Sei sulla pagina 1di 11

Geofisica

IL TERREMOTO: UN KILLER INVISIBILE CHE PUÒ FAR «DAVVERO» MALE!


(Breve indagine sulla tettonicità del territorio di Poggio Imperiale e del Gargano)
di Giovanni Saitto

La terra oscilla sotto i piedi, le case rischiano di crollare, la gente si


abbandona al panico: è il terremoto. Che è, fra tutti gli eventi naturali, il
più imprevedibile e temibile.
Quando si parla di terremoto si aprono profonde riflessioni e si pongono
diversi interrogativi sullo stato della situazione tettonica del territorio di
Poggio Imperiale, considerato dagli esperti, insieme a tutto il Gargano, ad
elevato rischio sismico. Ed infatti, nella classificazione sismica dei comuni
italiani, indicati nell’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri N°
3274/03, Poggio Imperiale è inserito in zona 2, area in cui si possono
verificare terremoti di rilevante intensità.
Essendo sorto nel 1759 in un sito alquanto critico dal punto di vista
geologico che, in passato, è già stato teatro di eventi sismici di una elevata
consistenza, Poggio Imperiale non ha mai vissuto «da protagonista», per fortuna, la tragedia di un «dopo
terremoto»: di scosse ne sono state avvertite diverse di una certa intensità nel corso dei decenni, come vedremo
in seguito, l’ultima delle quali in ordine di tempo, molto forte, quella delle ore 04,57 (02,57 UTC) di sabato 18
aprile 2020, con magnitudo 3.5 della scala Richter ed epicentro localizzato, dalla Rete Sismica Nazionale
dell’INGV, proprio a 2 km a sud-est dall’abitato di Poggio Imperiale ad una profondità di 23 km (vedi immagine di
lato a destra).
In tanti a Poggio Imperiale abbiamo vissuto, sentito
e ricordiamo le due terribili e distruttive scosse del 23
novembre 1980 e del 31 ottobre 2002 che hanno
devastato l’Irpinia e la Basilicata la prima e San Giuliano
di Puglia la seconda, dove hanno perso la vita ventisette
alunni della scuola elementare «F. Jovine», crollata per
gli effetti del sisma.
In momenti come questi, l’ansia e la paura la fanno
da padrona e, a ragione, incutono comprensibili e
fondati timori in tutti noi. Ogni volta che vediamo i
lampadari muoversi o le sedie che dondolano,
sobbalziamo dalla paura che possa succedere qualcosa
anche in casa nostra.
In questa scheda tratteremo brevemente (vista la
complessità e la vastità della materia) alcuni argomenti
al riguardo. Procediamo con ordine partendo dalla
materia che tratta questo fenomeno.
La scienza che studia le proprietà fisiche del pianeta Terra è la geofisica (detta anche fisica terrestre); una sua
branca è la sismologia, la disciplina che si interessa dei fenomeni sismici, in particolare dei terremoti e la
propagazione delle onde elastiche (o sismiche) da essi generate. La sismologia analizza anche altri eventi naturali,
quali i maremoti e le attività dei vulcani.
Primo quesito: come si forma e cos’è un terremoto?
I terremoti, insieme ai vulcani, sono manifestazioni della vitalità della Terra e consistono in vibrazioni di varia
entità della crosta terrestre, causate da una inaspettata liberazione di energia in un punto profondo della crosta
terrestre; da qui si diffondono, in tutte le direzioni, una serie di onde elastiche, dette «onde sismiche». Ciò è
dovuto al fatto che la superficie terrestre, anche se non ce ne accorgiamo, è costantemente in movimento. Infatti i
terremoti si verificano quando la tensione risultante oltrepassa la capacità del materiale di sopportarla. Questo
fenomeno avviene in genere lungo i confini delle 20 placche tettoniche (o zolle) nelle quali è suddivisa la Terra,
di cui le più importanti sono: la zolla africana, quella euroasiatica, la pacifica, la nordafricana, la zolla
sudamericana e quella antartica. I terremoti che avvengono nei confini tra placche sono definiti terremoti
interplacca e sono in genere più frequenti di quelli che si verificano all’interno delle placche, chiamati terremoti
intraplacca.
I terremoti hanno frequenza giornaliera sul pianeta. Molti di essi sono brevi, quasi impercettibili all’uomo e
sono detti strumentali, perché registrati solo dai sismografi. Nel caso di terremoti più forti, la durata può essere
di molti secondi e l’intensità, dovuta alla propagazione delle onde elastiche, in senso orizzontale (scossa
ondulatoria) o verticale (scossa sussultoria), varia a seconda della distanza dall’epicentro del terremoto, cioè dal
punto di superficie in cui si genera. Spesso un terremoto è accompagnato da forti boati, causati dal passaggio
delle onde sismiche all’atmosfera.
Intensità e classificazione sismica
Un terremoto di alta intensità spesso provoca danni alle costruzioni e purtroppo anche morte. Il violento e
brusco movimento del terreno può causare cedimenti strutturali agli edifici, provocandone il crollo totale o
parziale; alle dighe, con conseguenti inondazioni; cedimenti del terreno (frane e smottamenti). Tutto ciò può
causare incendi e fuoriuscita di sostanze pericolose e nocive. Se il terremoto ha la sua origine in mare, si ha
un maremoto. Un effetto del maremoto è lo tsunami, cioè una serie di onde originate dall’evento sottomarino; a
seconda dell’intensità può essere estremamente pericoloso e devastante. I terremoti sono considerati gli eventi
naturali più potenti che possono avvenire sulla Terra.
I terremoti tettonici, considerati i più distruttivi e i meno prevedibili, sono la conseguenza dei movimenti di
scorrimento o accavallamento che avvengono tra le zolle che formano la crosta terrestre; l’energia che viene
sprigionata è molto alta. Il più disastroso terremoto di questo genere fu quello che devastò l’Alaska nel 1964. I
terremoti con magnitudo maggiore sono generalmente seguiti da scosse più lievi, definite repliche. Il punto di
origine di un terremoto all’interno della Terra, dove si è originato il movimento della faglia e da dove partono le
onde sismiche, è detto ipocentro. La proiezione verticale dell’ipocentro sulla superficie terrestre, cioè la
propagazione sferica delle onde sismiche, viene definita epicentro. Questa è la zona dove di solito il terremoto
causa i danni maggiori.
La classificazione sismica è la divisione di un territorio in aree distinte che sono caratterizzate da un rischio
sismico. Secondo l’Ordinanza del PCM n. 3274 del 20 marzo 2003, di cui si è detto, ogni Regione ha l’obbligo di
classificare, dal punto di vista sismico, ogni
singolo Comune, in modo da prevenire danni
ad edifici e persone in seguito ad un
terremoto. In base alla zona, gli edifici
dovranno essere costruiti secondo la
normativa antisismica. I Comuni italiani
sono stati classificati in 4 categorie principali
(a destra la carta sismica d’Italia):
Zona1: sismicità elevata-catastrofica.
È la zona più pericolosa, dove si possono
verificare forti terremoti e dove nel passato
alcuni paesi sono stati distrutti durante
eventi sismici. In Italia 716 paesi sono in
questa zona e si trovano nel nord-est del
Friuli Venezia Giulia, lungo l’Appennino
Centrale e Meridionale (dall’Umbria alla
Basilicata); nel sud-ovest della Calabria, in
Sicilia, nella zona di Sciacca e Mazara del
Vallo.
Zona 2: sismicità medio-alta.
In questa area si possono verificare
terremoti abbastanza forti. Sono presenti
2.324 paesi che si trovano in gran parte
nell’Italia centro-meridionale, in Sicilia, nei
luoghi limitrofi alla Zona 1 del Friuli Venezia
Giulia e in una piccola parte ad est del
Piemonte.
Zona 3: sismicità bassa.
Area soggetta a terremoti moderati. In essa sono presenti 1.634 paesi, ubicati in una minima parte del Piemonte,
della Lombardia, del Veneto, del Trentino e della Toscana. Inoltre nel Lazio, in Umbria, sulla costa abruzzese,
nella Puglia del barese e in gran parte nell’Emilia Romagna.
Zona 4: sismicità irrilevante.
Area a basso rischio di terremoto, ma con l’obbligo che gli edifici pubblici (scuole, ospedali e caserme) devono
essere costruiti con criteri antisismici e, quelli già esistenti, essere messi a norma. In questa zona sono compresi
3.427 comuni presenti in Val d’Aosta, Piemonte, Alto Adige, basso Veneto e tutta la Sardegna. In Puglia l’unica
«zona franca» è la Penisola Salentina.
Il Gargano: una terra ballerina
Prima di addentrarci alla scoperta della vulnerabilità sismica del territorio garganico, diamo un’occhiata alla
sua formazione geologica e, più in generale, a quella della Puglia.
Le prime tracce della Puglia risalgono al Triassico (245-195 milioni di anni fa). Dalla sedimentazione delle
acque di Tetide (l’odierno Mediterraneo) si originarono le rocce che costituiranno il piedistallo del territorio
pugliese. Inoltre, dalle fratture che spesso si aprivano, fuoriuscirono magmi che, solidificando, hanno lasciato
importanti tracce nel Mediterraneo, tra cui l’affioramento roccioso di Punta Pietre Nere, sulla costa di Lesina.
Nel Giurassico e nel Cretaceo, nel bacino di Tetide vanno accumulandosi strati di sedimenti che in seguito si
trasformeranno in rocce compatte, con la formazione di calcari del Giurassico e del Cretaceo, calcari che
determineranno il basamento della regione, lungo 250 km e largo 50 km.
Sul finire del Cretaceo (circa 65 milioni di anni fa), lo scontro tra la zolla africana e quella euroasiatica
provoca l’emersione delle rocce italiche e della futura Puglia. Le terre della nostra regione sono emerse e
sommerse diverse volte nella loro storia geologica. Infatti nel Terziario (da circa 110 a circa 2 milioni di anni fa)
si verificano diverse ingressioni e regressioni delle acque marine. In questo periodo si costituiscono rocce
sedimentarie come quelle Eoceniche delle Tremiti, del Capo di Santa Maria di Leuca e del Gargano, nonché quelle
Mioceniche del Lago di Varano, di Apricena e quelle della «pietra leccese».
A partire dal Pliocene (circa 5 milioni di anni fa) comincia una fase di sollevamento tettonico con la
formazione dell’Appennino, ma solo nel Pleistocene (circa 2 milioni di anni fa) si avrà il sollevamento definitivo
della regione.
La storia geologica del Gargano, invece, inizia all’incirca 160 milioni di anni fa quando, nel periodo Giurassico,
si depositarono le rocce più antiche che ancora oggi sono visibili in affioramento. In quell’epoca, tutta l’area oggi
occupata dall’Italia meridionale era un susseguirsi di aree di mare poco profondo, in cui si depositavano sabbie e
fanghi carbonatici spesso bordati da scogliere coralline, chiamate dai geologi «piattaforme carbonatiche». In
alcune zone del Gargano la presenza di rocce che contengono al loro interno fossili di coralli, indicano che questi
sono vissuti in un clima tropicale e non sicuramente alle attuali latitudini in cui si trova attualmente il nostro
promontorio.
Tali condizioni climatiche e paleogeografiche persistono per tutto il periodo compreso tra il Giurassico e
l’Eocene (da 160 milioni di anni fino a 40 milioni di anni fa) e solo in parte durante il Miocene (circa 15 milioni di
anni fa).
Per avere un’idea di come poteva essere l’area garganica insieme al resto dall’Italia meridionale durante quel
periodo, possiamo immaginarci ambienti con spiagge e isolotti, lagune, piane di marea, scogliere coralline e aree
di mare profondo.
Nel caso del Gargano, come per numerose catene montuose, il meccanismo responsabile del suo sollevamento
va quindi ricercato nella dinamica interna del nostro pianeta (tettonica delle placche). Come tutti sappiamo, la
Terra è suddivisa in numerose placche che interessano il suo involucro esterno (la Litosfera). Queste placche
sono in continuo movimento tra di loro e lungo i loro bordi si osservano la maggior parte dei fenomeni
catastrofici come i terremoti e le eruzioni vulcaniche. Semplificando notevolmente questo quadro globale, si può
paragonare la superficie terrestre ad un enorme «autoscontro» planetario, in cui le catene montuose
rappresentano il risultato o le «ammaccature» di queste collisioni. Le rocce, come le lamiere di un automobile,
vengono ripiegate, contorte, deformate e anche lacerate. Queste collisioni, pero, non sono istantanee ma
avvengono lentamente e possono durare milioni di anni. Per ritornare al Gargano, la collisione responsabile della
formazione delle varie catene montuose italiane anche se con tempi differenti, è quella avvenuta tra la Placca
Africana e la Placca Europea. Il primo sollevamento d’una certa entità del Gargano, dai dati recenti sembra essere
iniziato nel Miocene (circa 5 milioni di anni fa) e proseguito
con fasi alterne nel Pliocene, quando la regione inizia ad
assumere la morfologia attuale, contemporaneamente
plasmata dall’azione degli agenti atmosferici e del fenomeno
carsico.
Le faglie così formatesi sono responsabili, oltre che dei
terremoti, anche del sollevamento del promontorio. Infatti,
ogni piccolo o grande terremoto si genera quando l’energia
accumulata nelle rocce supera la loro resistenza e queste si
«rompono». La rottura, avviene attraverso la fratturazione
delle rocce che si spostano tra di loro (faglie) e l’energia viene
dissipata sotto forma di onde sismiche.
Le varie faglie riscontrabili nel Gargano possono essere
raggruppate principalmente in tre sistemi principali:
1) faglie ad orientamento NO-SE (appenniniche);
2) faglie ad orientamento E-0 (garganiche);
3) faglie ad orientamento NE-SO (antiappenniniche).
Queste faglie (a destra la carta strutturale delle faglie) si
sono mosse in vario modo durante la loro esistenza, che per
alcuni risale addirittura al Mesozoico sia lungo il piano
orizzontale (faglie trascorrenti) che lungo il piano verticale (faglie dirette e inverse). Le faglie ad orientamento E-
0 assumono notevole importanza nel contesto strutturale garganico, in quanto la maggiore rappresentante di
questa categoria corrisponde alla ormai famosa «Faglia di Mattinata», che divide praticamente in due il
Gargano. Sul suo allineamento, o in prossimità di esso, sono sorti numerosi paesi e cioè San Marco in Lamis, San
Giovanni Rotondo, Monte Sant’Angelo e Mattinata. Questa faglia è conosciuta anche come: faglia di Valle
Carbonara; faglia Sud-Garganica; Gargano Fault, allineamento S. Marco in Lamis-Monte S. Angelo; linea di
Gondola in offshore.

Carta geologica dell’area garganica dove sono ben schematizzate le faglie di Mattinata (a1) e di Apricena (a2) che,
a detta degli scienziati, fu la responsabile del terribile sisma del 30 luglio 1627.

Esistono pareri contrastanti sul tipo e senso di movimento di questa faglia. Per alcuni si tratterebbe di una
trascorrente destra, per altri di una trascorrente sinistra. Infine è stata considerata come faglia inversa e, dopo il
terremoto del Molise del 31 ottobre 2002, come indirettamente responsabile dello stesso o quantomeno
collegata ad esso. In ogni caso si tratta di una struttura complessa e che probabilmente ha agito ed agisce in
diversi modi.
Dal punto di vista tettonico, pertanto, si può affermare che la nostra regione è caratterizzata da una sismicità
di un certo rilievo, essendosi verificati alcuni terremoti di forte intensità con gravi danni alle cose e numerose
vittime. Essa risente, inoltre, degli effetti degli eventi sismici del Matese, del beneventano e dell’alta Irpinia, aree
nelle quali si sono verificati alcuni dei maggiori terremoti della storia sismica italiana, e di quelli, in misura
minore, della regione ellenica e del Mar Egeo.
Il terremoto più significativo per l’area garganica è stato certamente quello del 30 luglio 1627, ben
documentato dagli studiosi dell’epoca. In occasione di questo terremoto, accompagnato anche da un’onda
anomala (tsunami), furono pubblicati i primi esempi di carta macrosismica, con la rappresentazione degli effetti
distinti in 4 gradi. Altri significativi terremoti della zona sono avvenuti nel 1223 (IX grado MCS), nel 1414 (VIII-
IX), nel 1646 (intensità IX-X) e nel 1875 (VII-VIII).
Più recentemente, due terremoti con caratteristiche di elevata intensità sono avvenuti il 30 settembre 1995 di
magnitudo 4.4 e il 29 maggio 2006 di magnitudo 4,5. Entrambi gli eventi hanno avuto epicentro nella zona di
Carpino.
Ma vediamo cosa accadde quel venerdì 30 luglio 1627 in Capitanata.
Il «killer» aveva annunciato il suo «arrivo» sin dall’anno precedente. Scosse di lieve intensità, infatti, furono
avvertite dalla popolazione da ottobre e fino al 27 gennaio del nuovo anno. Un periodo di apparente calma nella
prima parte del 1627, poi di nuovo altre scosse a maggio e giugno. Agli inizi di luglio ci furono giorni di pioggia
torrenziale tanto da vedere le campagne piene di acqua, e il 27 un’eclissi di luna per sei ore oscurò tutto l’orbe.
La faglia assassina, comunque, si era già messa in moto e il fatto fu evidenziato da alcuni fenomeni, quali
l’intorbidamento delle acque dei pozzi, che avevano assunto un odore sulfureo e l’udito di molti rombi
sotterranei: era l’evidente segnale dell’arrivo del «killer». Nulla poteva portare ad immaginare il dramma che da
li a poco avrebbe sconvolto la regione.
Quel drammatico venerdì 30 luglio 1627, il sole, con maggior forza dei giorni precedenti, faceva sentire il suo
calore; donne e bambini erano rifugiati nel fresco delle loro abitazioni mentre la maggior parte degli uomini, per
tollerare il gran caldo, si intratteneva in strada all’ombra degli edifici.
Giunta l’ora fatale delle sedici, «s’udì muggir la terra non a guisa di un toro, ma d’un grandissimo tuono che non
se ne può dar comparazione, poiché offuscava l’udito e la mente e subito si vide ondeggiar la terra, a guisa che
sogliono le onde nel maggior agitamento del mare.»
A questa prima scossa ne seguirono altre, ma quella più intensa e devastante fu la quarta, anticipata da un
terribile boato, una scossa così grande e terribile verso ostro, stimata tra il X e l’XI grado della scala Mercalli, che
causò la maggior parte dei crolli nei paesi coinvolti nell’area dell’epicentro. I centri che furono maggiormente
dissanguati dal «mostro» furono Apricena (oltre 900 vittime), Lesina (150), San Paolo di Civitate (circa 400),
Serracapriola (2000 morti), San Severo (900) e Torremaggiore (350).
La morte, il più grande ladrone universale, quel 30 luglio fece banchetto opulento. Secondo Antonio Lucchino,
un abate di San Severo che descrisse la tragedia in quanto la visse in prima persona, perirono complessivamente
sotto le macerie circa 4.600 persone.
Lo sciame sismico continuò ancora per molti giorni e altre forti scosse di terremoto furono avvertite dalla
popolazione, che ormai era corsa a trovare un rifugio sicuro nelle campagne della Capitanata. Da annotare la
scossa che avvenne nel tardo pomeriggio di sabato 7 agosto, di intensità leggermente inferiore a quella del 27
luglio, che dette il colpo di grazia a Serracapriola (che rovinò tutta non restando alcuna forma completa de
habitatione, né pietra sopra pietra) e interessò anche Chieuti, dove crollarono molte abitazioni, e quella delle ore
22 del 6 settembre, che causò altri crolli nei vari centri già duramente provati dall’arrivo del «killer».
Dopo un periodo di relativa calma, in cui furono avvertite scosse di livello strumentale, all’alba del 12 luglio
1628 un’ulteriore forte scossa di assestamento gettò la gente nel panico, facendola sobbalzare dal letto e
costringendola ad abbandonare le baracche, non ritenute più luogo sicuro.
Nell’area colpita, il sisma, oltre a distruzione e morte, provocò collassi nei terreni e variazioni nel regime
idrico delle acque sotterranee. La riva sinistra del fiume Fortore fu segnata da grandi e profonde aperture;
inoltre fecero la loro comparsa fontane di acque negre che, dopo un mese circa, sparirono senza vedersi più. Anche
i pozzi, persino quelli più profondi, rigurgitarono le loro acque all’esterno e sprigionarono un intenso odore
sulfureo. Nei pressi di Chieuti il «killer» sradicò totalmente un intero bosco.
Nel concludere la sua descrizione, il cronista ci dice che tutti vivevano con timore indicibile, aspettando
piuttosto la morte che la vita.
La terribile forte scossa del 27 luglio, inoltre, provocò un’onda gigantesca che si abbatté sulla costa
settentrionale del promontorio garganico colpendo il tratto di costa prospiciente il lago di Lesina, il litorale di
Manfredonia e la foce del fiume Sangro, provocando inoltre l’allagamento della pianura abruzzese tra Silvi e lo
splendido borgo medievale di Mutignano e l’inondazione delle campagne di San Nicandro Garganico.
Anche le onde anomale, meglio conosciute col termine di «tsunami», comunque non sono state infrequenti
nell’area garganica, sebbene i geofisici intendono per «frequenza» un intervallo di millenni tra un fenomeno e
l’altro.
Quello del 30 luglio 1627 è stato uno dei maggiori tsunami che hanno interessato le coste italiane
dell’Adriatico meridionale. La zona colpita dal sisma terrestre, dopo un primo ritiro delle acque, venne
completamente sommersa dal mare.
Il fronte d’acqua associato allo tsunami deve essere stato veramente impressionante: cronache dell’epoca
riferiscono che Termoli «precipitò» nel mare.
Anche altre città furono interessate dall’evento: a Manfredonia, uscita praticamente indenne dagli effetti del
terremoto, si registrò un’onda di 2-3 metri di altezza.
Un’importante considerazione riguarda l’estrema pericolosità dell’evento se dovesse ripetersi ai giorni nostri.
La zona interessata, infatti, praticamente disabitata all’epoca dell’evento, è oggi sede di un forte insediamento
abitativo e numerose strutture turistiche sono sorte a ridosso della costa. Terribile sarebbe il pedaggio da pagare
sia in perdite di vite umane sia in danni economici al patrimonio per la distruzione generalizzata che deriverebbe
dal verificarsi di un terremoto/tsunami analogo a quello del 1627.
Tuttavia la prova dello tsunami del 1627 è stata accertata dagli studiosi, che hanno analizzato gli strati del
terreno a Nord e a Sud della zona di Lesina. Studi effettuati in loco hanno individuato sei depositi potenziali di
tsunami, probabilmente relativi a sei terremoti.
La datazione col radiocarbonio di tre di questi depositi suggerisce un intervallo medio di ricorrenza di 1700
anni per gli eventi di tsunami sul litorale nordico del Gargano e di 1200 anni sul litorale di Manfredonia.
Altri maremoti di minori dimensioni, conseguenti ad eventi sismici, si verificarono poi nel 1731, con aumento
del livello del mare da Siponto a Barletta, e nel 1889, quando il mare del Gargano ebbe solo un leggero sussulto.
Esempio di depositi all’interno della sequenza paludosa del Lago di
Lesina. Sono visibili due livelli sabbiosi correlati a due distinte onde. Sulla
base delle cronache storiche e delle datazioni radiometriche eseguite, il
livello sabbioso superiore (sabbia arancione) sarebbe stato lasciato dallo
tsunami del 1627.

Torniamo alla nostra Poggio Imperiale, che è sorta, come già detto, nel 1759.
Il primo significativo terremoto che fu avvertito dai cittadini 6erra novesi, è stato senza alcun dubbio quello
del 26 luglio 1805, che ha visto come epicentro la cittadina molisana di Bojano ed ha avuto una intensità del X
grado della scala Mercalli, almeno nel punto epicentrale. L’onda sismica generata dal sisma ha riflettuto, nel
paese alle falde del Gargano, una scossa pari al VI grado della Mercalli che, per fortuna dei nostri avi, non fece
alcun danno né alle cose, né alle persone. Per lo scampato pericolo, si disse per intercessione dell’Arcangelo
Michele, da Poggio Imperiale si organizzò annualmente un pellegrinaggio a Monte Sant’Angelo, per rendere
grazie al Principe Celeste dell’aiuto prestato in occasione del sisma.
Ma vediamo, nella tabella che segue, i terremoti che hanno interessato il territorio di Poggio Imperiale (nello
sfondo bianco quelli avvenuti dopo la fondazione del paese).

Tabella dei terremoti più significativi che hanno interessato Poggio Imperiale
(fonte I.N.G.V.)

Intensità Giorno Mese Anno Ora Minuti Secondi Epicentro


8-9 1223 Gargano
10-11 30 07 1627 S. Paolo C.
9 31 05 1646 04 30 Gargano
9-10 29 01 1657 Lesina
9 20 03 1731 03 Foggiano
6.6 26 07 1805 02 11 40 Bojano
6 21 02 1841 S. Marco in Lamis
5 16 12 1857 21 15 Basilicata
7 06 12 1875 S. Marco in Lamis
7 08 12 1889 Apricena
3-4 06 06 1892 Tremiti
4-5 10 08 1893 20 52 Gargano
6-7 25 03 1894 Lesina
3 08 09 1905 01 43 11 Calabria
4 07 06 1910 02 04 Irpinia/Basilicata
4-5 13 01 1915 06 52 Avezzano
5 23 07 1930 08 Irpinia
6-7 17 07 1937 Serracapriola
5 15 12 1937 21 25 Capitanata
6-7 18 08 1948 21 12 20 Capitanata
4 09 02 1955 10 06 Monte S. Angelo
4 21 08 1962 18 19 30 Irpinia
5 29 2 1972 20 54 Mare Adriatico
5 23 11 1980 18 34 52 Irpinia/Basilicata
3-4 07 05 1984 17 49 42 Appennino abruzzese
5-6 26 04 1988 53 45 Mare Adriatico
4-5 05 05 1990 07 21 17 Potentino
3-4 26 05 1991 12 25 59 Potentino

4.4 30 09 1995 10 14 34 Carpino (FG)

5.4 31 10 2002 11 33 00 Bonefro (CB)

5.3 01 11 2002 16 09 02 Provvidenti (CB)

4.5 29 05 2006 04 20 06 Carpino (FG)


2.3 30 03 2009 23 07 17 Lesina
3.2 01 12 2009 15 59 56 S. Nicandro G.
2.6 25 05 2010 12 20 43 Lesina
3.7 16 04 2015 13 34 17 Poggio Imperiale
3.2 16 04 2015 13 41 47 Poggio Imperiale
3.1 17 04 2015 11 10 59 Poggio Imperiale
2.3 23 05 2015 05 13 14 Poggio Imperiale
2.1 20 10 2015 05 22 16 Lesina
2.3 21 03 2016 22 36 27 Poggio Imperiale
2.4 01 05 2016 12 45 53 Poggio Imperiale
2.3 29 09 2016 01 20 05 S. Paolo C.
2.1 02 07 2018 03 11 07 Poggio Imperiale
3.0 13 10 2018 03 55 47 Chieuti
2.7 31 01 2019 16 10 31 S. Paolo C.
2.4 30 03 2019 14 10 21 Lesina
2.4 13 12 2019 14 59 23 Poggio Imperiale
3.5 18 04 2020 04 57 27 Poggio Imperiale
2.3 11 11 2020 17 48 29 Poggio Imperiale

NB: dalla scossa del 30/09/1995 l’intensità si riferisce alla scala Richter

Si può prevedere un terremoto?


Qui c’è aria di terremoto! Quante volte abbiamo proferito questa frase o l’abbiamo sentita dire da qualche
nostro interlocutore in giorni in cui il caldo è così opprimente, tanto asfissiante? Non tante per fortuna.
Abbiamo visto, ma era cosa risaputa, che viviamo in una zona ad elevato rischio sismico e dobbiamo
assolutamente essere consapevoli che un forte terremoto possa colpire anche le nostre zone.
Ma la scienza è in grado, al giorno d’oggi, di avvisare la popolazione dell’arrivo di un sisma? Si può prevedere,
in poche parole, un terremoto? Secondo il mio modestissimo parere (da profano, ma interessato alla materia) no,
anche se ci sono studiosi che vogliono affermano il contrario.
Navigando sul web per approfondire la curiosità, ho trovato alcuni autorevoli interventi di studiosi e
giornalisti, che si interessano dell’argomento e che, appunto, riportano le due tesi. Iniziamo con quello
di Virginia Visani, ex inviato speciale per i periodici Rcs-Corriere della Sera, pubblicato all’indomani del
terremoto che il 6 aprile 2009 ha colpito L’Aquila.
Scrive la Visani: «Alla ricerca di certezze e costantemente critici verso le istituzioni, soprattutto quando queste
si rivelano insufficienti a contenere un disastro come il terremoto che ha colpito L’Aquila, troviamo facile appiglio
nel dire: il ricercatore che lo aveva previsto è stato zittito sia dal capo della protezione civile sia dal
massimo esperto italiano in sismografia.
Peccato, però, che i maggiori scienziati sismologi del mondo concordino nel dire che “le speranze un tempo così
lucide di poter prevedere un sisma, stiano oggi diventando sempre più fragili”. Aggiungono inoltre gli scienziati che
“si rivela sempre più inutile l’idea di poter avvertire per tempo la popolazione”.
Il dubbio che queste affermazioni siano un voler ”mettere le mani avanti” nel caso che queste si rivelino un
fallimento, è molto forte. Tuttavia le argomentazioni portate dai sommi esperti a sostegno dell’impossibilità di
prevedere un terremoto, sono molte e documentate.
Per esempio quelle dell’esperto sismologo Dr. Thomas Heaton del United States Geological Survey in Pasadena,
California, che pessimisticamente smonta l’ottimismo degli studiosi che lo hanno preceduto.
Considerando le implicazioni politiche e sociali che tale affermazione può avere, il Dr. Heaton si chiede
perché spendere tutti quei soldi nella ricerca se questa si rivela inutile ai fini della prevenzione? Non sarebbe forse
più utile che l’ingente somma venisse impiegata per la costruzione di edifici antisismici, ponti e strade più solidi?
In realtà bisogna dire che lo studio dei terremoti e la conseguente ricerca della loro predittività ha avuto negli
anni fortune alterne. Per esempio dal 1950 circa fino agli anni ‘80, gli scienziati hanno avuto ragione per esempio
nel prevedere un terremoto della città cinese di Haicheng basandosi sulla constatazione dell’aumentato livello
dell’acqua potabile.
Nel rapporto della National Academy of Sciences del 1975 si sono presi a modello due constatazioni. Uno,
chiamato “teoria della dilatazione”,è simile a ciò che accade quando si mette il piede nella sabbia bagnata e la
sabbia si asciuga proprio attorno al piede. Secondo la spiegazione del Dr. Thomas H. Jordan, esperto in Geofisica
del Massachusetts Institute of Technology, il fenomeno è dovuto al fatto che i granelli di sabbia subiscono una
rotazione e non aderendo più attorno al piede lasciano scorrere via l’acqua. Si è dunque pensato che lo
stesso fenomeno di dilatazione accadesse alle rocce e che queste, lasciando scorrere via l’acqua prima ancora che
si verifichi il sisma, potessero indicarne l’imminente pericolo. Oggi però, spiega Jordan, non si dà più molto credito a
questa teoria.
La seconda teoria è quella dei segnali precursori e si basa sullo studio delle zone a rischio in quanto già colpite
in precedenza da un terremoto. Si è trattato di monitorare dette zone, negli States e in Cina, per osservare
percettibili sommovimenti della crosta terrestre che potessero predire l’avvento del sisma. Anche questa teoria si è
manifestata non valida. I terremoti successivi si sono verificati in zone assolutamente non prevedibili.
Altri tentativi di predizione si sono fatti seguendo la traccia della nuova Scienza del Caos e della Complessità,
per la quale i terremoti sono il classico esempio del sistema caotico e un sisma di magnitudo elevata potrebbe essere
il risultato di tanti piccoli, impercettibili sommovimenti verificatisi nel tempo. Ma anche se i piccoli sommovimenti
vengono monitorati, noi non saremo mai in grado di predire quando si verificherà il terremoto vero e
proprio.
Questa sulla base degli studi e delle ricerche, anche empiriche compiute nel tempo, è tuttora l’autorevole
opinione del Dr. Thomas Heaton del United States Geological Survey in Pasadena, California.»
Tesi che sposa in pieno, ma con una possibile apertura ai «previsionisti», anche il geologo del CNR Mario
Tozzi in una intervista rilasciata il 9 aprile 2009 all’agenzia di stampa APCOM: «I terremoti non sono prevedibili e
lo sciame sismico che c’è stato nei giorni scorsi non poteva far prevedere con certezza il verificarsi di un evento
sismico, escluso anche dagli esperti. Ma c’è stata una particolarità mercoledì scorso nella zona dell’Aquila, che
poteva essere interpretata come previsiva di un evento di proporzioni importanti, come quello che si è verificato, e
cioè la liberazione dal sottosuolo di una grande quantità di gas radon. Come geologo ho appreso che anche una
settimana prima dell’evento sismico ci può essere un picco di radon. Non è un metodo previsivo certo, ma potrebbe
essere interpretato come un segnale di allarme. Ma certamente sulla base del quale non prendere misure come
quelle di evacuare un’intera regione. I terremoti non sono prevedibili, ma sappiamo quali sono le zone pericolose e
l’Aquila è una delle più pericolose d’Italia.»
Nell’intervista, Tozzi fa riferimento al radon. Questo gas è di origine profonda e può essere messo in
movimento se avvengono delle spaccature nelle faglie sotterranee che generano un terremoto.
Per quanto riguarda il sisma che ha colpito L’Aquila, alcuni ricercatori dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso
(LNGS) avevano notato una emissione, superiore del normale, del radon e avevano previsto il possibile
verificarsi di un evento sismico.
Nel territorio aquilano, infatti, questi studiosi, tra cui il tecnico Giampaolo Giuliani, hanno installato cinque
«precursori sismici» in altrettanti siti: a Coppito; nel Laboratorio del Gran Sasso (ospite dell’INFN); in una stanza
della scuola De Amicis della città marsicana; a Fagnano e a Pineto. Ma cos’è il «precursore sismico»? Dice Giuliani
in una intervista: «È uno strumento in grado di rilevare il radon e di evidenziarne le modifiche di concentrazione. Il
"precursore sismico" permette di monitorare i territori e, attraverso la variazione di concentrazione del radon,
permette di prevedere un evento sismico con un anticipo variabile dalle 6 alle 24 ore e una efficienza maggiore
dell’80%. Le cinque stazioni di cui disponiamo ci consentono di triangolare i dati, ottenendo con precisione
l’epicentro ed il grado sismico dell’evento. Attraverso questa macchina ho potuto studiare il comportamento
del radon e conoscerne delle caratteristiche non note alla scienza ufficiale perché sprovvista della tecnologia da noi
utilizzata. I cinque "precursori sismici" si trovano tutti a più di tre metri sotto terra e, in corrispondenza di un
evento sismico, rilevano nello stesso momento lo stesso segnale, creando un grafico perfettamente sovrapponibile.»
E allora, ci chiediamo, perché non si è dato ascolto a Giuliani? Facciamo un passo indietro e vediamo il motivo.
Nel mese di marzo del 2009, Giampaolo Giuliani, notando che i rilevatovi segnalavano un elevato picco di
emissione di radon, aveva annunciato che il giorno 29 di quel mese una forte scossa di terremoto, di rilevante
entità e dalle conseguenza disastrose, avrebbe interessato Sulmona. La notizia scatenò tra i cittadini della città
peligna una sorta di psicosi collettiva, costringendo la commissione Grandi Rischi della Protezione Civile a
riunirsi in tutta fretta «per rassicurare la popolazione che non c’è alcun pericolo in corso», che «la situazione è
monitorata ora per ora» e che «non è possibile prevedere in alcun modo il verificarsi di un sisma». Contro Giuliani si
scagliò Guido Bertolaso, Direttore del Dipartimento della Protezione Civile, che chiese una punizione esemplare
per coloro «che si divertono a diffondere notizie false».
Risultato: Giuliani denunciato per procurato allarme.
Ma c’è un «però» che potrebbe avvalere la tesi e gli studi dell’equipe del Giuliani!
Tra il 29 e il 30 ottobre del 2002, il tecnico osservò segnali eccezionalmente intensi ed anomali di emissioni
del radon. Convinto si trattasse di eventi particolari, avvertì i colleghi che, pensando ad un guasto del rivelatore,
consigliarono di spegnere la macchina. Giuliani, contro il parere dei colleghi, non spense la macchina, che intanto
registrò segnali sempre più rapidi e violenti. Decise allora di allertare telefonicamente l’assessore abruzzese alla
Protezione Civile, avvisandolo che il rilevatore generava allarmi di notevole intensità prevedendo un evento
sismico con epicentro lontano dalla zona aquilana.
L’assessore, per non far apparire insensati gli allarmi di Giuliani, chiese ai responsabili locali della Protezione
Civile di organizzare per il 31 ottobre un’esercitazione con i volontari dell’ente, per essere pronti a qualsiasi
eventualità. Il 31 ottobre 2002 i sismografi registrano alle 11:32 una forte scossa sismica localizzata a San
Giuliano di Puglia, nel Molise, di magnitudo 5.4 della scala Richter, con effetti corrispondenti all’VIII-IX grado
della scala Mercalli.
La scossa causò il crollo, sulla parte sottostante, del solaio di copertura di parte dell’edificio scolastico
«Francesco Jovine», che comprendeva scuola materna, elementare e media. Sotto le macerie rimasero
intrappolati 57 bambini, 8 insegnanti e 2 bidelli. Terrificante il bilancio in perdite di vite umane: 27 bambini ed
un’insegnante rimasero vittime del crollo. La scuola elementare fu l’unico edificio a crollare del tutto a San
Giuliano di Puglia, anche se altre due donne furono uccise dalla caduta di detriti e calcinacci delle loro abitazioni.
Allora?
I metodi dell’equipe di Giampaolo Giuliani dovrebbero essere presi in considerazione dalla comunità scientifica?
Secondo Michelangelo Ambrosio, dirigente di ricerca dell’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) presso
il Dipartimento di Fisica dell’Università “Federico II” di Napoli, si: Giuliani ha ragione sul radon.
«Conosco bene Giuliani perché ho lavorato quattro anni con lui.» Scrive il dottor Ambrosio in una lettera
indirizzata al dottor Corrado Stillo, responsabile dell’Osservatorio per la Tutela e lo Sviluppo dei Diritti
dell’Associazione “Giuseppe Dossetti” di Roma, lo stesso giorno della scossa che ha colpito l’Aquila.
«Negli ultimi tempi ci siamo scambiati dati sulla possibile correlazione terremoti-emissioni di gas Radon. Nei
laboratori del Gran Sasso c’è un interferometro laser che registra gli spostamenti della roccia perché il laboratorio è
attraversato da una faglia sismica: questa è una cosa nota. Trascurare con superficialità le applicazioni di nuove
tecnologie solo perché proposte da ricercatori non appartenenti allo establishment preposto a tale funzione è una
negligenza criminale di cui oggi paghiamo le conseguenze.»
Insomma, una conferma della teoria di previsione del terremoto di Giampaolo Giuliani.
«Le tragiche sequenze di queste ore del terremoto in Abruzzo rendono più che mai attuali le indicazioni degli
scienziati - si aggiunge nella nota - che compiono studi di vulcanologia come il dott. Giuliani tecnico e ricercatore
del laboratorio di fisica del Gran Sasso.»
Anche Corrado Stillo supporta la tesi di Giuliani: «Chiediamo che quanto prima si apra un serio dibattito sul
perché studi di previsione dei ricercatori italiani sulla possibile previsione di terremoti non sono presi in
considerazione. Non è l’ora delle polemiche, ma è opportuno che in un Paese sismico come il nostro - sostiene Stillo -
gli studi sulle previsioni basate sull’emissione di gas radon siano valutate come avviene in altri Paesi, tra cui il
Giappone, dove da tempo i dati sul radon vengono presi ed analizzati dagli esperti.»
Insomma, Giuliani, siccome non appartiene all’establishment scientifico, dovrebbe essere considerato un
eretico, un uomo, un tecnico da additare al ludibrio scientifico, da mettere all’angolo?
Se fossi stato un geofisico (materia che mi ha affascinato fin dai tempi della scuola) avrei approfonditi i miei
studi sul radon. Purtroppo non essendo uno studioso di terremoti, ma navigando in quel mondo villaggio che è
internet, posso affermare con certezza che di radon per lo studio degli eventi sismici se ne parla da almeno 30
anni. Degli studi sul gas radon, e sul rapporto che intercorre tra il radon e i terremoti, da diversi decenni la
comunità scientifica si interroga, in silenzio e in modo molto approfondito, su numerosissime ricerche riferite
proprio a questo gas che potrebbe essere utilizzato come «precursore sismico».
Basta digitare «radon earthquake precursor» su Google scholar che si possono osservare, e consultare, i
risultati di molte ricerche i cui contenuti non sembrano tanto soddisfacenti da poter consigliare di utilizzare
questo metodo per prevedere i terremoti.
Le prime anomalie dei valori del Radon furono rilevate nel 1966 quando, in occasione del disastroso
terremoto di Tashkent in Uzbekistan, i livelli di gas nell’acqua dei pozzi salirono bruscamente. Da allora si è
sviluppata la teoria secondo la quale il radon accumulato nelle rocce potrebbe essere utilizzato come possibile
indicatore premonitore di eventi sismici, liberandosi non appena le tensioni sotterranee si avvicinano ad una
soglia critica. Sono così iniziate misure sistematiche delle variazioni temporali del radon in altre zone sismiche,
soprattutto in California, in Cina e in Islanda. Il sismologo Tsuneji Rikitake, si legge nel sito dell’Osservatorio
geofisico di Novara, segnala dodici casi di variazioni nella concentrazione di radon direttamente correlati ad
eventi sismici.
Il fenomeno è stato studiato per otto anni lungo la Rift Valley, l’imponente frattura tettonica che corre da nord
a sud lungo la porzione orientale dell’Africa, nei pressi del Mar Morto; gli studi hanno rivelato che, all’interno
della faglia, entro tre giorni dai picchi di radon si sono verificati 40 terremoti contro i 22 statisticamente attesi.
Gli studi passati hanno evidenziato due possibili tipi di anomalie nei valori del radon: a lungo ed a breve termine.
Nelle prime le concentrazioni di Radon cominciano ad aumentare parecchi mesi o addirittura anni prima
dell’evento sismico, sino a raggiungere valori anche 3-4 volte maggiori del valore di fondo; le seconde iniziano
invece alcuni giorni o qualche mese prima dell’evento sismico e presentano ampiezza generalmente molto
maggiore delle prime, fino a raggiungere valori due ordini di grandezza superiori al segnale di fondo.
È vero che i terremoti oggi non possono essere previsti con certezza, ma è altrettanto vero che la prevedibilità
di un evento è un obiettivo scientifico realistico, tanto che Ian Main, sismologo dell’Università di Edimburgo, ha
definito quattro livelli di predizione:
1) eventi indipendenti nel tempo, indagati su base statistica e sull’osservazione di eventi precedenti;
2) eventi legati alla variabile tempo e in questa prospettiva valutati;
3) eventi prevedibili in base a determinati segnali (il radon, ad esempio);
4) eventi del tutto prevedibili nel tempo e nello spazio, e in grado di lasciare il tempo ai provvedimenti di
evacuazione.
Nonostante ciò, tutte le ricerche effettuate in tal senso non hanno mai dimostrato, fino ad oggi, quel costante
rapporto di causa-effetto che, se provato, avrebbe già affermato da tempo la prevedibilità dei terremoti. È infatti
vero che, alcune volte, lo abbiamo appena visto, il radon anticipa devastanti eventi sismici. Ma è anche vero che
altre volte a un elevatissimo picco di “emissione” del radon dal sottosuolo non è poi seguito un terremoto, e che
ci sono stati anche molti terremoti distruttivi senza che fossero anticipati da questo tipo di segnale precursore.
Dopotutto anche Giuliani ha sbagliato: non è vero che, come ho già detto, a fine marzo 2009 aveva previsto un
terremoto distruttivo a Sulmona? Che poi fortunatamente non si è verificato. E l’aveva previsto otto giorni prima
del ‘vero’ terremoto che poi realmente
si è verificato.
Se ci si fosse basati sulla previsione di
Giuliani, si sarebbe dovuto evacuare
Sulmona. E dove si sarebbe portata la
gente? Forse all’Aquila? Probabil-
mente otto giorni dopo avremmo
avuto più vittime.
Di conseguenza, affermare
che oggi i terremoti non si possono
prevedere è assolutamente corretto e
preciso. Ripeto, questo lo affermo da
profano, ma interessato alla materia.
Ovviamente dire che i terremoti oggi
non si possono prevedere, non
significa che non sarà mai possibile
arrivare a predire il possibile
momento del sisma. Nella scienza,
campo in continua evoluzione, nulla è
impossibile. E ben vengano tutti gli
studi che possano aiutarci a fare dei
passi avanti proprio nel mondo della
ricerca scientifica. La prevedibilità di
un evento, quindi, è un obiettivo
scientifico realistico, fondamentale e primario.
La presenza del radon in eventi sismici importanti, come nell’ottobre del 2002 poco prima del terremoto di
San Giuliano, ha spinto una società italiana, la Caen di Viareggio, leader nella fornitura di sistemi di
«Identificazione a Radiofrequenza», a mettere a punto strumenti per la misurazione del radon. Al progetto
partecipano anche la Fondazione Nixon e la Duke University, che si trova a Durham, North Carolina. L’obiettivo è
la creazione di un sistema di allerta che funzioni come quello che indica l’avvicinarsi di uno tsunami.
Lasciamo lavorare serenamente gli scienziati, sicuramente prenderanno in considerazione anche il rapporto
«radon-terremoto». Però è giusto dire una cosa: non è tanto la previsione che salva vite umane, ma la
prevenzione.
Anche se è molto difficile e complicata attuarla perché la prevenzione richiede spese ingenti sia per la
ristrutturazione di vecchi edifici, di cui l’Italia è piena, sia per le costruzioni ex-novo.
Consideriamo che non è il terremoto ad uccidere le persone, sono gli edifici stessi a farlo. Il terremoto che ha
sconvolto l’Aquila nel 2009 ha avuto una magnitudo relativamente bassa (5.8 scala Richter), una magnitudo con
la quale paesi come il Giappone o la California convivono da sempre. In Giappone hanno una media di tre
terremoti al giorno eppure hanno ponti, grattaceli, edifici sempre intatti. Questo perché l’ingegneria edile è stata
costretta dalle circostanze ad evolversi enormemente in campo antisismico.
Per ritornare al discorso e alla tesi di Giuliani, credo che tutti dovremmo riflettere su un quesito: mettiamo il
caso che si predica che all’ora X, del giorno Y, nel posto Z ci sarà un terremoto catastrofico. Cosa accadrebbe?
Com’è organizzato il piano di evacuazione? Come si convincono gli anziani del paese o della città ad andarsene?
Dove saranno ospitate le centinaia di migliaia di persone in così breve tempo? E le attività lavorative che si
interrompono? Ma soprattutto, una volta che è arrivato il terremoto ed è avvenuta la catastrofe, queste persone
evacuate cosa faranno? Va bene, si sono salvato vite umane con la previsione, ma la città non c’è più, i posti di
lavoro non ci saranno più, non ci sarà più nulla, a parte il sollievo di essere ancora vivi. Lo scenario sarebbe
comunque desolante, avvilente, opprimente: distruzione e migliaia di vite che dovranno ripartire da zero.
Ecco invece cosa accadrebbe con la PREVENZIONE: abbiamo speso dei soldi in più per le strutture
antisismiche (nulla in confronto ai costi di una città distrutta); arriva il terremoto, tanta paura, però, si sono
salvate molte vite umane ed una intera città. La vita di ognuno può ricominciare non appena tutto si
tranquillizza. Come prima, nel solito posto di prima, insieme a coloro che si vuole bene. Sicuramente gli studi sul
radon, altre teorie sulla previsione saranno prese in considerazione dalla comunità scientifica, ma non
illudiamoci: la previsione non potrà mai essere precisa e, se lo potrà essere, non sarà certamente la soluzione più
opportuna.
Allora, prima che gli esperti riescono a prevedere, preveniamo!

Potrebbero piacerti anche