Carta geologica dell’area garganica dove sono ben schematizzate le faglie di Mattinata (a1) e di Apricena (a2) che,
a detta degli scienziati, fu la responsabile del terribile sisma del 30 luglio 1627.
Esistono pareri contrastanti sul tipo e senso di movimento di questa faglia. Per alcuni si tratterebbe di una
trascorrente destra, per altri di una trascorrente sinistra. Infine è stata considerata come faglia inversa e, dopo il
terremoto del Molise del 31 ottobre 2002, come indirettamente responsabile dello stesso o quantomeno
collegata ad esso. In ogni caso si tratta di una struttura complessa e che probabilmente ha agito ed agisce in
diversi modi.
Dal punto di vista tettonico, pertanto, si può affermare che la nostra regione è caratterizzata da una sismicità
di un certo rilievo, essendosi verificati alcuni terremoti di forte intensità con gravi danni alle cose e numerose
vittime. Essa risente, inoltre, degli effetti degli eventi sismici del Matese, del beneventano e dell’alta Irpinia, aree
nelle quali si sono verificati alcuni dei maggiori terremoti della storia sismica italiana, e di quelli, in misura
minore, della regione ellenica e del Mar Egeo.
Il terremoto più significativo per l’area garganica è stato certamente quello del 30 luglio 1627, ben
documentato dagli studiosi dell’epoca. In occasione di questo terremoto, accompagnato anche da un’onda
anomala (tsunami), furono pubblicati i primi esempi di carta macrosismica, con la rappresentazione degli effetti
distinti in 4 gradi. Altri significativi terremoti della zona sono avvenuti nel 1223 (IX grado MCS), nel 1414 (VIII-
IX), nel 1646 (intensità IX-X) e nel 1875 (VII-VIII).
Più recentemente, due terremoti con caratteristiche di elevata intensità sono avvenuti il 30 settembre 1995 di
magnitudo 4.4 e il 29 maggio 2006 di magnitudo 4,5. Entrambi gli eventi hanno avuto epicentro nella zona di
Carpino.
Ma vediamo cosa accadde quel venerdì 30 luglio 1627 in Capitanata.
Il «killer» aveva annunciato il suo «arrivo» sin dall’anno precedente. Scosse di lieve intensità, infatti, furono
avvertite dalla popolazione da ottobre e fino al 27 gennaio del nuovo anno. Un periodo di apparente calma nella
prima parte del 1627, poi di nuovo altre scosse a maggio e giugno. Agli inizi di luglio ci furono giorni di pioggia
torrenziale tanto da vedere le campagne piene di acqua, e il 27 un’eclissi di luna per sei ore oscurò tutto l’orbe.
La faglia assassina, comunque, si era già messa in moto e il fatto fu evidenziato da alcuni fenomeni, quali
l’intorbidamento delle acque dei pozzi, che avevano assunto un odore sulfureo e l’udito di molti rombi
sotterranei: era l’evidente segnale dell’arrivo del «killer». Nulla poteva portare ad immaginare il dramma che da
li a poco avrebbe sconvolto la regione.
Quel drammatico venerdì 30 luglio 1627, il sole, con maggior forza dei giorni precedenti, faceva sentire il suo
calore; donne e bambini erano rifugiati nel fresco delle loro abitazioni mentre la maggior parte degli uomini, per
tollerare il gran caldo, si intratteneva in strada all’ombra degli edifici.
Giunta l’ora fatale delle sedici, «s’udì muggir la terra non a guisa di un toro, ma d’un grandissimo tuono che non
se ne può dar comparazione, poiché offuscava l’udito e la mente e subito si vide ondeggiar la terra, a guisa che
sogliono le onde nel maggior agitamento del mare.»
A questa prima scossa ne seguirono altre, ma quella più intensa e devastante fu la quarta, anticipata da un
terribile boato, una scossa così grande e terribile verso ostro, stimata tra il X e l’XI grado della scala Mercalli, che
causò la maggior parte dei crolli nei paesi coinvolti nell’area dell’epicentro. I centri che furono maggiormente
dissanguati dal «mostro» furono Apricena (oltre 900 vittime), Lesina (150), San Paolo di Civitate (circa 400),
Serracapriola (2000 morti), San Severo (900) e Torremaggiore (350).
La morte, il più grande ladrone universale, quel 30 luglio fece banchetto opulento. Secondo Antonio Lucchino,
un abate di San Severo che descrisse la tragedia in quanto la visse in prima persona, perirono complessivamente
sotto le macerie circa 4.600 persone.
Lo sciame sismico continuò ancora per molti giorni e altre forti scosse di terremoto furono avvertite dalla
popolazione, che ormai era corsa a trovare un rifugio sicuro nelle campagne della Capitanata. Da annotare la
scossa che avvenne nel tardo pomeriggio di sabato 7 agosto, di intensità leggermente inferiore a quella del 27
luglio, che dette il colpo di grazia a Serracapriola (che rovinò tutta non restando alcuna forma completa de
habitatione, né pietra sopra pietra) e interessò anche Chieuti, dove crollarono molte abitazioni, e quella delle ore
22 del 6 settembre, che causò altri crolli nei vari centri già duramente provati dall’arrivo del «killer».
Dopo un periodo di relativa calma, in cui furono avvertite scosse di livello strumentale, all’alba del 12 luglio
1628 un’ulteriore forte scossa di assestamento gettò la gente nel panico, facendola sobbalzare dal letto e
costringendola ad abbandonare le baracche, non ritenute più luogo sicuro.
Nell’area colpita, il sisma, oltre a distruzione e morte, provocò collassi nei terreni e variazioni nel regime
idrico delle acque sotterranee. La riva sinistra del fiume Fortore fu segnata da grandi e profonde aperture;
inoltre fecero la loro comparsa fontane di acque negre che, dopo un mese circa, sparirono senza vedersi più. Anche
i pozzi, persino quelli più profondi, rigurgitarono le loro acque all’esterno e sprigionarono un intenso odore
sulfureo. Nei pressi di Chieuti il «killer» sradicò totalmente un intero bosco.
Nel concludere la sua descrizione, il cronista ci dice che tutti vivevano con timore indicibile, aspettando
piuttosto la morte che la vita.
La terribile forte scossa del 27 luglio, inoltre, provocò un’onda gigantesca che si abbatté sulla costa
settentrionale del promontorio garganico colpendo il tratto di costa prospiciente il lago di Lesina, il litorale di
Manfredonia e la foce del fiume Sangro, provocando inoltre l’allagamento della pianura abruzzese tra Silvi e lo
splendido borgo medievale di Mutignano e l’inondazione delle campagne di San Nicandro Garganico.
Anche le onde anomale, meglio conosciute col termine di «tsunami», comunque non sono state infrequenti
nell’area garganica, sebbene i geofisici intendono per «frequenza» un intervallo di millenni tra un fenomeno e
l’altro.
Quello del 30 luglio 1627 è stato uno dei maggiori tsunami che hanno interessato le coste italiane
dell’Adriatico meridionale. La zona colpita dal sisma terrestre, dopo un primo ritiro delle acque, venne
completamente sommersa dal mare.
Il fronte d’acqua associato allo tsunami deve essere stato veramente impressionante: cronache dell’epoca
riferiscono che Termoli «precipitò» nel mare.
Anche altre città furono interessate dall’evento: a Manfredonia, uscita praticamente indenne dagli effetti del
terremoto, si registrò un’onda di 2-3 metri di altezza.
Un’importante considerazione riguarda l’estrema pericolosità dell’evento se dovesse ripetersi ai giorni nostri.
La zona interessata, infatti, praticamente disabitata all’epoca dell’evento, è oggi sede di un forte insediamento
abitativo e numerose strutture turistiche sono sorte a ridosso della costa. Terribile sarebbe il pedaggio da pagare
sia in perdite di vite umane sia in danni economici al patrimonio per la distruzione generalizzata che deriverebbe
dal verificarsi di un terremoto/tsunami analogo a quello del 1627.
Tuttavia la prova dello tsunami del 1627 è stata accertata dagli studiosi, che hanno analizzato gli strati del
terreno a Nord e a Sud della zona di Lesina. Studi effettuati in loco hanno individuato sei depositi potenziali di
tsunami, probabilmente relativi a sei terremoti.
La datazione col radiocarbonio di tre di questi depositi suggerisce un intervallo medio di ricorrenza di 1700
anni per gli eventi di tsunami sul litorale nordico del Gargano e di 1200 anni sul litorale di Manfredonia.
Altri maremoti di minori dimensioni, conseguenti ad eventi sismici, si verificarono poi nel 1731, con aumento
del livello del mare da Siponto a Barletta, e nel 1889, quando il mare del Gargano ebbe solo un leggero sussulto.
Esempio di depositi all’interno della sequenza paludosa del Lago di
Lesina. Sono visibili due livelli sabbiosi correlati a due distinte onde. Sulla
base delle cronache storiche e delle datazioni radiometriche eseguite, il
livello sabbioso superiore (sabbia arancione) sarebbe stato lasciato dallo
tsunami del 1627.
Torniamo alla nostra Poggio Imperiale, che è sorta, come già detto, nel 1759.
Il primo significativo terremoto che fu avvertito dai cittadini 6erra novesi, è stato senza alcun dubbio quello
del 26 luglio 1805, che ha visto come epicentro la cittadina molisana di Bojano ed ha avuto una intensità del X
grado della scala Mercalli, almeno nel punto epicentrale. L’onda sismica generata dal sisma ha riflettuto, nel
paese alle falde del Gargano, una scossa pari al VI grado della Mercalli che, per fortuna dei nostri avi, non fece
alcun danno né alle cose, né alle persone. Per lo scampato pericolo, si disse per intercessione dell’Arcangelo
Michele, da Poggio Imperiale si organizzò annualmente un pellegrinaggio a Monte Sant’Angelo, per rendere
grazie al Principe Celeste dell’aiuto prestato in occasione del sisma.
Ma vediamo, nella tabella che segue, i terremoti che hanno interessato il territorio di Poggio Imperiale (nello
sfondo bianco quelli avvenuti dopo la fondazione del paese).
Tabella dei terremoti più significativi che hanno interessato Poggio Imperiale
(fonte I.N.G.V.)
NB: dalla scossa del 30/09/1995 l’intensità si riferisce alla scala Richter