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Dispense di Automatica

Giuliano D’Ammando

22 giugno 2020
Lezione 11

Trasformazione di Laplace

11.1 Modulo 1: Introduzione


La Trasformata di Laplace è un operatore lineare che trasforma le funzioni del tempo, u(t) ed y(t),
nelle corrispondenti funzioni U (s) ed Y (s), nella variabile complessa s. Come è detto, nel dominio
del tempo, il legame tra ingresso ed uscita è dato da equazioni differenziali. Fra le corrispondenti
trasformate, U e Y , il legame ingresso/uscita è invece descritto da equazioni algebriche.
Questo fatto semplifica notevolmente il problema di calcolare l’andamento dell’uscita del sistema in
seguito all’applicazione di un dato ingresso. In questa lezione vedremo come effettuare il passaggio
dal dominio del tempo al dominio delle trasformate, ovvero impareremo a calcolare la Trasformata di
Laplace di una funzione.

11.1.1 Trasformata di Laplace


Diamo ora la definizione di Trasformata di Laplace. Consideriamo una funzione complessa, f , della
variabile reale t. La sua Trasformata di Laplace si indica con F ed è una funzione complessa, della
variabile complessa s. Essa è data da
Z ∞
F (s) = L[f (t)] , f (t)e−st dt, s = σ + jω ∈ C (11.1)
0

Diamo ora alcune osservazioni sulla definizione di Trasformata di Laplace. Mediante Trasformazione
di Laplace si trasforma una funzione di variabile reale in una funzione di variabile complessa. Quindi,
in generale, la Trasformata di Laplace è una funzione complessa di variabile complessa
L
f :R→C−
→F :C→C

Dal momento che l’integrale della definizione è dato da zero all’infinito, la Trasformata di Laplace non
dipende dai valori assunti dalla funzione f (t) per t < 0.

2
11.1. MODULO 1: INTRODUZIONE 3

Infine è necessario dare delle condizioni sulla variabile complessa esse perché l’integrale della definizione
esista. Questo però non è strettamente necessario, perché si può dimostrare che la Trasformata di
Laplace, effe grande di esse, è una funzione analitica, che può essere estesa, a tutto il piano complesso,
mediante il processo detto di prolungamento analitico.

11.1.2 Esempi di trasformate di Laplace


Funzione scalino Consideriamo la funzione

0 t<0
f (t) = sca(t) := (11.2)
1 t≥0

usando la definizione
Z ∞  −st ∞
−st e 1 1
L[sca(t)] = 1 · e dt = − =0+ = (11.3)
0 s 0 s s

Si osservi che il risultato che si ottiene è vero solo se la parte reale della variabile complessa esse è
positiva, cosicché e alla meno esse t, effettivamente, si annulli per t uguale ad infinito.

Funzione impulso Facciamo ora un secondo esempio, in cui definiamo una funzione del tempo molto
particolare, l’impulso, che si indica con il simbolo imp. L’impulso è definito dalle seguenti due relazioni

 f (t) = 0, t 6= 0

(11.4)
Z ∞
f (t) = imp(t) :=
 f (t)dt = 1
−∞

Cosa significano queste due condizioni, che apparentemente sembrano contradditorie? Per definire
l’impulso consideriamo la funzione ausiliaria fε (t), descritta in figura.

Essa è nulla dappertutto, tranne che nell’intervallo tra zero ed ε, dove vale y1 , ed è costante. Il suo
integrale, tra meno infinito e finito, è quindi uno. Inoltre, per ε → 0, è soddisfatta anche la prima
condizione, cioè la funzione è nulla, per tutti i valori del tempo diversi da zero. Infatti per ε → 0,
la funzione fε (t) è un segnale di durata sempre più breve, ed ampiezza sempre più elevata. Possiamo
quindi pensare di definire la Trasformata di Laplace dell’impulso come il limite, per ε → 0, della
Trasformata di Laplace della funzione fε (t)

imp(t) = lim fε (t) ⇒ L[imp(t)] = lim L [fε (t)]


ε→0 ε→0
Z ∞
L [fε (t)] = fε (t)e−st dt =
0
 −st ε (11.5)
 1 − e−εs
Z ε
1 −st 1 e 1  −εs
= e dt = − =− e −1 =
0 ε ε s 0 εs εs
Quindi, nel limite per ε → 0

1 − e−εs H se−εs
L[imp(t)] = lim = lim =1 (11.6)
ε→0 εs ε→0 s
4 LEZIONE 11. TRASFORMAZIONE DI LAPLACE

Giunti a questo punto è interessante soffermarci a discutere i legami tra la funzione scalino e la funzione
impulso. In particolare, si può verificare che lo scalino è l’integrale dell’impulso e, al contrario, l’impulso
è la derivata dello scalino. Per meglio comprendere queste relazioni, consideriamo ancora la funzione
ausiliaria fε (t), utilizzata per definire l’impulso e la sua trasformata. Eseguendo nell’integrale, si ottiene
una funzione che, per ε → 0, dà esattamente lo scalino. Allo stesso modo, questa funzione fε , come
visto per ε → 0, dà l’impulso.

11.2 Modulo 2: Proprietà della Trasformata


La Trasformata di Laplace gode di numerose proprietà. Ora enunceremo quelle che ci saranno più utili
nel seguito.
1. Linearità
F1 (s) = L [f1 (t)] F2 (s) = L [f2 (t)]
Risulta
L [αf1 (t) + βf2 (t)] = αF1 (s) + βF2 (s) ∀α, β ∈ C

2. Traslazione nel dominio del tempo


F (s) = L[f (t)] con f (t) = 0, t < 0
Risulta
L[f (t − τ )] = e−sτ F (s), τ > 0

Esempio 11.1
Vediamo un esempio nella figura seguente

2 e−4s
f (t) = 2 sca(t) − sca(t − 4) ⇒ F (s) = −
s s

3. Traslazione nel dominio delle trasformate


F (s) = L[f (t)] ⇒ L eat f (t) F (s − a)
 
11.2. MODULO 2: PROPRIETÀ DELLA TRASFORMATA 5

Esempio 11.2
Consideriamo f (t) = eat sca(t). L’effetto del moltiplicare una funzione del tempo per uno scalino,
è semplicemente quello di considerare solo la parte della funzione, per t maggiore ed uguale a zero,
mentre per t minore di zero, la funzione è nulla. Il risultato è

1
f (t) = eat sca(t) ⇒ F (s) = L [eat ] = s−a

Esempio 11.3
Consideriamo un ulteriore esempio: la trasformata di sen ωt

L[sen(ωt)] =
 
1 jωt
e − e−jωt =

=L
2j
1  jωt  1 
− L e−jωt =

= L e
2j 2j
1 1 1 1 2jω ω
= − = = 2
2j s − jω 2j s + jω 2j (s2 + ω 2 ) s + ω2

4. Derivazione in s
dF (s)
F (s) = L[f (t)] ⇒ L[tf (t)] = −
ds
Vediamo un semplice esempio
 
d 1 1 1
essendo
 at 
L eat =
 
L te = − =
ds s − a (s − a)2 s−a

5. Derivazione in t  
d
F (s) = L[f (t)] ⇒ L f (t) ≡ L[f˙(t)] = sF (s) − f (0)
dt
Se poi in particolare f (t) fosse discontinuo di prima specie, in t = 0, il valore da usare, al posto
di f (0), è f (0− ), ovvero

lim f (t)
t→0−

Esempio 11.4
Vediamo ora un esempio: la trasformata di Laplace del cos ωt. Nell’esempio precedente, abbiamo
calcolato la Trasformata di Laplace del sen ωt. Applicando ora la proprietà appena enunciata è
possibile calcolare direttamente la trasformata di Laplace della sua derivata, a meno di una costante,
cioè appunto cos ωt
L[cos(ωt)] =
   
1 d 1 d
=L sen(ωt) = L sen(ωt) =
ω dt ω dt
 
1 ω s
= s −0 = 2
ω s2 + ω 2 s + ω2
6 LEZIONE 11. TRASFORMAZIONE DI LAPLACE

La proprietà precedente può essere estesa a derivate di ordine superiore al primo, semplicemente
per applicazione iterativa della proprietà stessa. Per esempio, la Trasformata di Laplace di f 00 (t)
è data da

L[f¨(t)] = sL[f˙(t)] − f˙(0) = s(sF (s) − f (0)) − f˙(0) = s2 F (s) − sf (0) − f˙(0)

Analogamente per la derivata di ordine n si ottiene


 n
dn−1 f (t)

d f (t)
L n
= sn F (s) − sn−1 f (0) − . . . −
dt dtn−1 t=0

6. Integrazione in t Z t 
1
L[f (t)] = F (s) ⇒ L f (τ )dτ = F (s)
0 s

Esempio 11.5
Nell’esempio, viene calcolata la Trasformata di Laplace della funzione rampa, indicata con il simbolo
ram, e definita come l’integrale dello scalino.

f (t) = t · sca(t) = ram(t)


Z t
ram(t) = sca(τ )dτ
0
1
L[ram(t)] =
s2

Consideriamo ora una funzione vettoriale del tempo x(t). x(t) è quindi un vettore con n componenti,
ciascuno delle quali è una funzione del tempo. La Trasformata di Laplace X(s), di x(t), è un vettore
con n componenti, ciascuna delle quali è la Trasformata di Laplace della corrispondente componente
nel tempo
     
x1 (t) L [x1 (t)] X1 (s)
x(t) =  ...  ⇒ X(s) = L[x(t)] =  ..   .. 
. = .  (11.7)
  

xn (t) L [xn (t)] Xn (s)

Enunciamo ora due semplici proprietà, che utilizzeremo nel seguito. Sia A una matrice di opportune
dimensioni. Allora

L[Ax(t)] = AL[x(t)] = AX(s) (11.8)


   
L [ẋ1 (t)] sX1 (s) − x1 (0)
L[ẋ(t)] =  .. .. (11.9)
. = .  = sX(s) − x(0)
   

L [ẋn (t)] sXn (s) − xn (0)

11.2.1 Poli e zeri di una trasformata


Diamo infine la definizione di polo e zero di una Trasformata di Laplace
Poli Valori di s per cui F (s) = ∞
Zeri Valori di s per cui F (s) = 0
11.2. MODULO 2: PROPRIETÀ DELLA TRASFORMATA 7

In particolare per F (s) razionale

N (s)
F (s) = , N (s), D(s) polinomi in s
D(s)

Poli valori di s per cui D(s) = 0


Zeri valori di s per cui N (s) = 0
Lezione 12

Calcolo dell’antitrasformata di Laplace

12.1 Modulo 1: Introduzione


In questa lezione ci occupiamo del calcolo dell’Antitrasformata di Laplace, cioè del passaggio di ritorno
dal dominio delle trasformate al dominio del tempo. Abbiamo visto, all’inizio della Lezione sulla
Trasformata di Laplace, che il legame tra la trasformata U dell’ingresso e la trasformata Y dell’uscita
di un sistema dinamico, è dato da equazioni algebriche. È quindi più semplice calcolare il legame
tra l’ingresso e l’uscita di un sistema dinamico nel dominio delle trasformate, in quanto si evita di
ricorrere all’integrazione di equazioni differenziali. Una volta ottenuta, la Trasformata Y (a) dell’uscita
del sistema, si desidera conoscere la corrispondente funzione y(t), in modo da completare il percorso
su questi tre lati dello schema, che ci evitano di percorrere il lato relativo alle equazioni differenziali.

12.1.1 Antitrasformata di Laplace


È fortemente auspicabile che la Trasformazione di Laplace, instauri una corrispondenza di univoca tra
funzioni del tempo e funzioni di variabile complessa, cioè anche trasformando F (s), voglio ottenere la
funzione f (t), di cui F (s) è la Trasformata di Laplace. Ciò accade se considero uguali le funzioni f (t)
che lo sono per t ≥ 0, cioè mi disinteresso dei valori assunti da f (t) per t < 0. Devo inoltre considerare
uguali le funzioni f (t) che lo sono a meno di un insieme di misura nulla, cioè che sono uguali, tranne
che, al più, per un insieme numerabile di valori di t.

La figura e lo schema bene illustrano queste due proprietà.

8
12.1. MODULO 1: INTRODUZIONE 9

Le funzioni f1 ed f2 , dal punto di vista della Trasformata di Laplace, sono considerate uguali fra loro,
ed uguali a f , che può considerarsi come un prototipo per questa classe di funzioni. Dallo schema si
capisce che f1 ed f2 hanno la medesima Trasformata di Laplace F (s). Antitrasformando quest’ultima,
si ottiene la funzione prototipo f (t).

Esempio 12.1
Per meglio comprendere, e motivare, il ruolo dell’operazione di Antitrasformazione, consideriamo il seguente
semplice esempio. Si consideri l’equazione differenziale
(
u(t) = sca(t)
ẏ(t) = −y(t) + u(t) con
y(0) = 4

Sia Y (s) la Trasformata di Laplace di y(t). La Trasformata di Laplace di u(t), è U (s), ed è uguale, com’è
noto, a
1
U (s) =
s
La Trasformata di Laplace della derivata prima di y(t) è

L[y 0 (t)] = sY (s) − y(0)

per cui la trasformata dell’equazione differenziale è

sY (s) − y(0) = −Y (s) + U (s)

Sostituendo la condizione iniziale


1 4 1
(s + 1)Y (s) = 4 + ⇒ Y (s) = +
s s + 1 s(s + 1)
| {z } | {z }
4e−t ?

Infine decomponendo in fratti semplici


1 1 1
F (s) = = + = sca(t) + e−t
s(s + 1) s s+1

da cui

y(t) = 4e−t + 1 − e−t = 3e−t + 1 t≥0

Vi sono diversi strumenti per calcolare l’Antitrasformata f (t) di una F (s).

• formula esplicita, di scarsa utilità pratica, di cui non ci occuperemo

• teorema del valore iniziale fornisce il valore f (0)

• teorema del valore finale ci dà il valore del limite

lim f (t) = f (∞)


t→∞
10 LEZIONE 12. CALCOLO DELL’ANTITRASFORMATA DI LAPLACE

• il metodo, di cui ci occuperemo nel dettaglio, è lo Sviluppo di Heaviside, che è valido solo per
Trasformate di Laplace frazionali.

12.2 Modulo 2: Teoremi del valore iniziale e finale


12.2.1 Teorema del valore iniziale
Incominciamo ad occuparci del teorema del valore iniziale. Sia F (s) la Trasformata di Laplace di una
funzione f (t)

F (s) = L[f (t)]

Allora

f (0) = lim sF (s) se il limite esiste finito


s→∞

Si noti che se f (t) è discontinuo di prima specie in t = 0, il teorema fornisce

f (0+ ) ovvero lim f (t)


t→0+

Esempio 12.2
Applichiamo il teorema del valore iniziale a
s
F (s) =
s2 + ω 2
che sappiamo essere la Trasformata di Laplace di cos ωt. Verifichiamo se il teorema ci fornisce risultati
coerenti. Abbiamo che
f (0) = lim sF (s) = 1
s→∞
−ω 2
f˙(0) =? L[f˙(t)] = sF (s) − f (0) =
s2 + ω 2
Quindi, applicando il teorema del valore iniziale, otteniamo che la derivata prima di effe piccolo in zero è
data da
−ω 2
f (0) = lim s =0
s→∞ s2 + ω 2
che è coerente con il risultato che otteniamo dalla derivata del coseno, che è il seno valutata per t = 0.
Possiamo infine ripetere quest’ultimo ragionamento per calcolare il valore della derivata seconda di f (0) e
così via.

12.2.2 Teorema del valore finale


Passiamo ora al teorema del valore finale. Sia F (s) la Trasformata di Laplace di una funzione f (t)

F (s) = L[f (t)]

Sia inoltre verificata la seguente ipotesi: i poli di F (s) hanno parte reale negativa, o sono nulli, cioè
sono s = 0. In quest’ipotesi si ha che

f (∞) , lim f (t) = lim sF (s) se questo limite esiste finito


t→∞ s→0
12.3. MODULO 3: SVILUPPO DI HEAVISIDE 11

Esempio 12.3
Consideriamo un esempio in cui F (s) è data
s
F (s) = , ω 6= 0 dove f (t) = cos(ωt)
s2 + ω 2
Dal momento che effe grande di esse ha due poli in ±jω il teorema del valore finale non è applicabile, in
quanto non è verificata l’ipotesi prima enunciata. Si noti che ciò è coerente con il fatto che il cos ωt, di cui
F (s) è Trasformata di Laplace, non ammette limite, per t → ∞.

Esempio 12.4
Nel secondo esempio consideriamo

1
F (s) = dove f (t) = sca(t)
s
cioè la Trasformata di Laplace dello scalino. Applicando il teorema del valore finale si ha che
1
f (∞) = lim s · =1
s→0 s
coerente con i valori assunti dallo scalino all’infinito.

12.3 Modulo 3: Sviluppo di Heaviside


Veniamo ora al metodo di Antitrasformazione per Sviluppo di Heaviside. Come già detto, questo
metodo consente di calcolare l’Antitrasformata di Laplace f (t) di una F (s) razionale, cioè data dal
rapporto di due polinomi in s
N (s) b0 sm + b1 sm−1 + . . . + bm
F (s) = = m<n
D(s) a0 sn + a1 sn−1 + . . . + an
di grado n strettamente maggiore di m. Quest’ultima ipotesi verrà poi rilassata. L’idea del metodo è
di decomporre la effe grande in una somma algebrica di funzioni di esse, di cui è nota la controparte
nel dominio del tempo. Per linearità, l’Antitrasformata è data dalla somma delle Antitrasformate
F (s) = F1 (s) + F2 (s) + . . . ⇒ f1 (t) + f2 (t) + . . . = f (t)
La forma della scomposizione di F (s), cioè in quali addendi essa va scomposta, viene determinata
dai poli di F (s), ovvero dalle soluzioni delle equazioni D(s) = 0, cioè dai valori di s che annullano il
denominatore di F (s).
1. Nel caso in cui i poli siano reali distinti, D assume la seguente forma
D(s) = a0 (s + p1 ) (s + p2 ) . . . (s + pn ) poli in − pi con pi 6= pj , i 6= j
Allora F si può scomporre nella somma di tanti termini quanti sono i poli
α1 α2 αn
F (s) = + + ... +
s + p1 s + p2 s + pn
questi termini sono del tipo
αi
Fi (s) =
s + pi
per ciascuno di essi è nota l’Antitrasformata
α1 L−1
−−→ α1 e−p1 t
s + p1
α2 L−1
−−→ α2 e−p2 t
s + p2
···
12 LEZIONE 12. CALCOLO DELL’ANTITRASFORMATA DI LAPLACE

e quindi l’Antitrasformata di F è la funzione f data da


n
X
f (t) = αi e−pi t
1

2. Nel caso in cui F abbia un polo reale multiplo p, di molteplicità k, strettamente maggiore di 1,
nel denominatore compare un termine del tipo

D(s) = · · · (s + p)k . . . k>1

Allora la scomposizione di F (s) contiene, in relazione a questo polo multiplo, tanti termini quanto
è il valore della molteplicità del polo
β1 β2 βk
F (s) = · · · + + 2
+ ··· + + ···
s + p (s + p) (s + p)k
Ciascun termine ha, al denominatore, una potenza crescente di s + p, a partire da 1, fino ad
arrivare a k. Di ciascuno di questi termini è nota l’Antitrasformata, per esempio
β1 L−1
−−→ β1 e−pt
s+p
β2 L−1
−−→ β2 te−pt
(s + p)2
βk L−1 tk−1 −pt
k
−−→ βk e
(s + p) (k − 1)!
l’Antitrasformata di F (s), cioè f (t), conterrà la somma di questi termini
n
X ti−1 −pt
f (t) = · · · + βi e + ···
(i − 1)!
1

3. Nel caso in cui F abbia due poli complessi coniugati, con parte reale σ, e parte immaginaria ω,
il denominatore D contiene un termine del tipo

D(s) = · · · (s − σ − jω)(s − σ + jω) · · ·


= · · · (s − σ)2 + ω 2 · · ·

Come conseguenza la scomposizione della F (s) contiene un termine del tipo


βs + γ
F (s) = · · · + + ...
(s − σ)2 + ω 2
con β e γ costanti da determinare. L’Antitrasformata di questo termine non è banale. Si può
però pensare di scomporre ulteriormente il termine di F (s), relativo ai poli complessi coniuga-
ti, aggiungendo e sottraendo al numeratore il termine βσ. Così facendo questo termine viene
decomposto nella somma di due termini, con opportuni coefficienti
βs + γ βs + γ − βσ + βσ
=
(s − σ)2 + ω 2 (s − σ)2 + ω 2
s−σ γ + βσ ω
=β 2 2
+
(s − σ) + ω ω (s − σ)2 + ω 2
Questi due termini corrispondono alle trasformate
s−σ L−1
−−→ eσt cos(ωt)
(s − σ)2 + ω 2
ω L−1
−−→ eσt sen(ωt)
(s − σ)2 + ω 2
12.3. MODULO 3: SVILUPPO DI HEAVISIDE 13

4. Consideriamo infine il caso in cui il numeratore N (s) e il denominatore D(s), della Trasformata
di Laplace F (s), sono polinomi in s di ugual grado, cioè m = n. In questa situazione è sufficiente
introdurre, nella scomposizione F , un termine costante α0 , la cui Antitrasformata sarà

L−1
F (s) = . . . + α0 −−→ α0 imp(t)
Lezione 13

Funzione di Trasferimento

13.1 Modulo 1: Definizione


In questa lezione introdurremo una nuova rappresentazione dei sistemi dinamici a tempo continuo,
lineari e stazionari. Essa è chiamata funzione di trasferimento e mette in relazione tra loro le Trasfor-
mate di Laplace dell’ingresso e dell’uscita. A volte si usa dire che, mediante questa funzione, i sistemi
dinamici vengono descritti nel dominio delle Trasformate anche se, per ragioni che saranno chiarite
nelle lezioni successive, più spesso si parla di descrizione di un sistema nel dominio della frequenza. Si
consideri il sistema lineare stazionario

ẋ = Ax + Bu
y = Cx + Du

Utilizzando le proprietà della Trasformata di Laplace è possibile calcolare le Trasformate di Laplace


delle variabili in gioco, cioè ingresso, stato e uscita, e ottenere una rappresentazione del sistema nel
dominio delle trasformate. In particolare, l’equazione di stato diventa

sX(s) − x(0) = AX(s) + BU (s)


(sI − A)X(s) = x(0) + BU (s)

Con semplici calcoli è possibile ottenere l’espressione della Trasformata di Laplace dello stato

X(s) = (sI − A)−1 x(0) + (sI − A)−1 BU (s)




Y (s) = CX(s) + DU (s)

Sostituendo X(s) nella Trasformata di Laplace, della trasformazione di uscita, si ottiene l’espressione
della Trasformata di Laplace dell’uscita del sistema, in seguito all’applicazione dell’ingresso U (s), e
per condizioni iniziali dello stato x(0)

Y (s) = C(sI − A)−1 x(0) + C(sI − A)−1 B + D U (s)


 
| {z } | {z }
Componente libera Componente forzata

In quest’espressione è possibile individuare la Trasformata di Laplace della componente libera del


movimento dell’uscita, e la Trasformata di Laplace della componente forzata del movimento dell’uscita.
Nel caso particolare in cui la condizione dello stato è nulla, cioè per x(0) = 0, la Trasformata di Laplace
dell’uscita si riduce a

Y (s) = C(sI − A)−1 B + D U (s)


 
| {z }
G(s) funzione di trasferimento

dove

C ∈ Rp×n (sI − A) ∈ Rn×n B ∈ Rn×m D ∈ Rp×m

14
13.1. MODULO 1: DEFINIZIONE 15

La matrice G(s) si dice funzione di trasferimento. Essa ha p righe ed m colonne, coerentemente con le
dimensioni delle matrici A, B, C, D
 
G11 (s) · · · G1m (s)
.. ..
. .
 
 
 
 Gi1 (s) · · · Gim (s) 
G(s) =  
.. ..
. .
 
 
Gp1 (s) · · · Gpm (s) p×m

La trasformata di Laplace dell’uscita è

m
X
Yi (s) = Gij (s)Uj (s) = Gi1 U1 (s) + Gi2 U2 (s) + . . .
j=1

Il generico elemento di g grande di esse, di posto ij, fornisce il rapporto tra la Trasformata di Laplace
della componente i-esima del vettore di uscita, e la Trasformata di Laplace della componente j-esima
del vettore di ingresso

quando x(0) = 0 Yi (s)


Gij (s) =
uk (t) = 0, k 6= j Uj (s)

Nel caso di sistemi SISO, cioè con p = n = 1, la funzione di trasferimento

G(s) = c(sI − A)−1 b + d

è scalare, e rappresenta il rapporto tra le Trasformate di Laplace dell’uscita e dell’ingresso del sistema,
sempre nelle ipotesi di condizioni iniziali dello stato nulle

Y (s)
G(s) = con x(0) = 0
U (s)

Per un sistema lineare stazionario, con un singolo ingresso e una singola uscita, si dà quindi la
rappresentazione grafica mostrata in figura

13.1.1 Rappresentazione di un sistema stazionario


La rappresentazione di un sistema lineare stazionario, mediante funzione di trasferimento, è una rap-
presentazione di tipo ingresso/uscita, cioè è una rappresentazione esterna del sistema, in contrasto con
la rappresentazione interna, espressa dalla forma in variabili di stato. Come abbiamo visto è possibile
passare dalla rappresentazione interna, data dalle matrici A, B, C, D a quella esterna, mediante il cal-
colo della funzione di trasferimento. Il problema del passaggio inverso, dalla rappresentazione esterna
a quella interna, è il problema della realizzazione, ma non verrà trattato se non tramite esempi ed
esercizi.
16 LEZIONE 13. FUNZIONE DI TRASFERIMENTO

13.1.2 Definizione alternativa di funzione di trasferimento


È possibile dare una definizione alternativa di funzione di trasferimento, sfruttando la relazione che
esiste tra la Trasformata di Laplace della risposta impulsiva di un sistema, e la funzione di trasferimento.
Consideriamo un sistema SISO, con funzioni di trasferimento G(s).
Supponiamo che, a partire da condizioni iniziali nulle, gli venga imposto l’ingresso
L
u(t) = imp(t) −−−−−−−−→ U (s) = 1

In questo caso si ha, quindi, che

Y (s) ≡ G(s)

cioè la funzione di trasferimento è la Trasformata di Laplace della risposta dell’impulso del sistema, a
partire da condizioni iniziali nulle

u(t) = imp(t) L−1 U (s) = 1


−−−−−−−−−−→
x(0) = 0 si ha quindi Y (s) = G(s)

13.2 Modulo 2: Struttura


È importante studiare, in dettaglio, la struttura della funzione di trasferimento di un sistema. Da essa
infatti è possibile dedurre alcune interessanti proprietà della funzione di trasferimento. Per fissare le
idee consideriamo il caso SISO

G(s) = c(sI − A)−1 b + d

Iniziamo con l’analizzare la struttura della matrice


 −1
s − a11 · · · − a12 · · · −a1n
..
.
 
−1
 −a21 s − a12 · · · 
(sI − A) =  
.. .. ..

. . .

 
−an1 ··· · · · s − ann n×n

Essa sarà una matrice quadrata, di dimensione n, la dimensione del vettore di stato, ed è data da
1
(sI − A)−1 = K(s)
det(sI − A)

che è una matrice quadrata di dimensioni n, costituita con complementi algebrici.


13.2. MODULO 2: STRUTTURA 17

• Il determinante di ϕ(s) = sI − A, altro non è se non il polinomio caratteristico, ed è quindi un


polinomio in esse di grado n.
• Gli elementi kij (s) della matrice K(s) dei complementi algebrici sono polinomi di grado stretta-
mente minore di n. Infatti i complementi algebrici sono ottenuti calcolando il determinante di
matrici quadrate, di dimensione n − 1.
Da ciò si deduce che gli elementi di (sI − A)−1 sono funzioni razionali di s, in quanto rapporti tra
polinomi. Moltiplicando la matrice (sI − A)−1 , a sinistra per il vettore riga c, e a destra per il vettore
colonna b, si ottiene una funzione razionale di esse, con numeratore M (s) dato da cK(s)b, che è un
polinomio di grado al più n − 1, e con denominatore ϕ(s), cioè il polinomio caratteristico, che è di
grado n

1 M (s)
c(sI − A)−1 b = · c K(s) b =
det(sI − A) (1×n)(n×n)(n×1) ϕ(s)
| {z }
M (s) polinomio
di grado < n

Resta infine da sommare il termine d, che fornisce

M (s) M (s) + dϕ(s) N (s)


G(s) = c(sI − A)−1 b + d = +d= =
ϕ(s) ϕ(s) ϕ(s)

cioè il rapporto di due polinomi in s, N (s) grande al numeratore, e il polinomio caratteristico ϕ(s)
al denominatore. Il polinomio N (s) al numeratore è un polinomio, in generale, di grado n. Nel caso
particolare, in cui d sia uguale a zero, si ha che N (s) è un polinomio di grado al più n − 1. Dall’analisi
condotta sulla struttura della G è possibile trarre le seguenti conclusioni. G(s) è una funzione razionale
di s, cioè è data dal rapporto di due polinomi

N (s)
G(s) =
D(s)

• D(s) = ϕ(s) = det(sI − A) −→ polinomio in s di grado n


• N (s) −→ polinomio in s di grado m ≤ n, m = n solo se d 6= 0
Queste ultime due note valgono salvo cancellazioni, che possono avvenire tra i polinomi N e D. In
caso di cancellazioni, tra numeratore e denominatore, di una funzione di trasferimento
• il polinomio D, sarà un fattore del polinomio caratteristico ϕ(s) di grado ν < n.
• Il polinomio N (s) avrà grado m ≤ ν che è il grado del polinomio al denominatore. Anche in
questo caso m = ν ⇐⇒ d 6= 0.
Il fatto che vi siano delle cancellazioni tra numeratore e denominatore in una funzione di trasferimento,
corrisponde alla presenza di parti nascoste del sistema, cioè di parti del sistema effettivamente pre-
senti nella rappresentazione interna, ma non visibili nella rappresentazione esterna. Capiremo questo
concetto mediante i seguenti due esempi.

Esempio 13.1
Si consideri il sistema lineare stazionario
    
1 0 0
ẋ = x+ u

 1 −1
 1
y= 1 1 x

18 LEZIONE 13. FUNZIONE DI TRASFERIMENTO

Calcolando la sua funzione di trasferimento


 −1  
  s−1 0 0
G(s) = 1 1 =
−1 s + 1 1
s−1 1
= ... = =
(s − 1)(s + 1) s+1

si osserva che avviene la cancellazione del fattore s − 1. Proviamo ora ad esplicitare le componenti
dell’equazione di stato.

ẋ1 = x1 
 x1 (0)=0 ẋ2 = −x2 + u 1
ẋ2 = x1 + x2 + u −−−−−→ x1 (t) = 0 ∀t ≥ 0 ⇒ ⇒ G(s) =
y = x 2 s+1
y = x1 + x2

Osserviamo che nel caso in cui la condizione iniziale della componente x1 sia nulla, x1 (t) è nulla per tutti i
t ≥ 0. Quindi possiamo eliminare la componente x1 , nella seconda equazione di stato e nella trasformazione
di uscita. Il sistema viene così ridotto. Si può dire quindi che la variabile di stato x1 corrisponde ad una
parte nascosta del sistema. Infatti la variabile x1 non influenza l’uscita, né direttamente, perché non è
presente nella trasformazione di uscita, né indirettamente, perché non influenza neanche la dinamica della
variabile di stato x2 , che invece, nella trasformazione di uscita, è presente.

Il secondo esempio è del tutto analogo al precedente, e mostra solo una qualità diversa di parte nascosta
di un sistema.

Esempio 13.2
Si consideri il sistema lineare stazionario
    
1 1 1
ẋ = x+ u

 0 −1
 1
y= 0 1 x

Anche in questo caso, calcolando la sua funzione di trasferimento G(s), si osserva la cancellazione del fattore
s−1
s−1
G(s) = · · · = =
(s − 1)(s + 1)
1
=
s+1
Esplicitando le componenti delle equazioni di stato

 ẋ1 = x1 + x2 + u 1
ẋ2 = −x2 + u ⇒ G(s) =
s+1
y = x2

si può osservare che, la variabile di stato x1 non influenza mai, né direttamente né indirettamente, l’uscita
del sistema, che si può ridurre alla sola componente x2 .

13.3 Modulo 3: Rappresentazioni


Data una funzione di trasferimento G, rapporto di polinomi N (s) al numeratore, e D(s) al denominatore

N (s)
G(s) =
D(s)

si definiscono
Poli di G la radici di D(s) = 0
Zeri di G la radici di N (s) = 0
Nel piano complesso i poli si indicano con delle crocette, gli zeri con dei cerchietti
13.3. MODULO 3: RAPPRESENTAZIONI 19

• I poli sono autovalori della matrice A

• Un autovalore può non essere un polo in caso ci siano cancellazioni nel calcolo della funzione di
trasferimento

• La stabilità del sistema dipende quindi dai poli

As. stabilità ⇔ Re{poli} < 0 salvo cancellazioni

In particolare condizione necessarie e sufficiente perché il sistema lineare stazionario, descritto


dalla funzione di trasferimento G(s), sia asintoticamente stabile, è che i suoi poli abbiano parte
reale negativa. Ovviamente questo vale salvo cancellazioni.

• Il numero degli zeri di una funzione di trasferimento è sempre inferiore od uguale al numero dei
poli.

Vediamo ora tre diversi modi di rappresentare una medesima funzione di trasferimento G(s).

1. La prima rappresentazione è data mediante i coefficienti βi ed αi , dei polinomi al numeratore e


al denominatore

βm sm + · · · + β1 s + β0
G(s) =
αm sn + · · · + α1 s + α0

2. Nella seconda rappresentazione vengono esplicitati poli e zeri della funzione di trasferimento.
Q
(s + z1 ) (s + z2 ) · · · (s + zm ) (s + zi )
G(s) = ρ =ρ i
Q pi poli , zi zeri
(s + p1 ) (s + p2 ) · · · (s + pn ) i (s + pi )

La costante moltiplicativa ρ si chiama costante di trasferimento.

3. Nella terza rappresentazione vengono esplicitati i parametri Ti e τi , che prendono il nome di


costanti di tempo
Q
µ i (1 + sTi )
G(s) =
sg i (1 + sτi )
Q

Vengono inoltre raccolti, anche i poli o zeri nell’origine, nel termine 1/sg , g è un intero che prende
il nome di tipo. La costante moltiplicativa µ si chiama guadagno della funzione di trasferimento.
20 LEZIONE 13. FUNZIONE DI TRASFERIMENTO

Si osservi che la terza rappresentazione è facilmente ricavabile dalla seconda. Consideriamo infatti la
seconda rappresentazione
!
Q s
i zi +1
Q
(s + z i ) ρ zi
G(s) = ρ Qi = g !=
i (s + pi ) s Q s
i pi +1
pi
!
Q s
i 1+
1
Q
z i
zi Q
µ i (1 + sTi )
i
= g ρQ ! = gQ
s i pi Q s s i (1 + sτi )
| {z }
i 1+
µ pi

Si ha inoltre che
1 1
= Ti = τi ∀i
zi pi
Il valore dell’esponente g è dato da

g = ( numero poli in s = 0) − ( numero zeri in s = 0)

Quindi g > 0 significa che ci sono dei poli nell’origine. Quando g < 0ci sono degli zeri nell’origine. Se
g = 0, non ci sono singolarità nell’origine.
Che relazione c’è tra il guadagno della funzione di trasferimento, ed il guadagno statico di un sistema
lineare stazionario?
• Se g = 0

µ = G(0) = −cA−1 b + d =
= guadagno statico ȳ/ū

• Se g 6= 0

µ = lim sg G(s)
s→0
= guadagno “generalizzato”

Nel seguente schema è mostrata la relazione tra il guadagno statico, ed il guadagno della funzione di
trasferimento, nei diversi casi in cui g è uguale, minore o maggiore di zero

guadagno statico ȳ/ū guadagno µ


g=0 −cA−1 b + d = G(0) = µ µ = G(0)
g<0 −cA−1 b + d = G(0) = 0 µ = lims→0 sg G(s)
g>0 non definito µ = lims→0 sg G(s)
Nel primo caso come visto, il guadagno statico coincide con il guadagno della funzione di trasferimento.
Nel caso g < 0, cioè la funzione di trasferimento ha degli zeri nell’origine, allora il guadagno statico G(0)
è nullo, invece è possibile definire comunque il guadagno generalizzato µ. Nel caso in cui, g > 0, cioè
la funzione di trasferimento ha dei poli nell’origine, il guadagno statico non è definito, e analogamente
a prima, si può continuare a definire il guadagno generalizzato.
Lezione 14

Schemi a Blocchi

14.1 Modulo 1: Esempio motivante


Nello studio dei Sistemi Dinamici, Lineari e Stazionari, costituiti da più sottosistemi, collegati tra loro, è
conveniente l’uso di una rappresentazione grafica, basata su schemi a blocchi. Questa rappresentazione
mette in luce, con chiarezza, le interazioni tra i diversi sottosistemi, e rende agevole il calcolo della
funzione di trasferimento, tra una data variabile d’ingresso e una data variabile di uscita.
Gli elementi base di uno schema blocchi sono
blocco Rappresentato da un rettangolo al cui interno è indicata una funzione di trasferimento. Esso
rappresenta un sistema dinamico, lineare e stazionario, con ingresso la variabile indicata sul-
la freccia entrante nel blocco e, come uscita, la variabile sulla freccia uscente, e funzione di
trasferimento quella indicata all’interno del blocco
u y
G(s) Y (s) = G(s)U (s)

nodo sommatore Il nodo sommatore è rappresentato da un cerchio, con una freccia uscente, e più
frecce entranti, ognuna delle quali è caratterizzata da un segno. Esso indica che la variabile,
associata alla freccia uscente, è la somma algebrica, secondo quanto specificato dai segni, delle
variabili associate alle frecce entranti.
u + y
Y (s) = U (s) + V (s)
+

punto di diramazione Il punto di diramazione si usa per descrivere la situazione in cui due o più
variabili, uscenti dal punto, sono la replica dell’unica variabile a monte.
u y
Y (s) = V (s) = U (s)
v

Per comprendere come costruire uno schema a blocchi, consideriamo il seguente esempio

Esempio 14.1
In esso vediamo due serbatoi, con area di base A1 e A2 rispettivamente. In essi il livello del liquido è
indicato dalle variabile h1 ed h2 . Il primo serbatoio è alimentato da una portata q1 , regolata mediante
l’apertura v1 uno della valvola di alimentazione. Il secondo serbatoio è alimentato da una portata q2 ,
proporzionale al livello h1 del primo serbatoio. La portata in uscita è w , regolata dall’apertura v2 della

21
22 LEZIONE 14. SCHEMI A BLOCCHI

valvola di uscita.

Un controllore agisce sull’apertura v1 della valvola di alimentazione, sulla base di una misura precisa, del
livello h2 nel secondo serbatoio, e il valore di riferimento h02 per tale livello. Vediamo la rappresentazione,
in termini di schemi a blocchi, della valvola di alimentazione e del primo serbatoio.

valvola 1 La portata q1 in ingresso al serbatoio 1, è proporzionale, con un coefficiente α, all’apertura


v1 della valvola di alimentazione. La rappresentazione della valvola è quindi un blocco, con ingresso v1 e
uscita q1 , e funzione di trasferimento costante ed uguale ad α
v1 q1
q1 = αv1 α

serbatoio 1 Nel serbatoio 1 la variazione di volume, A1 ḣ1 , è uguale alla differenza tra la portata entrante
q1 e la portata uscente kh1 .

k
G1 (s) =
A1 s + k

A1 ḣ1 (t) = q1 (t) − kh1 (t)
q2 (t) = kh1 (t)
q1 q2
G1 (s)

serbatoio 2 Vediamo la rappresentazione, in termini di schemi a blocchi, del secondo serbatoio e della
valvola di uscita. Nel serbatoio due la variazione di volume A2 ḣ2 è uguale alla differenza tra la portata
entrante nel serbatoio, q2 , e la portata uscente dal serbatoio, w.
q2

A2 ḣ2 (t) = q2 (t) − w(t)


+ h2
1
H2 (s) = (Q2 (s) − W (s)) G2 (s)
A2 s −
|{z}
G2 (s)
w

valvola 2 La schematizzazione della seconda valvola è del tutto analoga a quella della prima. La portata
w in uscita è proporzionale, con un coefficiente γ, all’apertura v2 della valvola.
v2 w
w(t) = γv2 (t) γ

controllore proporzionale Il controllore usato in questo esempio è di tipo proporzionale. Il control-


lore decide il valore dell’azione di controllo v1 sulla base della differenza tra l’andamento desiderato h02 e la
misura h2 del livello nel secondo serbatoio. La differenza h02 − h2 viene indicata con e, che si dice errore.
14.2. MODULO 2: REGOLE DI ELABORAZIONE 23

Questo controllore modifica il valore di v1 al tempo t, proporzionalmente al valore dell’errore e al tempo t,


e da qui deriva il suo nome. La sua rappresentazione, in termini di schemi a blocchi, è data mediante un
nodo sommatore ed un blocco.
+ e v1
h02 µ
v1 (t) = µ (h02 (t) − h2 (t)) −
| {z }
e(t)
h2

Il nodo sommatore effettua il confronto tra il livello desiderato h02 e il livello misurato h2 , generando l’errore
e. Il blocco ha ingresso e ed uscita v1 , con funzione di trasferimento costante ed uguale a µ. Realizza così
la proporzionalità tra il comando v1 uno della valvola e l’errore e.
Collegando ingressi ed uscite dei sottosistemi, descritti precedentemente, si ottiene lo schema a blocchi
complessivo che è mostrato in figura.
v2

+ e v1 q1 q2 − w h2
h02 µ α G1 (s) G2 (s)
− +

h2

Esso ha due ingressi, il riferimento h02 e l’apertura della valvola v2 , ed un’uscita, il livello nel secondo
serbatoio h2 . Si osservi che questo sistema è un sistema di controllo retroazionato, il cui scopo è che la
variabile sotto controllo, il livello h2 nel secondo serbatoio, insegua la variabile di riferimento h02 . Sul sistema
agisce il disturbo, dato dalla portata in uscita w, dipendente dall’apertura v2 della valvola in uscita. Ci
può quindi interessare, per esempio, saper calcolare la funzione di trasferimento tra il riferimento e l’uscita,
ed anche tra il disturbo e l’uscita o tra il disturbo e l’errore. A tale scopo è necessario conoscere la regola
di elaborazione degli schemi a blocchi, che ci consentiranno di calcolare queste funzioni di trasferimento.

14.2 Modulo 2: Regole di elaborazione


In questo modulo consideriamo le regole di elaborazione per tre configurazioni fondamentali di schemi
a blocchi. Queste sono
• blocchi in serie
• in parallelo
• in retroazione
Lo scopo è trovare la funzione di trasferimento complessiva, a partire dalle funzioni di trasferimento
dei singoli blocchi.

Blocchi in serie Due blocchi sono in serie, o in cascata, quando l’uscita del primo è l’ingresso del
secondo.

u1 y1 = u2 y2
G1 (s) G2 (s)

Se G1 (s) è la funzione di trasferimento del primo blocco, e G2 (s) è la funzione di trasferimento del
secondo blocco, è semplice calcolare la funzione di trasferimento complessiva, dall’ingresso u uno del
primo blocco, che coincide con l’ingresso del sistema complessivo, all’uscita y2 del secondo blocco, che
24 LEZIONE 14. SCHEMI A BLOCCHI

coincide con l’uscita del sistema complessivo.

Y2 (s) = G2 (s)U2 (s) =


Y2 (s)
= G2 (s)Y1 (s) = ⇒ = G2 (s)G1 (s) = G(s)
U2 (s)
= G2 (s)G1 (s)U1 (s)

Blocchi in parallelo Due blocchi sono in parallelo se hanno lo stesso ingresso e, per uscita, la somma
delle uscite.

y1
G1 (s)
u + y
+
G2 (s)
y2

Anche in questo caso, è semplice calcolare la funzione di trasferimentocomplessiva dall’ingresso u,


comune per i due sottosistemi, el’uscita y, data dalla somma delle due uscite dei sottosistemi

Y (s) = Y1 (s) + Y2 (s) =


Y (s)
= G1 (s)U (s) + G2 (s)U (s) ⇒ = G1 (s) + G2 (s) = G(s)
U (s)
= (G1 (s) + G2 (s)) U (s)

Blocchi in retroazione Due blocchi, con funzioni di trasferimento G1 (s) e G2 (s),connessi come in
questa figura, si dicono in retroazione, ecostituiscono un sistema in anello chiuso, o retroazionato

u + y
G1 (s)

y2 G2 (s)

Se sul nodo sommatore compare il segno −, si parla di retroazionenegativa, se compare il segno + si


parla di retroazione positiva. Lafunzione di trasferimento complessiva, dall’ingresso u all’uscitay, si
ricava con semplici calcoli.

Y (s) = G1 (s) [U (s) ∓ G2 (s)Y (s)]


[1 ± G1 (s)G2 (s)] Y (s) = G1 (s)U (s)
Y (s) G1 (s)
= G(s) =
U (s) 1 ± G1 (s)G2 (s)

È possibile dare una semplice regola per il calcolo della funzione ditrasferimento di un sistema retroa-
zionato. Essa è data dal rapporto trala funzione di trasferimento, cosiddetta in andata, e uno più o
meno lafunzione di trasferimento cosiddetta d’anello.
FDT in “andata”
G(s) =
1 ± FDT “d’anello”
dove
• La funzione di trasferimento in andata è il prodotto delle funzioni di trasferimento, dall’ingresso
all’uscita, in anello aperto, cioè interrompendo l’anello di retroazione.
14.3. MODULO 3: STABILITÀ DEI SISTEMI INTERCONNESSI 25

• La funzione di trasferimento d’anello è il prodotto delle funzioni di trasferimento che si trovano


lungo l’anello.
Nel caso in figura abbiamo che la funzione di trasferimento in andata èG1 (s), la funzione di trasferi-
mento ad anello è il prodotto G1 (sG2 (s).
Sfruttando le regole di elaborazione appena date, è possibile calcolarele funzioni di trasferimento che
ci interessavano per l’esempio deldoppio serbatoio.
v2

+ e v1 q1 q2 − w h2
h02 µ α G1 (s) G2 (s)
− +
h2

Per esempio la funzione di trasferimento, tra la variabile diriferimento h02 e l’uscita h2 , è data da
H2 (s) µαG1 (s)G2 (s)
0 = = F1 (s)
H2 (s) 1 + µαG1 (s)G2 (s)
Analogamente la funzione di trasferimento, tra il disturbo v2 el’uscita h2 , è data da
H2 (s) −γG2 (s)
= = F2 (s)
V2 (s) 1 + µαG1 (s)G2 (s)
Si osservi che il sistema complessivo, con ingressi h02 e v2 , eduscita h2 , può essere rappresentato dal
semplice schema blocchi infigura, coerentemente con il principio di sovrapposizione degli effetti.

h02
F1 (s)
+ h2
+
v2
F2 (s)

14.3 Modulo 3: Stabilità dei sistemi interconnessi


In questo modulo affrontiamo il problema di valutare la stabilità di un sistema, costituito da blocchi
interconnessi, a partire dalla stabilità dei singoli sottosistemi.

Blocchi in serie Consideriamo il caso di due blocchi in serie, con funzione di trasferimento G1 (s) e
G2 (s), rispettivamente
u1 y2
G1 (s) G2 (s)

con
N1 (s) N2 (s)
G1 (s) = , G2 (s) =
D1 (s) D2 (s)
La funzione di trasferimento complessiva, è quindi
N1 (s)N2 (s)
G(s) =
D1 (s)D2 (s)
26 LEZIONE 14. SCHEMI A BLOCCHI

Si hanno allora i seguenti casi


1. Nel caso in cui non ci siano cancellazioni fra numeratore e denominatore, di G(s), si ha che
l’insieme dei poli di G(s), è dato dall’unione dei due insiemi dei poli di G1 e G2 , cioè i poli dei
sistemi complessivo, sono dati dall’unione dei poli dei due sotto sistemi in serie

poli di poli di poli di


     
= ∪
G(s) G1 (s) G2 (s)

Quindi la funzione di trasferimento G(s) è asintoticamente stabile se e solo se lo sono le funzioni


di trasferimento G1 (s) e G2 (s) dei due sottosistemi.

asintot. asintot.
G(s) ⇔ G1 (s), G2 (s)
stabile stabili

2. Se avvengono cancellazioni tra numeratore e denominatore di G(s), bisogna distinguere due casi.
• Se la cancellazione è tra polo e zero, con < < 0, allora le proprietà di stabilità del sistema
complessivo non vengono alterate. Infatti la cancellazione corrisponde ad una parte nascosta
asintoticamente stabile, presente nel sistema complessivo.
• Se invece la cancellazione riguarda singolarità, con < ≥ 0, allora nel sistema complessivo
c’è una parte nascosta, non asintoticamente stabile. Il sistema complessivo non è asintoti-
camente stabile, quindi, anche se la funzione di trasferimento G(s), non lo mostra, perché
la parte non asintoticamente stabile è stata cancellata.

Blocchi in parallelo Consideriamo il caso di due blocchi in parallelo, con funzione di trasferimento
G1 (a) e G2 (s), rispettivamente.
y1
G1 (s)
u + y
+
G2 (s)
y2

Anche in questo caso siano

N1 (s) N2 (s)
G1 (s) = , G2 (s) =
D1 (s) D2 (s)

La funzione di trasferimento complessiva, è quindi

G(s) = G1 (s) + G2 (s) =


N1 (s) N2 (s)
= + =
D1 (s) D2 (s)
N1 (s)D2 (s) + N2 (s)D1 (s)
=
D1 (s)D2 (s)

Analogamente al caso dei blocchi in serie


1. Nel caso in cui non ci siano cancellazioni fra numeratore e denominatore di G(s), si ha che
l’insieme dei poli di G(s) è dato dall’unione, dei due insieme dei poli di G1 (s) e G2 (s), cioè i poli
del sistema complessivo sono dati dall’unione dei poli, dei due sottosistemi in parallelo.

poli di poli di poli di


     
= ∪
G(s) G1 (s) G2 (s)
14.3. MODULO 3: STABILITÀ DEI SISTEMI INTERCONNESSI 27

Quindi la funzione di trasferimento complessiva g è asintoticamente stabile, se e solo se lo sono


funzioni di trasferimento G1 (s) e G2 (s) dei due sottosistemi

asintot. asintot.
G(s) ⇔ G1 (s), G2 (s)
stabile stabili

2. Se avvengono cancellazioni tra numeratore e denominatore di g valgono le medesime considera-


zioni fatte per il caso dei blocchi in serie.

Esempio 14.2
Vediamo un esempio di due blocchi in parallelo. I due sottosistemi sono instabili e quindi, per quanto detto
prima, ci aspettiamo che anche il sistema complessivo sia instabile.

s
s−1
u + y
±
1
s−1

Consideriamo il caso in cui sul nodo sommatore delle uscite dei due sottosistemi, ci siano due segni +.
Allora la funzione di trasferimento complessiva è
s+1
G(s) =
s−1
Tale funzione di trasferimento è instabile, come ci aspettavamo.
Nel caso in cui sul nodo sommatore ci sia un segno ed un segno −, si ha una cancellazione polo-zero, con
parte reale positiva

G(s) = 1

La cancellazione corrisponde ad una parte nascosta instabile. Il sistema complessivo è quindi instabile,
anche se la G(s) non lo mostra.

Blocchi in retroazione Consideriamo ora il caso di due blocchi in retroazione, con funzione di
trasferimento di G1 (s) e G2 (s) rispettivamente

u + y
G1 (s)

y2 G2 (s)

Siano inoltre

N1 (s) N2 (s)
G1 (s) = , G2 (s) =
D1 (s) D2 (s)

La funzione di trasferimento complessiva, è data da

N1 (s)
G1 (s) D1 (s) N1 (s)D2 (s)
G(s) = = =
1 + G1 (s)G2 (s) N1 (s)N2 (s) D1 (s)D 2 (s) + N1 (s)N2 (s)
1+
D1 (s)D2 (s)
28 LEZIONE 14. SCHEMI A BLOCCHI

I poli di G(s), sono quindi le radici dell’equazione

poli di radici di
   
=
G(s) D1 D2 + N1 N2 = 0

In generale, tale radici non hanno nulla a che vedere, con i poli dei due sottosistemi G1 (s) e G2 (s),
quindi non è possibile concludere nulla, sulla stabilità del sistema complessivo retroazionato, sulla base
della stabilità dei due sottosistemi con funzioni di trasferimento G1 (s) e G2 .
Per meglio capire, che non c’è nessuna relazione tra la stabilità dei sottosistemi, e la stabilità del
sistema retroazionato, consideriamo due esempi.

Esempio 14.3
Nel primo esempio, abbiamo due sottosistemi, con funzioni di trasferimento G1 (s) e G2 (s)

u + y 9 3
G1 (s) G1 (s) = G2 (s) =
− (s + 1)2 s+1

G2 (s)

Sia G1 (s) che G2 (s), sono asintoticamente stabili. Calcolando la funzione di trasferimento complessiva
G(s), si può osservare, che essa ha due poli complessi coniugati

9(s + 1) 1 3 3
G(s) = ⇒ poli in − 4, ± j
(s + 1)2 + 27 2 2

Questi poli complessi coniugati, hanno parte reale positiva. Quindi il sistema complessivo retroazionato è
instabile, nonostante G1 (s) che G2 (s) fossero asintoticamente stabili.

Esempio 14.4
Nel secondo esempio, abbiamo un sistema retroazionato, con G2 (s) = 1

u + y 10
G1 (s) G1 (s) = instabile
− (s − 1)

Calcolando la funzione di trasferimento complessiva, dall’ingresso u all’uscita y


10
G(s) = ⇒ polo in −9
s+9
si può osservare che essa ha, un polo in s = −9, ed è quindi asintoticamente stabile. Quest’ultimo esempio
mostra come la retroazione abbia, da sola, il potere di stabilizzare un sistema instabile.
Lezione 15

Risposta allo scalino di sistemi LTI


Introduzione e sistemi del primo ordine

15.1 Modulo 1: Introduzione


In questa lezione esamineremo le caratteristiche della risposta allo scalino unitario di alcuni semplici
sistemi dinamici stazionari siso del primo e del secondo ordine. Quest’analisi è motivata da molteplici
ragioni.

1. Da un lato molto frequentemente i sistemi dinamici sono sollecitati con ingressi costanti.

2. In secondo luogo, lo scalino, a differenza per esempio dell’impulso, è un segnale molto semplice
da generare e nella pratica può essere imposto in ingresso ad un sistema, senza difficoltà.

3. Inoltre lo studio dei sistemi del primo e del secondo ordine è giustificato dal fatto che la loro
risposta è qualitativamente molto simile a quella di larghe classi di sistemi di ordine più elevato,
come vedremo più avanti, quando parleremo di approssimazione a poli dominanti.

4. Infine, in sistemi lineari asintoticamente stabili, la risposta allo scalino descrive la transizione da
un equilibrio all’altro.

Uno dei motivi fondamentali, che rendono interessante la risposta allo scalino unitario di un sistema
dinamico lineare stazionario, è il fatto di poter ricavare da essa la risposta da altri segnali canonici,
come l’impulso, la rampa ed altri.

In particolare, sappiamo che l’impulso è la derivata dello scalino unitario, mentre la rampa è il suo
integrale. Si può facilmente dimostrare, ricorrendo alla Trasformata di Laplace, che la risposta all’im-

29
30LEZIONE 15. RISPOSTA ALLO SCALINO DI SISTEMI LTIINTRODUZIONE E SISTEMI DEL PRIMO ORD

pulso è la derivata della risposta allo scalino, e la risposta alla rampa è l’integrale della risposta allo
scalino.

Per quantificare la risposta allo scalino unitario di sistemi dinamici asintoticamente stabili, faremo
riferimento ai seguenti parametri caratteristici, definiti per guadagno µ positivo, senza perdere di
generalità. Il significato dei parametri è indicato nella figura.

y, y(∞) è il valore dell’uscita transitorio esaurito, o valore di regime. Per quanto detto nelle lezioni
precedenti è pari a µ, oppure a zero, nel caso che il tipo della funzione di trasferimento, sia
negativo.
ta è il tempo di assestamento, che è il tempo necessario perché la differenza tra l’uscita ed il valore di
regime rimanga in modulo definitivamente al di sotto del valore ε, cioè compresa nell’intervallo

y(1 − ε) < y < y(1 + ε)

il valore di ipsilon usato più frequentemente, è ε = 0.01.


ts è il tempo di salita, cioè il tempo richiesto perché l’uscita passi, per la prima volta, dal 10% al 90%
del suo valore di regime.
15.2. MODULO 2: RISPOSTA ALLO SCALINO DI SISTEMI DEL 1° ORDINE 31

tr è il tempo di ritardo, cioè il tempo necessario perché l’uscita raggiunga, per la prima volta, il 50%
del suo valore di regime.
tp è il tempo di picco, o di massima di sovra elongazione. È il primo istante per cui l’uscita raggiunge
il suo valore massimo, o valore di picco, che si indica con yp .
A è detta massima sovra elongazione ed il suo valore è dato dalla differenza tra il valore massimo ed
il valore di regime dell’uscita
z}|{
A = yp − y

∆ è la massima sovra elongazione relativa, ed è data dal rapporto tra la massima sovra elongazione a
ed il valore di regime
A
∆=
y(∞)

T è il periodo delle oscillazioni, nel caso in cui la risposta allo scalino ne presenti.
B/A è il fattore di smorzamento ed è il rapporto tra la sovra elongazione B al secondo picco di
oscillazione e la massima sovra elongazione A che si ha al primo picco di oscillazione.

15.2 Modulo 2: Risposta allo scalino di sistemi del 1° ordine


Consideriamo per primi i Sistemi Dinamici Lineari Stazionari del primo ordine. In particolare, cal-
coleremo la risposta allo scalino unitario di un sistema strettamente proprio, quindi, con funzione di
trasferimento
µ
G(s) = strettamente proprio
1 + sτ
e di un sistema non strettamente proprio, quindi con funzione di trasferimento

µ(1 + sT )
G(s) = non strettamente proprio
1 + sτ
Supporremo, senza perdita di generalità, che il guadagno µ sia positivo. Inoltre la costante di tempo
τ è positiva cosicché il sistema sia asintoticamente stabile.

µ>0 τ > 0 ⇒ sistema asintoticamente stabile

Consideriamo il caso di un sistema strettamente proprio. L’uscita y(t) del sistema, in seguito ad un
ingresso a scalino unitario, è data da
   
−1 G(s) −1 µ
y(t) = L =L
s s(1 + sτ )
 
µ µτ
= L−1 − =
s 1 + sτ
 
= µ 1 − e−t/τ , t ≥ 0

Si osservi che
y(0+ ) = 0
y(∞) = µ

Nella figura è mostrato l’andamento qualitativo della risposta allo scalino unitario di un sistema del
primo ordine strettamente proprio.
32LEZIONE 15. RISPOSTA ALLO SCALINO DI SISTEMI LTIINTRODUZIONE E SISTEMI DEL PRIMO ORD

valutazione del tempo di assestamento ta

µ 1 − e−t/τ = 0.99µ


e−t/τ = 0.01 ⇒ t/τ = ln(100)


ta = τ ln(100) ∼
= 5τ
| {z }
∼4.6

In essa è indicato il tempo di assestamento ta . Il tempo di assestamento può essere facilmente valutato
calcolando l’intersezione, tra la risposta y(t) e la retta parallela all’asse del tempo alla quota 0.99µ.

Si può quindi dire che il tempo di assestamento è pari a circa cinque volte la costante di tempo τ del
sistema. Si può quindi stabilire una relazione qualitativa tra la posizione del polo reale del sistema,
nel piano complesso, e la velocità della risposta allo scalino. In particolare, tanto più il polo è vicino
all’asse immaginario, cioè tanto più elevata è la costante di tempo τ , tanto più lenta sarà la risposta
del sistema allo scalino unitario.

Consideriamo ora il secondo caso: un sistema non strettamente proprio. L’uscita y(t) del sistema, in
seguito ad un ingresso a scalino unitario, è data da
   
−1 G(s) −1 µ(1 + sT )
y(t) = L =L
s s(1 + sτ )
 
µ µ(T − τ )
= L−1 + =
s 1 + sτ
 
T − τ −t/τ
=µ 1+ e , t≥0
τ

Si osservi che y(0) è un valore non nullo. Il valore di regime coincide, anche in questo caso, con il
guadagno del sistema.

T
y 0+ = µ 6= 0

τ
y(∞) = µ

Al fine di capire meglio quale influenza ha la posizione dello zero sull’andamento qualitativo della
risposta allo scalino, poniamo T = ατ . La risposta allo scalino, si può quindi scrivere in funzione di
α, ed è
 
y(t) = µ 1 + (α − 1)e−t/τ

Vediamo ora come cambia l’andamento qualitativo della risposta allo scalino, al variare di α.
15.2. MODULO 2: RISPOSTA ALLO SCALINO DI SISTEMI DEL 1° ORDINE 33

α < 0 allora lo zero è nel semipiano destro del piano complesso, ed il valore iniziale della risposta allo
scalino è negativo.
0 < α < 1 allora lo zero è nel semipiano sinistro, a sinistra del polo. Il valore iniziale della risposta
allo scalino è positivo e non nullo, compreso tra zero e il guadagno µ del sistema.
α > 1 allora lo zero è nel semipiano sinistro, a destra del polo. Il valore iniziale della risposta allo
scalino è positivo, e non nullo, e maggiore del guadagno µ.
Il tempo di assestamento dipende, anche in questo caso, dal valore della costante di tempo associata
al polo, ed è quindi ta ∼
= 5τ .
Lezione 16

Riposta allo scalino di sistemi LTI


sistemi del secondo ordine

16.1 Modulo 1: Poli reali distinti


In questa Lezione parleremo della risposta allo scalino unitario di Sistemi Lineari Stazionari del Secondo
Ordine. Considereremo in particolare tre casi:

1. Sistemi con una coppia di poli reali distinti senza zeri

2. Sistemi con una coppia di poli reali distinti e con uno zero

3. Sistemi con una coppia di poli complessi coniugati senza zeri

La funzione di trasferimento di un sistema con una coppia di poli reali distinti è data da
µ
G(s) = , τ1 6= τ2
(1 + sτ1 ) (1 + sτ2 )

senza perdere di generalità supporremo che

τ1 > τ2 > 0 asint. stabile, µ > 0

L’uscita y(t) è data dall’Antitrasformata di G(s)/s, cioè, sfruttando la scomposizione di Heaviside, da


   
−1 G(s) −1 µ
y(t) = L =L =
s s (1 + sτ1 ) (1 + sτ2 )
µτ12 µτ22
 
−1 µ a b
=L − + a= b=
s 1 + sτ1 1 + sτ2 τ1 − τ2 τ1 − τ2
 
τ1 τ2
=µ 1− e−t/τ1 + e−t/τ2 , t ≥ 0
τ1 − τ2 τ1 − τ2

Infine si osservi che il valore di y(t) a regime è uguale al guadagno, come ci aspettavamo, e i valori per
t = 0 di y e di ẏ, la sua derivata prima, sono entrambi nulli. È invece positivo e non nullo il valore,
nell’origine, della derivata seconda della risposta allo scalino.
µ
y(∞) = µ > 0 y(0) = ẏ(0) = 0 ÿ(0) = >0
τ1 τ2

In figura è mostrato l’andamento qualitativo della risposta allo scalino unitario, di un sistema del
secondo ordine con poli reali e distinti, guadagno µ e senza zeri.

34
16.1. MODULO 1: POLI REALI DISTINTI 35

In generale, il tempo di assestamento ta è una funzione non semplice di τ1 e τ2 . Se però τ1  τ2 , allora


l’uscita y(t) si può approssimare con
 
= µ 1 − e−t/τ1 ⇒ ta ∼
ye(t) ∼ = 5τ1

che è la risposta di un sistema del primo ordine, con costante di tempo del polo pari a τ1 . Questa
approssimazione può essere fatta sempre. Infatti nella y(t) il termine relativo al polo lento, cioè quello
con costante di tempo τ1 , ha un coefficiente che è sempre maggiore del coefficiente del termine relativo
al polo τ2 . Ovviamente tale approssimazione sarà tanto migliore quanto più τ1 sarà maggiore di τ2 .
Consideriamo ora il caso di un sistema del secondo ordine con una coppia di poli reali distinti e con
uno zero. La sua funzione di trasferimento è
µ(1 + sT )
G(s) = τ1 6= τ2 6= T
(1 + sτ1 ) (1 + sτ2 )

τ1 e τ2 entrambi positivi, cosicché il sistema sia asintoticamente stabile. Senza perdere di generalità
supporremo, anche in questo caso, che τ1 sia maggiore di τ2 , e che il guadagno µ sia positivo

τ1 > τ2 , µ>0

L’uscita y(t) è data dall’Antitrasformata di G(s)/s. I calcoli possono essere svolti come esercizio.
L’espressione di y(t) che si ottiene, contiene due termini esponenziali, uno con costante di tempo τ1 ,
l’altro con costante di tempo τ2
   
−1 G(s) τ1 − T −t/τ1 τ2 − T −t/τ2
y(t) = L = ··· = µ 1 − e + e ,t ≥ 0
s τ1 − τ2 τ1 − τ2

Si noti che i due coefficienti dipendono dalla posizione dello zero. Il valore di y(t) a regime è uguale
al valore del guadagno µ, come ci aspettavamo. Il valore di y(t) per t = 0 è nullo, mentre la derivata
prima, ẏ(t), è diversa da zero

G(s) µT
y(∞) = µ y(0) = 0 ẏ(0) = lim s2 =
s→∞ s τ1 τ2

In particolare il suo valore è positivo se T è positivo, cioè se lo zero giace nel semipiano sinistro del
piano complesso. Il suo valore è negativo se T è minore di zero, cioè se lo zero giace nel semipiano
destro del piano complesso.

ẏ(0) > 0 se T > 0 ẏ(0) < 0 se T < 0

Nella figura è mostrato l’andamento qualitativo della risposta allo scalino, per un sistema del secondo
ordine con poli reali distinti e con uno zero.
36LEZIONE 16. RIPOSTA ALLO SCALINO DI SISTEMI LTISISTEMI DEL SECONDO ORDINE

Si noti che l’andamento cambia notevolmente, a seconda della posizione dello zero. In particolare
1. se lo zero è negativo, cioè T > 0, l’andamento può mostrare una sovraelongazione. Comunque la
risposta allo scalino assume valori positivi immediatamente dopo lo zero, in quanto ha derivata
prima nell’origine positiva
2. se lo zero è positivo, cioè t grande è negativo, la derivata nell’origine è negativa, e la risposta
mostra una sotto elongazione.

16.2 Modulo 2: Poli complessi coniugati


Consideriamo ora il caso di un Sistema del Secondo Ordine con poli complessi coniugati. La funzione
di trasferimento G(s) è
ρ ρ
G(s) = µ = G(0) = ρ>0
(s + σ + jω)(s + σ − jω) σ2 + ω2
e i poli sono in −σ ± jω. Si supporrà che σ > 0 cosicché il sistema è asintoticamente stabile. Inoltre,
senza perdere di generalità, supporremo che ρ > 0.
La Trasformata di Laplace dell’uscita è data dalla somma di due termini,
G(s) α βs + γ
Y (s) = = + 2
s s s + 2σs + σ 2 + ω 2
Risolvendo, si ottiene che
ρ
α= = µ β = −µ γ = −2σµ
σ2 + ω2
Quindi la Trasformata di Laplace dell’uscita si può ulteriormente decomporre come
   
1 s+σ+σ 1 s+σ σ ω
Y (s) = µ − =µ − −
s (s + σ)2 + ω 2 s (s + σ)2 + ω 2 ω (s + σ)2 + ω 2

A questo punto è facile riconoscere che l’espressione della risposta allo scalino y(t) è data da
h σ i
y(t) = µ 1 − e−σt cos(ωt) − e−σt sen(ωt) , t ≥ 0 oscillazioni smorzate
ω
L’andamento qualitativo di y(t) presenterà quindi oscillazioni smorzate, almeno per alcuni valori di σ
ed ω.
È possibile dare una diversa parametrizzazione della funzione di trasferimento di un sistema del secondo
ordine con poli complessi coniugati, mediante l’introduzione di due parametri, la Pulsazione naturale
e lo Smorzamento.
16.2. MODULO 2: POLI COMPLESSI CONIUGATI 37

Pulsazione Naturale
p
ωn = σ 2 + ω 2

Smorzamento
ξ = cos α
0≤ξ≤1

Si osservi che

σ = ωn ξp
ω = ωn 1 − ξ 2
Utilizzando ωn e ξ al posto di σ e ω, si ha che G(s) si può scrivere come
ρ ρ ρ
G(s) = 2 2
= 2 2 2 = 2
(s + σ) + ω 2σs + σ + ω
s + |{z} s + 2ξωn s + ωn2
| {z }
2ξωn 2
ωn

Ora daremo i parametri caratteristici della risposta allo scalino di un sistema del secondo ordine,
caratterizzato da una coppia di poli complessi coniugati, con parte reale σ, e parte immaginaria ω
oppure, se preferiamo, caratterizzate da uno smorzamento ξ e da una pulsazione naturale ωn .
• Il tempo di assestamento ta dipende dalla parte reale dei poli, ed è dato da
5 5
ta ∼
= =
σ ξωn

• Il periodo delle oscillazioni T dipende invece dalla parte immaginaria dei poli, ed è dato da
2π 2π
T = = p
ω ωn 1 − ξ 2

• Il tempo di picco è la metà del periodo delle oscillazioni


1 π
tp = T =
2 ω

• La massima sovra elongazione relativa dipende dal rapporto tra parte reale e parte immaginaria
dei poli, ovvero dipende solo dallo smorzamento, ed è data da

σπ ξπ
−p
A −
1 − ξ2
∆= =e ω =e
µ
e qui si vede bene che dipende solo dallo smorzamento.
• E’ quindi molto semplice valutare il valore di picco della risposta, che è dato da
ξπ
   
σπ −p

yp = µ 1 + e ω  = µ 
  
1 + e 1 − ξ2 

 
38LEZIONE 16. RIPOSTA ALLO SCALINO DI SISTEMI LTISISTEMI DEL SECONDO ORDINE

• Infine anche il fattore di smorzamento dipende solo dallo smorzamento dei poli

σπ 2ξπ
−p
B −
1 − ξ2
= ∆2 = e ω = e
A

Nella figura è mostrato l’andamento qualitativo della risposta allo scalino unitario di un sistema del
secondo ordine, con guadagno µ, e con una coppia di poli complessi coniugati, con parte reale σ e parte
immaginaria ω oppure, se preferiamo, con smorzamento ξ e pulsazione naturale ωn

Si osservi che il valore di regime di y(t) coincide con il guadagno mu, come ci aspettavamo. Sono state
anche indicate due esponenziali, con costante di tempo pari all’inverso della parte reale dei poli, sulla
base delle quali è facile intuire il perché della dipendenza del tempo di assestamento,dalla sola parte
reale dei poli.
È molto interessante considerare i due casi in cui lo smorzamento assume i valori limite di 0 ed 1.
ξ = 0 Nel caso di smorzamento nullo si ha che la funzione di trasferimento si riduce a
ρ
G(s) = poli immaginari: ±jωn
s2 + ωn2
La risposta allo scalino mostrerà quindi oscillazioni non smorzate, coerentemente con il valore
zero della parte reale dei poli.
ξ = 1 Nel caso di smorzamento unitario si ha che la funzione di trasferimento si riduce a
ρ
G(s) = poli reali coincidenti: −ωn
(s + ωn )2
Nella risposta allo scalino non ci saranno quindi oscillazioni, coerentemente con il valore nullo
della parte immaginaria dei poli.
La funzione di trasferimento di un sistema del secondo ordine, con due poli complessi coniugati, con
smorzamento ξ e pulsazione naturale ωn , guadagno µ, ed uno zero in −1/T , è data da
µ(1 + sT ) 1
G(s) = zero in −
2ξ s2 T
1+ s+ 2
ωn ωn
Si noti che, analogamente a quanto già visto nel caso di poli reali distinti, la derivata prima nell’origine
è non nulla

y(0) = 0 y(∞) = µ ẏ(0) = µT ωn2


16.3. MODULO 3: APPROSSIMAZIONE A POLI DOMINANTI 39

n particolare è
ẏ(0) > 0 se T > 0 (lo zero è negativo)
ẏ(0) < 0 se T < 0 (lo zero è positivo)

Anche in questo caso lo zero influenza la derivata iniziale di y(t). In particolare, se lo zero è positivo,
avremo una sotto elongazione nella risposta allo scalino.

16.3 Modulo 3: Approssimazione a poli dominanti


Affrontiamo ora il problema di calcolare la risposta allo scalino di sistemi di ordine superiore al secondo.
Si consideri un Sistema Dinamico Lineare e Stazionario, con funzione di trasferimento G(s), data da
(
µ m
Q
(1 + sT i ) Re (τi ) > 0
G(s) = g Qi=1n asint. stabile ⇔
s i=1 (1 + sτi ) g≤0

È possibile se desideriamo ottenere un’espressione esplicita dell’andamento dell’uscita, in risposta allo


scalino unitario, antitrasformando G(s)/s
G(s) L−1
Y (s) = −→ y(t)
s
È inoltre facile verificare, applicando il Teorema del Valore Iniziale, che, in generale, y(0) è nulla, se il
sistema è strettamente proprio, cioè se m < n. È invece diversa da zero se il sistema è non strettamente
proprio, cioè se G(s) ha m = n
(
G(s) 0 m < n sistema strettamente proprio
y 0+ = lim

=
s→∞ s 6= 0 m = n sistema non strettamente proprio

Analogamente, applicando il Teorema del Valore Finale, si ha che, in generale, il valore di regime
dell’uscita coincide con il guadagno, se il tipo g della funzione di trasferimento è nullo, è invece uguale
a zero se il tipo è negativo, cioè se ci sono zeri nell’origine nella funzione di trasferimento G(s)
(
G(s) µ g=0
y (∞) = lim =
s→0 s 0 g<0

Consideriamo ora, senza perdere di generalità, il caso di un sistema con n poli reali distinti, con costanti
di tempo

τ1 > τ2 > · · · > τn

Allora la Trasformata di Laplace dell’uscita si può scomporre nella somma di tanti termini, quanti sono
i poli di G(s)
G(s) α0 α1 α2 αn
Y (s) = = + + + ··· +
s s 1 + sτ1 1 + sτ2 1 + sτn
w
−1
 L
w
α1 −t/τ1 α2 −t/τ2 αn −t/τn
y(t) = α0 + e + e + ··· + e
τ1 τ2 τn
Ciascun termine ha Antitrasformata immediata, data un coefficiente opportuno, moltiplicato per
un’esponenziale con costante di tempo uguale a quella del relativo polo.
Chiamiamo Componente Dominante della Risposta quella relativa al polo con costante di tempo più
grande, cioè, quella relativa al polo con costante di tempo τ1 , il polo più lento, più eventuali componenti
costanti della risposta
α1 −t/τ1
ye(t) = α0 + e
τ1
40LEZIONE 16. RIPOSTA ALLO SCALINO DI SISTEMI LTISISTEMI DEL SECONDO ORDINE

Il polo relativo alla componente dominante della risposta, si dice Polo Dominante. Si può verificare
che, in generale, il tempo di assestamento del sistema complessivo, non è molto diverso da

ta ∼
= 5τ1

cioè il suo valore è determinato, essenzialmente, con buona approssimazione, dal valore della costante
di tempo relativa al polo dominante. In generale il polo dominante è il più vicino all’asse immaginario
fra i poli stabili.

Sulla base di questa osservazione è facile capire che nulla cambia nel ragionamento fatto precedentemen-
te, se i poli più vicino all’asse immaginario sono una coppia di poli complessi coniugati. In questo caso,
si parlerà di Poli Dominanti Complessi Coniugati. Si ricordi però che, nell’effettuare l’approssimazione
di Poli Dominanti, è necessario
1. preservare il guadagno del sistema originario, anche nell’approssimazione
2. sempre nell’approssimazione, tenere conto di eventuali zeri vicini all’asse immaginario
Lezione 17

Il concetto di risposta in frequenza

17.1 Modulo 1: Introduzione


L’analisi nel dominio della frequenza dei Sistemi Dinamici Stazionari è uno degli strumenti più im-
portanti per comprendere alcune loro fondamentali proprietà. L’analisi in frequenza di un sistema si
basa sullo studio della sua risposta ad un ingresso sinusoidale e che, come vedremo, grazie al Principio
di Sovrapposizione degli Effetti, può esser estesa ad una classe di segnali d’ingresso molto più ampia.
Infatti potremo considerare tutti i segnali per cui è possibile effettuare una scomposizione armonica,
cioè tutti quei segnali che possono essere visti come combinazione lineare di un numero finito, o infinito,
di componenti sinusoidali.
Consideriamo un sistema dinamico lineare stazionario, asintoticamente stabile, con funzioni di trasfe-
rimento G(s).

u(t) y(t)
G(s)

Vogliamo studiare la sua risposta ad un ingresso sinusoidale di pulsazione assegnata omega. Sia quindi
L Aω
u(t) = A sen(ωt) −−−−→ U (s) =
s2 + ω2
G(s) ha guadagno µ, tipo g e supponiamo, senza perdere di generalità, che abbia solo poli e zeri reali
Q
µ i (1 + sTi )
G(s) = g Q asintot. stabile
s i (1 + sτi )

Allora è semplice decomporre la Trasformata di Laplace dell’uscita ipsilon di esse nella somma dei con-
tributi relativi ai poli del sistema, e di un contributo relativo ai due poli immaginari della Trasformata
di Laplace dell’ingresso sinusoidale
Aω α1 α2 βs + γ
Y (s) = G(s) = + + ···+ 2
s2 +ω 2 1 + sτ1 1 + sτ2 s + ω2
| {z } | {z }
Y1 (s) Y2 (s)

Indichiamo con Y1 (s) il primo contributo e con Y2 (s) è il contributo dovuto all’ingresso. L’uscita y(t)
è quindi la somma delle antitrasformate

y1 (t) = L−1 (Y1 (s))


(
y(t) = y1 (t) + y2 (t)
y2 (t) = L−1 (Y2 (s))

Essendo il sistema asintoticamente stabile


t→∞
y1 (t) −−−→ 0

41
42 LEZIONE 17. IL CONCETTO DI RISPOSTA IN FREQUENZA

Infatti y1 (t) è una somma di esponenziali con esponente negativo. Quindi a regime, y(t) coincide, con
la sola componente y2 (t), il contributo dovuto all’ingresso sinusoidale

y(t) ∼
= y2 (t) per t → ∞

Ora calcoliamo esplicitamente y2 (t). È facile riconoscere, che la decomposizione ci ha fornito la somma
delle Trasformate di Laplace, di seno e coseno, con coefficienti rispettivamente β e γ/ω

βs + γ s γ ω
Y2 (s) = 2 2
=β 2 2
+
w s +ω s +ω ω s + ω2
2

 L−1
w
γ
y2 (t) = β cos(ωt) + sen(ωt) = . . . = B sen(ωt + ϕ)
ω
Si può inoltre verificare che
1p 2
B= γ + β 2ω2
ω  
βω
ϕ = arctg
γ

A questo punto occorre calcolare β e γ. Per farlo si può osservare che, dall’espressione iniziale della
Trasformata dell’uscita, risulta che

Aω βs + γ
Y (s) = G(s) = Y1 (s) + 2
s2 +ω 2 s + ω2

Per calcolare β e γ, moltiplichiamo ambo i membri per s2 + ω 2 , ottenendo quindi

G(s)Aω = s2 + ω 2 Y1 (s) + βs + γ


Questa uguaglianza vale per qualunque valore della variabile complessa s, e, in particolare, questa
identità sarà vera per s = jω. Quindi, valutando in jω questa identità, si ottiene

G(jω)Aω = jβω + γ

Questa è un’uguaglianza fra numeri complessi, quindi essa è equivalente a due relazioni in campo reale,
che si ottengono eguagliando rispettivamente il modulo e la fase di entrambi i membri. Ricordiamoci
che il modulo di un prodotto è pari al prodotto dei moduli, e ricordiamoci inoltre che A e ω sono
quantità intrinsecamente positive. Quindi, uguagliando i moduli in questa identità, si ha che
p
|G(jω)|Aω = |jβω + γ| = β 2 ω 2 + γ 2

Per quanto riguarda la fase occorre ricordare che l’argomento di un prodotto di numeri complessi, è
dato dalla somma degli argomenti, e che l’argomento di un numero reale positivo è zero. Quindi si
ottiene che la fase di G(jω)Aω, è uguale alla somma delle fasi dei fattori. Ora la fase A e la fase di ω
sono nulle, e quindi si ottiene che la fase di G(jω)Aω è solo la fase di G(jω)

](G(jω)Aω) =]G(jω) + ]A + ]ω =
 
βω
= ]G(jω) = ](jβω + γ) = arctg
γ

A regime, l’uscita y(t) sistema dinamico lineare stazionario, asintoticamente stabile, cui è stato imposto
un ingresso sinusoidale, di ampiezza A e pulsazione ω, è quindi anch’essa una sinusoide,
γ
y2 (t) = β cos(ωt) + sen(ωt) = . . . = B sen(ωt + ϕ)
ω
17.2. MODULO 2: ESTENSIONI DEL TEOREMA DELLA RISPOSTA IN FREQUENZA 43

con la medesima pulsazione ω, e con ampiezza pari all’ampiezza A dell’ingresso, moltiplicata per il
modulo del numero complesso G(jω), e sfasata rispetto alla sinusoide di ingresso, di un valore pari
all’argomento del numero complesso G(jω)
1p 2
B= γ + β 2 ω 2 = |G(jω)|A
ω  
βω
ϕ = arctg = ]G(jω)
γ

Quindi la risposta alla sinusoide di un sistema dinamico lineare stazionario, asintoticamente stabile,
è completamente caratterizzata dal modulo e dalla fase del numero complesso G(jω), dove ω è la
pulsazione dell’ingresso sinusoidale imposto al sistema. È ora possibile, enunciare il Teorema della
Risposta in Frequenza.

Teorema 17.1
Si consideri un sistema dinamico lineare stazionario, asintoticamente stabile, con funzione di
trasferimento G(s)

u(t) y(t)
G(s)

Si imponga al sistema l’ingresso

u(t) = A sen(ωt)

Allora, a transitorio esaurito, ovvero t > ta , l’uscita del sistema è

y(t) ∼
= B sen(ωt + ϕ)
B = |G(jω)|
ϕ = ]G(jω)

cioè è una sinusoide con la medesima pulsazione ω della sinusoide in ingresso, e con ampiezza
data modulo di G(jω) e sfasata rispetto all’ingresso di un angolo ϕ pari all’argomento del numero
complesso G(jω). Ciò indipendentemente dalle condizioni iniziali del sistema.

Abbiamo visto l’importanza del numero complesso G(jω) nel determinare le proprietà della risposta
ad un ingresso sinusoidale con pulsazione ω. E’ quindi molto utile definire la risposta in frequenza,
cioè G(jω), per tutti i valori di ω ≥ 0. Essa è una funzione complessa di variabile reale
G:R→C
ω −→ G(jω)

cioè ad ogni valore reale di ω associa un numero complesso G(jω). Usando la risposta in frequenza siamo
quindi in grado di caratterizzare la risposta di un sistema ad un ingresso sinusoidale con pulsazione
ω qualsiasi. Operativamente, la risposta in frequenza si ottiene dalla funzione di trasferimento G(s),
sostituendo jω ad s.

17.2 Modulo 2: Estensioni del teorema della risposta in frequenza


Vediamo ora alcune estensioni del Teorema della Risposta in Frequenza, ad ingressi diversi da ingressi
semplicemente sinusoidali. E’ noto che esistono importanti classi di segnali, che possono essere rappre-
sentati come combinazioni lineari di un insieme finito, o infinito, eventualmente anche non numerabile,
di componenti sinusoidali, dette Componenti Armoniche del Segnale.
Il principio di sovrapposizioni degli effetti, valido per i sistemi lineari, ci consente di estendere quanto
detto nel precedente modulo a segnali rappresentabili come somme di armoniche. Infatti in un sistema
44 LEZIONE 17. IL CONCETTO DI RISPOSTA IN FREQUENZA

lineare stazionario l’effetto di una singola armonica in ingresso può essere calcolato indipendentemente
dalla presenza delle altre componenti armoniche del segnale. Senza pretendere di essere formali e
rigorosi possiamo considerare tre casi di classi di segnali di ingresso, con più componenti armoniche,
di complessità crescente:
1. segnali u(t) multisinusoidali
2. segnali u(t) periodici qualsiasi
3. segnali u(t) generici rappresentabili mediante Integrale di Fourier.

Ingresso multisinusoidale Per ingresso multisinusoidale si intende un segnale u(t) rappresentabile


mediante una somma finita di sinusoidi
N
X
u(t) = ck sen (ωk t + γk )
k=1

E’ facile verificare che, per il Principio di Sovrapposizione degli Effetti, a transitorio esaurito l’uscita è
N
X
y(t) = ck |G (jωk )| sen (ωk t + γk + ]G (jωk ))
k=1

cioè l’uscita è ancora una somma di N sinusoidi, le cui ampiezze sono state moltiplicate per |G(jωk )|,
e che sono sfasate rispetto alle componenti in ingresso, di ]G(jωk ), il tutto coerentemente con quanto
previsto dal Teorema della Risposta in Frequenza, per ogni singola componente armonica dell’ingresso.

Ingresso periodico Consideriamo un generico ingresso periodico. Esso sarà sviluppabile in Serie
di Fourier ed è quindi rappresentabile mediante la somma di una infinità numerabile di componenti
sinusoidali, con pulsazioni multiple della pulsazione ω0 , detta Armonica Fondamentale

X
u(t) = c0 + ck sen (kω0 t + γk )
k=1

Le ampiezze sono date dai coefficienti ck dello sviluppo e ciascuna componente ha uno sfasamento γ : k.
Si noti la presenza del coefficiente c0 , relativo ad un’ideale componente sinusoidale a pulsazione nulla,
ovvero con periodo infinito. Spesso ad essa ci si riferisce chiamandola Componente Statica del Segnale.
A transitorio esaurito l’uscita è ancora la somma di una infinità numerabile di sinusoidi

X
y(t) = G(0) c0 + ck |G (jkω0 )| sen (kω0 t + γk + ]G (jω0 ))
| {z }
µ k=1

le cui ampiezze sono state moltiplicate per |G (jkω0 )| e che sono sfasate, rispetto alle componenti
armoniche in ingresso, di ]G (jω0 ), il tutto secondo quanto previsto dal Teorema della Risposta in
Frequenza per ciascuna singola componente armonica dell’ingresso. Si osservi che l’armonica pulsazione
nulla è anch’essa presente nell’uscita, moltiplicata per il guadagno statico del sistema.

Ingresso rappresentabile mediante integrale di Fourier Consideriamo ora un segnale rappre-


sentabile mediante Integrale di Fourier, cioè che si può scrivere come
Z ∞
u(t) = C(ω) sen(ωt + γ(ω)) dω
0

dove la funzione C(ω) si dice Spettro di Ampiezza e γ(ω) si dice Spettro di Fase. Questa classe di
segnali è molto ampia.
Un segnale di questo tipo può essere interpretato come una somma di una infinità non numerabile
di componenti armoniche. L’ampiezza di ciascuna armonica è data dalla funzione C(ω), e il suo
17.2. MODULO 2: ESTENSIONI DEL TEOREMA DELLA RISPOSTA IN FREQUENZA 45

sfasamento è dato dalla funzione γ(ω). A transitorio esaurito, anche l’uscita è rappresentata mediante
Integrale di Fourier, ma con differenti spettri di ampiezza e fase
Z ∞
y(t) = C(ω)|G(jω)| sen(ωt + γ(ω) + ]G(jω))dω
0 | {z } | {z }
C 0 (ω) γ 0 (ω)

In particolare, lo spettro di ampiezza dell’uscita è dato dal prodotto di quello dell’ingresso per il modulo
della risposta in frequenza del sistema. Lo spettro di fase dell’uscita è dato dalla somma di quello
dell’ingresso, più l’argomento della risposta in frequenza del sistema. Da qui si capisce l’importanza
della conoscenza della risposta in frequenza di un sistema dinamico lineare stazionario.
Mediante la risposta in frequenza è possibile sapere quale effetto ha il sistema su un dato segnale in
ingresso, quali componenti armoniche dell’ingresso amplificherà, e quali attenuerà, oppure quali sfaserà
in anticipo, o in ritardo, rispetto allo sfasamento dell’ingresso.
Lezione 18

Rappresentazione grafica della risposta in


frequenza

18.1 Modulo 1: Diagramma di Bode del modulo


In questa Lezione ci occupiamo delle rappresentazioni grafiche della risposta in frequenza. Essendo
la risposta in frequenza G(jω), di un sistema lineare stazionario, una funzione a valori complessi, è
possibile utilizzare uno dei due seguenti modi per rappresentarla graficamente.
1. Si può disegnare la curva G(jω) direttamente nel piano complesso, ottenendo il Diagramma
Polare della risposta in frequenza

G(jω), ω≥0

2. oppure è possibile disegnare separatamente il modulo e la fase della risposta in frequenza,


ottenendo così due diagrammi che rappresentano due funzioni reali:
(a) il Diagramma di Bode del modulo della risposta in frequenza

|G(jω)|, ω≥0

(b) il Diagramma di Bode della fase della risposta in frequenza

]G(jω), ω≥0

detti anche Diagrammi Cartesiani.

46
18.1. MODULO 1: DIAGRAMMA DI BODE DEL MODULO 47

Si osservi che, nel seguito, l’argomento di G(jω) verrà indicato con questo simbolo

]G(jω)

detto Fase di G(jω).

18.1.1 Diagramma di Bode del modulo


Cominciamo con il Diagramma di Bode del modulo della risposta in frequenza. Nel tracciamento
del diagramma si utilizza una scala logaritmica, in base dieci, per l’ascissa dove viene riportata la
pulsazione ω, in radianti al secondo.
Sulle ordinate si riporta in scala lineare il valore del modulo della risposta in frequenza, espresso in
decibel, o dB, cioè

|G(jω)|dB = 20 log10 |G(jω)|

Si osservi che, dal momento che si utilizza una scala logaritmica per la pulsazione ω, la distanza tra due
generiche pulsazioni ω1 e ω2 > ω1 , è data dalla differenza fra il logaritmo di ω2 ed il logaritmo di ω1 cioè,
in ultima istanza, dal rapporto tra ω2 ed ω1 , contrariamente a quanto accade nella rappresentazione
usuale lineare dove la distanza tra due punti dipende dalla differenza.

In particolare si chiama Decade un intervallo, sull’asse delle ascisse, tra due pulsazioni che sono tra
loro in un rapporto pari a dieci. Nella figura è mostrato il supporto grafico su cui si può disegnare il
Diagramma di Bode del modulo della risposta in frequenza.

In questo esempio, sull’asse delle ascisse, sono rappresentate quattro decadi, ciascuna iniziante in una
potenza del dieci. I valori intermedi, in una decade, sono dati dal prodotto di 2, 3, 4, 5 e così via, per
la potenza del dieci della decade cui sono riferiti. Per esempio nella decade che inizia in 101 , cioè in
dieci, i valori intermedi sono 2 · 101 , cioè 20, 3 · 101 cioè 30, 4 · 101 , cioè 40, e così via. L’asse delle
ordinate viene di solito segmentato in unità di 20 decibel.
48 LEZIONE 18. RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DELLA RISPOSTA IN FREQUENZA

Veniamo al tracciamento del Diagramma di Bode del modulo della risposta in frequenza. Consideriamo
una G(s), data da
Q
µ i (1 + sTi )
G(s) = g Q
s i (1 + sτi )

Il modulo della risposta in frequenza è dato da


Q
|µ| |1 + jωTi |
|G(jω)| = g
Qi
|jω| i |1 + jωτi |

Passando ai decibel si ottiene che il modulo della risposta in frequenza, espresso in decibel, è dato dalla
somma di quattro termini

|G(jω)|dB = 20 log|µ| A

−20 log|jω|g B

P
+ i 20 log|1 + jωTi | C reale, D complessi coniugati
X
− 20 log|1 + jωτi |
i

1. uno relativo al guadagno della funzione di trasferimento


2. uno relativo a poli o zeri nell’origine, cioè dipendente dal tipo g della funzione di trasferimento,
3. uno relativo agli zeri della funzione di trasferimento. Considereremo sia il caso in cui si hanno
zeri reali che il caso in cui si hanno zeri complessi coniugati.
4. L’ultimo termine è relativo ai poli della funzione di trasferimento, ed è formalmente analogo al
termine relativo agli zeri, cambiato di segno.
Ora vedremo come rappresentare ciascuno dei quattro termini. Il termine relativo al guadagno è
costante e non dipendente dalla pulsazione ω. Esso si rappresenta con una retta parallela all’asse delle
pulsazioni. In particolare, l’ordinata è in decibel, è positiva, negativa o nulla a seconda che |µ| > 1,
|µ| < 1 o |µ| = 1. In Figura sono visibili alcuni esempi per diversi valori del guadagno.

Per esempio quando il |µ| = 100, si ha una retta costante al valore 40dB. Quando |µ| = 0.01 si ha una
retta costante al valore −40dB. Si osservi come il diagramma sia indipendente dal segno del guadagno,
come ci si aspettava, dal momento che stiamo analizzando il modulo della risposta in frequenza.
18.1. MODULO 1: DIAGRAMMA DI BODE DEL MODULO 49

Consideriamo ora il termine relativo a poli e zeri nell’origine. Per le proprietà dei logaritmi si ha che

−20 log |jω|g = −20g log(ω)

Il diagramma è quindi una retta, in quanto sia la scala dell’asse delle pulsazioni, che la dipendenza da
ω sono logaritmiche. È quindi sufficiente conoscere un punto, e la pendenza di tale retta. Si osservi
che essa passa per il punto di ascissa ω = 1, e ordinata 0 dB, e la sua pendenza è −20g/decade. Per
convenzione si dice che la retta ha pendenza −1 quando la sua pendenza è -20dB/decade. Analogamente
che ha pendenza +1 quando la sua pendenza è +20dB/decade. Quindi se, per esempio, il tipo della
funzione di trasferimento fosse g = 2, cioè la funzione di trasferimento ha due poli nell’origine, allora
si dice che la retta ha pendenza −2, cioè -40bB/decade. In Figura sono mostrati alcuni esempi per
diversi valori del tipo g.

Consideriamo ora il termine relativo ad uno zero reale. Si ha che

p
20 log |1 + jωT | = 20 log 1 + ω2T 2 T reale

Tale funzione può essere rappresentata direttamente nella scala semilogaritmica adottata per la rap-
presentazione del Diagramma di Bode del modulo della risposta in frequenza. Si osservi però che

1 p
• ω2T 2  1 ⇒ ω  ⇒ 20 log 1 + ω 2 T 2 ∼
=0
|T |

1 p
• ω2T 2  1 ⇒ ω  ⇒ 20 log 1 + ω 2 T 2 ∼
= 20 log(ω|T |) = 20 log(ω) + 20 log(T )
|T |

Si è quindi ottenuta la seguente approssimazione:

1
• per ω inferiore alla pulsazione dello zero, cioè inferiore a , si traccia una semiretta sull’asse a
|T |
0 dB, cioè con pendenza 0, e ordinata nulla.

• per ω superiori alla pulsazione dello zero, si traccia una semiretta con pendenza +1, cioè più
venti dB/decade, passante per il punto di ascissa coincidente con la pulsazione dello zero, e di
ordinata 0 dB. Tale diagramma approssimato si dice Diagramma Asintotico del modulo della
risposta in frequenza.
50 LEZIONE 18. RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DELLA RISPOSTA IN FREQUENZA

1 1
L’aggettivo asintotico deriva dal fatto che, per ω  o ω  della pulsazione dello zero, il
|T | |T |
Diagramma Asintotico è tangente al Diagramma Esatto. Il massimo errore, utilizzando il Diagramma
Asintotico, viene commesso proprio in corrispondenza della pulsazione dello zero, ed è pari a circa 3 dB

1 ∼
errore in ω = = 3 dB
|T |

Si noti che se, avessimo avuto p zeri coincidenti in ω = |T1 | , allora la pendenza della semiretta del
Diagramma Asintotico, per ω  |T1 | , sarebbe stata pari a p, cioè a 20 p dB/decade. L’errore, in
corrispondenza di ω = |T1 | , cioè in corrispondenza dello zero, sarebbe stato di 3 p dB, cioè di 3 dB per
ciascuno zero coincidente.
Consideriamo ora la rappresentazione del Diagramma di Bode del modulo della risposta in frequenza
per una coppia di zeri complessi coniugati, cioè per un termine del tipo

20 log |1 + jωT | + 20 log |1 + jω T̄ | = . . . T complesso

Si ricordi che in una funzione di trasferimento si è soliti scrivere

ξ s2
(1 + sT )(1 + sT̄ ) = 1 + 2 s+ 2
ωn ωn

dove ξ è lo smorzamento e ωn è la pulsazione naturale della coppia di singolarità complesse coniugate.


Si ricordi inoltre che, se 0 < ξ ≤ 1, le singolarità sono nel semipiano sinistro.

• se 0 < ξ ≤ 1 ⇒ zeri nel semipiano complesso sinistro


• se − 1 ≤ ξ < 0 ⇒ zeri nel semipiano complesso destro

Quindi in questo caso, in cui stiamo considerando una coppia di zeri complessi coniugati, gli zeri sono
nel semipiano sinistro. Viceversa, se −1 ≤ ξ < 0, le singolarità si trovano nel semipiano destro. Con
18.1. MODULO 1: DIAGRAMMA DI BODE DEL MODULO 51

questi fatti in mente è possibile calcolare il modulo della risposta in frequenza di due zeri complessi
coniugati, ottenendo, dopo semplici calcoli, che esso è
s
ω 2 2 4ξ 2 ω 2

20 log |1 + jωT | + 20 log |1 + jω T̄ | = 20 log 1− 2 +
ωn ωn2

Si osservi che
• ω → 0 ⇒ |···| ∼
= 0 dB
s 2
ω2
 
ω
• ω → ∞ ⇒ |···| ∼
= 20 log = 40 log = 40 log(ω) − 40 log (ωn ) dB
ωn2 ωn
Quest’ultima è una retta con pendenza +2 e passante per il punto di ascissa ωn e ordinata 0 dB. Anche
in questo caso è quindi possibile tracciare un Diagramma Asintotico. Per ω inferiori alla pulsazione
naturale ωn della coppia di zeri complessi coniugati si traccia una semiretta sull’asse a 0 dB, cioè con
pendenza 0 e ordinata nulla. Per ω superiore alla pulsazione naturale ωn si traccia una semiretta con
pendenza +2, cioè più 40 dB/decade, passante per il punto di ascissa coincidente con la pulsazione
naturale ωn e di ordinata 0 dB.

Nella Figura sono mostrati i Diagrammi di Bode del modulo della risposta in frequenza per coppie di
zeri complessi coniugati, con la medesima pulsazione naturale ωn , e con diversi valori dello smorzamento
ξ. Come si vede per smorzamenti piccoli, inferiori a 0.5, l’errore che si commette, per pulsazioni vicine
alla pulsazione naturale ωn , utilizzando il Diagramma Asintotico prima descritto, può essere grande.
In particolare, si osservi che per |ξ| = 0, cioè nel caso di una coppia di zeri immaginari coniugati, il
diagramma reale mostra un asintoto verticale in ω = ωn , dove il valore del modulo diverge a −∞.
Si può facilmente verificare che l’errore commesso dal Diagramma Asintotico dipende dallo smorza-
mento ξ degli zeri complessi coniugati, ed è tanto maggiore quanto minore è lo smorzamento. Infatti
per
p
ω = ωn ⇒ |G(jω)| = 20 log 4ξ 2 = 20 log(2|ξ|)

In particolare
• se |ξ| = 1 ⇒ errore → 20 log(2) ∼
= 6 dB
• se ξ → 0 ⇒ errore → ∞
Nel modulo della risposta in frequenza, i termini relativi ad un polo reale, o ad una coppia di poli
complessi coniugati, sono formalmente analoghi a quelli relativi agli zeri: cambia solo il segno. È
quindi immediato disegnare il diagramma asintotico per un polo reale.
52 LEZIONE 18. RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DELLA RISPOSTA IN FREQUENZA

Per ω inferiori alla pulsazione naturale ωn del polo, si traccia una semiretta sull’asse 0 dB, cioè con
pendenza zero, e ordinata nulla. Per ω superiori alla pulsazione ωn del polo, si traccia una semiretta
con pendenza −1, cioè −20 db/decade, passante per il punto di ascissa coincidente con la pulsazione
ωn del polo, e di ordinata zero decibel. In questo caso, l’errore massimo che si compie utilizzando il
Diagramma Asintotico è nella pulsazione del polo, e vale −3 dB.

Analogamente, in questa Figura, sono mostrati i Diagrammi di Bode del modulo della risposta in
frequenza, per coppie di poli complessi coniugati, con la medesima pulsazione naturale ωn , e con
diversi valori dello smorzamento ξ

Come si vede, per smorzamenti piccoli, inferiori a 0.5, l’errore che si commette, per pulsazioni vicine
alla pulsazione naturale ωn , utilizzando il Diagramma Asintotico, può essere grande. Se si osservi che,
analogamente al caso degli zeri, quando il modulo dello smorzamento è nullo, cioè nel caso di una
coppia di poli immaginari coniugati, il diagramma reale mostra un asintoto verticale in ω = ωn , dove
il valore del modulo diverge a +∞.

Possiamo allora concludere che il Diagramma Asintotico di una qualsiasi risposta in frequenza, si ottiene
sommando i diagrammi asintotici, associati ai singoli contributi del tipo di quelli appena descritti.
Si intuisce però che il Diagramma Asintotico risultante sarà una spezzata, che può essere tracciata
direttamente, senza prima dover tracciare i diagrammi relativi a tutti i termini. In particolare, si può
osservare che, per pulsazioni piccole, inferiori alle pulsazioni relative a poli e zeri reali, non nulli o
complessi coniugati, gli unici fattori che determinano il Diagramma sono il guadagno e gli eventuali
poli o zeri nell’origine. Si può quindi affermare che
18.2. MODULO 2: DIAGRAMMA DI BODE DELLA FASE 53

1. il tratto iniziale del diagramma ha pendenza −g.


2. in ω = 1 esso, o il suo prolungamento, passa per il valore modulo di µ in dB.
3. All’aumentare della pulsazione la pendenza cambia in corrispondenza dei poli, dove diminuisce di
un numero di unità pari alla molteplicità del polo, ed in corrispondenza degli zeri, dove aumenta
di un numero di unità, pari alla molteplicità dello zero.
4. Analogamente, per poli o zeri complessi coniugati, la pendenza cambia in corrispondenza della
pulsazione naturale di due unità per ciascuna coppia di singolarità complesse coniugate.
Si osservi infine che la pendenza finale del Diagramma di Bode del modulo della risposta in frequenza,
ovvero quella per pulsazioni elevate, superiori alle pulsazioni di tutti i poli, di tutti gli zeri, è data dalla
differenza fra il numero degli zeri, ed il numero dei poli della funzione di trasferimento. Tale valore è
sempre minore od uguale a 0. In particolare, è uguale a 0 solo nel caso di sistemi non strettamente
propri.

18.2 Modulo 2: Diagramma di Bode della fase


Prima di affrontare la Rappresentazione Cartesiana della Fase della Risposta in Frequenza, facciamo
una breve premessa, per capire come si calcola l’argomento o fase di un numero complesso.
Sia λ un numero complesso con parte reale a e parte immaginaria b
=

λ = a + jb

ϑ
<

La sua fase è l’angolo ϑ, che è il segmento congiungente l’origine con lambda forma con il semiasse
positivo delle ascisse. In generale la fase di lambda è data da

]λ = ϑ ± k360◦

Limitandosi a k = 0, si ha che

|]λ| ≤ 180◦

Per convenzione, la fase di un numero reale negativo è −180◦ . Inoltre bisogna prestare attenzione, nel
calcolo della fase di un generico numero complesso lambda
b
1. se a > 0 ⇒ ]λ = arctg
a
(
a<0 b
2. se ⇒ ]λ = arctg + 180◦
b>0 a
(
a<0 b
3. se ⇒ ]λ = arctg − 180◦
b<0 a

Veniamo ora il tracciamento del Diagramma di Bode della fase della risposta in frequenza. Data una
funzione di trasferimento
Q
µ (1 + sTi )
G(s) = g Qi
s i (1 + sτi )
54 LEZIONE 18. RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DELLA RISPOSTA IN FREQUENZA

con guadagno µ, tipo g, zeri in Ti , e poli in τi ,eventualmente anche complessi coniugati, la sua fase è
data dalla sommadi quattro termini

]G(jω) = ]µ A

−](jω)g B

P
+ i ](1 + jωTi ) C reale, D complessi coniugati
X
− ](1 + jωτi )
i

1. Il primo, relativo al guadagno della funzione di trasferimento, è la fase di µ


2. Il secondo, relativo al tipo della funzione di trasferimento, ovvero al numero di poli, o zeri,
nell’origine, è data da −](jω)g
3. Il terzo, relativo agli zeri non nulli della funzione di trasferimento, è la somma dei termini di fase
relativi a ciascuno zero
4. L’ultimo termine è relativo ai poli della funzione di trasferimento ed è formalmente analogo a
quello relativo agli zeri, con il segno cambiato
Anche il Diagramma di Bode della fase della riposta in frequenza viene rappresentato in scala semi lo-
garitmica, ponendo, sulle ascisse, la pulsazione, in radianti al secondo, in scala logaritmica, esattamente
come per il Diagramma di Bode del modulo, e sulle ordinate la fase in gradi in scala lineare.
Dal momento che il guadagno è un numero reale, la fase del guadagno è
(
+ 180◦ se µ > 0
]µ = ⇒ retta costante
− 180◦ se µ < 0

Si rappresenta quindi con una retta parallela all’asse delle pulsazioni, con ordinata 0◦ se il guadagno è
positivo, o −180◦ gradi se il guadagno è negativo.

Il termine dipendente dal tipo g della funzione di trasferimento, dà un contributo

−](jω)g = −g](jω) = −g · 90◦ ⇒ retta costante

poichè essendo jω un numero immaginario positivo, la sua fase è 90◦ . Si ha quindi che ogni polo
nell’origine dà un contributo di −90◦ , e ogni zero nell’origine dà un contributo di +90◦ . Anche in
18.2. MODULO 2: DIAGRAMMA DI BODE DELLA FASE 55

questo caso, la fase non dipende dalla pulsazione ω e quindi il contributo delle singolarità nell’origine
viene rappresentato mediante una retta parallela all’asse delle pulsazioni, con ordinata −g 90◦ .

La fase di
](1 + jωT ) = arctg(ωT ) T reale
Si osservi che
• per ω → 0 arctg(ωT ) → 0
(
+ 90◦ se T > 0 (zero a sinistra)
• per ω → +∞ arctg(ωT ) → ◦
− 90 se T < 0 (zero a destra)

È quindi possibile tracciare un diagramma asintotico, costituito da una semiretta orizzontale di ordinata
nulla, per ω  |T1 | , cioè la pulsazione dello zero, mentre per ω  |T1 | , è una semiretta orizzontale, di
ordinata +90◦ se T > 0, cioè se lo zero è a sinistra, di ordinata +90◦ se T < 0, cioè se lo zero è a
destra nel piano complesso. Si osservi che il diagramma della fase, contrariamente al Diagramma di
Bode del modulo, dipende dal segno della singolarità.

Si noti inoltre, dalla figura, che il diagramma asintotico della fase fornisce un’approssimazione decisa-
mente scadente del diagramma reale. Si osservi infine che per ω = |T1 | , cioè per pulsazione uguale alla
pulsazione dello zero, la fase vale +45◦ se T > 0 è positivo o −45◦ se T < 0.
Il contributo alla fase di una coppia di zeri complessi coniugati è dato da
ω2
 
2ωξ
](1 + jωT ) + ](1 + jωT ) = · · · = ] 1 + j − 2
ωn ωn
56 LEZIONE 18. RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DELLA RISPOSTA IN FREQUENZA

dove ξ è lo smorzamento ed ωn è la pulsazione naturale della coppia di zeri complessi coniugati. Si


osservi che
• per ω → 0 ∼
= ]1 = 0◦
 (
2 + 180◦ ξ ≥ 0

∼ ω 2ωξ
• per ω → +∞ =] − 2 +j =
ωn ωn − 180◦ ξ < 0
Si ricordi che lo smorzamento è positivo se la coppia di zeri complessi coniugati è nel semipiano sinistro
nel piano complesso, mentre lo smorzamento è negativo se gli zeri sono a destra. Anche in questo
caso è possibile definire un diagramma asintotico, costituito, per ω ≤ ωn , dalla semiretta orizzontale
di ordinata nulla e, per ω > ωn , dalla semiretta orizzontale di ordinata +180◦ , se lo smorzamento ξ è
positivo o nullo, −180◦ se lo smorzamento ξ è negativo.

Analogamente a prima è possibile valutare la fase per ω = ωn . Essa vale


 (
+ 90◦ se ξ ≥ 0


] j =
ωn − 90◦ se ξ < 0
In Figura sono mostrati i diagrammi della fase di coppie di zeri complessi coniugati, per diversi valori
dello smorzamento. Si noti che anche in questo caso il diagramma asintotico è un’approssimazione
piuttosto scadente dei diagrammi reali, in particolare per alti valori del modulo dello smorzamento ξ.
I contributi di fase dei poli sono del tutto analoghi a quelli degli zeri, fatto salvo per il segno. Così in
Figura è mostrato il diagramma della fase per un polo reale. Si noti che, per ω → ∞, il contributo di
fase vale +90◦ , se τ < 0, cioè se il polo è nel semipiano complesso destro, e vale −90◦ se τ > 0, cioè se
il polo è a sinistra, cioè esattamente il contrario di quanto accadeva per gli zeri.
18.2. MODULO 2: DIAGRAMMA DI BODE DELLA FASE 57

In questa Figura sono mostrati i diagrammi della fase di coppie di poli complessi coniugati, per diversi
valori dello smorzamento. Si noti che il diagramma è uguale a quello ottenuto per gli zeri ma, per
ω → ∞, il valore di +180◦ di fase viene raggiunto nel caso di poli complessi coniugati, con smorzamento
ξ negativo cioè nel semipiano complesso destro, mentre il valore di −180◦ di fase viene raggiunto da
poli complessi coniugati, con smorzamento positivo, cioè a sinistra nel piano complesso. Anche in
questo caso è esattamente il contrario di quello che accadeva per gli zeri.

Analogamente al Diagramma di Bode del modulo della risposta in frequenza, il diagramma asintotico
della fase si potrebbe ottenere semplicemente sommando i diagrammi asintotici dei singoli contributi
che abbiamo analizzato. Si intuisce che il diagramma asintotico complessivo è costante a tratti, e può
essere disegnato direttamente, senza il tracciamento preliminare dei diagrammi dei singoli contributi.
Infatti si osservi che a pulsazioni inferiori a quelle di tutti i poli e gli zeri reali non nulli, o complessi
coniugati, il diagramma asintotico della fase è completamente determinato dai contributi relativi al
guadagno e dal tipo della funzione di trasferimento. Si ha quindi che
1. il valore iniziale del diagramma della fase, per piccole omega, è pari a

fase per ω → 0 = ]µ − g 90◦

2. all’aumentare della pulsazione, l’ordinata cambia valore in corrispondenza di poli e zeri. In


particolare
semipiano sinistro semipiano destro
poli −90◦ +90◦
zeri +90◦ −90◦
In generale, non è possibile dedurre il Diagramma di Bode della fase della risposta in frequenza, a partire
dal solo Diagramma di Bode del modulo della risposta in frequenza. Infatti bisognerebbe conoscere il
segno del guadagno della funzione di trasferimento ed il segno delle parti reali delle singolarità della
funzione di trasferimento.
Un caso particolare si verifica per quei sistemi che hanno
• guadagno µ > 0
• poli o zeri con parte reale negativa o nulla
Questi sistemi sono detti a Sfasamento Minimo, o a Fase Minima. Per un sistema a Fase Minima, è
possibile ricavare il Diagramma di Bode della fase, a partire dal diagramma dal Diagramma di Bode
del modulo.
Infatti, dove la pendenza del diagramma del modulo diminuisce di una unità, siamo certamente in
presenza di un polo, cui corrisponde un contributo di fase di meno 90 gradi, essendo esso sicuramente
nel semipiano sinistro. Viceversa dove la pendenza del diagramma del modulo aumenta di un’unità,
58 LEZIONE 18. RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DELLA RISPOSTA IN FREQUENZA

siamo in presenza di uno zero, cui corrisponde un contributo di fase di più 90 gradi, essendo esso
certamente nel semipiano sinistro.

pendenza diagramma modulo fase


polo −1 −90◦
zero +1 +90◦

Quindi, in generale, quando il diagramma asintotico del modulo ha pendenza k il diagramma asintotico
della fase assume il valore di k 90◦ .

18.3 Modulo 3: Diagramma polare


Veniamo ora al secondo metodo di Rappresentazione Grafica della Risposta in Frequenza: Il Diagramma
Polare. Come visto precedentemente, il Diagramma Polare è la rappresentazione di una risposta in
frequenza G(jω) direttamente nel piano complesso, cioè è il luogo dei punti del piano complesso G(jω)
per tutti gli ω ≥ 0.

Il tracciamento manuale preciso del Diagramma Polare può essere un’operazione molto laboriosa. For-
tunatamente, spesso, è sufficiente disporre di un andamento qualitativo, che può essere ottenuto abba-
stanza semplicemente. In particolare, in questo Corso, ci limitiamo ad ottenere un Diagramma Polare
approssimato, a partire dai Diagrammi di Bode del modulo e della fase.

Al fine di ottenere un andamento qualitativo il più preciso possibile, è bene identificare alcuni sem-
plici luoghi geometrici di punti del piano complesso, che possono essere utili nel tracciamento di un
Diagramma Polare.

• La circonferenza di raggio unitario è il luogo dei punti con modulo unitario, cioè è l’immagine
dell’asse a 0 dB nel Diagramma di Bode del modulo.

• Il semiasse reale positivo è il luogo dei punti con fase 0◦ .

• Il semiasse reale negativo è il luogo dei punti con fase −180◦

• Il semiasse immaginario positivo è il luogo dei punti con fase +90◦

• Il semiasse immaginario negativo è il luogo dei punti con fase −90◦


18.3. MODULO 3: DIAGRAMMA POLARE 59

Dal momento che non enunceremo regole dirette, finalizzate al tracciamento di un Diagramma Polare,
procederemo per esempi, tracciando il Diagramma Polare, a partire dai Diagrammi di Bode, del modulo
e della fase, di una data risposta in frequenza.

Esempio 18.1
Consideriamo la funzione di trasferimento

10
G(s) =
(1 + 10s)(1 + 2s)

Essa ha guadagno µ = 10 = 20 dB e tipo g = 0. cioè non ha poli o zeri nell’origine. Ha due poli con
costanti di tempo

τ1 = 10 ⇒ ω1 = 0.1
τ2 = 2 ⇒ ω2 = 0.5

Nelle Figure sono mostrati i Diagrammi di Bode reali e asintotici, per modulo e fase

A partire da questi, tracciamo il Diagramma Polare di G(jω).

• Innanzitutto osserviamo che, per ω = 0, il modulo della risposta in frequenza vale 10 (venti decibel
sul Diagramma di Bode del modulo), con fase 0◦ , rilevabile dal Diagramma di Bode della fase. Questo
numero complesso è indicato nel Diagramma Polare, in corrispondenza del valore ω = 0, ed è 10 + j0.
• Poi notiamo, che, ω → ∞, il modulo della risposta in frequenza tende a 0. Il Diagramma di Bode del
modulo tende −∞ dB, infatti, con fase −180◦ , anche questa rilevabile dal Diagramma di Bode della
fase. Ciò significa che ω → ∞, il Diagramma Polare terminerà nell’origine con tangente orizzontale.
60 LEZIONE 18. RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DELLA RISPOSTA IN FREQUENZA

• Fra questi due punti estremi, i Diagrammi di Bode hanno un andamento monotono decrescente, e
posso quindi dedurre che l’andamento qualitativo del Diagramma Polare parte da dieci più iota zero,
e arriva nell’origine del piano complesso, tracciando un andamento di tipo pseudo circolare.

Per rendere il Diagramma Polare più preciso, si può calcolare, per esempio, in quale posizione esso interseca
il semiasse immaginario negativo. Tale intersezione avviene per ]G(jω) = −90◦ . Dal Diagramma di Bode
della fase, osserviamo che tale valore si ha in corrispondenza di ω ∼
= 0.23. Spostandoci sul Diagramma di
Bode del modulo notiamo che per ω ∼ = 0.23, il valore del modulo è circa uguale a poco più 10 dB, cioè
circa 4. Abbiamo quindi ottenuto un ulteriore punto del Diagramma Polare, che ci consente il tracciamento
qualitativo visibile in Figura

Esempio 18.2
In questo secondo esempio, consideriamo

1 µ = G(0) = 1
G(s) =
ξ s2 g=0
1+2 s+ 2
ωn ωn

con guadagno unitario, ed una coppia di poli complessi coniugati, con smorzamento ξ e pulsazione naturale
ωn . I Diagrammi di Bode del modulo e della fase sono visibili in queste due figure, per diversi valori dello
smorzamento.

Nella figura è presentato il Diagramma Polare, per diversi valori dello smorzamento.
18.3. MODULO 3: DIAGRAMMA POLARE 61

Nel caso particolare di smorzamento ξ = 0, si ha che

ωn2 ωn2
G(s) = ⇒ G(jω) = funzione reale
s2 + ωn2 ωn2 − ω2

Si noti che questa è una funzione reale della variabile reale omega, quindi il Diagramma Polare giacerà
interamente sull’asse reale. In particolare

• ω < ωn ⇒ G(jω) > 0


• ω > ωn ⇒ G(jω) < 0
• ω = 0 ⇒ G(jω) = 1 + j0
• ω → +∞ ⇒ G(jω) = 0−

Per ω = ωn , la risposta in frequenza non è definita. Si può dire che il modulo è infinito e la fase passa
da 0◦ a −180◦ , in corrispondenza di questo punto speciale il Diagramma compie una semicirconferenza di
raggio infinito, nel semipiano immaginario negativo.

Esempio 18.3
Nel terzo esempio consideriamo una funzione di trasferimento G(s), con un polo nell’origine. Essa è data

ω1 = 10, τ1 = 0.1
s + 10 10(1 + 0.1s)
G(s) = = ω2 = 1, τ2 = 1
s(s + 1) s(s + 1)
µ = 10 = 20dB g = 1

I Diagrammi di Bode del modulo e della fase sono visibili in queste due figure
62 LEZIONE 18. RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DELLA RISPOSTA IN FREQUENZA

Dai Diagrammi di Bode è evidente che

• ω → 0 ⇒ |G(jω)| → ∞, ]G(jω) → −90◦ Ciò significa che il Diagramma Polare di G(jω) presenta
un asintoto verticale che può essere valutato calcolando

lim <[G(jω)] = −9
ω→0

• ω → ∞ ⇒ |G(jω)| → 0, ]G(jω) → −90◦ Ciò significa che il Diagramma Polare di G(jω) termina
nell’origine del piano complesso con tangente verticale, cioè con fase di −90◦ .
Lezione 19

Azione filtrante dei sistemi dinamici

19.1 Modulo 1: Interpretazione dei sistemi dinamici come filtro


Nelle Lezioni precedenti parlando di risposta in frequenza, abbiamo visto come un Sistema Dinamico
Lineare e Stazionario, agisce sul segnale di ingresso per produrre il segnale di uscita.

In particolare si è visto, che il sistema per la sua linearità non può generare armoniche in uscita assenti
nello spettro del segnale d’ingresso, ma può unicamente amplificare o attenuare e sfasare quelle presenti.
Il sistema si comporta, quindi nei confronti del segnale d’ingresso come un filtro, che ne modella lo
spettro in accordo con la propria risposta in frequenza.

Per fissare le idee, possiamo pensare al segnale d’ingresso, come ad un segnale trasmesso lungo un
canale di trasmissione, rappresentato dal sistema. L’uscita è il segnale che viene ricevuto, e che sarà
differente da quello trasmesso.

u y
G(s)
segnale segnale
trasmesso canale ricevuto
di trasmissione

Nel seguito, cercheremo di caratterizzare i sistemi dinamici lineari e stazionari, in base alle caratteri-
stiche della loro azione filtrante. A tal scopo ricordiamo, che un segnale f (t) rappresentabile mediante
integrale di Fourier è caratterizzato dal suo spettro d’ampiezze e dal suo spettro di fase
Z ∞
f (t) = Cf (ω) sen (ωt + γf (ω)) dω
0

Spettro Spettro
di ampiezza di fase
Con riferimento allo schema del canale di trasmissione, possiamo quindi dire, che lo spettro di ampiezza
del segnale ricevuto, sarà dato dal prodotto dello spettro di ampiezza del segnale trasmesso, per il
modulo della risposta in frequenza del sistema rappresentante il canale di trasmissione

Cy (ω) = Cu (ω) · |G(jω)| distorsione di ampiezza

Analogamente lo spettro di fase del segnale ricevuto, sarà dato dalla somma dello spettro di fase
del segnale trasmesso, e della fase della risposta in frequenza del sistema rappresentante il canale di
trasmissione

γy (ω) = γu (ω) + ]G(jω) distorsione di fase

63
64 LEZIONE 19. AZIONE FILTRANTE DEI SISTEMI DINAMICI

Filtro passa tutto Cominciamo da un caso banale

G(s) = k > 0

Come sappiamo si tratta di un sistema non dinamico, infatti l’uscita y(t), è univocamente determinata
dal valore dell’ingresso t

y(t) = ku(t)
Y (s) = kU (s)

Il modulo della risposta in frequenza è costante ed uguale a k, la fase della risposta in frequenza è
costante ed uguale a 0. Questo sistema dà quindi amplificazione costante, a tutte le pulsazioni, senza
sfasamento, per questa ragione è detto filtro passatutto.

|G(jω)| = k
]G(jω) = 0◦

Filtro passa basso Veniamo ora al filtro cosiddetto, passa basso. Nel caso ideale un filtro passa
basso, è un sistema che lascia passare inalterate o al più amplifica di un valore costante, unicamente le
armoniche del segnale in ingresso, con pulsazione inferiore od uguale ad un dato valore ω, e che elimina
le armoniche con pulsazione maggiore di ω

Si dice che la banda passante di un filtro passa basso, è l’intervallo di pulsazioni, per cui

1 |G(jω)| √
−3 dB ≤ |G(jω)| − |µ| ≤ +3 dB ⇐⇒ √ ≤ ≤ 2
2 |µ|

La banda passante, rappresenta un indice della capacità di un filtro passa basso, di attenuare armoniche
di pulsazione elevata, e di far passare eventualmente amplificate le armoniche all’interno della banda.

Esempio 19.1
Consideriamo un sistema del primo ordine strettamente proprio, ed asintoticamente stabile

1
G(s) = , τ >0
1 + sτ
Il diagramma di Bode del modulo, della risposta in frequenza di G(s), è visibile in questa Figura

E’ un filtro passa basso, la sua banda passante è l’intervallo di pulsazioni 0, τ1 . Come è noto in un sistema
 

del primo ordine, tanto minore è il valore della costante di tempo τ , tanto più veloce sarà la risposta del
19.1. MODULO 1: INTERPRETAZIONE DEI SISTEMI DINAMICI COME FILTRO 65

sistema. Quindi, la banda passante è un indicatore della velocità della risposta del sistema: tanto più
ampia è la banda, tanto più veloce sarà il sistema.

Filtro passa alto Veniamo ora, al filtro cosiddetto passa alto. Nel caso ideale, un filtro passa alto
è un sistema che lascia passare inalterate, o al più amplificate di una quantità costante, unicamente le
armoniche del segnale d’ingresso, con pulsazione maggiore od uguale ad un dato valore ω, e che elimina
le armoniche con pulsazione inferiore ad ω.

É possibile definire la banda passante, anche per questo tipo di sistemi, come l’intervallo di frequenze,
compreso tra ω, ed ∞.

Si noti che, solo sistemi non strettamente propri, possono avere le caratteristiche di un filtro passa alto,
dal momento che necessariamente deve essere G(j∞) 6= 0.

Esempio 19.2
In questo secondo esempio, consideriamo

G(s) = τ >0
1 + sτ
Questo è un sistema del primo ordine asintoticamente stabile, e non strettamente proprio. Il diagramma
di Bode del modulo della risposta  in frequenza, mostra che è un filtro passa alto, e la sua banda passante
è l’intervallo di pulsazioni τ1 , ∞ .


Risonanza Consideriamo ora, un sistema con guadagno unitario, e con due poli complessi coniugati
con smorzamento ξ e pulsazione naturale ωn

ωn2
G(s) =
s2 + 2ξωn s + ωn2

Esso almeno per ξ ≥ 0.4, si comporta come un filtro passa basso, con banda passante approssimativa-
mente uguale all’intervallo di pulsazioni [0, ωn ]
66 LEZIONE 19. AZIONE FILTRANTE DEI SISTEMI DINAMICI

Per piccoli valori dello smorzamento, si ha un picco di risonanza visibile nel diagramma di Bode del
modulo della risposta in frequenza. Quindi le componenti armoniche dell’ingresso, con pulsazione
vicina ad ωn , verranno amplificate. In particolare per smorzamento nullo o comunque molto vicino a
zero, tali componenti armoniche tendono ad essere amplificate infinitamente, con possibili conseguenze
nefaste, in particolare nei sistemi meccanici.

19.2 Modulo 2: Ritardo di tempo


In questo modulo conclusivo, affrontiamo un particolare sistema cosiddetto Ritardo di Tempo. Per
ritardo di tempo si intende un sistema la cui uscita y(t), è data dall’ingresso u al tempo t − τ (τ > 0)

u(t) y(t) = u(t − τ )


G(s)

Esso è un sistema
dinamico infatti non basta conoscere l’ingresso al tempo t, per determinare completamente l’uscita
al tempo t
lineare perché vale il principio di sovrapposizione degli effetti
invariante il suo comportamento infatti non muta nel tempo
stabile (BIBO) nel senso che in corrispondenza di un ingresso limitato, produce un’uscita di ampiezza
limitata
a dimensione infinita nel senso che non basta un numero finito di variabili di stato, per darne una
rappresentazione mediante equazioni di stato
E’ facile calcolare la funzione di trasferimento del ritardo di tempo
−τ s
Y (s) = L[y(t)] = L[u(t − τ )] = e|{z} U (s)
G(s)

quindi la funzione di trasferimento di un ritardo di tempo τ , è


G(s) = e−τ s
Si osservi che la funzione di trasferimento di un ritardo è non razionale. Inoltre essa ha guadagno
statico µ = G(0) = 1

u(t) y(t)
e−sτ

E’ interessante calcolare la risposta ad una sinusoide di ampiezza A, e pulsazione ω


u(t) = A sen(ωt) ⇒ y(t) = u(t − τ ) = A sen(ω(t − τ )) =
l’ampiezza non viene modificata
= A sen(ωt − ωτ ) ⇒
lo sfasamento è −ωτ
19.2. MODULO 2: RITARDO DI TEMPO 67

Si osservi ora, che essendo la risposta in frequenza G(jω) uguale a e−jωτ , si ha che

|G(jω)| = 1
]G(jω) = −ωτ

Si può quindi concludere che, per il ritardo di tempo, vale il teorema della risposta in frequenza, cioè (a
transitorio esaurito)

u(t) = A sen(ωt) ⇒ y(t) = |G(jω)|A sen(ωt + ]G(jω))

Veniamo ora al tracciamento dei diagrammi di Bode del ritardo di tempo. Il diagramma di Bode del
modulo della risposta in frequenza di un ritardo, è una retta costante di ordinata uno, cioè 0 dB,
qualsiasi sia la pulsazione. In questo senso si può dire che il ritardo è un filtro passa tutto, in quanto
non amplifica né attenua, l’ampiezza delle componenti armoniche dei segnali in ingresso.
Il diagramma della fase è la rappresentazione in scala semilogaritmica di −ωτ , opportunamente con-
vertito in gradi, mediante la moltiplicazione per il fattore di conversione 180
π .

In generale, il ritardo di tempo si trova accoppiato ad altri sistemi lineari stazionari. Si consideri in
particolare, un sistema con funzione di trasferimento G0 (s), in serie ad un ritardo di tempo pari a τ ,

u(t)
y(t) G0 (s) e−sτ

la funzione di trasferimento complessiva G(s) è

G(s) = G0 (s)e−sτ

Si può verificare che il modulo della risposta in frequenza G(jω), della funzione di trasferimento
complessiva, è uguale a quello del sottosistema G0 (s), dal momento che il modulo della risposta in
frequenza del ritardo è uguale a 1

|G(s)| = G0 (s)e−sτ = G0 (s)

La fase della risposta in frequenza G(jω) della funzione di trasferimento complessiva, è data dalla
somma della fase della risposta in frequenza G0 (jω) e dello sfasamento introdotto dal ritardo
180
]G(jω) = ]G0 (jω) − ωτ
π
Lezione 20

Introduzione ai sistemi di controllo

20.1 Modulo 1: Requisiti dei sistemi di controllo


Ritorniamo ora a considerare il problema da cui avevamo preso le mosse all’inizio del corso e cioè
lo studio dei sistemi di controllo. Come ricorderete, avevamo individuato due principali tipologie di
sistemi di controllo: quelli in anello aperto e quelli in anello chiuso.

Anello aperto Nei sistemi in anello aperto il controllore agisce sul sistema attraverso la variabili di
controllo u solo in base a informazioni sul segnale di riferimento w. Nello schema compare anche tra il
controllore C e il processo P da controllare l’organo attuatore, qui indicato con A, che ha il compito
di esercitare sul sistema l’effettiva azione di controllo determinata dal controllore. Sia anche messo
in evidenza che sia il processo che l’attuatore possono essere soggetti all’azione di disturbi esterni,
denotati rispettivamente con i simboli d e dA .

dA d

w u m y
C A P

Anello chiuso Nello schema in anello chiuso invece la variabile di controllo u dipende anche dal valore
ym che rappresenta la misura della variabile controllata, resa disponibile da un opportuno trasduttore
t. Anche su di esso sono di solito presenti dei disturbi che, per così dire, sporcano il segnale di misura
utilizzato dal controllore. Tali disturbi sono qui indicati con il simbolo dT .

dA d

w u m y
C A P

ym T

dT

Sia nel caso di un sistema di controllo in anello aperto sia in quello di un sistema in anello chiuso il
nostro principale obiettivo sarà quello, a partire da modelli che descrivono il comportamento dinamico
dei singoli componenti, di valutare le prestazioni del sistema complessivo.

68
20.1. MODULO 1: REQUISITI DEI SISTEMI DI CONTROLLO 69

Per affrontare questo studio è dapprima necessario riepilogare quali sono i principali requisiti di un
sistema di controllo, cioè le principali proprietà che tale sistema deve possedere per essere considerato
un buon sistema di controllo. Ricorderete che, in termini molto generali, l’obiettivo di un controllore è
quello di fare in modo che la variabile controllata y riproduca il più fedelmente possibile l’andamento
desiderato w anche in presenza di disturbi o incertezze. Questo generico obiettivo può essere precisato
con maggiore dettaglio facendo un elenco delle proprietà più importanti di cui deve godere un sistema
di controllo.

stabilità Una prima proprietà davvero irrinunciabile è quella della stabilità. Se infatti il sistema
fosse instabile, l’effetto delle condizioni iniziali, che sono di solito altamente imprevedibili, non
si esaurirebbe nel tempo e si sovrapporrebbe inevitabilmente con l’effetto sull’uscita dell’azione
decisa dal controllore, producendo comportamenti divergenti delle variabili in gioco e in parti-
colare della variabile controllata. Assicurare quindi l’asintotica stabilità significa garantire che
il movimento del sistema risulti indipendente, almeno per tempi sufficientemente lunghi, dalle
condizioni iniziali.

Ma c’è un altro motivo che suggerisce di considerare la stabilità come un requisito fondamentale.
Supponiamo infatti che sul sistema agiscano dei disturbi, il meno che possiamo pretendere da un
accettabile sistema di controllo è che quando questi disturbi sono di ampiezza limitata la variabile
controllata non diverga. Come sappiamo, questa proprietà di limitatezza dell’uscita a fronte di
ingressi limitati è quella che abbiamo chiamato a suo tempo stabilità esterna o stabilità BIBO e
sappiamo anche che nei sistemi lineari essa è presente quando il sistema è asintoticamente stabile.

precisione statica/dinamica Ma oltre ad essere stabile un sistema di controllo deve essere anche
preciso, deve cioè essere capace di garantire che l’errore tra l’andamento desiderato e quello
effettivo della variabile y sia sufficientemente piccolo in tutte le situazioni di interesse.

Possiamo a questo proposito distinguere tra un requisito di precisione statica, che riguarda il
comportamento del sistema in condizioni di equilibrio, e uno di precisione dinamica, che riflette
l’esigenza di assicurare che y segua w anche durante i transitori dovuti ad esempio a variazioni a
scalino del riferimento w.

attenuazione di un disturbo Abbiamo poi ripetutamente sottolineato che tra gli scopi principali
di un sistema di controllo c’è quello di neutralizzare, per quanto possibile, l’effetto di eventuali
disturbi. parleremo quindi di proprietà di attenuazione dei disturbi con riferimento alla capacità
di raggiungere gli obiettivi di precisione anche in presenza di disturbi.

moderazione C’è un’altra proprietà dei sistemi di controllo, forse meno importante delle precedenti
ma che a parità di prestazioni va comunque tenuta in considerazione ed è la proprietà che chia-
meremo di moderazione. Con questo termine si indica la capacità del sistema di controllo di
raggiungere i propri obiettivi senza sollecitare eccessivamente la variabile di controllo u, evitando
cioè di far assumere a tale variabile valori troppo elevati o troppo irregolari durante il normale
funzionamento del sistema. Si tenga infatti presente che sollecitazioni troppo violente sul sistema
da controllare possono dar luogo ad usura o addirittura a danneggiamenti, senza poi contare il
fatto che sia la variabile di controllo in uscita dal controllore che la variabile manipolata dal-
l’attuatore sono di solito, in quasi tutti i casi pratici, soggette a limitazioni fisiche sui valori che
possono assumere.

robustezza C’è infine un’ultima importante proprietà da citare, è quella di robustezza. Intenderemo
con questo termine fare riferimento alla capacità di un controllore di garantire adeguate presta-
zioni anche quando si trova ad operare in condizioni diverse da quelle per cui è stato progettato.
In altre parole la robustezza ha a che vedere con la garanzia che le precedenti proprietà, cioè
la stabilità, la precisione, l’attenuazione dei disturbi eccetera siano verificate anche in presenza
di incertezza sul modello del sistema. Si potrà parlare di volta in volta di instabilità robusta,
attenuazione robusta di un disturbo e così via.
70 LEZIONE 20. INTRODUZIONE AI SISTEMI DI CONTROLLO

Lo studio del comportamento di un sistema di controllo sarà condotto facendo riferimento ai modelli
matematici associati ai vari componenti del sistema stesso. A questo riguardo si possono riconoscere
due tipi di problemi.

Problema di Analisi Considereremo dapprima i cosiddetti problemi di analisi, nei quali cioè a partire
dalla conoscenza dei modelli di tutti gli elementi (P , A, T , C) che costituiscono un sistema di
controllo si vogliono valutare le prestazioni del sistema secondo i vari requisiti elencati nella
precedente lista.

Problema di Sintesi Si parla invece di problema di sintesi o di progetto quando supponendo di


disporre di un modello del sistema sotto controllo e dell’eventuale strumentazione (P , A, T ),
cioè attuatori e trasduttori, e avendo come vincoli da rispettare delle opportune specifiche di
progetto, si debba determinare il modello di un controllore C che soddisfi tutte le specifiche.

In queste lezioni ci concentreremo principalmente sui problemi di analisi, anche perché quelli di progetto
potranno essere affrontati, come vedremo, mediante un uso ragionato delle tecniche di analisi.

Nel seguito adotteremo l’ipotesi semplificativa che tutti gli elementi presenti in un sistema di controllo
siano descrivibili mediante modelli lineari, siano cioè rappresentabili come sistemi dinamici, lineari,
invarianti a tempo continuo. Questa scelta ovviamente ci permetterà di utilizzare tutti gli strumenti
teorici messi a punto nella prima parte del corso, in particolare quelli relativi alla rappresentazione di
un sistema nel dominio della frequenza o attraverso la sua funzione di trasferimento.

Va però sottolineato che tale ipotesi è meno riduttiva di quanto potrebbe sembrare a prima vista,
basta in effetti ricordare che anche un sistema non lineare può essere ben approssimato nell’intorno di
una condizione di equilibrio da un modello lineare corrispondente al cosiddetto sistema linearizzato.
Se quindi gli scostamenti di tutte le variabili rispetto a prefissati valori di equilibrio non sono troppo
ampi, l’ipotesi di lavorare con modelli lineari trova una sua fondata giustificazione.

20.2 Modulo 2: Sistemi di controllo in anello aperto


Il nostro studio comincerà dai sistemi di controllo in anello aperto, cioè quelli descritti da questo schema

w u m y
C A P

Qui per semplicità abbiamo trascurato l’eventuale presenza di disturbi sull’attuatore A. Adottan-
do l’ipotesi di linearità introdotta nel precedente modulo possiamo ridisegnare lo schema a blocchi
sostituendo a ogni componente la sua rappresentazione in termini di funzioni di trasferimento.

d
G(s) = A(s)P (s)

H(s)

w u m + y
C(s) A(s) P (s)
+

C(s) sarà quindi la funzione di trasferimento del controllore A(s) quella dell’attuatore, mentre il sistema
sotto controllo verrà descritto dalle due funzioni di trasferimento P (s) esse e H(s) che rappresentano
rispettivamente l’effetto su y della variabile manipolabile, m, e del disturbo d, che si suppone scalare.
20.2. MODULO 2: SISTEMI DI CONTROLLO IN ANELLO APERTO 71

Osservando che i due blocchi A(s) e P (s) sono in serie, possiamo semplificare lo schema sostituendoli
con un unico blocco la cui funzione di trasferimento, G(s), è data dal prodotto di A(s)P (s).
Si perviene quindi allo schema qui raffigurato
d

H(s)

w u + y
C(s) G(s)
+

Notiamo che il sistema possiede due ingressi: il riferimento w e il disturbo d. Possiamo quindi calcolare
separatamente le funzioni di trasferimento che legano questi due ingressi all’uscita y.

Y (s)
= C(s)G(s) =⇒ ∼ 1 “’passa tutto”
W (s)
Y (s)
= H(s) =⇒ ∼ 0 “’passa niente”
D(s)

La funzione di trasferimento tra w e y è data da C(s)G(s), mentre quella tra d e y rimane uguale
ad H(s) e non è quindi influenzata dal controllore. In un sistema di controllo ideale la funzione di
trasferimento tra w e y dovrebbe risultare unitaria, in modo da garantire che l’andamento della variabile
controllata y sia identico a quello del riferimento w. In altri termini il sistema si dovrebbe idealmente
comportare come un filtro passatutto, con guadagno pari a 1.
Per poter invece attenuare completamente l’effetto del disturbo d sull’uscita y sarebbe auspicabile che
la funzione di trasferimento H(s) fosse identicamente nulla, cioè si comportasse come un filtro, per
così dire, passaniente. Ciò risulta ovviamente impossibile perché H(s) è quella che è e non dipende
dalla scelta del controllore. Del resto, come già sapevamo, un sistema di controllo in anello aperto è
incapace di ridurre l’effetto dei disturbi a meno di poterli misurare e compensare.
Torneremo tra breve su questo ma intanto concentriamoci sulla prima di queste relazioni, cioè sul
legame tra w e y, chiedendoci se è possibile ottenere o almeno avvicinarsi ad ottenere la prestazione
ideale corrispondente a un passatutto. Apparentemente è in effetti possibile rendere unitaria la funzione
di trasferimento tra riferimento e uscita, basta scegliere un controllore con funzione di trasferimento
C(s) uguale all’inversa di G(s)

Y (s)
= C(s)G(s) = 1 ⇒ C(s) = G−1 (s)
W (s)

la logica del controllore sarebbe quindi quella di invertire il modello dinamico del sistema da control-
lare, ma dietro a questa semplice formula matematica ci sono alcuni aspetti critici che è opportuno
commentare.

Cancellazioni Una prima limitazione nasce dal fatto che l’uso di un controllore la cui funzione di
trasferimento è l’inversa di G(s) provoca inevitabilmente delle cancellazioni di poli e zeri. I due sistemi
sono infatti collegati in serie. Noi sappiamo che cancellazioni di questo tipo, che riguardano poli o
zeri a parte reale maggiore o uguale a 0 generano delle parti nascoste del sistema che sono instabili
o comunque non asintoticamente stabili. Poiché abbiamo visto che la stabilità è fondamentale per il
corretto funzionamento di un sistema di controllo, la scelta del controllore C(s) = G−1 (s) non è quindi
accettabile in questo caso.
72 LEZIONE 20. INTRODUZIONE AI SISTEMI DI CONTROLLO

Esempio 20.1
Supponiamo ad esempio che il sistema da controllare sia descritto dalla funzione di trasferimento

1+s 1−s
G(s) = ⇒ C(s) =
1−s 1+s
L’impiego di un controllore C(s) ottenuto invertendo G(s) produrrebbe una cancellazione illecita tra lo 0
del controllore e il polo instabile del sistema, rendendo instabile il sistema complessivo.

Questo esempio mette anche in luce che è impossibile pensare di stabilizzare un sistema instabile me-
diante un controllore in anello aperto. Vedremo più avanti che l’unica possibilità per stabilizzare un
sistema instabile è in effetti quella di utilizzare un controllore in anello chiuso.

Realizzabilità Ma c’è un’altra questione che non può essere sottovalutata ed è la questione della
realizzabilità. Se infatti si inverte la funzione di trasferimento di un sistema dinamico si ottiene
una funzione razionale che ha il grado del numeratore maggiore o uguale al grado del denominatore.
Tranne il caso di uguaglianza di grado si ottiene quindi un oggetto matematico, C(s) esse, che non può
corrispondere alla funzione di trasferimento di alcun sistema fisico. Il controllore non sarebbe quindi
in alcun modo realizzabile in pratica. Per meglio chiarire la questione e capire come possa essere
parzialmente risolta consideriamo un esempio specifico.

Esempio 20.2
Supponiamo che G(s) sia la funzione di trasferimento qui indicata

10(1 + s)
G(s) =
(1 + 2s)(1 + 0.1s)

che possiede due poli e uno zero. Allora l’applicazione acritica della formula di inversione produce una fun-
zione di trasferimento, qui chiamata C0 (s), che non corrisponde ad alcun dispositivo fisicamente realizzabile,
visto che ha due zeri e un solo polo

0.1(1 + 2s)(1 + 0.1s)


C0 (s) =
1+s
La possibilità perciò di ottener una funzione di trasferimento complessiva tra w e y

F0 (s) = G(s)C0 (s) = 1

che si comporti come filtro passatutto, come indicato in questo diagramma di Bode, è assolutamente
illusoria
20.2. MODULO 2: SISTEMI DI CONTROLLO IN ANELLO APERTO 73

Possiamo però provare ad aggirare il problema aggiungendo alla funzione di trasferimento del controllore
un altro polo, ad esempio con costante di tempo pari a 0.01. Se chiamiamo C1 (s) questa nuova funzione
di trasferimento
0.1(1 + 2s)(1 + 0.1s)
C1 (s) =
(1 + s)(1 + 0.01s)

ci accorgiamo che C1 (s)G(s)


1
F1 (s) = C1 (s)G(s) = Filtro passa basso con B ∼
= [0, 100]
1 + 0.01s
non è più un filtro passatutto, bensì un passabasso, con guadagno unitario e una banda passante che si
estende fino a ω = 100.

Dal punto di vista delle prestazioni del sistema di controllo, questa può rappresentare una soluzione del tutto
accettabile, tenendo conto che in questo modo tutte le componenti armoniche del segnale di riferimento w
fino a pressappoco alla pulsazione ω = 100 vengono lasciate passare inalterate.

In definitiva il problema della realizzabilità del controllore può essere risolto, a scapito di un accettabile
degrado delle prestazioni, introducendo un polo aggiuntivo. Ma ci sono altri modi per risolvere il
problema, sempre con riferimento all’esempio qui ne vediamo un paio.

Esempio 20.3
Invece che aggiungere un polo possiamo rimuovere dalla funzione di trasferimento C0 (s) uno zero, ad
esempio la funzione C2 (s) qui indicata, ottenuta da C0 (s) rimuovendo lo zero con costante di tempo 0.1

10(1 + s) 0.1(1 + 2s)


G(s) = =⇒ C2 (s) =
(1 + 2s)(1 + 0.1s) (1 + s)

genera una funzione di trasferimento F2 (s) complessiva che si comporta ancora da passabasso, anche se
con una banda passante più stretta che arriva fino a ω = 10
1
F2 (s) = C2 (s)G(s) = Filtro passa basso con B ∼
= [0, 10]
1 + 0.1s
74 LEZIONE 20. INTRODUZIONE AI SISTEMI DI CONTROLLO

Si noti che C2 (s) è realizzabile, dato che possiede un polo e uno zero.

Esempio 20.4
Un’altra possibile scelta è quella di invertire solamente il guadagno di G(s) e scegliere cioè il controllore

10(1 + s)
G(s) = =⇒ C3 (s) = 0.1
(1 + 2s)(1 + 0.1s)

cui corrisponde la funzione di trasferimento complessiva

(1 + s)
F2 (s) = C3 (s)G(s) = Filtro passa basso con B ∼
= [0, 0, 5]
(1 + 2s)(1 + 0.1s)

Naturalmente andrebbe verificato che il degrado delle prestazioni connesso all’ulteriore restringimento della
banda passante, che si nota in figura, risulti accettabile in pratica.

Tornando a commentare in generale le limitazioni connesse all’uso di un controllore in anello aperto,


è interessante osservare come con una strategia di questo tipo sia impossibile modificare più di tanto
la dinamica del sistema sotto controllo, visto che non si possono spostare i poli di G(s). In effetti
collegando due sottosistemi in serie i poli del sistema complessivo coincidono, a meno di eventuali
cancellazioni su cui abbiamo già ragionato, con la riunione dei poli dei due sottosistemi. Anche questa
appare una seria limitazione che può essere superata solo mediante ricorso a un controllore in anello
chiuso.
20.2. MODULO 2: SISTEMI DI CONTROLLO IN ANELLO APERTO 75

Robustezza Va fatta infine un’ultima osservazione riguardo alla robustezza: anche assumendo che
le limitazioni di cui si è parlato non si applichino o siano in qualche modo aggirabili, resta il fatto che
la formula per il progetto ideale, in cui c è uguale all’inversa di g, richiede, perché si ottenga il risultato
voluto, che si conosca con precisione la funzione di trasferimento G(s) del sistema da controllare.
Qualunque incertezza a questo riguardo porterebbe ad un peggioramento, magari anche consistente,
delle prestazioni. Del resto già sappiamo che un sistema in anello aperto è in generale poco robusto
rispetto a incertezze sul modello. Questo è tra l’altro il motivo principale per cui nel seguito del corso
tratteremo quasi esclusivamente sistemi di controllo in anello chiuso.

Esempio 20.5
Per illustrare il tema della robustezza riprendiamo l’esempio precedente e supponiamo ora che la vera
funzione di trasferimento del sistema sotto controllo abbia un guadagno uguale a 10 ± ∆, dove 10 è il valore
nominale e ∆ è un valore incerto. Se si progetta il controllore in anello aperto sulla base del guadagno
nominale si ottiene ad esempio il controllore

(10 ± ∆)(1 + s)
G(s) = =⇒ C3 (s) = 0.1
(1 + 2s)(1 + 0.1s)

considerato in precedenza. Si nota subito che la funzione di trasferimento risultante

(1 + s)
F3 (s) = C3 (s)G(s) = (1 ± 0.1∆)
| {z } (1 + 2s)(1 + 0.1s)
Guadagno
diverso da 1

non ha più guadagno unitario e quindi il sistema di controllo non è in grado di garantire in modo robusto
la precisione statica. L’uscita in condizioni di equilibrio si assesterà infatti su un valore che in presenza di
incertezza è diverso da quello desiderato, e lo scostamento ±0.1∆ è proporzionale all’incertezza ∆: maggiore
è l’incertezza tanto più impreciso risulterà il sistema di controllo.

Compensazione di un disturbo Per concludere lo studio dei sistemi in anello aperto consideria-
mo lo schema a blocchi di un sistema di controllo con compensazione in anello aperto del disturbo.
Come probabilmente ricorderete, in tale schema si suppone di poter misurare il disturbo tramite un
trasduttore e l’azione di controllo viene fatta dipendere anche da tale misura.

d
dm Td (s)

Cd (s) H(s)

w + u + y
C(s) G(s)
+ +

Usando anche qui modelli lineari per descrivere il funzionamento del trasduttore Td (s) e di quella parte
della legge di controllo che determina u in funzione della misura dm del disturbo siamo in grado di
calcolare la funzione di trasferimento tra il disturbo e l’uscita. Poiché d influenza y attraverso due rami
in parallelo, la funzione complessiva è data da
Y (s)
= H(s) + Td (s)Cd (s)G(s) =⇒∼ 0 “passa niente”
D(s)
Si osserva che con un’opportuna scelta di Cd (s) esse si può rendere identicamente nulla questa funzione
di trasferimento, raggiungendo l’obiettivo ideale di annullare l’effetto del disturbo sull’uscita.

Cd (s) = −H(s)G(s)−1 Td (s)−1

Questo è dunque il modo naturale per progettare il compensatore Cd del disturbo, ma va notato che
a proposito di questa formula possono essere ripetute quasi tutte le considerazioni fatte in precedenza
76 LEZIONE 20. INTRODUZIONE AI SISTEMI DI CONTROLLO

a proposito del progetto C(s) e in particolare quelle relative alle cancellazioni, alla realizzabilità e alla
scarsa robustezza di una soluzione di questo genere. Anche qui per esempio una qualunque incertezza
sul vero valore delle funzioni di trasferimento G(s) e H(s) si riflette in un inevitabile allontanamento
dalla prestazione ideale.

20.3 Modulo 3: Sistemi di controllo in anello chiuso


Concludiamo questa lezione impostando lo studio dei sistemi di controllo in anello chiuso, che per
le ragioni ripetutamente ricordate sono quelli più frequentemente utilizzati nelle applicazioni pratiche.
Consideriamo dunque un generico schema in anello chiuso dove altre al controllore C e al processo P da
controllare sono presenti l’attuatore A e il trasduttore T , necessari, come sappiamo, per far interagire
il controllore con il mondo esterno.
d

w u m y
C A P

ym T

Anche in questo caso supporremo che gli unici disturbi presenti agiscano solo sul sistema da controllare,
trascureremo cioè per ora l’effetto di eventuali disturbi su attuatore e trasduttore. Vedremo poi in una
successiva lezione come tenerne conto se fossero presenti.
Se ora supponiamo, come abbiamo già fatto per i sistemi in anello aperto, che tutti i componenti
siano descritti da modelli lineari, possiamo fornire una rappresentazione dell’intero sistema attraverso
lo schema a blocchi mostrato in figura, dove si è ipotizzato che l’azione del controllore sia basata
sull’errore, cioè sulla differenza tra il segnale di riferimento e la variabile controllata.
d
G(s) = A(s)P (s)

H(s)

w wm + em u m +y
T (s) C(s) A(s) P (s)
− +

ym T (s)

In questo schema C(s) rappresenta quindi la legge di controllo, cioè il legame tra l’errore misurato
em e la variabile di controllo u, A(s) e T (s) sono le funzioni di trasferimento rispettivamente dell’at-
tuatore e del trasduttore, mentre P (s) e H(s) descrivono, come in precedenza, l’effetto della variabile
manipolabile m e del disturbo d sulla variabile controllata y.
Si ricordi che il blocco con funzione di trasferimento T (s) e alimentato dal segnale di riferimento w
viene qui introdotto per scopi di coerenza concettuale, anche se non corrisponde a nessun dispositivo
fisico. Serve soltanto a fare in modo che nel nodo sommatore vengano confrontate due grandezze – wm
e ym , dimensionalmente omogenee tra di loro. Data la sua natura di trasduttore puramente fittizio, è
naturale ipotizzare che abbia la stessa funzione di trasferimento T (s) del trasduttore vero, cioè quello
posto sulla linea di retroazione.
Cerchiamo ora di semplificare questo schema a blocchi per arrivare a uno schema equivalente più
compatto. Osserviamo dapprima che la serie di A(s) e P (s) può essere sostituita da un unico blocco
con funzioni di trasferimento G(s) = A(s)P (s), che spesso d’ora in poi chiameremo, con un leggero
abuso di linguaggio, la funzione di trasferimento del sistema sotto controllo.
20.3. MODULO 3: SISTEMI DI CONTROLLO IN ANELLO CHIUSO 77

H(s)

w wm + em u +y
T (s) C(s) G(s)
− +

ym T (s)

Una seconda semplificazione riguarda invece lo spostamento dei due blocchi contrassegnati con T (s)
a valle del nodo di confronto. Si osservi a questo proposito che la variabile em , cioè l’ingresso al
controllore, rappresenta l’errore misurato o errore apparente, mentre sarebbe interessante evidenziare
nello schema anche l’errore effettivo e cioè la differenza w −y. Per farlo basta osservare che, ragionando
in termini di trasformate, l’errore apparente, Em (s), è la differenza tra Wm (s) e Ym (s) ma questi segnali
sono le uscite di due sistemi con la stessa funzione di trasferimento, T (s), e alimentati rispettivamente
da w e da y. Si ricava quindi che l’errore apparente e emme di esse è dato dal prodotto

Em (s) = Wm (s) − Ym (s) = T (s) (W (s) − Y (s))


| {z } | {z }
errore errore effettivo
apparente

dove la differenza in parentesi coincide con l’errore effettivo. Grazie a questa considerazione è immediato
verificare che lo schema a blocchi può essere equivalentemente ridisegnato come qui mostrato

H(s)

w + e em u +y
T (s) C(s) G(s)
− +
ym

L’errore effettivo e viene ottenuto dal confronto tra w e y e l’ingresso al blocco T (s), che ha come uscita
l’errore apparente, em . Rispetto al precedente questo schema ha il vantaggio di non presentare alcun
blocco sulla linea di retroazione ovvero, come si dice, rappresenta un sistema a retroazione unitaria.
Almeno finché ci occuperemo di problemi di analisi e non di progetto potremmo fare riferimento a
uno schema ulteriormente semplificato, nel quale le tre funzioni di trasferimento, T (s), C(s) e G(s),
vengono accorpate in un unico blocco che ovviamente ha una funzione di trasferimento L(s) uguale al
prodotto delle tre

L(s) = T (s)C(s)G(s)

H(s)

w + e +y
L(s)
− +
ym

Vedremo che questa funzione di trasferimento L(s) gioca un ruolo di estrema importanza nel determi-
nare le proprietà del sistema di controllo. Poiché essa è data dal prodotto di tutte le funzioni lungo
78 LEZIONE 20. INTRODUZIONE AI SISTEMI DI CONTROLLO

l’anello di retroazione, L(s) viene chiamata funzione di trasferimento d’anello o semplicemente funzione
d’anello.
Sotto le ipotesi fatte e grazie a tutta questa serie di semplificazioni, siamo così arrivati a descrivere
sinteticamente un generico sistema di controllo in anello chiuso mediante questo semplice schema a
blocchi, che costituirà il nostro schema di riferimento nel seguito della trattazione. In particolare da
esso possiamo ricavare le due funzioni di trasferimento più importanti per caratterizzare le prestazioni
di un sistema di controllo e cioè la funzione di trasferimento tra il riferimento w e la variabile controllata
y e quella tra il disturbo d e y.
Ricordando le regole di elaborazione degli schemi a blocchi nel caso di sistemi retroazionati otteniamo
che
Y (s) L(s)
= =⇒ ∼ 1 “passa-tutto”
W (s) 1 + L(s)
Y (s) H(s)
= =⇒ ∼ 0 “passa-niente”
D(s) 1 + L(s)

A titolo di riferimento indichiamo quali dovrebbero essere le prestazioni ideali per un sistema di control-
lo. La funzione di trasferimento tra riferimento e uscita dovrebbe comportarsi come un filtro passatutto,
con guadagno uguale a 1 , mentre quella tra disturbo e uscita dovrebbe risultare idealmente nulla.
Si nota subito che nessuno di questi due obiettivi può essere in pratica raggiunto, visto che la prima
L(s) H(s)
frazione, 1+L(s) , non potrà mai essere uguale a 1 e la seconda, 1+L(s) , è nulla solo quando è nulla H(s),
cioè quando il disturbo non influenza l’uscita y nemmeno in anello aperto.
Ciononostante queste prestazioni ideali torneranno utili almeno come punto di riferimento quando
discuteremo delle prestazioni effettivamente ottenibili con un sistema di questo tipo. Vedremo ad
esempio che in molti casi ci si potrà accontentare di avere una funzione di trasferimento tra w e y che,
anziché come un passatutto ideale, si comporti come un filtro passabasso, con guadagno unitario e con
una banda passante sufficientemente ampia. Nelle successive lezioni ci occuperemo proprio dell’analisi
di un sistema retroazionato descritto da questo schema standard.
Due sono le principali questioni su cui concentreremo l’attenzione.
• La prima è lo studio dell’asintotica stabilità, che, come sappiamo, è una proprietà niente affatto
scontata in un sistema che contiene una retroazione e d’altra parte è fondamentale per ogni
sistema di controllo. Dallo schema a blocchi si osserva che poiché il blocco H(s) non fa parte
dell’anello, lo studio della stabilità può essere ricondotto allo studio della stabilità di H(s), che
L(s)
è banale, e a quello ben più complicato della stabilità della funzione di trasferimento 1+L(s)
• In secondo luogo cercheremo di valutare le prestazioni del sistema di controllo principalmente
attraverso lo studio delle due funzioni di trasferimento Y (s)/W (s) e Y (s)/D(s) che abbiamo
appena ricavato.
Lezione 21

Stabilità di sistemi retroazionati

21.1 Modulo 1: Introduzione e diagramma di Nyquist


Come sappiamo, l’asintotica stabilità per un sistema di controllo è una proprietà di fondamentale
importanza. Un sistema di controllo instabile è assolutamente inutilizzabile perché risulterebbe troppo
sensibile all’effetto di perturbazioni sullo stato iniziale, d’altra parte l’analisi della stabilità di un
sistema che contiene un anello chiuso è tutt’altro che banale. Sappiamo per esempio che un sistema
retroazionato può risultare instabile anche quando tutti i suoi componenti, presi singolarmente, sono
asintoticamente stabili.
Questo è il motivo per cui dedicheremo ampio spazio all’analisi della stabilità dei sistemi retroazionati.
Siccome in un sistema in anello chiuso la stabilità degli eventuali blocchi esterni all’anello, cioè quelli
che non sono coinvolti nella retroazione è immediata da giudicare, basta verificare che i loro poli cadano
tutti nel semipiano sinistro, e poiché inoltre la stabilità di un sistema lineare non dipende dal particolare
ingresso considerato, potremmo far riferimento per lo studio della stabilità allo schema semplificato
qui mostrato
w + y
L(s)

ym

dove l’unico ingresso è costituito dal segnale di riferimento w e la funzione L(s) come sappiamo, è
chiamata funzione d’anello. Supporremo inoltre che L(s) sia una funzione razionale, esprimibile cioè
come rapporto tra un polinomio N (s) al numeratore e un polinomio D(s)al denominatore
N (s)
L(s) =
D(s)
La stabilità di questo sistema dipende dalla posizione dei poli in anello chiuso, cioè dei poli della
funzione di trasferimento tra w e y. Come sappiamo questa funzione, che indichiamo con F (s), è data
da
Y (s) L(s) N (s)
= F (s) = =
W (s) 1 + L(s) N (s) + D(s)
dove nell’ultimo passaggio si è sostituita ad L(s) la sua espressione in termini di N (s) e D(s) ed
eliminato il denominatore comune. Il polinomio al denominatore N (s) + D(s) è dunque il polinomio
caratteristico in anello chiuso e le sue radici sono i poli da cui dipende la stabilità. Avremo quindi
asintotica stabilità del sistema retroazionato se e solo se tutte le radici del polinomio d più enne hanno
parte reale negativa. Si tratta allora di calcolare queste radici oppure, nel caso che il calcolo non
sia agevole, di applicare qualcuno dei criteri di stabilità che già conosciamo e basati sullo studio dei
coefficienti del polinomio caratteristico, come ad esempio il criterio di Routh.

79
80 LEZIONE 21. STABILITÀ DI SISTEMI RETROAZIONATI

Si potrebbe allora ritenere chiuso, con queste considerazioni, il discorso sulla stabilità di un sistema
retroazionato, se non fosse per un aspetto problematico di questo modo di procedere. Il metodo che
abbiamo appena visto per verificare la stabilità di un sistema in anello chiuso non permette in modo
immediato di capire come si modificano le proprietà d stabilità al variare della funzione d’anello.
Ad esempio: cosa succede se si aggiunge un polo a L(s) oppure se si modifica il suo guadagno? Come
si può intuire ottenere risposte semplici a domande di questo tipo è particolarmente importante non
tanto nell’analisi, quanto nella sintesi dei sistemi di controllo, quando cioè diventa importante valutare
come la proprietà di stabilità dipenda dalle scelte del progettista sulla funzione di trasferimento del
regolatore, che, come sappiamo, è uno dei fattori della funzione d’anello.
Andremo quindi alla ricerca di altri criteri di stabilità per sistemi retroazionati che siano più diretta-
mente collegati alle caratteristiche della funzione d’anello. Il più noto di questi criteri va sotto il nome
di criterio di Nyquist e richiede per la sua applicazione alcune definizioni preliminari.

21.1.1 Diagramma di Nyquist


Definizione 21.1 (Diagramma di Nyquist)
Data una funzione di trasferimento L(s), chiamiamo diagramma di Nyquist, e lo indichiamo con il
simbolo Γ, il grafico nel piamo complesso della funzione L(jω) per −∞ < ω < ∞. Per convenzione
di fissa su tale curva un senso di percorrenza orientato secondo i valori di ω crescenti.

La funzione L(jω) è una nostra vecchia conoscenza, infatti quando omega assume valori positivi L(jω)
è la risposta in frequenza associata a L(s) e il suo grafico nel piano complesso non è altro che quello
che abbiamo chiamato diagramma polare. In definitiva il diagramma polare rappresenta un pezzo del
diagramma di Nyquist, l’altro pezzo, cioè quello corrispondente a valori negativi di omega, si ricava
facilmente osservando che vale la seguente proprietà: per una funzione razionale L(s) è facile verificare
che

L(−jω) = L(jω)

dove L(jω) è il complesso coniugato di L(jω), e siccome nel piano complesso due numeri complessi
coniugati sono simmetrici rispetto all’asse reale, è immediato concludere che la parte di diagramma di
Nyquist associata a valori negativi di omega coincida con il simmetrico del diagramma polare rispetto
all’asse reale stesso.

Si osservi infine che i punti corrispondenti a ω = 0 e a ω = ±∞ sono in comune tra le due parti del
diagramma. Il diagramma di Nyquist completo è quindi in generale una curva chiusa e orientata con
un asse di simmetria orizzontale. Vedremo nel modulo successivo come si utilizza questo diagramma
per formulare un criterio di stabilità per sistemi retroazionati, per adesso vi presento solo un paio di
esempio di tracciamento.
21.1. MODULO 1: INTRODUZIONE E DIAGRAMMA DI NYQUIST 81

Esempio 21.1
Nel primo esempio consideriamo la funzione di trasferimento

100
L(s) =
(1 + s)3

È facile tracciare l’andamento qualitativo del diagramma polare della risposta in frequenza, basta osservare
che la presenza dei tre poli in −1 fa sì che il modulo sia decrescente mentre la fase diminuisce in maniera
monotona da 0◦ a −270◦ . Il grafico parte allora sull’asse reale, in corrispondenza del valore del guadagno,
cioè 100, e gira in senso orario fino ad arrivare nell’origine con tangente a −270◦ . Se completiamo questo
grafico con il suo simmetrico rispetto all’asse reale otteniamo il diagramma di Nyquist gamma.

Come si vede, gamma è una curva chiusa e orientata.

Esempio 21.2
Un secondo esempio ci permetterà ora di illustrare un’anomalia che si verifica quando L(s) possiede poli
sull’asse immaginario. Consideriamo per esempio la funzione di trasferimento
100
L(s) =
s(1 + s)

Sappiamo che il diagramma polare associato a L(s) parte dall’infinito, provenendo dal basso, e termina
nell’origine con tangente orizzontale. Questo tratto di curva corrisponde ai valori positivi di ω ∈ [0+ , +∞).
Il tratto corrispondente ai valori di ω ∈ (−∞, 0− ] è costituito dal simmetrico del precedente rispetto all’asse
reale.

Si nota allora che il grafico Γ avendo due rami che tendono all’infinito non è più una curva chiusa. Poiché,
come si vedrà, il fatto di avere a che fare con una curva chiusa sarà importante nella formulazione del criterio
di Nyquist, è opportuno immaginare che i due punti del grafico all’infinito, cioè quelli corrispondenti ai
valori di ω → 0− e ω → 0+ , siano tra di loro collegati con un arco di circonferenza di raggio infinitamente
grande. Per convenzione si assumerà che questo tratto di diagramma all’infinito, indicato a tratteggio
nel disegno, venga percorso in senso orario, cioè in questo caso abbracci tutto il semipiano destro. Non
approfondiamo qui il significato concettuale di questa convenzione, che adotteremo d’ora in poi in tutti
82 LEZIONE 21. STABILITÀ DI SISTEMI RETROAZIONATI

quei casi in cui il diagramma di Nyquist presenta rami che tendono all’infinito. È immediato riconoscere
che ciò può avvenire solo quando L(s) possiede poli nell’origine oppure poli puramente immaginari.

21.2 Modulo 2: Criterio di Nyquist


Nel modulo precedente abbiamo introdotto la definizione di diagramma di Nyquist. Ora vedremo come
il suo tracciamento possa essere utile per giudicare la stabilità di un sistema retroazionato. Il risultato
che vi presenterò viene chiamato criterio di Nyquist.

Teorema 21.1 (Criterio di Nyquist)


Consideriamo un sistema a retroazione negativa con funzione di trasferimento d’anello L(s)

w + y
L(s)

ym

Siano inoltre
Γ il diagramma di Nyquist associato a L(s)
N numero di giri antiorari di Γ intorno al punto −1
P numero di poli di L(s) con < > 0
Si può allora dimostrare il seguente risultato: condizione necessaria e sufficiente perché il sistema
retroazionato sia asintoticamente stabile è che
i) N sia ben definito
ii) N = P

Come si vede quindi il criterio di Nyquist permette di analizzare la stabilità di un sistema retroazio-
nato attraverso la verifica di una condizione di carattere geometrico che dipende direttamente dalle
caratteristiche della funzione d’anello L(s).
Osservazione 21.3
A proposito di questo enunciato, è opportuno fare una serie di osservazioni. Innanzitutto qual è il modo corretto
di valutare il numero N ? In un caso semplice come quello riportato in questa figura credo che non ci siano
dubbi sul fatto che la curva gamma non fa alcun giro intorno al punto −1, cioè N = 0

Per fare però un ragionamento di carattere generale, da utilizzare anche in casi più complicati conviene imma-
ginare di unire con un vettore il punto −1 a un generico punto sulla curva Γ e di contare quante rivoluzioni
su se stesso compie questo vettore quando la sua punta percorre un giro completo sul diagramma di Nyquist
Γ, seguendo ovviamente il verso delle frecce. È evidente che in questo caso il vettore oscilla un po’, ora in
senso orario, ora in senso antiorario, ma quando la punta del vettore è tornata, dopo un giro, alla posizione di
partenza non è avvenuta nessuna rotazione completa intorno al punto −1.
21.2. MODULO 2: CRITERIO DI NYQUIST 83

È perciò corretto dire che in questo risulta N = 0.


Se invece la situazione fosse quella illustrata in questo secondo esempio, se cioè il punto −1 cadesse all’interno
dell’occhiello formato dalla curva, il conteggio di N sarebbe ben diverso.

Il vettore spiccato da −1 e la cui punta sul diagramma percorre una sola volta l’intero diagramma di Nyquist
seguendo il verso delle frecce farebbe in tal caso due giri completi su se stesso, oltretutto in senso orario. Secondo
la convenzione adottata risulterebbe quindi N = −2.
Esiste poi una situazione particolare per cui N può non essere ben definito, ciò capita quando la curva gamma
passa dal punto −1. Il concetto di giri di una curva intorno a un punto che giace sulla curva stessa è in effetti
un concetto geometricamente mal posto.

Come si è visto dall’enunciato del criterio, il fatto che N sia ben definito è una condizione necessaria
per l’asintotica stabilità. Questa parte del teorema ammette una dimostrazione molto semplice.
Dimostrazione Si suppone infatti che N non sia ben definito ovvero che il diagramma di Nyquist
attraversi l’asse reale nel punto −1. Allora ∃ ω : L(jω) = −1, per cui risulta 1 + L(jω) = 0. Quindi
l’equazione 1 + L(s) ha una radice in s = jω per cui la funzione di trasferimento
L(s)
F (s) =
1 + L(s)
ha un polo puramente immaginario in s = jω. Questo naturalmente è sufficiente per concludere che
F (s) non è asintoticamente stabile, visto che non tutti i suoi poli hanno parte reale strettamente minore
84 LEZIONE 21. STABILITÀ DI SISTEMI RETROAZIONATI

di 0. Si è così dimostrato che la condizione N non ben definito implica la non asintotica stabilità del
sistema retroazionato.
Ovviamente la parte più importante della dimostrazione del criterio di Nyquist è quella nella quale si
mostra che quando N è ben definito la condizione N = P è equivalente all’asintotica stabilità. Noi
per semplicità non ci addentreremo nei passaggi di questa dimostrazione, può forse bastare dire che
essa si basa su alcune proprietà geometriche di cui godono le funzioni razionali complesse di variabile
complessa e rimandare chi fosse interessato ai dettagli alla consultazione di un qualunque testo di
controlli automatici.
Possiamo però per lo meno fornire una giustificazione intuitiva del criterio almeno nel caso che sia
P = 0, cioè che la funzione L(s) non abbia poli nel semipiano destro. In tal caso la condizione
del criterio si riduce a verificare che il diagramma di Nyquist associato a L non faccia alcun giro
intorno al punto −1. Quanto ora vedremo non ha nessun pretesa di rigore teorico ma vuol essere solo
un’interpretazione intuitiva del risultato enunciato dal criterio.

Supponiamo allora che il diagramma di Nyquist di L(s) attraversi il semiasse reale negativo in un
punto di ascissa −σ. Ancora una volta, ricordando il significato di Γ, ciò vuol dire che per un certo
valore ω risulta

|L(jω)| = σ, ]L(jω) = −180◦

Immaginiamo ora di applicare al sistema un riferimento w nullo e di essere in grado di aprire, per così
dire, l’anello e di poter applicare in ingresso a L(s) il segnale u∗ (t) = sen(ωt), proprio alla pulsazione
ω prima individuata

w=0 + u(t) u∗ (t) y


L(s)

Grazie al teorema della risposta in frequenza possiamo allora calcolare l’andamento dell’uscita y. Esso
sarà una sinusoide con la medesima pulsazione, amplificata di un fattore σ e sfasata di −180◦

y(t) = |L(jω)|σ sen(ωt + ]L(jω)) = σ sen(ωt − 180◦ ) = −σ sen(ωt)

Ora, il segnale u∗ (t) a monte dell’apertura fittizia dell’anello coincide con y cambiata di segno, per cui
risulta u∗ (t) = σ sen(ωt). Possono ora presentarsi vari casi:
σ > 1 L’esito del nostro esperimento fittizio mostra che la sinusoide originariamente iniettata in u si
ripresenta in u∗ con la stessa fase ma amplificata di un fattore maggiore di 1. Questo sembra
essere intuitivamente un sintomo di instabilità perché il sistema in anello chiuso ha una tendenza
ad amplificare le sinusoidi a pulsazioni ω.
21.5. MODULO 3: ESTENSIONI DEL CRITERIO DI NYQUIST 85

σ < 1 Viceversa quando σ < 1 sembra di poter concludere che il sistema è portato naturalmen-
te ad attenuare l’insorgenza di oscillazioni e presenta quindi un comportamento da sistema
asintoticamente stabile.
σ = 1 Nel caso infine che sia σ = 1, u∗ (t) risulta identica a u(t) e sarebbe quindi possibile riattaccare
i due lembi del taglio effettuato nell’anello senza produrre alcuna perturbazione e generando un
sistema in anello chiuso capace di autosostenere, anche in assenza di ingressi, un’oscillazione di
pulsazione ω. Questo è un comportamento tipico dei sistemi semplicemente stabili, cioè stabili
ma non asintoticamente.
Se adesso ritorniamo sul grafico, ci accorgiamo che la condizione σ > 1 implica che il punto −1 cada
all’interno della curva e la condizione σ < 1 implica invece che il punto −1 stia alla sinistra di −σ
e non venga perciò circondata da Γ. Nel primo caso avremo dunque N 6= P , che è 0, e nel secondo
n = P , che sono proprio le condizioni sufficienti per l’instabilità e per l’asintotica stabilità che derivano
dal criterio di Nyquist. Infine il caso σ = 1 corrisponde alla situazione già considerata in precedenza
in cui N non è ben definito.
A conclusione di questa serie di osservazioni sul criterio di Nyquist può valere la pena di notare che
alla luce dell’enunciato il fatto che N risulti negativo, cioè il fatto che il diagramma di Nyquist compia
giri in senso orario intorno al punto meno −1, è già di per sé sufficiente per affermare che il sistema
non è asintoticamente stabile. Il motivo è semplice: infatti il criterio afferma che per avere asintotica
stabilità deve essere N = P ma P è un numero intrinsecamente positivo o nullo, perché rappresenta
il numero di poli di L(s) con parte reale strettamente positiva, quindi quando N < 0 è sicuramente
N 6= P e la condizione del criterio è quindi certamente violata.

21.5 Modulo 3: Estensioni del criterio di Nyquist


Discuteremo ora alcune estensioni e varianti del criterio di Nyquist.

Prima estensione del Criterio di Nyquist La prima estensione riguarda l’analisi della stabilità
per un sistema retroazionato in cui la funzione d’anello L(s) contiene un parametro moltiplicativo
reale, k, rispetto al quale si vuole discutere la stabilità.
Si assuma dunque che il sistema sia quello descritto in figura, dove G(s) è una funzione di trasferimento
nota e k è una costante reale.
L(s) = kG(s)
w + y
k G(s)

Siano allora
ΓL Diagramma di Nyquist associato a L(s)
NL Numero di giri antiorari di ΓL attorno a −1
PL Numero di poli di L(s) con < > 0
Utilizzando la formulazione che già conosciamo del criterio di Nyquist possiamo affermare che per un
dato k condizione necessaria e sufficiente perché il sistema sia asintoticamente stabile è che NL sia ben
definito e NL = PL . Se volessimo però discutere la stabilità al variare di k dovremmo verificare la
condizione del criterio per tutta una famiglia di curve parametriche in k e cioè per tutti il diagramma
di Nyquist associati a kG(s).
C’è invece un modo più astuto di operare: basta osservare che tutti questi diagrammi si ottengono da
quello di G(s) semplicemente attraverso un fattore di scala, k, che ne modifica la dimensione senza
86 LEZIONE 21. STABILITÀ DI SISTEMI RETROAZIONATI

alterarne la forma. Perciò è immediato dedurre che il numero di giri che il diagramma di Nyquist
associato a kG(s) compie intorno a −1 è uguale al numero di giri che il diagramma di Nyquist di G(s)
compie intorno al punto −1/k.
Si noti inoltre che i poli di L(s) coincidono con i poli di G(s) e quindi anche il numero degli eventuali poli
con parte reale positiva non cambia al variare di k. Grazie a queste osservazioni si può allora riformulare
il criterio in modo equivalente basandosi sul tracciamento di un unico diagramma di Nyquist, cioè quello
di G(s) e cambiando di volta in volta il punto intorno al quale si effettua il conteggio dei giri.
Precisamente è semplice dimostrare che, detto
Γ Diagramma di Nyquist associato a G(s)
N Numero di giri antiorari di Γ attorno a − k1
P Numero di poli di G(s) con < > 0
il sistema risulta asintoticamente stabile se e solo se N è ben definito e uguale a P .

Seconda estensione del Criterio di Nyquist Una seconda estensione riguarda il caso di un
sistema retroazionato costituito da due blocchi: uno chiamato G1 (s) sulla linea di andata e un altro
chiamato G2 (s) sulla linea di retroazione.
w + y
G1 (s)

ym G2 (s)

Proviamo a calcolare anche in questo caso la funzione di trasferimento tra l’ingresso w e l’uscita y,
indicata ancora con F (s). Usando le consuete regole per i sistemi retroazionati risulta

Y (s) G1 (s)
= F (s) =
W (s) 1 + G1 (s)G2 (s)

I poli del sistema in anello chiuso sono dunque le radici dell’equazione

1 + G1 (s)G2 (s) = 0

pertanto se indichiamo con L(s) il prodotto G1 (s)G2 (s) siamo ricondotti a considerare esattamente
il problema già noto. In altri termini: per valutare la stabilità di un sistema retroazionato quello
che conta è solamente la funzione d’anello, cioè il prodotto di tutte le funzioni di trasferimento lungo
l’anello e non la dislocazione dei vari blocchi sulla linea di andata o sulla linea di retroazione.

Terza estensione del Criterio di Nyquist Finora abbiamo preso in esame solo schemi con re-
troazione negativa. Come dobbiamo comportarci invece di fronte a un sistema in anello chiuso con
retroazione positiva, nel quale cioè l’uscita y entra nel nodo sommatore con il segno − anziché −?
Retroazione positiva Retroazione negativa
w + y w + y
L∗ (s) L∗ (s)
+ −
⇐⇒

−1

La risposta è molto semplice, infatti lo schema di partenza nel quale la funzione di trasferimento sulla
linea di andata è stata indicata con elle asterisco è perfettamente equivalente a tutti gli effetti a quello
che si ottiene cambiando il segno della retroazione e inserendo un blocco con guadagno −1 sulla linea
21.5. MODULO 3: ESTENSIONI DEL CRITERIO DI NYQUIST 87

di retroazione. Ci siamo così ricondotti ad uno schema con retroazione negativa e funzione d’anello
pari a

L(s) = kL∗ (s), k = −1

Ricordando allora quanto abbiamo visto a proposito dello studio di funzioni d’anello che contengono
una costante moltiplicativa, siamo in grado di ricavare la variante del criterio di Nyquist valida per il
caso di retroazione positiva, precisamente con riferimento allo schema in figura definiamo con
Γ il diagramma di Nyquist associato a L∗ (s)
N numero di giri antiorari di Γ intorno al punto +1
P numero di poli di L∗ (s) con < > 0
A questo punto la condizione necessaria e sufficiente per l’asintotica stabilità è ancora formalmente la
solita e cioè che N sia ben definito e risulti inoltre N = P .

Quarta estensione del Criterio di Nyquist Da ultimo trattiamo il caso di un sistema retroazio-
nato contenente un ritardo di tempo

L(s) = e−sτ G(s)


w + y
e−sτ G(s)

In questa figura il blocco che rappresenta il ritardo, e−sτ , è posto sulla linea di andata, a monte di
G(s), ma, come abbiamo appena visto, la posizione lungo l’anello è irrilevante ai fini della stabilità.
Ciò che conta è che la funzione di trasferimento d’anello L(s) sia composta dal prodotto di e−sτ per
una funzione razionale G(s).
Bene, è possibile dimostrare che il criterio di Nyquist continua a valere anche in questo caso, pur di
fare alcune precisazioni.
- Innanzitutto per un sistema di questo genere, che non contiene solo funzioni di trasferimento
razionali, non ha più senso parlare in senso stretto di asintotica stabilità e di poli in anello
chiuso. Si dovrà invece fare riferimento al concetto di stabilità esterna o stabilità BIBO.
- Inoltre mentre il diagramma di Nyquist da tracciare è quello dell’intera funzione d’anello L(s),
che contiene come suo fattore il ritardo, nel computo di P vanno presi in considerazione solo i
poli della parte razionale di L(s), cioè i poli di G(s)
Per il resto l’enunciato del criterio rimane inalterato. Siano allora
Γ Diagramma di Nyquist di L(s)
N Numero di giri antiorari di Γ(s) attorno al punto −1
P Numeri di poli di G(s) con < > 0.
si avrà stabilità (esterna o BIBO) del sistema se e solo se il diagramma di Nyquist associato a L(s)
compie intorno al punto −1 (oppure +1 nel caso di retrazione positiva), un numero ben definito N di
giri che eguaglia il numero P di poli di G(s) nel semipiano destro.
Va sottolineato il fatto che la presenza di un ritardo di tempo all’interno di un sistema in anello chiuso
ha di solito un effetto destabilizzante, infatti la deformazione indotta sul diagramma di Nyquist di L(s)
dalla presenza di un ritardo che, come sappiamo, genera una sorta di attorcigliamento a spirale del
diagramma intorno all’origine, può portare facilmente alla violazione della condizione del criterio di
Nyquist. Questo effetto deformante poi è tanto più consistente quanto maggiore è l’entità del ritardo.
Avremo modi di discutere in dettaglio tutto ciò in uno degli esercizi della prossima piazzola.
Lezione 22

Stabilità Robusta

22.1 Modulo 1: Indicatore di stabilità robusta


Tratteremo in questa lezione il tema della stabilità robusta. Vi ho già spiegato che quando si usa questo
termine "robustezza", associato a una qualsiasi proprietà, ci si riferisce alla possibilità di garantire che
tale proprietà sia verificata non solo in condizioni ideali ma anche quando la realtà si comporta un
po’ diversamente da come abbiamo immaginato, cioè anche in presenza di incertezza sul modello del
sistema. Nei sistemi di controllo la proprietà principale di cui non si può fare a meno è quella di
stabilità. Ecco perché è importante progettare sistemi robustamente stabili, capaci cioè di assicurare
in qualche misura la stabilità anche in presenza di incertezza.

Sposteremo quindi l’attenzione dallo studio della stabilità per sistemi retroazionati perfettamente noti,
come abbiamo fatto finora, allo studio della stabilità di sistemi retroazionati incerti o almeno parzial-
mente incerti. Adotteremo a tale scopo il seguente punto di vista: da un lato consideriamo un modello
di sistema retroazionato in cui la funzione d’anello L(s) è perfettamente nota; dall’altro immaginiamo
che il sistema reale si comporti in maniera diversa, secondo un modello che chiameremo il modello
vero o modello perturbato, nel quale la funzione d’anello L(s)
e è incerta e in generale diversa dalla L(s)
nominale.

Modello nominale Modello perturbato


w + y w + y
L(s) L(s)
e
− −

In generale L(s)
e 6= L(s)

Diremo che un sistema gode della proprietà di stabilità robusta quando non solo il sistema è stabile in
condizioni nominali ma rimane stabile per tutte le L(s)
e appartenenti a una data famiglia in un intorno
della funzione d’anello nominale.

C’è dunque una garanzia di stabilità anche per certe perturbazioni, per loro natura incerte, del modello
vero rispetto a quello nominale. Per discutere al proprietà di robustezza è necessario fare delle ipotesi
su quali possano essere gli scostamenti della funzione d’anello vero, cioè L(s),
e da quella nominale,
L(s), ovvero è necessario introdurre un modello dell’incertezza, dare cioè una descrizione del tipo di
incertezza che grava sul sistema. Si noti che questo non significa assumere di conoscere il sistema vero,
quanto piuttosto limitare il campo delle perturbazioni ammissibili.

- Un modo tipico di caratterizzare l’incertezza è per esempio quello di ipotizzare che la funzione
d’anello vero, cioè L(s),
e sia data dal valore nominale L(s) più una perturbazione ∆L ignota ma

88
22.1. MODULO 1: INDICATORE DI STABILITÀ ROBUSTA 89

limitata in modulo, tale cioè che


L(s)
e = L(s) + δL(s) |δL(jω)| ≤ ∆

Ragionando sul diagramma polare della risposta in frequenza ciò significa assumere che il punto
L(jω)
e corrispondente a una data pulsazione ω invece che trovarsi sulla curva nominale qui indicata
possa trovarsi in un punto qualsiasi all’interno della circonferenza di raggio ∆ e centrata sul
punto nominale. Ripetendo questa costruzione grafica per ogni punto appartenente al diagramma
nominale si individua così una regione nel piano complesso all’interno della quale dovrà giacere
il diagramma polare vero, cioè quello associato a L(s).
e

- Il modello dell’incertezza dipende ovviamente dal tipo di informazioni a priori che si hanno sul
comportamento del sistema, ci possono ad esempio essere casi in cui tutta l’incertezza è limitata
al valore del guadagno della funzione d’anello. In tal caso una scelta appropriata del modello
dell’incertezza è quella di assumere che L(s)
e = kL(s) dove kappa è un parametro incerto, ad
esempio confinato nell’intervallo [0, k]
L(s)
e = kL(s), 0≤k≤k

Una volta scelto un modello dell’incertezza si può trattare il tema della stabilità robusta secondo due
punti di vista differenti
- Da un lato se si suppone di conoscere l’ampiezza massima delle perturbazioni ammissibili, cioè
se in questi esempi si fissano i valori di ∆ oppure di k, può essere interessante ricavare condizioni
sotto le quali è assicurata la stabilità, non solo per il modello nominale ma anche per tutti
i modelli incerti ammissibili. Condizioni di questo tipo vengono di solito chiamate criteri di
stabilità robusta.
- Noi invece andremo alla ricerca dei cosiddetti indicatori di stabilità robusta, cioè parametri che
ci diano indicazioni sull’ampiezza del margine di sicurezza che si ha nei riguardi della proprietà di
stabilità una volta fissata una famiglia di modelli. Nei casi presi in esame di incertezza additiva
oppure di incertezza sul guadagno d’anello ci si potrebbe ad esempio chiedere: qual è il massimo
valore di ∆ oppure qual è il massimo valore di k per cui è garantita la stabilità per tutti i modelli
appartenenti a queste classi? Indicatori di questo genere sono molto utili per caratterizzare in
modo quantitativo la proprietà di robustezza.
Riassumendo, chiameremo indicatore di stabilità robusta un parametro che,una volta definita la famiglia
di perturbazioni ammissibili, ci dia una valutazione di qual è l’ampiezza massima delle perturbazioni
per cui è garantita la stabilità. In altri termini un indicatore di stabilità robusta misura la distanza del
modello nominale dall’instabilità.
Per proseguire ci conviene introdurre un paio di importanti ipotesi
1. La prima è ovvia: supporremo cioè di avere un sistema che in condizioni nominale è asintotica-
mente stabile.
2. In secondo luogo assumeremo per semplicità che la funzione d’anello L(s) non possieda poli con
< > 0. Sappiamo che in tal caso la condizione espressa dal criterio di Nyquist si riduce a chiedere
che il diagramma associato a L(s) non passi per il punto −1 e nemmeno lo circondi.
90 LEZIONE 22. STABILITÀ ROBUSTA

Questa situazione è quella illustrata nella figura, dove per comodità viene mostrata soltanto la parte
di diagramma di Nyquist corrispondenti a valori positivi di omega, cioè il diagramma polare.

Sappiamo poi che il diagramma di Nyquist si chiuderebbe lungo una curva simmetrica rispetto all’asse
reale. Il criterio di Nyquist, essendo espresso da una condizione di tipo geometrico, che ha a che fare
con la posizione reciproca di un punto e di una curva, ci suggerisce una maniera naturale di definire un
primo indicatore di stabilità robusta. Infatti è intuitivo che quanto più il diagramma di Nyquist sarà
distante dal punto −1, tanto maggiore sarà il margine di sicurezza rispetto a possibili perturbazione
della funzione d’anello.

Possiamo allora scegliere proprio la distanza geometrica del punto −1 dal diagramma di Nyquist
nominale per definire un indicatore di stabilità robusta che chiameremo margine si stabilità vettoriale
e denoteremo con il simbolo d.

Margine di stabilità vettoriale

d = distanza di Γ dal punto −1


d = min|1 + L(jω)|
ω

È evidente che quando questa distanza è elevata la possibilità che il sistema retroazionato diventi
instabile a causa di uno scostamento del modello vero da quello nominale è molto remota, perché ben
difficilmente il diagramma di Nyquist perturbato si deformerà a tal punto da finire per circondare
il punto −1. Quando invece d è piccolo la situazione è molto più critica, in quanto anche piccole
perturbazioni possono portare a violare la condizione del criterio di Nyquist. Valutare d ci dà quindi
informazioni sulla robustezza della stabilità.

Vediamo adesso come si può calcolare d. Se colleghiamo il punto −1 ad un generico punto sulla curva
gamma, la lunghezza del segmento risultante è pari a |1 + L(jω)|; la distanza d è poi per definizione il
minimo di questa lunghezza al variare di ω, perciò d si può valutare determinando

d = min|1 + L(jω)|
ω

Purtroppo questo indicatore di robustezza che appare del tutto naturale presenta un inconveniente
non da poco e cioè esso non è direttamente ricavabile dai diagrammi di Bode associati alla funzione
d’anello L(s) e questo è il motivo per cui nel seguito della lezione introdurremo altri indicatori di
stabilità robusta che sostituiscono in un certo senso il margine di stabilità vettoriale d ma la cui
valutazione è particolarmente semplice a partire dai diagrammi di Bode di L(s).
22.2. MODULO 2: MARGINE DI GUADAGNO E MARGINE DI FASE 91

22.2 Modulo 2: Margine di guadagno e margine di fase


Introdurremo in questo modulo due importanti indicatori di stabilità robusta, chiamati rispettivamente
margine di guadagno e margine di fase.

Margine di Guadagno Cominciamo dal margine di guadagno. Assumendo che il diagramma polare
associato alla funzione d’anello abbia un aspetto del tipo di quello mostrato nella figura, si indichi con
a la sua intersezione con il semiasse reale negativo.

Margine di guadagno
1
km =
a
]L(jωπ ) = −180◦
1
km = = −|L(jωπ )|dB
|L(jωπ )|

È evidente che misurare la distanza di a dal punto −1 è un altro modo per valutare la distanza del
sistema dall’instabilità, cioè per caratterizzare la sua robustezza.
Se indichiamo con xa la distanza del punto a dall’origine, il margine di guadagno km è definito come
l’inverso di xa . Quando km è elevato il sistema presenta un buon grado di robustezza, perché a è
lontano da −1. Quando a si avvicina invece al punto critico −1 il margine di guadagno, km , tende a
diventare 1.
Prima di discutere il significato concettuale di questo parametro km si noti che il suo calcolo è immediato
a partire dalla conoscenza di modulo e fase della risposta in frequenza della funzione d’anello. Infatti
il punto a corrisponde al valore della pulsazione ω, chiamiamolo ωπ , per il quale

]L(jω) = −180◦

km viene poi ottenuto prendendo l’inverso di xa , cioè calcolando l’inverso del modulo a quella pulsazione
1 1
km = = = −|L(jωπ )|dB
a |L(jωπ )|
Si noti che sui diagrammi di Bode, dove si usano i dB, l’operazione di inversione corrisponde a un
semplice cambio di segno.
L’interpretazione concettuale del margine di guadagno come indicatore di robustezza è assai facile.
Consideriamo infatti un sistema retroazionato che in condizioni normali sia asintoticamente stabile;
nelle ipotesi fatte il margine di guadagno km associato deve risultare maggiore di 1.
modello nominale modello “vero”
w + y w + y
L(s) k L(s)
− −

km > 1 asintoticamente stabile


0 < k < km

Assumiamo poi che il sistema vero possieda una funzione d’anello che è pari a L(s) moltiplicata per
una costante k e chiediamoci per uguali valori di k questo modello perturbato rimane stabile. Poiché
il diagramma di Nyquist di kL(s) si ottiene da quello di L(s) amplificandolo di un fattore di scala, k,
è immediato riconoscere che il sistema rimane asintoticamente stabile per tutti i valori 0 < k < km .
92 LEZIONE 22. STABILITÀ ROBUSTA

Quando infatti si applica un fattore di scala pari proprio a km il punto a va a coincidere con il punto
critico −1 e il criterio di Nyquist ci segnala che l’asintotica stabilità è perduta. In conclusione il valore
km rappresenta il massimo valore di k per cui il sistema perturbato rimane stabile e quindi rappresenta
un indicatore di robustezza rispetto a incertezze sul guadagno della funzione d’anello.
Ciò motiva tra l’altro il nome che gli abbiamo attribuito: margine di guadagno. Valori elevati di km
implicano un’ottima robustezza rispetto a variazioni del guadagno d’anello, valori invece prossimi a 1
stanno a indicare che il sistema è sì nominalmente stabile ma molto vicino all’instabilità.

Margine di Fase Se il margine di guadagno caratterizza la robustezza in termini di variazioni del


modulo della funzione d’anello il margine di fase, che ora introdurremo, caratterizza invece la robustezza
rispetto a variazioni della fase.

ωc ⇒ pulsazione critica
ϕc ⇒ fase critica
|L(jωc )| = 1
ϕc = ]L(jωc )

Margine di fase

ϕm = 180◦ − |ϕc |

La sua definizione può essere data in questo modo: consideriamo l’intersezione del diagramma polare di
L(s) con la circonferenza di raggio unitario e centro nell’origine. Una volta individuato questo punto c,
la distanza di c dal punto −1 è a buon diritto un altro parametro che può essere utilizzato per valutare
la robustezza.
Chiamiamo allora ωc la pulsazione relativa al punto C; essa viene detta pulsazione critica e corrisponde
ovviamente alla pulsazione in cui il modulo di L(jω) è unitario.
|L(jωc )| = 1
L’angolo ϕc in figura è detto fase critica e può essere calcolato come
ϕc = ]L(jωc )

Infine il margine di fase ϕm è definito come l’angolo formato dalla congiungente di C con l’origine
e il semiasse reale negativo. È immediato osservare che esso è l’angolo supplementare di ϕc o più
precisamente si ottiene come differenza tra 180 gradi e il valore assoluto di ϕc
ϕm = 180◦ − |ϕc |
Va notato che di solito ϕm viene espresso in gradi.
Per dare un significato più preciso a ϕm si consideri un modello nominale asintoticamente stabile e si
osservi preliminarmente che nelle ipotesi fatte il margine di fase deve essere positivo.
modello nominale modello “vero”
w + y w + y
L(s) e−sτ L(s)
− −

ϕm > 0◦ asintoticamente stabile


π
ωc τ < ϕm
180◦
22.2. MODULO 2: MARGINE DI GUADAGNO E MARGINE DI FASE 93

Come modello perturbato assumiamo che nella retroazione sia presente oltre alla funzione d’anello no-
minale elle anche un ritardo di tempo con funzione di trasferimento e−sτ . Come sappiamo, la presenza
del ritardo introduce uno sfasamento negativo che deforma il diagramma di Nyquist, precisamente ogni
punto sul diagramma di elle subisce una rotazione in senso orario pari a ωτ radianti.

Il punto C che sta sulla circonferenza subirà quindi una rotazione uguale a ωc τ . Fintanto che tale
rotazione è inferiore al margine di fase il diagramma di Nyquist non circonda il punto −1 e quindi
anche il sistema perturbato è stabile. Quando però la rotazione uguaglia il margine di fase, il punto
C va a coincidere con −1 e per rotazioni più ampie il diagramma circonda il punto −1 e il sistema
diventa instabile.

In definitiva il sistema perturbato è asintoticamente stabile finché è soddisfatta la disuguaglianza

π
ωc τ < ϕm
180◦

Il fattore di conversione π
180◦ è necessario per trasformare i gradi in radianti. Risolvendo rispetto a τ

ϕm π
τ<
ωc 180◦

si nota quindi che al crescere del margine di fase ϕm aumenta anche il valore del ritardo τ che desta-
bilizza il sistema; più ϕm è elevato più il sistema è robusto rispetto alla presenza di eventuali ritardi
aggiuntivi nella funzione d’anello. Si può quindi affermare che ϕm è un indicatore di robustezza rispetto
a incertezze sul ritardo d’anello.

A proposito del margine di guadagno e del margine di fase, vorrei ora discutere due casi limite
particolarmente interessanti.

1. Il primo si verifica quando il diagramma polare di L(s) non attraversa il semiasse reale negativo.

Margine di guadagno

km = ∞
|]L(jω)| < 180◦ , ∀ω

La costruzione geometrica necessaria per valutare il margine di guadagno, km , sembra perdere


senso in questo caso visto che il punto a di intersezione con l’asse reale si sposta nell’origine.

È comunque corretto affermare che in una situazione di questo tipo il margine di guadagno è
infinito, cioè il sistema è infinitamente robusto rispetto a variazioni del guadagno d’anello. Infatti
per quanto si ingrandisca il diagramma di Nyquist il punto −1 non cadrà mai all’interno della
curva. Una situazione del tipo considerato si verifica tutte le volte che

|]L(jω)| < 180◦ ∀ω

2. Un secondo caso interessante si presenta quando il diagramma di Nyquist risulta interamente


contenuto all’interno della circonferenza unitaria.
94 LEZIONE 22. STABILITÀ ROBUSTA

Margine di fase

ϕm = ∞
|L(jω)| < 1, ∀ω

Nonostante che la definizione rigorosa del margine di fase ϕm venga a cadere in questo caso,
perché non c’è nessuna intersezione tra la curva e la circonferenza, è lecito affermare che il sistema
possiede un margine di fase infinito, perché qualunque sfasamento aggiuntivo venga introdotto il
diagramma di Nyquist non sarà mai tale da circondare il punto −1 e quindi non si perderà mai
l’asintotica stabilità.

Un sistema di questo genere è quindi infinitamente robusto rispetto ad eventuali ritardi nella
funzione d’anello. Si osservi infine che la condizione perché ciò si verifichi è che

|L(jω)| < 1 ∀ω

o equivalentemente che il diagramma di Bode di |L(jω)| giace interamente al di sotto dell’asse


0 dB.

22.3 Modulo 3: Criterio di Bode


Abbiamo introdotto nel modulo precedente le definizioni di due importanti parametri utili per carat-
terizzare la robustezza della stabilità in un sistema in anello chiuso. Sono il margine di guadagno e il
margine di fase.

margine di guadagno ⇐⇒ km = −|L(jωπ )| ]L(jωπ ) = −180◦


margine di fase ⇐⇒ ϕm = 180◦ − |]L(jωc )| |L(jωc )| = 1

Nella figura viene ricordato il loro significato geometrico, in relazione al diagramma polare della funzione
d’anello L(s). Ma il pregio principale di questi due parametri è, come abbiamo già accennato, che il
loro valore è deducibile facilmente da una lettura combinata dei diagramma di Bode del modulo e della
fase associati a L(jω). Infatti il valore del margine di guadagno kappa emme si ottiene prendendo il
modulo in decibel cambiato di segno in corrispondenza della pulsazione ωπ in cui la fase vale −180◦ .

margine di guadagno ⇐⇒ km = −|L(jωπ )| ]L(jωπ ) = −180◦


22.3. MODULO 3: CRITERIO DI BODE 95

Invece il margine di fase è dato da


margine di fase ⇐⇒ ϕm = 180◦ − |]L(jωc )| |L(jωc )| = 1

Esempio 22.1
Vediamo allora su un esempio come si possono effettuare queste valutazioni.

Margine di guadagno
ωπ ∼
=5
km = 30 dB = 1030/20 ∼
= 32

Margine di fase
ωc ∼
= 0.8
ϕm = 58◦

In queste due figure sovrapposte vengono riportati i diagrammi di Bode del modulo e della fase di un’ipo-
tetica funzione L(jω). Iniziamo a considerare il margine di guadagno, dobbiamo dapprima individuare la
pulsazione ωπ in cui la fase raggiunge il valore −180◦ , nell’esempio risulta ωπ ∼
= 5.
In corrispondenza di questa pulsazione il modulo vale circa −30 dB e quindi il margine di guadagno
km = +30 dB, ovvero in termini assoluti 103/2 ∼ = 32. Ciò significa che il sistema rimarrebbe stabile anche
in presenza di variazioni del guadagno d’anello fino a un fattore moltiplicativo massimo, pari a circa 32.
Passiamo ora al margine di fase. L’intersezione del diagramma del modulo con l’asse a 0 dB individua la
pulsazione critica ωc ∼
= 0.8. In corrispondenza il diagramma della fase ci fornisce il valore della fase critica
ϕc , quello che resta per arrivare ai −180◦ è il margine di fase. Dalla figura risulta ϕm ∼ = 58◦ . Valori del
margine di fase intorno ai 60 sono da considerare già relativamente elevati, quindi il sistema ha un discreto

grado di robustezza anche nei confronti di variazioni di fase. Concludendo questo esempio possiamo ancora
una volta sottolineare quanto sia diretta la valutazione di km e di ϕm se si dispone di un tracciamento
preciso dei diagramma di Bode associati a L(s).

C’è anche da dire che alcune grandezze, come ad esempio la pulsazione critica, possono essere valutate
con sufficiente precisione anche a partire dai diagramma asintotici tracciati manualmente.

Criterio di Bode I margini di guadagno e di fase sono stati finora trattati puramente come indicatori
di stabilità robusta però pur di precisare meglio alcune ipotesi essi possono anche servire a formulare
criteri di stabilità per il sistema nominale, alternativi al criterio di Nyquist.
Uno di questi criteri è noto come il criterio di Bode ed è particolarmente interessante perché è molto
semplice da applicare. Vediamo di cosa si tratta. Consideriamo un sistema a retroazione negativa con
funzione d’anello data da L(s)
w + y
L(s)
− ϕm margine di fase
µ guadagno d’anello
96 LEZIONE 22. STABILITÀ ROBUSTA

Per poter applicare il criterio di Bode, di cui daremo tra poco l’enunciato, è necessario preliminarmente
verificare le due seguenti condizioni
i) prima di tutto elle di esse non deve avere poli con parte reale positiva, cioè con la nostra notazione
P =0

ii) poi il diagramma di Bode di |L(jω)| deve attraversare una sola volta l’asse a 0 dB; questa ipotesi
serve a garantire che la pulsazione critica ωc sia univocamente definita.
Sotto queste ipotesi il criterio di Bode afferma che il sistema retroazionato è asintoticamente stabile se
e solo se risultano
ϕm > 0 µ>0
dove µ è il guadagno della funzione d’anello.
La dimostrazione di questo risultato è immediata, perché si verifica facilmente che nelle ipotesi fatte
le due condizioni µ > 0 e ϕm > 0 sono equivalenti a richiedere che il diagramma di Nyquist di L(s)
non faccia giri intorno a −1; usando quindi il criterio di Nyquist risulta N = P = 0 e il sistema è
asintoticamente stabile.
Dai discorsi fatti a proposito del margine di fase dovrebbe essere evidente perché è necessario che ϕm
sia positivo, per evitare giri del diagramma di Nyquist intorno al punto −1. Forse appare meno chiaro
perché debba essere positivo anche µ. Il motivo si capisce facilmente attraverso un controesempio
illustrato in questa figura

in cui si nota che la condizione di positività su ϕm , da sola, non basta ad evitare che il punto meno 1
venga circondato dal diagramma di Nyquist; la condizione mu maggiore di 0 serve proprio ad escludere
casi come quello mostrato nell’esempio.
Osservazione 22.4 (Sistemi a fase minima)
A proposito del criterio di Bode vale la pena aggiungere un’osservazione nel caso in cui L(s) sia una funzione
di trasferimento a fase minima. Come ricorderete, una funzione di trasferimento si dice a fase minima quando
poli e zeri a < ≤ 0
L(s) è a fase minima ⇐⇒
guadagno µ > 0

Si nota allora che quando L(s) è a fase minima la prima condizione del criterio di Bode, cioè µ > 0, è automa-
ticamente soddisfatta e resta da verificare solo la positività del margine di fase. I sistemi a fase minima hanno
però una particolarità che come adesso vedremo è di aiuto per prevedere in certi casi il segno del margine di
fase. Infatti sappiamo che per un sistema a fase minima

• i diagrammi asintotici di Bode del modulo e della fase sono strettamente legati
• dove il modulo di |L(jω)| ha pendenza −k la fase asintotica vale −k 90◦

Sulla base di queste osservazioni possiamo dire che la situazione più favorevole dal punto di vista dell’ottenimento
di un margine di fase positivo è quella nella quale il diagramma del modulo attraverso l’asse a 0 decibel con
pendenza −1, cioè −20 dB per decade.
22.3. MODULO 3: CRITERIO DI BODE 97

Se infatti ciò accade e se il tratto con pendenza −1 è sufficientemente lungo dobbiamo aspettarci che la fase
della funzione d’anello in corrispondenza della pulsazione ωc , cioè la fase critica ϕc , sia prossima al valore del
diagramma asintotico che in quel tratto è −90◦ . In base a tale ragionamento il margine di fase risulterebbe
dunque molto elevato, intorno ai 90◦ e comunque positivo. Queste considerazioni torneranno utili più avanti, in
una successiva lezione, quando si indicheranno i criteri da seguire nel progetto di un controllore in anello chiuso.
Lezione 23

Analisi delle prestazioni


di sistemi retroazionati (a)

23.1 Modulo 1: Funzioni di sensitività


Dopo aver a lungo trattato il tema della stabilità dei sistemi retroazionati, nelle prossime due lezioni
ci occuperemo delle prestazioni di un sistema di controllo in anello chiuso, cioè impareremo a valutare
alcune proprietà come la precisione statica, la precisione dinamica, l’attenuazione dei disturbi e così
via. Come vedremo, si potrà ricondurre lo studio all’analisi delle proprietà di tre speciali funzioni di
trasferimento che nel loro complesso chiameremo le funzioni di sensitività.
Il punto di partenza per la nostra analisi è lo schema qui riportato, già ricavato in una precedente
lezione
d
R(s) = T (s)C(s)

H(s)

w + e em u +y
T (s) C(s) G(s)
− +
ym

T (s) rappresenta il trasduttore


C(s) rappresenta il controllore
G(s), H(s) descrivono il sistema sotto controllo, rispettivamente dal punto di vista della variabile di
controllo u e di quello del disturbo d
Per semplicità possiamo interpretare la serie del trasduttore e del controllore come un unico sistema
con funzioni di trasferimento

R(s) = T (s)C(s)

Con lieve abuso di linguaggio parleremo di R(s) come della funzione di trasferimento del regolatore
o controllore. Inoltre per semplificare la trattazione supponiamo per il momento che la funzioni di
trasferimento

H(s) = 1

cioè che il disturbo d influenzi direttamente l’uscita y. Torneremo a considerare l’eventuale presenza
del blocco H(s) in una lezione successiva. A seguito di queste semplificazioni il sistema di controllo

98
23.1. MODULO 1: FUNZIONI DI SENSITIVITÀ 99

può essere rappresentato dallo schema a blocchi qui riportato e sarà il nostro schema di riferimento nel
discutere le prestazioni.
d
+y
w + e u
R(s) G(s)
− +
ym

Per fare certe considerazioni sarà a volte opportuno tenere distinte le due funzioni di trasferimento
R(s) e G(s), rispettivamente del regolatore e del sistema da controllare, anche se si può osservare che
il loro prodotto coincide con la funzione di trasferimento d’anello, indicata al solito con il simbolo L(s)

L(s) = R(s)G(s)

Il comportamento del sistema può essere analizzato considerando l’effetto che i due ingressi, w e d,
producono sulle variabili di interesse, che di volta in volta possono essere la variabile controllata y,
l’errore e oppure la variabile di controllo u.
In linea di principio avremmo allora da studiare le proprietà di sei distinte funzioni di trasferimento,
che legano i due ingressi a queste uscite. Vedremo subito però che alcune di esse coincidono tra loro e
dunque l’analisi si semplifica parecchio. Le funzioni di trasferimento tra l’ingresso w e le uscite y, e e
u sono date da
Y (s) L(s)
= = F (s)
W (s) 1 + L(s)
E(s) 1
= = S(s)
W (s) 1 + L(s)
U (s) R(s)
= = Q(s)
W (s) 1 + L(s)
Calcoliamo ora le altre tre funzioni di trasferimento, quelle che descrivono l’effetto del disturbo d
rispettivamente su y, e ed u. Con semplici elaborazioni sullo schema a blocchi si ricava che
Y (s) 1
= = S(s)
D(s) 1 + L(s)
E(s) −1
= = −S(s)
D(s) 1 + L(s)
U (s) −R(s)
= = −Q(s)
D(s) 1 + L(s)
Come si nota, di funzioni di trasferimento diverse, a parte eventuali cambi di segno, ce ne sono solo
tre e cioè F (s), S(s) e Q(s). Queste tre funzioni sono quelle su cui concentreremo l’attenzione.
Nel loro insieme vengono chiamate genericamente le funzioni di sensitività del sistema, più precisamente
L(s)
. F (s) = ⇒ funzione di sensitività complementare
1 + L(s)
1
. S(s) = ⇒ funzione di sensitività in senso stretto
1 + L(s)
R(s)
. Q(s) = ⇒ funzione di sensitività del controllo
1 + L(s)
Si osservi che al contrario delle prime due, la Q(s) non dipende solo dalla funzione d’anello L(s) ma
anche dalla funzione di trasferimento R(s) del regolatore.
Alla luce di queste definizioni e sfruttando il principio di sovrapposizione degli effetti valido per sistemi
lineari, possiamo fornire tre distinti rappresentazioni equivalenti del sistema di controllo.
100 LEZIONE 23. ANALISI DELLE PRESTAZIONI DI SISTEMI RETROAZIONATI (A)

1. La prima è utile per discutere l’effetto dei due ingressi sulla variabile controllata y attraverso
F (s) e S(s) ripetitivamente.
w
F (s)
+
y

+
d
S(s)

2. La seconda, in cui si prende come uscita l’errore, mostra che, a parte il segno, il legame tra gli
ingressi e l’errore è identico e definito da S(s)
w
S(s)
+
e

d
S(s)

3. La terza infine tornerà utile per valutare le proprietà di moderazione, visto che l’uscita è la
variabile di controllo u. Anche in questo caso i due ingressi influenzano u allo stesso modo,
tramite Q(s), sia pure con segni discordi.
w
Q(s)
+
u

d
Q(s)

Prima di affrontare lo studio delle singole funzioni di sensitività F (s), S(s) e Q(s) vale la pena di
individuare quali sono i valori che in condizioni ideali esse dovrebbero assumere.

. Poiché F (s) rappresenta il legame tra riferimento e variabile controllata, le prestazioni migliori
si ottengono quando F (s) = 1

L(s)
F (s) = ∼1
1 + L(s)

. Per quel che riguarda S(s), compare tre volte in questi schemi ma qualunque sia l’interpretazione
che si vuole considerare, la situazione ideale si ha quando S(s) = 0

1
S(s) = ∼0
1 + L(s)

risulterebbe infatti in tal caso nullo l’effetto del disturbo sulla variabile controllata e nullo anche
l’effetto di entrambi gli ingressi sull’errore.

. Se infine si guarda al terzo dei tre schemi e si riflette sul significato della proprietà di moderazione,
si conclude che la migliore moderazione del sistema di controllo si ha quando Q(s) è la più piccola
possibile, ovviamente compatibilmente con il rispetto degli altri requisiti.

R(s)
Q(s) = ∼0
1 + L(s)
23.2. MODULO 2: STUDIO DELLA FUNZIONE DI SENSITIVITÀ COMPLEMENTARE 101

23.2 Modulo 2: Studio della funzione di sensitività complementare


Valuteremo ora le proprietà della funzione di trasferimento F (s), chiamata funzione di sensitività
complementare che, come abbiamo visto, descrive in un sistema di controllo il legame tra il segnale di
riferimento w e la variabile controllata y. Come nel caso dello studio della stabilità, il nostro obiettivo
sarà quello di ricavare informazioni sulle proprietà di F (s) a partire dalla conoscenza della funzione
d’anello L(s).

Analisi di F (s) – analisi statica Iniziamo a considerare il comportamento di F (s) in condizioni


statiche. I risultati che ricaveremo saranno utili per caratterizzare il sistema dal punto di vista della
sua precisione statica.
w y
F (s)

Sappiamo che F (s) è data dall’espressione

L(s)
F (s) = ∼ 1 Prestazioni ideali
1 + L(s)

dove L(s) è la funzione d’anello. Per L(s) utilizzeremo una rappresentazione generica
Q
µ i (1 + sτi )
L(s) = g Q
s i (1 + sTi )

nella quale µ è il guadagno, g è il tipo , τi e Ti sono le costanti di tempo, eventualmente complesse,


associate a zeri e poli rispettivamente.
Supponiamo ora di applicare un ingresso di riferimento a scalino di ampiezza A e di voler calcolare il
valore che raggiunge y a transitorio esaurito

w = A sca(t)

cioè il valore di regime della risposta allo scalino. Naturalmente dobbiamo assumere che il sistema sia
asintoticamente stabile per poter parlare di transitorio esaurito. Dal punto di vista della precisione
statica, la situazione ideale sarebbe quella in cui il valore di regime dell’uscita coincidesse con A, cioè
con il valore desiderato.
Il calcolo può essere effettuato ricorrendo al teorema del valore finale

A L(s)
y(∞) = lim sF (s) = A lim F (s) = A lim =
s→0 s s→0 s→0 1 + L(s)

g > 0 ⇒ µF = 1

 A
µ

µ 
= A lim g = A g = 0 ⇒ µF ∼
= 1 se µ  1
s→0 s + µ 
 1 + µ

0 g<0

Si osservi che quando s → 0 l’unico fattore di L(s) che gioca un ruolo rilevante è il termine sµg , in
quanto le produttorie al numeratore e al denominatore per s → 0 tendono entrambe a 1. Sostituendo
allora a L(s) sµg , si ricava facilmente il precedente risultato.
Il calcolo di questo limite dà risultati diversi al variare di g e di µ. Si vede infatti che
µ
 Quando g > 0 ⇒ lim g = 1 e il valore di regime dell’uscita è A
s→0 s + µ
µ µ µ
 Quando g = 0 ⇒ lim g = e il valore di regime dell’uscita è A
s→0 s + µ 1+µ 1+µ
 Quando g < 0 ⇒ il denominatore diverge e il limite vale 0.
102 LEZIONE 23. ANALISI DELLE PRESTAZIONI DI SISTEMI RETROAZIONATI (A)

In conclusione si osserva che


◦ Il caso più favorevole dal punto di vista della precisione statica è quello nel quale il tipo g della
funzione d’anello è positivo, cioè L(s) contiene dei poli nell’origine. In tal caso si ha perfetta
coincidenza tra il valore di riferimento in ingresso e il valore di regime dell’uscita o, in altri
termini, il guadagno µF è unitario.
◦ Nel caso invece che L(s) abbia tipo nullo, cioè non contenga né poli né zeri nell’origine, il
µ
guadagno di F (s) è pari a 1+µ . Non è quindi pari 1 ma può essere reso arbitrariamente vicino a
1 aumentando il guadagno d’anello µ.
◦ Il caso infine più sfavorevole è quello in cui L(s) abbia degli zeri nell’origine, infatti l’uscita a
regime è comunque nulla qualunque sia il valore desiderato A.

Analisi di F (s) – poli e zeri L’analisi finora condotta riguarda il comportamento del sistema in
condizioni di equilibrio o di regime. Per valutare invece il comportamento dinamico di F (s) potrebbe
essere utile calcolarne poli e zeri. Se partiamo dall’espressione
L(s)
F (s) =
1 + L(s)

e indichiamo con NL (s) e DL (s) rispettivamente numeratore e denominatore della funzione d’anello

NL (s)
L(s) =
DL (s)

si ricava che F (s) è data da

NL (s)
F (s) =
NL (s) + DL (s)

Quindi si può affermare che


 gli zeri di F (s) coincidono con gli zeri di L(s): infatti i numeratore di F (s) è identico a quello di
L(s)
 i poli, come per altro già sappiamo, sono le radici del polinomio DL (s) + NL (s)

Analisi di F (s) – risposta in frequenza Purtroppo questo tipo di analisi non ci dà indicazioni
particolarmente utili perché le caratteristiche dinamiche di un sistema dipendono essenzialmente dai
poli ma le radici del polinomio DL (s) + NL (s), che sono i poli in anello chiuso, non sono facilmente
ricavabili da poli e zeri di L(s). Il discorso merita quindi un approfondimento attraverso altri tipi di
analisi.
Lo strumento migliore da questo punto di vista è lo studio della risposta in frequenza. vedremo ora
che è possibile ricavare in modo approssimato l’andamento dei diagrammi di Bode associati a F (s) a
partire da quelli della funzione d’anello.
Si scriva infatti l’espressione di |F (s)|

L(s)
F (s) =
1 + L(s)
(
|L(jω)| ∼ 1 |L(ω)|  1 ⇐⇒ ω < ωc
|F (jω)| = =
|1 + L(jω)| |L(ω)| |L(ω)|  1 ⇐⇒ ω > ωc

Si osservi ora che la quantità al denominatore, |1 + L(jω)|, può essere approssimata con |L(jω)| quando
questo è molto grande rispetto a 1 e con 1 quando avviene il contrario. Questo ci permette di dire che
 Per tutte le pulsazioni ω per cui |L(jω)|  1, |F (jω)| ∼
= 1, cioè 0 dB.
23.2. MODULO 2: STUDIO DELLA FUNZIONE DI SENSITIVITÀ COMPLEMENTARE 103

 Invece per le pulsazioni ω per le quali |L(jω)|  1, una buona approssimazione per |F (jω)| è il
modulo |L(jω)| stesso.

Supponiamo ora che il diagramma di Bode di elle abbia l’andamento mostrato in figura

cioè presenti un solo attraversamento con l’asse a 0 dB in un punto che corrisponde a quella che
avevamo chiamato pulsazione critica ωc . È facile a questo punto ricavare un’approssimazione per il
diagramma di Bode |F (jω)|

 A bassa frequenza, cioè per valori di ω < ωc , il modulo |L(jω)| è elevato e dunque il modulo
|F (jω)| si assesta sull’asse a 0 dB

 invece per ω > ωc risulta |L(jω)| < 1 e quindi il diagramma approssimato di |F (jω)| segue in
questo tatto quello di |L(jω)|.

Attraverso questa costruzione grafica si riconosce quindi che

 la funzione di trasferimento F (s) ha un comportamento da filtro passa basso

 la banda passante di F (s) è data all’incirca da BF ∼


= [0, ωc ]
 il guadagno di F (s) ∼
=1
In realtà su quest’ultimo punto la precedente analisi statica ci aveva già fatto concludere che

µF = 1 se g > 0
µ
µF = se g = 0
1+µ

Queste conclusioni sono importanti perché assai utili per caratterizzare le prestazioni del sistema di
controllo. Se F (s) è un passa basso con banda passante [0, ωc ] e µF ∼= 1, significa che tutte le com-
ponenti armoniche del segnale di riferimento w fino pressappoco alla pulsazione ωc vengono riprodotte
fedelmente nell’uscita y. Almeno in questa banda di pulsazioni il sistema raggiunge quindi l’obiettivo
di far sì che la variabile controllata segua il riferimento w.

Naturalmente all’aumentare di ωc il sistema diventa sempre più veloce e la riproduzione in uscita del
segnale di riferimento diventa sempre più precisa. In definitiva il valore della pulsazione critica ωc
è un’importante indicatore della qualità delle prestazioni di un sistema di controllo in anello chiuso.
L’intervallo BF = [0, ωc ] viene spesso indicato semplicemente come la banda passante del sistema di
controllo ma la forma del diagramma di Bode di F (s) che abbiamo ricavato in maniera approssimata
ci fornisce anche un’altra utile indicazione.

In effetti il fatto che il diagramma presenti un cambio di pendenza negativo in corrispondenza di ωc ,


suggerisce l’idea che in quella zona la funzione di trasferimento F (s) possegga uno o più poli e, se così
è, essi sono anche i poli dominanti, dato che non si osservano altri cambi di pendenza a pulsazioni
più basse. Abbiamo quindi risposto indirettamente al problema che ci eravamo posti di individuare la
posizione dei poli in anello chiuso, almeno con riferimento ai poli dominanti che poi sono quelli più
importanti per caratterizzare le proprietà dinamiche del sistema: i poli dominanti di F (s) cadono in
corrispondenza di ωc .
104 LEZIONE 23. ANALISI DELLE PRESTAZIONI DI SISTEMI RETROAZIONATI (A)

Con l’analisi finora svolta non siamo però in grado di dire se questi poli dominanti siano reali o complessi
e nel caso che siano complessi non abbiamo elementi per determinare il loro smorzamento. A queste
domande verrà data una risposta nel seguito della lezione.

23.3 Modulo 3: Smorzamento e margine di fase


Una delle conclusioni a cui siamo arrivati nel modulo precedente è che la funzione di sensitività com-
plementare, F (s), possiede dei poli a pulsazioni prossime a ωc e che questi sono i poli dominanti del
sistema in anello chiuso.
L(s)
F (s) = i poli dominanti di F (s) cadono in corrispondenza di ωc
1 + L(s)
Siamo però rimasti nel dubbio sul fatto che tali poli siano reali o complessi e su come valutare in
maniera semplice, nel caso che siano complessi, il loro smorzamento ξ. La cosa non è di poco conto
perché sappiamo benissimo quanto ad esempio la forma della risposta allo scalino dipenda dal valore
dello smorzamento. Vediamo allora come si può procedere.
Noi stiamo ragionando su un diagramma di Bode approssimato, associato alla funzione F (s). La
forma del diagramma suggerisce la presenza di poli in vicinanza di ωc . Supponiamo per il momento
che siano poli complessi, cioè ωc coincida con al loro pulsazione naturale ωn . Se avessimo a disposizione
il diagramma esatto di |F (jω)| sarebbe molto facile valutare lo smorzamento associato a questi poli,
perché la presenza di un picco di risonanza evidenzierebbe che lo smorzamento è relativamente basso,
mentre un andamento monotono decrescente della curva sarebbe sintomo del fatto che lo smorzamento
è elevato o addirittura che siamo in presenza di poli reali.

Noi non disponiamo del diagramma esatto, possiamo però sperare di avere qualche indicazione utile
attraverso la valutazione esatta del modulo in corrispondenza di ωc .
 Se |F (jωc )|  0 dB ciò sarebbe indizio della presenza di un picco di risonanza e quindi di un
valore di ξ basso
 Se invece |F (jωc )| < 0 dB potremmo dedurre che lo smorzamento ξ è elevato.
Il calcolo di |F (jωc )| può essere condotto in modo esatto senza alcuna approssimazione. Si consideri
infatti l’espressione di |F (jωc )| e si ricordino le definizioni della pulsazione critica ωc e della fase critica
φc . In base a tali definizioni il numero complesso L(jωc ) può essere espresso come
L(jωc ) = ejϕc
|L(jωc )| 1 1
|F (jωc )| = = jϕ
= =
|1 + L(jωc )| |1 + e | c |1 + cos(ϕc ) + j sen(ϕc )|
1 1 1
=p =p =p
(1 + cos(ϕc ))2 + sen(ϕc )2 2 (1 + cos(ϕc )) 2 (1 − cos(ϕm ))
ϕm = 180◦ − |ϕc |
L’ultima espressione può essere anche scritta, utilizzando note e formule trigonometriche, come
1 1
|F (jωc )| = p =
2 (1 − cos(ϕm )) 2 sen(ϕm /2)
23.3. MODULO 3: SMORZAMENTO E MARGINE DI FASE 105

Notiamo allora che quando il margine di fase ϕm → 0 allora |F (jωc )| tende ad essere sempre più elevato
e ci aspettiamo quindi un picco di risonanza molto pronunciato, associato quindi a un basso valore
dello smorzamento ξ.
Margine di fase e smorzamento dei poli in anello chiuso sembrano essere quindi strettamente legati tra
di loro. Per ricavare un legame in termini più quantitativi possiamo confrontare il valore di |F (jωc )|
che ci siamo calcolati con quello che si osserverebbe in corrispondenza della pulsazione naturale ωn in
un sistema del secondo ordine con poli complessi e guadagno unitario

ωn2 1
F (s) = per ω = ωn ⇒ |F (jωn )| =
s2 + 2ξωn s + ωn2 2ξ

pertanto se identifichiamo senz’altro ωn ≡ ωc , uguagliando le due espressioni si ottiene il legame cercato


tra ξ e ϕm , precisamente
ϕ 
m
ξ = sen
2
Naturalmente non vanno dimenticate le numerose approssimazioni che si sono utilizzate per ricavare
questa formula
• prima di tutto non è detto che ωc ≡ ωn
• inoltre il sistema descritto da F (s) è in generale di ordine superiore a 2 e potrebbe anche avere
un guadagno non esattamente unitario
Nonostante tutto ciò la formula trovata è utilizzabile in molti casi pratici per prevedere con discreta
accuratezza il valore dello smorzamento ξ a partire dal margine di fase ϕm .
Spesso si usano altre formule approssimate, ad esempio ricordando che

sen(x) → x per x → 0

pur di misurare x in radianti, la precedente formula può essere scritta come


ϕm π
ξ∼
= ·
2 180◦
dove al solito il fattore di conversione è necessario quando ϕm è misurato in gradi. Spingendosi ancora
più in là con le approssimazioni, per arrivare a una formula più semplice, possiamo sostituire al fattore
360◦ /π il valore 100 e concludere che lo smorzamento in anello chiuso è valutabile come
ϕm
ξ∼
=
100
In realtà questa formula fornisce di solito indicazioni precise solo quando il margine di fase è relativa-
mente basso.
Attraverso lo studio di alcuni esempi tipici si possono ricavare i criteri empirici un po’ più articolati
per valutare le caratteristiche dei poli dominanti in anello chiuso. Ad esempio una regola che fornisce
risultati affidabili nella maggior parte dei casi è la seguente
ϕm
◦ ϕm < 75◦ ⇒ poli dominanti complessi con ωn ∼ = ωc e ξ ∼
=
100
1
◦ ϕm > 75◦ ⇒ polo dominante reale con τ ∼ =
ωc
Riassumendo abbiamo visto come a partire dalla conoscenza di due soli parametri, ωc e ϕm , che si
possono ricavare dai diagrammi di Bode associati alla funzione d’anello L(s) e che tra l’altro sono utili
anche ad altri scopi, come ad esempio la verifica del criterio di Bode per la stabilità, si possano ricavare
informazioni, anche se approssimate, sul comportamento dinamico del sistema in anello chiuso.
Lezione 24

Analisi delle prestazioni


di sistemi retroazionati (b)

24.1 Modulo 1: Studio della funzione di sensitività


Proseguendo nello studio dei sistemi di controllo in anello chiuso ci occuperemo ora delle proprietà
della funzione di sensitività S(s), definita come

1
S(s) =
1 + L(s)

Dagli schemi equivalenti che avevamo ricavato


w
F (s)
+
y L(s)
F (s) = ∼1
1 + L(s)
+
d
S(s)

w
S(s)
+
e 1
S(s) = ∼0
1 + L(s)

d
S(s)

w
Q(s)
+
u R(s)
Q(s) = ∼0
1 + L(s)

d
Q(s)

si nota che S(s) rappresenta contemporaneamente


• la funzione di trasferimento tra il disturbo d e la variabile controllata y
• la funzione di trasferimento tra il riferimento w e l’errore e
• la funzione di trasferimento, cambiata di segno, tra il disturbo d e l’errore e

106
24.1. MODULO 1: STUDIO DELLA FUNZIONE DI SENSITIVITÀ 107

Qualunque sia l’interpretazione che di volta in volta le vogliamo attribuire, sarebbe auspicabile che
tale funzione fosse il più possibile vicina a 0, in modo da rendere piccolo l’effetto del disturbo su y e
di avere un errore piccolo per tutti i possibili segnali di ingresso. Vedremo che annullare S(s) non è
possibile, ma che ci si potrà in qualche misura avvicinare a questa prestazione ideale.

Analisi di S(s) – analisi statica Iniziamo anche qui col considerare le prestazioni statiche di S(s).
Per fissare le idee faremo riferimento all’interpretazione di S(s) come funzione di trasferimento tra d e
y, ma i risultati che otterremo potranno essere poi estesi, con ovvie sostituzioni di simboli, alle altre
due interpretazioni che S(s) può avere.
y
Q
d 1 µ i (1 + sτi )
S(s) S(s) = L(s) = g Q
1 + L(s) s i (1 + sTi )

Supponiamo allora che il sistema sia sollecitato da un disturbo scalino di ampiezza A


d = A sca(t)
e di voler calcolare il valore di regime della risposta a tale disturbo. Utilizzando il teorema del valore
finale, che supponiamo applicabile ipotizzando che il sistema sia asintoticamente stabile, si trova
A 1
y(∞) = lim sS(s) = A lim S(s) = A lim
s→0 s s→0 s→0 1 + L(s)
Anche in questo caso si nota che gli unici termini di elle che contano ai fini del calcolo di questo limite
sono quelli relativi al guadagno µ e al tipo g. Si ottiene infatti per il valore di regime l’espressione


 0 g>0
g

s  1
A lim g = A g = 0 ⇒ µS ∼ = 0 se µ  1
s→0 s + µ 
 1+µ

A g < 0 ⇒ µS = 1

Analizziamo i vari casi


g > 0 Il primo caso è quello più favorevole, dato che si ottiene quella che si chiama una reiezione
perfetta del disturbo, cioè l’annullamento asintotico del suo effetto sulla variabile controllata.
1
g = 0 Nel caso g = 0 l’uscita invece tende a un valore non nullo A che può comunque essere
1+µ
piccolo se il guadagno d’anello µ è elevato.
g < 0 Nell’ultimo caso, quando g < 0, non c’è nulla da fare, l’effetto di un disturbo costante A
sull’uscita è uguale ad A ed è identico a quello che ci sarebbe in assenza della retroazione.
Uno studio simile si può condurre anche nel caso di un disturbo più insidioso, come un disturbo a
rampa, che cioè cresce linearmente nel tempo
d = A ram(t)
Ripetendo i passaggi precedenti, dopo aver osservato che la trasformata di Laplace
A
L[A ram(t)] =
s2
si ricava che il valore di regime della variabile controllata ha questa espressione
A S(s) 1
y(∞) = lim sS(s) 2
= A lim = A lim =
s→0 s s→0 s s→0 s(1 + L(s))


0 g>1
g−1

s  1
A lim g = A g = 1 ⇒ µS ∼= 0 se µ  1
s→0 s + µ 
 µ

A g < 1 ⇒ µS = 1

108 LEZIONE 24. ANALISI DELLE PRESTAZIONI DI SISTEMI RETROAZIONATI (B)

Stavolta quindi per avere un effetto nullo è necessario che sia g > 1, ci siano cioè almeno due poli
nell’origine; con un solo polo nell’origine, g = 1, l’effetto del disturbo a rampa non è nullo ma è
inversamente proporzionale al guadagno d’anello µ. Se infine g < 1 l’uscita diverge all’infinito.
Si potrebbe ripetere l’analisi con segnali di ingresso di tipo parabolico, cubico eccetera, scoprendo
che per rendere nullo o almeno finito l’effetto del disturbo sulla variabile controllata occorrerebbe
aumentare ulteriormente il numero di poli nell’origine della funzione d’anello. Tutto ciò può essere
riassunto nella seguente tabella, che riporta il valore di regime y(∞) in risposta a disturbi a scalino, a
rampa, a parabola, al variare del tipo g.

A sca(t) A ram(t) A par(t)


A
g=0 ∞ ∞
1+µ
A
g=1 0 ∞
µ
A
g=2 0 0
µ
g=3 0 0 0

Si nota che aumentare g migliora le prestazioni statiche del sistema di controllo. Quando poi l’effetto
del disturbo è finito e non nullo, cioè lungo la diagonale di questa tabella, l’effetto si riduce al crescere
del guadagno d’anello µ.
Come accennavo all’inizio, questo risultato si applica pari pari quando si interpreta la funzione di
sensitività S(s) come la funzione di trasferimento tra il riferimento e l’errore oppure anche tra il
disturbo e l’errore cambiato di segno. A patto di considerare il valore assoluto dell’errore, questa
stessa tabella può essere quindi usata per calcolare il valore dell’errore a transitorio esaurito in risposta
a segnali di riferimento o disturbi a forma di scalino, rampa e parabola.
Ad esempio, per inseguire efficacemente un riferimento a rampa è necessario che la funzione d’anello
contengo almeno un integratore e abbia guadagno µ sufficientemente elevato; se poi gli integratori sono
almeno due l’errore a regime si annulla perfettamente. Ovviamente tutto questo è vero a patto che il
sistema in anello chiuso sia asintoticamente stabile, in modo che davvero esista un regime.

Analisi di S(s) – poli e zeri Veniamo ora a parlare delle proprietà dinamiche della funzione di
sensitività S(s). Dove stanno ad esempio poli e zeri di S(s)? Rappresentando la funzione d’anello L(s)
sotto forma di numeratore e denominatore e sostituendo l’espressione nella formula di S(s)
1
S(s) =
1 + L(s) DL (s)
=⇒ S(s) =
NL (s) NL (s) + DL (s)
L(s) =
DL (s)

si ricava che il numeratore di esse coincide con il denominatore di L(s), mentre il denominatore è il
solito polinomio caratteristico in anello chiuso. Possiamo allora affermare che
 gli zeri di S(s) coincidono con i poli di L(s)
 i poli di S(s) sono le radici di DL (s) + NL (s)
In particolare analizzando la funzione di sensitività complementare F (s) abbiamo già imparato a
valutare le caratteristiche dei poli in anello chiuso, almeno di quelli dominanti.

Analisi di S(s) – risposta in frequenza Anche per la funzione di sensitività attraverso una co-
struzione grafica molto semplice è possibile ricavare informazioni sull’andamento qualitativo della sua
risposta in frequenza.
24.2. MODULO 2: STUDIO DELLA FUNZIONE DI SENSITIVITÀ DEL CONTROLLO 109

Adottando allora approssimazioni simili a quelle viste in precedenza si ricava

 1

1 = −|L(jω)| |L(jω)|  1 (ω < ωc )
|S(jω)| = ∼
= |L(jω)|
|1 + L(jω)| 
1 = 0 dB |L(jω)|  1 (ω > ωc )

Immaginiamo allora di disporre del diagramma di Bode del modulo della funzione d’anello e supponia-
mo che sia univocamente determinata la pulsazione ωc di attraversamento dell’asse. Come abbiamo det-
to, il diagramma associato a |L(jω)|−1 si ottiene per ribaltamento. Sfruttando ora le approssimazioni
che abbiamo introdotto, si vede che
• per ω < ωc si può ritenere che |S(jω)| ∼
= −|L(jω)|
• per ω > ωc l’asse a 0 decibel costituisce una buona approssimazione per |S(jω)|

Si conclude perciò che S(s) ha il tipico comportamento di un filtro passa alto: attenua le componenti
dell’ingresso a ω < ωc e lascia passare praticamente inalterate quelle a pulsazioni superiori. Se ri-
cordiamo che S(s) rappresenta la funzione di trasferimento tra il disturbo e la variabile controllata,
questo diagramma approssimato ci dice che il sistema di controllo è in grado di attenuare efficacemente
le componenti lente del disturbo ed è invece incapace di neutralizzare le componenti veloci. Il confine
tra lento e veloce è dato proprio dalla pulsazione critica ωc .
Volendo riassumere le principali conclusioni di questa analisi in frequenza, possiamo affermare che
 S(s) si comporta come un filtro passa alto
 la banda passante di S(s) è data all’incirca da BS = [ωc , ∞]
 il disturbo d viene attenuato solo nell’intervallo [0, ωc ]
 il fattore di attenuazione in questa banda è circa uguale a |L(jω)|−1 .
É quindi importante garantire che a bassa frequenza il modulo della funzione d’anello L(s) sia elevato.

24.2 Modulo 2: Studio della funzione di sensitività del controllo


Studieremo ora le proprietà di moderazione di in sistema di controllo. A questo riguardo sarà utile
discutere le principali caratteristiche della funzione di trasferimento Q(s), che è data da

R(s)
Q(s) = L(s) = R(s)G(s)
1 + L(s)

e che viene di solito chiamata funzione di sensitività del controllo. Come già sappiamo essa descrive il
legame tra i due ingressi w e d e la variabile di controllo u, che noi vorremmo non troppo sollecitata
durante il normale funzionamento del sistema di controllo.

Analisi di Q(s) – risposta in frequenza Non faremo qui uno studio dettagliato delle proprietà
di Q(s). Ci limiteremo invece a discuterne il comportamento in frequenza, tramite il tracciamento
approssimato del diagramma di Bode associato.
110 LEZIONE 24. ANALISI DELLE PRESTAZIONI DI SISTEMI RETROAZIONATI (B)

Usando le consuete approssimazioni si può dedurre quanto segue


1

|R(jω)| ∼  = −|G(jω)| |L(jω)|  1 (ω < ωc )
|Q(jω)| = = |G(jω)|
|1 + L(jω)| 
|R(jω)| |L(jω)|  1 (ω > ωc )

In particolare
• Quando
|R(jω)| |R(jω)| 1
|L(jω)|  1 =⇒ |Q(jω)| ∼
= = =
|L(jω)| |R(jω)||G(jω)| |G(jω)|
Quindi laddove |L(jω)|  1, |Q(jω)|dB ∼
= −|G(jω)|dB , e il diagramma di Bode di |Q(jω)| è
approssimato dal diagramma di Bode di G(jω) ribaltato.
• Quando invece |L(jω)|  1 =⇒ |Q(jω)| ∼ = |R(jω)| e il diagramma di Bode di |Q(jω)| è
approssimato dal diagramma di Bode di R(jω)
Illustriamo questa approssimazione con un esempio grafico: supponiamo di aver tracciato i diagrammi
di Bode associati a R(s) e G(s), costruiamo poi il diagramma di |G(jω)|−1 ribaltando quello di G(jω)
rispetto all’asse a 0 dB.
Si noti poi che, per definizione, la pulsazione critica ωc corrisponde al punto di intersezione tra il
diagramma di R(jω) e quello dell’inverso di |G(jω)|

|L(jωc )| = 1 ⇐⇒ |R(jωc )G(jωc )| = 1 ⇐⇒ |R(jωc )| = |G(jωc )|−1

Allora
• per ω < ωc il diagramma di |Q(jω)| segue approssimativamente quello di |G(jω)|−1 .
• per ω > ωc l diagramma di |Q(jω)| segue approssimativamente quello di |R(jω)|.

La forma complessiva di questo diagramma dà un’idea di quali sono le bande di pulsazioni in cui la
variabile di controllo viene maggiormente sollecitata. In questo caso, ad esempio, le maggiori sollecita-
zioni sarebbero generate da componenti dei segnali di ingresso con pulsazioni prossime alla pulsazione
critica, ma questo non è necessariamente vero in generale perché dipende dalla forma che assume il
diagramma di Q(s).
Le principali conclusioni di carattere generale che si possono trarre sono invece che un sistema di
controllo è tanto più moderato
 |G(jω)| grande per ω < ωc
 |R(jω)| piccolo per ω > ωc
Dal punto di vista del progettista del sistema di controllo egli può fare poco per quanto riguarda la
prima di queste indicazioni, visto che G(s) è la funzione di trasferimento del sistema da controllare e va
considerata come un dato non modificabile da chi progetta il controllore. La seconda raccomandazione,
cioè quella di mantenere piccolo |R(jω)| ad alta frequenza, ovviamente compatibilmente con altre
esigenze, può costituire invece un utile riferimento di cui tener conto in fase di progetto del controllore
R(s).
24.3. MODULO 3: ESTENSIONE DELL’ANALISI DI SISTEMI RETROAZIONATI 111

24.3 Modulo 3: Estensione dell’analisi di sistemi retroazionati


L’ultima parte della lezione è dedicata ad alcune estensioni dell’analisi delle prestazioni di sistemi
retroazionati. Precisamente
• si discuterà l’effetto di un ritardo di tempo in un sistema di anello chiuso
• si vedrà come tener conto di eventuali blocchi in anello aperto
• si studieranno gli effetti di possibili disturbi che agiscono.rispettivamente sull’attuatore e sul
trasduttore, disturbi la cui presenza abbiamo finora trascurato.

Sistema con ritardo Iniziamo a considerare il caso di in sistema di controllo in cui sia presente un
ritardo di tempo
d

w + e y
R(s) e−sτ G(s)
− +

Questo ritardo potrebbe essere ad esempio insito nel sistema da controllare oppure dovuto a un tempo
morto nell’attuatore, che fa sì che trascorra un intervallo di tempo τ tra il momento in cui viene
applicato un comando all’attuatore e l’istante in cui si sviluppa l’effettiva azione di controllo sul sistema.
Facendo riferimento allo schema, la funzione d’anello L(s) è data dal

L(s) = e−τ s R(s)G(s) = e−τ s L∗ (s) L∗ (s) = R(s)G(s)

Già sappiamo, alla luce dei criteri di Nyquist e di Bode, che un ritardo può avere un effetto rilevante
sulla proprietà di stabilità del sistema retroazionato. Se τ è troppo elevato può addirittura provocare
l’instabilità. Ma supponiamo ora che il ritardo non sia tale da pregiudicare la stabilità e chiediamoci
in che modo e in che misura la sua presenza alteri le prestazioni del sistema di controllo.
Certamente il ritardo non modifica le prestazioni statiche, infatti i calcoli che abbiamo effettuato per
trovare i valori a transitorio esaurito di certe variabili facevano uso del teorema del valore finale e
coinvolgevano quindi il limite

lim L(s) = lim L∗ (s) ⇐⇒ e−τ s → 1


s→0 s→0

Ora, presenza o meno del fattore e−τ s nella funzione d’anello non altera minimamente il valore di
questo limite. Tutto quello che abbiamo ricavato a proposito del comportamento a regime del sistema
continua quindi a valore.
Non è detto però il modo con cui il sistema tende al regime sia lo stesso nei due casi, con e senza
ritardo. Noi abbiamo imparato a valutare le caratteristiche dinamiche di un sistema in anello chiuso
attraverso il calcolo di due indici particolari: la pulsazione critica ωc e il margine di fase ϕm
• Un eventuale ritardo chiaramente non ha effetti su ωc , perché la presenza del fattore e−τ s è
irrilevante ai fini del calcolo del modulo della funzione d’anello

|L(jω)| = |L∗ (jω)|

• Non accade lo stesso invece per il margine di fase. Un ritardo τ introduce infatti, come sappiamo,
uno sfasamento negativo, per cui la fase critica ϕc risulta diminuita di una quantità pari a

180◦
ϕc = ]L(jωc ) = ]L∗ (jωc ) − ωc τ
π
112 LEZIONE 24. ANALISI DELLE PRESTAZIONI DI SISTEMI RETROAZIONATI (B)

Questo provoca una diminuzione della stessa entità sul margine di fase ϕm . Anche se ciò non
porta necessariamente all’instabilità del sistema, riduce sicuramente lo smorzamento associato ai
poli dominanti, avremo dunque un sistema di controllo con un comportamento più oscillante e
con tempi di assestamento più elevati.

Blocchi in anello aperto Un’altra situazione che merita qualche commento è quella di un sistema
retroazionato in cui compaiono anche blocchi in anello aperto. Ad esempio da un certo momento in poi
abbiamo trascurato il fatto che il disturbo sul sistema di solito non influenza l’uscita y direttamente,
bensì attraverso un legame dinamico, rappresentato dalla funzione di trasferimento H(s). Questa
funzione descrive in sostanza l’effetto che il disturbo avrebbe sulla variabile controllata se non esistesse
la retroazione.
d

H(s)

w + +y
R(s) G(s)
− +

dove la funzione di trasferimento d’anello è

L(s) = R(s)G(s)

Poiché il blocco H(s) non entra a far parte della funzione d’anello, non è difficile tener conto della sua
presenza. Ad esempio la funzione di trasferimento in anello chiuso tra il disturbo e l’uscita è data da

Y (s) H(s)
M (s) = = = H(s)S(s)
D(s) 1 + L(s)

Possiamo allora interpretare il sistema tra l’ingresso d e l’uscita y come costituito dalla serie di due
blocchi, H(s) e S(s)
w y
H(s) S(s)

il primo noto se si dispone di un modello del sistema e il secondo del quale sono state ampiamente
studiate le proprietà in precedenza.
Le caratteristiche del sistema complessivo sono dunque facili da analizzare, per esempio
• il guadagno complessivo tra d e y è dato dal prodotto dei due guadagni

µ M = µH µS

• il modulo della risposta in frequenza di M (s), come è stata chiamata qui la funzione di trasferi-
mento complessiva, si ottiene dal prodotto dei moduli di H(s) e S(s)

|M (jω)| = |H(jω)||S(jω)|

e il diagramma di Bode di |M (jω)|, che serve ad esempio per individuare i valori di pulsazione
in cui l’effetto di disturbo viene più o meno attenuato, si ricava dalla somma dei due singoli
diagrammi di Bode

|M (jω)|dB = |H(jω)|dB + |S(jω)|dB

e così via.
24.3. MODULO 3: ESTENSIONE DELL’ANALISI DI SISTEMI RETROAZIONATI 113

Disturbo sull’attuatore Il ragionamento che abbiamo seguito può essere applicato per trattare il
caso di disturbi che agiscono sull’attuatore, cioè che interferiscono con l’azione di controllo decisa dal
regolatore.
Finora infatti avevamo supposto che gli unici disturbi fossero quelli che intervengo sul sistema sotto
controllo. Un modo per descrivere eventuali disturbi sull’attuatore, sempre nell’ipotesi di linearità, è
quello mostrato in figura
dA

HA (s)

w + +m y
R(s) A(s) P (s)
− +

dove d a rappresenta il disturbo e HA (s) la funzione di trasferimento relativa all’effetto di dA sulla


variabile manipolabile m.
Si può verificare che questo schema a blocchi può essere ridisegnato in forma equivalente come mo-
strato nella parte inferiore, cioè spostando il punto in cui interviene il disturbo a valle del sistema da
controllare, a patto di duplicare il blocco con funzione di trasferimento P (s).
dA
HA (s) P (s)
+
w + y
R(s) A(s) P (s)
− +

H(s)

w + +y
R(s) G(s)
− +

Se adesso indichiamo con

G(s) = A(s)P (s) e con H(s) = HA (s)P (s)

ci siamo ricondotti esattamente al caso visto in precedenza e non c’è quindi nulla di nuovo da aggiungere.

Disturbo sul trasduttore Diverso è invece il caso di un possibile disturbo sul trasduttore, cioè di
un disturbo DT che interviene sulla linea di retroazione.
w + y
R(s) G(s)

+
+

dT

Questo segnale dT potrebbe rappresentare un rumore di misura oppure una polarizzazione sistematica
o una lenta deriva dovute all’imprecisione dello strumento di misura. Si intuisce che la presenza di un
114 LEZIONE 24. ANALISI DELLE PRESTAZIONI DI SISTEMI RETROAZIONATI (B)

disturbo di questo genere sia critica per le prestazioni di un sistema di controllo, perché disporre di
un’informazione sulla variabile y corrotta da rumore o da incertezza rende sicuramente più problematica
la decisione del controllore R(s) su quale azione di controllo esercitare. In altre parole potrebbe
succedere che il sistema di controllo reagisca a un disturbo dT come se lo interpretasse alla stregua di
una variazione del segnale di riferimento.
In effetti se si calcola la funzione di trasferimento tra dT e l’uscita y

Y (s) −R(s)G(s) −L(s)


= = = −F (s)
DT (s) 1 + R(s)G(s) 1 + L(s)

ci si accorge che coincide, a parte il segno, con la funzione di sensitività complementare F (s). Ora, noi
sappiamo che in generale
• −F (s) è un filtro passa-basso con banda passante BF ∼
= [0, ωc ]
che si estende fino alla pulsazione critica ωc , perciò tutte le componenti del segnale dT a pulsazione
inferiore a ωc passano quasi inalterate sull’uscita.
• Il disturbo dT viene attenuato solo in [ωc , ∞]
Tra l’altro, come abbiamo già visto, ad alta frequenza il modulo di F (s) coincide approssimativamente
con il modulo di L(s) e dunque le componenti del disturbo a pulsazione omega superiore a ωc vengono
attenuate di un fattore pari a |L(jω)|.
• L’attenuazione nella banda [ωc , ∞] è circa pari a |L(jω)|
La morale che dobbiamo trarre da queste argomentazioni è che i disturbi di misura più pericolosi sono
quelli lenti, come ad esempio quelli legati ad un errore sistematico del trasduttore.

Attenuazione di un disturbo Vale qui la pena di riassumere i risultati relativi alla capacità di un
sistema di controllo in anello chiuso di ridurre l’effetto di eventuali variabili incerte, chiamate disturbi.
d

w + + y
R(s) G(s)
− +
+
+

dT

Dalla teoria che abbiamo sviluppato si deduce che un sistema di controllo è in grado di attenuare
 le componenti “lente” del disturbo d (ω < ωc ) sulla linea di andata
 le componenti “veloci” del disturbo dT (ω > ωc ) sulla linea di retroazione
Gli aggettivi “lento” e “veloce” corrispondono ovviamente a pulsazioni inferiori a ωc e superiori a ωc
rispettivamente.
In fase di progetto del regolatore la scelta di ωc , cioè la scelta della banda del sistema di controllo, va
quindi ben calibrata in funzione delle conoscenze a priori sugli spettri dei disturbi d e dT , oltre che
naturalmente sulla base delle esigenze di velocità nell’inseguimento del segnale di riferimento w.
Lezione 25

Introduzione alla sintesi e progetto statico

25.1 Modulo 1: Specifiche di progetto


In questa lezione saranno affrontate le tematiche relative alla sintesi di controllori in retroazione per
sistemi a tempo continuo lineari e stazionari.
Secondo l’impostazione presentata nelle lezioni precedenti sull’analisi dei sistemi retroazionati, il pro-
getto di un sistema di controllo in retroazione si riconduce alla scelta della funzione di trasferimento
del controllore in modo che il sistema retroazionato sia asintoticamente stabile e rispetti specifiche
assegnate di robustezza e prestazioni.
L’analisi dei sistemi retroazionati ha mostrato che in molti casi le proprietà di un sistema in anello
chiuso possono essere facilmente accertate a partire dalla risposta in frequenza associata alla funzione
di trasferimento d’anello, quindi un possibile approccio al problema della sintesi del controllore consiste
nell’individuare una funzione di trasferimento d’anello che permetta di soddisfare tutte le specifiche,
ricavando poi da questa la funzione di trasferimento incognita del controllore.
Questo metodo costringe però a formulare in modo preciso sin dall’inizio tutti li obiettivi del proget-
to, inoltre se applicato in modo non critico può portare a controllori con funzioni di trasferimento
inutilmente complicate. Si preferisce perciò utilizzare una procedura per tentativi: il controllore viene
definito prendendo in considerazione inizialmente regolatori con struttura molto semplice, che viene via
via complicata, se necessario, in base all’analisi delle prestazioni del sistema retroazionato in relazione
alle diverse specifiche di progetto.
Nel seguito si farà riferimento allo schema di controllo mostrato in figura

d
+y
w +
R(s) G(s)
− +

dove R(s) rappresenta la funzione di trasferimento del controllore e G(s) quella del sistema sotto
controllo.
Supponendo di conoscere G(s), il problema di progetto consiste nella scelta della funzione di trasferi-
mento R(s) in modo che il sistema retroazionato fornisca determinate prestazioni, espresse mediante
un insieme di specifiche.
Dal momento che molte importanti proprietà di un sistema retroazionato sono legate alla sua funzione
di trasferimento d’anello L(s), la maggior parte dei requisiti di progetto possono essere soddisfatti
imponendo che la funzione di trasferimento d’anello L(s) soddisfi ad alcune proprietà. Nel seguito
assumeremo che la funzione di trasferimento d’anello L(s) rispetti le condizioni di applicabilità del

115
116 LEZIONE 25. INTRODUZIONE ALLA SINTESI E PROGETTO STATICO

criterio di Bode, in modo da poter sfruttare ai fini della sintesi i risultati inerenti l’analisi dei sistemi
retroazionati ricavati nelle lezioni precedenti.

25.1.1 Specifiche di progetto


Ora consideriamo le specifiche di progetto e le corrispondenti condizioni sulla funzione di trasferimento
d’anello L(s).
Stabilità in condizioni nominali Innanzitutto desideriamo che il sistema retroazionato sia asinto-
ticamente stabile in condizioni nominali. In base al criterio di Bode

Sistema asintoticamente stabile ⇐⇒ µ > 0 ϕm > 0

Cancellazioni critiche Si deve evitare che nel prodotto R(s)G(s) vi siano cancellazioni tra singolarità
con < ≥ 0, cioè poli e zeri di G(s) con parte reale positiva o nulla non si toccano.
Stabilità in condizioni perturbate Desideriamo anche avere un elevato grado di robustezza della
stabilità nei confronti di possibili incertezze sulla funzione di trasferimento G(s) del sistema
sotto controllo. Ciò si può ottenere imponendo elevati valori del margine di fase e del margine
di guadagno

Stabilità in condizioni perturbate ⇐⇒ ϕm > 0 e/o km elevati

Precisione statica La precisione statica del sistema retroazionato consiste nell’avere bassi valori per
il modulo dell’errore transitorio esaurito a fronte di ingressi, riferimento e disturbi, canonici:
scalino e rampa, tipicamente. Per ottenere questo risultato occorre aumentare il tipo g della
funzione di trasferimento d’anello oppure il suo guadagno µ

Precisione statica ⇐⇒ g > 0 e/o µ elevato

Per esempio se g = 1, cioè se la funzione di trasferimento d’anello contiene un integratore (ovvero


un polo nell’origine), allora l’errore a transitorio esaurito è nullo a fronte di variazioni a scalino
del riferimento.
Precisione dinamica Per precisione dinamica si intende la capacità del sistema di controllo di fare
in modo che l’uscita y segua fedelmente il riferimento w anche quando questo varia rapidamente.
Per ottenere questo risultato bisogna allargare la banda passante del sistema retroazionato ovvero
del sistema descritto dalla funzione di sensitività complementare F (s). Ciò si ottiene aumentando
il valore della pulsazione critica ωc

Precisione dinamica – velocità risposta ⇐⇒ ωc elevata

Inoltre per limitare sovraelongazione ed eccessive oscillazioni nella risposta allo scalino biso-
gna imporre un valore minimo di smorzamento per i poli dominanti di F (s). Come noto dalle
precedenti lezioni, ciò equivale a chiedere un valore sufficientemente elevato per il margine di
fase.

Precisione dinamica – smorzamento ⇐⇒ ϕm elevato

Attenuazione disurbi in andata Per attenuare gli effetti di disturbi sulla linea di andata bisogna
far riferimento alle proprietà della funzione di sensitività S(s), in particolare bisogna fare in modo
che |L(jω)|  1 nell’intervallo di pulsazioni su cui insiste lo spettro del disturbo.
Dal momento che tipicamente i disturbi sulla linea di andata sono in bassa frequenza, questo si
traduce nell’imporre che |L(jω)|  1 per ω < ωc oppure nell’imporre valori elevati per ωc .
25.1. MODULO 1: SPECIFICHE DI PROGETTO 117

Attenuazione disurbi in retroazione Per i disturbi sulla linea di retroazione bisogna guardare al-
la funzione di sensitività complementare F (s), in particolare si desidera che |L(jω)|  1 alle
pulsazioni su cui insiste lo spettro del disturbo.
Dal momento che questi disturbi tipicamente hanno spettro concentrato in alta frequenza, questo
requisito si traduce nella richiesta che |L(jω)|  1 per ω > ωc oppure nell’imporre al sistema
una ωc non troppo elevata.
Moderazione del controllo Le proprietà di moderazione del controllo sono legate alle proprietà
della funzione di sensitività del controllo Q(s). Questo si traduce nel richiedere che |R(jω)| non
assuma valori troppo elevati a pulsazioni ω > ωc .

Moderazione del controllo ⇐⇒ |R(jω)| basso per ω > ωc

Realizzabilità del Regolatore Infine è necessario prestare attenzione al fatto che erre di esse sia la
funzione di trasferimento si un sistema dinamico almeno proprio, cioè che non abbia mai più zeri
che poli.

Realizzabilità del Regolatore ⇐⇒ R(s) almeno propria

25.1.2 Formulazione delle specifiche di progetto


Specifiche statiche Le specifiche statiche vengono sostanzialmente sempre formulate in termini di
modulo dell’errore a transitorio esaurito a fronte di andamento assegnati per gli ingressi

|e(∞)| ≤ ē con w(t) e dA (t) dati

Specifiche dinamiche Le specifiche dinamiche si traducono in vincoli sulla pulsazione critica del
sistema

ωmin ≤ ωc ≤ ωmax =⇒ specifiche di “velocità”

che dà un’indicazione sulla velocità del sistema retroazionato ovvero sulla banda passante della
funzione di sensitività complementare F (s), ed anche in vincoli sul margine di fase o sul margine
di guadagno,

ϕm ≥ ϕ̄m
=⇒ specifiche di “robustezza”
km ≥ k̄m

che sono indicatori della robustezza della stabilità.


A volte può capitare che le specifiche di progetto vengano assegnate in modo differente, è però
interessante osservare che si può sempre cercare di ricondursi a vincoli sulle quantità viste.

Vincolo sul tempo di assestamento Per esempio una specifica di velocità del sistema retroazio-
nato può essere espressa facendo riferimento al tempo di assestamento della sua risposta allo scalino,
chiedendo che esso sia minore di un valore t

Tempo di assestamento ta < t

Mostreremo ora come tale specifica possa essere espressa mediante un vincolo sulla pulsazione critica
ωc , la tipica quantità a cui si fa riferimento per caratterizzare la velocità di un sistema retroazionato.
Infatti nel caso in cui F (s) abbia poli dominanti complessi coniugati il vincolo diventa

500
ωc >
ϕm t
118 LEZIONE 25. INTRODUZIONE ALLA SINTESI E PROGETTO STATICO

Infatti il tempo di assestamento può essere approssimato come

5 5
ta ∼
= =
<(p) ξωn

dove ξ ed ωn sono rispettivamente lo smorzamento e la pulsazione naturale dei poli. Come è noto
questo può essere approssimato in alcuni casi come

500
ta = <t
ϕm ωc

Se è inoltre presente un vincolo di robustezza che impone ϕm > ϕm , ecco che si ottiene l’espressione
vista in precedenza.
Nel caso in cui F (s) abbia invece un polo dominante reale, il vincolo sul tempo di assestamento si
traduce nel richiedere che
5 5
ta = 5τ = < t ⇐⇒ ωc >
ωc t

Vincolo sulla massima sovraelongazione Analogamente a prima, un vincolo sulla massima so-
vraelongazione percentuale nella risposta allo scalino

Massima sovraelongazione percentuale S% < S

può essere trasformato in una specifica sul margine di fase. É noto infatti che la massima sovraelon-
gazione percentuale dipende solo dallo smorzamento dei poli, essa infatti è

2
S% = 100e−ξπ/ 1−ξ

dove ξ è lo smorzamento dei poli dominanti di F (s). Ricordando che sotto opportune ipotesi ξ può
essere approssimato come
ϕm
ξ=
100
ed invertendo la relazione precedente, si ottiene il vincolo sul margine di fase seguente

100 ln(100/S̄)
ϕm > p
π 2 + [ln(100/S̄)]2

Vincoli sull’attenuazione dei disturbi Infine è possibile trattare anche vincoli più specifici inerenti
l’attenuazione di disturbi con spettri concentrati in bande di pulsazioni note.
Per esempio supponiamo di voler attenuare di N dB un disturbo sulla linea di andata con spet-
tro concentrato nell’intervallo di pulsazioni [ω1 , ω2 ]. Allora basta imporre che |L(jω)|dB ≥ N su
[ω1 , ω2 ] (chiaramente deve essere ωc ≥ ω2 ).
Analogamente per attenuare di N dB un disturbo sulla linea di retroazione con spettro concentrato
nell’intervallo di pulsazioni [ω1 , ω2 ] basta imporre che |L(jω)|dB ≤ −N su [ω1 , ω2 ] (e risulta quindi
anche ωc ≤ ω1 ).

25.2 Modulo 2: Fasi della sintesi e progetto statico


In questo modulo introdurremo la metodologia di sintesi del controllore usata in questo corso. Vedremo
che il progetto avviene in due passaggi successivi e di questi cominceremo ad affrontare il primo, il
cosiddetto progetto statico.
25.2. MODULO 2: FASI DELLA SINTESI E PROGETTO STATICO 119

25.2.1 Sintesi per tentativi


Schematicamente, si procede come segue
 Trasformare le specifiche di progetto in vincoli su L(s). In particolare, come visto, le condizioni
più usate sono requisiti su ωc e ϕm
 Cominciare scegliendo una R(s) di struttura semplice
 Modificare L(s) per tentativi successivi al fine di rispettare tutte le specifiche di progetto
 Al termine di ogni tentativo verificare, mediante gli strumenti dell’analisi dei sistemi retroazionati,
come ad esempio di Diagrammi di Bode, se il controllore progettato rispetta tutte le specifiche
di progetto o se è necessario un’ulteriore modifica del controllore
Nel fare ciò bisogna prestare attenzione a vincoli aggiuntivi, come quelli sulla struttura o sull’ordine
del regolatore, verificando sempre che esso sia almeno proprio.
Al fine di realizzare la sintesi per tentativi è spesso comodo ragionare fattorizzando la funzione di
trasferimento del controllore in due termini

R(s) = R1 (s)R2 (s)


µR
R1 (s) =
sr
dipende solo dal tipo r e dal guadagno µ della funzione di trasferimento del controllore ed è detta
parte statica del regolatore. Essa infatti contiene quei termini della funzione di trasferimento del
controllore che sono rilevanti a basse pulsazioni e può essere utilizzata per modificare le proprietà
statiche del sistema retroazionato.

Q
(1 + sTi )
R2 (s) = Qi
i (1 + sτi )

contiene i poli e gli zeri non nulli della funzione di trasferimento del controllore ed è detta
parte dinamica o rete stabilizzatrice. Essa può essere utilizzata per modificare le caratteristiche
della funzione di trasferimento d’anello, in modo da rispettare i requisiti dinamici e di garantire
l’asintotica stabilità del sistema retroazionato.
Il progetto si articola quindi in due fasi
Progetto statico in cui si sceglie R1 (s), cioè il guadagno e il tipo di regolatore
Progetto dinamico a volte non necessario, in cui si scegli per tentativi successivi R2 (s)
A volte accade che il valore del guadagno del controllore resti indeterminato al termine del progetto
statico ed il problema della sua scelta verrà demandato al progetto dinamico. Illustriamo questa
metodologia di sintesi mediante un esempio.

Esempio 25.1
Si desidera progettare un controllore erre per un sistema descritto da

dA
+
w + y
R(s) G(s)
− +
120 LEZIONE 25. INTRODUZIONE ALLA SINTESI E PROGETTO STATICO

dove
10
G(s) =
(1 + 10s)(1 + 5s)(1 + s)

Si vuole che il sistema di controllo rispetti le seguenti specifiche

|e(∞)| ≤ 0.1 con w(t) = A sca(t) |A| ≤ 1



dA (t) = B sca(t) |B| ≤ 5
 ωc ≥ 0.2
 ϕm ≥ 60◦

Cominciamo con il progetto statico. La funzione di trasferimento d’anello è

L(s) = R(s)G(s)

ed ha

 guadagno d’anello 10µR > 0


 tipo r

L’errore a transitorio esaurito è dato dalla somma degli errori a transitorio esaurito dovuti rispettivamente
al riferimento e al disturbo

e(∞) = ew (∞) + ed (∞) ⇒ |e(∞)| = |ew (∞)| + |ed (∞)| ≤ 0.1

Valutiamo ora separatamente i due contributi. Il modulo del contributo dovuto al riferimento è
A 1

 ≤ se r = 0
|ew (∞)| = 1 + 10µR 1 + 10µR
se r > 0

0

Il modulo del contributo dovuto al disturbo vale


B 5

 ≤ se r = 0
|ed (∞)| = 1 + 10µR 1 + 10µR
se r > 0

0

A questo punto in qualità di progettisti bisogna compiere una scelta di progetto

- scegliendo r = 1 avremo e(∞) = 0, fatto che ci viene garantito dalla presenza di un’azione integrale,
cioè un polo nell’origine all’interno della funzione di trasferimento d’anello L(s). Il metodo di questo
fatto è del controllore che ha parte statica
µ
R1 (s) =
s
il guadagno µR del regolatore verrà scelto dopo
- Scegliendo invece di non inserire un polo nell’origine nella funzione di trasferimento d’anello, cioè
ponendo r = 0, si ha che
6
|e(∞)| ≤ ≤ 0.1 ⇒ µR ≥ 5.9
1 + 10µR

È conveniente scegliere un valore di mu erre un po’ superiore al minimo, per esempio µR = 8. Quindi
scegliendo r = 0, la parte statica del controllore è

R1 (s) = 8
Lezione 26

Progetto per sistemi a fase minima

26.1 Modulo 1: Progetto dinamico A


In questo modulo illustreremo come è possibile effettuare il progetto dinamico. Con riferimento all’e-
sempio precedente vedremo come si può procedere a seconda che si utilizzi un risultato o l’altro del
progetto statico, infine confronteremo le prestazioni dei diversi controllori ottenuti.

26.1.1 Progetto dinamico – caso A


Nel primo esempio di progetto dinamico utilizziamo la parte statica del controllore

R1 (s) = 8

La funzione di trasferimento d’anello sarà quindi

80
L(s) = 8G(s)R2 (s) = L0 (s)R2 (s) L0 (s) =
(1 + 10s)(1 + 5s)(1 + s)

Il procedimento di sintesi per tentativi prevede che

 si faccia una scelta per R2 (s)

 si verifichi se le specifiche di progetto sono rispettate in corrispondenza di questa scelta. Per la


verifica è sempre utile tracciare i diagrammi di Bode del modulo della risposta in frequenza di
L(s).

Primo tentativo Solitamente, a meno che non si abbiano motivi per fare diversamente, il primo
tentativo consiste nello scegliere R2 (s) = 1, come dire: siccome non ho nessuna idea su come deve
essere fatta la parte dinamica del controllore, comincio col non mettercela. Quindi con questa scelta

L(s) = L0 (s)

e possiamo tracciare i diagrammi di Bode di L0 (jω)

121
122 LEZIONE 26. PROGETTO PER SISTEMI A FASE MINIMA

Dal diagramma di |L0 (jω)| si può osservare che la pulsazione critica vale circa 1 rad/s, valore che
rispetta le specifiche; dal diagramma della fase si nota che il margine di fase ϕm < 0 e quindi il sistema
retroazionato è instabile per il criterio di Bode. Si osservi che si poteva anche evitare di tracciare il
diagramma della fase, infatti una volta nota la pulsazione critica è possibile calcolare direttamente la
fase critica che è appunto la fase della L0 (jω) valutata in omega critica.

Secondo tentativo Come secondo tentativo possiamo provare a progettare direttamente una nuova
L00 (s) che soddisfi i requisiti a partire dall’ultimo tentativo disponibile, cioè la L0 (s).
In particolare realizziamo una L00 (s) tale che il diagramma di Bode del modulo della sua risposta in
frequenza tagli l’asse a 0 dB circa in ωc = 0.3 > 0.2 rad/s, con una pendenza di −20 db/decade.
In questo modo si rispetta certamente la specifica sulla pulsazione critica, inoltre l’attraversamento
dell’asse a 0 dB con decibel con pendenza a −1 dovrebbe favorire l’ottenimento di un margine di fase
soddisfacente (sistema a fase minima).
Una simile funzione di trasferimento d’anello si può ottenere
• mediante un controllore che cancelli con tre zeri tutti e tre i poli di G(s),
• facendo attenzione a raccordare in alta e in bassa frequenza il diagramma del modulo di L00 (s)
con quello di L0 (s), che era l’ultima funzione di trasferimento d’anello che avevamo a disposizione
nella quale non c’era parte dinamica del controllore.
La L00 (s) avrà dunque un polo in bassa frequenza e una coppia di poli in alta frequenza, che saranno
frutto dei raccordi
80 L00 (s) (1 + 10s)(1 + 5s)(1 + s)
L00 (s) = R2 (s) = 0
=
(1 + τbf s)(1 + τaf s)2 L (s) (1 + τbf s)(1 + τaf s)2
polo in alta
polo in bassa frequenza
frequenza
Il regolatore R(s) cancellerà i tre poli di G(s) con tre zeri e introdurrà i poli necessari ai raccordi. Si
noti che le cancellazioni tra gli zeri di R(s) e i poli di G(s) sono lecite, in quanto riguardano singolarità
con parte reale negativa.
• Operativamente il raccordo in bassa frequenza viene in un certo senso imposto mediante la
scelta della posizione del polo più opportuna al fine di tagliare l’asse a 0 dB con pendenza di
26.1. MODULO 1: PROGETTO DINAMICO A 123

−20 dB/decade alla pulsazione desiderata. In particolare ponendo il polo in bassa frequenza in
ω = 0.004 rad/s (τbf = 250) il diagramma del modulo taglierà l’asse a 0 dB in ωc ∼ = 0.3 rad/s
con la pendenza desiderata.
• La posizione del polo o dei poli per i raccordi in alta frequenza di solito viene determinata
approssimativamente dal diagramma del modulo. Volendo essa può anche essere calcolata anali-
ticamente, in modo da avere perfetta coincidenza in alta frequenza tra i diagramma di |L00 (jω)|
e |L0 (jω)|.
• Infine, tracciati i diagrammi di Bode di L00 (jω), si verifica che le specifiche di progetto siano
rispettate.
Vediamo ora come esempio in che modo calcolare analiticamente la posizione dei poli in alta frequenza
per avere un raccordo perfetto. Ricordiamo che questa procedura non è necessaria in generale. Quello
che vogliamo è che

vogliamo che L00 (jω) ∼


= L0 (jω) per ω → ∞
perché ciò avvenga è necessario che |R2 (jω)| → 1 per ω → ∞, dove
(1 + 10s)(1 + 5s)(1 + s)
R2 (s) = → 1 per ω → ∞
(1 + 250s)(1 + τaf s)2
infatti la parte dinamica del regolatore è l’unica differenza fra L00 e L0 . Essendo
10 · 4 · 1 ∼
R2 (∞) = 2 = 1 =⇒ τaf = 0.4472
250 · τaf
per cui
(1 + 10s)(1 + 5s)(1 + s)
R2 (s) =
(1 + 250s)(1 + 0.4472s)2
Quindi la struttura finale del controllore è
8(1 + 10s)(1 + 5s)(1 + s)
R(s) = R1 (s)R2 (s) =
(1 + 250s)(1 + 0.4472s)2

In questa figura sono mostrati i diagrammi del modulo di elle primo e di elle secondo sovrapposti.
124 LEZIONE 26. PROGETTO PER SISTEMI A FASE MINIMA

Sono anche evidenziati i poli di G(s) da cancellare mediante tre zeri indicati con dei cerchietti. Sono
visibili anche le posizioni del polo utilizzato per il raccordo in bassa frequenza e dei due poli utilizzati
per il raccordo in alta frequenza.

Qui sono mostrati i diagrammi di Bode della risposta in frequenza di R(s). Si noti che l’andamento
del diagramma del modulo per pulsazioni elevate è identico a quello per basse pulsazioni e vale circa
18 dB. Ciò significa che la parte dinamica del regolatore non ha nessun effetto alle alte frequenze, in
quanto il suo andamento è identico a quello del regolatore alle basse frequenze. dove, come sappiamo,
domina la parte statica del controllore. Ciò è frutto di un perfetto raccordo in alta frequenza tra la L00
e la L0 , in cui non compariva la parte dinamica del regolatore.

A questo punto è necessario verificare se il controllore progettato fa sì che il sistema retroazionato


rispetti le specifiche di progetto. La pulsazione critica è ωc = 0.3rad/s, con un margine di fase di
77.1◦ , il progetto è quindi accettabile. Si noti che in questo progetto il raccordo in bassa frequenza
è indispensabile, in questo modo non sono state alterate le proprietà della funzione di trasferimento
d’anello a basse pulsazioni, cioè non sono stati modificati i risultati del progetto statico. Al contrario il
raccordo in alta frequenza ha motivazioni meno forti ma è comunque utile, perché così si mantengono
inalterate le proprietà di moderazione del controllo che, come è noto, dipendono da |R(jω)| a frequenze
elevate.

26.2 Modulo 2: Progetto dinamico B e C


26.2.1 Progetto dinamico – caso B
Vediamo ora un secondo esempio di progetto dinamico, svolto sempre a partire da

R1 (s) = 8

Per ampliare la banda passante del sistema di controllo ben oltre il valore minimo richiesto dalle
specifiche è possibile

 cancellare i due poli di G(s) più in alta frequenza

 sostituirli con due poli a pulsazione ancora più elevata

 lasciare inalterato il polo di G(s) in bassa frequenze.


26.2. MODULO 2: PROGETTO DINAMICO B E C 125

Per fare ciò una possibile proposta è


(1 + 5s)(1 + s)
R2 (s) =
(1 + 0.02s)2
da cui si ha che la funzione di trasferimento d’anello L è
80
L(s) =
(1 + 10s)(1 + 0.02s)2
Il regolatore avrà quindi funzione di trasferimento
8(1 + 5s)(1 + s)
R(s) = R1 (s)R2 (s) = 8R2 (s) =
(1 + 0.02s)2
Questi sono i diagrammi di Bode di L(jω)

È facile ottenere dal diagramma del modulo il valore della pulsazione critica, pari a ωc ∼= 7.8rad/s e
quindi calcolare analiticamente o valutare dal diagramma della fase il margine di fase che è pari a 73◦ .
Le specifiche di progetto sono dunque verificate. Qui è possibile vedere i diagrammi di Bode di R(jω)

Si noti che il valore del modulo della risposta in frequenza del regolatore raggiunge valori molto elevati
ad alte pulsazioni, ciò significa che questo regolatore avrà prestazioni scadenti dal punto di vista della
moderazione del controllo.
126 LEZIONE 26. PROGETTO PER SISTEMI A FASE MINIMA

26.2.2 Progetto dinamico – caso C


Consideriamo ora un terzo esempio di progetto dinamico, questa volta a partire da
µR
R1 (s) =
s
La funzione di trasferimento d’anello è
G(s)
L(s) = R(s)G(s) = R1 (s)R2 (s)G(s) = µR R2 (s)
s
Evidenziamo il fattore
G(s)
L0 (s) =
s

Primo tentativo Come primo tentativo di progetto poniamo


R2 (s) = 1
perciò la funzione di trasferimento d’anello sarà
L(s) = µR L0 (s)
Partendo da µR = 1 possiamo tracciare i diagrammi di Bode della risposta in frequenza di L0 (jω)

Dal diagramma della fase di L0 (jω) si può notare che la fase di L0 (jω) vale −120◦ in ω = 0.03 rad/s.
Ciò significa che, dal momento che una specifica di progetto richiede che il margine di fase sia almeno
60◦ , non sarà possibile ottenere ωc > 0.03rad/s solo agendo sul guadagno µR del controllore. È quindi
necessario agire su poli e zeri della funzione di trasferimento d’anello.

Secondo tentativo Come secondo tentativo è dunque sensato dotare il regolatore di uno zero che
cancelli il polo di G(s) in bassa frequenza. Questo infatti è responsabile del maggiore contributo
negativo alla fase della funzione di trasferimento d’anello. Si noti che la scelta di una funzione di
trasferimento impropria
R(s) = 1 + 10s
è lecita dal momento che la parte statica del controllore contiene già un polo nell’origine e quindi la
funzione di trasferimento complessiva del controllore, R(s), sarà propria, anche se non strettamente.
La funzione di trasferimento d’anello sarà
G(s)
L(s) = µR (1 + 10s)
s
26.2. MODULO 2: PROGETTO DINAMICO B E C 127

Evidenziando
G(s)
L00 (s) = (1 + 10s)
s
Dal tracciamento dei diagrammi di Bode per la risposta in frequenza di L00 (s), diagrammi che qui non
riportiamo, si ha che la fase di

]L00 (j0.09) = −120◦

quindi analogamente al caso precedente agendo solo sul guadagno la massima pulsazione critica otteni-
bile con un margine di fase di 60◦ gradi è 0.09 rad/s, che è insufficiente perché non rispetta le specifiche
di progetto.

Terzo tentativo Facciamo dunque un terzo tentativo


(1 + 10s)(1 + 5s)
R2 (s) =
1+s
 eliminando con uno zero del regolatore un ulteriore polo di G(s) in bassa frequenza
 aggiungendo però nel regolatore un polo in alta frequenza, perché la funzione di trasferimento
R(s) sia almeno propria, anche se non strettamente
La funzione di trasferimento d’anello è
G(s) (1 + 10s)(1 + 5s)
L(s) = µR
s 1+s
in cui è possibile evidenziare il fattore
10
L000 (s) =
s(1 + s)2

Tracciamo ora i diagrammi di Bode della risposta in frequenza di L000 (jω)

Dai diagrammi di Bode si nota che la fase di L000 (jω) vale −120◦ alla pulsazione di circa 0.24 rad/s.
Inoltre a tale pulsazione |L000 (jω)| vale circa 32 dB, quindi scegliendo per il guadagno

µR = 0.025
128 LEZIONE 26. PROGETTO PER SISTEMI A FASE MINIMA

pari a circa −32 dB, si abbassa il diagramma del modulo di 32 dB, ottenendo come pulsazione critica
proprio la pulsazione in cui la fase di L000 (jω) ha valore meno −120◦ e si è ottenuto così il rispetto per
le specifiche.
Per la precisione la pulsazione critica vale ωc = 0.24 rad/s e il margine di fase valutato analiticamente
vale 63◦ . Il regolatore progettato ha quindi funzione di trasferimento
0.025(1 + 10s)(1 + 5s)
R(s) =
s(1 + s)

Dal diagramma del modulo della risposta in frequenza si nota che questo controllore non ha elevati
valori del modulo ad alte pulsazioni e quindi ci aspettiamo che avrà buone proprietà di moderazione
dell’azione di controllo.

26.3 Modulo 3: Riepilogo e confronto


Confrontiamo ora le proprietà dei tre regolatori progettati per il medesimo sistema con funzione di
trasferimento
10
G(s) =
(1 + 10s)(1 + 5s)(1 + s)
A Il controllore A
8(1 + 10s)(1 + 5s)(1 + s) ωc ∼
= 0.3
R(s) =
(1 + 250s)(1 + 0.4472s)2 ϕm ∼
= 76◦
cancella completamente la dinamica del sistema sotto controllo, eliminandole tutti e tre i poli
e sostituendoli con altri tre poli. È evidente che spingendo al limite questo ragionamento si
sarebbe potuto avere una pulsazione critica grande a piacere, con margine di fase di circa 90◦
indipendentemente dalla posizione iniziale dei tre poli di G(s). Questo avrebbe portato però a
scarsissima moderazione del controllo, oltre ad altri problemi connessi con la saturazione degli
attuatori e con la banda, che è ovviamente limitata, dei sensori.
B Il progetto B
8(1 + 5s)(1 + s) ωc ∼
= 7.8
R(s) =
(1 + 0.02s)2 ϕm ∼
= 73◦
è sulla strada di cui abbiamo parlato adesso. Ha elevata pulsazione critica, circa 40 volte più
grande di quella minima richiesta dalle specifica, ed un elevato margine di fase. Esso permette
ottime prestazioni dal punto di vista dinamico ma come vedremo scarsa moderazione del controllo.
26.3. MODULO 3: RIEPILOGO E CONFRONTO 129

C Il progetto C
0.025(1 + 10s)(1 + 5s) ∼ 0.24
ωc =
R(s) =
s(1 + s) ϕm ∼
= 63◦
è molto simile al progetto A dal punto di vista delle prestazioni dinamiche, solo un po’ meno
robusto a causa di un margine di fase inferiore. Esso però introduce un’azione integrale nella
funzione di trasferimento d’anello e questo ci garantisce errore nullo a transitorio esaurito a fronte
di variazioni a scalino del riferimento, cioè delle prestazioni statiche ottime.
In questa pagina sono visibili i diagrammi di Bode della risposta in frequenza dei tre controllori
progettati

Si noti che A e C sono molto simili dal punto di vista delle proprietà dinamiche. Il controllore B è
invece molto differente, in particolare, avendo modulo elevato ad alte pulsazioni, esso eserciterà azioni
di controllo molto intense.
Questi sono i diagrammai di Bode della risposta in frequenza delle funzioni di trasferimento d’anello
per i tre differenti progetti

qui è possibile vedere che la pulsazione critica del progetto B è oltre una decade più elevata di quella
dei progetti A e C.
130 LEZIONE 26. PROGETTO PER SISTEMI A FASE MINIMA

I progetti A e C sono però molti differenti dal punto di vista statico, infatti si può notare la presenza
di un polo nell’origine nella funzione di trasferimento d’anello del progetto C, ciò sia osservando il
diagramma del modulo sia osservando quello della fase. Infatti il diagramma del modulo nel caso C
ha pendenza −1 a basse pulsazioni e il diagramma della fase vale −90◦ a basse pulsazioni, entrambi i
segni della presenza di un polo nell’origine.
Questi sono i diagrammi di Bode della risposta in frequenza della funzione di trasferimento in anello
chiuso ovvero della funzione di sensitività complementare F (jω)

Dal diagramma del modulo si può stimare facilmente la posizione dei poli dominanti in anello chiuso,
oltre che la banda passante del sistema retroazionato.
Questi sono i diagrammi di Bode della risposta in frequenza della funzione di sensitività S(jω).

Ricordiamo che essa è la funzione di trasferimento dal disturbo sulla linea di andata all’uscita e, a meno
del segno, dal disturbo sulla linea di andata all’errore. I diagrammi di Bode della risposta in frequenza
di S(s) ci danno indicazioni sulla capacità del sistema di rigettare disturbi con spettro concentrato in
determinate bande di pulsazione.
Per esempio, il sistema di controllo del progetto B è in grado di attenuare di circa 40 dB disturbi in bassa
frequenza fino alla pulsazione di circa 0.1 rad/s e attenua di almeno 20 dB le componenti armoniche
26.3. MODULO 3: RIEPILOGO E CONFRONTO 131

dei disturbi fino a 1rad/s. Al contrario, passano pressoché inalterate le componenti armoniche dei
disturbi a pulsazione superiore a circa 10 rad/s. Analoghi ragionamenti possono essere fatti anche per
i progetti A e C.

Questi sono i diagrammi di Bode della risposta in frequenza delle funzioni di sensitività del controllo
Q(jω)

Come già osservato precedentemente, il progetto B è il migliore dal punto di vista delle prestazioni
dinamiche, al prezzo di esercitare intense azioni di controllo. Questo fatto è qui visibile molto bene,
dal momento che |Q(jω)| raggiunge i 100 dB di valore a pulsazioni elevate.

In questa figura è mostrato l’andamento dell’uscita del sistema in risposta a una variazione a scalino
unitario del riferimento.

 Si noti che le risposte per i progetti A e C sono molto simili, anche se solo il controllore C
garantisce errore nullo a transitorio esaurito, cioè uscita uguale a 1 dopo il transitorio iniziale.

 Il sistema retroazionato ottenuto con il progetto B è invece molto più veloce e infatti il suo
transitorio è molto più rapido che nei casi A e C. Si noti anche che l’asse dei tempi della risposta
132 LEZIONE 26. PROGETTO PER SISTEMI A FASE MINIMA

allo scalino nel caso B arriva fino a 10 secondi, mentre nei casi A e C arriva fino a 20 secondi.
 Infine si osservi che anche il progetto B, come nel caso A, non garantisce errore nullo a transitorio
esaurito, a fronte di una variazione a scalino del riferimento. L’uscita infatti non raggiunge il
valore 1 con precisione come nel progetto C.
Si noti che, se pure in modo approssimato, il tempo di assestamento della risposta a scalino può essere
valutato a partire dai valori di pulsazione critica e margini di fase dei sistemi
500
ta ∼
=
ϕm ωc

In questa figura si può apprezzare bene cosa si intende per scarsa moderazione del controllo.

Nelle figure è mostrato nei tre casi l’andamento dell’azione di controllo quando il sistema retroazionato
è sollecitato con ingresso a scalino del riferimento. Si noti che nei casi A e C il valore iniziale di
dell’azione di controllo u non è particolarmente elevato, mentre nel caso B esso raggiunge il valore di
105 . Questi elevati valori dell’azione di controllo come minimo manderanno in saturazione gli attuatori
del sistema e se non ci sono dispositivi di sicurezza possono arrivare a danneggiarli.
Veniamo ora alle conclusioni e a un riepilogo.
I Tutti i regolatori sono stati progettati in modo da rispettare le specifiche di progetto
I Nei tre casi il sistema retroazionato che si ottiene mostra comportamenti molto diversi.
I In particolare il progetto C è l’unico a garantire errore nullo a transitorio esaurito, a fronte di
variazione a scalino del riferimento. Ciò grazie alla presenza di un polo nell’origine nella funzione
di trasferimento d’anello.
I Il progetto B fornisce un sistema con elevate prestazioni dinamiche, cioè è molto veloce, al
prezzo di una maggiore potenzialmente inaccettabile sollecitazione dell’azione di controllo. Con
riferimento a questo specifico caso si osservi che in generale il fatto di avere una pulsazione critica
ωc molto elevata non è sempre un vantaggio. Come visto, si ha
◦ scarsa moderazione del controllo
◦ ci si può anche aspettare una modesta attenuazione dei disturbi in retroazione
◦ inoltre si può avere scarsa robustezza rispetto a ritardi di tempo non modellizzati e ad
incertezze sul modello del sistema sotto controllo ad alta frequenza.
Lezione 27

Progetto per sistemi a fase non minima

27.1 Modulo 1: Sistemi con zeri a parte reale positiva


In questa lezione ci occuperemo di tecniche di progetto per sistemi a fase non minima. In particolare
in questo primo modulo studieremo sistemi con zeri a parte reale positiva.
 In fase di progetto non è possibile cancellare lo zero con < > 0 nella funzione di trasferimento
del sistema. Infatti per fare ciò sarebbe necessario introdurre nel controllore un polo instabile
e quindi nella funzione di trasferimento d’anello si avrebbe una cancellazione non lecita di una
parte del sistema non asintoticamente stabile.
 Purtroppo questo zero che non possiamo eliminare dà un contributo negativo alla fase della
funzione di trasferimento d’anello.
 Avremo quindi un limite sul massimo valore ottenibile di pulsazione critica in fase di progetto,
cioè avremmo un limite sulla banda passante del sistema in anello chiuso e quindi in ultima
istanza sulla velocità del sistema di controllo.
Per meglio illustrare cosa può accadere nel progetto del controllore per un sistema con uno zero a parte
reale positiva consideriamo il seguente esempio.
Si desidera progettare un controllore R(s) per il sistema

w + y
R(s) G(s)

con funzione di trasferimento


0.1(1 − 2s)
G(s) =
s(1 + 10s)(1 + 0.1s)

che ha guadagno 0.1, un polo nell’origine, un polo in −0.1, un polo in−10 e uno zero reale e positivo
in +0.5. Si desidera che il sistemaretroazionato rispetti le seguenti specifiche di progetto
 e(∞) = 0 con w(t) = sca(t)
 ωc massima possibile
 ϕm ≥ 40◦

Progetto statico Cominciamo con il progetto statico. Questo è molto semplice, infatti avendo la
G(s) un polo nell’origine, la presenza di un’azione integrale nella funzione di trasferimento d’anello è
garantita. Questo fatto ci assicura che il sistema retroazionato avrà errore nullo a transitorio esaurito

133
134 LEZIONE 27. PROGETTO PER SISTEMI A FASE NON MINIMA

a fronte di variazione a scalino del riferimento, quindi la parte statica del regolatore è costituita da
solo guadagno µR e non c’è bisogno di poli addizionali nell’origine
R1 (s) = µR

Progetto dinamico Passiamo ora al progetto dinamico ecominciamo con un’osservazione: scriviamo
la funzione di trasferimento d’anello, essa è elle uguale a
0.1(1 − 2s)
L(s) = R(s)G(s) = µR R2 (s)
s(1 + 10s)(1 + 0.1s)
Notiamo che il termine
1 − 2s
s
non è cancellabile per quanto detto all’inizio, esso inoltre dà un contributo negativo alla fase della
funzione di trasferimento d’anello,Infatti
1 − 2jω
] = − arctg(2ω) − 90◦

Questo contributo di fase, valutato alla pulsazione critica, dovrà certamente essere superiore a −140◦ ,
in quanto abbiamo un vincoloϕm > 40◦ sul margine di fase che ci è imposto dalla specificadi progetto.
Questo si traduce nel vincolo
tan 50◦
− arctg(2ω) − 90◦ > −140◦ ⇐⇒ arctg(2ω) < 50◦ ⇐⇒ ω < = 0.595877 rad/s
2
da cui si ha che
ωc < 0.595877 rad/s
Si noti che questo limite non potrà certamente essere raggiunto, in quantoesso è stato calcolato senza
tenere conto dello sfasamento introdotto daglialtri due poli, che comunque potranno essere cancellati
e spostati apulsazioni più elevate.

Primo tentativo Come primo tentativo consideriamo R2 (s) = 1, cioè utilizziamo un controllore
puramente proporzionale, infatti la funzione di trasferimentod’anello è
L(s) = µR G(s)
e tracciamo i diagrammi di Bode di G(jω)
27.1. MODULO 1: SISTEMI CON ZERI A PARTE REALE POSITIVA 135

dal diagramma della fase si può notare che

]G(j0.085) = −140◦

Questo valore di fase è significativo perché è il massimo valore compatibile con il vincolo che vuo-
le ϕm ≥ 40◦ , quindi siccome la fase di G(jω) vale meno −140◦ in corrispondenzadella pulsazione
0.085 rad/s, questo sarà il massimo valore dipulsazione critica ottenibile con un controllore puramente
proporzionaleche rispetti la specifica sul margine di fase.

ωc,max = 0.085 rad/s

Si osservi che a questo punto sarebbe lecito considerare concluso il progetto: si è scelto di usare un
controllore proporzionale e lo si è tarato in modo da ottenere la massima pulsazione critica compati-
bilmentecon il vincolo che il margine di fase sia almeno 40◦ . Noi però sappiamo che il limite teorico di
pulsazione critica compatibile con il vincolo sul margine di fase è ben superiore, esso è infatti superiore
a 0.5 rad/s e quindi cerchiamo di aumentare la pulsazione critica del sistema.

Secondo tentativo Facciamo quindi un secondo tentativo, scegliendo R2 in modo dacancellare il


polo di G(s) in bassa frequenza, quello in −0.1, spostandolo due decadi più in alta frequenza, in −10.
Avremo quindi che
1 + 10s
R2 (s) =
1 + 0.1s
da cui la funzione di trasferimento
0.1(1 − 2s)
L(s) = R(s)G(s) = µR · L0 (s)
s(1 + 0.2s)2

Consideriamo il fattore L0 (s) e tracciamo i diagrammi di Bode della sua risposta in frequenza

Si noti che la fase di L0 (jω) vale −140◦ incorrispondenza della pulsazione 0.5 rad/s, che è mol-
to vicina alvalore limite che avevamo calcolato all’inizio. Si osservi inoltre che aquesta pulsazione
|L0 (jω) ∼
= −11 dB|. Quindiscegliendo per il guadagno del controllore il valore

µR = 3.5 ⇐⇒ µR |dB = 11 dB
136 LEZIONE 27. PROGETTO PER SISTEMI A FASE NON MINIMA

si ottiene l’effetto di spostare verso l’alto il diagramma di Bode di |L0 (jω)| di circa 11 dB. In questo
modo esso intersecherà l’asse a 0 dB in ω ∼ = 0.5 rad/s, che sarà il nostro valore di pulsazione critica.
La funzione di trasferimento d’anello diventa quindi
0.35(1 − 2s)
L(s) =
s(1 + 0.1s)2
e possiamo tracciarne i diagrammi di Bode della risposta in frequenza.

Si noti che il diagramma di Bode della fase è identico a quello di L0 , mentre il diagramma del modulo
è stato semplicemente alzato di 11 dB. È facile ora verificare che questo sistema rispetta le specifiche
diprogetto, come ci attendevamo la pulsazione critica è circa 0.5 radianti al secondo, con margine di
fase di 40◦ .
ωc ∼
= 0.5
∼ −90◦ − arctg(2ωc ) − 2 arctg(0.1ωc )
ϕc =
= −90◦ − arctg(1) − 2 arctg(0.05) ∼
= −90◦ − 45◦ − 5◦ = −140◦
Il regolatore frutto di questo progetto è
3.5(1 + 10s)
R(s) =
(1 + 0.1s)

27.2 Modulo 2: Sistemi con ritardo


In questo modulo ci occuperemo del progetto di controllori per sistemi con ritardo, cioè per sistemi la
cui funzione di trasferimento G(s) contiene un termine del tipo e−sτ .
 Il termine e−sτ relativo al ritardo di tempo non può essere eliminato. Una delle ragioni è che noi
ci occupiamo del progetto di controllori con funzione di trasferimento R(s) razionale.
 Come è noto, un ritardo di tempo dà un contributo alla fase del sistema pari a
180◦
ϕ = −ωτ
π
quindi, come nel caso precedente, a causa dello sfasamento ineliminabile dovuto al ritardo, avremo
un limite massimo sul valore della pulsazione critica e quindi in ultima istanza sulla banda
passante, cioè sulla velocità del sistema retroazionato.
27.2. MODULO 2: SISTEMI CON RITARDO 137

Vediamo un esempio di progetto. Si desidera progettare un controllore R(s) per un sistema

w + y
R(s) G(s)

con funzione di trasferimento

e−4s
G(s) =
(1 + s)2

che rispetti le seguenti specifiche di progetto

 e(∞) = 0 con w(t) = sca(t)

 ωc ≥ 0.1 rad/s

 ϕm ≥ 30◦

Progetto statico Cominciamo con il progetto statico, che è banale. È necessario inserire un polo
nell’origine nella funzione di trasferimento d’anello che ci assicurerà errore nullo a transitorio esaurito
a fronte di variazione a scalino del riferimento, quindi è necessario introdurre un’azione integrale nel
controllore. Il suo guadagno µR resterà un parametro libero che assegneremo in sede di progetto
dinamico. La parte statica del controllore è quindi

µR
R1 (s) =
s

Progetto dinamico Per il progetto della parte dinamica R2 ()s del regolatore consideriamo la
funzione di trasferimento d’anello

µR e−4s
L(s) = R(s)G(s) = R2 (s)
s(1 + s)2

Osserviamo che in essa il termine

e−4s
s

non è eliminabile dalla funzione di trasferimento d’anello e dà un contributo negativo alla fase pari a

e−4s 180◦
] = −90◦ − 4ω > −150◦
s π

Tale contributo dovrà essere maggiore di −150◦ , dal momento che una specifica di progetto richiede
ϕm ≥ 30◦ . Ciò impone un limite superiore al valore della pulsazione critica, che non potrà superare

60◦ π π ∼
ω≤ ◦
= = 0.26 rad/s
4 180 12

Si noti che tale valore è puramente teorico, dal momento che poi in fase di progetto bisognerà tenere
conto dei contributi di fase dati da eventuali altri poli o zeri. Unendo questo vincolo con la specifica
di progetto si ha che

0.1 rad/s ≤ ωc ≤ 0.26 rad/s


138 LEZIONE 27. PROGETTO PER SISTEMI A FASE NON MINIMA

Primo tentativo Come primo tentativo di progetto poniamo R2 (s) = 1. Si ha che la funzione di
trasferimento d’anello è

e−4s
L(s) = R(s)G(s) = µR · L0 (s)
s(1 + s)2

Questi sono i diagrammi di Bode del modulo della fase di L0 (jω)

Nel diagramma del modulo è stata evidenziata la banda di pulsazioni in cui deve cadere ωc ovvero dove
il diagramma del modulo deve attraversare l’asse a 0 dB. Si noti inoltre che

L0 (j0.2) ∼
= 14 dB

Scegliendo quindi

µR = 0.2 ⇒ µR |dB = −14

si ottiene l’effetto di traslare verso il basso il diagramma del modulo che intersecherà l’asse a 0 dB in
ω∼ = 0.2. La funzione di trasferimento d’anello viene modificata in

0.2e−4s
L(s) =
s(1 + s)2

Nella figura sono mostrati i diagramma di Bode del modulo della fase di L(jω)
27.2. MODULO 2: SISTEMI CON RITARDO 139

Si noti che ora la pulsazione critica è circa 0.2 rad/s come ci si aspettava, mentre in diagramma di Bode
della fase non è stato modificato. È ora possibile verificare se le specifiche di progetto sono rispettate.

Come detto, la pulsazione critica di 0.2 rad/s ci va bene, la fase critica è data da

180 ∼
ϕc ∼
= −90◦ − 2 arctg(0.2) − 0.8 = −90◦ − 2 · 11.3◦ − 45.8◦ = −158.4◦
π

polo nell’origine poli in −1 ritardo

Il totale è −158.4◦ , da cui si ha un margine di fase ϕm = ∼ 21.6◦ che è insufficiente. Si noti però che
se fosse possibile eliminare uno dei due poli in −1 si recupererebbero 11.3◦ di margine di fase che ci
porterebbero oltre la soglia dei 30◦ richiesta dalle specifiche di progetto.

Secondo tentativo Introduciamo nel controllore uno zero in −1, esso cancellerà uno dei due poli
nella G(s)

0.2(1 + s)
R(s) =
s

La funzione di trasferimento d’anello è

0.2e−4s
L(s) =
s(1 + s)

e possiamo tracciare i diagrammi di Bode della sua risposta in frequenza


140 LEZIONE 27. PROGETTO PER SISTEMI A FASE NON MINIMA

Osservando il diagramma del modulo si può notare che la pulsazione critica non è stata modificata,
infatti il polo che è stato eliminato dalla funzione di trasferimento d’anello L(s) era a pulsazione più
elevata della pulsazione critica, cioè cadeva dopo che il diagramma del modulo aveva già attraversato
l’asse a 0 dB.
L’unica modifica apprezzabile è la pendenza finale del diagramma del modulo, che è diminuita di una
unità. Come ci si aspettava, il sistema retroazionato rispetta ora i vincoli di progetto, in particolare
la fase critica è aumentata di 11.3◦
180 ∼
ϕc ∼
= −90◦ − arctg(0.2) − 0.8 = −90◦ − 11.3◦ − 45.8◦ = −147.1◦
π
ciò garantisce un margine di fase di 32.9◦ gradi, quindi il regolatore progettato ha funzione di trasferi-
mento
0.2(1 + s)
R(s) =
s

27.3 Modulo 3: Sistemi instabili


In questo modulo ci occuperemo di una tecnica avanzata di progetto per sistemi instabili, cioè con
poli a parte reale positiva. Come è già stato mostrato nelle lezioni precedenti, la retroazione ha la
capacità di stabilizzare sistemi instabili spostandone i poli nel semipiano complesso sinistro. In questo
modulo sfrutteremo la retroazione per stabilizzare un sistema instabile prima di passare al progetto
del controllore vero e proprio.
 Le tecniche di progetto presentate fino ad ora si basano tutte sull’assunzione che per il sistema
di controllo retroazionato sia applicabile il criterio di Bode. Tra le condizioni di applicabilità del
criterio di Bode c’è la condizione che la funzione di trasferimento d’anello non deve avere poli
a parte reale positiva, quindi non è possibile applicare direttamente le tecniche viste finora per
progettare un controllore in retroazione per un sistema instabile.
 Si può quindi pensare di utilizzare il più generale criterio di Nyquist ma è esperienza comune che
diventi più difficile definire e verificare le specifiche di progetto.
 Però si può pensare di progettare un primo controllore in retroazione che abbia il solo scopo di
stabilizzare il sistema per poi demandare il rispetto delle specifiche di progetto a un secondo
controllore agente sul primo sistema retroazionato che si è ottenuto.
27.3. MODULO 3: SISTEMI INSTABILI 141

Lo schema di progetto è il seguente

w + e y0 + u y
R(s) RS (s) G(s)
− −

 il controllore Rs (s) ha il solo scopo di stabilizzare il sistema retroazionato con funzione di tra-
sferimento d’anello R(s)G(s). Spesso si indica questo anello di retroazione con il termine anello
interno.
 Il controllore R(s) viene progettato con riferimento alla funzione di sensitività complementare
dell’anello interno
Rs (s)G(s)
FS (s) =
1 + Rs (s)G(s)
Se la funzione di trasferimento FS (s) è asintoticamente stabile è possibile applicare le tecniche
di progetto note.
Si osservi che il controllore complessivo è indicato in figura dal tratteggio: esso riceve in ingresso il
riferimento w e l’uscita y e genera l’azione di controllo u in uscita. Vediamo un esempio.
Si desidera progettare un controllore per il sistema
1
G(s) =
s−1
che rispetti le seguenti specifiche di progetto
 e(∞) = 0 con w(t) = sca(t)
 ωc ≥ 5 rad/s
 ϕm ≥ 45◦
Si noti che il sistema descritto da G(s) è instabile, avendo un polo in +1.

Stabilizzazione Per prima cosa progettiamo il controllore RS (s) dell’anello interno, che ha il solo
scopo di stabilizzare il sistema. Scegliamo un controllore proporzionale
RS (s) = µS
la funzione di trasferimento in anello aperto è
µS
LS (s) = RS (s)G(s) =
s−1
La funzione di sensitività complementare, cioè la funzione di trasferimento in anello chiuso per l’anello
interno è
LS (s) µS
FS (s) = FS (s) = =
1 + LS (s) s + µS − 1
Il sistema retroazionato descritto dalla FS (s) ha un solo polo in 1 − µS . É quindi possibile tarare µS
in modo che FS (s) sia asintoticamente stabile, in particolare ciò accade per
µS > 1
Per esempio, scegliendo µS = 11 si ottiene
1.1
Fs (s) =
1 + 0.1s
che ha guadagno 1.1 e un polo in −10 ed è quindi asintoticamente stabile. Si tratta ora di progettare
in modo del tutto standard un controllore R(s) per FS (s) che rispetti le specifiche di progetto.
142 LEZIONE 27. PROGETTO PER SISTEMI A FASE NON MINIMA

Progetto statico Il progetto statico di R(s) è banale: per avere errore nullo a transitorio esaurito
a fronte di variazione a scalino del riferimento la funzione di trasferimento d’anello deve contenere
un’azione integrale, quindi bisogna inserire in R(s) un polo nell’origine, lasciando il suo guadagno µR
come parametro libero per il progetto della parte dinamica del controllore.

La parte statica del controllore è quindi

µR
R1 (s) =
s

Progetto dinamico Per il progetto dinamico di erre scriviamo la funzione di trasferimento d’anello
dell’anello esterno, cioè

1.1µR
L(s) = R(s)Fs (s) = R2 (s)
s(1 + 0.1s)

Come primo tentativo poniamo R2 (s) = 1 ed evidenziamo

1.1
L(s) = µR · L0 (s)
s(1 + 0.1s)

di cui andiamo a tracciare i diagrammi di Bode della sua risposta in frequenza.

Dal diagramma di Bode del modulo si nota subito che ωc = 1 rad/s e non rispetta le specifiche di
progetto. Notiamo però che alla pulsazione di 6 rad/s, che come pulsazione critica andrebbe bene, il
modulo di |L0 (jω)| vale circa −17 dB. Scegliendo quindi

µR = 7 ⇐⇒ µR |dB = 17

otterremo una nuova funzione di trasferimento

7.7
L(s) =
s(1 + 0.1s)
27.3. MODULO 3: SISTEMI INSTABILI 143

Il diagramma di Bode di |L(jω)| è uguale al precedente traslato verso l’alto di 17 dB, per effetto della
modifica del guadagno, ed ha ωc ∼
= 6 rad/s, che rispetta le specifiche di progetto.
Resta ora da verificare se abbiamo margine di fase sufficientemente elevato. La fase critica vale

ϕc ∼
= −90◦ − arctg(0.26) − 121◦ ⇒ ϕm ∼
= 59◦

da cui si ha margine di fase di 59◦ , che rispetta la specifica assegnata. Il controllore progettato è quindi
7
R(s) =
s
Lezione 28

Controllori industriali PID

28.1 Modulo 1: Controllori industriali


Un’esigenza particolarmente sentita in ambito industriale è quella di uniformare gli apparati di control-
lo, allo scopo di disporre di controllori standardizzati e a basso costo. Per rispondere a questa esigenza
il mercato dell’automazione offre controllori con le seguenti caratteristiche:

 universalità di applicazione non si tratta cioè di dispositivi specifici per un’applicazione ma sono
utilizzabili in ambiti applicativi diversi

 alta standardizzazione ci sono alcune tipologie di sistemi di controllo che coprono la maggior
parte del mercato

 facilità di messa in opera e funzionamento sono dispositivi facili da usare

 prestazioni non spinte la standardizzazione si paga con un abbassamento delle prestazioni

 basso costo

Si possono individuare tre tipologie fondamentali di controllori industriali

 i controllori lineari PID

 i controllori non lineari a Relais

 i controllori logici programmabili o PLC

I PID vengono utilizzati per il controllo di sistemi continui ovvero di quei sistemi in cui le variabili
variano in modo continuo. I PLC invece servono per il controllo logico di sistemi discreti, in cui le
variabili assumono un numero finito di valori. I controllori a relais sono dispositivi per il controllo
logico ma vengono impiegati anche per il controllo di sistemi continui in problemi in cui la precisione
richiesta è bassa.

28.1.1 Controllori PID


I controllori lineari più usati in ambito industriale sono certamente i PID o controllori ad azione
Proporzionale, Integrale, Derivativa.
e u
PID

Essi possono essere impiegati con successo in un’ampia gamma di casi, inoltre per essi sono disponibili
diversi metodi di taratura automatica, semplici e affidabili.

144
28.1. MODULO 1: CONTROLLORI INDUSTRIALI 145

Un PID genera la variabile di controllo u(y) come somma di tre termini dipendenti dall’errore
Z t
u(t) = Kp e(t) + Ki e(τ )dτ + Kd ė(t)
0

. uno proporzionale all’errore stesso, Kp e(t)


Rt
. uno proporzionale al suo integrale, Ki 0 e(τ )dτ

. uno proporzionale alla sua derivata, Kd ė(t)

Le costanti Kp , Ki e Kd sono non negative nell’ipotesi che il guadagno del processo sia positivo e
prendono il nome di

Kp coefficiente di azione proporzionale

Ki coefficiente di azione integrale

Kd cofficiente di azione derivativa

Una formulazione alternativa introduce i coefficienti Ti e Td al post di Ki e Kd

1 t
 Z 
u(t) = Kp e(t) + e(τ )dτ + Td ė(t)
Ti 0

dove

Ti coefficiente di azione integrale

Td coefficiente di azione derivativa

Confrontando le due formulazioni si vede che

Kp Kd
Ti = Td =
Ki Kp

28.1.2 Interpretazione delle 3 azioni


L’effetto individuale delle tre azioni di controllo è facilmente comprensibile in termini puramente
qualitativi.

 innanzitutto è naturale che il controllore tenda a produrre un valore per il controllo tanto più
elevato quanto più alto è l’errore e questo spiega la presenza del termine proporzionale.

 Il termine integrale è presente per contrastare un’eventuale polarizzazione dell’errore, cioè per
evitare che l’errore possa essere diverso da 0 in media. L’integrale dell’errore è infatti, a meno di
una costante, una misura del suo valor medio. Poiché l’integrale dell’errore si estende dall’istante
iniziale a quello corrente, si usa dire che il termine integrale tiene conto della storia passata del
sistema.

Notiamo che l’introduzione di un termine integrale nell’anello è anche interpretabile alla luce
dell’analisi statica dei sistemi retroazionati. Abbiamo visto infatti che è necessaria se si vuole
ottenere errore nullo a transitorio esaurito in presenza di variazioni a scalino del segnale di
riferimento o dei disturbi.

 A parità di errore all’istante occorre dare più controllo se l’errore tende a crescere e meno nel caso
opposto, in questo modo si anticipa l’azione di controllo in base alla tendenza futura dell’errore.
Poiché la tendenza al crescere o decrescere dell’errore è rivelata dalla sua derivata, il termine
derivativo svolge proprio questa funzione di controllo.
146 LEZIONE 28. CONTROLLORI INDUSTRIALI PID

28.1.3 Funzione di trasferimento del PID


Trasformando secondo Laplace l’equazione nel dominio del tempo che definisce il legame tra E(t) e
U (t) si ottiene
 
1
U (s) = Kp 1 + + Td s E(s)
Ti s

La funzione di trasferimento R(s) del controllore PID è pari al rapporto tra la trasformata U (s) della
variabile di controllo e la trasformata E(s) dell’errore

U (s) 1 + Ti s + Ti Td s2 1 + Ti s + Ti Td s2
R(s) = = Kp = Ki
E(s) Ti s s

Se si sceglie

Ti2 − 4Ti Td ≥ 0 (ovvero Ti ≥ 4Td )

i 2 zeri di R(s) risultano reali, quindi R(s) può essere scritta come

(1 + sτ1 ) (1 + sτ2 )
R(s) = Ki
s
fattorizzando i due zeri al numeratore.
Questa funzione di trasferimento illustra chiaramente la ragione per cui il PID va bene in moltissimi
problemi di controllo, infatti
 la presenza di un polo nell’origine consente di ottenere la precisione statica
 i due zeri reali servono per la precisione dinamica
 inoltre attraverso il parametro Ki si può modificare il guadagno d’anello
Come si vede, questa funzione di trasferimento ha più zeri che poli, in questa forma quindi il PID
non è realizzabile. Si usa riferirsi a questa funzione di trasferimento con il termine PID ideale, è facile
rendersi conto che l’irrealizzabilità della funzione di trasferimento nasce dalla presenza di un derivatore
puro o ideale.

28.1.4 Cari particolari


Non è sempre indispensabile che siano presenti contemporaneamente tutte e tre le azioni, in particolare
è possibile impiegare soltanto una di esse oppure combinazioni di due. Le configurazioni più consuete
sono:
P il controllore puramente proporzionale con funzione di trasferimento R(s) = Kp
Ki
I il controllore puramente integrale con R(s) =
s
1 + sTi
PI il controllore proporzionale-integrale, con R(s) = Ki
s
PD il controllore proporzionale-derivativo, con R(s) = Kp (1 + sTd ) (FDT “ideale”, non realizzabile)
Ognuno di questi controllori, come vedremo, si presta bene al controllo di una classe specifica di sistemi.

28.2 Modulo 2: Uso dei regolatori PID


Come abbiamo visto
 l’azione derivativa non è realizzabile nella sua forma ideale Td s
28.2. MODULO 2: USO DEI REGOLATORI PID 147

 In pratica essa viene approssimata con una funzione di trasferimento con uno zero nell’origine e
un polo ad alta frequenza

Td s
Td
1+ s
N

Tipicamente questo polo viene posizionato in

N
s=− , N = 5 ÷ 20
Td

Con questa modifica la funzione di trasferimento del PID diventa


 
 1 Td s 
R(s) = Kp 
1 + Ti s +

Td 
1+ s
N

Quindi R(s) ha ancora il polo nell’origine e due zeri, ai quali va aggiunto un polo in alta frequenza.

(1 + sτ̄1 ) (1 + sτ̄2 )
R(s) = Ki
s (1 + sτ̄3 )

Quest’ultimo si trova più in alta frequenza rispetto a entrambi gli zeri, in altre parole

 τ̄3  τ̄1 , τ̄3  τ̄2 polo in “alta frequenza”

 τ̄1 ∼
= τ1 , τ̄2 ∼
= τ2 gli zeri sono prossimi a quelli del PID “ideale”

28.2.1 Diagammi di Bode di un PID reale


I diagrammi di Bode della risposta in frequenza associata a R(s) mostrano come questa funzione di
trasferimento abbia le caratteristiche di una rete a sella, con i due zeri in posizione intermedia tra i
due poli. La rete realizza un ritardo di fase in bassa frequenza e un anticipo in alta frequenza.
148 LEZIONE 28. CONTROLLORI INDUSTRIALI PID

Uso del regolatore P Il regolatore puramente proporzionale,


R(s) = Kp
è la forma più semplice di controllore PID, può essere usato quando il processo consente un’elevata
costante di guadagno d’anello senza pregiudicare la stabilità in anello chiuso.

Per esempio si adatta bene al controllo di


 sistemi di tipo 1
 sistemi asintoticamente stabili con una sola costante di tempo dominante
Si tenga presente però che se il sistema va a controllare è di tipo 0 non si può in alcun modo ottenere
che l’errore sia nullo a transitorio esaurito per segnali di riferimento o disturbi di tipo costante, infatti
non è presente nessun integrale nell’anello di retroazione.

Uso del regolatore I Con un regolatore puramente integrale


R(s) = Ki /s
si abbassano di 1 tutte le pendenze del diagramma di Bode del modulo della funzione d’anello L(jω),
quindi se il sistema è di tipo 0 il primo tratto del diagramma ha pendenza −1. In questo modo pur di
abbassare sufficientemente il guadagno d’anello la pulsazione di taglio si trova nel tratto a pendenza
−1, si ottiene così un sistema con un buon margine di stabilità ma con una banda passante limitata.

Il regolatore I si presta quindi bene


 per il controllo di sistemi di tipo 0 di difficile stabilizzazione
 inoltre può essere usato anche per sistemi con ritardi finiti e dominanti dove un limite alla banda
passante è già determinato dalla presenza del ritardo.

Uso del regolatore PI Rispetto al regolatore I il PI


1 + sTi
R(s) = Ki
s
consente di
28.2. MODULO 2: USO DEI REGOLATORI PID 149

 conservare una maggiore larghezza di banda

 ottenere una maggiore velocità di risposta

Ciò è dovuto allo 0 della funzione di trasferimento che consente di avere pendenza meno 1 nel diagramma
di Bode del modulo della funzione d’anello per un tratto più esteso.

Tipicamente lo 0 viene posizionato in corrispondenza del polo dominante del sistema da controllare
applicando il metodo della cancellazione polo 0.

Uso del regolatore PD Il regolatore PD ideale

R(s) = Kp (1 + sTd )

ha un diagramma di Bode del modulo che inizia costante e poi ha pendenza +1 per effetto dello 0.
Quest’ultimo ha l’effetto di aumentare il guadagno alle alte frequenze e quindi la larghezza di banda
del sistema retroazionato. Più in generale migliorano le prestazioni dinamiche del sistema: a parità di
margine di fase cresce la banda passante o viceversa.

 Il PD si impiega quindi quando l’obiettivo primario è ottenere una buona prontezza di risposta.

 Si noti che non avendo poli nell’origine, questo controllore non garantisce errore nullo a transitorio
esaurito per segnale di riferimento o disturbi costanti.

Uso del regolatore PID Il regolatore PID introduce uno 0 in più rispetto al PI

(1 + sτ1 ) (1 + sτ2 )
R(s) = Ki
s

grazie ad esso il diagramma di Bode di |R(kω)| assume la caratteristica forma della rete a sella che
abbiamo visto prima.
150 LEZIONE 28. CONTROLLORI INDUSTRIALI PID

Esso combina quindi i benefici del PI, assimilabile a una rete ritardatrice, con quelli del PD, che si
comporta come una rete anticipatrice.
 Si riesce ad ottenere una buona prontezza di risposta come con il regolatore PD
 Non pregiudica il comportamento statico che beneficia della presenza del polo nell’origine, e
quindi errore nullo per ingressi a scalino a transitorio esaurito.
Lezione 29

Metodi di taratura e problemi realizzativi

29.1 Modulo 1: Metodi di taratura di regolatori PID


 Progettare un regolatore di tipo PID vuol dire attribuire un valore ai parametri Kp , Ti e Td
 Il procedimento che porta alla determinazione di questi parametri va sotto il nome di taratura
del PID.
 Naturalmente il PID può essere progettato alla stregua di qualunque altro controllore lineare, cioè
sulla base delle regole per la sintesi di reti a sella illustrate nelle lezioni precedenti, rispettando
naturalmente il vincolo sulla struttura.
 Tuttavia l’applicazione di queste tecniche richiede la conoscenza di un modello dinamico del
processo da controllare, in molti casi ciò può richiedere un impegno eccessivo rispetto all’esigenza
di progettare un regolatore che garantisca prestazioni soddisfacenti.
 In alternativa sono stati sviluppati dei metodi di taratura empirica che non richiedono informa-
zioni a priori sul sistema ma si basano sull’informazione derivante da prove specifiche effettuate
su di esso.
 Esistono ormai in commercio anche dei dispositivi detti PID ad auto sintonia in grado di effettuare
in maniera autonoma la taratura dei parametri del PID. Essi possono anche essere predisposti
per aggiornare automaticamente la taratura del PID adattandosi alle alle variazioni del sistema.
In questi casi si parla anche di PID adattativi.

29.1.1 Procedura di progetto


1) Nella procedura di progetto del PID, secondo la taratura teorica, si assume inizialmente la strut-
tura del PID ideale ovvero una funzione di trasferimento con un guadagno generalizzato Ki , due
zeri reali e un polo nell’origine
1 + Ti s + Ti Td s2
  
1 (1 + sτ1 ) (1 + sτ2 )
R(s) = Kp 1 + + Td s = Ki = Ki
Ti s s s
Utilizzando le regole per il progetto delle reti a sella si posizionano i due zeri del regolatore e se
ne dimensiona il guadagno.
2) Noti Ki , τ1 e τ2 è poi banale ricavare i corrispondenti parametri Kp , Ti e Td . Si ha
Ti = τ1 + τ2 , Kp = Ki Ti , Td = τ1 τ2 /Ti

3) A questo punto si introduce il polo in alta frequenza necessario per rendere il regolatore realizza-
bile. Mantenendo Ti e Td costanti e introducendo il polo con costante di tempo Td /N , si modifica
di poco la posizione dei due zeri
τ̄1 ∼
= τ1 , τ̄2 ∼
= τ2 , τ̄3 = Td /N

151
152 LEZIONE 29. METODI DI TARATURA E PROBLEMI REALIZZATIVI

4) La variazione più rilevante si ha invece nella fase della funzione d’anello, in particolar l’introdu-
zione del polo aggiuntivo peggiora di poco la fase critica. Può essere allora opportuno modificare
leggermente il guadagno Kp per tenerne conto (Ti e Td non richiedono variazioni).

29.1.2 Metodi di taratura empirica


 L’idea che sta dietro ai metodi di taratura empirica è che il PID è un dispositivo di controllo
tutto sommato semplice, con pochi gradi di libertà.

 In quanto tale esso può tenere conto solo delle principali caratteristiche dinamiche del processo
da controllare.

 Può darsi allora che si riesca a fare un progetto ragionevole del PID anche senza disporre di
un modello accurato del sistema ma utilizzando solo alcune informazioni di massima ricavabili
sperimentalmente.

Sono stati sviluppati diversi metodi di taratura empirica che hanno trovato molteplici applicazioni
industriali

1) nessuna informazione a priori sul sistema

2) si basano su risultati di opportuni esperimenti

Tra i più diffusi sono i metodi che vanno sotto il nome di regole di Ziegler-Nichols. Queste si distinguono
in due classi fondamentali a seconda che gli esperimenti sul sistema vengano svolti in una configurazione
del sistema ad anello aperto o ad anello chiuso.

 regole di Ziegler-Nichols in anello aperto

 regole di Ziegler-Nichols in anello chiuso

29.1.3 Regole di Ziegler-Nichols in anello chiuso


La più nota tecnica empirica di sintesi è il metodo di Ziegler-Nichols in anello chiuso.

w + e u y
PID S

1) si inserisce il controllore con Ki = Kd = 0, Kp =piccolo


Questo metodo richiede di attivare preliminarmente solo l’azione proporzionale iniziando con
valori molto piccoli di Kp per avere un comportamento stabile del sistema ad anello chiuso

2) Si osserva la risposta del sistema a w(t) = sca(t)

3) Si incrementa gradualmente Kp finché il sistema retroazionato non raggiunga il limite di stabi-


lità. In altre parole occorre aumentare il coefficiente Kp finché la risposta a scalino del sistema
retroazionato diventa un’oscillazione permanente. Si definiscono

K̄p = guadagno critico


T̄ = periodo oscillazione

4) Si determinano i parametri Kp , Ti e Td del regolatore in funzione di K̄p e T̄ consultando


un’apposita tabella.

La tabella di Ziegler-Nichols consente di tarare un controllore puramente proporzionale, un PI oppure


un PID, naturalmente con parametri diversi di volta in volta
29.1. MODULO 1: METODI DI TARATURA DI REGOLATORI PID 153

Kp Ti Td
P 0.5K̄p − −
PI 0.45K̄p 0.8T̄ −
PID 0.6K̄p 0.5T̄ 0.125T̄
Nell’ultimo caso si osservi che
4
Ti = 4TD ⇒ zeri sono coincidenti in −

Le regole di Ziegler-Nichols sono state definite in modo da ottener mediamente la massima ωc con un
margine di fase ϕm ∼ = 30◦ . Più che regole rigide vanno intese come procedure per individuare valori
indicativi dei parametri intorno ai quali operare una taratura manuale fine.
Il guadagno critico K̄p è quel valore di Kp che porta il sistema al limite di stabilità. Non è difficile
allora riconoscere che
1
K̄p ≡ km margine di guadagno = ⇒ trovare Kp equivale a trovare |G(jωπ )|
|G(jωπ )|

T̄ = ⇒ trovare T̄ equivale a trovare la pulsazione ωπ
ωπ
In altre parole il metodo di Ziegler-Nichols basa la taratura dei parametri e del PID sulla conoscenza
di un solo punto della risposta in frequenza, quello corrispondente alla pulsazione ωπ trovato per via
sperimentale.
 Evidentemente se il sistema è tale che km = ∞, come accade banalmente per i sistemi stabili del
primo e secondo ordine senza zeri, non esiste alcun valore di Kp che porti il sistema al limite di
stabilità, pertanto la procedura non è applicabile.
 Inoltre il metodo di taratura di Ziegler-Nichols in anello chiuso non è adatto quando la presenza
di oscillazioni possa danneggiare l’impianto.

Esempio 29.1
Per chiarire le idee applichiamo il metodo di Ziegler-Nichols in anello chiuso a un caso semplice. Conside-
riamo un sistema con funzione di trasferimento
1
G(s) =
(s + 1)3

e includiamolo in un anello di controllo con un regolatore puramente proporzionale. Al variare di Kp la


risposta a scalino del sistema retroazionato varia significativamente, per esempio

• per Kp1 = 0.1 è monotona crescente


• per Kp2 = 1 presenta un picco e un accenno di oscillazione
• per Kp3 = 5 è un’oscillazione un poco smorzata
• per Kp4 ≡ K̄p = 8 diventa un’oscillazione permanente

Quindi il guadagno critico K̄p = 8. Per ispezione della curva poi si valuta che il periodo dell’oscillazione
T̄ ∼
= 3.6.
154 LEZIONE 29. METODI DI TARATURA E PROBLEMI REALIZZATIVI

Una valutazione esatta di K̄p = 8 e T̄ può essere effettuata per via analitica, imponendo che il denominatore
della funzione di trasferimento in anello chiuso
K̄p G(s) K̄p
L(s) = = ⇒ D(s) = (s + 1)3 + K̄p
1 + K̄p G(s) K̄p + (s + 1)3

che è un polinomio del terzo ordine, abbia due poli immaginari puri, responsabili dell’oscillazione perma-
nente. In altre parole esso deve essere fattorizzabile come

(s + 1)3 + K̄p = (s + α)(s2 + ω̄ 2 )

dove ω̄ è la pulsazione dell’oscillazione. Risolvendo il sistema di equazioni che ne risulta si ricava

K̄p = 8
α=3
ω̄ = 3

Inoltre
2π 2π
T̄ = =√ ∼= 3.6276
ω̄ 3

Sostituendo poi K̄p e T̄ nella terza riga della tabella si ricavano i parametri di un regolatore PID

Kp = 0.6K̄p = 4.8, Ti = 0.5T̄ = 1.8138, Td = 0.125T̄ = 0.4534

il quale poi determina

ωc ∼
= 1.6 rad/s ϕm ∼
= 37◦

29.2 Modulo 2: Altri metodi di taratura


29.2.1 Regole di Ziegler-Nichols in anello aperto
Nelle regole di Ziegler-Nichols in anello aperto

u y
S

si opera

 sollecitando il sistema con un ingresso a scalino u(t) = U sca(t)

 La risposta y(t) corrispondente viene registrata


29.2. MODULO 2: ALTRI METODI DI TARATURA 155

 da essa si ricavano alcuni parametri caratteristici


τ = ritardo equivalente
T = costante di tempo equivalente
µ = Y /U = guadagno (Y = valore di regime di y(t))

 Infine si determinano i parametri del PID, Kp , Ti e Td , in funzione di µ, τ e T consultando


un’altra apposita tabella.
Si consideri una risposta a scalino del tipo rappresentato in figura

si tracci la tangente alla curva nel punto di flesso. I parametri µ, τ e T si ricavano nel modo seguente:
 µ è il rapporto tra il valore di regime Y = y(∞) dell’uscita e l’ampiezza U dello scalino in ingresso
µ = Y /U

 τ è l’ascissa dell’intersezione della tangente con l’asse dei tempi


 T + τ è l’ascissa dell’intersezione della tangente con la semiretta orizzontale a quota Y
Di fatto il metodo nasce dall’approssimazione del sistema da controllare con un sistema del primo
ordine con ritardo, descritto dalla funzione di trasferimento
µ
G(s) = e−τ s
1 + Ts
Questa approssimazione in bassa frequenza può essere ragionevole per processi caratterizzati da una
risposta non divergente ed essenzialmente non oscillante. Il metodo descritto per trovare il modello del
primo ordine approssimante è il cosiddetto metodo della tangente.
Altri metodi utilizzati in pratica e più accurati del metodo della tangente sono
• il metodo delle aree
• il metodo dei momenti
Come per le regole in anello chiuso, anche in questo caso la tabella consente di tarare sia un controllore
puramente proporzionale sia un PI che un PID.

Kp Ti Td
T
P − −
µτ
0.9T
PI 3τ −
µτ
1.2T
PID 2τ 0.5τ
µτ
156 LEZIONE 29. METODI DI TARATURA E PROBLEMI REALIZZATIVI

Anche in questo caso nel progetto del pid i due zeri nel regolatore sono coincidenti
−1
Ti = 4Td ⇒ zeri coincidenti in
τ
L’applicazione di queste regole porta in generale a risultati analoghi, in termini di prestazioni, rispetto
a quelli delle regole in anello chiuso, si ottiene cioè mediamente la massima ωc possibile con un margine
di fase intorno ϕm ∼ = 30◦ . È comunque necessaria in generale una taratura manuale fine.
La procedura è applicabile solo se la risposta è del tipo illustrato (altrimenti esistono comunque delle
varianti del metodo).

Esempio 29.2
Proviamo ad applicare il metodo di Ziegler-Nichols in anello aperto allo stesso sistema per il quale avevamo
progettato un pid con le regole in anello chiuso. La funzione di trasferimento del sistema da controllare è
quindi
1
G(s) =
(s + 1)3

Usando il metodo della tangente si determinano i parametri µ, T e τ del modello approssimante del primo
ordine con ritardo
1
G(s) = e−τ s
3.7s + 1
µ = 1, T = 3.7, τ = 0.8

In figura è rappresentata la risposta a scalino del sistema insieme a quella del sistema approssimante

Come si vede l’approssimazione è grossolana, ciononostante vedremo che il controllore PID tarato sulla
base di questo modello, fornisce delle prestazioni quantomeno accettabili. Applicando la tabellina fornita
dal metodo si ricavano i parametri del PID ideale, che sono

Kp = 5.55, Ti = 1.6, Td = 0.4

Le prestazioni del sistema di controllo risultante sono modeste, ma ammissibili

ωc ∼
= 1.5, ϕm ∼
= 22◦

Se applichiamo invece il metodo delle aree per determinare il modello approssimante otteniamo dei valori
di µ, T e τ diversi. In particolare si ottiene

µ = 1, T = 1.83, τ = 1.17
29.3. MODULO 3: PROBLEMI REALIZZATIVI 157

Riprogettando il pid sulla base di questi ultimi, si ottiene un sistema di controllo dalle prestazioni più
soddisfacenti

Kp = 1.877, Ti = 2.34, Td = 0.59 ⇒ ωc ∼


= 0.75, ϕm ∼
= 63◦

il margine di fase è salito a circa 63◦ al costo di un lieve abbassamento della pulsazione critica. Questi
risultati sono una riprova del fatto che il metodo delle aree porta alla stima di modelli approssimanti più
affidabili rispetto al metodo della tangente.

29.2.2 Metodi di ottimizzazione


Tra i numerosi altri metodi di taratura empirica di regolatori pid segnaliamo una famiglia di metodi
basati sulla minimizzazione di opportuni funzionali, caratterizzanti le risposte del sistema in anello
chiuso, a fronte di sollecitazioni a scalino.
Tra i funzionali più usati ci sono
 l’ISE, Integral Square Error, che penalizza l’integrale del quadrato dell’errore
Z ∞
ISE = e2 (t)dt
0

 l’ISTE, Integral Square Time Error


Z ∞
ISTE = e2 e2 (t)dt
0

 l’IST2E, Integrale Square Time-Two Error


Z ∞
IST E =
2
t4 e2 (t)dt
0

Questi ultimi due funzionali penalizzano meno l’errore negli istanti iniziali.
Con riferimento a questi funzionali e al consueta funzione di trasferimento del primo ordine con ritardo
µ
G(s) = e−τ s
1 + sT
sono state costruite delle tabelle di taratura che consentano di ottenere prestazioni generalmente miglio-
ri rispetto alle regole di Ziegler-Nichols. Evidentemente però l’applicabilità di queste regole di taratura
è condizionata all’effettiva approssimabilità del sistema da controllare con un sistema del primo ordine
con ritardo.

29.3 Modulo 3: Problemi realizzativi


29.3.1 Limitazioni dell’azione derivativa
Nella formulazione standard del regolatore PID l’azione derivativa è esercitata sull’errore e(t)
d
u(t) = . . . + Kd ė(t) = . . . + Kd (w(t) − y(t))
dt
Così facendo però si possono avere delle brusche variazioni a impulso della variabile u(t) in corrispon-
denza di variazioni a scalino del segnale di riferimento

w(t) ∼ sca(t) ⇒ u(t) ∼ imp(t)

Ciò determina il raggiungimento di valori eccessivi da parte della variabile di controllo e può provocare
la saturazione dell’attuatore e l’allontanamento del sistema dalla condizione di linearità, con riferimento
alla quale si progetta il regolatore.
158 LEZIONE 29. METODI DI TARATURA E PROBLEMI REALIZZATIVI

Un’implementazione alternativa dell’azione derivativa che evita questo inconveniente consiste nel deri-
vare l’uscita y(t) invece dell’errore

u(t) = . . . − Kd ẏ(t)

l’operazione dà un risultato identico quasi ovunque se il segnale di riferimento è costante a tratti a


varia a scalino. Inoltre poiché y(t) è l’uscita del sistema che usualmente si comporta come un filtro
passa basso, le sue variazioni istantanee sono contenute e la sua derivata non ha andamento impulsivo.

Lo schema a blocchi del sistema di controllo è rappresentato in figura

d(t)

+ e(t) + + u(t) +
w(t) Kp G(s) y(t)
+ − +

Ki /s Kd s

É facile verificare che

 la funzione di trasferimento da d(t) a y(t) non cambia

 nelle funzioni di trasferimento da w(t) a y(t) e da w(t) a u(t) cambiano solo gli zeri

Le proprietà di stabilità e il comportamento statico del sistema in anello chiuso non ne sono influenzate.

Generalizzazione Per le stesse ragioni appena spiegate a volte anche l’azione proporzionale è ap-
plicata solo sull’uscita y(t), con lo scopo di evitare brusche variazioni della variabile di controllo. Più
in generale si può estendere la formulazione del PID standard per tenere conto di queste varianti.

Nel dominio della trasformata di Laplace si ha

Ki
U (s) = Kp Ep (s) + E(s) + Kd sEd (s)
s

dove

E(s) = W (s) − Y (s)


Ep (s) = αW (s) − Y (s)
Ed (s) = βW (s) − Y (s)

α e β sono due parametri di progetto da ottimizzare con riferimento alle prestazioni del sistema di
controllo.

In particolare

 Se α = β = 1 si riottiene il PID standard

 Se invece nell’altro caso estremo α = β = 0 né l’azione derivativa né quella proporzionale ri-


sentono direttamente delle variazioni del segnale di riferimento, ma esse dipendono da w(t) solo
indirettamente attraverso y(t).

L’introduzione di α e β nello schema non influisce né sulle proprietà di stabilità né sul comportamento
statico del sistema ad anello chiuso. Cambiano soltanto gli zeri delle funzioni di trasferimento da w(t)
a y(t) e da w(t) a u(t).
29.3. MODULO 3: PROBLEMI REALIZZATIVI 159

29.3.2 Il fenomeno del wind-up


Un effetto che può deteriorare le prestazioni del sistema retroazionato è dovuto alla presenza di una
qualche forma di saturazione nel dispositivo di attuazione, in combinazione con l’azione integrale del
PID.

attuatore (saturazione) + PID (azione integrale) ⇒ effetto non lineare

Per comprendere meglio di cosa si tratta si consideri un sistema di controllo con un regolatore puramente
integrale e un attuatore schematizzato con una semplice saturazione.

w + e Ki u m y
G(s)
− s

La variabile di uscita dell’attuatore, m, è pari a u(t) finché u(t) è compresa tra −uM e +uM , altrimenti
satura a ±uM

 −uM u(t) < −uM
m(t) = u(t) |u(t)| ≤ uM
uM u(t) > uM

In un tipico transitorio di risposta a scalino si vede che

T1 ) inizialmente l’errore e(t) > 0 ⇒ u(t) cresce, oltrepassando la soglia uM , mentre m(t) cresce solo
fino a uM , dove satura.

T2 ) Quando e(t) cambia segno occorrerebbe diminuire subito m(t) che evidentemente è troppo elevato
ma bisogna attendere che u(t) decresca nuovamente fino alla soglia uM

T3 ) Quando u(t) raggiungere la soglia uM basta un breve transitorio per portare e(t) a 0

Il tempo in cui m(t) rimane al valore di saturazione uM in attesa che u(t) decresca è sprecato a causa
del fenomeno di carica integrale.

Si consideri lo schema cosiddetto di desaturazione rappresentato in figura, dove la parte PI nel re-
golatore è realizzata in maniera nuova, utilizzando un anello a retroazione positiva contenente una
saturazione che equivale a quella dell’attuatore.
160 LEZIONE 29. METODI DI TARATURA E PROBLEMI REALIZZATIVI

w + e q u0 + u y
Kp G(s)
+ + −
− u00
z 1
1 + sTi
Kp sTd
1 + sTd /N

Si osservi innanzitutto che quando le saturazioni non sono toccate ovvero

−uM ≤ u0 ≤ uM

la parte PI è in zona di linearità e la sua funzione di trasferimento coincide con quella standard
U 0 (s)
 
1 1 + sTi Ki
= Kp = Kp = Kp +
E(s) 1 sTi s
1−
1 + sTi

Si supponga ora che u0 sia saturato a uM per effetto di un errore e(t) e quindi di q(t) positivo per un
certo periodo

e>0⇒q>0
⇒ z = uM (dopo un transitorio che dipende da Ti )
u0 = uM

Dopo un transitorio di durata dipendente dal valore della costante di tempo Ti anche zeta si porta al
valore uM 1 . Ora appena e(t) cambia segno e diventa negativo

q + z < uM q è negativo

e si torna immediatamente nella zona di funzionamento lineare.

29.3.3 Commutazione manuale–automatico


 Normalmente il progetto del regolatore è effettuato con riferimento a un funzionamento nominale
del sistema sotto controllo.
 Questo significa che al di fuori di questa condizione, come per esempio durante la fase di
avviamento, il regolatore può fornire delle prestazioni insoddisfacenti.
 È allora opportuno governare inizialmente il sistema con altre tecniche, per esempio con controllo
manuale, fino al raggiungimento di in intorno del comportamento nominale, dopo di che si può
commutare in regime automatico.
uMAN
M
w + e q u0 + u y
Kp G(s)
+ + A −
u00

z 1 A
M
1 + sTi
Kp sTd
1 + sTd /N

1
1
La FDT da u0 a z è , per cui nel dominio del tempo risulta z(t) = uM (1 − e−t/Ti )
1 + sTi
29.3. MODULO 3: PROBLEMI REALIZZATIVI 161

È importante che la commutazione avvenga in modo morbido, senza sbalzi della variabile di controllo,
che poi si ripercuoterebbero sull’andamento di y.
A questo scopo, in manuale si deve raggiungere una situazione di regime con

M : u0 = uMAN (|uMAN | < uM )


regime con y = costante, q = e = 0, z = uMAN

In questa situazione q = 0 e z = uMAN , quindi nel momento di commutazione in automatico l’ingresso


del blocco saturante è pari a q + z, cioè vale ancora uMAN senza che si verifichino sbalzi.

A : u0 = q + z = uMAN
y = constante u00 = 0 (derivata di una costante)

Analogamente poiché y è costante l’attivazione dell’azione derivativa dà inizialmente un valore nullo a


lato della commutazione, evitando variazioni brusche della variabile di controllo.
Lezione 30

Controllo logico e controllori PLC

30.1 Modulo 1: Architettura e dispositivi


30.1.1 Controllo modulante e controllo logico
I sistemi di controllo di impianti o processi industriali possono essere estremamente più complessi e
articolati rispetto a quanto visto finora. In particolare vi si possono distinguere molteplici funzioni di
controllo automatico opportunamente coordinate tra di loro. Esse possono essere classificate in due
principali categorie a seconda del tipo di segnale da esse elaborate.

Controllo modulante Si parla di controllo modulante o regolazione se la variabile di uscita del


controllore assume valori all’interno di un intervallo continuo di valori reali.

Controllo logico Si parla invece di controllo logico o sequenziale se le variabili di uscita del controllore
sono di tipo discreto, ossia assumono un numero finito di valori.

Normalmente le funzioni del primo tipo sono utilizzate per il controllo di sistemi dinamici continui,
siano essi a tempo continuo o discreto e quelle del secondo per il controllo di sistemi a eventi discreti.
Tuttavia, come vedremo, ci sono alcuni casi dove il controllo di sistemi continui viene gestito da
controllori logici.

30.1.2 Architettura di Controllo


In generale le funzioni di controllo modulante e di controllo logico non sono separate nel sistema di
controllo ma interagiscono strettamente, tipicamente il sistema di controllo ha una struttura gerarchica
in cui si possono distinguere diversi livelli di controllo, dove operano controllori di tipo modulante, logico
o addirittura ibrido.

162
30.1. MODULO 1: ARCHITETTURA E DISPOSITIVI 163

Il gran numero di dispositivo e unità di controllo terminali coinvolti fa intuire quanta importanza
possano avere gli aspetti di comunicazione in un sistema del genere e in particolare la struttura del
bus su cui viaggiano i dati.
 I livelli inferiori del sistema di controllo che interagiscono direttamente con l’impianto sono per
lo più di tipo modulante. Si tratta dei controlli primari: livelli, temperatura, pressione eccetera,
e dei controlli asserviti, pompe, valvole, motori eccetera.
 I livelli superiori di controllo svolgono prevalentemente funzioni di controllo logico, come la su-
pervisione dell’intero sistema di controllo, la gestione delle fasi di avviamento e spegnimento di
impianto, il controllo di sequenze di lavorazione e la gestione di guasti ed emergenze.

30.1.3 Un pò di storia
Anni ’60 Il controllo logico ha ormai più di 50 anni di storia, ma fino agli anni ’60 i processi di
automazione e controllo potevano essere implementati solo tramite dispositivi elettromeccanici come i
Relè.
Con questi sistemi si riuscivano ad implementare controlli anche ad elevata complessità ma erano
ingombranti e soprattutto una volta progettati non era agevole modificarli. Per questo motivo ci si
riferisce al controllo con Relè con il termine di logica cablata.
C’era quindi l’esigenza di disporre di una nuova generazione di controllori che fossero
 riprogrammabili sul luogo di funzionamento
 di facile manutenzione
 modulari
 robusti
 dimensioni ridotte
 di basso costo
 standardizzabili

Anni ’70 Il primo controllore logico programmabile o PLC con queste caratteristiche fu prodotto
nel 68 dalla General Motors. Pochi anni dopo, a metà degli anni Settanta, la Allen-Bradley introdusse
sul mercato il primo PLC basato su microprocessore 8080.

Oggi Ai giorni nostri non si parla più di logica programmabile quanto di logico distribuita, visto che
vengono impiegati più PLC basati su microprocessori connessi tra di loro in rete.

30.1.4 Controllori a Relè


Il dispositivo più semplice per il controllo logico è il Relè. Esso è sostanzialmente un interruttore
comandabile automaticamente, più precisamente
Relè dispositivo elettromeccanico in cui un elettromagnete attiva un interruttore elettrico. Quando
la bobina dell’elettromagnete è percorsa da corrente i contatti dell’interruttore sono attratti o
respinti causando la chiusura o l’apertura del circuito.
Le caratteristiche principali di un Relè sono
 la robustezza dal punto di vista elettrico, termico e meccanico,
 la facilità di progetto
 il basso costo
164 LEZIONE 30. CONTROLLO LOGICO E CONTROLLORI PLC

30.1.5 PLC
L’evoluzione del controllore a Relè è il controllore logico programmabile o PLC. Questo è un sistema
 elettronico digitale, per lo più per uso industriale
 contenente una memoria programmabile in grado di archiviare le istruzioni
 che implementa funzioni specifiche, logiche, sequenziamento, temporizzazione, conteggio, calcolo
aritmetico eccetera
 che controlla, mediante ingressi e uscite, digitali e analogici, vari tipi di dispositivi e processi
In un sistema automatizzato il PLC è abbinato a un certo numero di periferiche in una configurazione,
definita dall’utilizzatore, che prende il nome di sistema a PLC.

Lo scheletro di un PLC è costituito


 dall’armadio o rack che contiene i vari moduli del PLC e ne assicura la connessione elettrica
tramite bus e meccanica oltre a una schermatura.
 Normalmente il PLC viene programmato mediante un terminale a tastiera o anche con un PC
connesso al PLC direttamente o tramite rete. Oltre a questa funzione il terminale esterno può
essere utilizzato anche per il monitoraggio del PLC.
 Il modulo alimentatore fornisce l’alimentazione elettrica stabilizzata necessaria al funzionamento
di tutti gli altri moduli.
 I moduli di ingresso e uscita interfacciano il PLC con il processo rilevando eventi e dati da
sensori e comandando azioni agli attuatori. Essi si incaricano anche delle opportune conversioni
da digitale ad analogico e viceversa.
 Il modulo processore contiene uno o più microprocessori che eseguono i programmi del sistema
operativo e dell’utente e la memoria per conservare i programmi stessi.
 Oltre a questi componenti l’armadio può prevedere degli slot aggiuntivi per moduli ulteriori. Tra
questi ci possono essere anche dei controllori modulanti, tipicamente dei PID, oltre a moduli di
servo e moduli a encoder per comandare motori e servo-meccanismi meccanici.

Il ciclo di scansione Il modulo processore opera in modo ciclico eseguendo ripetutamente quello
che si chiama il ciclo a coppia massiva degli ingressi e delle uscite.
Si possono distinguere quattro fasi fondamentali del ciclo
30.2. MODULO 2: CONTROLLO DI SISTEMI CONTINUI 165

1) la lettura degli ingressi (in un’area di memoria riservata)


2) l’esecuzione del programma utente
3) l’esecuzione dei programmi di gestione del sistema
4) la scrittura delle uscite (in un’area di memoria riservata)
In casi particolari (emergenze) si possono eseguire operazioni con accesso immediato ai punti ingresso
e uscita oppure gestire degli interrupt.

Linguaggi di programmazione Un aspetto particolarmente importante nel progetto di sistemi di


controllo con PLC è rappresentato dall’ambiente di sviluppo dei programmi utente e soprattutto dai
linguaggi di programmazione utilizzabili per specificare il comportamento logico del sistema.

tipo linguaggio acronimo


inguaggio a contatti LD (Ladder Diagram)
diagramma funzionale sequenziale SFC (Sequential Functional Chart)
diagramma a blocchi funzionali FBD (Function Block Diagram)
ista di istruzioni IL (Instruction List)
testo strutturato ST (Structured Text)

I Per ragione storiche è molto impiegato il linguaggio a contatti o ladder diagram (LD) retaggio
dei formalismi di progetto dei sistemi a Relè
I Linguaggi più ad alto livello sono il diagramma funzionale sequenziale – sequential functional
chart (SFC)
I il diagramma a blocchi funzionali – function block diagram (FBD)
Tutti e tre questi linguaggi sono di tipo grafico. Oltre a questi vengono impiegati anche altri linguaggi
di tipo testuale
N la lista di istruzioni – instruction list (IL), che è un linguaggio simile all’assembler
N il testo strutturato – structured text (ST), linguaggio ad alto livello simile al Pascal.

30.2 Modulo 2: Controllo di sistemi continui


30.2.1 Controllo a relè
Il controllo logico può essere applicato anche a sistemi continui. Un esempio tipico è quello dei con-
trollori a Relè. Il controllore a Relè è caratterizzato da una funzione non lineare phi che lega l’errore
in uscita alla variabile di controllo e tale che u(t) può assumere un numero finito di valori, tipicamente
nel caso più semplice 2.

w(t) + e(t) u(t)


C C : Φ(·) non lineare

y(t)

Le commutazioni di u(t) avvengono quando e(t) supera determinate soglie. Le caratteristiche fonda-
mentali di un controllore a relais sono:
 basso costo
 scarsa precisione di controllo
166 LEZIONE 30. CONTROLLO LOGICO E CONTROLLORI PLC

 buona attenuazione dei disturbi


 elevata robustezza
D’altra parte il tipo di non linearità presente nella funzione Φ risulta non linearizzabile e quindi, per
il progetto, devono essere impiegate delle tecniche ad hoc. I metodi di progetto analitici risultano
alquanto complessi, al punto che spesso si fa ricorso a metodi empirici.

30.2.2 Relè a 2 livelli con isteresi


La tipologia più usata di controllore a relais è quella che fa uso di un relè a due livelli, con isteresi.
Questo dispositivo è appunto caratterizzato da un legame tra l’errore e la variabile di controllo u di
tipo isteretico.
Per comprenderne meglio il funzionamento seguiamo l’evoluzione sul grafico.
u
2 UMAX 1

EMIN EMAX
e

3 UMIN 4

1) Supponiamo che inizialmente u(0) = uMAX e e(0) > EMAX . u(t) rimane al valore UMAX fintanto
che e(t) non scende al valore EMIN
2) Quando e(t) = EMIN u(t) commuta al valore UMIN
3) Quando u(t) = UMIN l’errore e(t) comincia a crescere
4) Quando e(t) = EMAX u(t) commuta a valore UMAX e il ciclo riprende
Come si vede
I Per effetto del controllo si instaura un movimento oscillante dell’uscita y(t) del sistema intorno
a un valore desiderato.
I Il progetto del controllore a relè consiste appunto nel determinare EMIN , EMAX , UMIN e UMAX
in modo che si inneschi questo meccanismo oscillatorio nella maniera voluta.

Esempio 30.1
Per capire come funziona il controllo a relais consideriamo un semplice esempio in cui un frigorifero viene
controllato per mantenere la temperatura all’interno entro certi limiti.
30.2. MODULO 2: CONTROLLO DI SISTEMI CONTINUI 167

Consideriamo un frigorifero in cui un compressore C azionato da un motore M fa circolare in una serpentina


un fluido, che di solito è un fluido tipo ammoniaca, che è sottoposto a un ciclo di espansione e compressione
che fa assorbire energia termica e quindi raffredda la temperatura interna.
L’obiettivo del controllo è mantenere la temperatura interna θ il più possibile costante e vicina alla
temperatura desiderata θo al variare del disturbo rappresentato dalla temperatura esterna.
Il controllo consiste nell’accendere e spegnere l’interruttore che aziona il motore del compressore. Dato
che la variabile di controllo ha due soli stati, u = 1 che corrisponde all’interruttore acceso e u = 0 che
corrisponde all’interruttore spento, il controllo può essere realizzato mediante un relè a due livelli con
isteresi.
Definendo una soglia di errore ε, il problema di controllo può essere risolto imponendo che l’interruttore
commuti in corrispondenza dei valori ±ε dell’errore.

EMIN = −ε, EMAX = +ε


UMIN = 0, EMIN = 1
0
u = Φ (θ − θ)
| {z }
e

La legge di controllo è tale per cui quanto θo − θ scende sotto la soglia −ε, ovvero la temperatura è troppo
alta, si accende il motore, u = 1, provocando così il progressivo abbassamento della temperatura.
Il motore viene poi spento, u = 0, quando θo − θ supera la soglia +ε ovvero quando la temperatura è
troppo bassa. Questa strategia di controllo genera intrinsecamente un andamento oscillante di θ, è robusta
rispetto ai disturbi e non richiede un modello accurato.

Un aspetto a cui occorre prestare attenzione è il dimensionamento della soglia


168 LEZIONE 30. CONTROLLO LOGICO E CONTROLLORI PLC

 Se ε è troppo bassa ⇒ commutazioni troppo frequenti (usura rapida)


 se ε è troppo alta ⇒ controllo poco reattivo (variazioni ampie della temperatura)

30.2.3 Progetto di un controllore a relè


Proviamo ad articolare più recisamente una metodologia empirica di progetto per il controllo a relè.
Innanzitutto supponiamo di avere
w(t) = costante = w̄
Allora il funzionamento del controllore a relè è descritto dalla relazione
u = Φ(w̄ − y) = Γ(y)
Per esempio
YMIN = w̄ − EMIN ⇒ EMAX = w̄ − YMIN ⇒ u(t) commuta UMIN → UMAX
YMAX = w̄ − EMAX ⇒ EMAX = w̄ − YMAX ⇒ u(t) commuta UMAX → UMIN

I valori UMIN e UMAX vanno scelti in modo tale che si possa misurare il meccanismo oscillatorio
u(t) = UMAX ⇒ limt→∞ y(t) > w̄ − EMIN = YMAX
⇒ Meccanismo oscillatorio
u(t) = UMIN ⇒ limt→∞ y(t) < w̄ − EMAX = YMIN

È importante osservare che YMIN e YMAX non rappresentano gli estremi della dinamica di y, infatti
quando y raggiunge una di queste soglie la variabile di controllo commuta ma passa comunque un certo
tempo prima che questa variazione si rifletta in un’inversione di tendenza della variabile di uscita y.

Questo effetto di inerzia è dovuto al ritardo di risposta del sistema controllato: esso fa sì che la dinamica
di y si muova tra y1 , che è minore di YMIN , e y2 , che è maggiore di YMAX
y1 = w̄ − ε ≤ y(t) ≤ w̄ + ε = y2 , ∀t
Poiché l’obiettivo di partenza è quello di limitare l’escursione di y nella fascia di ampiezza 2ε centrata
su w̄, occorrerà ristringere la fascia delle due soglie, YMIN e YMAX , tanto più quanto più marcato è
l’effetto di inerzia.

30.3 Modulo 3: Cenni al controllo di sistemi a eventi discreti


Lezione 31

Segnali e sistemi a tempo discreto

31.1 Modulo 1: Segnali


31.1.1 Segnali a tempo discreto e serie temporali
Trattiamo qui il problema dei segnali e dei sistemi a tempo discreto, che sono dei segnali molto comuni
nelle applicazioni, e che hanno molte similitudini, ma anche differenze sostanziali, con quello che avete
visto nelle lezioni precedenti, dedicate ai sistemi ed ai segnali continui.

In molti casi pratici è il tempo schematizzato come un numero intero, di solito non negativo, ed esempi
di segnali in cui il tempo è appunto un numero intero, ce ne sono tantissimi.

Nella figura vedete un caso molto comune, quello dell’andamento di una variabile economica, che viene
rilevata a certi intervalli discreti, appunto nel tempo, per cui può essere indicizzata con una variabile
che evolve come numeri interi.

A questo proposito, c’è un matematico tedesco Leopoldo Kronecker dell’Ottocento, che diceva la frase
riportata anche su molti siti internet sulle sue biografie

“Dio inventò gli interi e tutto il resto è opera degli uomini”

In realtà sembra che le cose non vadano esattamente in questa maniera; forse lui lo diceva più dal
punto di vista del matematico, che non dell’ingegnere, perché siamo naturalmente portati a pensare
che il tempo, in natura, e quindi tutti i fenomeni che avvengono naturalmente, evolvano con continuità,
mentre invece sono le opere, le attività umane che vengono meglio formalizzate, meglio modellizzate
con un tempo, che invece è rappresentato da numeri interi, quindi è discreto.

Spesso questi tipi di fenomeni, noi usiamo rappresentarli su dei grafici, come appunto quello della
figura che sembrano delle linee continue. In realtà dobbiamo sempre tenere presente che esistono dei
precisi istanti, in cui la funzione segnale è definita, e invece degli istanti in cui non è definita, ma che
magari per praticità di rappresentazione, noi usiamo interpolare tra un istante e l’altro con delle linee
continue.

169
170 LEZIONE 31. SEGNALI E SISTEMI A TEMPO DISCRETO

In realtà questi segnali poi possiamo schematizzarli facilmente, con delle tabelle, come quella sempre
riportata in figura, dove da una parte c’è l’istante, a cui si riferisce il valore, e d’altra parte, il valore
stesso.
ore MIB TEL
··· ···
1405 27.141
11: 10 27.162
11: 15 27.198
11: 20 27.202
11: 25 27.231
··· ···
··· ···
··· ···
Addirittura se gli istanti a cui il valore si riferisce, sono sempre spaziati nello stesso modulo nel tempo,
basta archiviare un vettore di valori, naturalmente bisogna che siano otto istanti iniziale, e l’intervallo
tra un valore e l’altro.

31.1.2 Segnali periodici


Utilizzeremo per i segnali a tempo discreto, un indice k che rappresenta appunto l’evoluzione temporale.
Naturalmente ciò fa sì che quando dobbiamo risalire al tempo, a cui il segnale si riferisce, abbiamo
bisogno di un’unità di tempo, chiamiamola per esempio τ , e quindi l’istante a cui si riferisce un certo
segnale è dato dal prodotto dell’indice kappa, per il valore di questa unità di tempo τ

t = kτ τ unità di tempo

Ripeto ancora una volta, è il nostro segnale definito solo gli istanti specifici del tempo, e la figura è fatta
proprio per mettere in rilievo questo aspetto, soltanto in corrispondenza di k = · · · , 7, 8, 9, 10, 11, · · ·
il segnale èdefinito, mentre negli istanti intermedi non ha senso chiedersi, quanto vale la grandezza,
perché appunto non è definita.

Come per i segnali continui, si può definire anche nel caso dei segnali discreti a classe dei segnali
periodici. Naturalmente il periodo sarà un certo numero di unità di tempo N . Se il valore del segnale
al tempo k + nτ , è uguale al valore del segnale al tempo kτ , allora diciamo che il segnale è periodico,
e quindi dopo N passi temporali, si ripete esattamente con gli stessi valori.

u((k + N τ )) = u(kτ ) ∀k ⇐⇒ u(k) è periodica di periodo N

In moltissimi casi pratici, il segnale originariamente evolve con continuità, nel tempo ma noi usiamo
campionarlo, noi usiamo prelevarne dei valori, a istanti precisi del tempo normalmente intervallati con
regolarità.

Per esempio in Figura vedete un segnale di temperatura.


31.1. SEGNALI 171

La temperatura evolve con continuità, è definibile come una funzione che ad ogni istante di tempo,
qualsiasi esso sia, ha un certo valore specifico, ma noi usiamo trasformare questo valore in una tabella in
cui segniamo, da un lato appunto le ore o i minuti a cui facciamo l’operazione di rilevazione, e dall’altro
i valori rilevati, cioè trasformiamo un segnale che è continuo, in un segnale che è invece discreto, e
possiamo quindi rappresentarlo ed archiviarlo in maniera estremamente più semplice, perché come è
noto, lavorare con dei segnali continui è molto più complesso.
Una volta ci sono stati, per un certo periodo dei calcolatori in grado di utilizzare direttamente i
segnali continui, i calcolatori analogici. Oggi questi sono praticamente scomparsi, e tutti i calcolatori
che usiamo attualmente (tutti i pc che avete in mano), sono dei calcolatori digitali, i quali possono
utilizzare semplicemente dei segnali discreti nel tempo.
Pertanto qualunque segnale che debba essere elaborato da un pc, deve essere trasformato, appunto
campionandolo in un segnale a tempo discreto. Anche il calcolatore digitale e anche il pc, è in se
stesso un sistema che lavora campionando, diciamo così delle grandezze elettriche ad istanti precisi
ed equispaziati nel tempo. Difatti avete studiato, che la base del funzionamento del calcolatore, c’è
il cosiddetto orologio – il clock – il quale con una certa frequenza campiona, fa sì che possano essere
campionate a valori interpretabili come 0 o 1, tutte le tensioni che ci sono nella memoria, nei circuiti
diciamo del calcolatore, e quindi si possa definire qual è il suo stato, in termini di bits. Viceversa
tra un istante e l’altro del clock, c’è una evoluzione delle tensioni elettriche, per la quale non sarebbe
possibile definire, qual è lo stato preciso, perché se una grandezza elettrica sta variando, non possiamo
assegnarle un valore preciso in termini di bit, cioè non possiamo assegnare uno 0 od un 1. Quindi il
calcolatore per poter lavorare, ha bisogno di una serie di dati, che siano equispaziati nel tempo, che
siano dei dati discreti.

31.1.3 Frequenza di campionamento


Possiamo schematizzare quest’operazione di campionamento con un campionatore ideale, che possiamo
vedere come un interruttore che trasforma la grandezza continua u(t), nella grandezza discreta u∗ (k).

Naturalmente il funzionamento di questo interruttore, dipende da una variabile, che di solito deve
essere impostata da chi utilizza il campionatore, che è il periodo di campionamento, che dice appunto
ogni quanti secondi, ore, anni, insomma ogni quante unità di tempo, il nostro campionatore ideale si
172 LEZIONE 31. SEGNALI E SISTEMI A TEMPO DISCRETO

chiude, e quindi la grandezza continua viene trasformata nella grandezza discreta, il segnale continuo
viene passato diciamo, dalla parte discreta.

Allora ci domandiamo come possa essere scelto il periodo di campionamento, in maniera da poter
trasformare il segnale continuo in un segnale discreto, senza perdere informazione. Esiste un teorema
molto famoso, a questo proposito, che si riferisce a un caso apparentemente particolare, ma in realtà
molto generale, del cosiddetto segnale a banda limitata.

Significa che se scomponiamo un segnale in una sommatoria di sinusoidi, al di là di una certa frequenza,
l’ampiezza di queste sinusoidi può essere del tutto trascurabile, al limite potrebbe anche essere nulla,
cioè il segnale è scomposto in una serie non infinita di sinusoidi, ma in una serie di sinusoidi che hanno
una pulsazione massima, che chiamiamo per esempio ωmax .

Allora se questo è il caso (e come capite facilmente questo è il caso che si presenta più frequentemente
in tutte le applicazioni, perché è al di là di una certa pulsazione, nessun segnale può arrivare) allora è
il teorema che è dovuto a Shannon, che risale al 1949, dice che è possibile campionare il segnale, senza
perdere informazione, pur di utilizzare un periodo di campionamento, che è più piccolo della metà del
periodo minimo delle sinusoidi contenute nel segnale

1 π
Tc < Tmin =
2 ωmax

Il che significa che, se io campiono almeno due volte in un periodo, la più veloce delle sinusoidi che
sono contenute nel segnale, posso pensare di ricostruire il segnale stesso senza perdere informazioni.

In realtà questo è un risultato puramente teorico, perché i rumori di misura, i problemi di rilevazione,
la tecnologia degli strumenti è tale, che è opportuno in realtà andare a velocità di campionamento
molto più elevate, almeno un ordine di grandezza superiore alla massima frequenza che è contenuta
nel segnale.

Per esempio la voce che sentite, viene rilevata con un campionamento di 44100 Hz, quindi le frequenze
che stiamo utilizzando adesso, 1/44100, ne viene rilevato il valore. Ecco che evidentemente si possono
raccogliere tutte le frequenze, che stanno diciamo entro i 100000 Hz, e non credo che qualcuno dei
docenti, che avete sentito potrà parlare a delle frequenza così elevate. Comunque può essere che nella
voce di qualche cantante lirico, ci siano anche delle frequenze molto elevate.

31.1.4 Campionamento adattivo


É chiaro che molte volte si devono campionare dei segnali che hanno una grande variabilità temporale,
e in questi casi sarebbe interessante poter avere un campionamento adattativo, cioè un campionamento
che tenga conto delle caratteristiche di frequenza di variabilità del segnale nei vari istanti di tempo.

Quello che vedete qui in Figura, è un’approssimazione abbastanza semplificata del ciclo di funzio-
namento del cuore, che come sapete è fatto da due fasi, una fase chiamata sistole, e una chiamata
diastole.
31.1. SEGNALI 173

Durante la prima di queste fasi, il cuore si comprime: vuol dire le fibre muscolari che costituiscono
il muscolo cuore, devono sviluppare una notevole attività elettrica, perché devono comprimersi con
forza per spingere il sangue dentro il circuito arterioso, mentre invece nella fase successiva, le fibre si
rilasciano e il cuore viene riempito dal sangue di ritorno dal circuito venoso.

Quindi l’attività elettrica del cuore è molto differente nelle due fasi. Nella fase di compressione c’è
questo picco, che è normalmente, viene chiamato lo spike, cioè il picco di potenze elettrica delle cellule
muscolari, e poi invece durante le altre fasi c’è un periodo di rilassamento, nella quale l’attività elettrica
è relativamente costante.

Allora sarebbe interessante, per poter seguire bene quello che avviene durante il picco, campionare
l’attività elettrica, con una frequenza molto maggiore, durante gli episodi di rapide variazioni, di
questa attività e invece campionare una frequenza più ridotta, nei periodi in cui l’attività è meno
intensamente variabile. Ciò significa che, potremo pensare di campionare, con una frequenza che
dipende dalla variabilità del segnale, se il segnale varia molto, campionare la frequenza più elevata, se
il segnale varia poco, campionare a frequenza più bassa.

Questo è un caso molto classico, perché moltissime grandezze in natura, hanno dell’evoluzioni che sono
molto rapide in certe fasi, e molto lente in certe altre, pensate per esempio dei fenomeni naturali, come
il vento, o la pioggia che per periodi di tempo, magari molto lunghi sono assenti, e quindi potrebbero
essere campionati una volta al giorno, e invece poi in periodi molto brevi, cambiano valore molto
rapidamente.

Allora per poter per esempio prevedere l’evoluzione di una temporale, di un uragano, di un fenomeno
di piena fluviale, occorrerebbe avere delle misure molto più frequenti, per esempio della pioggia, o della
velocità del vento o fenomeni di questo genere. Se d’altra parte, si fissassero i periodi di campionamento
ai valori adatti a campionare bene questi episodi particolarmente critici, si registrerebbero un sacco
di valori di scarsissima rilevanza pratica, e se viceversa si fissasse il periodo di campionamento alla
lunghezza che adatta per i periodi in cui la variabilità del segnale è meno forte, probabilmente si
perderebbero alcune caratteristiche molto importanti, che sono tipiche di questi periodi di elevata
variabilità.

Questo campionamento adattativo, diciamo quindi intelligente, è molto semplice dal punto di vista
concettuale, ma presenta dal punto di vista informatico, qualche difficoltà, perché naturalmente qui
non è più sufficiente sapere qual è l’istante iniziale e il periodo di campionamento. Poichè il periodo
di campionamento varia, bisogna archiviare, per avere tutte le informazioni necessarie, sia l’istante in
cui il segnale è stato rilevato, sia il valore del segnale a quell’istante.

Oltretutto se si fissa un intervallo di tempo, per cui si vuole effettuare questo campionamento, a priori
non è nota la quantità di memoria che sarà necessaria per l’archiviazione, perché è possibile prevedere
a priori qual è il numero di campioni che verranno rilevati durante questa operazione.

31.1.5 Quantizzazione e conversione A/D


Per poter elaborare un segnale sul calcolatore, oltre al campionatore che abbiamo visto, c’è anche un
altro dispositivo che opera un ulteriore trasformazione, è la cosiddetta quantizzazione.
174 LEZIONE 31. SEGNALI E SISTEMI A TEMPO DISCRETO

L’insieme di queste due fasi, viene chiamata la conversione analogico-digitale e l’operazione che viene
svolta da tutte le schede, per esempio quelle di elaborazione sonora che vengono inserite nel calcolatore
per poter elaborare dei segnali di ingresso di tipo audio, video, oppure provenienti da una qualsiasi
strumentazione, collegata ad un campo di misura, un qualche esperimento che si voglia svolgere.

Forse non avete adesso nel vostro calcolatore altre schede, se non quelle appunto di acquisizione audio
magari, oppure anche video, però esistono schede, per l’acquisizione dei segnali dagli strumenti più
diversi, che possono essere appunto dei rilevatori di temperatura, di pressione, di forza o velocità, gli
strumenti più diversi. Non farete fatica a pensare, che una qualunque bilancia che funzioni in modo
appunto digitale, cioè non meccanica ma elettrica, potrebbe essere per esempio, collegata direttamente
al calcolatore, per rilevare l’andamento del peso di certe grandezze, che naturalmente avrebbe poco
senso, per il peso delle persone, che è scarsamente variabile. Ma per esempio in un’operazione di
fabbricazione, una delle operazioni fondamentali da fare, è pesare le quantità di componenti che arrivano
man mano.

Dicevamo del quantizzatore, il quantizzatore non è altro che uno strumento, un dispositivo che mappa i
valori della grandezza che escono dal campionatore su dei valori interi. Naturalmente, vi può sembrare
strana questa affermazione, valori interi, perché avete in mente nel calcolatore compaiano dei numeri
decimali, magari anche con tantissimi decimali, ma se pensate in termini di bit, vi accorgete che il
calcolatore è capace di utilizzare soltanto dei numeri interi.

Quindi l’operazione che viene fatta è la trasformazione da una grandezza reale, ad un grandezza intera
e questa operazione appunto detta quantizzazione è

• un’operazione non lineare, come appare chiaramente dalla figura che ci indica appunto come tutti
i numeri vengono trasformati in interi

• e anche irreversibile, cioè in questo caso, c’è una perdita secca di informazione, che non è più
recuperabile

Questa non linearità, diminuisce l’informazione contenuta nel segnale, è contrariamente a quello che
abbiamo visto per l’operazione di campionamento, non è un’operazione dalla quale noi possiamo tornare
indietro.
31.2. SISTEMI A TEMPO DISCRETO 175

Qui vediamo soltanto un piccolo esempio. Potete farne altri, per esempio usando anche Excel, o
qualunque altro strumento di calcolo, Matlab che avete nel vostro calcolatore. Abbiamo tre curve,
la prima quella continua, rappresenta un segnale continuo, per la verità essendo prodotto dal vostro
calcolatore, proprio continuo non è, ma simuliamo che rappresenti un segnale continuo, mentre quella
a tratti verdi, rappresenta lo stesso segnale discretizzato con una certa frequenza, e quella a tratti blu
rappresenta la quantizzazione dello stesso segnale all’intero, e quindi vedete come il segnale a tratti blu,
sia decisamente diverso da quello in linea continua, che è rappresentato dalla somma dei due sinusoidi
di una costante che ripeto, è un esperimento molto semplice, che potete anche fare voi.

31.2 Modulo 2: Sistemi a tempo discreto


I segnali discreti, costituiscono gli ingressi, gli stati e le uscite dei sistemi a tempo discreto, che diciamo
anche discreti nel tempo, e che molte volte chiameremo semplicemente sistemi discreti, sottointendendo
che la variabile discreta è il tempo.
Questi sistemi hanno delle equazioni simili a quelli che abbiamo già visto per i sistemi continui. Indi-
cheremo le variabili di stato ancora con la variabile x, le variabili d’ingresso con u, le variabili di uscita
con y e le equazioni scritte in forma vettoriale sono

x(k + 1) = f (x(k), u(k), k)


y(k) = g(x(k), u(k), k)

Quindi la struttura delle equazioni è esattamente analoga a quella del caso continuo, tranne il fatto
che invece di avere la derivata della variabile di stato, abbiamo il valore delle variabili di stato, per un
tempo incrementato di un’unità.
La differenza non è marginale, perché come capita facilmente, qui siamo nel campo dell’equazioni alge-
briche, mentre nel caso continuo eravamo nel campo delle equazioni differenziali, e quindi certamente
questo tipo di equazioni dei sistemi discreti, saranno molto più semplici da utilizzare, e soprattutto
più semplici da implementare sul calcolatore.
A seconda dei casi, il fatto che k compaia esplicitamente nelle equazioni, dal fatto che u compaia nella
trasformazione di uscita, oppure il fatto che nella trasformazione di uscita, non compaiano le variabili
di stato x, abbiamo diverse particolarizzazioni delle equazioni generali.
In particolare, se non compare esplicitamente il tempo, quindi nel nostro caso l’indice k, diremo che il
sistema è invariante o stazionario
x(k + 1) = f (x(k), u(k)) sistema invariante o stazionario
y(k) = g(x(k), u(k)) non dipende esplicitamente dal tempo
176 LEZIONE 31. SEGNALI E SISTEMI A TEMPO DISCRETO

se nella trasformazione di uscita non compaiono esplicitamente le variabili di ingresso u, il sistema si


chiama strettamente proprio

x(k + 1) = f (x(k), u(k), k) sistema strettamente proprio


y(k) = g(x(k), k) uscita non dipende dall’ingresso

Se non compaiono le variabili di stato nella trasformazione di uscita, il sistema si chiama non dinamico,
nel qual caso diciamo è semplicemente una relazione ingresso-uscita, ma non c’è l’inerzia, non c’è
l’evoluzione nel tempo tipica dei sistemi dinamici

sistema non dinamico


y(k) = g(u(k), k)
l’uscita dipende solo dall’ingresso

Alcuni sistemi nel mondo reale, sono naturalmente formulati in termini di sistemi discreti. Quasi tutti
i sistemi economici, sono formulati in questo modo.

Esempio 31.1
L’esempio più semplice è quello del capitale in banca, che è naturalmente registrato dalle banche, al termine
di ogni giorno, e l’ora precisa, il minuto preciso, il secondo preciso in cui è avvenuta una certa operazione,
per la banca non è assolutamente rilevante, perché i conti vengono fatti soltanto alla chiusura della giornata.
Quindi possiamo dire che il capitale al giorno k + 1 è uguale al capitale al giorno k più un tasso di interesse,
che normalmente può dipendere dall’entità del capitale stesso, moltiplicato per il capitale al giorno k, più
eventualmente un ingresso costituito dai prelievi, o dai depositi di denaro che vengono effettuati nel corso
della giornata.

C(k + 1) = C(k) + r(C)C(k) + u(k) = C(k)(1 + r(C)) + u(k)

Questo è un modello, che si presenta naturalmente come un sistema discreto, perché non ha senso seguire
l’evoluzione del capitale nel corso della giornata. Benché la gente ovviamente vada a depositare, a prelevare
i soldi con continuità nel tempo, il capitale non viene contabilizzato, all’interno della giornata, ma solo al
termine, quindi non ha senso parlare di capitale alle ore 23 e 30: bisogna parlare del capitale presente in
un certo giorno.

Altre volte il sistema discreto deriva dalla “discretizzazione” di un sistema che in effetti evolve con
continuità nel tempo.

Esempio 31.2 (Modello di Leslie, 1945)


Quello che vi presento ora è un modello classico di dinamica di una popolazione, che è stato usatissimo per
una serie di studi di tipo demografico, sia sulla popolazione umana, sia sulle popolazioni animali o vegetali,
che è stato proposto da un signore che si chiamava Leslie nel 1945.
É un modello che ha come variabili di stato, il numero di individui, che in un certo istante di tempo k,
hanno una certa età i, e vediamo quindi, che tutti gli individui presenti in una popolazione è in n classi di
età.

xi (k) = numero di individui appartenenti alla classe i al tempo k

Nella prima classe di età, ci saranno tutti quelli che hanno per esempio tra 0 e 1 anno, nella seconda quelli
che hanno tra 1 e 2 anni, e via discorrendo di questo passo. Naturalmente non è detto che l’unità di tempo
che utilizziamo sia 1 anno, per esempio sapete che per le popolazioni umane, di solito si utilizzano intervalli
di tempo più lunghi, addirittura noi facciamo i censimenti generali della popolazione soltanto una volta
ogni 10 anni, quindi l’intervallo di tempo che utilizziamo è decisamente più lungo.
In questo modello compaiono dei parametri

si = sopravvivenza degli individui della classe i


fi = fertilità degli individui della classe i
31.3. MOVIMENTO DEI SISTEMI DISCRETI 177

si è la sopravvivenza degli individui della classe i e quindi rappresenta la percentuale di individui, che
passano dalla classe i alla classe i + 1, cioè invecchiano di una classe, quindi passano a quella successiva
nell’unità di tempo k.
Invece fi è la fertilità degli individui della classe i, cioè il numero di nuovi individui che vengono generati
dagli individui di età i. Il modello e dato da una serie di equazione, n, una per ciascuna classe di età.

x1 (k + 1) = s0 (f1 x1 + f2 x2 + . . . + fn xn ) + u1 (k)
...
xi+1 (k + 1) = si xi (k) + ui (k)
...
xn (k + 1) = sn−1 xn−1 (k) + sn xn (k) + un (k)
y(k) = x1 (k) + x2 (k) + . . . + xn (k)

La più complessa è quella relativa agli individui di età 1 che dice gli individui di 1 uno all’istante k + 1, sono
la somma, di tutti quelli che vengono generati dagli individui delle altre classi, o al limite anche della classe
stessa, moltiplicata per un coefficiente di sopravvivenza, potremo chiamarlo neonatale, cioè durante l’età
1, eventualmente più un certo ingresso, che rappresenterebbe l’immigrazione, o le migrazioni di individui
di questa classe verso l’esterno.
Per ciascuna delle altre classi, per esempio, la classe i+1 al tempo k+1, è rappresentata semplicemente dagli
individui che al tempo k, cioè al tempo precedente appartenevano alla classe i, moltiplicati per il coefficiente
si , che rappresenta appunto la sopravvivenza di questi individui anche qui più o meno, l’ingresso che può
rappresentare immigrazione o migrazione.
L’ultima classe, è ancora rappresentata dal prodotto di un coefficiente di sopravvivenza, per gli individui
della classe precedente al tempo precedente, ed eventualmente, se questi individui possono ulteriormente
sopravvivere, potrebbe esserci un altro termine, dato dal prodotto dei coefficienti di sopravvivenza degli
individui dell’età n, nella classe n stessa.
Come uscita di questo sistema, possiamo prendere quella a cui di solito siamo interessati: la popolazione
totale, cioè la somma degli individui delle singole classi di età, oppure qualche altro termine, per esempio gli
individui in età lavorativa, gli individui in età fertile, o qualche altra indicazione, che ci sembra significativa,
per seguire l’evoluzione della popolazione.

Tra parentesi questo modello, che rivedremo ancora nelle prossime lezioni, è un sistema un po’ carat-
teristico, per il fatto che ha significato soltanto se le variabili di stato sono tutte positive, e quindi
durante la sua evoluzione deve mantenere questa caratteristica. Viene perciò detto sistema positivo.

31.3 Modulo 3: Movimento dei sistemi discreti


31.3.1 Calcolo del movimento
Vediamo il movimento dei sistemi discreti. Prendiamo un generico sistema discreto, in cui le variabili
di stato all’istante k + 1, siano calcolabili come una funzione delle variabili di stato all’istante k, delle
variabili di ingresso all’istante k, ed eventualmente di k stesso, se il sistema è appunto tempo variante.
Naturalmente avremo una condizione iniziale, e avremo una trasformazione di uscita

x(k + 1) = f (x(k), u(k), k) x(0) = x0 y(0) = g (x0 , u(0), 0)

Il calcolo del movimento, è estremamente semplice perché possiamo farlo algebricamente, sostituendo
i valori della serie temporale u(k) ed eventualmente di k stesso nell’equazione di stato. Questo ci
consente di calcolare, sostituendo i valori all’istante k = 0, e il valore di x all’istante k =!, poi dal
valore di x all’istante 1, interando la stessa equazione algebrica, possiamo calcolarci il valore all’istante
k = 2, e via discorrendo di questo passo
x(1) = f (x0 , u(0), 0) y(1) = (x(1), u(1), 1)
x(2) = f (x(1), u(1), 1) = f (f (x0 , u(0), 0) , u(1), 1) y(2) = (x(2), u(2), 2)
···
x(k) = Φ (x0 , u(·), ·)
178 LEZIONE 31. SEGNALI E SISTEMI A TEMPO DISCRETO

Il valore dell’uscita si calcola in maniera altrettanto semplice, sostituendo istante per istante il va-
lore delle variabili di stato, ed eventualmente dell’ingresso e di k, nell’equazione che rappresenta la
trasformazione d’uscita.
Quindi l’utilizzo anche sul calcolatore di sistemi di questo tipo, il calcolo del movimento di sistemi di
questo tipo, si ottiene in maniera estremamente semplice, perché si tratta di equazioni algebriche, e
quindi non necessita di nessun algoritmo di calcolo particolare, come invece capita nel caso dei sistemi
continui.

Esempio 31.3
Vediamo comunque un esempio puramente astratto, un sistema del secondo ordine, non lineare, in cui
abbiamo due variabili di stato.
x1 (k + 1) = 2x21 (k) + x2 (k) + u(k)
x2 (k + 1) = −0.5x1 (k)
y(k) = x1 (k) + 10x2 (k)
T
con u(k) = 1 e x0 = 0 0


La trasformazione d’uscita è una trasformazione in questo caso lineare, vediamo un ingresso costante, e
partiamo da un certo stato iniziale, per esempio k = 0.
Non facciamo nient’altro che sostituire i valori delle variabili di stato all’istante iniziale per ottenere la
sequenza temporale
  
 x1 (1) = 0 + 0 + 1 = 1  x1 (2) = 2 + 0 + 1 = 3  x1 (3) = 18 − 0.5 + 1 = 18.5
x2 (1) = 0 x2 (2) = −0.5 x2 (3) = −1.5
y(1) = 1 y(2) = 3 − 5 = −2 y(3) = 18.5 − 15 = 3.5
  

31.3.2 Stato di equilibrio


Per i sistemi discreti, valgono delle definizioni del tutto analoghe, a quelle che avete visto per i sistemi
continui. In particolare le definizioni importanti, che avete visto, sono riprese integralmente.
Le vediamo qui nel caso dei sistemi invarianti, cioè nelle cui equazioni non compare esplicitamente
k. La definizione di equilibrio x̄, è uno stato di equilibrio, se in corrispondenza di un certo ingresso
costante ū, sono verificate le equazioni

x̄ = f (x̄, ū)
ȳ = g(x̄, ū)

Nel caso del calcolo dell’equilibrio, che poi vedremo nuovamente dei sistemi discreti, quello che dovremo
imporre, a differenza al caso continuo, non è la derivata uguale a zero, ma il fatto che la variabile di
stato sia effettivamente costante.

31.3.3 Movimento libero e movimento forzato


Altre definizioni importanti, che continuano a essere valide, sono le definizioni di movimento libero
e movimento forzato. Il movimento libero è quello definito a partire da un certo stato iniziale e con
ingresso u = 0, e quindi è quello dovuto semplicemente allo stato iniziale x0 del sistema, mentre al
movimento forzato è quello dovuto all’ingresso, e a partire da stato iniziale nullo, cioè dal sistema
inizialmente scarico. Quest’ultimo rappresenta l’influenza dell’ingresso sul movimento del sistema.

x1 (k) = Φ (x0 , 0) =⇒ movimento libero


xf (k) = Φ(0, u(·)) =⇒ movimento forzato

31.3.4 Stabilità del movimento


L’ultima importante definizione, che continua a valere è quella di stabilità del movimento. Come
ricorderete un movimento si dice asintoticamente stabile, se tutti i movimenti che partono da uno
31.3. MOVIMENTO DEI SISTEMI DISCRETI 179

stato iniziale entro una certa distanza δ dal movimento nominale che state esaminando si mantengono
a una distanza non più grande di ε dal movimento nominale.

x̄ è (asintoticamente) stabile ⇐⇒ ∀ε > 0, ∃δ > 0 : ∀x(0) con |x(0) − x̄| ≤ δ


|x(k) − x̄(k)k ≤ ε
(limk→∞ kx(k) − x̄(k)k = 0)

Naturalmente, se col tendere di k all’infinito, che significa col tendere di t all’infinito questa di-
stanza tende a diventare nulla, il movimento si dice asintoticamente stabile, altrimenti si dice solo
semplicemente stabile.
Tutte queste definizioni, possono essere applicate in maniera particolarmente semplice al caso dei
sistemi lineari, che esamineremo nella prossima lezione.
Lezione 32

Sistemi dinamici lineari a tempo discreto

32.1 Modulo 1: Caso dei sistemi lineari invarianti


Anche nel caso dei sistemi a tempo discreto, una classe particolarmente importante di sistemi è costi-
tuita dai sistemi lineari e invarianti. Questi sono stati applicati nei settori più diversi, sono semplici da
trattare, esiste una teoria abbastanza completa per analizzarli e possono essere applicati a casi molto
disparati, per cui hanno una grande flessibilità.
In questo caso la struttura del sistema è esattamente analoga a quella che avete visto per i sistemi
lineari e continui e l’unica differenza sostanziale è quella che al posto della derivata abbiamo la variabile
al tempo incrementato, quindi scriveremo

x1 (k + 1) = a11 x1 (k) + . . . + a1n xn (k) + b11 u1 (k) + . . . + b1m um (k)


x2 (k + 1) = a21 x1 (k) + . . . + a2n xn (k) + b21 u1 (k) + . . . + b2m um (k)
xn (k + 1) = an1 x1 (k) + . . . + ann xn (k) + bn1 u1 (k) + . . . + bnm um (k)

Le variabili di uscita saranno anch’esse date da somme da pesate con coefficienti cij delle variabili stato
xj , con dei coefficienti dij delle variabili di ingresso uj .

y1 (k) = c11 x1 (k) + . . . + c1n xn (k) + d11 u1 (k) + . . . + d1m um (k)


..
.
yp (k) = cp1 x1 (k) + . . . + cpn xn (k) + dp1 u1 (k) + . . . + dpm um (k)

Le dimensioni nel vettore di stato x, nel vettore di ingresso u e del vettore di uscita y possono essere
diverse tra di loro. Assumiamo che il vettore di ingresso di ingresso u sia di dimensione m, il vettore
di stato x di dimensioni n e il vettore di uscita y di dimensione p

u(k) ∈ Rm x(k) ∈ Rn y(k) ∈ Rp k intero

Se il sistema è strettamente proprio nell’equazione delle variabili di uscita non compaiono i termini
relativi alle variabili di ingresso u.
Quindi anche nel caso dei sistemi a tempo discreto possiamo usare la notazione matriciale a cui siamo
abituati
x(k + 1) = Ax(k) + Bu(k)
y(k) = Cx(k) + Du(k)
A ∈ Rn×n , B ∈ Rn×m , C ∈ Rp×n , D ∈ Rp×m

La matrice A, come ben sappiamo, è quadrata, mentre tutte le altre sono delle matrici di dimensioni
generiche, normalmente rettangolari, diciamo così. La matrice B in generale ha un numero elevato di

180
32.1. SISTEMI LINEARI INVARIANTI 181

righe (matrice rettangolare stretta e alta), mentre la matrice C in generale ha un numero di righe di
solito ridotto rispetto al numero di colonne (larga e bassa), e la matrice D ha delle dimensioni invece
generiche.
Anche nel caso dei sistemi discreti si può utilizzare la terminologia che abbiamo già visto
MIMO Multiple input multiple output
SISO Single input single output → B ⇒ b(n × 1), C ⇒ c(1 × n), D ⇒ d scalare

Esempio 32.1 (Modello di Leslie)


L’esempio del modello di Leslie che abbiamo visto precedentemente produce una matrice che sulla prima
riga ha i prodotti delle sopravvivenze da 0 per le fertilità alle varie età, nella seconda riga l’unico elemento
diverso da 0 è il primo, con la sopravvivenza s1 , nella seconda riga l’unico termine diverso da 0 è il secondo,
nell’ultima riga gli unici termini diversi da 0 possono essere il penultimo e l’ultimo o al limite soltanto il
penultimo se ci si immagina che non si possa sopravvivere oltre alla classe di età n.
   
s0 f1 s0 f2 · · · s0 fn b1
 s1 0 · · · 0   b2   
A= . b=. c = 1 1 ··· 1
   
 ..  .. 


0 ··· sn−1 0 bn

Ciò indica che la matrice A è in realtà una matrice come si dice in gergo molto sparsa, cioè ci sono moltissimi
0. In molte popolazioni le classi fertili sono relativamente poche, se considerate la popolazione umana, le
prime e le ultime classi hanno fertilità nulla e quindi anche la prima riga ha solo un numero limitato di
coefficienti diverso da 0, il che implica appunto che la matrice è una matrice abbastanza particolare, con
elementi non nulli sotto la diagonale principale e qualche elemento diverso da 0 sulla prima riga.
Il vettore b se immaginiamo che si sia un’unica immigrazione ed emigrazione ripartita in certe classi di
età è costituita da una percentuale di immigrati di ciascuna classe e se misuriamo come unica variabile di
uscita la popolazione totale, il vettore c è appunto un vettore riga che contiene tutti 1, perché appunto
siamo interessati a calcolarci semplicemente la popolazione totale.
Naturalmente essendo un sistema strettamente proprio, la matrice d in realtà è nulla e in ogni caso essendo
un sistema con un solo in ingresso e una sola uscita sarebbe costituita da uno scalare che però nel caso in
esame è 0.

32.1.1 Calcolo del movimento


Il calcolo del movimento nei sistemi discreti è molto semplice, ed è ancora più semplice nel caso
dei sistemi discreti e lineari, perché basta semplicemente fare il prodotto di una serie di matrici che
esaminiamo brevemente.

x(0) = x0
x(1) = A(0)x0 + B(0)u(0)
x(2) = A(1)x(1) + B(1)u(1) = A(1) (A(0)x0 + B(0)u(0)) + B(1)u(1) =
= A(1)A(0)x0 + A(1)B(0)u(0) + B(1)u(1)

In sintesi per un generico istante k abbiamo un prodotto di matrici A valutate nei vari istanti di tempo
per x0 e una sommatoria di prodotti della matrice A per la matrice B e per l’ingresso u

k−1
Y k−1 k−1
X Y
x(k) = A(i)x0 + A(h)B(i)u(i)
i=k0 i=k0 h=i+1

dove k0 è l’istante iniziale.


Naturalmente tutto questo ci serve anche per calcolare l’uscita all’istante k che è un’equazione che
non ha dinamica, quindi è una trasformazione istantanea. Ci basta conoscere la C(k), moltiplicarla
182 LEZIONE 32. SISTEMI DINAMICI LINEARI A TEMPO DISCRETO

per lo stato al tempo k più eventualmente i termini legati all’ingresso se il sistema non è strettamente
proprio.

y(k) = C(k)x(k) + D(k)u(k)

Quello che è rilevante nella formula precedente è che essa può essere scomposta in due parti: la prima
parte, che dipende soltanto dal valore iniziale delle variabili di stato rappresenta, come sappiamo, il mo-
vimento libero; la seconda parte che dipende soltanto dai valori dell’ingresso rappresenta il movimento
forzato.
k−1
Y k−1 k−1
X Y
xl (k) = A(i)x0 xf (k) = A(h)B(i)u(i)
i=k0 i=k0 h=i+1

E il fatto fondamentale legato alla linearità è che il movimento complessivo dello stato si può ottenere
come somma del movimento libero e del movimento forzato. Questa è proprietà importantissima della
linearità, è quella che ci consente di fare la maggiori parte dei calcoli relativi ai sistemi lineari e invece
non ci consente di studiare con la stessa facilità gli altri tipi di sistemi, in quanto in altri casi, appunto
che non siano lineari, gli effetti dello stato iniziale e degli ingressi si combinano in modo diverso dalla
somma e quindi non ci è consentito di semplificare il problema scomponendolo della somma dei due
sotto problemi, che poi possiamo ricomporre.
Come sapete, questa idea di prendere un problema complesso e di scomporlo in sotto problemi più
semplici è uno dei tanti modi che l’uomo utilizza per arrivare a risolvere appunto dei problemi più
complicati ed è uno dei più utilizzati.

32.1.2 Sovrapposizione degli effetti


In generale possiamo dire che per i sistemi lineari vale la ben nota proprietà chiamata sovrapposizione
degli effetti

x0 = αx00 + βx000 x(k) = αx0 (k) + βx00 (k)


=⇒
u(k) = αu0 (k) + βu00 (k) y(k) = αy 0 (k) + βy 00 (k)

e significa che se noi partiamo da due stati iniziali x00 e x000 e imponiamo al sistema due ingressi
diversi u0 (k) e u00 (k), possiamo ricavare il movimento relativo a una somma pesata degli stati iniziali
e a una somma pesata degli ingressi (secondo gli stessi coefficienti) utilizzando le soluzioni calcolate
separatamente nel caso dello stato iniziale x00 e ingresso u00 (k) e di quello relativo allo stato iniziale x000
e all’ingresso u00 (k).

32.1.3 Memoria finita e reversibilità


Una differenza importante tra il caso dei sistemi continui e il caso dei sistemi discreti è dovuta al fatto
che, mentre come abbiamo visto nei sistemi continui la matrice di transizione è sempre diversa da 0
in quanto esponenziale di matrice, anche per t → ∞ una piccola traccia dello stato iniziale rimane
comunque nel movimento libero dello stato

xl (t) = eAt x0 , eAt 6= 0∀ t

Nei sistemi discreti può accadere che il prodotto delle matrici A(k) calcolate nei vari istanti di tempo
dia una matrice nulla

∃q : A (k0 + q) A (k0 + q − 1) . . . A (k0 ) = 0

Allora in questo caso significa che l’effetto dello stato inziale, dopo un certo di numero di passi tem-
porali, scompare completamente e quindi è impossibile, esaminando il movimento dopo un transitorio
sufficientemente lungo, risalire a quale fosse lo stato iniziale.
32.2. LINEARIZZAZIONE 183

Come si dice che il sistema perde memoria nello stato inziale e quindi questo tipo di sistemi vengono
appunto detti a memoria finita.

In particolare per i sistemi tempo-invarianti questa caratteristica della memoria finita si può verificare
molto facilmente perché, se esiste un esponente q tale che Aq = 0, si dimostra che q deve essere minore
o uguale all’ordine n del sistema

seA(k) = A e ∃q tale che Aq = 0 allora q ≤ n

Quindi basta fare le prime n moltiplicazioni della matrice per se stessa per verificare se entro n passi
si ottiene la matrice nulla, e quindi il sistema è a memoria finita. In questo caso la matrice viene detta
nilpotente.

Se invece Aq 6= 0 per q = n allora è possibile affermare che la matrice non si annullerà per nessun
q > n.

32.1.4 Reversibilità
In sintesi possiamo dire che mentre il sistema continuo è sempre reversibile, cioè è sempre possibile
ricavare lo stato iniziale guardando lo stato del sistema a un certo istante t, perché esiste la possibilità
di invertire la matrice di transizione di stato eAt , nei sistemi discreti questa proprietà non è valida in
generale, perché in qualche caso la matrice che determina la transizione di stato è non invertibile e
quindi non si può ritornare a calcolarsi lo stato iniziale una volta che si è raggiunto un certo stato x(k).

32.2 Modulo 2: Linearizzazione


32.2.1 Movimento nominale
Anche nel caso di sistemi discreti un procedimento che utilizzeremo di frequente per lo studio dei sistemi
non lineari è quello della linearizzazione, cioè della loro approssimazione attorno a un movimento
nominale.

Dato un sistema discreto

x(k + 1) = f (x(k), u(k), k) x0 = x (k0 )


y(k) = g(x(k), u(k), k)

definiamo movimento nominale un particolare movimento che soddisfa queste equazioni

ũ(k), k > k0 ⇒ x̃(k), ỹ(k)

Descriviamo le variazioni rispetto al movimento nominale dell’ingresso, dello stato, dello stato iniziale
e dell’uscita

u(k) = ũ(k) + δu(k)


x(k) = x̃(k) + δx(k)
x0 (k) = x̃0 + δx0
y(k) = ỹ(k) + δy(k)

Le equazioni del movimento del sistema per il generico movimento x saranno quindi date da

x̃(k + 1) + δx(k + 1) = f (x̃(k) + δx(k), ũ(k) + δu(k), k)


ỹ(k) + δy(k) = g(x̃(k) + δx(k), ũ(k) + δu(k), k)
x0 = x̃0 + δx0
184 LEZIONE 32. SISTEMI DINAMICI LINEARI A TEMPO DISCRETO

Se f e g sono sufficientemente regolari da poter essere sviluppati in serie, possiamo riscrivere il


movimento nominale prendendo i primi termini della sua espansione in serie

∂f ∂f
x̃(k + 1) + δx(k + 1) = f (x̃(k), ũ(k), k) + δx(k) + δu(k) + . . .
∂x x̃,ũ ∂u x̃,ũ
∂g ∂g
ỹ(k) + δy(k) = g(x̃(k), ũ(k), k) + δx(k) + δu(k) + . . .
∂x x̃,ũ ∂u x̃,ũ

Arrestandosi al primo termine dell’espasione e notando che

x̃(k + 1) = f (x̃(k), ũ(k), k)


ỹ(k) = g(x̃(k), ũ(k), k)

possiamo scrivere il sistema linearizzato alle variazioni

∂f ∂f
δx(k + 1) = δx(k) + δu(k)
∂x x̃,ũ ∂u x̃,ũ δx(k + 1) = A(k)δx(k) + B(k)δu(k)

∂g ∂g δy(k) = C(k)δx(k) + D(k)δu(k)
δy(k) = δx(k) + δu(k)
∂x x̃,ũ ∂x x̃,ũ

dove abbiamo definito le matrici A(k), B(k), C(k) e D(k) come segue

∂f ∂f ∂g ∂g
A(k) = (k) = C(k) = D(k) =
∂x x̃ũ ∂u x̃,ũ ∂x x̃,ũ ∂u x̃ũ

Naturalmente se il sistema è tempo variante le funzioni f e g dipenderanno da k, quindi dal tempo e le


matrici che ricavo dipenderanno anch’esse dal tempo. Il sistema potrebbe invece essere invariante, nel
qual caso da queste derivate valutate attorno a un movimento nominale otterrei delle matrici numeriche
esattamente uguali a quelle che abbiamo già considerato in moltissimi altri casi.

32.3 Modulo 3: Sistemi dinamici lineari


Nel caso dei sistemi appunto lineari e invarianti, le matrici

A(k) = A B(k) = B C(k) = C D(k) = D

hanno le dimensioni che abbiamo visto prima e l’equazione del movimento risulta decisamente sempli-
ficata. Abbiamo
k−1
X
x(k) = Ak x0 + Ak−i−1 Bu(i)
i=0

Questa è un’equazione esattamente analoga all’equazione di Lagrange che avete visto per i sistemi
continui. Ricorderete che la differenza è che al primo termine il movimento libero nell’equazione di
Lagrange dei continui c’è un eAt , così come c’è eA(t−t0 ) anche dentro nell’integrale. Nel caso discreto al
posto di integrale abbiamo una sommatoria ma per il resto l’equazione si presenta in modo esattamente
analogo.

L’equazione dell’uscita è

k−1
" #
X
k k−i−1
y(k) = C A x0 + A Bu(i) + Du(k)
i=0
32.3. SISTEMI DINAMICI LINEARI 185

32.3.1 Movimento libero e modi


Se prendiamo in considerazione una particolare matrice A che abbia degli autovalori distinti allora

A ha n autovalori distinti ⇒ ∃T : AD = T AT −1 è diagonale

dove AD è una matrice che ha 0 ovunque, tranne che gli elementi sulla diagonale che, come ricorderete,
sono in questo caso gli autovalori della matrice che chiamiamo zi e sono ovviamente n numeri distinti
 
z1 0 · · · 0
 0 z2 · · · 0 
AD =  . .. .. ..  in cui zi , i = 1, . . . , n sono autovalori
 
.. . . .
0 0 · · · zn

Il sistema viene fattorizzato in n sottosistemi indipendenti e quindi il movimento libero del sistema
è costituito semplicemente da un esponenziale di questa matrice che si determina molto facilmente
elevando a esponente gli autovalori che si trovano sulla diagonale.
 k 
z1 0 · · · 0
 0 zk · · · 0 
2 −1 k
..  x̂0 e x(k) = T AD T x0
k
x̂(k) = AD x̂0 =  . .. ..
 
.. . . .
0 0 · · · znk

Naturalmente se fossi interessato al movimento del sistema originario potrei determinarlo da questo,
ritrasformando, secondo la matrice T utilizzata per questo cambiamento di coordinate.
I movimenti zik , che appunto sono gli autovalori elevati alla k, vengono detti i nodi del sistema e a
seconda del valore di questi autovalori si possono avere diversi comportamenti.
Il caso degli autovalori multipli è più complesso da trattare, perché quando la matrice non è diagonaliz-
zabile, bisogna passare a una forma intermedia, la forma di Jordan, che è una matrice quasi diagonale
ma ha dei blocchi sulla diagonale che hanno dimensione pari alla molteplicità degli autovalori.
Nella figura sono riportati u diversi modi di funzionamento di un sistema discreto, a seconda che il
modulo dell’autovalore sia maggiore o minore di 1, quindi l’autovalore si trovi (ricordate che è un
numero complesso in generale) all’interno o all’esterno del cerchio di raggio unitario

In corrispondenza di ogni possibile valore dell’autovalore c’è tracciato un andamento, per esempio
• se l’autovalore è un numero reale positivo e minore di 1, quando lo elevate a diverse potenze, al
quadrato, alla terza, alla quarta, alla quinta potenza, avrete un numero che è sempre decrescente,
quindi l’andamento è un andamento di tipo decrescente ed esponenziale
186 LEZIONE 32. SISTEMI DINAMICI LINEARI A TEMPO DISCRETO

• se l’autovalore è minore di 1 ma reale e negativo, avrete un andamento analogo ma con delle


oscillazioni, perché, come ben sapete, quando l’elevate alla seconda potenza il segno è positivo,
quando lo elevate alla terza è di nuovo negativo, alla quarta positivo, etc. Quindi ogni passaggio
dell’esponente da pari a dispari c’è un cambiamento di segno e quindi l’andamento è di tipo
oscillatorio sopra e sotto l’asse orizzontale, ma con tendenza ovviamente a esaurire il valore del
movimento.
• ciò non accade se invece gli autovalori hanno modulo maggiore di 1, perché per esempio se
considerate il caso di un autovalore reale, positivo e in modo maggiore di 1, avrete un andamento
che è crescente esponenzialmente
• se considerate la stessa cosa per un autovalore reale, negativo e minore di meno 1, quindi un
modulo maggiore di 1, avrete un andamento che è oscillante, ancora una volta, si passa da valori
positivi a valori negativi ma l’andamento è divergente
Tutti gli altri casi sono tracciati su questa figura e possono essere analizzati più in dettaglio calcolando
il movimento relativo a ciascuno di questi casi separatamente.

32.3.2 Autovalore e costante di tempo dominante


Tra gli autovalori ce ne sarà normalmente uno che ha modulo maggiore di tutti gli altri e questo alla
lunga tende a influenzare il movimento in modo sempre più significativo

|zi | > |zj | ⇒ |zi |k  |zj |k


se |zi | > |zj | ∀j ⇒ xl (k) ≈ zik x0

Questo viene detto autovalore dominante, proprio perché il movimento tende ad assomigliare sempre
di più al movimento determinato da quell’autovalore.
Immaginate di avere a che fare con due autovalori che siano 0.1 e 2. Allora 0.1n → 0 mentre 2n → ∞.
Alla lunga il movimento è dominato da questo autovalore, quindi

xl (k) ∼ z k x0

la xl (k) movimento libero del sistema tende ad essere uguale all’autovalore dominante elevato all’espo-
nente, moltiplicato per il suo valore iniziale.
L’autovalore dominante determina anche la costante di tempo dominante che, come sapete, è quella
che dà un’idea della velocità con cui il sistema esaurisce il transitorio. Attenzione che essendo qui in
un sistema discreto, questa costante di tempo dominante non è l’inverso dell’autovalore, ma è l’inverso
del logaritmo del modulo dell’autovalore, naturalmente col segno cambiato
1
Tdom = −
log |zi |

E, come per il caso continuo, dopo quattro o cinque costanti di tempo dominante, si considera di solito
che il transitorio si sia esaurito e che quindi l’effetto dello stato iniziale sia sparito completamente

transitorio esaurito ≈ t > 4 ÷ 5 Tdom


Lezione 33

Equilibrio e stabilità

33.1 Modulo 1: Equilibrio


33.1.1 Caso non-lineare e invariante
Analizziamo ora le questione relative all’equilibrio e alla stabilità che, come abbiamo già visto nel caso
dei sistemi a tempo continuo, sono fondamentali per lo studio dei sistemi dinamici. Per calcolare l’equi-
librio di un sistema discreto dobbiamo imporre l’uguaglianza dello stato nel tempo, quindi scriveremo
delle equazioni algebriche del tipo
x̄ = f (x̄, ū)
ȳ = g(x̄, ū)
L’equilibrio può esistere soltanto in corrispondenza di un ingresso costante, quindi ū rappresenta
appunto l’ingresso costante.
L’uscita di equilibrio (ci concentriamo sul caso dei sistemi invarianti, anche se magari non lineari) è
ȳ calcolabile tramiet la solita trasformazione d’uscita g. Per risolvere questo sistema di equazioni
algebriche di solito occorre utilizzare dei metodi di calcolo iterativi, per esempio il metodo di Newton,
delle tangenti, che ci consente di determinare gli zeri di questa funzione f (x̄, ū) − x̄.

Esempio 33.1 (modello preda-predatore)


Vediamo un esempio di problema non lineare, detto preda-predatore. Ci sono due specie animali, quella che
chiamiamo x1 (preda) e quella che chiamiamo x2 (i predatori). Di solito questi modelli vengono utilizzati
prendendo come variabili di stato la densità di prede e di predatori per unità di superficie (per esempio per
chilometro quadrato), ma per questo semplice esercizio possiamo anche pensare che rappresenti il numero
di individui in una certa regione.
L’evoluzione della popolazione delle prede è

x1 (k + 1) = x1 (k) + ax1 (k) − bx1 (k)2 − cx1 (k)x2 (k) + u(k)

nati morti predazione


Il numero di individui della classe prede all’istante k + 1 è dato da

 gli individui che c’erano precedentemente


 più una certa quantità di nuovi nati dalla popolazione (a è un coefficiente di natalità)
 meno una certa quantità di individui che sono morti. Questi ultimi dipendono da x1 (k)2 , perché di
solito la mortalità dipende fortemente dalla densità degli individui perché l’ambiente e le sue risorse
si esauriscono. Il termine x1 (k)2 fa sì che la popolazione non possa espandersi all’infinito, invece man
mano che la popolazione cresce la mortalità diventa sempre più importante.

187
188 LEZIONE 33. EQUILIBRIO E STABILITÀ

 E poi c’è un termine del tipo meno −cx1 (k)x2 (k) che rappresenta per la predazione, cioè il fatto
che quando le prede sono x1 (k) molto numerose, e quando i predatori x2 (k) sono molto numerosi,
questi si incontrano facilmente e c è un coefficiente appunto di predazione che dice che ogni volta
che predatori e prede si incontrano ciò porta a una diminuzione del numero di prede. −cx1 (k)x2 (k)
rappresenta il numero di incontri che vanno a finire male per le prede.

L’evoluzione della popolazione dei predatori è analoga

x2 (k + 1) = x2 (k) − dx2 (k) + ex1 (k)x2 (k)

la quantità di predatori all’istante k + 1 è uguale a

 ai predatori che c’erano precedentemente all’istante k


 meno quelli che sono morti, di solito il termine viene considerato proporzionale alla popolazione
presente
 più un termine ex1 (k)x2 (k) che rappresenta ancora l’effetto della predazione. Non è vero che se
un predatore mangia una preda, quindi ad esempio il termine −cx1 (k)x2 (k) nella prima equazione
sia pari ad 1, allo stesso modo possiamo dire che cresca un predatore nella seconda equazione: i
coefficienti c ed e sono di solito molto diversi e in particolare e  c, perché l’aumento di biomassa
che c’è nella specie predatore è molto più ridotto della diminuzione di biomassa che c’è nella specie
preda.

Come facciamo a calcolare gli equilibri? Come già detto, imponiamo che x1 e x2 siano costanti e con-
sideriamo per esempio che l’immigrazione e l’emigrazione delle prede sia nulla, quindi il termine u(k) ≡
0.
Le equazioni da risolvere sono

x̄1 = x̄1 + ax̄1 − bx̄21 − cx̄1 x̄2 x̄1 (a − bx̄1 − cx̄2 ) = 0


x̄2 = x̄2 − dx̄2 + ex̄1 x̄2 x̄2 (d − ex̄1 ) = 0

Si ottengono 3 equilibri
a d ae − bd
x̄1 = x̄2 = 0 x̄1 = , x̄2 = 0 x̄1 = , x̄2 =
b e ce

 Un equilibrio è il cosiddetto equilibrio banale, x̄1 = x̄2 = 0 in cui non esistono nè prede nè predatori.
 Un altro equilibrio già più interessante è quello in cui le prede si fissano al valore x1 = a/b e non
ci sono predatori. a/b rappresenta la capacità portante dell’ambiente, cioè il numero di prede che
possono sopravvivere in quest’ambiente se non ci sono predatori.
 Il terzo equilibrio, che è il più interessante di tutti e che è l’unico che prevede la coesistenza delle
due specieha un valore positivo soltanto se

ac > bd

altrimenti l’equilibrio esiste dal punto di vista matematico ma è negativo e questo è scarsamente
interessante dal punto di vista biologico se questo modello deve descrivere un ecosistema.

33.1.2 Caso lineare e invariante


Nel caso lineare e invariante per trovare gli equilibri dobbiamo risolvere invece un sistema di equazioni
lineare

x̄ = Ax̄ + B ū (I − A)x̄ = B ū

ȳ = C x̄ + Dū ȳ = C x̄ + Dū

che quindi possono essere risolte tute le volte che det(I − A) 6= 0, cioè I − A è non singolare, ovvero
gli autovalori di A sono diversi da 1. In questo caso risolviamo il sistema di equazioni e la soluzione
33.1. EQUILIBRIO 189

che ci fornisce è

x̄ = (I − A)−1 B ū ȳ = D + C(I − A)−1 B ū




Nel caso di sistema lineare ovviamente la relazione che c’è tra l’ingresso e l’uscita all’equilibrio è una
relazione di tipo lineare
Nei sistemi con un solo ingresso e una sola uscita (SISO) si usa dare di questa relazione lineare
un’espressione compatta in termini in scalari, che è il guadagno

µ = guadagno = d + c(I − A)−1 b

Naturalmente se la matrice I − A non è invertibile, quindi se gli autovalori di I − A non sono diversi da
0, e la soluzione di questo sistema non può essere trovata, significa che non ci sono stati di equilibrio
e naturalmente corrispondentemente non ci sono uscite di equilibrio, per cui non ha nemmeno senso
parlare di guadagno del sistema, che appunto mette in relazione l’ingresso con l’uscita all’equilibrio.
Ricordiamo inoltre che essendo questo un sistema lineare, le soluzione che può dare sono semplicemente
o 0, nel caso che abbiamo appena detto, in cui la matrice I − A non sia invertibile, oppure infinite,
anche in questo caso significa che la matrice A non invertibile, oppure una soluzione unica, il che vuol
dire che ricaviamo un unico valore di tutte le componenti del vettore di stato x, che rappresenta l’unico
stato di equilibrio del sistema.

Esempio 33.2
Consideriamo un esempio con una matrice 2 × 2, quindi un sistema del secondo ordine, dato da
   
0 f 1
A= b= ū = 1
1 0 1

La soluzione formale è data da


 −1  
−1 1 −f 1
x̄ = (I − A) bū = ·1
−1 1 1

La matrice da invertire ha determinante diverso da 0 solo per f 6= 1 e in questo caso esiste un unico stato
equilibrio
 
   f +1
1 1 f 1 1 − f
x̄ = ·1= 
1−f 1 1 1  2 
1−f
Se f = 1 è invece il contrario, il determinante di I − A è uguale a 0 e quindi non esiste un equilibrio di
questo sistema. Se volete vedere la cosa dal punto di vista fisico questa è una matrice analoga a quelle che
abbiamo visto per il modello di Leslie, in cui f rappresenta la fertilità della popolazione e u la sopravvivenza
della prima classe, e ci sono soltanto due classi di età. Quando f = 1 e l’ingresso è costante vuol dire che la
popolazione continua a generare nuovi componenti: la popolazione con questo ingresso costante non andrà
mai all’equilibrio ma diventerà sempre più numerosa nel tempo.
Anche nel caso f > 1 esiste un equilibrio ma in quel caso questo equilibrio è negativo e quindi non ha
nessuna interpretazione dal punto di vista biologico se immaginiamo che questo sia un modello che descrive
la dinamica di una popolazione.

33.1.3 Stabilità dell’equilibrio


Come abbiamo già visto per il caso di sistemi continui, anche qui possiamo definire alcune caratteristiche
dell’equilibrio, che non è nient’altro che un particolare movimento con x(k) e y(k) constanti.
Allora l’equilibrio si dice
190 LEZIONE 33. EQUILIBRIO E STABILITÀ

asintoticamente stabile se partendo da stati iniziali prossimi a questo stato di equilibrio si ritorna
verso l’equilibrio stesso
instabile se è possibile trovare almeno uno stato iniziale in ogni nell’intorno dell’equilibrio che fa sì
che il movimento si allontani nel tempo dall’equilibrio
semplicemente stabile se possiamo percorrere a partire da uno stato iniziale nell’intorno dello stato
di equilibrio un movimento che non si allontana né si avvicina all’equilibrio, quindi si mantiene
sempre entro una distanza fissata.
Quello che faremo ora è di vedere come queste diverse proprietà dello stato di equilibrio sono desumibili
dalla struttura delle matrici del sistema lineare corrispondente allo stato di equilibrio.

33.2 Modulo 2: Stabilità


33.2.1 Il comportamento nell’intorno dell’equilibrio è una proprietà del sistema
Sia x̄ uno stato di equilibrio corrispondente a un ingresso costante ū e come al solito per analizza-
re il comportamento nel sistema nell’intorno dell’equilibrio conviene traslare l’origine del sistema di
coordinate in corrispondenza di questo stato di equilibrio

x̃(k) = x̄ + δx(k)

allora all’istante k + 1

δx(k + 1) = x̃(k + 1) − x̄ = Ax̃(k) + B ū − Ax̄ − B ū = A(x̃(k) − x̄) = Aδx(k)

Questo vuol dire che il movimento del sistema nell’intorno dello stato di equilibrio è una proprietà
esclusivamente della matrice A, quindi è una proprietà del sistema.
Per capire cosa succede nell’intorno dello stato di equilibrio basta considerare il movimento libero del
sistema stesso. Da notare che, come già visto per il caso continuo, la posizione dello stato di equilibrio
x̄ dipende dall’ingresso u e dipende dal valore della matrice B, oltre che dalla matrice A. Invece il
comportamento nell’intorno dello stato di equilibrio stesso dipende unicamente dalla matrice A. Quindi
al variare dell’ingresso il sistema si porterà, se possibile, vicino a stati di equilibrio diversi ma il modo
con cui si avvicinerà oppure si allontanerà da questo stati di equilibrio sarà sempre lo stesso, perché è
una proprietà della matrice A.

33.2.2 Matrice triangolare


Vediamo come leggere questa proprietà della matrice A e per farlo partiamo da un caso particolare,
quello di matrice A triangolare
 
a11 0 . . . 0
 a21 a22 . . . 0 
A= . .. 
 
 .. . 
an1 an2 . . . ann

Consideramo il sistema equazione per equazione. La prima equazione è

x1 (k + 1) = a11 x1 (k)

quindi la dinamica di x1 (k) dipende soltano da sè stessa. Si vede allora facilmente per induzione che

11 x1 (0) → 0 per k → ∞ ⇐⇒ |a11 | < 1


x1 (k + 1) = ak+1

Ragionando analogamente per la variabile x2 vediamo che il suo movimento è determinato attraverso
il coefficiente a22 dal valore della variabile x2 stessa e, attraverso il coefficiente a21 dal valore della
33.2. STABILITÀ 191

variabile x1 che abbiamo già esaminato prima

x2 (k + 1) = a21 x1 (k) + a22 x2 (k)


= a21 a11 x1 (k − 1) + a21 a22 x1 (k − 1) + a222 x2 (k − 1)
= a21 a211 x1 (k − 2) + a21 a22 a11 x1 (k − 2) + a21 a222 x1 (k − 2) + a322 x2 (k − 2)
→ 0 per k → ∞ ⇐⇒ |a11 | < 1 e |a22 | < 1

Analogo ragionamento possiamo fare per tutte le componenti del vettore di stato e troviamo così che,
se tutti i coefficienti che stanno sulla diagonale della matrice sono in modulo minore di 1, il movimento
libero tende a 0.

Naturalmente nel caso triangolare i coefficienti che stanno sulla diagonale sono proprio gli autovalori
della matrice A. Nel caso generale si arriva comunque alla seguente conclusione

Condizione necessaria e sufficiente perchè il movimento libero tenda ad annullarsi e quindi lo stato di
equilibrio sia asintoticamente stabile, è che tutti gli autovalori di A siano in modulo minore di 1.

Gli autovalori zi della matrice A, come ricorderete, sono le radici dell’equazione algebrica

det(zI − A) = 0

che è un’equazione del tipo

z n + p1 z n−1 + p2 z n−2 + . . . + pn−1 z + pn = 0

Ricordate che questa è un’equazione algebrica di ordine n, quindi in generale ha n radici reali o
complesse, naturalmente se sono complesse sono complesse e coniugate.

Quindi, riassumendo, si hanno i seguenti casi per la stabilità dell’equilibrio di un sistema lineare

1) |zi | < 1∀i ⇔ asintotica stabilità

2) ∃ un autovalore zi : |zi | > 1 ⇔ instabilità

3) |zi | < 1∀i 6= j, ∃ un autovalore |zj | = 1 con molteplicità unitaria ⇔ ( semplice ) stabilità

4) |zi | < 1∀i 6= j, ∃ un autovalore |zj | = 1 con molteplicità > 1 ⇒ occorrono ulteriori indagini sul
polinomio caratteristico per stabilire se il sistema è semplicemente stabile oppure instabile

Vi ricordo che comunque il caso di semplice stabilità non è tanto piacevole da avere in condizioni di
lavoro normali, perché se un sistema non è asintoticamente stabile ma solo semplicemente stabile vuol
dire che è sull’orlo dell’instabilità. Quindi basta che ci sia una piccola perturbazione che ne sposta nei
valori o addirittura è sufficiente non aver calcolato esattamente gli autovalori e ci ritroviamo in una
condizione di instabilità che certamente è una cosa spiacevole da avere nei sistemi reali. Come sapete,
instabilità corrisponde al fatto che il sistema prima o poi esplode, cioè avrà dei valori infiniti delle
variabili di stato e quindi questo non è fisicamente possibile.

33.2.3 Autovalori nel cerchio di raggio unitario


In generale gli autovalori essere dei numeri complessi

zi = ai + jbi

quindi un generico autovalore zi sarà costituito da una parte reale ai più una parte immaginaria bi e
quindi avrà un certo modulo e un certo argomento come numero complesso
192 LEZIONE 33. EQUILIBRIO E STABILITÀ

q
ρ = |zi | = a2i + b2i
 
bi
ϕ = arg (ai + jbi ) = arctg
ai

Ciascun autovalore può essere rappresentato da un vettore nel piano complesso: dire che tutti gli
autovalori devono essere in modulo minori di 1 implica che tutti i vettori che li rappresentano devono
giacere nel cerchio di raggio unitario sul piano di Gauss.
Perché il sistema sia asintoticamente stabile gli autovalori, che come sapete si chiamano anche poli,
devono essere tutti contenuti entro questo cerchio. Se anche uno solo degli autovalori è fuori da questo
cerchio siamo in condizioni di instabilità.

33.2.4 Stabilità dei sistemi non lineari via linearizzazione


Per quanto riguarda i sistemi non lineari, possiamo riassumere le condizioni che si ricavano dalla
linearizzazione e sono le seguenti
 matrice sistema linearizzato: |zi | < 1∀i ⇒ equilibrio asintoticamente stabile
 matrice sistema linearizzato: ∃ |zi | > 1 ⇒ equilibrio instabile
 altri casi ⇒ impossibile trarre conclusioni (servono i termini di ordine superiore al primo)

33.3 Modulo 3: Criteri di stabilità ed esempi


Vediamo due esempi di utilizzo del metodo degli autovalori per analizzare la stabilità di due sistemi
dinamici.

Esempio 33.3 (Fibonacci)


Il primo esempio è, come vedete, molto recente, viene da un libro di un matematico pisano, Fibonacci, del
1202. Il libro si chiamava “Algebra et Almuchabala”.
È molto famoso perché, come vedremo, genera una serie numerica che poi si ritrova in diverse altre appli-
cazioni, in particolare vedrete probabilmente nel corso di Ricerca Operativa dei metodi che sono basati su
questo risultato.
La matrice dinamica e la rappresentazione del sistema dinamico sono

x1 (k + 1) = x2 (k)
 
0 1
A= ⇒
1 1 x2 (k + 1) = x1 (k) + x2 (k)

Il vettore c e la corrispondente trasformazione di uscita sono


 
c= 1 1 ⇒ y(k) = x1 (k) + x2 (k)

Il determinante di zI − A è dato da

z −1
det(zI − A) = = z2 − z − 1 = 0
−1 z−1
33.3. CRITERI DI STABILITÀ ED ESEMPI 193

Le radici del polinomio caratteristico sono



1 ± 5 1.62 > 1
z= =
2 0.62

Poichè uno degli autovalori è in modulo maggiore di 1, il sistema risulta complessivamente instabile. Quindi,
partendo dalla condizione iniziale x1 (0) = x2 (0) = 1 si ottiene la successione

y(k) = 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, . . . numeri di Fibonacci (ognuno è la somma dei due precedenti)

Esempio 33.4 (Metodo di Seidel)


É un metodo numerico per la risoluzione di un sistema di equazioni algebriche e lineari, quindi del tipo

Ax = b ⇒ se det(A) 6= 0 : x∗ = A−1 b

Naturalmente l’utilizzo della definizione, cioè il calcolo di A−1 potrebbe essere problematico in particolare
se la matrice A è molto grande sparsa, e quindi si preferisce utilizzare anche per questo genere di problemi
dei metodi iterativi.
Vediamone qui uno molto famoso dovuto a Seidel, basato sull’idea di scomporre la matrice A nella somma
di tre matrici

• una matrice L triangolare inferiore che ha tutti gli elementi di A sotto la diagonale
• una matrice diagonale D contenente la sola diagonale di A
• una matrice triangolare superiore U che ha tutti gli elementi di A sopra la diagonale

A=L+D+U
(L + D)x + U x = b
(L + D)x(k + 1) = −U x(k) + b
Possiamo riscrivere l’espressione nella forma di un sistema dinamico a tempo discreto come

x(k + 1) = −(L + D)−1 U x(k) + (L + D)−1 b

Teniamo quindi in questo modo un’espressione ricorsiva che ci consente, a partire da una certa ipotesi
iniziale sul risultato del nostro sistema, cioè a partire da un certo x(0) che rappresenti appunto un primo
tentativo di soluzione del problema Ax = b, di calcolare le x(k) in modo ricorsivo (iterativo), e se le cose
sono ben messe ovviamente approssimeremo la soluzione corretta del problema.
Che cosa intendiamo per le cose sono bene messe? Intendiamo proprio che il metodo converge all’equilibrio
x∗ , soluzione di Ax∗ = b, se e solo se gli autovalori di −(L + D)−1 U (matrice n × n) sono in modulo < 1.
Vediamo come i metodi numerici di calcolo spesso possono essere interpretati a loro volta come dei sistemi
dinamici, non come dei sistemi che evolvono precisamente nel tempo, ma in cui l’avanzare del metodo
sia scandito dal numero di iterazioni che si compiono. Quindi k in questo caso invece che rappresentare
propriamente il tempo rappresenta il passo di iterazione dell’algoritmo.

33.3.1 Criteri di stabilità basati sul polinomio caratteristico

Come abbiamo già visto anche nel caso di sistemi continui, il calcolo degli autovalori non è sempre
agevole, in particolare quando le matrici sono di ordine elevato, perché ciò implica la soluzione di
un’equazione algebrica polinomiale di ordine n in generale e quindi la soluzione di un problema tutt’altro
che semplice.

È quindi interessante, anche nel caso discreto trovare dei criteri che consentano di determinare se gli
autovalori sono in modulo minore di 1, cioè se il sistema è asintoticamente stabile, senza calcolarli
esplicitamente.
194 LEZIONE 33. EQUILIBRIO E STABILITÀ

Trasformazione cerchio-semipiano sinistro Un primo modo di arrivare a questo risultato è quello


di ricondurre il sistema a tempo discreto a un sistema a tempo continuo, in particolare il polinomio
caratteristico del sistema a tempo discreto a un polinomio caratteristico su cui si possono applicare le
regole che abbiamo visto per i sistemi continui.
In particolare un metodo è quello di applicare la trasformazione bilineare
1+s
z=
1−s
nel polinomio caratteristico del sistema a tempo discreto, ottenendo
1+s n 1 + s n−1 1 + s n−2
       
1+s
+ p1 + p2 + . . . + pn−1 + pn = 0
1−s 1−s 1−s 1−s
le cui radici sono tutte a parte reale negativa se e solo se tutte le radici del polinomio caratteristico
originario sono in modulo < 1.
C’è un caso in cui questa operazione non è possibile, corrispondente al valore di s = 1 corrispondente
a z = 1. In questo caso facendo i conti si vede che il polinomio che si ottiene dalla sostituzione non è
di grado n ma è di grado n − 1. Ciò implica l’esistenza di una radice del tipo zeta uguale a meno 1 e
quindi implica il fatto che il sistema non era asintoticamente stabile già quello originario.
Quindi se applicando la trasformazione bilineare non si ottiene un polinomio di ordine n, questo è
subito un segnale che il sistema originario non era asintoticamente stabile.

Altri criteri di stabilità asintotica C’è poi la possibilità di usare un certo numero di criteri
che sono specifici per i sistemi discreti, che quindi si basano sulle proprietà del polinomio per capire
direttamente se le sue radici sono in modulo minore di 1.
Criterio di Jury Simile al criterio di Routh, fornisce una condizione necessaria e sufficiente per la
stabilità asintotica del sistema discreto
Condizione necessaria 1 |pn | < 1, condizione sul modulo del termine noto del polinomio caratteri-
stico (monico).
Pn
Condizione necessaria 2 i=0 pi > 0
Pn
Condizione sufficiente 1 i=1 |pi | < 1

Vi ricordo che le condizioni necessarie per l’asintotica stabilità possono essere lette al contrario come
condizioni sufficienti per l’instabilità, quindi se vengono negate queste condizioni si può immediata-
mente dedurre l’instabilità del sistema.

Criteri di stabilità per sistemi del secondo ordine Per i sistemi del secondo ordine ancora una
volta c’è qualche regola particolare. Vale in generale che la traccia di una matrice è la somma degli
autovalori della matrice stessa e che il determinante della matrice è il prodotto degli autovalori
X Y
tr(A) = λi det A = λi
i i

Se gli autovalori sono soltanto due perché il sistema è del secondo ordine, queste due condizioni sono
sufficienti a determinare come sono fatti questi autovalori.
Nel caso dei sistemi del secondo ordine discreti una condizione necessaria sufficiente per l’asintotica
stabilità è
|det A| < 1 |tr A| < 1 + det A
Quindi in particolare per esempio su un sistema del secondo ordine una condizione sufficiente per
l’instabilità è traccia maggiore di 2, perché, come vedete, il determinante di a deve essere minore di 1
per l’asintotica stabilità.
Lezione 34

Trasformata Zeta

34.1 Modulo 1: Definizione e proprietà


Oggi parliamo della trasformata Zeta, che è un’altra trasformata come quella di Laplace che avete visto
per i sistemi continui e che fa passare dal campo delle funzioni reali di variabile reale, in particolare
per noi adesso le funzioni f (k) con k intero, al campo delle funzioni delle complesse di una variabile
complessa, che chiameremo F (z), dove z è una variabile complessa

Questa trasformata è dovuta a Riemann, un matematico tedesco dell’Ottocento, molto importante


anche per la matematica italiana perché venne in Italia malato di tubercolosi, alla ricerca di un clima
migliore. In Italia incontrò i matematici italiani, lasciando un’eredità abbastanza importante anche
nella matematica italiana. É stato però meno fortunato di Laplace perché il suo nome non è rimasto
associato alla trasformata, cosa che invece è accaduta per il suo collega. Questa trasformata si chiama
trasformata Zeta dal nome della variabile che di solito si utilizza per la trasformazione, appunto la
variabile complessa z.

La trasformata Zeta è definita dalla serie



X
F (z) = Z[f (k)] = f (0) + f (1)z −1 + f (2)z −2 + · · · = f (k)z −k
k=0

Questa trasformazione è del tutto analoga alla trasformata di Laplace.Ricorderete che la trasformata
di Laplace invece della sommatoria ha un integrale e invece di z −k c’è e−st , ma sostanzialmente si
tratta di una trasformazione del tutto analoga, solo che qui siamo nel discreto e quindi abbiamo una
serie invece che una funzione continua.

Definizione 34.1 (Raggio di convergenza)


Esistono certamente dei valori del modulo di z abbastanza grandi per cui la serie converga e il più
piccolo di questi valori, lo chiamiamo ρ, è detto il raggio di convergenza della serie

ρ = min |z| : F (z) è convergente

195
196 LEZIONE 34. TRASFORMATA ZETA

Tuttavia noi non ci occuperemo della questione: tutte le volte che avremo bisogno di una trasformazione
immagineremo che esistono dei valori di z tali che la serie converga, quindi la trasformazione sia
possibile.
Esiste anche in questo caso un’antitrasformata, data da
I
1
f (k) = F (z)z k−1 dz
2πj
dove l’integrale va calcolato lungo una circonferenza di raggio maggiore di ρ in senso antiorario. Tut-
tavia noi non utilizzeremo mai questa espressione analitica dell’antitrasformazione. Faremo invece uso
di metodi algebrici molto simili a quelli visti per calcolare l’antitrasformata di Laplace.
Le trasformate che utilizzeremo sono tutte delle funzioni razionali
N (z)
F (z) =
D(z)
dove
 Le radici di N (z) ovveri i valori di zi tali che N (zi ) = 0 sono dette zeri della trasformata F (z)
 Le radici di D(z) ovveri i valori di zi tali che D(zi ) = 0 sono dette poli della trasformata F (z)
 Nel loro insieme zeri e poli vengono chiamati singolarità della trasformata.
Se la funzione f (k) è una funzione reale i coefficienti del numeratore N (z) e del denominatore D(z)
sono tutti reali e

ρ = max |pi | pi poli di F (z)

quindi F (z) è definita per tutti gli zeta che sono diversi dai poli.
In sintesi nei casi di nostro interesse F (z) è rapporto di polinomi del tipo

an z n + an−1 z n−1 + . . .
F (z) =
bn z n + bn−1 z n−1 + . . .

Esempio 34.1 (Trasformata dell’esponenziale)


A titolo di esempio calcoliamo la trasformazione di un esponenziale, cioè di una funzione

f (k) = ak

usando la definizione della trasformazione


+∞ +∞
X X k
F (z) = ak z −k = az −1
k=0 k=0

Sappiamo che sotto condizioni opportune (|z| > |a|) la serie è convergente a
1 z
F (z) = =
1 − az −1 z−a
Incontreremo molte volte nel seguito questa trasformata.

La trasformata Zeta, come la trasformata di Laplace, gode di una certa serie di proprietà molto
importanti che utilizzeremo spesso nel seguito di questa lezione e anche nella prossima. Le principali
proprietà sono
Linearità
f (k), g(k) ∈ R; ∀α, β ∈ C
Z[αf (k) + βg(k)] = αZ[f (k)] + βZ[g(k)] = αF (z) + βG(z)
34.1. DEFINIZIONE E PROPRIETÀ 197

ad esempio, prendendo f (k) = ak e g(k) = bk


h i 2z 10z
Z 2ak + 10bk = +
z−a z−b

Trasformata dell’anticipo Definiamo l’anticipo di una funzione f (k) come f + (k) = f (k + 1). Ri-
cordiamo che qui abbiamo a che fare con delle serie numeriche, quindi vuol dire spostare tutta
la serie in avanti di una posizione

Z[f + (k)] = Z[f (k + 1)] = f (1) + f (2)z −1 + f (3)z −2 + . . . = zF (z) − zf (0)

Quindi la moltiplicazione per z equivale ad anticipare la f (k), o se preferite una traslazione nel
tempo in avanti di una posizione equivale nel dominio delle trasformate a una moltiplicazione per
z. Bisogna ricordare di includere il termine iniziale −zf (0), ma capiterà spesso nell’applicazione
della trasformata che sia f (0) = 0 per cui tale termine non sarà presente.
Questo formula si può generalizzare al caso in cui l’anticipo non sia di un solo passo ma in
generale di m passi. Se definiamo fˆ(k) = f (k + m) con m ≥ 1 allora
m−1
X
Z[fˆ(k)] = z m F (z) − z m f (k)z −k
k=0

Trasformazione del ritardo Definiamo il ritardo di una funzione f (k) come f − (k) = f (k − 1).
Dobbiamo in questo caso anche presupporre il valore di f − (0) = f (−1) = 0. Allora la trasformata
Zeta del ritardo è
1
Z f − (k) = Z[f (k − 1)] = f (0)z −1 + f (1)z −2 + . . . = F (z)
 
z
Ricordate che moltiplicare per s nel dominio complesso per i sistemi continui significa derivare (la
funzione nel tempo) e invece dividere per s significava integrare. Qui abbiamo che l’anticipo si fa
moltiplicando per z nel dominio delle trasformate e il ritardo lo si fa dividendo per z nel dominio
delle trasformate.
Prodotto di convoluzione Il prodotto di convoluzione gode della proprietà commutativa
+∞
X +∞
X
f1 (k) ∗ f2 (k) = f1 (i)f2 (k − i) = f1 (k − i)f2 (i) = f2 (k) ∗ f1 (k)
i=−∞ i=−∞

Il prodotto di convoluzione nel dominio del tempo corrisponde al prodotto nel dominio delle
trasformate

Z [f1 (k) ∗ f2 (k)] = F1 (z)F2 (z)

Teoremi sui limiti Le ultime due proprietà importanti che ci serviranno per analizzare poi il com-
portamento dei sistemi a tempo discreto sono l’analogo (ancora una volta) dei Teoremi del Valore
iniziale e del Valore Finale della trasformata di Laplace.
L’analogo del teorema del valore iniziale si scrive nel campo delle trasformate Zeta come

f (0) = lim F (z)


z→∞

Il teorema del valore finale è invece completamente analogo a quello valido per la trasformata di
Laplace

lim f (k) = lim (z − 1)F (z)


k→∞ z→1
198 LEZIONE 34. TRASFORMATA ZETA

L’unica differenza rispetto all’analogo teorema per la trasformata di Laplace è che la F (z) viene
moltiplicata per z − 1 anzichè per z.
Naturalmente perché questo teorema possa essere applicato bisogna essere sicuri che il limite per
k → ∞ esista finito e quindi significa che dobbiamo essere sicuri che (supponendo che la F (z)
rappresenti l’uscita di un sistema dinamico) f (k) converga a un certo valore asintoticamente.
Questo significa che il nostro sistema dinamico è asintoticamente stabile e che l’ingresso è costante,
altrimenti questo teorema del valore finale non si può applicare.
Qui vedete che il ruolo che veniva giuocato dallo 0 nel caso dei sistemi continui viene giocato
dall’1 e difatti vi ricordo che l’analogo teorema nel caso della trasformata di Laplace era
f + (0) = lim sF (s)
s→0

Osservazione 34.2 (Altre proprietà della trasformata Zeta)


Nel seguito faremo uso delle seguenti ulteriori proprietà

Traslazione nel dominio di z (traslazione complessa) Siano f (k), k ∈ Z+ e F (z) una funzione a tempo
discreto e la sua trasformata. Allora la funzione ak f (k) ha trasformata
z 
Z[ak f (k)] = F
a
Infatti

X ∞
X
−k
k
Z[a f (k)] = k
a f (k)z = f (k)(z/a)−k = F (z/a)
k=0 k=0

Derivazione rispetto a z Siano f (k), k ∈ Z+ e F (z) una funzione a tempo discreto e la sua trasformata.
Allora la funzione kf (k) ha trasformata
d
Z[kf (k)] = −z F (z)
dz
Infatti

X ∞
X
Z[kf (k)] = f (k)kz −k = −z f (k)(−k)z −k−1 =
k=0 k=0
∞ ∞
X d −k d X d
= −z f (k) z = −z f (k)z −k = −z F (z)
dz dz dz
k=0 k=0

34.3 Modulo 2: Esempi di trasformate


Vediamo alcuni esempi di trasformate Zeta, considerando alcuni ingressi canonici che poi utilizzeremo
come per studiare la risposta dei sistemi a tempo discreto.

Esempio 34.2 (Trasformata dell’impulso)


Definiamo l’impulso
(
∗ 1 se k = 0
imp (k) =
0 se k 6= 0

dove l’asterisco ∗ viene usato per distingure la funzione a tempo discreto dall’analogo in tempo continuo.
34.3. ESEMPI DI TRASFORMATE 199

Usando la definizione di trasformata Zeta

Z[imp∗ (k)] = imp∗ (0) + imp∗ (1)z −1 + imp∗ (2)z −2 + · · · = imp∗ (0) = 1

Esempio 34.3 (Trasformata dello scalino)


Lo scalino a tempo discreto è definito come
(
∗ 0 per k < 0
sca (k) =
1 per k ≥ 0

ed è rappresentato in figura

dove naturalmente
k
X
sca∗ (k) = imp∗ (i)
i=−∞

Usando la definizione di trasformata Zeta


z
Z [sca∗ (k)] = 1 + 1z −1 + 1z −2 + . . . =
z−1
Lo stesso risultato si poteva ottenere facilmente perché già abbiamo visto la trasformata dell’esponenziale.
Allora è chiaro che lo scalino coincide, per k ≥ 0 con l’eponenziale di base 1.
Si osservi che la trasformata dello scalino nel caso discreto ha una forma diversa da quella nel caso continuo,
che era data da 1s .

Esempio 34.4 (Trasformata della rampa)


La rampa a tempo discreto è definita come
(
∗ 0 per k < 0
sca (k) =
k per k ≥ 0

ed è rappresentato in figura
200 LEZIONE 34. TRASFORMATA ZETA

dove naturalmente
k−1
X
ram∗ (k) = sca∗ (i) = k sca∗ (k)
i=−∞

Usando la definizione di trasformata Zeta


z
Z [ram∗ (k)] = 0 + 1z −1 + 2z −2 + . . . =
(z − 1)2

Se avessimo avuto la parabola, che è sommatoria della rampa, così come il continuo era l’integrale della
rampa, avremmo avuto
z
Z [par∗ (k)] = 0 + 1z −1 + 22 z −2 + . . . =
(z − 1)3

e così via per potenze di ordine superiore sarebbe aumentato l’esponente z − 1 al denominatore.

34.4 Modulo 3: Antitrasformazione


Vediamo come si può procedere all’antitrasformazione della F (z). Vi ricordo che nei casi di nostro
interesse F (z) è una trasformata razionale con un numeratore e un denominatore a coefficienti reali

N (z)
F (z) =
D(z)

Ci conviene scrivere il denominatore mettendo in evidenza z perché tutte le trasformate interessanti


che abbiamo appena visto hanno z al numeratore e quindi è conveniente tenerne direttamente conto
m
Y
zD(z) = (z − pi )ni pi = poli ni = mlteplicità dei poli
i=0

Allora possiamo scrivere


i m n
zN (z) XX Pih
F (z) = Qm ni = z
i=0 (z − pi ) (z − pi )h
i=0 h=1

dove i coefficienti Pih sono detti residui. Naturalmente siccome abbiamo messo in evidenza una zeta
poi avremo una sommatoria di funzioni del tipo

zPih
(z − pi )h

Questo ci consentirà di procedere rapidamente all’antitrasformazione.


L’operazione di determinazione dei coefficienti Pih è puramente algebrica, e si effettua imponento
l’eguaglianza dei termini dello stesso grado tra N (z) e quelli che escono dall’altra parte di questa
sommatoria. Tutto ciò è basato sulla proprietà di linearità della trasformazione Zeta, perché potremmo
antitrasformare ciascuno dei termini della sommatoria e ottenere la antitrasformata complessiva come
somma di tutti i termini antitrasformati.

34.4.1 Metodo di Heaviside


Utilizziamo il metodo di Heaviside, che è identico a quello già visto a proposito della trasformata di
Laplace. Ad esempio data
 
P11 P21 P22
F (z) = z + + + ...
z − p1 z − p2 (z − p2 )2
34.4. ANTITRASFORMAZIONE 201

L’unico lavoro importante da fare è determinare il valore dei coefficienti al numeratore e poi antitra-
sformare i singoli termini
     
−1 zP11 −1 zP21 −1 zP22
f (k) = Z +Z +Z + ... =
z − p1 z − p2 (z − p2 )2
P22 k
= P11 pk1 sca∗ (k) + P21 pk2 sca∗ (k) + p ram∗ (k) + . . .
p2 2

Vedete che in questa autotrasformazione noi conserviamo, ovviamente per linearità, il coefficiente che
abbiamo determinato al numeratore.
Osservazione 34.5
L’ultimo termine si ricava come usando la proprietà di traslazione rispetto a z notando che

(z/a) z
Z[ak ram∗ (k)] = 2
=a
[(z/a) − 1] (z − a)2

e quindi, per linearità


 
z
ak ram∗ (k) = aZ −1
(z − a)2

Vediamo subito un esempio.

Esempio 34.5
Consideriamo

3z 3z
F (z) = =
z2 + 3z + 2 (z + 1)(z + 2)

Poniamo
F (z) 3 P11 P21 P11 (z + 2) + P21 (z + 1)
= 2 = + =
z z + 3z + 2 z+1 z+2 (z + 1)(z + 2)

Si ricava
P11 z + P21 z = 0 ⇒ P11 + P21 = 0
2P11 + P21 = 3 da cui P11 = 3 e P21 = −3

e quindi
   
−1 3z −1 −3z
f (k) = Z +Z = 3(−1)k sca∗ (k) − 3 · (−2)k sca∗ (k)
z+1 z+2

34.5.1 Metodo della lunga divisione


Esiste un altro metodo algebrico chiamato della lunga divisione, che ci consente di determinare i valori
dell’antitrasformata F (k) ma non la sua espressione analitica.
Per determinare questi valori possiamo procedere dividendo il polinomio al numeratore della trasfor-
mata per il polinomio al denominatore

N (z) a0 z n + a1 z n−1 + a2 z n−2 + . . . + an


F (z) = =
D(z) b0 z n + b1 z n−1 + b2 z n−2 + . . . + bn

otteniamo in questa maniera un risultato che è del tipo

F (z) = c0 + c1 z −1 + c2 z −2 + c3 z −3 + . . .
202 LEZIONE 34. TRASFORMATA ZETA

Da cui, per confronto con la definizione di trasformata Zeta

F (z) = f (0) + f (1)z −1 + f (2)z −2 + f (3)z −3 + . . .

possiamo direttamente identificare f (k) ≡ ck . Il metodo può servire per determinare l’andamento nel
tempo della funzione f (k) determinando i suoi valori istante per istante.

Esempio 34.6
Anche in questo caso facciamo un esempio considerando la stessa F (z) che abbiamo visto nell’esempio
precedente. Operando la divisione, notiamo che il coefficiente c0 è nullo (non c’è z 2 a numeratore) e il
primo coefficiente non nullo sarà c1 .
I primi coefficienti sono dati da
3z
F (z) = = 3z −1 − 9z −2 + 21z −3 − 45z −4 + . . .
z 2 + 3z + 2
per cui i primi termini di f (k) sono dati da

f (k) = 0, 3, −9, 21, −45, . . .

che concidono coi primi valori calcolati a partire dal risultato dell’esempio precedente in cui si è applicato
il metodo di Heaviside

f (k) = 3(−1)k sca∗ (k) − 3 · (−2)k sca∗ (k)


Lezione 35

Funzione di trasferimento

35.1 Modulo 1: Definizione


Applichiamo adesso le proprietà della trasformazione Zeta che abbiamo visto nella lezione precedente
ai sistemi tempo discreti lineari e invarianti per trovare ancora una volta risultati analoghi a quelli visti
nel caso dei sistemi continui.
Il sistema che consideriamo è un sistema in generale con molti ingressi e molte uscite, appunto detto
MINO, del tipo
x(k + 1) = Ax(k) + Bu(k)
y(k) = Cx(k) + Du(k)
Applichiamo la trasformata Zeta ricordando che l’anticipo di 1 in termini di trasformazioni equivale
alla moltiplicazione per zeta e quindi, chiamando con le lettere maiuscole le trasformate di tutte le
variabili che ci sono in gioco, possiamo scrivere
zX(z) − zx(0) = AX(z) + BU (z)
Y (z) = CX(z) + DU (z)
Possiamo allora ricavare X(x) dalla prima equazione
X(z) = (zI − A)−1 BU (z) + z(zI − A)−1 x(0)
dove il determinante di zI − A è certamente diverso da 0, almeno per qualche zeta, quindi esiste (zI −
A)−1 e quindi la nostra espressione è calcolabile almeno appunto per qualche valore di z. Sostituendo
X(z) nella trasformazione d’uscita si ottiene poi
Y (z) = C(zI − A)−1 B + D U (z) + zC(zI − A)−1 x(0)


Definiamo la matrice di trasferimento


G(z) = C(zI − A)−1 B + D
Questo termine rappresenta nel dominio della trasformata Zeta, quindi nel dominio complesso, la
risposta del sistema a un ingresso u ovvero la risposta quindi forzata del sistema. Invece il secondo
termine rappresenta il movimento libero. Se il sistema è inizialmente scarico, cioè se il movimento libero
è nullo, l’unica risposta che ha il sistema è quella determinata dal prodotto matrice di trasferimento
per trasformata dell’ingresso.
Y (z) = G(z)U (z) quando x0 = 0

L’espressione della matrice di trasferimento è identica formalmente a quella del caso continuo. Se
il sistema è strettamente proprio il termine d non esiste, l’unica differenza è di avere utilizzato la
trasformazione Zeta che si denota normalmente utilizzando un nome diverso per la variabile complessa,
ma per il resto la forma della matrice di trasferimento e la sua relazione con le matrici C, A e B del
sistema è la stessa.

203
204 LEZIONE 35. FUNZIONE DI TRASFERIMENTO

35.1.1 Relazione con la risposta all’impulso


Calcoliamoci adesso la risposta all’impulso discreto imp∗ (k) di un sistema lineare e invariante utiliz-
zando la formula dell’uscita che abbiamo già visto nelle lezioni precedenti
k−1
!
X
k k−i−1
y(k) = C A x0 + A Bu(i) + Du(k)
i=0

Allora se lo stato iniziale è nullo, cioè il sistema è inizialmente scarico e l’ingresso è di tipo impulsivo

x0 = x(0) = 0 u(k) = imp∗ (k)

otteniamo che

y(k) = CAk−1 B + D imp∗ (k)

Utilizziamo ancora una volta la trasformata zeta, notando che in questo caso abbiamo un ritardo,
perché c’è Ak−1 e ciò equivale a dividere tutto per z, e ci spostiamo quindi nel dominio complesso
calcolando la Y (z)

Y (z) = Z[CAk−1 B] + Z[D imp∗ (k)]


= Cz −1 Z[Ak ]B + DZ[imp∗ (k)]
= Cz −1 z(zI − A)−1 B + D
= C(zI − A)−1 B + D

che è ancora l’espressione della funzione di trasferimento della matrice di trasferimento che abbiamo
visto precedentemente.
Quindi anche nel caso discreto risulta che la funzione di trasferimento non è nient’altro che la trasfor-
mata Zeta della risposta all’impulso, così come nel caso continuo la funzione di trasferimento non era
che la trasformata di Laplace della risposta all’impulso.
D’altra parte potevamo arrivare subito a questa conclusione se avessimo notato che la trasformata zeta
dell’impulso discreto è 1, e quindi

Y (z) = G(z)U (z) = G(z) infatti Z[imp∗ (k)] = 1

e l’uscita corrispondete a un ingresso impulsivo, nel dominio delle trasformate non è nient’altro che la
funzione di trasferimento.
Allora nel caso generale di un sistema a molti ingressi e a molte uscite otterremo una matrice di
funzioni che legano ciascuno degli ingressi a ciascuna delle uscite, quindi in generale una matrice che
ha m colonne, dove m è il numero degli ingressi, e p righe, dove p è il numero delle uscite
 
G11 (z) · · · G1m (z)
C(zI − A)−1 B + D =  ... ..
.
.. 
. 

Gp1 (z) · · · Gpm (z)

dove
Nij (z)
Gij (z) = è la fdt che lega Uj (z) a Yi (z)
Dij (z)

Naturalmente a seconda che queste relazioni ingresso-uscita siano strettamente proprie o meno e il
grado del numeratore potrà essere uguale o inferiore al grado del denominatore.
Naturalmente se siamo nel caso un solo ingresso e una sola uscita (SISO), c è un vettore, b è un vettore
e d è uno scalare, il risultato quindi è uno scalare, ed esiste un’unica funzione di trasferimento G(z).
35.2. CALCOLO DELLA FDT 205

In generale Gij (z) è una funzione razionale con denominatore di grado al più n e numeratore di
grado inferiore (dij = 0) o uguale a n (dij 6= 0). Tuttavia se N (z) e D(z) hanno fattori comuni ci
sono delle semplificazioni che riducono il grado di entrambi fino a che i due polinomi a numeratore e
denominatore non sono primi tra loro, cioè non hanno più termini in comune. Se è questo il caso le
radici del denominatore che sono, come sapete, i poli, coincidono con gli autovalori della matrice A e
il denominatore coincide con il polinomio caratteristico. Altrimenti, ci sono delle semplificazioni e il
grado del denominatore si abbassa e quindi potrebbe essere anche minore dell’ordine della matrice A
di partenza.
In sintesi
0 0
βn0 z n + βn0 −1 z n −1 + . . . + β0
Gij (z) =
αn0 z n0 + αn0 −1 z n0 −1 + . . . + α0
dove n0 ≤ n, βn0 = 0 se il sistema è strettamente proprio e αn0 = 1. Le radici del denominatore sono i
poli della fdt(=autovalori), le radici del numeratore sono gli zeri.

35.2 Modulo 2: Calcolo


35.2.1 FDT del derivatore
Vediamo ora come si calcola la funzione di trasferimento in qualche caso particolare e partiamo da un
sistema del tipo

x(k + 1) = u(k)
y(k) = −x(k) + u(k)

Le matrici che descrivono il sistema sono in realtà degli scalari (sistema SISO con n = 1)

A = [0], B = [1], C = [−1], D = [1]

Se sostituiamo nell’uscita l’espressione dello stato, otteniamo

y(k) = u(k) − u(k − 1)

che possiamo interpretare come un derivatore a tempo discreto. Vedete infatti che l’uscita non è
nient’altro che la differenza degli ingressi nei due ultimi istanti.
Utilizziamo l’espressione che abbiamo visto per la funzione di trasferimento, per il calcolo della funzione
di trasferimento, e otteniamo
−1 · 1 z−1
G(z) = C(zI − A)−1 B + D = +1=
z z
Vediamo quindi che un fattore di tipo z − 1 al numeratore significa aver operato una derivazione nel
tempo. Cio è del tutto analogo al fattore s al numeratore già visto nel caso della trasformata di
Laplace, nella funzione di trasferimento di un derivatore tempo-continuo.
Andiamo a vedere per questo tipo di sistema ad esempio qual è il valore finale della risposta allo scalino
usando il teorema del valore finale
z−1 z
lim (z − 1)G(z)U (z) = lim (z − 1) = lim (z − 1) = 0
z→1 z→1 z z − 1 z→1
dove abbiamo usato il fatto che
z
Z[sca∗ (k)] =
z−1

Il risultato è compatibile con l’interpretazione data prima di derivatore discreto, infatti siccome lo
scalino dà un termine costante nel tempo, la sua derivata è sempre 0.
206 LEZIONE 35. FUNZIONE DI TRASFERIMENTO

35.2.2 FDT dell’integratore


Prendiamo un sistema del tipo
x(k + 1) = x(k) + u(k)
y(k) = x(k) + u(k)
e questo significa aver preso

A = [1], B = [1], C = [1], D = [1]

Anche questa volta se sostituiamo l’espressione dello stato nella trasformazione di uscita otteniamo

y(k) = u(k) + u(k − 1) + x(k − 1) = u(k) + y(k − 1)

Significa che l’uscita in pratica non fa nient’altro che sommare l’ingresso in tutti gli istanti e quindi
opera sostanzialmente un’integrazione dell’ingresso. Calcoliamo la funzione di trasferimento di questo
sistema utilizziamo la solita espressione che abbiamo visto più volte
1 z
G(z) = C(zI − A)−1 B + D = +1=
z−1 z−1
Vediamo quindi che il termine z − 1 al denominatore corrisponde a un’azione di tipo integrale e, ancora
una volta, ciò è analogo a quanto avevate visto nel caso di sistemi continui, quando avevate una s al
denominatore.
Il gradi di z − 1 al denominatore viene chiamato il tipo della funzione di trasferimento, cioè sostanzial-
mente la molteplicità del polo z = 1 viene chiamato il tipo della funzione di trasferimento e natural-
mente se questo ha una molteplicità maggiore di 1, l’azione integrale sarà doppia o tripla. Allo stesso
modo se il fattore z − 1 fosse al numeratore con una potenza maggiore di 1 l’azione dei derivazione
sarebbe di ordine superiore.

35.2.3 Forma ARMA della FDT


C’è un ulteriore modo di vedere la funzione di trasferimento dei sistemi a tempo discreto che ancora una
volta utilizza le proprietà della trasformata Zeta. In particolare la funzione di trasferimento che, come
abbiamo appena visto, non è nient’altro che il rapporto tra la trasformata in uscita e la trasformata
in ingresso, è un rapporto di polinomi in z
0 0
Y (z) βn0 z n + βn0 −1 z n −1 + . . . + β0
G(z) = =
U (z) αn0 z n0 + αn0 −1 z n0 −1 + . . . + α0

si può anche utilizzare per descrivere il nostro sistema come


 0 0
  0 0

αn0 z n + αn0 −1 z n −1 + . . . + α0 Y (z) = βn0 z n + βn0 −1 z n −1 + . . . + β0 U (z)

Adesso, ricordando che la moltiplicazione per z n significa nel dominio nel tempo l’anticipo di n passi,
possiamo riscrivere tutto come
αn y k + n0 + αn0 −1 y k + n0 − 1 + . . . + α0 y(k) =
 

= βn u k + n0 + βn0 −1 u k + n0 − 1 + . . . + β0 u(k)
 

Dividendo tutto per il primo termine e traslando eventualmente nel tempo, possiamo scrivere
y(k + 1) =αn∗ 0 −1 y(k) + . . . + α0∗ y k − n0 + 1 +


[+βn∗ 0 u(k + 1)] + βn∗ 0 −1 u(k) + . . . + β0∗ u k − n0 + 1




cioè y(k + 1) è uguale a una somma pesata di termini in y agli istanti precedenti più una somma pesata
di termini in u allo stesso istante k + 1, se il sistema non è strettamente proprio, e comunque agli
istanti precedenti.
35.3. UTILIZZO DELLA FDT 207

In questa espressione abbiamo scritto i termini α e β con un asterisco per ricordarci che abbiamo diviso
tutto per il coefficiente αn0 , che era davanti al primo termine di questa espressione.
Questa espressione è abbastanza peculiare ed è stata definita per la prima volta da due studiosi ame-
ricani di statistica, Box e Jenkins, negli anni ’70, che, con atteggiamento tipico degli americani e
nonostante rappresenti nient’altro che un modo di scrivere la nostra funzione di trasferimento, è stata
battezzata con un acronimo.
 dato che la prima parte di questa espressione rappresenta in qualche maniera una determinazione
della y in base ai valori della stessa variabile agli istanti precedenti, è stata battezzata parte
AutoRegressiva
 la seconda parte, che rappresenta una media pesata dei valori della u agli istanti precedenti, ed
eventualmente lo stesso istante se il sistema non è strettamente proprio, è stata chiamata parte
a media mobile. In inglese media mobile si traduce in Moving Average
Allora le iniziali di queste quattro parole: autoregressiva (autoregressive in inglese) e moving average
sono diventate ARMA, per cui questo modo di scrivere la nostra funzione di trasferimento viene spesso
chiamata modello ARMA o qualche volta modello ARX, dove la X sta per ingressi exogenous in inglese.
Di solito la forma ARMA si scrive indicando l’ordine della parte autoregressiva, cioè quanti termini
della y negli istanti precedenti vengono utilizzati e quanti termini della u agli istanti precedenti vengono
utilizzati

modello ARMA(n0 , n0 )

Quindi se sentite parlare – e sentirete parlare senz’altro nei corsi a venire – di un modello del tipo
ARMA(2,1), vuol dire nient’altro che è un’espressione di questo tipo in cui sono due termini y agli
istanti precedenti e un termine u agli istanti precedenti.
Questo modo di scrivere modelli è molto interessante perché, come vedrete, viene utilizzato in molti
casi in cui non si riesce a priori a scrivere le matrici A, B e C del sistema in base alla fisica o alle
informazioni disponibili sul sistema stesso e allora non si fa nient’altro che scrivere un’espressione di
questo genere e poi tarare (calibrare, come si dice) i coefficienti α e β nella parte autoreversive e
nella parte a media mobile sui base dei dati registrati. In questa maniera si identifica un modello del
sistema anche senza conoscerne il suo funzionamento interno. A volte questo tipo di modellistica viene
chiamato a scatola nera, ma comunque la cosa non è molto rilevante e il fatto vero è che rappresenta
nient’altro che un modo di riscrivere la nostra funzione di trasferimento a tempo discreto.

35.3 Modulo 3: Utilizzo della funzione di trasferimento


Utilizziamo adesso la funzione di trasferimento per calcolarci la risposta allo scalino di sistemi dinamici
di tipo diverso, secondo lo schema
1) Nota la FDT G(z) e la trasformata dell’ingresso U (z), si calcola Y (z) = G(z)U (z)
2) La risposta è data da y(k) = Z −1 [Y (z)]
A seconda di come sarà la struttura del sistema con lo stesso ingresso a scalino potremmo ottenere
diversi tipi di risposte. In generale possiamo dire che dato che la nostra funzione di trasferimento è
un rapporto ai polinomi, se andiamo a calcolare la risposta allo scalino del nostro sistema dinamico e
ricordando che
z
U (z) = Z[sca∗ (k)] =
z−1
allora
0 0
βn0 z n + βn0 −1 z n −1 + . . . + β0 z
Y (z) = G(z)U (z) =
αn0 z n0 + αn0 −1 z n0 −1 + . . . + α0 z − 1
208 LEZIONE 35. FUNZIONE DI TRASFERIMENTO

possiamo esaminare il valore iniziale facendo il limite


0 0
βn2 z n + βn0 −1 z n −1 + . . . + β0 z βn0
y(0) = lim n 0 n 0 −1 = (= 0 se strettamente proprio )
z→∞ αn0 z + αn0 −1 z + . . . + α0 z − 1 αn0

e se il sistema è strettamente proprio il termine di grado n0 al numeratore non c’è e quindi l’uscita per
z → ∞, cioè l’uscita a corrispondente all’istante k = 0, è nulla.
Per quanto riguarda invece il valore finale, dobbiamo fare il limite
0 0
βn0 z n + βn0 −1 z n −1 + . . . + β0 z
y(∞) = lim (z − 1) = µ(= 0 se tipo < 0)
z→1 αn0 z n0 + αn0 −1 z n0 −1 + . . . + α0 z − 1
Se questo limite esiste, quindi se l’espressione del teorema del valore finale è applicabile, otteniamo un
guadagno µ che naturalmente è nullo se il tipo, cioè la molteplicità del polo unitario è minore di 0,
altrimenti è dato da
Σβi
µ = G(1) = = C(I − A)−1 B + D
Σαi
che equivale a dire che abbiamo valutato la nostra funzione di trasferimento per z = 1. Questo
guadagno ha esattamente lo stesso significato che avete visto nei sistemi continui e quindi rappresenta
il rapporto tra l’uscita a transitorio esaurito e l’ingresso.

35.3.1 Sistema del primo ordine


Vediamo la cosa un po’ più in dettaglio. Per un sistema del primo ordine che sia caratterizzato da un
guadagno µ e da un polo p 6= 0
µ(1 − p) z
G(z) = , p 6= 0, U (z) =
z−p z−1
La trasformata dell’uscita si calcola immediatamente
µ(1 − p) z
Y (z) =
z−p z−1
e anche l’antitrasformata si calcola in modo molto semplice
 
y(k) = Z −1 [Y (z)] = µ 1 − pk ⇒ y(0) = 0 y(∞) = µ

Quindi l’andamento nel tempo di questa risposta è una funzione che per valori positivi di p è mono-
tona e crescente. Vedete in figura il valore dell’uscita normalizzata y(k)/µ, per cui il grafico tende
asintoticamente al valore 1

• Più il polo p ha un valore prossimo a 1 e più lentamente si sale verso il valore asintotico, mentre
invece più il valore del polo è vicino a 0 e più rapidamente si sale
35.3. UTILIZZO DELLA FDT 209

• Data l’espressione analitica della risposta, si può calcolare il tempo di assestamento, cioè il tempo
dopo il quale si entra per esempio in una fascia di valori y(k) = µ ± 5% o y(k) = µ ± 1%, cioè
in pratica il tempo entro il quale si può dire che il sistema sia praticamente arrivato nelle sue
condizioni di equilibrio, e che quindi abbia uscita pari al guadagno.

• Se il polo è negativo ogni volta che lo si eleva a una potenza intera k, il termine pk cambierà di
segno e quindi l’andamento è di tipo oscillante.

La funzione è ovviamente definita solo per k intero, però in figura abbiamo tracciato una linea
che congiunge i vari punti della funzione per rendersi meglio conto di quale sia la dinamica.
Anche in questo caso più il valore del polo p è vicino a 0, per esempio −0.3, più rapidamente
si arriva all’equilibrio. Se invece p è lontano da 0 (per esempio vedete il caso p = −0.9) si ha
un’oscillazione molto più pronunciata e si arriva all’equilibrio in tempi decisamente più elevati.

Un altro di vedere al tempo di assestamento di questo tipo di sistema, è calcolare

1
t=−
ln(|p|)

e quindi calcolare in quanto tempo il sistema arriverà all’equilibrio.

35.3.2 Sistema del secondo ordine


Consideriamo ora un sistema del secondo ordine

ρ (z − z1 ) z
G(z) = , U (z) =
(z − p1 ) (z − p2 ) z−1

questa volta con uno zero e due poli, p1 e p2 , entrambi con molteplicità unitaria e analizziamo ancora
la risposta allo scalino. Quindi moltiplichiamo la funzione di trasferimento per z/(z − 1), calcoliamo il
valore iniziale

ρ (z − z1 ) z
lim =0
z→∞ (z − p1 ) (z − p2 ) z − 1

che è nullo, perché il grado del denominatore in z è più elevato del grado al numeratore, mentre per il
valore finale si calcola il limite

ρ (z − z1 ) z ρ (1 − z1 )
lim (z − 1) = =µ
z→1 (z − p1 ) (z − p2 ) z − 1 (1 − p1 ) (1 − p2 )

Il calcolo della risposta in termini analitici si può effettuare antitrasformando per esempio con il metodo
di Heaviside e si vede che la risposta non è nient’altro che il guadagno più due termini, che sono
due esponenziali in p1 e in p2 rispettivamente, con dei coefficienti P1 e P2 che si possono valutare
antitrasformando e che dipendono dal valore dello zero z1

y(k) = µ + P1 pk1 + P2 pk2

per cui si vede subito che se il sistema è asintoticamente stabile, y(k) → µ per k → ∞.

La risposta di questi sistemi è molto dipendente dal valore dello zero, difatti vedete in figura due
andamenti assai diversi della risposta allo scalino del sistema, corrispondenti sempre a due poli p1 = 0.2
e p2 = 0.8.
210 LEZIONE 35. FUNZIONE DI TRASFERIMENTO

Si tratta di un sistema asintoticamente stabile, perché i poli sono entrambi minori di 1, al variare del
valore dello 0. Vedete che se il valore dello 0 è molto piccolo, z1 = 0.5 si ha un andamento monotono
dell’uscita (anche qui si riporta l’uscita normalizzata, dividendo per il guadagno µ).
• se lo 0 si avvicina a 1 si ha una sovraelungazione che è tanto più pronunciata quanto più lo 0 si
approssima a 1
• i tempi di assestamento sono sempre gli stessi perché dipendono unicamente dai poli, che non
cambiano.
• Invece se lo 0 supera il valore 1 c’è una sottoelongazione che è tanto più pronunciata, quanto più
siamo vicini a 1 ma al di sopra di 1.
Per il calcolo di valori istanti per istanti si può usare per esempio la forma ARMA della funzione di
trasferimento che abbiamo visto in precedenza.
Ripeto, qui si tratta di uscite normalizzate, cioè in realtà in questi grafici quello che vene disegnato è
il valore di y/µ, ma al variare del valore dello 0 il guadagno cambia anch’esso (vedere l’espressione del
guadagno scritta poco fa) e quindi in realtà se si riporta l’andamento dell’uscita al variare dello 0 si
osservano valori molto diversi tra loro al variare di z1 e della posizione dei poli.
Osservazione 35.4 (Calcolo dell’antitrasformata)
Supponiamo per fissare le idee che sia p1 < p2

Y (z) ρ(z − z1 ) P0 P1 P2
= = + +
z (z − 1)(z − p2 )(z − p2 ) z − 1 z − p1 z − p2

allora
Y (z) ρ(1 − z1 )
P0 = (z − 1) = =µ
z z=1 (1 − p1 )(1 − p2 )
Y (z) ρ(p1 − z1 )
P1 = (z − p1 ) = = K(p1 − z1 )
z z=p1 (1 − p1 )(p2 − p1 )
Y (z) ρ(p2 − z1 )
P2 = (z − p2 ) =− = −K(p2 − z1 )
z z=p2 (1 − p2 )(p2 − p1 )

35.4.1 Sistemi FIR


L’ultimo esempio di risposta allo scalino che vediamo è relativo a una certa di classe di sistemi che poi
utilizzerete ancora nelle prossime lezioni relative al controllo, i cosiddetti sistemi FIR, cioè sistemi che
sono caratterizzati dall’avere tutti i poli nello 0 invece degli zeri eventualmente messi in vario modo.
Al denominatore c’è un unico termine, z n .
0 0
βn · z n + βn0 −1 z n −1 + . . . + β0 z
G(z) = , U (z) =
z n0 z−1
35.3. UTILIZZO DELLA FDT 211

Per vedere la risposta allo scalino prendiamo questa funzione di trasferimento e la moltiplichiamo per
U (z)
0 0−1
βn0 z n + βn0 −1 z n + . . . + β0 z
y(0) = lim = βn0 (= 0 se strettamente proprio )
z→∞ z n0 z−1
Il valore iniziale della risposta è dato dal rapporto tra i termini di grado n0 e naturalmente sarà uguale
a 0 se il sistema è strettamente proprio, altrimenti sarà pari a il coefficiente βn0 del numeratore.
Per quanto riguarda il valore finale, si ha
0 0
βn z n + βn0 −1 z n −1 + . . . + β0 z
y(∞) = lim (z − 1) = Σβi = µ
z→1 z n0 z−1
Esso coincide col guadagno µ del sistema e, siccome qui abbiamo tutti i termini β al numeratore e un
unico termine α = 1 a denominatore, µ sarà dato dalla Σβi .
Applicando il metodo di Heaviside possiamo andare a vedere com’è fatta la risposta di questo sistema

Y (z) Pn0 Pn0 −1 P0 Ps


= n0 + n0 −1 + . . . + +
z z z z z−1
si vede che antitrasformando ciascuno di questi termini non si fa nient’altro che scrivere una serie di
impulsi più uno scalino finale e quindi l’andamento della risposta di questi sistemi è un andamento del
tipo di quello che vedete in figura

in cui si osservano gli impulsi a vari istanti di tempo e poi il guadagno unitario. Qui al solito abbiamo
scritto l’uscita normalizzata sul guadagno y/µ, che viene raggiunto dopo un numero n0 di passi pari al
grado del sistema.
Perché appunto al transitorio della risposta si esaurisce in un numero n0 di passi, questo tipo di sistema
viene chiamato sistema a risposta impulsiva finita (Finite Impulse Response). Naturalmente è anche
una risposta allo scalino a un transitorio finito.
Se volessimo scrivere questo tipo di modelli come modelli ARMA naturalmente la parte autoregressiva
qui non c’è e l’uscita in un certo istante viene calcolata solo come somma pesata degli ingressi negli
istanti precedenti. Quindi sarebbero dei modelli puramente a media mobile, cioè puramente MA. Al
limite, come in questo caso, è un modello che è scritto come MA(10), cioè ha 10 termini nella parte a
media mobile e appunto nessun termine nella parte autoregressiva. Quindi si tratta di un sistema FIR
strettamente proprio che ha 10 zeri.

35.4.2 Risposta in frequenza


Consideriamo ancora dei sistemi SISO asintoticamente stabili e vediamo come questi sistemi rispondano
non a un ingresso a scalino come quello che abbiamo esaminato finora ma a un ingresso sinusoidale.
La risposta a questo quesito è semplice se ci si ricorda che l’ingresso sinusoidale non è nient’altro che
un particolare caso di ingresso esponenziale
h i
u(k) = U sen(kθ) = Im U ejθk
212 LEZIONE 35. FUNZIONE DI TRASFERIMENTO

Si dimostra che, per un ingresso ejθk , l’uscita tende asintoticamente a G(ejθ )ejθk , quindi asintotica-
mente
y(k) = =[U G(ejθ )ejθk ] = U G(ejθ ) sen(θk + arg(G(ejθ )))
Quindi asintoticamente l’uscita di un sistema sottoposto a un ingresso sinusoidale sarà anch’essa si-
nusoidale con ampiezza pari a quella dell’ingresso u moltiplicata per il modulo di G valutato in ejθ
e come pulsazione ancora la stessa pulsazione dell’ingresso più uno sfasamento che è l’argomento di
G(ejθ ).
u(k) = U sen(kθ) −−−→ y(k) = Y sen(kθ + ϕ)
k→∞

Quindi sostanzialmente se un sistema ha un solo ingresso e una sola uscita è asintoticamente stabile,
l’uscita che corrisponde asintoticamente a un ingresso di tipo sinusoidale è un’uscita sinusoidale
 con la stessa pulsazione θ dell’ingresso
 ampiezza Y = U G(ejθ )
 sfasamento ϕ = arg G(ejθ )
Quindi diciamo le cose funzionano sostanzialmente come nel caso continuo, tranne il fatto che, come
ricorderete, nel caso continuo la funzione di trasferimento veniva valutata per s = jω e qui invece la
funzione di trasferimento viene valutata per z = ejθ .
La coppia di funzioni
Y
= G(ejθ ) ϕ = arg(G(ejθ )) ⇒ è la risposta in frequenza del sistema
U
e coincide con coincide con la funzione di trasferimento valutata in z = ejθ
G(ejθ ) = c(ejθ I − A)−1 b + d

Sostanzialmente quindi la riposta in frequenza di un sistema a tempo discreto ha le stesse caratteristiche


dell’ingresso, a parte l’ampiezza e lo sfasamento. Vedete in figura la risposta di un sistema che ha due
poli, in 0.2 e 0.8, quindi è un sistema asintoticamente stabile, ha due sinusoidi di ampiezza unitaria e
pulsazioni una doppia dell’altra.

Allora l’uscita corrispondente a ciascuno di questi due ingressi è un’uscita che è amplificata in maniera
diversa in un caso e nell’altro e lo sfasamento è, come vedete, anche diverso nei due casi.
In particolare per la sinusoide a pulsazione minore l’amplificazione che si ottiene in uscita è più elevata
e lo sfasamento è minore, quindi il comportamento di questo sistema è il tipico comportamento di
un filtro passa basso, in cui le sinusoide più rapide, vengono attenuate maggiormente o vengono meno
amplificate e lo sfasamento aumenta all’aumentare della pulsazione in ingresso.
La risposta in frequenza è ovviamente ben definita in tutti i casi in cui ejθ non sia un polo della funzione
di trasferimento perché ovviamente in questo caso non si potrebbe calcolare una sua espressione che
abbiamo visto poco fa.
35.3. UTILIZZO DELLA FDT 213

35.4.3 Realizzazione
Citiamo il problema della realizzazione che, come sapete, consiste nella determinazione una quadru-
pletta di matrici (A, b, c, d) che abbiano una certa funzione di trasferimento assegnata
0 0 0
βn0 z n + βn0 −1 z n −1 + . . . + β0 βn0 −1 z n −1 + . . . + β0
G(z) = n0 = + βn0
z + αn0 −1 z n0 −1 + . . . + α0 z n0 + αn0 −1 z n0 −1 + . . . + α0

Qui possiamo usare appunto delle formalizzazioni analoghe a quelle dei sistemi continui, per esempio
data una funzione di trasferimento al solito come rapporto di due polinomi, numeratore e denominatore,
0
possiamo scriverla dividendo entrambi per il coefficiente del termine di grado z n al numeratore e quindi
mettere in evidenza la parte impropria del sistema.
Una volta fatta questa scomposizione a somma di due termini, possiamo scrivere per esempio il sistema
nella cosiddetta forma canonica di raggiungibilità, che vuol dire
 Una matrice A che ha tutti zeri, tranne uno sopra la diagonale, e i coefficienti del polinomio
caratteristico sull’ultima riga cambiate di segno e a partire dal termine noto
 Un vettore b che è fatto tutto da zeri tranne un 1 sull’ultima riga
 un vettore c che è fatto con i termini al numeratore della funzione di trasferimento, a partire dal
termine noto, β0
0
 uno scalare d che rappresenta il termine βn0 , cioè il coefficiente del termine z n al numeratore.
   
0 1 ··· 0 c0
 .. .. .. ..   .. 
A= . . . .   b =  .  c = β0 β1 · · · βn0 −1
 
d = [βn0 ]
  
 0 0 ··· 1  0
−α0 −α1 · · · −αn0 −1 1

nalogamente si può utilizzare la forma cosiddetta canonica di osservabilità, che non è nient’altro che
sostanzialmente la trasposta di questa che abbiamo appena visto, con gli elementi b e c scambiati.
Naturalmente il problema per un sistema di tipo SISO, cioè un’unica funzione di trasferimento, lo
si risolve quindi facilmente, per i sistemi di tipo MIMO la questione è molto più complicata e non la
vediamo all’interno di questo corso. Questo insieme di matrici A e vettore b e c che abbiamo determinato
ha dimensione minima, cioè non è possibile determinare un altro insieme che abbia un ordine minore
della matrice A, però, come sapete, esiste anche la possibilità di determinare delle matrici di ordine
superiore perché, come abbiamo visto, la trasformazione da funzione di trasferimento a quadrupletta
di matrici non è univoca.
Lezione 36

Introduzione al controllo digitale

36.1 Modulo 1: Sistemi di controllo digitale


36.1.1 Controllo digitale vs. analogico
In un sistema di controllo digitale il compito di determinare l’azione di controllo da applicare al sistema
è affidato ad un dispositivo digitale.

Questa soluzione presenta indubbi vantaggi rispetto all’uso di un dispositivo di tipo analogico. Alcuni
dei vantaggi offerti dai dispositivi di controllo di tipo digitale sono

 la flessibilità enormemente maggiore che una soluzione software nell’elaborazione di un segnale


offre rispetto a una soluzione hardware

 la grande varietà di leggi di controllo, anche molto complicate, che si possono implementare su
un dispositivo di controllo digitale

 la compatibilità con la moderna strumentazione di processo, cioè attuatori e trasduttori, che


ormai molto spesso sono dotati di interfacce puramente digitali

 la possibilità di integrare sullo stesso dispositivo digitale un gran numero di funzioni che vanno
ben al di là della semplice azione di controllo in anello chiuso, e comprendono

. il monitoraggio delle variabili di interesse

. la gestione ottimizzata dell’impianto

. il controllo logico

. i sistemi di diagnostica

. l’interfaccia verso l’operatore

 le considerazioni di carattere economico relative al costo dei componenti

36.1.2 Sistema di controllo digitale


Un dispositivo digitale è però per sua natura incapace di interagire con il mondo esterno per mezzo di
segnali a tempo continuo – o analogici.

Lo schema di massima di un sistema di controllo digitale dovrà allora prevedere la presenza di due
componenti che fungano da interfaccia tra l’elaboratore digitale, che determina l’azione di controllo, e
la realtà fisica esterna.

214
36.2. COMPONENTI DI UN SISTEMA DI CONTROLLO DIGITALE 215

Controllore digitale

w(t) + e(t) ek uk u(t) y(t)


A/D C D/A P

Questi due componenti sono rispettivamente

A/D convertitore analogico/digitale collocato a monte dell’unità di elaborazione, che traduce il


segnale analogico di errore e(t) in una sequenza discreta di valori ek da utilizzare nel calcolo della
legge di controllo

D/A convertitore digitale/analogico che, posto a valle dell’unità di elaborazione, trasforma la


sequenza uk generata dal controllore nel segnale analogico u(t) in ingresso al processo da con-
trollare.

Si può dire quindi che il controllore digitale è costituito dalla serie dei tre blocchi che comprendono i
due convertitori e il blocco C, che rappresenta l’unità di elaborazione su cui è implementata la legge
di controllo a tempo discreto.

Questo elaboratore digitale è di solito costituito da un microprocessore.

Dal punto di vista dell’analisi, un sistema di controllo digitale pone quindi qualche problema nuovo

 a causa della presenza contemporanea nel sistema in anello chiuso di variabili a tempo continuo
e di variabili a tempo discreto (sistema ibrido).

 Non si possono perciò utilizzare direttamente le tecniche di analisi per sistemi a tempo continuo

 né si può ricorrere esclusivamente alla teoria dei sistemi dinamici a tempo discreto

La natura ibrida di un sistema di controllo digitale richiede quindi strumenti di analisi e di sinte-
si peculiari che saranno oggetto di studio nel seguito delle lezioni, sia pure in una forma alquanto
semplificata.

36.2 Modulo 2: Componenti di un sistema di controllo digitale


36.2.1 Convertitore A/D
Esaminiamo più in dettaglio in funzionamento dei componenti di uno schema di controllo digitale
cominciando dal convertitore analogico-digitale.

e(t) ek
A/D

Come abbiamo visto, questo dispositivo deve trasformare il segnale analogico, che rappresenta la
variabile errore, in un segnale a tempo discreto ek direttamente utilizzabile dall’unità digitale di
elaborazione.

La maniera più semplice e naturale per effettuare questa trasformazione è quella di operare un campio-
namento periodico del segnale, cioè di generare la sequenza di uscita ek prelevando i valori del segnale
in ingresso e(t) negli istanti multipli di un periodo fondamentale, Ts , detto periodo di campionamento.
216 LEZIONE 36. INTRODUZIONE AL CONTROLLO DIGITALE

ek = e(kTs )
Ts = periodo di campionamento

Il valore di ek è quindi dato da e valutato nell’istante kTs , con k intero

ek = e(kTs ) k intero

L’inverso di t esse viene chiamato frequenza di campionamento


1
fs =
Ts
La pulsazione di campionamento, qui indicata ωs , è definita come

ωs = 2πfs =
Ts
Mentre fs è misurata in cicli per unità di tempo o Hz, ωs è misurata in radianti per unità di tempo.

36.2.2 Problemi connessi con il campionamento


L’operazione di campionamento di un segnale comporta due tipi di problemi
 il primo è di fondamentale importanza in tutte le applicazioni in cui è necessario campionare un
segnale, non solo quindi nel controllo digitale ma in tutti i sistemi digitali per la registrazione, la
riproduzione e la trasmissione di segnali.
Il problema è quello della possibile perdita di informazione dovuta al campionamento, a meno
che venga fatta una scelta oculata della frequenza di campionamento in relazione alla dinamica
del segnale. Questo è un argomento di teoria dei segnali che molti di voi già conosceranno ma
sul quale sarà opportuno ritornare tra breve.
 Il secondo problema, per la verità di importanza relativamente minore, riguarda il fatto che la co-
difica digitale di un valore numerico reale non può essere effettuata con precisione arbitrariamente
elevata a causa della lunghezza di parola finita di un qualsiasi dispositivo digitale.
Si verifica quindi un effetto di quantizzazione, per cui due valori numerici diversi ma la cui
differenza sia minore della precisione di macchina risultano in effetti indistinguibili. L’effetto
introduce una leggera distorsione non lineare che però può essere trascurata nella stragrande
maggioranza delle realizzazioni pratiche di controllo digitale.

36.2.3 Convertitore D/A


Il convertitore digitale-analogico svolge un ruolo duale rispetto al campionatore.

uk u(t)
D/A

Avendo in ingresso un segnale a tempo discreto, nel nostro caso uk , deve trasformarlo in un segnale
u(t) a tempo continuo che costituisca l’andamento della variabile di controllo da applicare al sistema.
36.2. COMPONENTI DI UN SISTEMA DI CONTROLLO DIGITALE 217

u(t) = uk
kTm ≤ t < (k + 1)Tm

Un possibile modo di operare, non certamente l’unico ma sicuramente il più semplice, è quello che cor-
risponde alla cosiddetta operazione di mantenimento: l’asse dei tempi viene cioè suddiviso in intervalli
di uguale durata, pari a Tm , e nel k-esimo di questi intervalli la variabile u(t) è mantenuta costante al
valore uk

u(t) = uk per kTm ≤ t < (k + 1)Tm

Ogni Tm istanti (Tm viene chiamato periodo di mantenimento) il segnale u(t) viene aggiornato sulla
base dell’ultimo valore discreto ricevuto in ingresso e viene generata una funzione costante a tratti
come indicato nella figura.
Il convertitore digitale-analogico che opera secondo questa logica viene chiamato mantenitore di ordine
0 o anche semplicemente ZOH, dal termine inglese Zero Order Hold.
La locuzione ordine zero fa riferimento al fatto che tra un sitante di mantenimento e il successivo
viene generata una costante, mentre si potrebbe pensare a leggi di aggiornamento più complicate in
cui l’andamento tra due istanti successivi sia un polinomio di grado n, anziché di grado 0 come è una
costante, ottenuto interpolando gli ultimi n + 1 valori disponibili del segnale uk a tempo discreto. Si
parlerebbe in tal caso di mantenitore di ordine n.
Come per il campionatore, si possono poi introdurre i simboli fm

1
fm =
Tm
e ωm


ωm = 2πfm =
Tm

per indicare rispettivamente la frequenza e la pulsazione di mantenimento.

36.2.4 Unità di elaborazione (controllore)


Resta ora da vedere come si può modellizzare il comportamento dell’unità di elaborazione, che realizza
la legge di controllo, e che un po’ impropriamente chiameremo d’ora in poi il controllore o regolatore
digitale.
ek uk
C

Essa può essere vista come un elaboratore digitale che, mediante un opportuno software, calcola in
tempo reale la sequenza uk in funzione della sequenza ek . In tempo reale significa che il controllore
deve rispettare il legame concettuale di causa ed effetto, cioè l’uscita u all’istante k non può dipendere
dai valori di u o di e successivi all’istante k.
In altre parole, il controllore è
218 LEZIONE 36. INTRODUZIONE AL CONTROLLO DIGITALE

 un sistema dinamico a tempo discreto, con ingresso e, uscita u e descritto sinteticamente da


questa relazione

uk = f (uk−1 , uk−2 , . . . , ek , ek−1 , . . .)

in cui uk viene espressa come una generica funzione dei valori precedenti di u e dei valori di e
fino al più all’istante k.
 Se poi il legame espresso dalla funzione f si lascia scrivere sotto forma di un’equazione alle
differenze a coefficienti costanti, allora il controllore è un sistema lineare e invariante e può essere
rappresentato mediante la sua funzione di trasferimento R(z)
ek uk
R(z)

Anche se può sembrare riduttivo, data l’ampia varietà di leggi di controllo anche molto più complicate
che si potrebbero ipotizzare, questo sarà l’unico caso che tratteremo nel seguito, anche per mantenere
coerenza con la teoria del controllo analogico che abbiamo finora studiato.

36.2.5 Temporizzazione
Per un corretto funzionamento del sistema complessivo le operazioni dei tre dispositivi, cioè dei due
convertitori e dell’unità di elaborazione, devono essere opportunamente sincronizzate. Discutiamo
brevemente una delle modalità di temporizzazione comunemente adottate.
Innanzitutto spesso si sceglie

Ts = Tm = T

cioè i due convertitori operano con lo stesso periodo, che chiameremo T , e indicheremo per semplicità
come periodo di campionamento.
Lungo l’asse temporale individuiamo il k-esimo intervallo, quello tra l’istante kT e l’istante (k + 1)T .

1) All’inizio di questo intervallo, cioè all’istante kT , il campionatore preleva il valore di ek e lo


mette a disposizione dell’unità di calcolo, che subito dopo può cominciare la propria elaborazione
necessaria per il calcolo del nuovo valore uk della variabile di controllo.
2) Il tempo di elaborazione ∆ richiesto per effettuare un’iterazione della legge di controllo non sarà
in generale trascurabile ma dovrà essere necessariamente inferiore a T per evitare sovrapposizioni
con le operazioni da effettuare nell’intervallo successivo.
3) Solo all’istante kT + ∆ sarà dunque disponibile il valore uk e solo a quel punto si può dare al
mantenitore il comando per aggiornare la sua uscita.
Ciò che abbiamo adesso visto con riferimento al k-esimo intervallo si ripete ovviamente in modo
periodico in tutti gli intervalli successivi.
Come si nota, le operazioni dei due convertitori non risultano sincrone perché gli istanti di commuta-
zione del mantenitore sono sfasati di una quantità ∆ rispetto agli istanti di campionamento.
36.3. IL PROBLEMA DEL CAMPIONAMENTO 219

Non però difficile tener conto di questo sfasamento temporale. Nello schema a blocchi si può infatti
introdurre in uscita dal mantenitore un ritardo con funzione di trasferimento e−∆s che tiene conto del
tempo di elaborazione.
Ritardo di elaborazione

w(t) + e(t) ek uk u(t) y(t)


A/D C D/A e−∆s P

• A tutti gli effetti tale ritardo può essere immaginato come facente parte del sistema da controllare
e conglobato nella funzione di trasferimento del processo P .
• A volte poi ∆ è così piccolo rispetto a T che può essere tranquillamente trascurato.

36.3 Modulo 3: Il problema del campionamento


36.3.1 Campionamento e informazione
In quest’ultima parte della lezione accenneremo a un tema di particolare rilevanza che riguarda i
legami tra un segnale di tipo analogico e il segnale a tempo discreto che si ottiene campionandolo
periodicamente.
Il problema del campionamento viene trattato in maniera rigorosa in altri corsi dedicati alla teoria dei
segnali, ma vorrei in questa sede richiamare brevemente alcuni concetti fondamentali utili allo studio
dei sistemi di controllo digitale.
La questione può essere posta in questi termini: a partire dai campioni xk generati dal campionamento
periodico di un segnale analogico x(t) è possibile ricostruire univocamente il segnale originario?

È evidente che la risposta a questa domanda non può che essere negativa, poiché sono infinite le funzioni
a tempo continuo che passano per gli stessi punti negli istanti di campionamento.
Perché il quesito abbia senso dobbiamo allora riformularlo in maniera leggermente diversa, chiedendoci
se disponendo di informazioni a priori sul segnale x(t), di cui conosciamo i campioni xk , è possibile
una ricostruzione univoca di x(t)
campioni xk

?


+

−−−−−−−−→ ricostruzione univoca di x(t)
informazioni a priori 
su x(t)

Ci si rende conto che questo è un quesito più plausibile considerato il caso limite in cui si sappia a priori
che il segnale x(t) è costante. È ovvio che in questo caso è sufficiente anche un solo valore campionato
220 LEZIONE 36. INTRODUZIONE AL CONTROLLO DIGITALE

per risalire in modo univoco al segnale che l’ha generato. Più in generale possiamo aspettarci che
informazioni a priori sulla dinamica con cui varia il segnale x(t), unite ad un’adeguata scelta del periodo
di campionamento, rendano possibile il problema della ricostruzione del segnale dai suoi campioni.

Esempio 36.1
Per studiare la questione si consideri il semplice esempio del campionamento di un segnale sinusoidale


x(t) = sen ω̄t periodo P =
ω̄
che è un segnale periodico con periodo P = 2π
ω̄

Iniziamo a considerare il campionamento di questo segnale con un periodo di campionamento pari a 34 P

3 3π
T = P =
4 2ω̄
Come si nota dalla figura vengono generati i campioni x0 , x1 , x2 , x3 , . . . che valgono 0, −1, 0, +1, . . .. La
ricostruzione del segnale originario sulla base di questi campioni è resa problematica dal fatto che esiste
un altro segnale sinusoidale di periodo maggiore di P , cioè che presenta oscillazioni più lente, che genera
esattamente gli stessi campioni.
Per la precisione si tratta della funzione
 
ω̄t
xA (t) = − sen PA = 3P
3

Questa funzione ha un periodo triplo rispetto a P . Tale fenomeno prende il nome di aliasing – in italiano
equivocazione – e corrisponde al fatto che una volta campionata, la sinusoide originaria è indistinguibile
da un’altra sinusoide, più lenta della precedente, che gioca il ruolo di alias o sostituta. Una situazione di
questo genere impedisce di fatto la ricostruzione univoca del segnale.
36.3. IL PROBLEMA DEL CAMPIONAMENTO 221

Diverso è invece il risultato quando si sceglie un periodo di campionamento più piccolo, ad esempio
1 π
T = P =
4 2ω̄
I campioni sono adesso più fitti e si può facilmente verificare che gli stessi valori non possono essere generati
dal campionamento di una sinusoide con periodo maggiore di P .
Per questi punti passano infinite sinusoidi ma nessuna con una dinamica più lenta di quella originaria.
Questa scelta del periodo di campionamento, T , ha dunque eliminato di fatto il fenomeno dell’aliasing. Si
potrebbe dimostrare che ciò avviene per ogni scelta di T inferiore al semiperiodo della sinusoide di partenza.

Ciò che abbiamo visto nell’esempio è la chiave per ricavare un primo interessante risultato valido per
segnali di tipo sinusoidale. Supponiamo infatti di campionare una sinusoide di pulsazione ignota ω

x(t) = sen(ωt)

ma di sapere a priori che tale pulsazione è inferiore ad un dato valore ω̄. In termini di periodo ciò
significa che il periodo P non può scendere sotto il valore P̄ = 2π/ω̄


ω < ω̄ ovvero P > P̄ =
ω̄

Scegliamo ora un periodo di campionamento T < P̄ /2 ovvero campioniamo il segnale con una pulsa-
zione almeno pari al doppio di omega segnato


T < ovvero ωs > 2ω̄
2
Sotto queste condizioni il campionamento non provoca fenomeni di equivocazione perché non possono
esistere nell’insieme delle sinusoidi ammissibili due segnali che generano gli stessi campioni; in altre
parole non c’è perdita di informazione per effetto del campionamento.
Si noti che questa proprietà è stata ottenuta scegliendo il periodo di campionamento in funzione di ω̄,
cioè per così dire della massima dinamica del segnale. Per generalizzare questo risultato a una classe
più ampia di segnali si deve far riferimento al concetto di segnale a banda limitata.

36.3.2 Segnale a banda limitata


 Si indica con questo termine un segnale analogico il cui spettro non contenga componenti armo-
niche al di sopra di una certa pulsazione ω̄
 L’intervallo B = [0, ω̄] viene chiamato banda del segnale
Esempi di segnali a banda limitata si possono ottenere considerando una funzione costituita dalla
combinazione lineare di un certo numero di sinusoidi, tutte con pulsazioni inferiore a una data ω̄

N
X
x(t) = ci sen (ωi t + γi ) ωi ≤ ω̄, ∀i
1

oppure una funzione espressa da un integrale di Fourier nel quale l’estremo superiore dell’integrale è
pari a ω̄
Z ω̄
x(t) = C(ω) sen(ωt + γ(ω))dω
0

Intuitivamente ciò che hanno in comune questi segnali è che non possono presentare andamenti arbi-
trariamente veloci, visto che il loro spettro è nullo al di sopra di omega segnato.
222 LEZIONE 36. INTRODUZIONE AL CONTROLLO DIGITALE

36.3.3 Teorema di Shannon


Con riferimento ai segnali a banda limitata, è possibile formulare il famoso teorema di Shannon, detto
anche del campionamento.

Teorema 36.1 (Shannon)


Se x(t) è un segnale a banda limitata con banda B = [0, ω̄] allora campionando il segnale con
una pulsazione di campionamento ωs > 2ω̄ è possibile, almeno in linea di principio, ricostruire
univocamente x(t) a partire dai suoi campioni xk

In altri termini se le condizioni del teorema sono soddisfatte il segnale digitale ottenuto dal campiona-
mento ha lo stesso contenuto informativo del segnale analogico originario.

36.3.4 Come si campiona un segnale?


Resta da chiedersi come si possa nelle applicazioni pratiche ricondursi al caso in cui le ipotesi del teore-
ma di Shannon sono certamente verificate. A tale scopo prima di campionare un segnale è opportuno
effettuare su di esso un’operazione di filtraggio passa-basso che lo ripulisca, per così dire, di tutte le
componenti che potrebbero dar luogo a equivocazione.
Filtro anti-aliasing

x(t) x
e(t) x
ek
F (s) A/D

In sostanza se le componenti utili del segnale x(t) da campionare sono confinate in una certa banda di
pulsazioni, per esempio [0, ω̄], il segnale va prima depurato di tutte le eventuali componenti a pulsazioni
più elevate, dovute per esempio a rumori, mediante un filtro passa basso chiamato filtro anti-aliasing
e solo successivamente campionato con una pulsazione di campionamento ωs > 2ω̄.
• informazione utile di x(t) confinata in [0, ω̄]
• F (s) filtro passa-basso con banda passante [0, ω̄]
• pulsazione di campionamento ωs > 2ω̄
Se non ci fosse il filtro anti-aliasing si correrebbe il rischio che eventuali rumori ad alta frequenza ven-
gono equivocati come componenti utili a bassa frequenza e vadano così a corrompere irrimediabilmente
il contenuto informativo del segnale.
Lezione 37

Progetto di controllori digitali

37.1 Modulo 1: Scelta del periodo di campionamento


In quest’ultima lezione tratteremo brevemente il problema del progetto di un controllore digitale.

37.1.1 Progetto di un controllore digitale


Alla luce delle considerazioni svolte nella precedente, possiamo fare riferimento allo schema a blocchi
mostrato in figura

w(t) + e(t) ek uk u(t) y(t)


A/D R(z) D/A G(s)

nel quale si ipotizza che la legge di controllo sia descritta dalla funzione di trasferimento R(z), corri-
sponda cioè a un sistema lineare, invariante a tempo discreto e che si disponga di un modello a tempo
continuo del sistema sotto controllo, in termini della funzione di trasferimento G(s) tra la variabile
manipolabile u(t) e la variabile controllata y(t).
Volendo possiamo immaginare che G(s) incorpori eventuali termini dovuti a
 ritardo di elaborazione
 filtro anti-aliasing
Il progetto di un controllore digitale comporta due scelte fondamentali
 la scelta del periodo di campionamento T con cui operano i due convertitori, cioè il campionatore
e il mantenitore
 la scelta della funzione di trasferimento R(z) a tempo discreto del controllore.

37.1.2 Criteri per la scelta del periodo di campionamento T


Cominciamo a considerare il primo dei due problemi, cioè quello della scelta del periodo di campiona-
mento T o equivalentemente della pulsazione di campionamento

ωs =
T

È chiaro che in generale occorre impiegare valori di T tanto più piccoli quanto maggiore la velocità
di risposta che si vuole ottenere dal sistema di controllo, ma è anche opportuno tener conto di altri
fattori.

223
224 LEZIONE 37. PROGETTO DI CONTROLLORI DIGITALI

costi la considerazione sui costi dei dispositivi digitali da utilizzare farebbe propendere per la scelta di
valori relativamente bassi della pulsazione di campionamento ωs . È infatti noto che all’aumentare
della frequenza di campionamento cresce, di solito in modo più che lineare, il costo dei convertitori
analogico-digitale, e digitale-analogico.

Inoltre al diminuire del periodo di campionamento T aumenta anche la potenza di calcolo richiesta
per l’unità di elaborazione che realizza la legge di controllo.

informazione se guardiamo le cose dal punto di vista dell’informazione, possiamo riconoscere che
omega esse deve essere sufficientemente elevata per far sì che nel campionamento del segnale
errore non vada perduta l’informazione utile in esso contenuta.

La domanda da farsi è quindi: in quale banda di pulsazioni è concentrata l’informazione apportata dal
segnale e(t) che risulta utile per un’efficace azione di controllo?

Questa banda coincide essenzialmente con la banda passante del sistema di controllo che si vuole
realizzare e quindi, in prima approssimazione con l’intervallo B = [0, ωc ], dove ωc rappresenta la
pulsazione critica desiderata.

Dal teorema di Shannon sappiamo allora che l’informazione contenuta in e(t) viene preservata a seguito
del campionamento solo a patto che

ωs > 2ωc

Questa condizione pone dunque un limite inferiore all’insieme di valori che ωs può ragionevolmente
assumere.

Va anche osservato che in pratica per ovviare all’inevitabile comportamento non ideale del filtro anti-
aliasing è opportuno che questo vincolo sia soddisfatto con un certo margine di sicurezza.

37.1.3 Regola empirica per la scelta di T


In conclusione a seguito delle considerazioni svolte si può formulare una regola empirica da utilizzare
nella scelta del periodo di campionamento T . Una volta fissata, in base alle specifiche di progetto,
al pulsazione critica ωc che si desidera ottenere, il valore di ωs deve essere indicativamente contenuto
nell’intervallo

5ωc < ωs < 50ωc

Non deve essere cioè né troppo basso, per non pregiudicare le prestazioni del sistema di controllo, ma
nemmeno troppo elevato per non rendere necessario l’impego di dispositivi inutilmente costosi. Si noti
infine che in termini del periodo di campionamento t la precedente raccomandazione su omega esse è
equivalente a richiedere

2π 2π
< Ts <
50ωc 5ωc

37.2 Modulo 2: Discretizzazione di un controllore analogico


37.2.1 Scelta di R(z)
Una volta che sia stata effettuata la scelta del periodo di campionamento che, come abbiamo visto,
va commisurata al livello di prestazioni che si vogliono ottenere dal sistema di controllo, in termini di
velocità di risposta, il secondo passo da compiere nel progetto di un controllore digitale, consiste nel
determinare un’adeguata legge di controllo a tempo discreto ovvero, usando la nostra notazione, nello
scegliere un’opportuna funzione di trasferimento R(z) del controllore.
37.2. DISCRETIZZAZIONE DI UN CONTROLLORE ANALOGICO 225

w(t) + e(t) ek uk u(t) y(t)


A/D R(z) D/A G(s)

Numerosissime sono le tecniche a disposizione per progettare erre di zeta ma essenzialmente possono
essere distinte in due grande categorie
 un primo gruppo di metodi si basa sul cosiddetto approccio a tempo continuo, che consiste nel
considerare una descrizione approssimata dell’intero sistema di controllo digitale sotto forma di
un modello puramente a tempo continuo
 in alternativa si può ricorrere a un approccio a tempo discreto, nel quale cioè si fa uso di strumenti
tipici dell’analisi dei sistemi dinamici a tempo discreto
Rimandando a testi specifici sul controllo digitale per una descrizione dettagliata di questa seconda
classe di metodi di progetto, ci limiteremo in questa sede a considerare la tecniche di sintesi ba-
sate sull’approccio a tempo continuo e in particolare quelle che vanno sotto il nome di tecniche di
discretizzazione di un controllore analogico.

37.2.2 L’idea della discretizzazione


L’idea su cui si fondano le tecniche di discretizzazione è quella di approssimare mediante un controllore
digitale il comportamento di un controllore analogico.
Supponiamo cioè di avere individuato, per mezzo dei classici metodi di sintesi che già conosciamo, la
funzione di trasferimento R◦ (s) di un controllore analogico che soddisfi tutte le specifiche di progetto,
lo chiameremo il controllore analogico di riferimento.
Il problema diventa ora quello di determinare una funzione di trasferimento R(z) tale che il sistema
Σ costituito dalla serie del campionatore, di R(x), e del mantenitore presenti agli effetti esterni un
comportamento dinamico simile a quello del controllore di riferimento R◦ (s), almeno per valori del
periodo di campionamento sufficientemente piccoli.

e(t) ek uk u(t) e(t) u(t)


A/D R(z) D/A ∼
= R◦ (s)

Il principale vantaggio di questo modo di ragionare è che i problemi connessi con la natura digitale del
controllore entrano in gioco solo in seconda battuta, mentre nella prima fase del progetto, cioè quella
relativa alla sintesi del controllore analogico, R◦ (s), si può far tesoro degli strumenti teorici che già
conosciamo sui sistemi retroazionati a tempo continuo.

37.2.3 Discretizzazione mediante integrazione numerica


Tra le diverse tecniche di discretizzazione ci concentreremo in particolare su quelle basate su metodi
di integrazione numerica.

e(t) u(t)
R◦ (s)

Cominciamo quindi a considerare un controllore analogico di riferimento, descritto dalla funzione di


trasferimento R◦ (s), che esprime il legame tra la variabile di ingresso, cioè l’errore e(t), e la variabile
di controllo u(t).
226 LEZIONE 37. PROGETTO DI CONTROLLORI DIGITALI

Se R◦ (s) è razionale è sempre possibile ricavarne una rappresentazione di stato, è sempre possibile cioè
determinare quattro matrici A, B, C, D in modo che

R◦ (s) = C(sI − A)−1 B + D

La rappresentazione di stato è allora data dall’equazione di stato

ẋ(t) = Ax(t) + Be(t)


u(t) = Cx(t) + De(t)

Il nostro obiettivo è ora quello di individuare un sistema a tempo discreto che approssimi in qualche
senso questo sistema a tempo continuo. A tale scopo integriamo l’equazione di stato sul k-esimo
intervallo di campionamento, cioè tra l’istante kT e l’istante (k + 1)T
Z (k+1)T Z (k+1)T
x((k + 1)T ) − x(kT ) = A x(t)dt + B e(t)dt
kT kT

Al primo membro compare l’integrale di ẋ(t), che si può quindi valutare in modo esatto come la
differenza x((k + 1)T ) − x(kT ). Al secondo membro compaiono invece due termini che contengono
rispettivamente l’integrale di x e quello di e lungo l’intervallo considerato. Chiaramente questi due
integrali dipendono da tutto l’andamento delle funzioni x ed e nell’intervallo e non soltanto dai valori
negli estremi, che possono essere calcolati solo in modo approssimato.

37.2.4 Metodi di “Eulero in avanti”


Il più semplice metodo per il calcolo approssimato di un integrale è sicuramente il cosiddetto metodo
del rettangolo o anche chiamato metodo di Eulero in avanti.

Per illustrarlo consideriamo l’integrale


Z (k+1)T
x(t)dt ∼
= T xk
kT

supponendo per semplicità che x sia una funzione scalare. Come ben noto, l’integrale rappresenta l’area
sottesa dalla curva x nell’intervallo [kT, (k + 1)T ]. Tale area può essere in prima approssimazione valu-
tata come l’area del rettangolo evidenziato in figura, che ha base pari a T e altezza pari a xk . Il valore
dell’integrale è quindi approssimativamente uguale a T xk e ovviamente la qualità dell’approssimazione
migliora al diminuire di T grande.
Se adesso utilizziamo questa approssimazione per valutare i due integrali al secondo membro dell’e-
quazione di stato, ricaviamo che
Z (k+1)T Z (k+1)T
xk+1 − xk = A x(t)dt + B e(t)dt ∼
= AT xk + BT ek
kT kT

Riordinando i termini ricaviamo che

xk+1 ∼
= (I + AT )xk + BT ek
37.2. DISCRETIZZAZIONE DI UN CONTROLLORE ANALOGICO 227

Quest’ultima espressione ha la forma dell’equazione di stato di un sistema lineare a tempo discreto e può
essere vista come un’approssimazione dell’equazione di stato del sistema a tempo continuo originario.
Resta ora da considerare la trasformazione di uscita. Poiché questa è una relazione algebrica valida in
ogni istante, valutandola in corrispondenza degli istanti di campionamento kT grande otteniamo che

xk+1 ∼
= (I + AT )xk + BT ek
uk = Cxk + Dek

In definitiva il sistema a tempo continuo di partenza è stato approssimato con un sistema lineare
invariante a tempo discreto di cui non è difficile calcolare la funzione di trasferimento che indicheremo
con R(z). Le quattro matrici che descrivono il sistema sono I +AT , BT , C e D. Utilizzando la formula
per il calcolo della funzione di trasferimento si ottiene

R(z) = C(zI − I − AT )−1 BT + D


 −1
z−1
=C I −A B+D
T
Se adesso si confronta quest’ultimo risultato con l’espressione originario di R◦ (s)

R◦ (s) = C(sI − A)−1 B + C

ci si accorge che la funzione di trasferimento R(z) cercata si ottiene da R◦ (s) mediante un semplice
cambio di variabile
 
z−1 ◦ z−1
s= ⇒ R(z) = R
T T

In conclusione la funzione di trasferimento R(z) del controllore digitale che approssima un dato con-
trollore analogico, R◦ (s), si ricava in modo molto semplice, ponendo s = (z − 1)/T , dove T è il periodo
di campionamento.
Questa tecnica di discretizzazione prende il nome di metodo di Eulero in avanti (EA), perché, come
abbiamo visto, è basata sull’uso del metodo di integrazione numerica di Eulero in avanti per il calcolo
degli integrali.

37.2.5 Un metodo generale di integrazione numerica


Naturalmente oltre a quello di Eulero esistono altre formule approssimate per il calcolo numerico di
un integrale.
Ad esempio si può approssimare l’integrale di x(t) in [kT, (k + 1)T ] con una formula più generale, del
tipo
Z (k+1)T
x(t)dt ∼
= T [(1 − α)xk + αxk+1 ] 0 ≤ α ≤ 1
kT

dove α è un parametro reale.


Usando questa espressione, l’integrale viene cioè valutato, a parte il fattore T , come una combinazione
convessa dei due valori della funzione negli estremi. Qualunque valore di α nell’intervallo [0, 1] rap-
presenta una scelta ammissibile ma la formula ammette un’interpretazione particolarmente semplice
in tre casi specifici
α = 0 si ottiene
Z (k+1)T
x(t)dt = T xk
kT

e ci si riduce al caso già considerato in precedenza del metodo di Eulero in avanti (EA)
228 LEZIONE 37. PROGETTO DI CONTROLLORI DIGITALI

α = 1 si ottiene
Z (k+1)T
x(t)dt = T xk+1
kT

per ragioni evidenti questo metodo viene battezzato metodo di Eulero all’indietro (EA)
α= 1
2 si ottiene
Z (k+1)T
T
x(t)dt = (xk + xk+1 )
kT 2

ed è facile riconoscere in tale formula l’espressione dell’area del trapezio evidenziato in figura.
Per questo motivo il metodo viene detto metodo del trapezio o anche metodo di Tustin (TU),
dal nome di chi lo ha proposto per la prima volta nell’ambito dei problemi di controllo di cui ci
stiamo occupando.

37.2.6 Metodo della trasformazione bilineare


Tornando ora al problema della discretizzazione di un controllore, la formula generale di integrazione
numerica che abbiamo appena introdotto può essere usata al posto di quella più semplice di Eulero in
avanti per approssimare gli integrali che compaiono nell’equazione di stato.
e(t) u(t)
R◦ (s)

Ripetendo gli stessi passaggi di prima si ricava ancora un legame diretto tra la funzione di trasferimento
R◦ (s) del controllore analogico di riferimento e la funzione di trasferimento R(z) del regolatore digitale
che lo approssima.
Precisamente si dimostra che R(z) si ottiene da R◦ (s) con la sostituzione
 
◦ ◦ 1 z−1
R (s) −→ R(z) = R 0≤α≤1
T αz + 1 − α
dove α è il parametro che caratterizza il metodo di integrazione scelto. Ogni valore di α ∈ [0, 1] è lecito
in linea di principio ma normalmente si utilizza uno dei tre valori particolari discussi in precedenza.
37.3. UN ESEMPIO ILLUSTRATIVO 229

 
◦ z−1
α=0 R(z) = R Eulero “in avanti” (EA)
T
 
◦ z−1
α=1 R(z) = R Eulero “all’indietro” (EI)
Tz
 
◦ 2 z−1
α = 1/2 R(z) = R trapezio a Tustin (TU)
T z+1
Questi tre metodi sono quindi tre casi particolari del metodo generale, caratterizzato da un valore arbi-
trario di α, ovviamente sempre in [0, 1], e che viene detto metodo della trasformazione bilineare, a causa
del fatto che la variabile z compare linearmente sia al numeratore che al denominatore dell’espressione
generale.

37.3 Modulo 3: Un esempio illustrativo


37.3.1 Discretizzazione di un controllore PI
Come esempio di applicazione delle tecniche di discretizzazione consideriamo il caso della realizzazione
digitale di un controllore P I, cioè ad azione proporzionale integrale.
Sappiamo che la funzione di trasferimento di un tale controllore può essere espressa come
 
◦ 1
R (s) = Kp 1 +
sTi
dove Kp è il coefficiente dell’azione proporzionale e Ti è il tempo integrale.
Vogliamo ora ricavare la versione digitale di questo controllore. Per farlo possiamo ad esempio ricorrere
al metodo di Tustin, che, come abbiamo visto, consiste nel sostituire
2 z−1
s=
T z+1
avendo indicato con T il periodo di campionamento prescelto. Effettuando la sostituzione si ottiene
   
◦ 2 z−1 T z+1 Kp (T + 2Ti ) z + (T − 2Ti )
R(z) = R = Kp 1 + =
T z+1 2Ti z − 1 2Ti z−1
Si nota quindi che il regolatore digitale risultante è descritto da una funzione di trasferimento del primo
ordine, con uno 0 il cui valore dipende da te Ti e con un polo in z = 1, che ovviamente corrisponde
alla presenza di un’azione integrale a tempo discreto.
Ricordando che la funzione di trasferimento di un sistema a tempo discreto corrisponde a un’equazione
alle differenze a coefficienti costanti, non è difficile riconoscere che il controllore R(z) che abbiamo
ricavato è equivalente alla seguente legge di controllo
uk = uk−1 + β1 ek + β2 ek−1
dove β1 e β2 sono due coefficienti che dipendono dai valori del periodo di campionamento T e dei
parametri Kp e Ti del PI analogico originario
Kp Kp
β1 = (T + 2Ti ) β2 = (T − 2Ti )
2Ti 2Ti

Questa è dunque la formula iterativa da implementare sull’unità di elaborazione per riprodurre in


forma digitale il comportamento del controllore PI analogico. Si noti che essa richiede per calcolare
il valore di uk la conoscenza del valore corrente dell’errore ek e dei valori al passo immediatamente
precedente uk−1 ed ek−1 .
Per poter valutare le prestazioni che si riescono ad ottenere con un regolatore digitale così progettato,
confrontandole con quelle del controllore analogico di riferimento. Consideriamo ora uno specifico
esempio numerico.
230 LEZIONE 37. PROGETTO DI CONTROLLORI DIGITALI

37.3.2 Un esempio illustrativo


Si supponga che il sistema da controllare sia descritto dalla funzione di trasferimento

0.2(1 − s)
G(s) =
(1 + 4s)(1 + s)(1 + 0.6s)(1 + 0.5s)

che contiene quattro poli stabili e uno zero in s = 1, cioè nel semipiano destro. È immediato verificare
che con un controllore PI analogico caratterizzato da Kp = 8 e Ti = 4

2(1 + 4s)
R◦ (s) =
s
il sistema di controllo risultante possiede i seguenti parametri

ωc ∼
= 0.4 ϕm ∼
= 24◦

Nella figura sono riportati gli andamenti dell’uscita y e della variabile di controllo u in risposta a uno
scalino unitario del riferimento quando si utilizza questo tipo di controllore.

Procediamo ora alla sintesi di un controllore digitale che ne approssimi il comportamento.

Va prima di tutto effettuata la scelta del periodo di campionamento T . La regola empirica che abbiamo
deciso di utilizzare suggerisce, visto la ωc desiderata è circa 0.4, di scegliere il valore di T nell’intervallo
π
<T <π −→ per esempio T = 0.5
10
Con le formule del metodo di Tustin derivate in precedenza è dunque facile ricavare la funzione di
trasferimento R(z) del controllore digitale

8.5z − 7.5
R(z) =
z−1

che corrisponde alla legge di controllo nel dominio del tempo

uk = uk−1 + 8.5ek − 7.5ek−1

È adesso interessante confrontare le prestazioni di questo sistema digitale con quelle offerte dal PI
analogico di riferimento, ad esempio mettendo a confronto le rispettive risposte ad uno scalino del
riferimento.
37.3. UN ESEMPIO ILLUSTRATIVO 231

Le curve gialle nella figura corrispondono al controllore digitale che, come si vede, garantisce prestazioni
del tutto simili a quelle del controllore analogico, se non per il fatto che l’andamento della variabile di
controllo u assume la tipica forma a piccoli scalini connessa all’uso di un mantenitore di ordine 0 e che
la risposta della variabile controllata y appare lievemente meno smorzata.
Quest’ultimo risultato è di carattere generale e può essere intuitivamente spiegato osservando che le
operazioni di campionamento e mantenimento necessarie nel sistema di controllo digitale introducono
una sorta di ritardo equivalente nella funzione d’anello, che contribuisce a deteriorare leggermente il
margine di fase e quindi porta a uno smorzamento in anello chiuso un po’ inferiore.
In effetti tra un istante e l’altro di campionamento il controllore digitale non riceve nessuna informazione
ed è come se operasse in anello aperto. Solo all’istante di campionamento successivo esso riceve il valore
campionato dell’errore e può modificare di conseguenza il valore della variabile di controllo. Questo
effetto negativo associato all’uso di un controllore digitale diventa ancora più evidente se si impiegano
frequenze di campionamento più basse.
Sempre rimanendo all’interno dell’intervallo raccomandato per il periodo di campionamento, potremmo
ad esempio scegliere il valore T = 3. Riprogettando il controllore digitale mediante il metodo di Tustin
si ottiene ovviamente una diversa legge di controllo

11z − 5
R(z) =
z−1
uk = uk−1 + 11ek − 5ek−1

che dall’esame delle simulazioni riportate in figura appare davvero poco soddisfacente.
232 LEZIONE 37. PROGETTO DI CONTROLLORI DIGITALI

Il comportamento dell’uscita contiene infatti oscillazioni così poco smorzate da produrre un tempo
di assestamento inaccettabilmente lungo, soprattutto a confronto con le prestazioni del controllore
originario, che sono evidenziate in figura con le curve di colore azzurro.
Potrebbe a questo punto sorgere il dubbio che il problema stia nella scelta di un periodo di campiona-
mento troppo elevato rispetto alla dinamica del sistema di controllo che si vuole realizzare. Si potrebbe
cioè pensare che non esistono controllori digitali con prestazioni accettabili se si fissa T = 3.
Che questo non sia vero può essere dimostrato apportando una modifica ad hoc al regolatore digitale
ottenuto con il metodo di Tustin. Consideriamo ad esempio la funzione di trasferimento
5.5z − 2.5
R(z) =
z−1
uk = uk−1 + 5.5ek − 2.5ek−1

ricavata dalla precedente semplicemente dimezzando il guadagno, cioè applicando un fattore moltipli-
cativo 21 .
Dalle simulazioni mostrate in figura si nota che non solo le prestazioni sono accettabili ma addirittura
per certi versi esse risultano migliori rispetto a quelle del controllore analogico, come prima riportate
in azzurro a titolo di confronto.

Lo smorzamento delle oscillazioni è per esempio decisamente maggiore e la variabile di controllo risulta
molto meno sollecitata. Questo indica che non è di per sé la scelta del periodo di campionamento ad
impedire di ottenere risultati soddisfacenti da una soluzione di tipo digitale, quanto piuttosto l’uso
combinato delle tecniche di discretizzazione e di un valore di T troppo elevato.
Del resto se ripensiamo alla logica con cui queste tecniche sono state derivate, questa conclusione appare
abbastanza scontata; infatti, se ricordate, le formule di discretizzazione sono basate sull’approssima-
zione numerica di alcuni integrali; approssimazione che ovviamente diventa sempre più scadente al
crescere del passo di integrazione.
A conclusione di questo esempio è importante mettere in luce alcuni aspetti di carattere generale
 per frequenze di campionamento sufficientemente elevate il controllore digitale ottenuto dalla
procedura di discretizzazione garantisce prestazioni molto simili a quelle del controllore analogico
di riferimento.
Eventualmente il lieve deterioramento dello smorzamento implicito in una realizzazione digita-
le può essere compensato progettando fin dall’inizio il controllore analogico con un’adeguata
eccedenza di margine di fase.
 In secondo luogo abbiamo osservato che le tecniche di discretizzazione non sempre sono applicabili
con successo quando il periodo di campionamento è relativamente grande.
37.3. UN ESEMPIO ILLUSTRATIVO 233

 In questo caso diventa preferibile fare ricorso a metodi di progetto differenti, in particolare quelli
basati sul cosiddetto approccio a tempo discreto a cui avevo brevemente accennato all’inizio di
questa lezione, ma questo argomento è al di là degli scopi di questo corso e dunque non verrà qui
ulteriormente approfondito.

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