - D’AYALA, Vite, cit., p. 226; A. DE LA GRENNELAIS, Luigi de la Grennelais, cit., p. 7; il d’Ayala
sbaglia il nome di Clelia in Marianna (che non è mai esistita).
35 - Il matrimonio venne celebrato il 21 aprile nella Cattedrale di Piacenza. Lo sposo è quali-
ficato nell’atto di matrimonio come “Illustrissimum Dominum Nicolaum Verdinois [...], Capitaneum
d’Artiglieria Reipublicae Italicae”.
36 - ASNM, Segreteria di Guerra, fs. 316, cit.
37 - Capua, 2 settembre 1771 – Napoli, 14 agosto 1852.
38 - D’AYALA, Vite, op. cit., p. 226; A. DE LA GRENNELAIS, Luigi de la Grennelais, cit., p. 7.
39 - SNSP, Fondo Ruggiero, XXVI A 8, c. 222: Napoletani rifugiati in Marsiglia giunti il 20
messidoro an. 8. Dalle Filiazioni dei Rei di Stato apprendiamo ch’ella era “d’anni 29, capelli biondi,
faccia lunga, e tarlata, occhi cervoni, naso piccolo. Statura piedi 5.”
40 - ASN, Scrivania di Razione, Assienti, fs 508, fasc. 431: Registro dei pagamenti dei militari
al III ruolo provvisorio, cioè sospesi dall’esercizio delle proprie funzioni perché compromessi con
la rivolta.
177
1 - Gli atti notarili sono stati minuziosamente esaminati da Stefano Capone nel volume I
racconti della rivoluzione, Foggia 1999.
178 La Capitanata nel 1799 M. R. Tritto
5 - Ivi.
6 - Ivi, c. 3.
7 - Ivi, c. 6.
180 La Capitanata nel 1799 M. R. Tritto
Il Gargani inviò lo stesso giorno copia di questa missiva a Giacinto Isastia, pre-
side di Lucera, ma questi subito rispondeva che in base alle sue informazioni, la
notizia che a Vasto si stesse aspettando la truppa francese con la coccarda tricolore
era del tutto infondata: “Né da soggetti da me incombenzati per l’osservazione
delle forze nemiche de’ loro movimenti e direzione mi viene riferita una tale circo-
stanza” 8.
Il Mancini, come venne a scoprire più tardi il governatore doganale, non aveva
oltrepassato il paese di Serracapriola, per cui una volta scoperto l’inganno, Gargani
si riprometteva di prendere le misure che il caso richiedeva.
Foggia si proclamò repubblicana il 6 febbraio e il Laubert, presidente del Gover-
no provvisorio, il 21 piovoso, cioè il 9 febbraio, inviò, al governatore Gargani chiusi
in un plico, tre proclami a stampa, con l’ordine di farli pubblicare nei luoghi di sua
giurisdizione. Il primo è il famoso proclama del 10 piovoso inviato dal generale
Championnet agli abitanti della Calabria, della Puglia e dei due Abruzzi, in cui
invitava la popolazione, con minacce non del tutto velate, ad accettare la Repubbli-
ca. Nel secondo, a firma Laubert, si ordinava che i pagamenti delle dogane e delle
gabelle si dovevano effettuare come per il passato e dagli stessi impiegati, che conti-
nuavano nelle loro funzioni: “Il presente ordine deve essere pubblicato, per aver la
sua pronta esecuzione, affinché i pagamenti non soffrano verun ritardo”. Il terzo,
datato sei piovoso, poneva le basi per l’abolizione di tutti i diritti di primogenitura
e fedecommessi 9.
Subito la particolare situazione giurisdizionale di Foggia, dove convivevano il
governo cittadino e l’amministrazione della Dogana delle pecore, ai cui giudici del
Tribunale erano attribuite anche competenze di ordine pubblico, creò le prime
situazioni anomale. Il plico, per competenza, avrebbe dovuto essere inviato non alla
Dogana ma alla municipalità di Foggia, cosa che il Gargani di sua iniziativa si
affrettò a fare il 12 febbraio, in quanto, come spiegò al Laubert in una sua missiva
del 17 febbraio,
questo Tribunale non ha giurisdizione territoriale, ma bensì personale
sui locati affittuari di terre salde del Tavoliere di Puglia appartenente
alla Repubblica, ed altri che godono il Foro Doganale in qualunque
luogo dello stato si trovino. Avrebbe il Tribunale comunicate anche le
medesime agli Officiali Doganali sparsi per tutte l’ex Provincie, i quali
8 - Ivi, c. 8.
9 - Ivi, fasc. 5540, cc. 2-4.
M. R. Tritto I fatti del 1799 in Capitanata 181
10 - Ivi, c. 7.
11 - Ivi, vol. 3852, c. 7.
12 - Ivi, c. 12.
182 La Capitanata nel 1799 M. R. Tritto
Fascicolo di estremo interesse è quello presente nella serie I della Dogana, relati-
vo al bilancio doganale dell’anno 1799. Solitamente il bilancio veniva redatto ogni
settimana dal percettore della Dogana, da questi poi mandato al tesoriere, che a sua
volta specificava le singole voci delle entrate e delle uscite, e successivamente invia-
to, insieme alle rimesse, alla Segretaria di Stato e della reale Azienda. Da Napoli il
luogotenente della regia Camera spediva la relativa nota di riscontro. Il Gargani
aveva inviato le prime rimesse dell’anno 1799 a Napoli non in denaro contante ma,
come era ormai consuetudine per la cronica mancanza di moneta “sonante”, in
“fedi e tratte”. L’ultimo riscontro che aveva ricevuto dal luogotenente, il marchese
Porcinari, datava 12 gennaio ed era inerente al bilancio inviato il giorno 6. Non fu
inviato invece alcun riscontro per i bilanci relativi alla settimana dal 6 al 12 e a
quella dal 13 al 19 gennaio. Nell’inviare la nota del bilancio della settimana dal 20
al 26 gennaio, il governatore doganale decise di non rimettere esazione ammontan-
te a ducati 2020. 94, ma di tenerla ”in cassa a motivo dell’attrasso della posta e della
mancanza di necessari riscontri del Luogotenente di cotesta regia Camera di due
antecedenti bilanci” 13.
Il 21 piovoso, 9 febbraio vecchio stile, su carta con intestazione stampata “Re-
pubblica Napolitana - Governo Provvisorio”, il presidente del Comitato di Finan-
ze, Prosdocimo Rotondo, inviava il riscontro delle rimesse inviate il 13 gennaio, ma
ancora non fornivano notizie circa il “canale” per inoltrare il denaro in Napoli.
Ben consapevole della necessità di doversi mostrarsi zelante nei confronti del
nuovo governo, che aveva il massimo interesse ad impossessarsi delle cospicue ren-
dite doganali, il presidente Gargani inviò il 17 febbraio tre lettere in tutto simili, la
prima a Nicola Fasulo, la seconda a Domenico Bisceglia rappresentante del gover-
no provvisorio, ed una terza al Rotondo, in cui chiedeva spiegazioni per l’invio del
denaro che deteneva in cassa 14.
Finalmente l’otto ventoso, 26 febbraio, ricevette dal Rotondo la risposta:
Cittadino, il Comitato di Finanze rispondendo alla rimostranza de’ 29
piovoso scorso che riguarda la difficoltà incontrata dal percettore interino
di codesta Dogana nel dover rimettere il denaro, v’invita di far sentire al
medemo, a nome di questo Comitato, che rimetta i suoi bilanci d’in-
troito e d’esito e diriga i pagamenti alla Repubblica Napoletana, e per
essa al Comitato di Finanze. Salute ed amicizia 15.
16 - Ivi, c. 27.
17 - Ivi, c. 38v-40r. L’introito ammontava a ducati 123302. 1. 19 e 1/3, le spese a ducati
6538.17.
18 - Ivi, c.45. Le entrate assommavano a ducati 4629.1.11, mentre le uscite a ducati 40.
19 - Ivi, c. 51r. L’introito raggiunse i ducati 4907.1.4, mentre le spese ducati 1154.1.4.
20 - Ivi, s. V, vol. 3852, c. 14.
21 - Ivi, s. I, b. 556, fasc. 16324, cc. 56-60. Nel bilancio del 23 marzo l’incasso ammontava a
ducati 3564.1.1, mentre le spese erano di ducati 587.3; nel bilancio del 30 marzo gli introiti
raggiungevano la somma di ducati 10530.4.12, le spese ducati 431.3.4.
184 La Capitanata nel 1799 M. R. Tritto
22 - I documenti coevi testimoniano i gravi problemi legati alla mancanza di denaro contante,
che condizionava tutti i rapporti economici. Non pochi furono coloro che si rivolsero alla giustizia
civile del foro privilegiato della Dogana di Foggia, per potersi vedere corrispondere i loro crediti in
“moneta d’argento effettiva sonante”. Nel marzo del ’99, la vedova Elisabetta de Martino intentò
causa contro Giacinto Rosati, depositario delle rendite del defunto marito Ferdinando Poppi; il
motivo della vertenza consisteva nel pagamento del vitalizio annuo di ducati 300 e degli alimenti
mensili ammontanti a ducati 50, dovuti per legato testamentario alla vedova, in fedi di credito che
potevano ridursi in moneta contante a costo di un gravissimo interesse. Solitamente l’aggio si
aggirava intorno al 50% della intera somma, e nei mesi della rivoluzione toccò la soglia del 70%.
Per tale motivo, la ricorrente pretendeva il pagamento degli assegni in contanti, dichiarando che li
avrebbe potuto accettare in fedi solo con la bonifica dell’aggio corrente nella pubblica piazza di
Foggia. La causa venne rinviata nel grado di appello nella r. Camera della Sommaria, che aveva
mutato il suo nome in Camera dei Conti Nazionale. (ASF, Dogana, s. II, b. 912, fasc. 18683).
Anche il marchese Lorenzo Filiasi il 6 maggio si rivolse alla giustizia doganale per ottenere in
contanti il canone di alcuni terreni a coltura siti in Carapelle, che aveva affittato a Savino De
Chiara. Quest’ultimo non si era sottratto al pagamento dei ducati 471 che doveva per l’affitto
annuale, ma aveva presentato fedi di credito per un ammontare superiore ai 500 ducati. (ASF,
M. R. Tritto I fatti del 1799 in Capitanata 185
Dogana, s. II b. 916, fasc. 18781). La causa si protrasse oltre il periodo rivoluzionario e successiva-
mente il Filiasi si avvalse, dell’appuntamento del Sacro Regio Consiglio del 24 settembre 1799, che
determinava che gli affitti dei terreni dovevano pagarsi in moneta effettiva per “essere frutti matura-
ti”. (ASF, Dogana, s. II, b. 912, fasc. 186522, c. 5v). Le fedi che circolavano nel periodo, erano
soprattutto quelle del Banco dello Spirito Santo e del Banco di San Giacomo di Napoli, come
testimonia la causa vertente tra Nicola Celentano di Manfredonia e il monastero dell’Annunziata per
il pagamento di un annuo censo di ducati 68 acceso su di un capitale di ducati 2050. Il Celentano
presentò le fedi di credito delle due banche, ma il procuratore del monastero non le volle accettare
perché l’aggio ammontava alla metà della somma dovuta. (ASF, Dogana, s. II., b. 916, fasc. 18785).
23 - ASF, Dogana, s. V, Vol. 3852, c. 17r.
24 - ASF, Dogana, s. I, b. 556, fasc. 16324, c. 72. L’esazione fu di ducati 5749.2.3, le spese
invece assommavano a ducati 306.1.
25 - ASF, Dogana, s. V, vol. 3852, c. 20r.
26 - Ivi, s. I, b. 556, fasc. 16324, c. 77.
27 - Ivi, s. V, vol. 3852, c. 21.
28 - Ivi, s. I, b. 556, fasc. 16324, c. 80. Gli introiti del 28 e 29 ammontavano a ducati 8150.11e
1/3, quelli dall’otto all’11 maggio invece ducati 8752.14. Le spese furono di ducati 255.20.
186 La Capitanata nel 1799 M. R. Tritto
sua futura destituzione: “Cittadino, l’avviso datomi per l’introito fatto dal Tesoriere
Ferrucci dal dì 8 maggio sino agli 11 detto fa sì che io loda la vostra attività e
zelo” 29. Accanto a questa lettera ufficiale, pressanti erano le note ministeriali che
invitavano a trovare “i mezzi più sicuri ed opportuni per la rimessa”, che doveva
avvenire quanto prima “ma con sicurezza”. Il 19 maggio il Gargani si sforzava di
trovare il modo più idoneo per inviare le rendite doganali, così infatti scriveva:
Adempiendo all’invito, ed essendomi abboccato con questo Fisco do-
ganale per gli espedienti che potrian prendersi per la sicurezza ed op-
portunità delle rimesse, si è trovato che il procaccio sarebbe il più sicuro
mentre per il passato si era sempre usato di far pervenire i suddetti
plichi per lo camino della Posta, al sol’oggetto di esimersi dal non indif-
ferente peso del Procaccio 30.
Aveva già fatto annotare nel libro del procaccio, in procinto di partire alla volta
della capitale, plichi di fedi e tratte per un ammontare di ducati 33091.7. 7, com-
prensivo anche delle somme che prima erano inviate alla Camera allodiale e che
adesso venivano incamerate dalla stessa Tesoreria Nazionale 31. Questa corrispon-
denza tra il Gargani e i rappresentanti del governo provvisorio, avveniva quando la
situazione in Puglia era estremamente critica per le sorti francesi: l’armata del vicario
generale Fabrizio Ruffo, il 10 maggio, aveva occupato Altamura, dove aveva insediato
il suo quartier generale, mentre Antonio Micheroux il 14 maggio approdava a Bari,
il 16 riceveva a Barletta una delegazione di Manfredonia nel cui porto sbarcava il 19.
La città di Foggia ritornava ai Borboni il 21 maggio, come si desume da un
registro doganale che riporta la seguente annotazione: “ventidue maggio 1799: a
circa le ore dodici essendo qui giunto da Manfredonia il Cavaliere D. Antonio
Micheroux, Ministro Plenipotenziario di S.M. n.s., presso la flotta compinata
Moscovita Ottomana, colla flotta medesima, si è subito questa città regalizzata” 32.
Mancano cronache dettagliate dei tumulti accaduti in città in questa circostan-
za; notizie sparse si possono raccogliere occasionalmente da documenti stilati suc-
cessivamente, come la dichiarazione resa dal successore del Gargano alla guida della
Dogana, Vincenzo Sanseverino, al visitatore regio, monsignor Ludovici, che richie-
deva i carteggi del passato governo rivoluzionario:
29 - Ivi, c. 89.
30 - Ivi, c. 94.
31 - Ivi, c. 94r.
32 - Ivi, s. V, vol. 3850.
M. R. Tritto I fatti del 1799 in Capitanata 187
38 - Ivi, cc. 5-6 Una brigata di soldati polacchi e giacobini di Campobasso e Casacalenda
aveva assalito, saccheggiato e bruciato i piccoli paesi di Celenza, Castelnuovo e Casalnuovo. (CA-
PONE, op. cit., p. 97 n.).
39 - Ivi, c. 2.
190 La Capitanata nel 1799 M. R. Tritto
capitano Raimondi, quei pochi che ha la guardia civica, mi si dice che non giunga-
no al numero di 106, e sarei significato se ardissi di domandarglieli perché si crede-
rebbe io volessi togliere al popolo la difesa contro gli aggressori giacobini”. Poteva
solo inviare mezzo cantaro e 15 rotoli di piombo, non avendone trovato di più e,
quasi per scusarsi, informava che avrebbe pagato lui stesso il prezzo 43.
Il 2 giugno, dal quartiere generale di Ascoli, Francesco Ruffo ordinava di cam-
biare le fedi di credito:
Ho somma premura che le fedi di credito si cambiassero: per con tutta
premura l’incarico procurare il cambio anche pagandone l’aggio a quel-
la ragione che meglio può trovare, però affinché l’affare non si sventas-
se, e non crescesse il detto aggio usi tutta la segretezza ed attenzione
possibile, ed opri lentamente, e secondo può, affinché riuscisse tal cam-
bio, con esattezza, ed accortezza.
Finalmente scioglieva le sue riserve sul comportamento del governatore:
Intanto lodo estremamente il suo affetto per l’affari di real Servizio, e
mi dichiaro pienamente contento della sua condotta, che dà chiari se-
gni del verace attaccamento che tiene per la comune buona causa, pro-
segua a mostrarsi tale 44.
Per ottenere facilmente denaro, occorreva che le attività produttive del Regno
tornassero alla normalità, dal momento che le operazioni militari avevano provoca-
to la paralisi di ogni forma di commercio. Il 4 giugno il cardinale Fabrizio Ruffo,
dal quartier generale di Bovino, emanò un editto per il ripristino del commercio e
ne inviò copia al Gargani per la pubblicazione nei luoghi di sua pertinenza “perché
possano le popolazioni della città di Avellino, e di altri luoghi convicini, che ora
sono ritornati all’ubbidienza del nostro ottimo Sovrano avere i mezzi di sussistenza
per la pubblica annona” 45. Lo stesso giorno aveva dato ordine di procedere subito
al sequestro di tutti i beni del barone foggiano Francesco Paolo Zezza 46.
Il 9 giugno arrivò un nuovo ordine del commendatore Ruffo:
Con questa mia incarico V. S. Ill.ma a procurare mediante la sua attivi-
tà la esazione di tutti i debiti doganali in effettivo contante, ma quando
43 - Ivi, c. 40.
44 - Ivi, cc. 8-9.
45 - Ivi, fasc. 5535.
46 - Ivi, fasc. 5559, c. 1. Il barone, oltre ad essere un membro della municipalità, aveva alloggia-
to nel suo palazzo i generali Duhesme e Olivier. (F. VILLANI, La nuova Arpi, Bologna 1975, p. 116).
192 La Capitanata nel 1799 M. R. Tritto
ciò non potesse effettuarsi, procurerà ricevere dei debitori tanta quanti-
tà in generi cioè di grani, orzi e lane al prezzo corrente in Foggia 47.
Lo stesso giorno aveva inviato anche un’altra missiva, dopo aver appreso che il
barone Carlo Mascione era il titolare del diritto dell’allistamento e dei residui di
fida sulle “pecore rimaste”, affittato nella regia Camera della Sommaria per 72.000
ducati, e ordinava al Gargani colpevole di non aver fornito tale notizia - “V.S. Ill.ma
non me n’ha data parte” - di farsi consegnare tutti i proventi e, in caso di diniego di
procedere all’arresto e alla confisca di tutti i beni:.
La prevengo di mostrare veramente in tale occasione la sua attività,
facendomi pervenir presso l’Armata tutte le somme maturate e non
pagate dal sopradetto barone Mascione: nella prevenzione ch’io non
ammetto somme pagate alla debellata Repubblica e non bonifico né
ricevo affatto fedi di credito, ma voglio denaro effettivo contante 48.
Piuttosto risentito dalle parole del Ruffo, cosi rispondeva il governatore: “Vostra
eccellenza [...] mi ha quasi rimproverato che io non le abbia data parte dell’esazione
dell’allistamento. [...] Questa esazione però non si fa dalla percettoria doganale ma
addirittura l’affittuale paga l’estaglio nella Camera della Sommaria in Napoli”. Spie-
gava inoltre che: “I pagamenti si effettuano di semestre in semestre, ed il primo
pagamento matura nel mese di agosto venturo. Dal detto fin qui ben ravvisa l’E. V.
che non essendo maturata somma alcuna, non sono stato nel caso di procedere a
carcerazione e sequestro dei beni di esso Mascione” 49.
Al barone, peraltro, erano già stati sequestrati beni in Campobasso, durante il
passato regime, in quanto accusato di essere regalista 50.
La notizia della presa di Napoli si diffuse immediatamente in città il 17 giugno.
Giovanni de Gemmis, uditore del Tribunale della regia Dogana l’incaricato dell’or-
dine pubblico della città di Foggia su delega del Gargani, riferiva che accanto alle
manifestazioni di giubilo da parte della popolazione si erano verificati “alcuni scon-
certi fatti nascere da pochi individui, e mal’intenzionati, i quali dissimulandosi,
coll’aumento loro successivo potrebbero notabilmente turbare la tranquillità pub-
blica e privata” per cui aveva deciso di emanare alcune disposizioni relative ai
festeggiamenti:
che badi che tutto avvenga con ordine e senza sconcerto. Sugli archi
sarà collocata l’iscrizione da me fatta in mezzo alle occupazioni nelle
quali sono immerso. Supplico V. S. a leggerla, ed a farla leggere allo
Eminentissimo, rincrescendomi soltanto che prima di affiggersi non
possa sentire le correzioni di V.E. e dell’Eminentissimo suo fratello, ma
mi serviranno per apprenderle in appresso, ed intanto compatiranno le
debolezze mie 53.
Questa dimostrazione di attaccamento al trono esternata dal governatore, che
aveva abbandonato “le occupazioni” in cui era “immerso” per comporre iscrizioni
per gli archi trionfali, non servì a salvaguardare la sua posizione. Troppo esiguo
infatti parve ai Ruffo il ricavato dell’esazione dell’ultimo bilancio inviato dal teso-
riere della Dogana, poco dettagliate le relative voci, irrisorio il ricavato della fiera
annuale.
La compilazione stessa del bilancio a partire dal 19 maggio, comportò una certa
dose di difficoltà, per cui potette essere pronto solo il 6 luglio. In tutto furono esatti
ducati 109935. 86 e 11/12.
Nelle voci dedicate agli esiti una colonna era dedicata ai “Pagamenti fatti alla
Grande Armata di S.M.” e cioè:
A S. E. Il sig. Commendatore D. Francesco Ruffo, Ispettore generale
dell’Armata di S. M., in esecuzione della domanda fatta con sua lettera
de’ 25 e 30 del passato mese di maggio, con mandato e ricevuta, ducati
5000.
Al medesimo in esecuzione d’altra lettera de’ 11 del passato mese di
giugno con altro mandato e ricevuta, ducati 9637.1.8.
Al sig. Cavaliere D. Antonio Micheroux Ministro plenipotenziario di S.
M. Richiesto con sua lettera de’ 25 del passato mese maggio, ducati 2000.
Al medesimo con altra lettera de’ 29 di detto mese con altro mandato e
ricevuta, ducati 2000.
A S. A. d. Giambattista Di Cesare, generale della Quinta e Sesta Divisio-
ne, per richiesta con lettera de’ 29 di detto mese di maggio, ducati 3000.
Al Comodoro Cavalier Seroschi Comandante della divisione russa
angorata in Manfredonia, per richiesta con lettera de’ 16 del passato
mese giugno con due mandati e ricevuta, ducati 4000.
54 - Ivi, s. I, b. 556, fasc. 16324, cc. 110-115. Furono esitati invece ducati 79034.68. Dei
restanti ducati 30901.18, solo 694.98 erano in contanti, i rimanenti ducati 30206.20 e in fedi di
credito.
196 La Capitanata nel 1799 M. R. Tritto
55 - Ivi, c. 124.
M. R. Tritto I fatti del 1799 in Capitanata 197
percettore e, se il prezzo dei generi non era stato ben specificato, aveva operato “il
vantaggio del Fisco per essersi reintegrato del suo credito che era solito introitarsi in
tempo de’ riaffitti delle terre e fino a tutto novembre”. Continuava affermando che
nella sua ispezione il visitatore Tortora “si è meravigliato del travaglio fatto e del
disimpegno con tanta sollecitudine ed accuratezza”, aggiungeva in tono polemico:
Devo soggiungere finalmente che ho usata tanta diligenza nel riscuotere
i crediti fiscali in tempo del mio governo di questa regia dogana, che con
diversi regi Dispacci ne ho avute le lodi così io, che il percettore, dapoiché
posso dire di avere esatti annualmente somme maggiori de’ miei
antecessori, specialmente per gli attrassi antichi, che io ritrovai, siccome
farò conoscere e toccar con mano al nominato visitatore Tortora 56.
Questa rimostranza fu inviata da Foggia il 3 agosto, ma non impedì che Garga-
ni di lì a poco venisse destituito dalla sua importante carica 57.
Tra i primi provvedimenti presi dal ministro plenipotenziario Micheroux, vi fu
la concessione della grazia a tutti i detenuti carcerati per ragioni politiche.
Nelle carceri della regia Dogana “gemevano” per tali motivi: Giambattista Tota
di Minervino rinchiuso perché dopo l’innalzamento dell’albero nella città, “fu uno
dei primi a noccardarsi coll’insegna del Sovrano e controrivoluzionò con gli altri,
senza però commettere alcun assassinio, siccome fecero gli altri che si servirono di
questo colore per loro privati fini, e pel principio di saccheggiare le povere fami-
glie”; Luigi Mancini di Foggia “perché fuggito colla carretta nell’accompagnamen-
to delle truppe francesi”; Pietro Sessa, Egidio Cannone, Egidio di Benedetto, Salva-
tore e Giuseppe Damiano, Matteo Calluro, e Primiano Montanaro di Serracaprio-
la con Domenico Giorgillo di S. Croce di Magliano carcerati alla fine di aprile dalla
municipalità di Serracapriola come “ insurgenti e controrivoluzionari giacchè tolse-
ro molti schioppi sopra i traini di carriaggio della Legione Carafa”; Angelo e Gen-
naro Curcio di Orsara, “attaccati di rivoluzione nel passato stato repubblicano”;
Michelangelo Fracasso di Biccari la cui colpa era quella di “aver sparlato contro la
finita repubblica ed a favore di S. M., facendo l’impossibile di far tagliare quell’in-
fame albero che avevano ivi piantato”; Gabriele Stabile e Luigi Grimaldi di Panni
“perché si avevano posto la coccarda rossa del re nostro Signore e tolto quella Fran-
cese”; Matteo Merlo di San Giovanni Rotondo “carcerato per causa di rivoluzione
come realista”; Antonio Sessa e Giuseppe d’Amato di Mercogliano, “per avere
amazzati due Generali Francesi”; Vito Michele Rosato, Pasquale Carpentiero e Fran-
cesco Gallicchio di Candela “per rivoluzione a favore di S. M. marciscono nel car-
cere, dopo esser stati in Criminale ferrati col pericolo d’esser fucilati”; Lorenzo
Notarangelo di Monte S. Angelo “fu rivoluzionario per la seconda volta che si mise
l’albero in detta sua Padria”; Vincenzo Pasquale e Giovanni Pancia di Castelnuovo
“perché volevano ribellarsi contro della Repubblica”; Giuseppe Marseglio di Troia
chiuso “come rivoluzionario, non a fatto altro delitto” 58. Le porte del carcere doga-
nale si spalancarono anche per coloro che si erano macchiati di omicidi e reati
comuni, essendo stata loro tramutata la detenzione in servizio militare 59.
Molti carteggi ci forniscono notizie dell’operato del visitatore generale, mon-
signor Ludovici, che su consiglio dell’avvocato fiscale della dogana, Pasquale
dell’Acqua, si avvalse della collaborazione di cinque gentiluomini del posto,
“forniti di tutte le buone qualità”, per raccogliere informazioni: Giulio Cesare
Ricciardi, Giuseppe Nicola de Benedittis, Giuseppe Maria Villani, i marchesi
Filippo Saggese e Giuseppe Liborio Celentano 60.
Durante la permanenza a Foggia nei primi mesi del 1800, il Visitatore ordinò al
nuovo presidente della Dogana, Vincenzo Sanseverino, di inviargli tutti i carteggi
prodotti dall’Amministrazione dipartimentale dell’Ofanto, passati nel tribunale do-
nel caso avessero avuto ruoli di rilievo nel passato regime 66. Sul figlio del marchese
Domenico De Luca, Antonio, che era stato arrestato in Roma, il governatore for-
mò un lungo memoriale, in cui spiegava che era stato pressato dal generale Duhesme
a reclutare una compagnia di Ussari di Puglia, del quale era stato nominato capita-
no. Non avendo potuto esimersi dall’adempiere a tale richiesta, a causa delle minac-
ce pronunciate dal generale, avrebbe fintamente dato la sua adesione, al solo scopo
“di sostenere il partito del re e de sudditi a lui attaccati ed infatti le stesse reclute
erano in questa intelligienza, tanto vero che lontana dal prestarsi al servizio della
repubblica, nel felice giorno de’ 21 maggio dello scorso tempo in cui accadde in
questa città la controrivoluzione regia, esse unendosi col popolo furono de’ primi a
distinguersi e promuovere la controrivoluzione medesima” 67.
Alcuni rei di stato più fortunati vennero detenuti nel carcere civile della Dogana
sito nelle camere superiori del palazzo doganale, nella cosiddetta “camera della cor-
da”, ben diverso dal sotterraneo “umido e mefiticoso” dove si trovavano gli altri
detenuti 68.
La mattina del 5 dicembre 1800 il “mastrodatti” doganale, durante un giro di
ricognizione, rinvenne nel carcere superiore libri in francese tra cui un dizionario,
due grammatiche, il volume “Le avventure di Telemaco”, vari romanzi e in più otto
quinterni di carta manoscritta, contenente la traduzione di buona parte del roman-
zo intitolato “Compar Matteo, o sia la varietà delle spirito umano”, del quale non si
potette rinvenire l’originale. I libri e le carte furono inviate al Ludovici 69.
Il Ludovici terminò la sua missione il 27 maggio 1801, quando fu sostituito da
Troiano Marulli, duca d’ Ascoli, nominato vicario generale nelle province di Mate-
ra, Lucera, Trani e Lecce, con l’incarico di provvedere a ristabilire l’ordine pubblico
turbato da soldati francesi sbandati 70.
In Capitanata gli avvenimenti del ’99 fanno ancor più risaltare quello che era il
maggior punto di debolezza del fronte repubblicano: la distanza incolmabile tra le
idee repubblicane e le masse contadine. Spesso gli appelli patriottici lanciati dai
giacobini napoletani lasciavano fuori gli strati della popolazione rurale che, in Ca-
pitanata soprattutto, costituivano il tessuto connettivo della società. La legge sul-
l’abolizione della feudalità venne approvata quando ormai la situazione generale era
estremamente precaria per le sorti francesi. I repubblicani evidentemente, prevede-
vano di poter avere dinanzi a loro un lungo periodo di governo in cui poter attuare
gradatamente le riforme. Questo errore non fu ripetuto nel 1806, quando i francesi
nell’emanare la nuova legislazione, si interessarono in fase iniziale dell’abolizione
della feudalità e della ripartizione dei demani.
La legge feudale napoletana del 1799 conobbe due redazioni: una più moderata
ad opera del Macdonald ed una più radicale formulata dall’ Abrial. Fu Vincenzo
Russo, il rappresentante più avanzato del gruppo repubblicano di Napoli, a presen-
tare una mozione per la definitiva approvazione della legge 71.
Nella prima redazione della legge fondamentale era l’art. 11, che concedeva una
quarta parte dei demani feudali ai precedenti possessori, mentre nell’ultima reda-
zione approvata si affermava che: “tutti i demani feudali appartengono intieramente
alla Comune, nella quale sono situati”.
Pochi sono i documenti rinvenuti nei carteggi d’Archivio relativi alle ripercus-
sioni tra la popolazione locale della pubblicazione della legge, tanto più attesa in
quanto grandi erano le aspettative dei contadini ancora soggetti ai pesanti vincoli
69 - Ivi, c. 9.
70 - Ivi, fasc. 4375, manifesto a stampa.
71 - G. GALASSO, La legge feudale napoletana del 1799, in “Rivista storica italiana”, 1964, p.
517. Il foggiano Vincenzo Bruno partecipò attivamente alla repubblica napoletana dove ricopriva
il ruolo di presidente della Municipalità di Napoli. Fece parte della commissione legislativa forma-
ta dal commissario organizzatore del Governo provvisorio, Joseph Andrè Abrial partecipando atti-
vamente al dibattito relativo all’eversione della feudalità. (T. PEDIO, La repubblica napoletana del
1799, Bari 1986, p. 91).
202 La Capitanata nel 1799 M. R. Tritto
che il regime feudale imponeva. Indirettamente si possono ricavare notizie dai pro-
cessi civili celebrati nel foro privilegiato della Dogana, subito dopo il ripristino del
governo borbonico. Un tal Domenico Vassalli di Accadia si rivolse ai giudici della
Dogana il 29 giugno 1799, nel timore che gli venissero addebitati i danni compiuti
dai “naturali” di Sant’Agata nei territori feudali denominati “Le Coste” e “Montucci”,
di proprietà del duca di Accadia, che egli aveva affittato nell’aprile del 1796. Il
Vassalli spiegava nel suo ricorso che deteneva la conduzione dei feudi
con tutta quiete, poiché niuno vi ha rappresentato dritto: se non che
essendosi nelli principi del corrente mese pubblicato un invito del go-
verno repubblicano proibitivo de’ dritti baronali e demaniali poche set-
timane addietro si fecero leciti i cittadini di Sant’Agata che sono confi-
nanti con altra difesa di quella università, che anche si tiene in affitto
dal supplicante, di portarsi armata manu nella suddetta difesa delle Coste
ed ivi usare atti possessivi, incidendo alberi, togliendo de’ titoli e pren-
dendosi quasi il terzo della Difesa suddetta, senza che si avesse potuto
reprimere il loro furore ed audacia. Il supplicante altro non potè fare
che dolersene coll’erario il quale ne diè parte a suoi principali, né altro si
è potuto fare. E siccome oggi il Governo per la Dio Grazia è ritornato
in mano del nostro amatissimo sovrano, che Dio sempre feliciti, per cui
i Baroni sono ritornati ne’ di loro antichi dritti, essendo rimasto di
verun rigore il suddetto invito pubblicato pochi giorni fa, così si vede il
supplicante nella necessità di ricorrere alla V. S. Ill. ma ed in atto che si
protesta di non esser affatto tenuto a cos’alcuna per i danni avvenuti in
detta difesa e protestandosi ancora di non esser tenuto all’intiero paga-
mento dell’estaglio 72.
Lo stesso reclamo fu prodotto il 22 agosto 1799 da Canio Stolfi di Avigliano che
dal 1794 conduceva in affitto l’erbaggio estivo dei feudi del barone di Ruoti:
In quest’anno essendosi emanati disposizioni in tempo della passata
anarchia, li cittadini di Ruoti pretendendo il detto feudo che fosse loro
dominio, e perciò il detto erbaggio estivo spettava ad essi, e non già era
della pertinenza del barone, perciò non vollero che il supplicante coi
suoi suffittuari vi avessero immessi in detti erbaggi statonici le rispettive
loro pecore, essendosene formalmente opposti, minacciando ammaz-
zare le pecore ed i custodi.
Chiedeva pertanto di non pagare il canone pattuito, non avendo potuto godere
dei terreni 73. Anche la difesa denominati “La Foresta”, sita in tenimento di
Monteverde, fu devastata dai naturali durante la “passata anarchia” 74.
La documentazione relativa ai fatti del ’99 presente nell’Archivio di Stato di
Foggia può dirsi conclusa con la serie di comunicazioni da parte della real Segreteria
di Stato relativa al trattato di pace tra il re Ferdinando IV e la repubblica francese
dopo l’armistizio firmato il 18 febbraio 1801 75.
A B
Abamonti Giuseppe, 29 Balenzano, capitano, 123
Abrial Joseph Andrè, 30, 56, 201 Bandini Filippo, 72
Accinni Michele, 48, 166 Barbarisi Michele, 200
Acton John F.E., 27, 122, 171 Barbarisi Saverio, 200
Albanese Crescenzo, 129 Barbe J.P., 29
Albanese Filippo, 129 Bargia Emilio, 59
Albanese Giuseppe, 10, 41 Barisciani Luigi di Ginesio, 199- 200
Alessi G., 97 Bartolucci Pasquale, 141, 158
Alfonso I d’Aragona, 167 Baselice Giovanni, 66
Apa F., 127 Baselice Giulio, 66
Argiolas T., 127 Basile Filippo, 41
Alvinczy, generale, 131 Bassal Jean, 30
Amicarella Vincenzo, 67 Bassi Giuseppe, 62, 199- 200
Andrés, 173 Bassi Michele, 200
Angelone Samuele, 66, 199 Battaglia Giacomo, 99, 103, 105-107
Angiulli Vincenzo, 199-200 Battaglini M., 30, 32-33, 38, 47, 52, 56,
Antonelli Giuseppe, 104 79, 84, 87-89, 92-94, 98-99, 172-173
Antonielli Livio, 94 Beaulieu, generale, 131
Apicella Pasquale, 65 Beccia N., 39, 57-58, 67
Arcaroli Domenico, 72, 75-77, 81 Beil, comandante, 124-125
Arienzale Pasquale, 199 Bellitti Emilio, 199-200
Ascella M., 36 Bellitti Giacinto, 54
Augenti Cherubino, 66 Beltrani G., 40
Azzariti Giuseppe, 60, 104 Beniamino Matteo, 66
Azzarriti Emilio, 66 Berardi, fratelli, 136-137
206 La Capitanata nel 1799
Giannetti Antonio, 63 J
Giannuzzi Nicola, 143-144 Jullien Marc-Antoine, 16, 30
Giarrizzo Giuseppe, 28
Gimma Giacinto, 119 L
Ginsborg Paul, 31 La Cecilia Giovanni, 145-146
Giordani Giovanni Tommaso, 44- 45 La Foret, generale, 143, 158
Giordano Francesco Saverio, 57-58 Lallo Nunziante, 162
Giorgillo Domenico, 197 La Marra Scipione, 127
Giovanni da Celenza, 60 Lamonica Vincenzo, 66
Girardon, tenente generale, 30, 128 La Pietra Antonio, 153
Giudilli Raffaele, 53
La Pietra Luigi, 67
Giuffredi Luigi Maria, 58
La Roia Isabella, 146
Giucci G., 113
La Sorsa S., 84, 92, 104, 135, 145
Giuliani Angela, 146-147
Giuliani Luigi, 58 Laterza Anna Maria, 153
Gonnelli Antonio, 91 Latouche-Tréville Louis, 27-28
Granelli Giovanni, 119 Laubert (Lauberg) Carlo, presidente del
governo provvisorio, 52, 180
Grano Bartolomeo, 199-200
Lebrun F., 31
Gratò Pietro,199
Graziano Francesco, 129 Lechi, generale, 132
Greco Nunzio, 66 Lembo Giuseppe, 66
Grieco Michele, 66 Lembo Tommaso, 66
Grimaldi Luigi, 197 Leone Pietro, 66
Guaniero Benedetto, 199 Leone Vincenzo, 66
Guarini Federico, 130 Leopoldo di Borbone, 117
Guerci L., 26, 32 Lepre Aurelio, 35
Lettieri Vincenzo, 61, 67
I Liguori Pasquale, 57-58, 67
Iachello Enrico, 37 Lisi Onofrio, 66
Iacuzio Francesco Paolo, 199-200 Lo Bianco Raffaele, 200
Iannarelli Rocco, 152 Lo Bianco Vincenzo Sabino, 199-200
Iannetti Teresa, 146 -147 Locatelli, nunzio apostolico, 74
Iannucci Domenico, 66 Lo Faro Francesca Maria, 6, 31, 84, 86-87,
Ilari V., 118 90, 115, 127
Irmici A.,140, 143, 148, 151 Lo Fino Giovanni, 147, 152
Isastia Giacinto, 103, 106, 180 Lo Fino Michele, 147, 152
Iuso Michele, 199 Lo Fino Nicola, 147, 152
212 La Capitanata nel 1799
N R
Napoli, 9, 14-16, 20, 24-33, 35, 39, 44-45, Ragusa, 132
48, 51, 53, 56, 59, 61-62, 69-70, 74, 77-
79, 81-82, 85-86, 88, 91-92, 97-98, 100- Rignano, 199
101, 109-110, 113-115, 117, 119, 122, Ripacandida, 41
124-125, 128, 130-131, 133, 138, 142- Rodi, 58, 143
143, 151, 159, 161, 169, 171-172, 174- Roma, 70, 126, 200
175, 181-184, 192-193, 195-197
Romagna, 29
Nocera dei Pagani, 155
Roseto, 66
Noci, 41
Ruoti, 202
Nola, 195
Rutigliano, 153
Ruvo, 59
O
Olanda, 29
S
Oneglia, 29
Salerno, 13, 16-17, 133
Orsara, 197
Saline di Barletta, 123
Otricoli, 132
San Bartolomeo in Galdo, 72
San Cesareo, 113
P
San Giorgio la Molara, 124
Parigi, 161
San Giovanni Rotondo, 58, 66, 187, 198-
Palermo, 29, 78, 120, 127-128, 161, 171- 199
172, 175
222 La Capitanata nel 1799
San Marco in Lamis, 5, 56, 58, 61, 66, 141- Terra di Bari, 14, 31, 35-39, 41-44
143, 154, 162 Tocco a Casauria, 147
San Marco La Catola, 59, 66, 199 Tolone, 170
San Severo, 5, 10, 35, 37-40, 42, 56-61, 72- Torremaggiore, 5, 37, 38, 43, 143,
73, 76-79, 81, 109, 123, 135-137, 139-
150, 152, 154-162, 179, 189, 193, 199 Toscana, 161
Sannicandro, 199, 143 Trani, 10, 35, 37, 40, 44, 122-123, 130,
142, 151
Sant’Agata, 66, 202
Trieste, 49, 117
Santa Croce di Magliano, 197
Troia, 5, 37-40, 56-59, 61, 66-67, 72-73,
Sepino, 45, 199 76-77, 88, 142, 199
Serracapriola, 66, 178, 180, 197 Turi, 91, 116
Sicilia, 37, 77, 171-172
Siena, 116, 131 U
Siponto, 148 Umbriatico, 71
Spagna, 27
Sparanise, 29 V
Spinazzola, 164 Valenzano, 123
Stati Uniti d’America, 170 Vasto, 178-180
Svizzera, 29 Velletri, 118
Veneto, 39
T Venezia, 122, 161
Taranto (golfo di), 120, 126 Vico, 56
Teramo, 120, 179 Vienna, 116, 131
Terlizzi, 37, 123 Vieste, 58, 66, 71, 75-76, 81, 143
Termoli, 72, 75-76 Volturara, 66, 72, 76, 81
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dionale, Mezzogiorno, Puglia.
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