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INTRODUZIONE

La prima considerazione da fare è che qualsiasi teoria delle forme di governo presenta due aspetti: uno
descrittivo e uno prescrittivo. Nella sua funzione descrittiva una trattazione delle forme di governo si
risolve in una tipologia o in una classificazione dei vari tipi di costituzione politica. Le prime grandi
classificazioni delle forme di governo, come sono quelle di Platone e Aristotele, sono tratte dai dati
ricavati dall’osservazione storica e rispecchiano la varietà dei modi con cui si erano organizzate le città
greche dall’età omerica in poi. Eppure, non esistono tipologie che hanno solo una funzione descrittiva.
Lo scrittore politico non si limita a descrivere. Si pone generalmente un altro problema, che è quello di
indicare, secondo un criterio di scelta che cambia da autore in autore, quale delle forme di governo
descritta sia buona e quale sia cattiva, quale sia la migliore e quale la peggiore. In altre parole, non si
limita a descrivere, cioè ad esprimere un giudizio di fatto, ma assolve anche la funzione di esprimere
giudizi di valore orientando la scelta altrui. La proprietà di un qualsiasi giudizio di valore in base al
quale diciamo che una certa cosa è buona o cattiva, è quella di esprimere una preferenza allo scopo di
modificare il comportamento altrui nel senso da noi desiderato. Possiamo anche dire che una tipologia
può essere impiegata in due usi diversi: uso sistematico e uso assiologico. L’uso sistematico di una
tipologia è quello in base al quale essa è adoperata allo scopo di dare ordine ai dati raccolti; l’uso
assiologico è quello per cui la stessa tipologia è impiegata per stabilire fra tipi o classi ordinate
sistematicamente un certo ordine di preferenze che ha lo scopo di suscitare negli altri un atteggiamento
di approvazione/disapprovazione, e quindi di orientare una scelta. L’uso assiologico di qualsiasi
concetto è legato all’idea che un mutamento nella struttura della realtà con cui quel concetto si riferisce
sia non solo desiderabile ma anche possibile: un giudizio di valore presuppone che le cose che io valuto
possano anche essere diverse da quel che sono. Mentre un giudizio di fatto non ha altra pretesa che
quella di far conoscere un certo stato di cose, al giudizio di valore è connessa la pretesa di modificare lo
stato di cose esistente. Una teoria che riguardi qualche aspetto della realtà storica e sociale è quasi
sempre anche un’ideologia, cioè un insieme sistematico di valutazioni che dovrebbero indurre gli
ascoltatori a preferire uno stato di cose ad un altro.

Di fronte alla varietà delle forme di governo sono possibili tre prese di posizione:
 Tutte le forme esistenti sono buone
 Tutte le forme esistenti sono cattive
 Tra le forme di governo esistenti alcune sono buone e altre cattive

La prima posizione è quella di una filosofia relativistica e storicistica secondo cui ogni forma di governo
è adatta alla situazione storica concreta che l’ha prodotta. Un esempio classico della seconda posizione
la vedremo in Platone, secondo cui tutte le forme di governo reali sono cattive, in quanto sono una
degenerazione della sola forma ottima che è quella ideale. La terza posizione, essendo stata teorizzata
nella Politica di Aristotele, prende il nome di “aristotelica”.
Bisogna specificare che un’assiologia in genere non si limita a distinguere il buono (in senso assoluto)
dal cattivo (in senso assoluto), ma provvede di solito anche a stabilire attraverso un giudizio
comparativo una gerarchia fra le cose oggetto di valutazione. Lo stesso accade nell’uso assiologico delle
tipologie delle forme di governo, con la conseguenza che le forme buone non sono tutte buone allo
stesso modo, ma vi sono alcune che sono migliori di altre. Allo stesso modo, vi sono forme peggiori di
altre. Attraverso il giudizio di valore comparativo, l’esito di un’assiologia delle forme di governo finisce
per essere la sistemazione di queste in un ordine gerarchizzato, che attraverso una scala di preferenze
permette di passare dal migliore al peggiore attraverso il meno buono e il meno cattivo. Oltre a un
giudizio di valore comparativo un’assiologia può comprendere anche giudizi di valore assoluti. Il che
significa che una tipologia delle forme di governo può giungere ad una presa di posizione tale da
indicare quale sia in forma ottima e quale la pessima. Molti scrittori politici hanno elaborato una teoria
dell’ottima repubblica o dell’ottimo stato.
Si possono distinguere almeno tre modi diversi con cui è stato elaborato un modello dell’ottimo stato:
 Si può costruire un modello dell’ottimo stato attraverso l’idealizzazione di una forma storica.
Così è avvenuto per Atene e Sparta per la repubblica romana.
 Un altro modo di costruire un modello di ottima repubblica è quello di combinare in una sintesi
ideale i vari elementi positivi di tutte le forme buone in modo da eliminare i vizi e da conservare
le virtù. Si tratta dell’ideale del cosiddetto stato misto, la cui più grande teorizzazione risale allo
storico Polibio.
 Infine, la costruzione dell’ottima repubblica può essere affidata alla pura costruzione
intellettuale, completamente astratta della realtà storica, o addirittura all’immaginazione, che si
compiace di disegnare stati ideali che mai sono esistiti e mai esisteranno. Si tratta del pensiero
utopico, che ha avuto in ogni tempo, in particolare nei momenti di crisi sociale, i suoi creatori.
Mentre e due forme precedenti di ottima repubblica sono un’idealizzazione della realtà, l’utopia
proietta la propria costruzione in un luogo e in un tempo immaginari.

Accanto all’uso sistematico e all’uso assiologico della tipologia delle forme di governo, queste possono
avere un altro impiego che viene chiamato “uso storico”. Per uso storico si intende l’uso che di una
tipologia delle forme di governo alcuni autori hanno fatto per abbozzare una vera e propria filosofia
della storia, cioè, per tracciare la linea dello sviluppo storico, il quale procederebbe secondo uno schema
che cambia da autore in autore, da una forma di governo all’altra. Con questa conseguenza: che le varie
forme di governo non sono soltanto modi diversi di organizzare la vita politica di un gruppo sociale ma
sono anche stadi o momenti diversi e successivi, incatenati fra loro, del processo storico. Nell’antichità
classica una teoria delle forme di governo si risolve spesso in una concezione ciclica della storia, cioè in
una concezione della storia secondo cui una forma di governo si dissolve per tramutarsi in un’altra, e
così dar luogo a una serie di stadi di sviluppo o di decadenza che rappresentano il corso fatale delle
vicende umane. Un esempio dell’uso storico di una teoria delle forme di governo ci verrà fornito da
Hegel, il quale assume la celebre tripartizione delle forme di governo elaborate da Montesquieu
(monarchia, repubblica, dispotismo) e ne fa i tre momenti fondamentali dello sviluppo storico,
considerando il dispotismo come la forma di governo tipica del mondo orientale, la repubblica del
mondo romano e la monarchia del mondo moderno. La forma cattiva come degenerazione della forma
buona apre il passaggio alla nuova forma buona, la quale a sua volta corrompendosi crea le condizioni
per un passaggio ulteriore. Quando la monarchia, che è la forma buona, decade nella tirannia, che è la
forma cattiva, nasce come reazione l’aristocrazia, che è a sua volta una forma buona, la quale decadendo
in oligarchia genera in democrazia e così via. In sostanza la forma cattiva funge da fase di passaggio
obbligato da una forma all’altra e quindi ha una funzione positiva (nonostante la sua negatività), non in
sé stessa ma considerata come un momento di una totalità. Quando una tipologia viene usata
storicamente, cioè per tracciare le linee di una filosofia della storia, riacquista una funzione meramente
descrittiva, perdendo ogni carattere prescrittivo. Quando ciò che è assiologicamente negativo si
trasforma in qualche cosa di storicamente necessario, il giudizio di realtà prende il sopravvento sul
giudizio di valore.

UNA CELEBRE DISCUSSIONE

Una storia delle tipologie delle forme di governo può essere fatta cominciare da una discussione riferita
da Erodoto nelle sue Storie, svoltasi fra tre personaggi persiani (Otane, Megabizo e Dario) sulla miglior
forma di governo da instaurare in Persia dopo la morte di Cambise. Questo episodio, puramente
immaginario, sarebbe avvenuto nella seconda metà del VI secolo a.C, ma il narratore Erodoto scrive le
sue storie nel secolo successivo. Il brano è davvero esemplare perché ciascuno dei tre personaggi si
presenta come sostenitore di una delle tre forme di governo classiche. Queste tre forme di governo sono:
il governo dei molti (democrazia), dei pochi (aristocrazia) e di uno (monarchia).

 Otane propose di rimettere il potere al popolo persiano: “Il mio parere è che nessuno fra noi
deve più essere fatto monarca: sarebbe cosa sgradita e ingiusta. Come potrebbe non essere
sregolare il governo monarchico, se al monarca è lecito fare ciò che vuole senza rispondere ad
alcuno? Dal possesso di grandi ricchezze in lui si genera la prepotenza, e l’invidia da principio
gli è connaturata. Avendo questi due difetti, ogni malvagità dimora in lui: compie le azioni più
riprovevoli dettate dalla prepotenza e dall’invidia. La cosa più vergognosa è questa: se gli rendi
omaggio con misura, si adira perché non è stato venerato abbastanza, se qualcuno lo venera oltre
misura, si adira perché è stato adulato. Il monarca
sovverte le leggi dei padri, violenta le donne, monarchia + - manda a
morte a capriccio. Invece il governo del popolo aristocrazi + - porta il più
bello dei nomi, isonomia, e poi nulla fa di ciò a che fa il
monarca: a sorte si esercitano le cariche democrazia + - pubbliche, i
magistrati sono tenuti a rendere conto dell’esercizio
del potere, ogni decisione è sottoposta al voto popolare. Propongo dunque che noi rifiutiamo la
monarchia, per elevare al potere il popolo: tutto è possibile ai più (al maggior numero)”.
 Megabizo invece consigliò di affidarsi a un governo oligarchico: “La massa inetta è ottusa e
prepotente. In nessun modo è tollerabile che per sfuggire alla prepotenza di un tiranno si debba
cadere sotto quella della plebe intemperante. Il tiranno, se fa qualcosa, lo fa consapevolmente; la
plebe non ha neppure la possibilità di essere consapevole di quel che fa. E come potrebbe, se
non ha mai appreso nulla di buono e di utile, e nulla di ciò conosce? Scelto invece un gruppo di
uomini fra i migliori, diamo loro il potere: noi stessi saremo fra questi. Ed è naturale che dagli
uomini migliori vengano le decisioni migliori”.
 Dario invece affermò: “Tra le tre forme di governo proposte, e tutte considerate nel loro stato
più perfetto, quella superiore è la monarchia. Di un sol uomo che sia il migliore, nulla potrebbe
apparire migliore. In un’oligarchia, fra coloro che praticano la virtù per il bene pubblico è facile
che nascano gravi inimicizie personali: ciascuno di essi vuol essere il capo e far prevalere la
propria opinione, perciò essi finiscono a odiarsi a vicenda, creando le fazioni che si concludono
con il delitto. Dal delitto si arriva alla monarchia, che si dimostra perciò il governo migliore.
Dall’altro lato, quando è il popolo che governa, è impossibile che non nasca la corruzione nella
sfera pubblica: questa non genera inimicizia, ma anzi solida amicizia tra i malvagi. Coloro che
agiscono contro il bene comune, lo fanno cospirando. Così accade, finché qualcuno si fa
difensore del popolo e pone fine alle loro trame. Egli appare quale monarca. Anche da ciò risulta
chiaro che la monarchia è la miglior forma di governo. Ritengo pertanto che noi, liberati per
opera di un uomo solo, dobbiamo mantenere il regime monarchico e inoltre conservare le nostre
buone istituzioni patrie”.

L’osservazione più interessante da fare è che ciascuno dei tre interlocutori, mentre da un giudizio
positivo di una delle tre costituzioni da anche un giudizio negativo alle altre due: Otane, fautore del
governo del popolo, condanna la monarchia; Megabizo, fautore dell’aristocrazia, condanna sia il
governo di uno sia quello del popolo; infine Dario, fautore della monarchia, condanna sia il governo del
popolo che il governo dei pochi.

Nel dibattito è già ben presente la classificazione completa secondo cui le costituzioni non sono tre ma
sei, perché alle tre buone corrispondono rispettivamente tre cattive. La differenza con cui le sei
costituzioni sono presentate nel dibattito erodoteo e nelle classificazioni seguenti sta in ciò che nel
dibattito, che è un discorso di tipo prescrittivo, a ogni costituzione proposta come buona corrispondono
le altre due costituzioni nella loro forma cattiva, mentre in Aristotele, là dove si svolge un discorso
meramente descrittivo, a ogni costituzione buona corrisponde la stessa costituzione nella sua forma
cattiva.

monarchia aristocrazia democrazia


ERODOTO
Otane - +
ARISTOTELE
Megabiz - + -
o
Dario + - -
La classificazione a sei costituzioni (di cui tre buone e tre cattive) deriva dall’incrociarsi di due criteri di
classificazione, l’uno rispondente alla domanda “Chi governa?” e l’atro rispondente alla domanda
“Come governa?”.

Come governa?

bene male
uno monarchia tirannia
Chi governa? pochi aristocrazia oligarchia
molti democrazia oclocrazia

Considerare anche gli argomenti rispettivamente adottati dai tre interlocutori per esaltare una
costituzione e denigrare le altre.

 Il contrasto fra monarchia considerata nel suo aspetto negativo (tirannia) e governo del popolo,
così com’è rappresentato da Otane, è il contrasto fra un governo irresponsabile e arbitrario (al
monarca è lecito fare ciò che vuole) e governo fondato sull’eguaglianza di fronte alle leggi
(isonomia) e sul controllo del popolo (ogni decisione è sottoposta al voto popolare) e quindi né
irresponsabile né arbitrario. Al tiranno quindi vengono attribuiti vizi come la prepotenza, l’invidi
e l’irascibilità. Mentre la tirannia viene caratterizzata da attributi psicologici, il governo del
popolo è caratterizzato soprattutto da un istituto, il sorteggio delle cariche: questo istituto riposa
sul presupposto dell’assoluta eguaglianza dei soggetti, onde i due concetti di governo popolare e
di eguaglianza si richiamano l’uno con l’altro. Solo infatti se si presuppone l’eguaglianza dei
soggetti, il sorteggio non è un procedimento arbitrario, nel senso che, se i soggetti sono eguali,
vuol dire che l’uno vale l’altro e pertanto quale sia il soggetto su cui cade la scelta della sorte, il
risultato non cambia.
 Per quel che riguarda le considerazioni di Megabizo c’è da osservare che anche il governo
popolare è caratterizzato con attributi psicologici (“intemperante”). Ma più interessante è che dei
due governi rifiutati, l’uno (il governo popolare) è giudicato peggiore dell’altro (il governo
monarchico): questo confronto offre un esempio di quella gradazione delle costituzioni sia nel
bene sia nel male (non ci sono solo governi buoni e cattivi ma anche governi che sono migliori o
peggiori di altri). Ciò che manca nell’analisi di Megabizo è una caratterizzazione specifica del
governo proposto come migliore, a differenza del discorso di Otane, dove il governo popolare è
contraddistinto attraverso l’indicazione di un istituto caratteristico come il sorteggio. A
proposito del governo di pochi, il suo fautore si limita a dire con una vera e propria petizione di
principio che “dagli uomini migliori vengono le decisioni migliori”.
 Nel discorso di Dario appare per la prima volta la condanna del governo di pochi, perché Otane
ha criticato il governo tirannico ma non quello oligarchico e Megabizo ha considerato il governo
di pochi come il migliore. Il punto critico dell’oligarchia è la facilità con cui il gruppo dirigente
si scinde in fazioni contrapposte, cioè la mancanza di una guida unica, necessaria all’unità dello
stato. Il punto critico del governo popolare è invece proprio l’opposto: non la discordia dei buoni
ma l’accordo dei malvagi. Se pure per ragioni opposte, tanto il governo dei pochi quanto il
governo dei molti sono cattivi. Ma proprio a causa ella loro corruzione essi generano per
contrasto l’unica forma di governo buona che è la monarchia, la quale pertanto non è solo la
migliore, ma è anche inevitabile a causa della corruzione delle altre due costituzioni.
L’argomento di Dario a favore della monarchia è da tener presente: la superiorità della
monarchia sulle altre costituzioni dipende dal fatto che essa ubbidisce a una necessità storica, ed
è l’unica capace di assicurare la stabilità del potere. La capacità di una costituzione di durare nel
tempo, di non essere facile a corrompersi, a degradarsi, a capovolgersi nella costituzione
contraria, è uno dei principali criteri che viene impiegato per distinguere le costituzioni buone da
quelle cattive.

PLATONE (428-347 a.C.)

Varie sono le opere in cui Platone parla delle diverse forme di costituzione, ma ne tratta in particolare
nei tre dialoghi della Repubblica, del Politico e delle Leggi. Il dialogo della Repubblica è una
descrizione della repubblica ideale, che ha per fine l’attuazione della giustizia intesa come l’attribuzione
a ciascuno del compito che gli compete secondo le proprie attitudini. Essa consiste in una composizione
armonica e ordinata di tre classi di uomini: i governanti-filosofi, i guerrieri e gli addetti ai lavori
produttivi. Ma questo stato per ora non è esistito in nessun luogo. I soli stati che esistono, quelli reali,
sono tutti corrotti. Mentre lo stato ottimo è uno solo, perché una sola può essere la costituzione perfetta,
gli stati cattivi sono molti, secondo il principio: “una sola è la forma della virtù, mentre infinite sono
quelle del vizio”. Da ciò segue che la tipologia delle forme di governo nella Repubblica è una tipologia
di forme tutte cattive, se pur non tutte in egual modo, e nessuna buona. Mentre nel dialogo erodoteo
tanto le forme buone quanto le cattive sono forme storiche, e quindi realizzabili, nella Repubblica le
forme storiche sono cattive, proprio per il fatto di non essere conformi alla costituzione ideale in quanto
forme reali. L’unica forma buona sta al di là della storia. Come vedremo, l’idea dominante da Aristotele
a Polibio è che la storia sia una continua successione di forme buone e di forme cattive (secondo lo
schema: + - + - + -). Secondo Platone invece nella storia si succedono l’una all’altra soltanto forme
cattive, e come vedremo una più cattiva dell’altra (secondo lo schema: +] - - - - [+). Platone ha una
concezione pessimistica (terroristica dirà Kant) della storia. La storia non come progresso dal bene al
meglio, ma come regresso dal male al peggio. Vissuto in un’età di decadenza della gloriosa democrazia
ateniese, Platone osserva, analizza e denuncia i fenomeni della degradazione della polis. Egli è uno
storico, e anche un moralista, della decadenza delle nazioni, più che della loro grandezza. Di fronte alla
continua degradazione della storia, la via d’uscita non può non essere che fuori dalla storia, attraverso
un processo di sublimazione, che rappresenta rispetto a quello che accade di fatto nella storia una
mutazione radicale. Le costituzioni corrotte che Platone esamina nel libro ottavo sono in ordine
decrescente queste: timocrazia, oligarchia, democrazia, tirannia. Mancano due delle sei forme
tradizionali, monarchia e aristocrazia, perché queste due forme sono attribuite indifferentemente alla
costituzione ideale: “Io dico che una delle forme di governo è proprio la costituzione ideale, che
potremmo chiamare con due nomi: se fra tutti i reggitori uno ha il comando sugli altri, la potremmo
chiamare monarchia; se il comando è in mano a più persone, aristocrazia. Questi due aspetti
costituiscono una forma unica: molti o uno solo siano al comando è lo stesso”. In sostanza, anche per
Platone le forme di governo sono sei, ma di queste: due sono riservate a designare la costituzione ideale,
quattro a designare le forme reali che si allontanano in maggiore o minore misura da quella ideale. Di
queste quattro costituzioni corrotte, l’oligarchia rappresenta la forma corrotta dell’aristocrazia, la
democrazia della “politeia” e la tirannia della monarchia. Invece, la timocrazia (timé = onore) è una
forma introdotta da Platone per designare una forma di transizione fra la costituzione ideale e le tre
forme cattive tradizionali. Nella realtà storica del tempo, la timocrazia è rappresentata in particolare dal
governo di Sparta, di cui Platone fu ammiratore e che prese a modello per la descrizione della sua
repubblica ideale. Infatti, il governo timocratico di Sparta è il più vicino alla costituzione ideale: il suo
vizio e quindi il suo elemento di corruzione sta nell’onorare più i guerrieri che non i sapienti. Mentre
nelle tipologie tradizionali le sei forme si alternano, nel senso che alla buona succede la cattiva
corrispondente, nella rappresentazione platonica, una volta posta la forma ideale, che nel libro ottavo
viene assimilata all’aristocrazia, seguono le altre quattro forme degenerate in momenti discendenti, che
portano verso il basso, fino al grado infimo che costituisce l’unico anello della catena. Nella
raffigurazione platonica il movimento è soltanto discendente. La timocrazia è la degenerazione
dell’aristocrazia, presupposta come la forma perfetta, descritta nello stato ideale; l’oligarchia è la
degenerazione della timocrazia; la democrazia è la degenerazione dell’oligarchia. La tirannia è la forma
infima, con la quale la degradazione tocca il fondo. È possibile trasformare il tiranno il re-filosofo? È
ciò che Platone stesso tentò nei suoi soggiorni a Siracusa, a contatto con i tiranni del luogo. Ma la sua
impresa fallì più volte. Per caratterizzarle, Platone individua i caratteri morali (cioè vizi e virtù) delle
rispettive classi dirigenti. Ricordiamo che la prima distinzione delle forme di governo nasce dalla
risposta alla domanda: “Chi governa?”; in virtù di questo criterio di distinzione la risposta di Platone è
che nell’aristocrazia governa l’uomo aristocratico, nella timocrazia l’uomo timocratico, nell’oligarchia
l’uomo oligarchico e così via. Ognuno di questi uomini, che rappresenta un tipo di classe dirigente e
quindi una forma di governo, è ritratto con grande efficacia attraverso la descrizione della sua passione
dominante: per il timocratico è l’ambizione, ovvero il desiderio di onore; per l’oligarchico è la brama di
ricchezza; per il democratico il desiderio smodato di libertà; per il tirannico la violenza.

 L’uomo timocratico: “Un simile uomo è duro con i servi; è mite verso gli uomini liberi, e tutto
sottomesso alle autorità, desideroso del comando, amante degli onori, aspirando però a
comandare non per virtù della propria parola ma per le proprie attività belliche e per il proprio
talento militare”.
 L’uomo oligarchico: “Quanto più sono tesi ad accumulare denaro e quanto più l’onorano, di
tanto viene meno il rispetto per la virtù. Se dunque la ricchezza e i ricchi vengono onorati in uno
stato, di tanto la virtù e gli uomini virtuosi vengono disprezzati. E così, da uomini desiderosi di
supremazia e di onori quali erano, finiscono invece per essere cupidi trafficanti di ricchezze
(avari) e ammirano il ricco, al ricco offrono le più alte cariche di governo, mentre disprezzano il
povero”.
 L’uomo democratico: è caratterizzato da un desiderio smodato di libertà, riempiranno quindi lo
stato di libertà (licenza per tutti di fare ciascuno il proprio comodo = stato dove tutto è lecito)
 L’uomo tirannico: “il capo del mondo, trovando che la moltitudine è pronta ad obbedire, non sa
astenersi dallo spargere sangue cittadino; ma sotto false imputazioni, trascinando la gente
dinanzi ai tribunali, si macchia di omicidio, facendo togliere la vita a un uomo, e gusta con la
lingua e le sue scellerate labbra il sangue del prossimo suo, ed altri manda in esilio, altri ancora a
morte, mentre d’altra parte fa intravedere la remissione dei debiti ed una nuova spartizione delle
terre”.

Come e perché avviene il passaggio dall’una all’altra costituzione? Per descrivere il mutamento Platone
dà particolare rilievo all’avvicinamento delle generazioni. Il passaggio da una costituzione all’altra
sembra coincidere con il passaggio da una generazione all’altra. La mutazione dunque non solo è
necessaria, ma è anche molto rapida. Essa sembra essere la fatale conseguenza della ribellione e del
mutamento di costumi che ne deriva (mutamento che è continuo peggioramento), specie nel passaggio
dall’aristocrazia alla timocrazia e dalla timocrazia all’oligarchia. Quanto alla ragione per cui avviene il
mutamento, essa è da ricercare soprattutto nella corruzione del principio cui ogni governo si ispira. Per
un’etica come quella greca del “giusto mezzo” (accolta da Platone) la corruzione di un principio sta nel
suo eccesso. L’onore dell’uomo timocratico si corrompe quando si trasforma in ambizione smodata e
brama di potere. La ricchezza dell’oligarchico, quando diventa avidità, avarizia, ostentazione sfacciata
di beni, suscita l’invidia e la rivolta dei poveri. La libertà del democratico, quando diventa licenza,
credere che tutto sia lecito, ogni regola possa essere trasgredita. Il potere del tiranno, quando i trasforma
in puro arbitrio, e violenza fine a sé stessa. Come si manifesta la corruzione dello stato? Si manifesta
essenzialmente nella discordia. Il tema della discordia come causa di dissoluzione dello stato è un tema
ricorrente soprattutto per la riflessione politica che guarda ai problemi dello stato non ex parte populi
(perché da questo punto di vista il problema di fondo è quello della libertà), ma ex parte principis, cioè
dal punto di vista di coloro che detengono il potere e che hanno il compito di conservarlo. Per coloro
che vedono il problema politico ex parte principis (Platone), il tema fondamentale non è quello della
libertà (dell’individuo nei riguardi dello stato) ma dell’unità (dello stato nei riguardi dell’individuo). Se
l’unità dello stato è il primo bene, la discordia è il male: la discordia è il principio della disgregazione
dell’unità. Dalla discordia nascono i mali della frantumazione della compagine sociale, la scissione in
parti avverse, l’urto delle fazioni, infine, massimo dei mali, l’anarchia, che è la fine dello stato, o la
situazione più favorevole alla costituzione del peggiore fra tutti i governi, ovvero la tirannia. Spesso il
tema della discordia verrà affrontato come malanno, come malattia dello stato. Vi sono due forme di
discordia che conducono alla rovina dello stato: una è la discordia all’interno della stessa classe
dirigente, l’altra è la discordia fra classe dirigente e classe diretta (fra governanti e governati). Nella
descrizione platonica si possono intravedere entrambe. Nel passaggio da aristocrazia a timocrazia e da
timocrazia a oligarchia la discordia distruttiva è del primo tipo (passaggio interno alla classe dirigente);
mentre nel passaggio da oligarchia a democrazia è del secondo tipo (passaggio del potere da una classe
all’altra = passaggio dal domino dei ricchi al dominio dei poveri). La filosofia platonica è un esempio
illustre della teoria organica della società, cioè di quella teoria per cui la società (o lo stato) è concepita
come un vero e proprio organismo. Come nella repubblica ideale, alle tre classi che compongono
organicamente lo stato corrispondono le tre anime individuali (razionale, passionale, appetitiva), così
anche le forme di governo possono essere distinte in base alla diversa anima che le sorregge. La
costituzione ideale è dominata dall’anima razionale; quella timocratica, che esalta il guerriero sul
sapiente, è dominata dall’anima passionale; le altre tre forme sono dominate dall’anima appetitiva:
l’uomo oligarchico, il democratico e il tirannico sono tutti e tre, se pure in diversa guisa, cupidi di beni
materiali, sono tutti volti verso la terra. Anche sotto questo aspetto la timocrazia appare una forma
qualitativamente diversa dalle altre, vera e propria forma intermedia fra la perfetta e le più imperfette.
Pur non essendo perfetta, è meno imperfetta di quelle che la seguono. Rispetto alla parte dell’anima, le
tre ultime appartengono alla stessa specie, mentre la timocratica appartiene ad una specie diversa: in
questo senso la differenza fra questa e quella non è solo di grado ma di qualità. Quanto alle tre ultime, il
criterio di distinzione cui ricorre Platone è fondato sulla differenza fra vari tipi di bisogni o desideri
(epithumia), che in ciascuna di esse viene di prevalenza soddisfatto. Tre sono le specie di bisogni:
necessari, superflui e illeciti. L’uomo oligarchico è contraddistinto dal tendere all’appagamento di
bisogni necessari, il democratico di bisogni superflui, il tirannico di bisogni illeciti.

“Necessari sono quei desideri che non è possibile tagliare via. Per quei desideri, invece, di cui ci si può
liberare, se uno ci sta attento sin da giovane, non solo ma che fino a che sono in noi non ci recano alcun
bene, quando non ci fanno del male questi sono desideri superflui”. Seguono degli esempi: il bisogno di
mangiare è necessario; quello di cibi raffinati è superfluo. I bisogni illeciti sono una specificazione dei
bisogni non necessari, e sono propri del tiranno, anche se ogni uomo ne è assillato (ma possono essere
estirpati con l’educazione). La differenza fra l’uomo normale e il tiranno è che questi desideri illeciti
turbano il primo nel sonno, il secondo li scatena nella voglia.

Mentre la Repubblica è la descrizione dell’ottima costituzione, il Politico è la ricerca, lo studio e la


descrizione dell’ottimo governante, il re-filosofo, colui che possiede la scienza del buon governo.
L’unica differenza della tipologia delle sei forme di governo, tre buone e tre cattive, è che nel Politico la
democrazia ha un nome solo: il che non vuol dire che si presenti in un solo aspetto. Anche nel governo
popolare c’è la versione buona e quella cattiva, anche se il nome è uno solo. “Noi nella monarchia
abbiamo il governo regio e il tirannico; nel governo dei pochi c’è l’aristocrazia e l’oligarchia; quanto al
governo dei molti, la democrazia, anche questo nome ha ormai due sensi”.

Platone si pone anche il problema del confronto delle varie forme di governo per giudicare della loro
maggiore o minore relativa bontà (o cattiveria); e sostiene la tesi che, se è vero che la democrazia è la
peggiore delle forme buone, è però la migliore delle forme cattive. Che cosa ne segue? Che se noi
mettiamo in fila le sei forme in ordine decrescente otterremo: monarchia, aristocrazia, democrazia
positiva, democrazia negativa, oligarchia tirannia. La democrazia sta nello stesso tempo alla fine della
serie delle buone e al principio della serie delle cattive. Tra l’altro questa disposizione può servire a
spiegare perché la democrazia ha un solo nome: essendo la forma peggiore delle buone e la migliore
delle cattive, essa non presenta nelle sue due versioni la differenza che invece presenta il governo di uno
solo che nella versione buona è il migliore e nella versione cattiva è il peggiore. Risulta evidente che le
due democrazie costituiscono un continuo, mentre le due forme del governo di uno solo sono ai due
estremi della scala. Altra cosa da notare è il criterio in base al quale Platone distingue le forme buone
dalle cattive. I criteri sono sostanzialmente due: violenza e consenso, legalità e illegalità. Le forme
buone sono quelle in cui il governo non è fondato sulla violenza e quindi è fondato sul consenso o sulla
volontà dei sudditi; oppure è quello che agisce secondo leggi stabilite e quindi non arbitrariamente.

RIASSUNTO GENERALE LA REPUBBLICA

Mentre il libro I introduce il tema della giustizia, della sua natura e della sua definizione sul piano
psicologico del comportamento individuale, con un’andatura e uno stile che ricordano abbastanza
esplicitamente le indagine socratiche condotte nei cosiddetti “dialoghi giovanili”, con la consueta
contrapposizione, a tratti assai violenta, alle posizioni ascrivibili alla sofistica, a partire dal libro II, il
problema della giustizia viene esteso, per analogia, all’ambito politico della costituzione e della struttura
della città, forse meglio identificabile per il suo carattere concreto e storicamente determinato (368b-
369b), con il tentativo, condotto ancora nel libro III, di effettuare una ricognizione completa della
struttura socio-istituzionale della città, con l’individuazione delle classi che la compongono e con la
rigorosa ripartizione dei compiti e delle funzioni che a ciascun cittadino sono assegnati. Ma è il libro IV
che produce una svolta nell’analisi, perché, riproponendo l’analogia fra l’indagine sulla giustizia a
livello psicologico individuale e a livello politico della città, giunge a stabilire la sua definizione
universale come consistente nell’esercizio, per ogni individuo (e per ogni componente psico-fisica di
ogni individuo) o per ogni agente istituzionale (cittadino, classe sociale, città), della sua funzione
propria: la giustizia è, di conseguenza, ta heautou prattein (433a), che rappresenta un filo conduttore
narrativo e a un tempo un nucleo teorico situato, implicitamente ed esplicitamente, al cuore della
Repubblica, secondo cui l’esercizio, da parte di ogni elemento particolare di un insieme, della propria
funzione naturale garantisce l’equilibrio armonico dell’insieme, dunque, in tal senso, il suo ordine, che
coincide di fatto con la “giustizia” della sua disposizione strutturale e funzionale. A partire dal libro V,
la sfida rivolta a Socrate dai suoi interlocutori consiste nel precisare le condizioni di possibilità di una
simile struttura istituzionale, di cui vengono fissate dapprima le “scandalose” tappe sociopolitiche, con
le celebri “ondate” relative alla necessità della comunanza pianificata della proprietà, della produzione
dei beni e della procreazione, fino alla più ardua esigenza del governo dei filosofi. Quest'ultimo assunto
richiede, dall’ultima parte del libro V e fino al VII, una rigorosa giustificazione, che si articola
attraverso un’assai complessa dimostrazione che sancisce la differenza fra il sapere dei filosofi e le
opinioni degli uomini comuni, premessa indispensabile per spiegare e difendere il ruolo dominante dei
filosofi nella città, e di seguito stabilisce l’opportuno curriculum formativo dei futuri filosofi-governanti.
Il libro VIII esamina poi, con il rigore diagnostico di una vera e propria analisi sociologica della natura e
delle degenerazioni del potere politico nella dialettica del suo esercizio istituzionale e sociale, le diverse
forme di governo storicamente corrispondenti alle forme assunte come canoniche nel pensiero politico
greco e, del resto, di fatto coincidenti con i principali generi di regime concretamente prodottisi nel
mondo greco (timocrazia, oligarchia, democrazia, tirannide), cui segue, nel libro IX, una ripresa del
tema originale della giustizia, al fine di dimostrare, tornando nuovamente sul piano psicologico
individuale, la superiorità e la felicità del giusto rispetto all’ingiusto, in virtù del parallelismo stabilito,
sul piano della forma di governo, con la relazione fra il sistema istituzionale più giusto rispetto
all’ingiusto. Il dialogo, che potrebbe a questo punto dirsi compiuto, prosegue invece nel libro X, nel
quale si torna, pur se con accenti diversi, sulla giustificazione della superiorità del sapere dei filosofi,
che va assunto come paradigma pedagogico e gestionale della condotta individuale e collettiva, rispetto
al sapere comune rappresentato dalle forme abituali della cultura tradizionale, per esempio dell’arte
imitativa e della poesia, epica o tragica. Un lungo e complesso monologo mitologico, dedicato
all’esposizione del destino dell’anima individuale nel corso della sua vicenda immortale, conclude la
Repubblica, trasponendo di fatto l’affermazione della superiorità e della desiderabilità della giustizia
rispetto all’ingiustizia, dall’ambito psicofisiologico e sociopolitico all’ambito propriamente metafisico
ed escatologico.

RIASSUNTO DETTAGLIATO

Libro 1. Durante le feste Bendidie, Socrate si reca con Glaucone e altri a casa di Cefalo. Questi inizia a
discutere con Socrate sui presunti svantaggi e sui benefici della vecchiaia, dichiarando che le ricchezze
aiutano l'uomo a sopportare l'età senile e a comportarsi in modo giusto. Il discorso quindi si incentra
sull'essenza della giustizia. Polemarco sostiene che la giustizia consiste nel fare del bene agli amici e del
male ai nemici; Socrate confuta questa tesi mostrandone i paradossi, e pone l'accento sulla necessità di
distinguere i veri amici e i veri nemici da coloro che sembrano tali, ma non lo sono. Aggiunge che chi
danneggia rende sempre peggiore il danneggiato, e questo non può essere l'obiettivo del giusto. Qui
irrompe nel dialogo Trasimaco, che con un intervento aggressivo afferma che la giustizia consiste
nell'interesse del più forte, cioè di chi detiene il potere. Prima obiezione di Socrate: i più forti possono
anche sbagliare, cosicché obbedire loro potrebbe significare danneggiarli. Trasimaco replica che i
governanti, quando esercitano la loro arte con competenza, non sbagliano mai. Seconda obiezione di
Socrate: ogni arte non persegue il proprio utile, ma l'utile di ciò cui si rivolge. Trasimaco insiste: la
giustizia è un bene altrui, mentre l'ingiustizia giova a se stessa; per questo è superiore alla giustizia e
l'ingiusto gode di una vita più felice del giusto. Socrate ribadisce che ogni arte è disinteressata; se chi
pratica un'arte ne trae un guadagno, ciò è dovuto al fatto che egli pratica insieme anche l'arte
mercenaria. Perciò il vero uomo politico non mira al proprio interesse, ma a quello dei sudditi, e non
accetta di governare per ricevere un compenso. Dato che Trasimaco identifica l'ingiustizia con la virtù,
Socrate lo porta ad ammettere che il giusto non cerca di prevalere sul giusto, ma solo sull'ingiusto,
l'ingiusto invece cerca di prevalere su entrambi; non si può quindi attribuire all'ingiustizia la sapienza e
la virtù, poiché in tutte le attività chi è competente (e quindi sapiente) cerca di prevalere solo su chi è
incompetente. L'ingiustizia indebolisce l'azione degli uomini, rendendoli discordi tra loro e invisi agli
dèi. Posto che ogni cosa ha una sua funzione e una sua virtù, grazie alla quale può fare ciò che è meglio,
la funzione e la virtù propria dell'anima è la giustizia; quindi solo l'anima giusta è felice.

Libro 2. Intervento di Glaucone, che distingue tre categorie di beni: quelli che si desiderano solo per sé
stessi, quelli che si desiderano anche per i vantaggi che procurano, quelli che si desiderano solo per
questi ultimi. La giustizia, secondo Socrate, rientra nella seconda categoria, ma l'opinione comune, di
cui Glaucone si fa portavoce, la colloca nella terza. Glaucone con un discorso provocatorio finge di
sostenere la tesi di Trasimaco: il massimo desiderio dell'uomo è commettere ingiustizia restando
impunito e la paura più grave è subire ingiustizia senza potersi vendicare; chi non commette ingiustizia
lo fa solo per timore delle conseguenze. Adimanto intenzionalmente reca altri argomenti a favore di
Trasimaco: gli uomini in realtà non lodano la giustizia, ma la reputazione di uomo giusto; la condizione
migliore è dunque quella di un'ingiustizia mascherata da giustizia. Socrate allora propone di analizzare
la giustizia nell'ambito più ampio dello Stato e delinea una città semplice e primitiva, costituita da
contadini, artigiani e commercianti e basata su una precisa divisione dei compiti. Glaucone reclama uno
Stato più ricco, il che però comporta un ampliamento della città; ciò implica l'esercizio della guerra, e di
conseguenza la creazione della classe dei guardiani, dedita alla difesa della città. I guardiani devono
essere miti e animosi a seconda delle circostanze, nonché amanti del sapere. Si pone quindi il problema
della loro educazione, che sarà innanzi tutto musicale e ginnica. Quanto all'educazione musicale,
bisogna eliminare dalla città tutte le opere poetiche che danno un'immagine distorta di dèi ed eroi,
presentandoli immersi nei vizi e nella malvagità. La divinità, essendo buona e perfetta, può compiere
solo azioni buone e non subisce metamorfosi.

Libro 3. Poiché i guardiani vanno educati al coraggio e alla temperanza, bisogna rigettare le poesie e i
miti che suscitano paura della morte e offrono rappresentazioni sconvenienti e mendaci di dei ed eroi;
solo i governanti hanno il diritto di mentire ai sudditi a fin di bene. Socrate distingue tre forme di poesia:
narrativa, imitativa e mista. I guardiani devono astenersi dall'imitazione, a meno che non concerna un
uomo o un'azione virtuosa; ne consegue che il poeta imitatore non dev'essere accolto nella città ideale.
Socrate poi passa in rassegna le armonie, gli strumenti musicali e i ritmi, indicando quali si addicono ai
guardiani e quali no; la loro educazione musicale deve mirare a un ideale di bellezza attraverso il ritmo e
l'armonia. Il successivo esame dell'educazione ginnica evidenzia i rapporti tra essa e la medicina e
permette un confronto tra i medici e i giudici: i primi, curando il corpo con l'anima, devono avere
esperienza delle malattie, mentre i secondi, curando l'anima con l'anima, devono avere l'anima
incorrotta. Sia i medici sia i giudici non devono lasciar vivere il corpo o l'anima inguaribile; mantenere
in vita corpi incapaci di svolgere la propria funzione è infatti esiziale per la città. L'educazione ginnica
deve sviluppare più la forza morale che quella fisica e deve pertanto contemperarsi con l'educazione
musicale. Per esporre i criteri di scelta dei guardiani, Socrate ricorre al mito della nascita degli uomini
dalla terra e della loro distinzione in tre classi: aurea (governanti), argentea (guerrieri), bronzea
(prestatori d'opera). Seguono alcune prescrizioni circa la vita dei guardiani, che sono esclusi dalla
proprietà privata, hanno alloggio e vitto in comune e sono mantenuti a spese dello Stato.

Libro 4. Rispondendo a un'obiezione di Adimanto, secondo cui i guardiani non sono felici, Socrate
precisa che la città ideale mira al benessere della collettività, non di una singola classe; perciò deve
evitare l'eccesso sia della povertà sia della ricchezza, che crea divisioni interne, e avere una giusta
estensione territoriale. A tale scopo i guardiani devono impedire modifiche nell'educazione ginnica e
musicale; la legislazione dovrà basarsi su pochi precetti fondamentali, sanciti da Apollo delfico. La
presenza nella città ideale della giustizia viene appurata tramite la ricerca delle tre virtù che si
connettono ad essa: sapienza, coraggio, temperanza. La sapienza è la virtù di coloro che hanno compiti
di governo, il coraggio la virtù dei guardiani dediti alla guerra e alla difesa; la temperanza invece deve
risiedere in tutte e tre le classi dei cittadini. La giustizia consiste nell'assolvere il proprio compito
all'interno della città, senza scambi tra le tre classi che alterino la compagine statale. Socrate dimostra
che la giustizia nello Stato è la stessa che nell'individuo, in quanto la struttura dell'anima è analoga a
quella della città, anzi dipende da essa. Vengono quindi distinte le tre facoltà dell'anima: facoltà
razionale, concupiscibile, impulsiva. L'uomo è giusto quando la parte razionale dell'anima, sostenuta da
quella impulsiva, comanda su quella concupiscibile; in caso contrario si ha l'ingiustizia.

Libro 5. Adimanto chiede spiegazioni circa la comunanza di donne e figli. Socrate affronta la "prima
onda", ossia l'identità di compiti e di educazione tra uomini e donne, e spiega che la differenza di sesso
non implica una differenza di attitudini, benché le donne siano più deboli. Viene quindi affrontata la
"seconda onda": la regolamentazione dei matrimoni e delle nascite. I matrimoni dovranno avvenire tra i
cittadini migliori, per mantenere costante la qualità e il numero degli abitanti. I bimbi saranno condotti
appena nati in nidi d'infanzia; bisogna inoltre stabilire un'età per la procreazione ed evitare matrimoni
tra consanguinei. Solo questo principio, afferma Socrate, può garantire la concordia interna e la felicità
dei cittadini. I giovani dovranno ricevere un'educazione guerriera ed assistere alle battaglie per imparare
il loro futuro compito; la città dovrà riservare dei premi ai giovani più valorosi. Socrate aggiunge che
essa non combatterà contro altri Greci, data la comunanza di stirpe, e deplora le discordie esistenti tra le
città elleniche. Si arriva così al problema più arduo, la "terza onda": una tale città implica che i filosofi
governino o i governanti pratichino la filosofia. Dopo aver definito il filosofo come colui che ama la
verità pura, Socrate traccia la differenza tra ignoranza, scienza e opinione: l'ignoranza è mancanza di
conoscenza, la scienza è conoscenza dell'essere, l'opinione è uno stato intermedio.

Libro 6. Il filosofo deve governare perché è il solo a conoscere l'essere e la verità; inoltre è sincero,
temperante, disprezza i beni mondani, apprende con facilità e possiede l'armonia interiore. Adimanto
però obietta che i filosofi sono persone strane e inutili allo Stato. Attraverso l'allegoria della nave
Socrate spiega che ciò accade negli Stati esistenti, governati da demagoghi. Il filosofo non è malvagio,
ma l'ambiente in cui vive può corromperlo, poiché anche le migliori nature sono corruttibili, se male
educate; tale azione corruttrice è dovuta al volgo e ai sofisti, indegni seguaci della filosofia. Il filosofo si
corrompe per compiacere il volgo, e pochi riescono a mantenersi coerenti isolandosi dalla massa.
Nessuna delle costituzioni vigenti conviene alla filosofia: solo la città ideale consente ai filosofi di
svolgere la propria opera e di convincere il popolo, quindi dev'essere governata da loro. L'educazione
dei filosofi deve mirare alla disciplina più alta, avente come oggetto il bene. A questo punto si rende
necessaria la definizione dell'idea del bene, di cui Socrate coglie l'analogia con il sole: come il sole, pur
dando vita, colore e nutrimento agli oggetti sensibili, non si identifica con essi, così il bene permette la
visione del mondo intellegibile e lo trascende. L'analisi prosegue con l'immagine della linea divisa in
quattro segmenti, che rappresentano quattro tipi di oggetti del conoscere: immagini, oggetti sensibili,
concetti scientifici e idee. I primi due concernono il mondo sensibile, i secondi due il mondo
intellegibile. Ad essi corrispondono quattro gradi di conoscenza: immaginazione, assenso, riflessione e
intelletto.

Libro 7. Il complesso discorso teoretico del libro precedente viene esplicitato attraverso il mito della
caverna, allegoria del filosofo che si solleva dal sensibile alle idee e ritorna nel modo per governarlo;
infatti il filosofo, la cui missione non si realizza nella pura contemplazione dell'intellegibile, dev'essere
costretto a governare. Nella sua educazione, che ha il compito di convertire il suo sguardo verso l'idea
del bene, la musica e la ginnastica devono essere affiancate da altre discipline: la matematica, la
geometria, l'astronomia, la stereometria, l'armonia e soprattutto la dialettica, che ha come scopo la
conoscenza del bene, il cui principio non è basato su ipotesi. Vengono quindi esposti i criteri di scelta
dei futuri filosofi dialettici, le loro qualità e la loro educazione graduale, a partire dall'infanzia: dopo un
periodo propedeutico di educazione ginnica, essi dovranno studiare le varie discipline e solo a trent'anni
incominceranno a essere avviati alla dialettica, per un tirocinio quinquennale che precederà la loro
attività pratica all'interno della città. Infine, dopo i cinquant'anni, i filosofi governeranno lo Stato.

Libro 8. Socrate annuncia di voler ritornare all'argomento principale della sua indagine, ossia la felicità
del giusto e l'infelicità dell'ingiusto; a tal proposito conduce un'analisi delle quattro forme di governo
esistenti, cui corrispondono quattro tipi di uomo: timocrazia, oligarchia, democrazia e tirannide. La
timocrazia, la costituzione più vicina allo Stato perfetto, cioè all'aristocrazia, nasce dalla corruzione di
quest'ultimo: ciò accade perché i guardiani non determinano con esattezza il "numero nuziale", che
regola il ciclo delle nascite. Socrate delinea il carattere del regime timocratico, dove regnano
l'ambizione e un occulto amore per il denaro; di conseguenza l'uomo timocratico, la cui anima è guidata
dall'elemento impulsivo, è ambizioso e avido. Quando l'amore per il denaro diventa palese nasce il
regime oligarchico, basato sul censo e diviso al suo interno in Stato dei poveri e Stato dei ricchi. Anche
nell'uomo oligarchico, parsimonioso e dedito agli affari, prevale l'elemento animoso. Dalla rivolta
contro questo regime nasce la democrazia, caratterizzata da una libertà che degenera in anarchia, poiché
sia lo Stato sia l'uomo democratico sono dominati dall'elemento concupiscibile; il popoì o stesso
fornisce al tiranno la possibilità di salire al potere. Una volta che ha preso in mano lo Stato, il tiranno
opprime il popolo ed elimina i cittadini migliori.

Libro 9. Nel proseguire l'esame del carattere tirannico, Socrate pone l'accento sulla presenza in ogni
individuo di desideri sfrenati e contrari alla legge, che si manifestano soprattutto nei sogni: il tiranno
non si ferma di fronte a nulla pur di soddisfare tutti questi appetiti. Viene poi contrapposta la perfetta
felicità dello Stato regio, cioè della città ideale, alla perfetta infelicità dello Stato tirannico, e si
adducono le prove dell'infelicità del tiranno. La prima è di natura politica: l'uomo tirannico, come il
regime che rappresenta, è schiavo, pieno di paura e di lamenti, perciò è sommamente infelice; al
contrario la massima felicità spetta all'uomo regale, essendo il grado di felicità di ciascun regime
proporzionato al suo grado di perfezione. La seconda prova concerne la divisione dei piaceri in tre
specie, rispondenti alle tre parti dell'anima; il filosofo si dedica solo ai piaceri della parte razionale, che
sono superiori agli altri. La terza prova, di carattere metafisico, viene dall'esame della natura dei piaceri.
Socrate fornisce una dimostrazione matematica della distanza che separa il re- filosofo dal tiranno,
calcolata in 729 anni. Poi passa all'analisi degli effetti prodotti dalla giustizia e dall'ingiustizia. La
tripartizione dell'anima implica una triplice composizione dell'uomo, che consta di un mostro policefalo,
un leone e un uomo. Quando l'uomo, con l'aiuto del leone, tiene a freno il mostro prevale la giustizia,
quando il mostro domina sulle altre due parti si ha l'ingiustizia. Socrate conclude questa trattazione
osservando che il sapiente si realizza non nella sua patria, ma nella città ideale.
Libro 10. La discussione torna sulla poesia e l'imitazione, e si opera la distinzione teoretica tra le idee,
gli oggetti sensibili e gli oggetti dell'arte. Il poeta e il pittore imitano gli oggetti sensibili, ovvero ciò che
è come appare: la loro arte, imitazione dell'apparenza, è perciò tre gradi lontana dalla verità. L'imitatore
non ha né scienza né retta opinione di ciò che imita; l'arte genera illusione e si rivolge alle passioni e alle
parti inferiori dell'anima, come dimostrano gli effetti negativi che la poesia tragica e comica produce
sugli spettatori. Così Omero, e più in generale la poesia, vanno banditi dalla città ideale. L'accenno alle
ricompense assegnate alla virtù dopo la morte offre a Socrate l'aggancio per dimostrare l'immortalità
dell'anima. Innanzi tutto, l'anima non perisce né per il male suo proprio, cioè l'ingiustizia, né per il male
altrui, cioè del corpo. Il numero delle anime non è soggetto a variazioni. La composizione dell'anima è
perfetta, ma la si può contemplare nella sua purezza solo dopo che si è staccata dal corpo. Si passano
infine in rassegna i premi concessi alla virtù e alla giustizia dagli uomini nella vita terrena e dagli dei in
quella ultraterrena. L'opera si conclude con il mito di Er, che in una grandiosa rappresentazione della
struttura dell'universo, governato da una perfetta armonia, descrive il giudizio cui le anime vengono
sottoposte nell'aldilà e la loro reincarnazione.

ARISTOTELE (304-322 a.C.)

La teoria classica delle forme di governo è quella esposta da Aristotele nella Politica. Politica è divisa in
otto libri: il primo tratta dell’origine dello stato, il secondo critica le teorie politiche precedenti (in
particolare quella platonica), il terzo e il quarto sono dedicati alla descrizione e alla classificazione delle
forme di governo, il quinto tratta dei mutamenti delle costituzioni, il sesto tratta delle varie forme di
democrazia e di oligarchia, il settimo e l’ottavo trattano della migliore forma di costituzione. Il termine
che Aristotele usa per indicare ciò che sinora è stato chiamato “forme di governo” è politéia, che viene
tradotto di solito con costituzione. La prima cosa da notare è che nella Politica si trovano parecchie
definizioni di costituzione. Una definizione si trova nel terzo libro: la costituzione è la struttura che dà
ordine alla città stabilendo il funzionamento di tutte le cariche e soprattutto dell’autorità sovrana.
Aristotele si limita a dire che la costituzione, la politeia, è “taxis ton archon”, ovvero “ordinamento delle
magistrature” (o delle cariche pubbliche). Questa definizione corrisponde grosso modo a quello che noi
oggi intendiamo per costituzione, ovvero la legge fondamentale di uno stato. Il tema di cui Aristotele si
sofferma è che i sono molte costituzioni diverse, e pertanto uno dei compiti dello studioso della politica
è di descrivere e classificare le costituzioni esistenti. Innanzitutto, egli spiega che poiché costituzione e
governo significano la stessa cosa e il governo è il potere sovrano delle città, è necessario che il potere
sovrano sia esercitato da uno solo, da pochi o dai più. Quando uno solo, i pochi o i più esercitano il
potere in vista dell’interesse comune, allora si hanno le costituzioni retta, mentre quando uno, i pochi o i
più esercitano nel loro privato interesse, allora si hanno le deviazioni. In particolare, nel terzo libro
viene presentata la celebre teoria delle sei forme di governo. Risulta molto chiaro che questa tipologia è
ricavata dall’uso simultaneo dei due criteri fondamentali del chi governa e del come governa. In base al
criterio del chi, le costituzioni si distinguono secondo che il potere di governo risieda in una sola
persona (monarchia), in poche persone (aristocrazia), in molte persone (politia). In base al criterio del
come, le costituzioni vengono distinte in buone e cattive, con la conseguenza che alle tre prime forme
buone si contrappongono e si aggiungono e tre forme cattive (tirannia, oligarchia, democrazia).
“Monarchia” significa propriamente governo di uno solo, cui corrisponde, come governo cattivo, la
tirannia. Viceversa, “oligarchia”, che significa propriamente governo di pochi, sta per governo di pochi
cattivo, cui corrisponde nel significato di governo di pochi buono “aristocrazia”. Quanto ad
“aristocrazia”, che significa propriamente governo dei migliori, è l’unico dei tre termini designanti le
forme buone che ha di per sé stesso un significato positivo: nei secoli ha perso il significato originario di
governo dei migliori; nel linguaggio moderno, per governi aristocratici si intendono di solto quei
governi di gruppi ristretti che si trasmettono il potere per eredità. La maggior novità terminologica è
l’uso di “politia” per la costituzione caratterizzata dall’essere un governo di molti e buono. Parlo di
stranezza perché politia significa costituzione, e quindi è un termine di genere e non di specie. Quando
oggi si vuole usare una parola greca per indicare il governo di molti si dice “poliarchia”. Tanto più
grave è il disagio che crea nel lettore l’uso del termine di genere “politia” o “costituzione” per indicare
una delle sei possibili costituzioni in quanto in un’altra opera, l’Etica nicomachea, Aristotele ripetendo
la classificazione delle forme buone e cattive usa per indicare la terza forma buona il termine
“timocrazia”. A ogni modo, l’uso di un termine generico come “politia” o improprio come “timocrazia”,
conferma ciò che abbiamo già appreso da Platone, e cioè che a differenza di quel che accade per le
prime due forme per cui esistono due termini consacrati dall’uso per indicare rispettivamente la forma
buona e quella cattiva, per la terza forma esiste nell’uso corrente un termine solo (“democrazia”), con la
conseguenza che, una volta che lo si è adottato per indicare soltanto la forma cattiva come in Aristotele,
non resta un termine altrettanto consacrato dall’uso per indicare la forma buona. L’uso assiologico di
una tipologia comporta non solo la distinzione fra forme buone e cattive, ma anche una gerarchia fra le
varie forme, cioè la distinzione fra forme migliori e peggiori. L’ordine gerarchico di Aristotele non
sembra differire da quello sostenuto da Platone. Il criterio della gerarchia è lo stesso: la forma peggiore
è la degenerazione della forma migliore, con la conseguenza che sono via via sempre meno gravi le
degenerazioni delle forme che seguono alla migliore. In base a questo criterio l’ordine gerarchico delle
sei forme è il seguente: monarchia, aristocrazia, politia, democrazia, oligarchia, tirannide. Così stabilito
l’ordine gerarchico, ne discende che il massimo divario è tra monarchia (la costituzione migliore delle
buone) e la tirannia (la peggiore delle cattive), e il minimo divario è fra la politia (la peggiore delle
buone) e la democrazia (la migliore delle cattive). Si spiega anche perché le due forme della democrazia
possono essere state chiamate con lo stesso nome, perché essendo l’una al fondo della prima serie e
l’altra al principio della seconda sono tanto simili da potere essere confuse. Sulla distinzione tra forme
buone e cattive c’è ancora da fare un’osservazione. Qual è il criterio in base al quale Aristotele distingue
le une dalle altre? Il criterio di Aristotele è diverso da quello di Platone: non è il consenso o la forza, la
legalità o l’illegalità, ma principalmente l’interesse comune o l’interesse personale. Forme buone sono
quelle in cui i governanti governano nell’interesse pubblico, cattive quelle in cui i governanti governano
nell’interesse proprio. Questo criterio è strettamente connesso al concetto che Aristotele ha della polis
(stato). Le ragioni per cui gli individui si riuniscono nella città, cioè formano comunità politiche, non è
soltanto quello di vivere in comune, ma è anche quello di vivere bene. Perché il fine della buona vita
possa essere realizzato occorre che i cittadini perseguano o tutti insieme o tramite i loro governanti
l’interesse comune. Quando i governanti approfittano del potere che hanno ricevuto o hanno conquistato
per perseguire interessi particolari, la comunità politica viene meno al suo scopo, e la forma politica che
essa assume è una forma corrotta o degenerata rispetto alla forma pura, cioè conforme allo scopo.
Aristotele distingue tre tipi di rapporti di potere: il potere del padre sul figlio, del padrone sullo schiavo
e del governante sul governato. La differenza sta nel tipo di interesse perseguito: il potere padronale
viene esercitato nell’interesse del padrone, quello paterno nell’interesse dei figli e quello politico
nell’interesse comune. Ognuna delle sei forme viene analizzata da Aristotele nelle sue specificazioni
storiche e suddivisa in tante specie particolari. Ad esempio, il discorso sulla monarchia si articola.
Attraverso la distinzione di varie specie di monarchie quali: la monarchia dei tempi eroici che era
ereditaria e basata sul consenso dei sudditi; la monarchia di Sparta in cui il sonno potere si identifica con
il potere militare ed è di durata perpetua; il regime degli esimneti, cioè dei tiranni elettivi, ovvero di quei
capi supremi di una città che venivano eletti per un certo periodo di tempo o a vita in caso i lacerazioni
fra opposte fazioni; la monarchia di molti popoli barbari. Mi soffermo in modo particolare su questa
ultima perché introduce la categoria della monarchia dispotica o, ratione loci, del dispotismo orientale.
Le caratteristiche peculiari di questo tipo di monarchia sono due: il potere è esercitato tirannicamente
ma, pur essendo tirannico, è legittimo. Queste due caratteristiche fanno si che questo tipo di monarchia
non sia assimilabile alla tirannia, perché i tiranni dominano su sudditi scontenti del loro potere e quindi
il loro potere non è fondato sul consenso (non è legittimo), e nello stesso tempo si differenzia dalle
monarchie greche perché domina su popoli servili, qui quali il potere non può essere esercitato se non
dispoticamente. Il potere dispotico è il potere che il padrone esercita sugli schiavi, e che è diverso sia dal
potere paterno che dal potere politico. Il potere dispotico è un potere assoluto e, a differenza di quello
paterno che viene esercitato nell’interesse dei figli, e di quello civile che viene esercito sia nell’interesse
di chi governa sia di chi è governato, viene esercitato nell’interesse del padrone, cioè colui che detiene il
potere. Come è ben noto, Aristotele giustifica la schiavitù sulla base della considerazione che vi sono
uomini schiavi per natura. Come vi sono uomini schiavi per natura, così vi sono popoli schiavi per
natura. Su popoli schiavi per natura, il potere non può essere che dello stesso tipo del potere del padrone
sugli schiavi, ossia dispotico. Questo potere, pur essendo dispotico, è perfettamente legittimo, perché è
l’unico tipo di potere adatto alla natura di certi popoli. Tanto è vero che questi popoli accettano questo
potere senza lamentarsi, mentre i tiranni hanno per soggetti popoli liberi e quindi non ottengono il loro
consenso. Soffermandoci ora sulla “politia”, nello schema corrisponde alla terza forma, cioè dovrebbe
essere la costituzione caratterizzata dal potere di molti esercitato nell’interesse comune. E invece la
definizione che Aristotele dà è: “La politia è in generale una mescolanza di oligarchia e di democrazia”.
Si badi bene: la politia è una mescolanza di oligarchia e di democrazia, ma queste sono entrambe forme
corrotte. Dunque, il primo problema cui ci pone innanzi la politia è che una forma buona può essere il
risultato di una mescolanza di due forme cattive. In secondo luogo, se la politia non è, come dovrebbe
essere secondo lo schema, il governo del popolo o la democrazia nella sua forma corretta, vuol dire che
il governo buono di molti che figura al terzo posto dello schema generale è una casella vuota, cioè è
un’idea astratta cui non corrisponde in concreto nessun regime storicamente esistito. Il problema poi è
complicato dal fatto che né l’oligarchia è per Aristotele il governo di pochi, né la democrazia è il
governo del popolo. Il criterio che Aristotele adotta per distinguere oligarchia e democrazia non il
generico criterio numerico, ma consiste nella differenza fra ricchi e poveri. Ciò che distingue l’una
dall’altra forma di governo non è il numero, ma la condizione sociale di coloro che governano, non è un
elemento quantitativo ma qualitativo. Dove dominano i ricchi, in molti o pochi che siano, ci sarà
un’oligarchia, e dove dominano i poveri una democrazia. Quindi, la mescolanza fra oligarchia e
democrazia, è un regime in cui l’unione di ricchi e poveri dovrebbe porre rimedio alla maggior causa di
tensione di ogni società, qual è appunto la lotta di chi non ha contro chi ha. È il regime che dovrebbe
assicurare la pace sociale. Aristotele si occupa anche del modo in cui può essere fatta la mescolanza dei
due regimi in modo da farne scaturire un terzo migliore di entrambi.

Si sofferma in particolare su tre espedienti:


1. Si conciliano provvedimenti che sarebbero incompatibili: mentre nelle oligarchie si infligge una
pena ai ricchi che non partecipano alle attività pubbliche e non è concesso ai poveri un premio
se vi prendono parte, nelle democrazie non è concesso nessun premio ai poveri che vi prendono
parte e non si infligge nessuna pena ai ricchi che non vi partecipano. La conciliazione potrebbe
consistere in qualcosa di medio e di comune, per esempio, nello stabilire una legge che infligga
una pena ai ricchi non partecipanti e un premio ai poveri partecipanti.
2. Si prende il medio fra gli ordinamenti estremi dei due regimi: mentre l’oligarchia attribuisce il
diritto di assemblea solo a coloro che hanno un censo alto, il regime democratico lo attribuisce a
tutti. La medietà in questo caso consiste nel diminuire l’alto censo richiesto nel regime dei ricchi
e nell’aumentare quello ammesso nel regime dei poveri.
3. Si prende il buono dei due sistemi legislativi: mentre nell’oligarchia le cariche sono assegnate
per elezione, ma solo a coloro che hanno un determinato censo, nella democrazia le cariche
vengono sorteggiate fra tutti. Prendere il buono di entrambi significa conservare il metodo
dell’elezione oligarchico e l’esclusione dei requisiti del censo proprio del regime democratico.

L’ideale che ispira questo regime della mescolanza è l’ideale della mediazione, fondato sul valore
positivo di ciò che sta in mezzo a due estremi. L’ideale etico della medietà si risolve nel celebre elogio
del ceto medio. La ragione fondamentale per cui le città meglio governate sono quelle in cui predomina
il ceto medio è la maggiore stabilità. Ciò che rende buona la mescolanza di democrazia e oligarchia è
che essa è meno sottoposta a quei rapidi cambiamenti che sono la conseguenza dei conflitti sociali, i
quali alla loro volta sono la conseguenza della divisione troppo netta fra le classi contrapposte.
Appunti su Aristotele
• Allievo di Platone.
• Nasce nel 384 a.c a Stagira in macedonia, a 17 anni va a Atene e studia nell’accademia di
Platone.
• 342 a.c chiamato da re Filippo di Macedonia diventa precettore di Alessandro Magno.
• Nel 335 ritorna ad Atene, scuola peripatetica.
• Ha pubblicato più di 200 trattati ma se ne conservano solo 31. Coprono discipline quali logica,
metafisica, filosofia della mente, etica, politica, biologia.
 Secondo Aristotele le scienze si dividono in:
 Teoretiche: ricerca della conoscenza fine a se stessa
 Pratiche: riguardano la bontà delle azioni e della condotta
 Produttive: creazione di oggetti utili o belli
• Aristotele e Platone in etica: al pari di Platone, Aristotele considera le virtù etiche (giustizia,
coraggio, temperanza, ecc.) come complesse abilità sociali, razionali ed emotive.
• Aristotele rifiuta l’idea platonica secondo cui una educazione scientifica e metafisica sarebbe un
prerequisito essenziale per una piena comprensione del bene. Per vivere bene abbiamo bisogno
di una adeguata comprensione del modo in cui beni quali amicizia, piacere, virtù, onore e
ricchezza si combinano in un tutto unitario.
• Caratteristiche:
 Simpatia vicinanza
 Ilomorfismo
 Anti-essenzialismo
 Teleologismo, cause finali
 Visione filosofica generale
• Il bene ultimo per gli esseri umani deve:
 Essere perseguito per sé stesso
 Essere tale che desideriamo altre cose finalizzate al bene ultimo
 Essere tale che non lo desideriamo sulla base di altre cose
 Essere completo, nel senso che è sempre degno di essere scelto per se stesso
 Essere auto-sufficiente, nel senso che la sua presenza basta ad arricchire una vita
 La felicità nel senso di Eudaimonia soddisfa tutti i criteri
• La nozione di Eudaimonia si comprende in riferimento all’impostazione teleologica generale di
Aristotele
• La vita buona e pienamente riuscita implica l’esercizio della ragione (sia pratica sia teoretica)
• Aretê ha un significato più ampio di virtù (include tutte le forme di eccellenza, non solo morale)
• nell’Etica Nicomachea, Aristotele introduce la teoria politica come continuazione e
completamento della teoria etica. La teoria etica si occupa della forma migliore della vita
umana. La teoria politica si occupa delle organizzazioni sociali che meglio consentono la
realizzazione di una vita umana pienamente riuscita.
• Eudaimonia: il bene più alto
• Ergon (funzione/compito) di un umano consiste nell’attività della parte razionale dell’anima in
accordo con la virtù
• Secondo Aristotele la felicità non equivale alla virtù, ma ad una attività virtuosa. Vivere bene
consiste nel fare qualcosa, non solo di trovarsi in una certa condizione o stato.
• Rapporto tra virtù e ragione in Aristotele
• Aristotele distingue tra due tipi di virtù: quelle della parte dell’anima razionale (virtù della
mente o dell’intelletto), e quelle della parte dell’anima che non può ragionare ma è nondimeno
capace di seguire ciò che la ragione indica (virtù etiche, virtù del carattere). La saggezza è la
virtù pratica per eccellenza.
• Le virtù intellettuali si dividono: quelle che riguardano il ragionamento teoretico e quelle che
riguardano il pensiero critico.
• Secondo Aristotele esistono tre tipi di vita degni di ammirazione: dedita al piacere, alla politica,
alla conoscenza.
• Secondo Aristotele la giustizia distributiva è necessaria ad assicurare la fioritura umana. La
classificazione delle forme di governo buone e cattive è parzialmente fatta in base a
considerazioni di giustizia distributiva. La giustizia richiede di trattare casi eguali in maniera
simile e casi diseguali in maniera dissimile. Giustizia: universale (secondo quanto è stabilito
dalla legge) e particolare (eguaglianza, equità). L’ingiustizia quindi si presenta come non-
rispetto della legge o come diseguaglianza-iniquità.
• Giustizia Particolare può essere: distributiva, commutativa, correttiva o rettificatoria
• Giustizia: naturale e legale
• Il termine aristotelico per politica è politikê, versione abbreviata di politikê epistêmê (scienza
politica)
• Costituzione: principio ordinatore che stabilisce i criteri per l’attribuzione delle cariche
politiche, in particolare del ruolo di sovrano
• 4 tipi di causa: materiale, formale, efficiente, finale
• Centralità del concetto di causa finale nel mondo naturale e nella riflessione politica
• La città-stato è un composto ilomorfico in cui vi è una particolare popolazione su un
determinato territorio (causa materiale) e una costituzione (causa formale, principio
organizzatore)
• Le leggi emanate non devono essere contrarie alla natura umana.
• Rifiuto da parte di Aristotele dei progetti politici utopistici

Le scienze aristoteliche si dividono in tre: (1) teoretiche, (2) pratiche e (3) produttive. I principi di
divisione sono semplici: la scienza teoretica cerca la conoscenza per se stessa; la scienza pratica
riguarda la condotta e la bontà nell'azione, sia individuale che sociale; e la scienza produttiva mira alla
creazione di oggetti belli o utili
1. Le scienze teoretiche includono ciò che Aristotele chiama filosofiaprima, o metafisica come la
chiamiamo ora, ma anche matematica, fisica e filosofia naturale. La fisica studia l'universo
naturale nel suo insieme e tende a concentrarsi su enigmi concettuali relativi alla natura piuttosto
che sulla ricerca empirica; ma si spinge oltre, in modo che includa anche una teoria della
spiegazione causale e infine persino una prova di un motore immobile che si ritiene sia la prima
e ultima causa di tutti i movimenti. Molti degli enigmi di primaria importanza per Aristotele si
sono rivelati attraenti per filosofi, matematici e scienziati naturali di epoche successive. Ad
esempio: i paradossi del movimento di Zenone, enigmi sul tempo, le difficoltà nella riflessione
sull'infinito.
La filosofia naturale comprende anche altre scienze, tra cui biologia, botanica e teoria astronomica. La
maggior parte dei critici contemporanei pensa che Aristotele consideri la psicologia come un sotto-ramo
della filosofia naturale, perché considera l'anima (psuchê) come il principio base della vita, compresa
tutta la vita animale e vegetale. In realtà, l'evidenza per questa conclusione è scarsa. Questa questione è
stata al centro della riflessione degli studiosi rinascimentali di Aristotele.
2. Le scienze pratiche sono meno controverse, almeno per quanto riguarda la loro portata. Si
occupano di condotta e azione, sia individuale che sociale. La scienza pratica contrasta quindi
con la scienza teorica, che cerca la conoscenza per sé stessa e, meno ovviamente, con le scienze
produttive, che si occupano della creazione di prodotti esterni alle scienze stesse. Sia la politica
che l'etica rientrano in questo ramo.
3. Infine, le scienze produttive sono principalmente abilità finalizzate alla produzione di manufatti
o di prodotti umani. Le scienze produttive comprendono la costruzione di navi, l'agricoltura e la
medicina, ma anche l'arte della musica, del teatro e della danza. Un'altra forma di scienza
produttiva è la retorica, che tratta i principi del linguaggio appropriato a vari contesti (giuridici,
discorsi persuasivi), comprese le assemblee politiche a livello centrale.
La tripartizione delle scienze di Aristotele non menziona la logica. Sebbene non usasse la parola
"logica" nel nostro senso del termine, Aristotele in effetti sviluppò il primo sistema formalizzato di
logica e della validità delle inferenze. Secondo Aristotele - sebbene non sia in alcun modo esplicito al
riguardo - la logica non appartiene a nessuna scienza, ma piuttosto formula i principi
dell'argomentazione corretta adatti a tutte le aree di ricerca.

• Accanto al suo lavoro più tecnico in logica e teoria logica, Aristotele studia anche stili
argomentativi informali e cerca di esporre alcuni modelli di ragionamento fallace.
• Poiché gli endoxa a volte sono in conflitto tra loro, spesso proprio perché i fenomeni generano
aporie o enigmi, non è sempre possibile rispettarli nella loro interezza. Pertanto, nel complesso
devono essere reinterpretati e sistematizzati e, laddove ciò non sia sufficiente, alcuni devono
essere respinti in modo definitivo. È comunque chiaro che Aristotele è disposto ad abbandonare
alcuni o tutti gli endoxa e ogni volta che la scienza o la filosofia lo richiedono.
• Sebbene oggi riconosciamo molte forme di logica oltre a quella di Aristotele, rimane vero che
non solo egli ha sviluppato una teoria della deduzione (sillogismo) ma ha aggiunto ad essa un
sillogismo modale e ha percorso molta strada per dimostrare alcuni meta-teoremi pertinenti a
questi sistemi.
• Secondo Aristotele possiamo scoprire e conoscere le caratteristiche necessarie della realtà. Tali
caratteristiche, suggerisce Aristotele, sono quelle che costituiscono l'essenza. Alla conoscenza
delle essenze si può arrivare sia attraverso un processo che porta a una comprensione razionale
delle verità necessarie sia attraverso un'indagine dialettica che opera su endoxa giudiziosamente
selezionati
• Profondo ‘commitment’ aristotelico nei confronti dell’essenzialismo

Etica:
• Finalità pratiche dell’etica: miglioramento delle nostre vite
• Centralità delle virtù
• Come Platone, considera le virtù etiche (giustizia, coraggio, temperanza e così via) come
complesse abilità razionali, emotive e sociali.
• Ma Aristotele rifiuta l'idea di Platone secondo cui una profonda educazione nelle scienze e nella
metafisica sia un prerequisito necessario si una piena comprensione del nostro bene. Ciò di cui
abbiamo bisogno, per vivere bene, è un adeguato apprezzamento del modo in cui beni come
l'amicizia, il piacere, la virtù, l'onore e la ricchezza si combinano in un tutto armonico.

• Platone: ordine gerarchico tra le parti dell’anima – le virtù esprimono il modo corretto in cui i
rapporti tra le parti dell’anima devono essere posti
• L’approccio di Aristotele è simile: il nostro bene consiste nel dominio della ragione, e le
dettagliate analisi delle particolari virtù rivelano come ciascuno di essi coinvolga il giusto tipo di
ordinamento dell'anima. L'obiettivo di Aristotele è arrivare a conclusioni come quelle di Platone,
ma senza fare affidamento sulla metafisica platonica (Repubblica).
• Aristotele rifiuta l'esistenza delle forme di Platone in generale e la forma del bene in particolare;
Aristotele rifiuta anche l'idea che per diventare pienamente virtuosi si debba studiare la
matematica e le scienze e concepire tutti i rami della conoscenza come un tutto unificato
• Aristotele distingue due tipi di virtù (1103a1–10): quelle che appartengono alla parte dell'anima
che si impegna nel ragionamento (virtù della mente o dell'intelletto) e quelle che appartengono
alla parte dell'anima che non può di per sé ragionare ma è comunque capace di seguire la
ragione (virtù etiche, virtù del carattere).
• Le virtù intellettuali sono a loro volta divise in due tipi: quelle che riguardano il ragionamento
teorico e quelle che riguardano il pensiero pratico (1139a3–8). Aristotele organizza il suo
discorso analizzando prima le virtù etiche in generale. Poi passa a una discussione su particolari
virtù etiche (temperanza, coraggio e così via), e infine completando il suo sondaggio
considerando le virtù intellettuali (saggezza pratica, saggezza teorica, ecc. ).
• Secondo Aristotele la riflessione filosofica e la teoria etica non possono darci una procedura da
seguire per ottenere i nostri scopi morali – saggezza e considerazione del contesto

• Amicizia (Libri VIII e IX dell’Etica Nicomachea). Amicizia (philia)…difficoltà di rendere in


italiano il significato Greco. Significato più ampio in Greco – philia si riferisce a molti tipi di
relazioni, anche a quelle tra persone della stessa famiglia. Philia non indica solo relazioni di tipo
volontario (come l’amicizia in senso stretto).

Pensiero politico di Aristotele


• Il pensiero politico di Aristotele è influenzato dalla sua vita in vari modi: il suo interesse per la
biologia sembra essere espresso nel naturalismo della sua politica.
• La filosofia politica in senso stretto costituisce l'argomento del suo trattato chiamato Politica.
• Il compito più importante per il politico consiste nel ruolo di legislatore (nomothetês)
• La causa formale della città-stato è la sua costituzione (politeia). Aristotele definisce la
costituzione come "un certo ordinamento degli abitanti della città-stato" (III.1.1274b32-41).
Aristotele parla anche della costituzione di una comunità come "la forma del composto" e
sostiene che se una comunità persiste nel tempo sa ha la medesima costituzione (III.3.1276b1-
11). La costituzione non è un documento scritto, ma un immanente principio organizzativo,
analogo all'anima di un organismo.
• Centralità della nozione di causa finale nel pensiero di Aristotele
• ogni città-stato è una sorta di comunità e ogni comunità esiste per perseguire un determinato
bene,
• La comunità che detiene maggiore autorità mira al bene più elevato
• La città-stato è un composto ilomorfico in cui vi è una particolare popolazione su un
determinato territorio (causa materiale) e una costituzione (causa formale, principio
organizzatore)
• Naturalismo politico
• Ruolo dei padri e dei mariti all’interno della famiglia…per il bene dei figli e delle mogli (come
medicina e altre arti in Platone)

Differenze Platone-Aristotele
Nell’Etica persiste una grande differenza tra Platone e Aristotele.
Platone è gerarchico, è razionale rispetto al contenuto storico; tutto è controllo razionale e la soluzione
scende dall’alto, è predata e noi dobbiamo interpretarla.
La tripartizione è simbolo innanzitutto di equilibrio; è nella medietà che dobbiamo cercare di
posizionarci: un esempio può essere la differenza tra coraggio e incoscienza.
Secondo Aristotele la soluzione insorge dentro di noi e dobbiamo essere in grado di autoregolarci. Un
dominio assoluto della ragione sulle passioni è una forzatura enorme dell’individuo, è un trascurare
troppo le fragilità di una persona.
Appunti su Platone
• Platone nacque nel 427 a.C. ad Atene, da una famiglia aristocratica, dove morì nel 347 a.C.
• Consapevolezza da parte di Platone della situazione politica e culturale di Atene
• Crisi di Atene – Guerra del Peloponneso
• 414 a.C: Aristodane scrive Gli uccelli, opera in cui esprime un desiderio di trascendere
l’esistenza umana, ma anche una critica all’arroganza che si era diffusa ad Atene. Qualche anno
dopo, nel 411 a.C., Aristofane scrive Lisitrata, che dimostra che l’autore aveva rinunciato a
qualsiasi speranza, perfino alla speranza di una sconfitta dignitosa.
• Crizia e Carmide, parenti di Platon, erano parte di un gruppo di conservatori che rovesciarono la
democrazia di Atene dopo la Guerra del Peloponneso (404 a.C.) e governarono – I Trenta tiranni
– per 9 mesi.
• Col tempo, tutti gli ateniesi si opposero ai Tiranni e, dopo 9 mesi di malgoverno, si dimisero in
cambio di una amnistia per tutti i reati commessi in quel lasso di tempo.
• Ritorno della democrazia ad Atene.
• Eppure, per quanto questa democrazia fosse preferibile al governo da parte di un consesso di
oligarchi, la sua concezione di giustizia tendeva alla vendetta e, dopo pochi anni (nel 399 a.C.) il
regime democratico mise a morte Socrate.
• Legame tra pensiero politico platonico e Le donne al parlamento (Ἐκκλησιάζουσαι,
Ekklesiazousai) di Aristofane (391 a. C.)
• La decadenza di Atene dopo la guerra del Peloponneso
• Platone e il modello della commedia politica di Aristofane. La democrazia non è mai giusta.
• L’innovazione è difficile e non c’è mai felicità universale.
• La rivoluzione avvantaggia alcuni e svantaggia altri.
• Posizione critica su democrazie e filantropia.
• La democrazia provoca instabilità e favorisce il governo degli ignoranti (epistocrazia)
• La giustizia come arte (techne), nel senso che implica sempre conoscenza. Come si vedrà, è
questa la ragione per cui Trasimaco non può avere ragione.
• La città buona è anche giusta
• La persona giusta è anche felice (nozione di eudaimonia)
• Analogia platonica tra persona e città
• Se si pensa alla città ideale e la si contrasta con la corruzione presente, non ci si può
accontentare di una descrizione delle istituzioni politiche. Bisogna pensare alla totalità delle
influenze e delle immagini pubbliche (ai media?). Tutte le rappresentazioni ideali sono
all’opposto delle immagini fornite dai più grandi poeti e artisti.

• Libro I: si prepara il campo. Glaucone e Adamanto insistono nella parte iniziale del Libro II. I
personaggi principali sono Cefalo Socrate, Glaucone Polemarco, Adamantus, Nicerato e
Trasimaco.
• Perché la conoscenza deve dominare.
• Discussione su arte e cultura.
• Nel Libro I, la principale questione della Repubblica emerge nella figura di Cefalo. Come è
prevedibile, la definizione di giustizia di Cefalo e Polemarco non sopravvive all’analisi
socratica, ma essi continuano ad assumere che la giustizia sia una importante componente della
vita buona.
• Trasimaco mette in discussione l’idea secondo cui è buono essere giusti. Secondo Trasimaco
(343c-344c), la giustizia è stabilita dal più forte, in modo che il debole serva gli interessi del
forte. In questa prospettiva, la condizione dei forti migliora se evitano di rispettare la giustizia e
si dedicano direttamente ai propri interessi.
• Risposta di Socrate a questa sfida dell’immoralista.

• La tripartizione dell’anima nel Libro IV: ragione, spirito, appetito


• Conflitti cognitivi e motivazionali e loro composizione.
• La tripartizione implica quella tra credenze, emozioni e desideri
• La presenza nella città ideale della giustizia viene appurata tramite la ricerca delle tre virtù che si
connettono a essa: sapienza, coraggio, temperanza.
• La sapienza è la virtù di coloro che hanno compiti di governo, il coraggio di quelli impegnati
nella difesa; la temperanza invece deve risiedere in tutte e tre le classi dei cittadini.

• Il conflitto principale tra appetito e ragione


• I filosofi guardiani
• Il filosofo deve governare perché è il solo a conoscere l'essere e la
• verità; inoltre è sincero, temperante, disprezza i beni mondani, apprende con facilità e possiede
l'armonia interiore. Adimanto però obietta che i filosofi sono persone strane e inutili allo Stato.
Attraverso l'allegoria della nave Socrate spiega che ciò dipende dal contesto
• solo la città ideale consente ai filosofi
• Il mito della Caverna

• In una persona ben riuscita le tre arti dell’anima svolgono le loro proprie funzioni in armonia).
• Perché è meglio essere giusti
• Nella Repubblica si trovano 5 distinti argomenti a favore della tesi secondo la quale è meglio
essere giusti che ingiusti, indipendentemente da come le altre persone e gli dei ci vedono. Il
primo da riferimento a una analogia tra salute psicologica e salute fisica (Libro 4, 445 a-b). La
seconda, terza e quarta sono quelle che Socrate definisce tre «prove» nel Libro 8 e 9 (543c–
580c, esp. 576b–580c; 580c–583a; 583b–588a).
• 3 prove: La prima è di natura politica: l'uomo tirannico, come il regime che rappresenta, è
schiavo, pieno di paura e di lamenti, perciò è sommamente infelice; al contrario la massima
felicità spetta all'uomo regale, essendo il grado di felicità di ciascun regime proporzionato al suo
grado di perfezione. La seconda prova concerne la divisione dei piaceri in tre specie, rispondenti
alle tre parti dell'anima; il filosofo si dedica solo ai piaceri della parte razionale, che sono
superiori agli altri. La terza prova, di carattere metafisico, viene dall'esame della natura dei
piaceri

• Solo il filosofo è veramente virtuoso


• Il filosofo domina le passioni e il tiranno ne è schiavo
• Il filosofo aspira all’armonia tra le forme. I filosofi sono obbligati a governare e a tentare di
realizzare la città giusta
• un'analisi delle quattro forme di governo esistenti, cui corrispondono
• quattro tipi di: timocrazia, oligarchia, democrazia e tirannide.
• La via è tramite educazione e cultura

• Politica: La costituzione ideale


• Socrate sviluppa l’idea di un essere umano virtuoso e la pone in contrasto con diversi caratteri
corrotti, e allo stesso tempo elabora l’idea di una città virtuosa e la pone in contrasto con diverse
costituzioni e città corrotte.
• 4 caratteristiche della città buona secondo Socrate: Utopia, Totalitarismo, Femminismo,
Comunismo

• La questione cultura e arte Inizia dal libro III e si conclude nel libro 10
• Cultura in senso materiale e antropologico: dalla vita di tutti I giorni all’arte la musica etc.
• Primato dello stile: la persona, la grazia
• Gracefulness, la bellezza: kalokagatia.
• Armonia della persona e della città. Centralità della musica. Ritmo e armonia

• Nei libri VIII e IX il declino della città e il declino delle personalità. La città prende il
sopravvento sull’anima ma il parallelo resta in piedi
• La politeia dell’anima
• Libro X: poesia e musica ingannano le orecchie e creano gli idola
• Abolizione della poesia? Omero, Eschilo, Sofocle, Euripiede, Aristofane…Non perché poeti ma
in quanto suscitano cattive emozioni: i poeti pieni di menzogna sugli dei
• Arte come imitazione, mimesis
• Arte come infezione

• Poesia musicale alle feste sociali come target: Pensiamo oggi alla TV i media in generale lo
stesso web. Omero e Mike Buongiorno
• Come la tragedia incoraggia le forme di costituzione deteriore, tirannia e democrazia
• Come la musica si infiltra gradualmente nell’anima. I Beatles e l’immortalità dell’anima
• Vi si oppone lo stato d’animo filosofico. La dianoia
• Riformare l’intera cultura!
• Difficolta di innovare e essere originale in ambito platonico
• L’inganno dei sensi (libro X) e il Mito della Caverna

• Metafore e immagini sono armi potenti


• Triclini e banchetti sono importanti. La caverna non è abolita ma purificata
• Ragione e desiderio
• Le due città del libro X. La semplice e la sofisticata. Kallipolis
• Come purificare la città corrotta: poesia, commedia, famiglia, proprietà privata
• La paideia

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