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Cannizzaro Paolo Danilo

I lezione Prof. A. Cianci 1

Anatomia dell’apparato genitale femminile

Farò una lezione introduttiva sull’apparato genitale femminile e l’endometriosi.

L’utero e le tube provengono dalla fusione dei dotti di Muller, che si fondono e attraverso questa fusione si
formano l’utero, i due terzi superiori della vagina e le tube. Quando c’è un’alterazione della fusione di
questi dotti di Muller, avremo delle malformazioni utero-vaginali. Invece la vulva ed il terzo inferiore della
vagina originano dal tubercolo genitale.

Come riconosciamo che l’immagine è la faccia posteriore dell’utero?

Dalle ovaie! Il legamento utero-ovarico si inserisce nel margine posteriore del fondo dell’utero. All’apice del
fondo dell’utero si innesta la tuba (istmo, ampolla ed infundibolo). Nella parte anteriore, invece, c’è il
legamento rotondo dell’utero. Nella faccia posteriore dell’utero riconoscete anche i legamenti utero-
sacrali, che partono dalla parete posteriore, a livello del passaggio tra corpo e collo (di questo collo c’è una
porzione intravaginale, no?). Quindi l’utero ha una porzione intraaddominale, intraperitoneale, che è il
corpo, i legamenti e al di sotto avremo il cavo del Douglas e, anteriormente, c’è la plica vescico-uterina. Al
di sotto della cavità addominale fuoriesce il collo dell’utero.

Notiamo ancora il legamento largo dell’utero, che è questo foglietto peritoneale (questa metà) che è
ricoperto da un altro foglietto dall’altro lato che ricopre, non le ovaie che sono libere, strutture vascolari,
l’uretere, innervazioni, l’arteria uterina e così via, che decorrono fra le pagine del legamento largo. Le tube
e le ovaie sono completamente libere. La porzione più distale della tuba si comporta come un
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aspirapolvere, cioè con queste fimbrie si distende sulla superficie dell’ovaio e, al momento dell’ovulazione,
aspira l’ovocita, che fuoriesce dalla parete dell’ovaio. 2
L’utero in gravidanza va incontro a numerosissime modificazioni: l’utero normalmente misura 6-7 cm e
pesa circa 80g mentre a termine di una gravidanza diventa 32 cm e subisce un aumento così importante
della sua struttura che arriva a pesare 700-800g (senza annessi all’interno, cioè feto, liquido amniotico e
placenta).

Questa immagine servirà a ricordarci i rapporti anatomici: al davanti dell’utero c’è la vescica e
posteriormente, attaccato al canale cervicale, c’è il retto e quindi questa contiguità anatomica è tale per cui
alla fine l’orificio vaginale e l’ano sono distanti 8 cm l’uno dall’altro. Al di sopra, se risalite di qualche
centimetro nella parte più interna, canale cervicale e retto sono attaccati, questo ve lo dico perché è
importante quando parleremo dell’endometriosi.

Nella vulva, invece, abbiamo il clitoride, le piccole labbra, le grandi labbra, sbocco uretrale e l’introito della
vagina. Quello che intendo farvi notare è che nello spessore delle grandi labbra sboccano delle ghiandole, le
ghiandole che hanno una funzione di determinare il trofismo vaginale, fornire tutti gli elementi che servono
per la riproduzione, per far trovare agli spermatozoi un terreno vitale per la sopravvivenza. Nello spessore
delle grandi labbra c’è il condotto della ghiandola di Bartolino. Alcuni medici confondono l’ascesso della
ghiandola di Bartolino con un ascesso ad un follicolo pilifero. Tutti i follicoli piliferi si possono
ascessualizzare, ma l’ascesso del condotto escretore della ghiandola di Bartolino si può formare solo nello
spessore delle labbra, lateralmente alla “forchetta”. Noi chiamiamo forchetta, volgarmente, quello che si
chiama fossa navicolare, che non è altro che la parete posteriore dell’introito della vagina.

Nello spessore delle piccole labbra si forma una piccola massa, dolorosissima, perché è un ascesso in una
zona altamente innervata, molto sensibile, ed è diversa dalla cisti sebacea, dalla cisti da inclusione. Quindi
già voi, da studente, capite che nello spessore delle piccole labbra ci può essere solo un ascesso della
ghiandola di Bartolino o una cisti, ovviamente. Perché si forma l’ascesso? Perché il dotto escretore della
ghiandola si occlude, le secrezioni ristagnano dentro il condotto escretore, quest’ultimo si dilata, si infetta
e si forma l’ascesso.

Un’altra patologia di facile riconoscimento è quella dell’imene imperforato.

Il professore racconta un aneddoto di una ragazza con una cisti ovarica, che doveva essere operata. La ragazza era in amenorrea, ma aveva tutti i
caratteri sessuali secondari ben formati. Nessuno l’aveva visitata ed aveva proprio l’imene imperforato.
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L’introito della vagina chiuso da una membrana bluastra, in tensione,


quindi una donna ha fortissimi dolori, perché il sangue mestruato (la 3
ragazza di prima, quindi, aveva avuto il menarca regolarmente) non
era potuto defluire all’esterno, per cui si era formato un ematocolpo,
vuol dire sangue in vagina, ed ematometra, cioè raccolta di sangue
dentro l’utero.

Basta fare una piccola incisione per risolvere il quadro clinico (come
vedete in figura).

Qui potete vedere i diversi tipi di imene.

Cominciamo i quadri di anomalie dell’apparato genitale con l’agenesia della vagina ed in parte c’è
l’agenesia dell’utero, questa si chiama Sindrome di Rokitansky, dove avremo, in senso antero-posteriore,
l’osso pubico, la vescica, il retto ed in mezzo ci dovrebbe essere la vagina, invece questo spazio è sostituito
da tessuto connettivale e si fanno degli interventi di neovagina, con trapianti di cute o porzioni di intestino.

La porzione dell’utero che sporge in vagina, che noi chiamiamo portio, che mettiamo in evidenza
utilizzando lo speculum, si modifica in base alla nulliparità o multiparità della donna.

Altro concetto importante è conoscere la struttura muscolare e vascolare. L’utero è un organo che deve
crescere parallelamente alla crescita del bambino, quindi deve essere molto vascolarizzato; è un muscolo
involontario, che deve rimanere rilasciato per tutto il tempo che serve e poi, quando si raggiunge la
maturazione completa, si deve contrarre per favorire il parto. Per questo motivo, ci sono strutture
muscolari che sono spiraliformi, avvolgono in maniera circolare l’utero in tutte le direzioni.

Per quanto riguarda la struttura vascolare, andiamo a guardare le strutture della parete dell’utero, cioè
endometrio e miometrio. Noi abbiamo le arteriole, arterie spiraliformi, che si formano nello spessore del
miometrio ed i capillari superficiali. Questa vascolarizzazione dipende dal fatto che l’utero deve essere
sempre pronto ad accogliere una gravidanza. Quindi ogni mese, quando c’è una mestruazione, c’è stata una
possibile ovulazione, un possibile concepimento ed un possibile embrione che si deve impiantare in questa
superficie e ha bisogno di sostanze nutritive immediatamente. Quindi, le arterie più importanti sono quelle
spiraliformi, importanti dal punto di vista funzionale, perché l’endometrio ogni mese sfalda e se ne forma
uno nuovo.
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Andiamo ora a vedere i mezzi di fissità:


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 Legamenti rotondi si trovano nella parete anteriore dell’utero e danno all’organo una posizione
ben definita, che è l’antiflessione, cioè l’utero è come una campana, ma deve essere antiflessa.
Una piccola porzione di donne ce l’hanno retroflessa. Ma qual è la motivazione dell’antiflessione
fisiologica? Se l’utero è antiflesso, la forza di gravità spingerà l’utero sull’osso pubico. Se, al
contrario, l’utero non fosse flesso, ma fosse indirizzato nella stessa linea del canale vaginale, la
forza di gravità spingerebbe l’utero verso il basso e avremmo un prolasso. Il legamento rotondo
non ha una funzione di fissità, stabilità all’utero o agli organi pelvici, ma ha l’esclusiva azione di dare
all’utero una flessione anteriore;
 Legamenti di Mackenrodt, che sono delle strutture che partono lateralmente al collo dell’utero e si
dirigono verso la pelvi;
 Legamenti sacro-uterini sono dei legamenti che partono dalla parete posteriore dell’utero e si
dirigono verso la IIIS e IVS.

Altro concetto importante è l’irrorazione. L’arteria uterina è l’arteria principale che irrora l’utero, entra a
livello dell’istmo e si sfiocca in due rami, un ramo ascendente e un ramo discendente, sempre scorrendo nel
margine dell’utero. Il ramo discendente si chiama arteria cervicale. Il ramo ascendente si anastomizza con
l’arteria utero-ovarica. Ricordate che l’arteria uterina è un ramo dell’arteria iliaca, ramo dell’iliaca comune.
C’è un’irrorazione importante, perché è finalizzato alla gravidanza: l’utero deve essere riccamente
vascolarizzato per sopperire alle esigenze nutrizionali di un’eventuale gravidanza.

Andiamo alle malformazioni. Vi ho detto la mancata o parziale fusione dei dotti di Muller porta alle
malformazioni più comuni. Questa schematizzata è un utero doppio con vagina doppia.

I due cordoni di Muller si sono accostati, ma non si sono fusi. Questa donna ha due vagine e due uteri.
L’introito della vagina, quindi, mostrerà due portio, con due ingressi agli uteri. Queste fusioni possono
essere parziali, nella stragrande maggioranza dei casi la vagina è unica e quella che è incompleta è la
fusione dei corpi uterni. Per esempio, è raro che ci siano due vagine con un solo utero, di solito è il
contrario. A volte si può avere un utero, con una cavità vaginale non comunicante all’esterno. Avremo,
quindi, un ematocolpo con ematometra.
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Abbiamo diversi tipi di malformazioni: l’utero bicolle bicorne separato (didelfo) [figura B]; l’utero bicorne
unicolle [figura C], in cui si sono fusi i colli dell’utero ma ci sono due emiuteri; poi c’è l’utero unicorne, 5
[figura F] ovvero si forma un solo colle dell’utero. Le anomalie più comuni, comunque, sono l’utero setto,
completo o incompleto (sub-setto), rispettivamente figure D ed E, cioè esiste un unico utero con un grande
o piccolo setto all’interno. Queste sono cause di infertilità, perché parte della cavità uterina è occupata da
questo setto, per cui la gravidanza non ha facilità di andare avanti.

Nota personale: La terapia è chirurgica, ormai l’utero setto è correggibile per via laparoscopica, si seziona il
setto per tutta la sua lunghezza fino quasi al piano interostiale (i setti completi coinvolgenti il collo non
vanno incisi a livello cervicale per rischio di incontinenza cervicale iatrogena).

Da notare la struttura ultramicroscopica delle salpingi, la mucosa è costituita da questa finissima rete di
villi, ghiandole, che assicurano agli spermatozoi e ovocita (perché è qui che avviene l’incontro) l’incontro e
la sopravvivenza dei gameti. Questa finissima ultrastruttura deve essere mantenuta, se viene danneggiata
da un processo infiammatorio, ci potrà essere un tipo di infertilità tubarica. Questa potrà essere dovuta,
quindi, ad un processo infiammatorio, come per esempio nella malattia infiammatoria pelvica, che si
instaura a partire dalle infezioni vaginali, oppure l’ultrastruttura potrebbe essere danneggiata
dall’endometriosi.

L’ovaio è una struttura di pochi centimetri, pari, noi abbiamo una struttura esterna, l’albuginea, e la
corticale, costituita da 7-8 mm di spessore. Tutto il patrimonio genetico ovocitario della donna si trova in
questa struttura, la corticale, sulla superficie esterna dell’ovaio. Qui è schematizzata la maturazione del
follicolo e, all’interno dell’ovaio, c’è la midollare, dove si trova l’arteria ovarica e vena ovarica.

Come è mantenuto in posizione l’ovaio? L’ovaio da un lato è mantenuto in posizione dal legamento
infundibolo-pelvico, dove decorre l’arteria ovarica, quindi dal polo laterale dell’ovaio; il polo mediale è
fissato attraverso il legamento utero-ovarico. Poi, l’ovaio non è ricoperto da peritoneo, ma il mesovario è
anche una struttura di fissità. Le dimensioni dell’ovaio cambiano in funzione con le fasi della vita: in
menopausa sono piccole e atrofiche, durante la vita fertile sono più grosse.

Il professore fa rivedere questa immagine per ripassare l’anatomia descritta prima:


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Una struttura importante di sostegno della pelvi è la fascia endopelvica e la fascia pubovescicale, che
ricopre il pube, l’utero, il cavo del Douglas e gli ispessimenti della fascia endopelvica costituiscono i 6
legamenti di sospensione (che verranno ripresi nella lezione sul pavimento pelvico), insieme ai muscoli
cardine del pavimento pelvico: m. elevatore dell’ano, con i suoi fasci, m. pubo-uretrale, m. pubo-coccigeo,
m. ischio-pubico.

Endometriosi

L’endometriosi è l’impianto ectopico di endometrio al di fuori dell’utero, che risponde agli stimoli ormonali
del normale endometrio. Se noi intercettassimo questa patologia alla pubertà, non trascurassimo i sintomi,
la donna potrà avere una vita normale. Al contrario, questa patologia come minimo darà una cisti ovarica,
quindi la donna si gioca l’ovaio, o, se l’impianto avverrà nella tuba, la donna diventerà infertile; nella parete
vaginale, verrà inficiata la vita sessuale di coppia; in qualunque posto verrà distorta la normale anatomia
della zona interessata.

Quindi abbiamo detto che è una patologia estrogeno-dipendente e colpisce le donne in età fertile, perché
gli estrogeni la donna, ovviamente, li produce durante il ciclo ovarico. Il progesterone è l’ormone che viene
prodotto dalle cellule luteiniche e, come sua attività principale, ha quella anti-estrogenica, cioè per
definizione il progesterone è l’antagonista dell’estrogeno. L’estrogeno deve far proliferare l’endometrio,
dopo la mestruazione e, aumentando gli estrogeni, aumenta lo spessore dell’endometrio, dove troviamo le
arteriole spiraliformi, capillari, ghiandole dell’endometrio, tessuto stromale e connettivale. Se non arrivasse
il progesterone, questo endometrio crescerebbe all’infinito.

L’endometriosi è correlata anche ad un aumento dell’espressione dell’aromatasi. Per cui, la donna non solo
ha estrogeni non sufficientemente contrastati dal progesterone, perché c’è una resistenza a questo
progesterone, ma c’è un’attività estrogenica dentro i focolai endometriosici, dopodiché c’è anche una
risposta infiammatoria locale. Infine, all’interno dei focolai endometriosici si formano fibre sensibili che
creano particolare dolore.

Patogenesi della malattia


Il primum movens dell’endometriosi è la mestruazione retrograda. Durante la mestruazione, anziché il
normale deflusso delle cellule sfaldate in vagina, quindi all’esterno, e sangue, una piccola quota ritorna
indietro e, attraverso le tube, cade in cavità peritoneale. La sede più frequente di focolaio di tessuto
endometriosico sono i legamenti utero-sacrali, che come vi ricordate si trovano in fondo, dove c’è il cavo
del Douglas.

L’endometriosi si può localizzare in qualsiasi posto: ovaio, soprattutto di sinistra, perché a sinistra abbiamo
il sigma, quindi, poiché all’interno della cavità peritoneale ci sono dei fluidi dove cadono questi piccoli
frammenti di endometrio, c’è una corrente in senso orario e, questo fluido contaminato, nella parte sinistra
trova un ostacolo, che è il sigma. Tutto questo predispone all’impianto di endometrio ectopico.

Perché l’endometriosi possa instaurarsi è necessario che ci sia uno stato infiammatorio. Quest’ultimo è
dato dalla presenza di metallo proteinasi e fattore del plasminogeno che degradano la parete peritoneale e
permettono l’impianto dell’endometrio ectopico. Quindi non è la semplice caduta che permette l’impianto,
ma ci devono essere questi enzimi che alterano la struttura cellulare del peritoneo e consentono, come se
divaricassero le porte, l’impianto.
Cannizzaro Paolo Danilo

Il secondo step è dato dalla presenza del VEGF (Vascular Epitelial Growth Factor), cioè fattori di crescita
della vascolarizzazione. Questa è la patogenesi più accettata della patologia. 7
Affinché questo avvenga, ci devono essere anche altri fattori. Una predisposizione familiare, infatti,
condiziona l’insorgenza della malattia. Infatti la predisposizione familiare permetterebbe una aumentata
resistenza al progesterone e overespressione dei geni promoter per i recettori degli estrogeni. Quindi, in
realtà, non c’è un aumento dei livelli ematici di estrogeni ma un’aumentata sensibilità dei recettori degli
estrogeni, che porta ad una riduzione dei recettori per il progesterone. Quindi, c’è uno sbilanciamento tra
questo assetto ormonale.

Fatta questa ampia premessa, andiamo al quadro clinico. La donna avrà dismenorrea severa, dolore
pelvico cronico, che si esacerba in alcune fasi del ciclo, prevalentemente fase pre-mestruale; dispareunia,
se per esempio il focolaio si trova nella zona retto-vaginale, è un dolore tipico della penetrazione profonda,
a causa anche della ricchissima innervazione, non solo fisiologica, ma anche innescata dall’endometriosi
stessa; per ultimo, infertilità, uno dei sintomi a cui non si dovrebbe arrivare.

La terapia medica non deve assolutamente essere sospesa. Possiamo creare una pseudogravidanza, in cui
prevalgono i progestinici, oppure possiamo creare una pseudo menopausa. Dato che l’endometriosi è
estrogeno-dipendente, mettiamo la donna in menopausa farmacologica e la donna non avrà più sintomi. La
terapia più efficace sono i progestinici. Ma non si possono usare solo i progestinici, quindi si può creare uno
stato pseudo gravidico con i progestinici, ma poi lo stato deve essere mantenuto con gli estro progestinici,
che assicura un mantenimento del trofismo tissutale. Il trattamento sintomatico, poi, è la terapia
addizionale, come il FANS, che può essere un trattamento sintomatico, ma che non è un trattamento che
può arrestare il decorso della malattia.

Al Congresso Mondiale sull’Endometriosi di Montpellier sono stati sanciti i principi di terapia


dell’endometriosi, di prima, seconda e terza linea. I trattamenti di prima linea sono i progestinici, da soli,
perché danno blocco totale della crescita dell’endometrio e blocco dell’asse ipofisi-ipotalamo-ovaio, oltre
ad avere un’azione antiinfiammatoria, oppure i contraccettivi orali combinati, a prevalente rima
progestinica, in cui c’è una piccola quota di estrogeni, che servono al benessere della donna, e che non è
capace di far crescere l’endometrio, oltre agli analgesici (ricordandoci che con gli analgesici trattiamo il
sintomo, non la malattia). I trattamenti di seconda linea sono quei trattamenti con una buona valenza di
efficienza, ma sono secondari ai primi. Tra questi, gli analoghi del GnRH, creando uno stato di menopausa
transitorio, gli analgesici oppioidi, i contraccettivi per anello vaginale o cerotti, o progestinici. I trattamenti
di terza linea sono inibitori dell’aromatasi, che trasforma gli androgeni in estrogeni, che vengono utilizzati
anche nel cancro della mammella; modulatori selettivi per il recettore del progesterone (mifepristone,
RU486), togliendo all’utero l’azione del progesterone; farmaci anti-angiogenici.

Il professore mostra i benefici del medrossiprogesterone acetato, che abbassa i livelli dell’aromatasi, lo
stato infiammatorio, blocca la stimolazione estrogenica. Ovviamente il trattamento con soli progestinici
predispone ad effetti collaterali quali secchezza vaginale, cefalea, quindi è necessario che venga scelto il
progestinico a minore attività androgenica ma poi bisogna passare a trattamenti prolungati, rappresentati
dagli estro progestinici, che non hanno come prima indicazione l’endometriosi, ma che svolgono la stessa
azione, la donna che li assume sta benissimo, si adatta e risolve tutti i problemi.

Il professore mostra uno studio come una donna con dismenorrea, trattata con un contraccettivo orale,
aveva un valore della verbal rating scale (un parametro per valutare il dolore) da 4.4 a 2.4. Questo funziona
in un buon 60% dei casi, ma ci sono un 40% di donne che non risponde a questo trattamento. Allora,
Cannizzaro Paolo Danilo

anziché sospendere la pillola, si è provato a fare un trattamento per sei mesi, senza sospenderla. Questo
determina un abbassamento dei valori del dolore. 8
Dopodiché il professore mostra un loro studio: abbiamo dimostrato come solo il 28% delle donne aveva un
vantaggio sull’uso della pillola in un periodo limitato. Abbiamo, poi, prolungato l’uso della pillola prima a 62
e poi a 144 giorni, la percentuale di soggetti che hanno avuto il miglioramento si avvicina all’84%. Questo
significa che l’uso della pillola continuato dà più o meno lo stesso risultato del progestinico utilizzato da
solo (con effetti collaterali dovuti al progestinico da solo ridotti).

Il trattamento chirurgico viene riservato solo alle donne che non rispondono alla terapia medica. Oggi si
dice che prima bisogna ricorrere alla terapia medica, solo con la sintomatologia.

Il professore mostra uno studio di un giapponese con 87 pazienti, operate di endometriosi. Di queste, un
gruppo non ha fatto terapia con i contraccettivi orali dopo l’intervento, un altro gruppo li ha presi solo
durante il periodo di osservazione (due anni), un gruppo li ha presi e poi li ha interrotti. Del gruppo che li ha
presi per l’intero periodo, su 34 pazienti una sola ha avuto una recidiva. Nel gruppo che li ha interrotti le
recidive sono state due. Nel gruppo che non ha mai fatto trattamento, sono stati 17 su 33, poco meno della
metà. Questo dimostra l’importanza della terapia medica.

Le linee guida indicano che la terapia con contraccettivi orali deve essere effettuata prima o dopo la
chirurgia esplorativa in laparoscopia, anche senza di quest’ultima. L’endometriosi è una malattia cronica,
con alta incidenza, quindi intercettare la malattia subito consente di non farla evolvere.
Cannizzaro Paolo Danilo

II lezione Prof. U. Mangano 9

La lezione di oggi è sul monitoraggio fetale. Mentre trent’anni fa non avevamo dei mezzi per poter seguire
lo sviluppo intrauterino del feto, oggi abbiamo un mezzo fondamentalissimo: l’ecografia, come se avessimo
un occhio dentro l’utero e seguire passo dopo passo nelle varie settimane di gestazione, lo sviluppo
dell’embrione e degli annessi fetali.

La visita è altrettanto importante, però attraverso l’ecografia abbiamo uno strumento non invasivo, non
provoca danni e possiamo seguire l’accrescimento e fare diagnosi di malformazioni intrauterine. Perché
queste ultime sono importanti? Sia per un timing del parto, per esempio, se noi vediamo una grossa
malformazione cardiaca, il parto lo si fa in un centro dove c’è una cardiochirurgia, che per la salute del
nascituro.

L’altra metodica importante è la cardiotocografia, che ci permette di monitorizzare la frequenza cardiaca


istantanea del feto e di visualizzare la presenza/assenza di contrazioni uterine. Mettendo insieme questi
due fattori, noi possiamo dire se durante un travaglio il feto è in buona salute, quindi non c’è una
sofferenza fetale acuta, o se c’è una sofferenza fetale, quindi espletare il parto.

Tramite l’ecografia adesso possiamo stabilire il momento dell’ovulazione: quando il follicolo raggiunge le
dimensioni di 22-25 mm dentro l’ovaio.

ECOGRAFIA DEL I TRIMESTRE

Quali sono i parametri che andiamo a valutare:

 Se presente o assente una camera ovulare in cavità uterina. Importante perché se è assente una
camera ovulare con un βhCG elevato, possiamo fare diagnosi di gravidanza extrauterina.
L’embrione si può annidare nella tuba o nel collo dell’utero (gravidanza cervicale), nella pregressa
cicatrice di un taglio cesareo, e queste non andranno avanti: i villi andranno a erodere la parete
dell’utero, perché la cicatrice non è uno strato spesso come l’endometrio, quindi con perforazione
dell’utero con grosse conseguenze.
 Identificazione dell’embrione. Ci possono essere un embrione, due embrioni o assenza
dell’embrione. Se abbiamo una camera ovulare a VIII settimane, la camera ovulare deve avere
l’embrione. Se non vediamo l’embrione, facciamo diagnosi di uovo chiaro, una patologia del I
trimestre in cui si sviluppano tutti gli annessi embrionali, ma dentro non c’è l’embrione. Anche
questa è una gravidanza patologica, con βhCG aumentato. Quindi se noi facessimo diagnosi di
gravidanza solo con i livelli di βhCG, senza l’ecografia, diremo che è una gravidanza in normale
evoluzione.
Dobbiamo anche cercare l’attività cardiaca dell’embrione. Se vediamo l’embrione senza attività
cardiaca, può essere un aborto interno.

Nel I trimestre andiamo a fare una sonda endovaginale, in quanto avremo una visione più chiara delle
strutture all’interno dell’utero.

Non andiamo a d utilizzare il Doppler pulsato, perché si è visto che non conviene mandare le onde del
Doppler nel I trimestre, basta solo vedere l’attività cardiaca
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 Andiamo a valutare gli annessi, soprattutto le ovaie. Se c’è, per esempio, una cisti ovarica o corpi
lutei cistici, che possono raggiungere i 5 cm di diametro. 10

Indicazioni a fare altre ecografie nel I trimestre:

 Perdite ematiche vaginali


 Dolore pelvico
 Datazione

Perché ci può essere un distacco della camera ovulare ed avere una minaccia d’aborto. Quando ci sono
perdite ematiche vaginali in gravidanza (evidenza 2A, livello di raccomandazione A), se c’è una discrepanza
tra volume uterino e peso per l’età gestazionale, perché ci può essere la presenza di un fibroma e, facendo
l’ecografia, possiamo vedere quello che alla visita ci poteva sembrare una gravidanza al III mese, mentre è
alla VI settimana, perché molte volte dalla sola visita non distinguiamo un fibroma intramurale da uno
sviluppo della camera ovulare. Solo l’ecografia ci può dire che la discrepanza deriva da patologie uterine.

La datazione, inoltre, è importantissima perché la donna può scambiare una perdita ematica per una
mestruazione. Quindi la datazione rimane un’indicazione per l’ecografia del I trimestre. In caso ci sia una
discrepanza fra data dell’ultima mestruazione e lunghezza dell’embrione, fa fede la lunghezza
dell’embrione. Esempio: se dalla data della mestruazione la gravidanza è di VIII settimane, mentre
l’embrione è di VI settimane all’ecografia, noi ridatiamo la gravidanza, diciamo che non fa fede più la
mestruazione, ma l’ecografia.

Nel I trimestre possiamo anche fare diagnosi di alcune delle malformazioni fetali. Un esempio lampante è
l’anencefalia, cioè se manca l’encefalo, al I trimestre possiamo fare diagnosi, che con la sola visita non ce ne
accorgeremmo. Inoltre, per la richiesta di diagnosi prenatale invasiva, perché le donne che fanno la
villocentesi, è richiesta una datazione ecografica della gravidanza prima di questa metodica.

Altre indicazioni sono nelle pazienti a basso rischio, di routine, di screening, per poter datare la gravidanza.

Ma cosa andremo a misurare nel I trimestre con l’ecografia?

 Innanzitutto la camera ovulare. Se noi facciamo l’ecografia alla VI settimana l’embrione non lo
visualizziamo bene. Allora, come indagine biometrica, per stabilire l’epoca gestazionale, non
abbiamo la misura dell’embrione, ma possiamo basarci sulla misura della camera ovulare.
Prendiamo le tre misure della camera ovulare e possiamo anche calcolare il volume della camera.
Naturalmente, in base alla determinazione delle misure della camera ovulare esistono delle curve
biometriche standard e potremmo stabilire se la camera ovulare corrisponde o meno all’epoca
gestazionale;
 L’altro parametro che potremo andare a misurare è il sacco vitellino. Ovviamente per vedere le tre
dimensioni della camera ovulare faremo due scansioni, una longitudinale, mediana e paramediana,
e una scansione trasversale, dove andremo a misurare il massimo diametro.
 Quando compare l’embrione, andiamo a misurare la lunghezza cranio-caudale (CRL crown-rump
lenght) dell’embrione. Ovviamente rispetto alla camera ovulare, la misura è molto più precisa,
avremo un margine di errore di 3-4 giorni. Anche se non sappiamo il giorno dell’ultima
mestruazione, possiamo stabilire quasi con certezza l’epoca gestazionale. Quando noi misuriamo
l’embrione, ovviamente possiamo fare diagnosi immediatamente di anencefalia (VIII-IX settimane),
oltre a valutare l’attività cardiaca ed i movimenti dell’embrione.
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Anche per la lunghezza cranio-caudale dell’embrione avremo delle curve di riferimento standard, oggi sono
inserite nel software dell’ecografo. Misurando il CRL, avremo la corrispondenza della settimana di 11
gestazione.

In caso di gravidanze plurime, possiamo capire se è una gravidanza monocoriale o bicoriale o


monoamniotica o biamniotica già dal I trimestre. Perché è importante definire ciò? Perché la gravidanza
monocoriale e monoamniotica è più ad alto rischio, perché ci possono essere delle complicanze
nell’evoluzione della gravidanza (es. sequestro di circolo, per cui un feto cresce bene e l’altro no). Per cui è
importante sapere sin dal I trimestre il tipo di gravidanza. Anche per una gravidanza gemellare, bisogna
valutare l’attività cardiaca di entrambi gli embrioni, quindi bisogna sempre attenzionare l’attività cardiaca
di entrambi gli embrioni.

 Nel I trimestre facciamo anche la translucenza nucale. Noi possiamo fare diversi screening per
vedere se c’è una maggiore possibilità di cromosomopatie. Ci sono delle indagini invasive, quali
villocentesi ed amniocentesi, ed indagini non invasive, in cui si effettua la misurazione della
translucenza nucale. Noi misuriamo il tessuto sottocutaneo a livello della nuca dell’embrione. Si è
visto che nelle cromosomopatie, specialmente trisomia 21, lo spessore del sottocute della nuca è
aumentato (cut off 1.5mm).

Se c’è rischio, di solito si fa un’amniocentesi. Se l’algoritmo dimostra un basso rischio, c’è una bassa
incidenza di cromosomopatie. Ovviamente bisogna avere molta esperienza nell’effettuare questa ecografia,
che di solito si fa transaddominale, ma se ci sono dei dubbi si può fare anche transvaginale. Questa indagine
deve essere effettuata tra la XI e la XIII settimana.

L’esame ecografico del I trimestre non ha come finalità l’eventuale ricerca di malformazioni. L’unica
malformazione che possiamo vedere è l’anencefalia, perché l’embrione è molto piccolo. Quindi, anche dal
punto di vista medico legale, ci sogniamo di fare diagnosi di malformazioni al I trimestre.

 Al I trimestre possiamo fare diagnosi di aborto interno. Se una gravidanza si è fermata per esempio
da quattro giorni, alla visita valuteremo un utero che corrisponde all’epoca gestazione. Solo con
l’ecografia possiamo valutare l’attività cardiaca, quindi se non si visualizza l’attività cardiaca in un
embrione con una lunghezza ≥ 5 mm, parleremo di aborto interno. Mentre per via transvaginale ci
basta una lunghezza di 5 mm, per via transaddominale avremo bisogno di una lunghezza di almeno
10 mm, perché l’immagine è mal definita.
Cannizzaro Paolo Danilo

 Diagnosi di gravidanza extrauterina. Potremo avere dei segni diretti e indiretti. Un segno
ecografico diretto è la visualizzazione della camera ovulare non dentro l’utero ma per esempio 12
nella tuba, per cui faremo diagnosi di gravidanza extrauterina. Potremmo anche vedere (raro)
l’attività cardiaca dentro la tuba, prima che questa si rompa. Poi ci sono dei segni indiretti, che il
test è positivo, un βhCG molto alto, tumefazione a livello della tuba, indirettamente sospettiamo
che c’è una gravidanza extrauterina. La diagnosi con certezza si fa solo con l’ecografia. Quando non
c’era l’ecografia, le gestanti arrivavano in shock emorragico; adesso facciamo una terapia
antiproliferativa col metotrexate per evitare l’intervento chirurgico o, se non risponde alla terapia
farmacologica, facciamo l’intervento in laparoscopia, ma rarissimamente (per fortuna) ora vediamo
una donna in shock emorragico.

ECOGRAFIA DEL II TRIMESTRE

L’ecografia del II trimestre viene anche chiamata morfologica, perché nel secondo II trimestre il feto è
molto più sviluppato e molti organi possono essere visualizzati.

Se non abbiamo un’ecografia del I trimestre, possiamo datare la gravidanza, con un indice di precisione
meno preciso rispetto al I trimestre.

Le indicazioni sono:

 diagnosi prenatale invasiva (raccomandazione C)


 paziente in assenza di indicazione specifica
 biometria fetale
 valutazione collo dell’utero, nei casi di minaccia di parto prematuro

Mentre nella valutazione del I trimestre andavamo a misurare solo la CRL, nel II trimestre dovremo andare
a misurare moltissime cose:

 Nell’estremo cefalico la misura del diametro biparietale e circonferenza cranica. Misura del trigono
ventricolare. Queste sono misure importanti per la biometria e diagnosi precoce di alcune
malformazioni. Misuro, inoltre, il diametro trasverso del cervelletto e visualizzo le orbite;
 Si fa una scansione longitudinale della colonna, per fare diagnosi di spina bifida;
 Nel torace si devono visualizzare i polmoni, il situs cardiaco, studio del diaframma, scansione delle
quattro aree cardiache e valutazione del flusso vascolare (destro e sinistro);
 Nell’addome si misura la circonferenza addominale, visualizziamo stomaco e parete addominale
anteriore. Lo stomaco lo vediamo perché è pieno di liquido che il feto ingoia. Se non vedo lo
stomaco, molto probabilmente c’è un’atresia dell’esofago . Bisogna visualizzare vescica e reni,
bacinetti renali e la morfologia (attenzionare se c’è una dilatazione, per esempio per un’ostruzione
dell’uretere) del giunto pielo-ureterale;
 Ossa lunghe dei quattro arti, estremità, senza identificazione delle dita; non solo dobbiamo
valutare la lunghezza, ma anche la deformità e se ci sono displasie scheletriche.

Non ci si può astenere di visualizzare uno di questi organi. Se il bambino nasce con una malformazione dei
precedenti organi, scatta la denuncia.
Cannizzaro Paolo Danilo

Nel II trimestre poi evidenziamo il numero dei feti, presenza/assenza dell’attività cardiaca e, molto
importante, la localizzazione della placenta. Se c’è una placenta previa (placenta che si trova impiantata 13
nel collo dell’utero, quindi il parto naturale non potrà avvenire) possiamo fare diagnosi solo con l’ecografia.
Inoltre dobbiamo fare una valutazione del liquido amniotico (poliidroamnios o oligoamnios).

Ovviamente se c’è qualche dubbio, non si esegue il protocollo normale di controllo (tre ecografie), qualche
rischio anamnestico, se c’è familiarità per qualche deformazione, qualche alterazione del liquido amniotico,
sottoponiamo la gestante ad un controllo più accurato. Questo perché al V mese posso avere un bacinetto
renale normale, alla XXXII settimana avere la patologia, perché alle malformazioni fetali non corrisponde
un’estrinsecazione databile.

Per quanto riguarda il SNC, la sensibilità dell’ecografia è dal 68% al 92%. Per quanto riguarda l’apparato
scheletrico, diminuisce, dal 18% al 52%. Lo stesso per l’apparato cardiovascolare.

Lo studio dell’anatomia fetale è condizionato da molti fattori e possiamo avere delle difficoltà alla
visualizzazione e queste difficoltà sono: l’epoca di gestazione; la variabilità dell’organogenesi; le indicazioni
all’esame; lo spessore della parete addominale; l’esperienza dell’operatore; quantità del liquido amniotico.
Per cui, dal punto di vista medico-legale, dobbiamo refertare che abbiamo avuto difficoltà e mandiamo la
gestante alle strutture di II livello, dove hanno strumenti di ricostruzione tridimensionale, ecc.

Nel II trimestre abbiamo degli indicatori di sospetto per cromosomopatie (soft markers): edema murale;
cisti dei plessi corioidei; ventricolomegalia cerebrale borderline; iperecogenicità dei muscoli papillari a
livello cardiaco; iperecogenicità intestinale; pielectasia; cisterna magna ampia; femore e/o omero corto. Se
vedo uno di questi segni mi devono far insospettire una cromosomopatia e, se ci sono più segni, si consiglia
una amniocentesi.

ECOGRAFIA DEL III TRIMESTRE

Si effettua dalla XXX alla XXXII settimana e le indicazioni sono: rischio anamnestico di patologia della
crescita fetale; perdite ematiche vaginali; sospette patologie del liquido amniotico e di inserzione
placentare; sospette malformazioni a carattere evolutivo; gravidanza >41 sett.; gravidanza a basso rischio in
assenza di indicazione specifica.

Normalmente si fa per la crescita fetale e per la valutazione del liquido amniotico, ma ovviamente ci può
servire come monitoraggio per una malformazione o un difetto di accrescimento. Queste misurazioni
devono essere fatte dallo stesso operatore e dallo stesso apparecchio, perché si andrà a valutare se c’è un
arresto di crescita e questo feto si deve fare nascere.

È possibile anche fare una flussimetria, ovvero uno studio del flusso dei vasi ombelicali e capire se c’è
un’insufficienza cronica fetale e misurare l’indice di pulsatilità dei vasi fetali, materni ed annessiali.

Con l’ecografia possiamo vedere la presentazione (anche se si può valutare con la visita), valutazione del
liquido amniotico, inserzione placentare, biometria fetale, con una stima del peso, con un margine di errore
del 10%.

Nel III trimestre facciamo anche uno studio dell’anatomia fetale che include i ventricoli cerebrali, le camere
cardiache, lo stomaco, i reni e la vescica. Questi sono gli organi che devono essere visti in ogni caso, perché
alla mancata visione di questi organi ci sono conseguenze medico-legali gravi. Bisogna valutare l’assenza di
Cannizzaro Paolo Danilo

patologie congenite più frequenti, quali rabdomiomi nella cavità cardiaca, ostruzione digiuno-ileale,
idronefrosi e idroureteronefrosi, ernia diaframmatica. 14
Ci sono poi delle patologie a carico del cervello, che possono essere visualizzate solo nel III trimestre e
sono: anomalie della proliferazione neuronale (microcefalia, cisti, amartomi, neoplasie); anomalie della
migrazione neuronale (distrofie muscolari); anomalie dell’organizzazione neuronale (schizoencefalia, ecc.).
Questo per farvi capire che al V mese posso refertare “encefalo normale” ma al III trimestre devo
localizzare questi organi, perché possono essere presenti patologie sopravvenute dopo l’ecografia del II
trimestre. Un altro esempio è la lissencefalia; la microencefalia, in cui c’è una sproporzione fra cranio e
volto; idrocefalia, che può essere causata, per esempio, da un’agenesia del corpo calloso, e così via.

Dopodiché andremo a valutare il liquido amniotico, indice di benessere fetale e che ci dice se gli scambi
stanno avvenendo in maniera corretta. Per valutare il liquido amniotico si può effettuare:

 Metodo di Manning: consiste nella misurazione verticale della singola tasca di liquido amniotico
con misura orizzontale di almeno 1 cm senza piccole parti fetali o cordone. Se risulta minore di 1
cm si parla di oligoidramnios; se maggiore di 1 cm polidramnios;
 Valutazione AFI (Amniotic Fluid Index): l’addome materno viene idealmente suddiviso in quattro
quadranti, che si incrociano a livello dell’ombelico. In ogni parte, ogni quadrante, viene misurato
l’indice corrispondente allo spessore maggiore della falda liquida, ovvero la massima tasca verticale
di liquido amniotico. Infine, si fa la somma dei quattro quadranti e si confronta con i valori di
riferimento.

Infine, nel III trimestre dobbiamo valutare la localizzazione placentare. Vi sono fattori che favoriscono
l’impianto in sede istmica (cioè fattori che favoriscono la placenta previa: in questo caso il parto naturale
risulta impossibile, bisogna fare il timing del parto per un parto cesareo); casi in cui l’aggressività della
placenta è maggiore e si parla di placenta percreta. In questo caso, il secondamento non può avvenire in
maniera fisiologica, causando un’emorragia imponente che, in alcuni casi, è necessaria l’isterectomia. Si
parla, invece, di placenta increta quando i villi coriali penetrano nello spessore del miometrio.
Cannizzaro Paolo Danilo

III lezione Prof.ssa M.T. Bruno 15

Parleremo della ipertensione in gravidanza. È una delle patologie più frequenti e che può avere varie forme,
dalle forme più lievi, che possono essere seguite con un stretto follow up dal ginecologo che segue la
gravidanza, a situazioni più gravi, in cui rischiano la vita sia la madre che il feto.

Le linee guida definiscono l’ipertensione in gravidanza il superamento dei valori di 140 mmHg per la
pressione sistolica, con i 90 mmHg, per la diastolica. Una gravida che ha questi valori già merita attenzione,
perché a gravissimo rischio.

Si classifica in:

 ipertensione cronica
 ipertensione gestazionale
 preeclampsia

Questa è una classificazione molto semplicistica, perché dovremmo aggiungere la HELLP Syndrome,
l’eclampsia, ma andiamo con ordine.

Si definisce ipertensione cronica quando la gravida è già ipertesa, che fa già la sua terapia, ha già fatto i
suoi accertamenti e che diventa gravida.

L’ipertensione gestazionale insorge verso la XX-XXIV sett. di gestazione in una donna che non ha mai
sofferto di ipertensione. Quando l’ipertensione gestazionale si complica con un altro sintomo, per esempio
con la proteinuria (300 mg/l), si parla di preeclampsia. Dico un altro sintomo, perché potenzialmente la
preeclampsia potrebbe colpire qualsiasi organo, come potrebbe accadere successivamente, ma di solito il
primo sintomo è la proteinuria.

Ipertensione gestazionale

La prevalenza è del 3%, di cui circa l’1% porta a preeclampsia. Dobbiamo partire da uno stato fisiologico. Sin
dalle prime settimane, aumenta il volume plasmatico della gestante, abbiamo infatti un aumento della
parte liquida del 50% e della frazione eritrocitaria del 30%. In tutto ciò, quindi, si ha un aumento della
massa liquida circolante fino alla quota di 6-8 l, con un notevole impegno da parte del cuore e del rene. La
leggera tachicardia, quindi, è giustificata e, anzi, ha una leggera ipotensione.

Con l’instaurarsi della gravidanza e la formazione della placenta (placentazione) ci possono essere delle
alterazioni che metteranno a rischio la gravidanza. Nel primo periodo, l’endometrio, durante la gravidanza,
subisce una trasformazione in decidua, praticamente è un endometrio che si arricchisce di sostanze e lipidi,
che permette l’impianto dell’ovocita fecondato, con il sostegno ormonale del corpo luteo. Nello spessore
della decidua troviamo le arterie spiraliformi, che si dipartono dall’arteria arcuata. Poi ovviamente c’è il
versante fetale: il citotrofoblasto incontra le arterie spiraliformi e infiltra notevolmente queste arterie,
sostituendosi alle cellule endoteliali, dilatando il loro lume fino a quattro volte. Questi vasi alterati
ovviamente hanno uno scopo ben preciso, quello di far arrivare la maggiore quantità di sangue, dalla madre
al feto. Il citotrofoblasto, alterando quindi la componente elastica e muscolare con la sua infiltrazione,
determina un sistema arteriolare a bassa resistenza, privo di controllo vasomotorio materno, che permette
un aumento significativo del flusso ematico al feto.
Cannizzaro Paolo Danilo

Alla base di tutto questo sistema, vi è un antigene di istocompatibilità HLA-G, nel trofoblasto extravilloso,
che protegge dalla intolleranza materna (in quanto ricordiamoci che il feto ha un corredo cromosomico 16
anche paterno, che potrebbe non essere riconosciuto come self). E da qui vi potete spiegare i numerosi
aborti che si presentano senza un apparente motivo, proprio per la mancanza di questo antigene.

L’interazione di questo antigene e dei natural killer materni è importante per un normale sviluppo
placentare, proprio per inibire l’azione dei natural killer. Quindi l’eclampsia è più frequente nelle nullipare,
perché hanno un sistema immunitario molto più aggressivo nei confronti degli antigeni paterni. Se la madre
cambia partner, si comporta come una nullipara, dal punto di vista di rischio eclamptico.

Quando non si ha questa fisiologica invasione del citotrofoblasto (adattamento dell’organismo materno alla
gravidanza), si ha l’ipertensione, preeclampsia e, in un'unica parola, gestosi.

Nel trofoblasto extravilloso delle pazienti affette da preeclampsia, l’espressione del complesso di
istocompatibilità HLA-G è assente o ridotta, rendendo il trofoblasto vulnerabile al sistema immunitario
materno e non permettendo l’invasione delle arterie spiraliformi. Quindi le risposte immunitarie tra faccia
materna e faccia fetale, potrebbero essere una base eziologica dell’insorgenza della gestosi. Nelle pazienti
con preeclampsia, infatti, sono stati trovati alti livelli di citochine pro-infiammatorie, cellule natural killer e
neutrofili, che porta ad una produzione di proteasi tossiche, che danneggiano l’endotelio materno.

Il danno endoteliale porta alla ridotta produzione di ossido nitrico e prostaciclina, che sappiamo avere una
azione vasodilatante (l’assenza di questa, quindi, favorisce la vasocostrizione).

Le complicanze dell’ipertensione gestazionale sono dovuti a due fattori, principalmente:

 placentazione anomala
 danno dell’endotelio

L’invasione trofoblastica risulta, quindi, incompleta, interessando solo la porzione deciduale, mentre i vasi
rimanenti si occludono, quindi non arriva il fisiologico apporto sanguigno al feto. La mancata
trasformazione delle arterie spirali, quindi, è considerata il primum movens dell’ipertensione gestazionale,
fenomeno in grado di determinare ipossia fetale e IUGR (Intrauterine Growth Restriction).

Questi danni endoteliali giungono anche negli altri distretti: il primo ad essere interessato è il rene, o
meglio, il glomerulo. Per cui la donna avrà proteinuria, primo segnale di una gestosi che si sta complicando.
La proteinuria porta a ipoprotidemia, quindi diminuzione della pressione oncotica, per cui si ha la
fuoriuscita di liquidi dai vasi e formazione di edema. La produzione di edema conduce alla produzione di
renina-angiotensina-aldosterone e tutto questo porta ad un circolo vizioso che stimola e alimenta
l’ipertensione

Monitoraggio materno:

 Ipertensione
 Protidemia e proteinuria
 Monitoraggio degli enzimi epatici
 Piastrine, ematocrito
Cannizzaro Paolo Danilo

Clinicamente l’ipertensione gestazionale può evolvere verso le complicanze fino ad una disfunzione multi
organo, che si manifesta inizialmente con cefalea, dolore epigastrico, nausea, vomito, disturbi del visus, 17
dispnea e disturbi alla minzione. Uno di questi sintomi deve farci allarmare e invitiamo la donna a
consultare uno specialista e, se necessario, l’ospedalizzazione.

Gli esami di laboratorio indicati sono, ovviamente, il controllo della pressione arteriosa, l’emoglobina,
ematocrito, conta delle piastrine, enzimi epatici, creatininemia. I test della coagulazione non sono
necessari, se gli enzimi epatici sono nella norma.

Monitoraggio fetale

 Biometria ecografica;
 Valutazione del liquido amniotico (un abbassamento è indice di malfunzionamento e patologia);
 Cardiotocografia;
 Doppler delle arterie uterine e ombelicali;
 Stress test

L’alterazione dello sviluppo fetale che si sviluppa noi lo definiamo IUGR (Intrauterine Growth Restriction),
che a sua volta può essere simmetrico (bambino che cresce armonioso nelle sue dimensioni, per cui spesso
questo difetto di crescita è associato a difetti congeniti o infezioni) o asimmetrico (disarmonico, bambini
che hanno una testa enorme ed un corpo piccolo, perché siccome c’è poco sangue, questo va inviato agli
organi più importanti, quali cervello, rene, surrene e cuore, mentre gli altri, soprattutto distretto splancnico
e muscolo-scheletrico, rimangono ipoperfusi). Un’altra problematica che può provocare l’ipertensione
gravidica è la prematurità. Una volta prima della 36° sett. non si faceva il cortisone per indurre la maturità
polmonare, ora anche a 32-35 settimane. Ovviamente un’altra causa può anche potenzialmente essere la
morte in utero.

Un aumento, al Doppler, delle arterie uterine a XXIV settimane, di circa 6 volte rispetto al normale, è un
indice di rischio per il rischio gestosi. I farmaci di elezione sono i Ca2+ – antagonisti.

La lesione renale caratteristica è l’endoteliosi glomerulare. I glomeruli renali sono dilatati a causa di
un’ipertrofia delle cellule intracapillari che aggettano nel lume capillare e possono condurre ad insufficienza
renale. Nella eclampsia possono diminuire sia il flusso renale che la filtrazione glomerulare e determinano
una iperuricemia, che rappresenta un marker precoce che andremo a richiedere sempre.

Il danno epatico che accompagna la preeclampsia è la necrosi epatocellulare. Praticamente le cellule


epatiche subiscono un danno irreversibile, con la formazione di un’ematoma epatico, con rischio rottura. La
patogenesi sembra l’innesco della CID con piastrinopenia, che può condurre a morte della madre. La HELLP
Syndrome (acronimo appunto da hemolysis, elevated liver enzyme levels e low platelet levels) è
caratterizzata da emolisi intravascolare, rialzo degli enzimi epatici e consumo delle piastrine.

La preeclampsia può determinare alterazioni della coagulazione, con la comparsa di coagulazione


intravascolare disseminata (CID) e l’eclampsia vera e propria, cioè convulsioni tonico-cloniche (diagnosi
differenziale con epilessia), che possono condurre a coma e morte (all’autopsia sono stati visti vasi cerebrali
con microinfarti). L’eclampsia viene nel 60% nelle ultime settimane di gravidanza, nel 30% durante il
travaglio e nel 10% durante il puerperio.
Cannizzaro Paolo Danilo

La comparsa di disturbi visivi, disturbi epigastrici “a sbarra”, dolenzia addominale in una donna gravida
devono sempre far allarmare il medico. 18
Il primo trattamento è il solfato di magnesio, che ha un’azione sulle contrazioni uterine inibitoria,
impedisce l’attività tonico-clonica e la dose massima non deve superare gli 8 g.

Le gravide sono maggiormente predisposte a complicanze quali il distacco tempestivo di placenta,


coagulazione intravascolare disseminata, emorragia cerebrale e insufficienza renale. Gli esiti sono
determinati dalla tempestività dell’intervento medico.
Cannizzaro Paolo Danilo

IV lezione Prof.ssa A. Garofalo 19

Oggi parleremo di diabete in gravidanza e malattie infettive.

Sappiamo che in gravidanza ci sono delle alterazioni metaboliche, quindi dobbiamo valutare cosa la
gravidanza fa al metabolismo glicidico e come si riflette un eventuale diabete. Ci sono degli ormoni della
gravidanza che inducono insulina resistenza e determinano un’azione a livello del tessuto adiposo e
muscolare, soprattutto intorno alla XVIII settimana. Vediamo che l’insulino-resistenza determina una
diminuita utilizzazione periferica del glucosio e quindi determinerà una iperglicemia, postprandiale e
fisiologica, anche se un po’ più accentuata, ma non ci determina situazioni particolari. Se vediamo che si ha
un’alterazione del metabolismo glicidico o un aumento della sensibilità della donna, come un iniziale
diabete gestazionale, avremo un’alterazione del metabolismo, che va da una intolleranza ai carboidrati, ad
un diabete gestazionale ad un diabete che è precedente alla gravidanza, di tipo I o II.

Si parla di diabete gestazionale quando nell’anamnesi della donna non c’è una storia di un metabolismo
glicidico, quindi un’iperglicemia che è stata diagnosticata con una curva o con un controllo del profilo
glicemico.

Il diabete gestazionale è una patologia relativamente frequente, interessa dall’1% al 14% delle gravidanze,
si ha logicamente un’alterazione della funzionalità delle cellule β-pancreatiche, con una riduzione
dell’attività dell’insulina. Questa determina una iperglicemia postprandiale, che non è banale, si presenterà
a tutti i pasti. Se questa ridotta sensibilità all’insulina porterà modificazioni all’emoglobina glicata, cioè
porterà ad uno scompenso, evidentemente avremo un’alterazione a livello fetale. Ecco perché molto
importante che interveniamo prima che accada tutto questo, intervenendo sul controllo alimentare e poi in
caso con l’insulina.

Come facciamo diagnosi di diabete gestazionale o cominciamo a sospettarne la presenza? Logicamente


dall’anamnesi della paziente, se c’è una familiarità, soprattutto nelle donne obese, che possono
slatentizzare un diabete latente.

Un alterato metabolismo glicidico porterà quindi a delle complicanze sia materne che fetali. Le complicanze
fetali più frequenti sono: le malformazioni fetali; alterazione della crescita (dalla riduzione alla macrosomia,
una delle più frequenti); parto pretermine fino alla morte fetale. Tra le complicanze materne, possiamo
avere un’ipertensione, determinata dal danno vascolare del diabete e, in questo caso, non ci sarà la
macrosomia, ma avremo un feto piccolo, perché le alterazioni vascolari causate dal diabete
comprometteranno gli scambi dalla madre al figlio. Quindi fino ad un quadro di preeclampsia e retinopatia
diabetica.

Quando dobbiamo sospettare un diabete gestazionale? Innanzitutto quando abbiamo una glicemia a
digiuno superiore a 90 mg/dl. Logicamente questo, associato ad una glicemia superiore a 120 mg/dl due
ore dopo il pasto, obesità, anamnesi positiva familiare, ci fa approfondire le indagini. Dal momento in cui
facciamo diagnosi, dobbiamo fare una curva da carico alla XX settimana o la anticipiamo, se ci accorgiamo
di un rischio più alto.

La macrosomia fetale è un indice di mancato compenso ed è una diagnosi non fatta, praticamente.
Parliamo di macrosomia fetale quando il peso del feto è superiore a 4,5 Kg. È chiaro che è una diagnosi che
facciamo col bambino in braccio, quindi a questo non ci dovremmo arrivare.
Cannizzaro Paolo Danilo

Il parametro biometrico che si modifica immediatamente è la circonferenza addominale, dove ci sono gli
adipociti, quindi la zona del tronco avrà uno sviluppo maggiore che causa, poi, la distocia di spalla: il 20
bambino esce la testa, ma le spalle non passano, perché è un gigante, quindi ha un pannicolo adiposo tale
che non permette di far uscire le spalle.

L’effetto anabolico dell’insulina si esplica sia a livello epatico, con questo accrescimento disarmonico, con la
prevalenza nel rapporto testa/addome dell’addome; si può avere incremento del pannicolo adiposo non
solo a livello viscerale, ma anche a livello cardiaco, infatti le malformazioni cardiache sono quelle più
frequenti. Un’altra complicanza è ovviamente la distocia di spalla, che nella popolazione generale non
supera mai la frequenza dell’1%, mentre nei feti macrosomici la frequenza va dal 9% al 24% e arriva fino al
50% contando anche quelle che avvengono per bacino stretto.

Le malformazioni fetali più frequenti riguardano quelle cardiovascolari, con anomalie di fusione del setto,
sia atriale che ventricolare, tetralogia di Fallot e patologie del tronco vascolare. Per quanto riguarda quelle
del SNC, andiamo da un’anencefalia ad altre malformazioni che interessano tutti i distretti.

La mortalità infantile è ovviamente aumentata sia per l’aumentata incidenza di malformazioni fetali, sia per
la facilità che hanno questi feti di contrarre infezioni, quindi le cause sono molteplici ma il rischio di morte
fetale aumenta verso il termine della gravidanza, per cui bisogna sempre decidere quando far partorire le
gestanti, perché l’aumento delle dimensioni del bambino non corrisponde effettivamente ad una maturità
viscerale (sia a livello polmonare che neurologica), quindi non bisogna mai anticipare di molto il parto, ma
aumentare la sorveglianza. Se siamo in presenza di una donna sotto controllo, con una glicata normale, può
espletare il parto molto normalmente. Il rischio dell’eclampsia è sempre da tenere in conto, anche nelle
donne che soffrono di diabete gestazionale.

Come facciamo gli screening? Con una curva da carico con una dose di 75g e faccio tre prelievi La glicemia
deve essere inferiore a 95 mg/dl nel primo prelievo, a 140 mg/dl nel secondo, a 120 mg/dl nel terzo. Se la
curva da carico è negativa e la paziente non è a rischio, tratteremo la paziente come una normale gestante.
Se è positiva, possiamo fare diagnosi di diabete gestazionale, per cui la paziente dovrà essere sottoposta ad
un follow-up giornaliero della glicemia post-prandiale e fare un controllo dietetico. Se vediamo che la curva
ha dei valori molto alti, non dobbiamo aspettare, dobbiamo intervenire subito con l’insulina.

Il controllo fetale si effettua con l’ecografia e la coppia sceglierà di fare diagnosi prenatale su eventuali
cromosomopatie; stretto controllo ecografico morfologico per visualizzare eventuali anomalie. Dalla XXVI
settimana, se la glicemia non è compensata, bisogna effettuare l’ecografia ogni 3-4 settimane.

La gestione del parto è molto ardua. È importante ricordare che se la donna ha una iperglicemia che riesce
a compensare, la dobbiamo trattare come una donna normale, eviteremo di arrivare a 41 settimane, ma
comunque la trattiamo come una donna normale. Se abbiamo un diabete non compensato (emoglobina
glicata > 7), con un peso stimato superiore ai 4,5 Kg allora dovremmo valutare l’indicazione, soprattutto per
una primipara, di un taglio cesareo. Questo non ha una regola, verrà valutato caso per caso. Non dobbiamo
mai dimenticare che il passaggio della testa non ci ripara dal rischio di distocia di spalla.

Le malattie infettive

Innanzitutto vi parlerò del gruppo TORCH, che indica le infezioni da Toxoplasma; vari virus che vanno
dall’HCV, HBV, HIV; Rosolia, Cytomegalovirus e Herpes Virus. Cominciamo dal Toxoplasma.
Cannizzaro Paolo Danilo

L’infezione può essere:


21
 Contratta durante la gravidanza (infezione embriofetale);
 Durante il parto (infezione connatale);
 Dopo la nascita (infezione neonatale).

Le vie di trasmissione sappiamo che sono dovute ad alimenti infetti, perché contaminati da spore. Per
questo raccomandiamo alle donne in gravidanza che è sieronegativa per gli anticorpi per il Toxoplasma che
gli alimenti siano tutti cotti o tutti sbucciati. L’infezione si propaga per via ematogena e può determinare o
nessuna infezione o un’infezione embriofetale. È anche molto vario il quadro clinico, che può andare
dall’aborto, al parto pretermine, alla fetopatia o nessun sintomo.

L’infezione si ha tramite le feci di gatto infetto, questo determinerà la liberazione di spore; il contagio si
avrà o per ingestione di cibo infettato da spore o per l’ingestione di carne infetta. Noi consigliamo anche di
non mangiare cibi alla brace, perché la cottura può non essere omogenea, così come i salumi, che hanno
una cottura disomogenea.

La sintomatologia può essere fino all’80% dei casi asintomatica e il rischio non è solo per la prima infezione,
ma la donna si può re-infettare, soprattutto se c’è uno stato di immunodepressione, come in fondo lo è la
gravidanza. La probabilità di infezione virale aumenta con l’aumentare della gravidanza, più basso nel I
trimestre, più alto nel III trimestre, perché la placenta si fa attraversare più facilmente. Nelle forme
asintomatiche possiamo avere un parto pretermine e un feto piccolo, oppure una forma più diffusa, sia
l’aborto o un aumento delle malformazioni che riguardano, principalmente la localizzazione oculare (corio
retinite) o SNC (idrocefalo). Vi sono delle forme tardive e bisogna ripetere il test due-tre mesi dopo il parto.
Una delle patologie che può dare nelle forme tardive è la sordità e quindi ce ne accorgeremo nelle fasi
avanzate. Nell’infezione del I trimestre, nel 50% dei casi, possiamo avere aborto, calcificazioni
endocraniche, una piccola percentuale di corioretinite e un 20% asintomatiche; il rischio maggiore si ha tra
la 13° e la 24° settimana, nel periodo in cui si ha la formazione di tutti gli organi. Non sempre ci accorgiamo
dalla paziente che ha un’infezione, a volte potremmo non accorgercene se non facessimo i test anticorpali.

La diagnosi si fa solo con la ricerca delle IgM, in caso di soggetto che non ha mai avuto infezione, o
possiamo avere una siero conversione di una donna già precedentemente infetta. Per il monitoraggio c’è
una indicazione, cioè ripetere gli esami anticorpali ogni mese. La terapia è la spiramicina fatta nel I
trimestre o pirimetamina con sulfadiazina.

L’herpes come sapete si divide principalmente in due tipi, Herpes di tipo 1 (labiale) e Herpes di tipo 2
(genitale). Il contagio si può avere per contagio diretto o verticale materno-fetale. Vediamo che l’infezione
primaria sarà manifesta a livello genitale con delle vescicole e solo la visita ginecologica ci permette di fare
diagnosi. Si può avere anche dolore, difficoltà alla minzione, leucorrea o linfadenopatia inguinale. Non
sempre è presente febbre, mialgia. Se è presente un’infezione ricorrente, la sintomatologia può essere più
attenuata, le vescicole possono non essere così manifeste e si può non avere una sintomatologia e solo la
presenza di anticorpi ci permetterà di fare diagnosi.

L’infezione si ha più facilmente al passaggio del canale del parto. Nel III trimestre di gravidanza il feto può
contrarre la malattia sino al 50% dei casi, intesa come mortalità oppure a gravi lesioni cutanee multiple, al
momento del parte. In casi molto precoci nel I trimestre anche qui si può avere aborto o fetopatia o non
dare alcun tipo di manifestazione. L’infezione ricorrente è limitata alla cute o, se siamo in presenza di
Cannizzaro Paolo Danilo

poliviscerite disseminata, può portare alla morte, tutto dipende dalla gravità della malattia e della carica
virale che la madre ha trasmesso al figlio. 22
La diagnosi la facciamo con la ricerca degli anticorpi o l’isolamento del virus dalla vescicola mediante
tecniche quali PCR. La terapia è basata su farmaci antivirali, agiremo a livello locale, non possono essere
somministrati per os. Se ovviamente siamo di fronte ad una paziente che vediamo per la prima volta in sala
parto e vediamo queste lesioni, è opportuno espletare il parto col taglio cesareo. Questo non ci protegge
dal possibile contagio, in quanto per via ascendente l’infezione può essere stata contratta ugualmente, ma
riduce il rischio.

Per quanto riguarda la varicella, è una malattia esantematica, la sintomatologia è febbre, malessere, le
patognomoniche papule e le complicanze sono dovute ad una sovra infezione batterica, oltre ad una
encefalite, un’epatite che il virus può determinare. Lo zoster è una riattivazione della varicella e dà la
classica parestesia, a volte confusa con una sciatalgia, se interessa il distretto dello sciatico, finché non
compaiono le vescicole, che magari appaiono in zone coperte. Come complicanze possiamo avere delle
nevralgie post-erpetiche, congiuntiviti con ulcerazioni corneali e sovra infezioni batteriche. L’infezione
materna nel I trimestre è legata alla viremia e a livello transplacentare potrebbe determinare la varicella
congenita, anomalie oculari, anomalie cerebrali e ritardo psicomotorio. Una piccolissima percentuale dei
casi presenterà una varicella congenita (10%). Se invece l’infezione verrà contratta nel II o III trimestre, gli
effetti saranno determinati da quando si espleterà il parto. Se il parto avviene dopo tre settimane
dall’insorgenza, potremmo avere una guarigione fetale a livello intrauterino. Se il parto avviene prima della
comparsa dell’eruzione, si potrebbe avere una varicella connatale. Se il parto avviene in un periodo molto
vicino alla comparsa dell’eruzione, potremmo andare o ad un’assenza di protezione, quindi varicella
connatale o avere una varicella molto più lieve. Saranno controindicati allattamento, ecc. Importante anche
qui ricerca delle IgM mediante la PCR sia a livello del liquido amniotico o villocentesi. Sarà importante
un’ecografia di II livello per l’eventuale ricerca di fetopatia e in caso di alterazioni a livello del SNC è sempre
utile una RMN. Per quanto riguarda la terapia, la somministrazione di IgG specifiche al feto in prossimità del
parto può attenuare la malattia.

La Rosolia la consideriamo come un’infezione fra le più gravi ed è quella per cui abbiamo un’indicazione
specifica per l’interruzione di gravidanza. È importante in epoca prenatale, per una donna in età fertile, fare
il vaccino, perché il rischio di contrarre la rosolia in gravidanza c’è sempre. La modalità di contagio è per via
aerea e abbiamo una sintomatologia che va dalla congiuntivite a sintomi respiratori; le complicanze
possono essere encefalite o anemia emolitica. Ora vediamo cosa succede in gravidanza. Se si contrae la
rosolia in gravidanza, avremo una viremia, che determinerà una replicazione a livello dei villi coriali. Quindi
vedremo che si avranno subito alterazioni della morfogenesi, soprattutto alla XX settimana che
determinerà un danno molto grave. La probabilità della trasmissione, a differenza della Toxoplasmosi, è
maggiore nel I trimestre, piuttosto che nel III trimestre. Le alterazioni sono più gravi man mano nelle prime
settimane, rispetto al termine della gravidanza. I danni maggiori si hanno a livello uditivo, neurologico,
cardiaco e rimangono fino alla XVI settimana. Si riduce l’entità del rischio, ma il rischio rimane sempre. I
difetti oculari andranno dalla cataratta alla microcefalia; difetti cardiaci quali persistenza del dotto arterioso
di Botallo, stenosi aortica, stenosi polmonare, difetto del setto interventricolare; ipoacusia; ritardo
psicomotorio; porpora trombotica trombocitopenia. Le sequele più tardive vanno dall’ipoacusia al ritardo
mentale, tutte alterazioni che non potremmo fare diagnosi prenatale. La diagnosi è sierologica, in caso di
IgM positive, è necessario che questi test che debbano essere ripetuti e fare test di avidità. Se l’indice di
Cannizzaro Paolo Danilo

avidità è alto, possiamo pensare che l’infezione è avvenuta molto tempo prima. Se l’indice di avidità è
basso, avremo un’infezione più recente. La diagnosi di infezione pregressa si fa anche con IgM negative e 23
IgG positive; infezione recente con IgM positive e test di avidità basso. Se abbiamo IgM positive e test di
avidità alto, bisogna ripetere entrambi i test. Anche se alla villocentesi o alla PCR del sangue fetale risulta
negativo, non possiamo mai escludere che la trasmissione non sia avvenuta. Sul neonato, faremo quindi
una ricerca delle IgM, isolamento del virus a livello delle urine, ricerca con la PCR del virus. Anche nella
forma asintomatica, il rischio di sequele è basso, ma dobbiamo continuare il monitoraggio delle IgM, sia sul
sangue, che sulle urine. La diagnosi di infezione congenita sarà sulla base delle IgG e farlo nei primi 13 mesi
di vita. La prevenzione si fa col vaccino, di solito si consiglia di far passare 3-6 mesi dal vaccino, per
un’eventuale gravidanza.

Il Cytomegalovirus è stato per lungo tempo “evitato” dal SSN, perché non abbiamo una terapia specifica
come per la Toxoplasmosi. Il contagio è sempre tramite il sangue, fluidi corporei. La sintomatologia è tra le
più varie, nel soggetto immunocompromesso la sintomatologia potrebbe essere più eclatante. L’infezione
in gravidanza si ha per via transplacentare ascendente, può avvenire durante il parto (contatto diretto) o
dopo il parto, per secrezioni dall’orofaringe, rinofaringe o allattamento al seno. Ci sono anche per questo
virus delle riattivazioni o reinfezioni. Possiamo quindi avere un’infezione primaria ed un’infezione
secondaria, nell’infezione primaria il rischio di trasmissione è maggiore, rispetto alla secondaria. Nel 2% dei
casi c’è una fetopatia alla nascita e la presentazione può essere varia, apparentemente sani e che poi nel
primo anno di vita manifestano sordità e ritardo mentale; nel 15% dei casi potrebbe manifestarsi un ritardo
psicomotorio. Nei casi di infezione secondaria, alla nascita non sono presenti segni di fetopatia infettiva, ma
anche qui i bambini dopo il primo anno possono slatentizzare la malattia. Non abbiamo un minore o
maggiore rischio a secondo del trimestre in cui ci troviamo, nel III trimestre non abbiamo manifestazioni
apparenti, ma possiamo avere un rischio di lesioni dopo. Nella diagnosi prenatale, facciamo la ricerca delle
IgG e le IgM, facciamo la coltura del liquido amniotico tramite amniocentesi o ricerca immunoglobuline
specifiche nella funicolocentesi. La diagnosi dell’infezione fetale non ha alcun valore prognostico. La
prevenzione si fa avvertendo la donna di evitare i posti troppo affollati, scambiare col proprio figlio o altri
bambini oggetti che possono essere messi in bocca e ad oggi non abbiamo una terapia specifica.

Per quanto riguarda l’epatite B, è importante fare in tutte le donne gli anticorpi per l’epatite B. Il contagio si
può avere tramite sangue o rapporti sessuali. La sintomatologia consiste in un aumento delle transaminasi;
la trasmissione si ha per via transplacentare (prevalentemente nella seconda metà della gravidanza) e per
via connatale (al momento del parto). Il contatto si può avere per trasmissione ematica, quindi il parto
naturale e cesareo contengono un rischio sovrapponibile. La gravidanza non influenza in maniera
importante l’evolversi dell’infezione da epatite, tranne che siamo in presenza di una malattia importante.
L’infezione nella gravidanza determina un rischio di parto pretermine, soprattutto quando si ha un’epatite
acuta nel III trimestre. Nel bambino non abbiamo una sintomatologia specifica, sarà un portatore cronico
della malattia. Il rischio di trasmissione si abbassa se si ha un’epatite acuta nel I e II trimestre o HbS-Ag
negativa. La diagnosi si fa con la persistenza dell’HbS-Ag nel sangue fetale nei primi sei mesi di vita. La
profilassi nei bambini si ha tramite la somministrazione nel bambino di IgG specifiche. Una volta fatta la
profilassi, non vi è controindicazione all’allattamento.

Anche per l’epatite C, l’infezione avviene tramite il sangue. La sintomatologia può essere acuta, ma in una
buona percentuale dei casi dà cronicizzazione, con cirrosi epatica e epatocarcinoma, ma questo a
Cannizzaro Paolo Danilo

prescindere dalla gravidanza. La trasmissione anche qui è transplacentare, connatale o durante


l’allattamento. La gravidanza non crea un’alterazione al danno epatico, ovviamente il fegato di una donna 24
gravida è sotto stress, soprattutto a termine. L’infezione se cronica, non provoca una fetopatia e non
aumenta il rischio di complicazioni ostetriche. La diagnosi la facciamo con la presenza dell’HCV-RNA nel
sangue fetale nei primi mesi di vita e la persistenza degli anticorpi ai 18-24 mesi. La presenza degli anticorpi
possono essere trasmessi dalla madre durante l’allattamento, ma di solito durano un anno. La loro
persistenza ci deve far pensare ad un’infezione che è passata al feto. Dobbiamo valutare la viremia e
monitorare le transaminasi. Non possiamo utilizzare dei farmaci antivirali, dobbiamo solo fare una terapia
osservazionale ed espletare il parto, se c’è minaccia di un’epatite fulminante. È assolutamente
controindicato l’allattamento.
Cannizzaro Paolo Danilo

V lezione prof. U. Mangano 25

Per parto noi intendiamo l’espulsione o l’estrazione del prodotto del concepimento dalla madre. A secondo
dell’epoca del parto, lo distinguiamo in:

 Abortivo, prima del 180° giorno;


 Prematuro, tra il 181° e il 260° giorno;
 Pretermine, tra il 261° e 275° giorno;
 A termine, tra il 276° e 294° giorno (38 – 42 settimane di gestazione);
 Tardivo, oltre la 42° settimana di gestazione.

In base al numero di feti, distinguiamo il parto in semplice, bigemino, trigemino, quadrigemino e così via; in
base, invece, all’espletamento del parto si distingue in eutocico, quando non ci sono complicazioni o rischi
per la partoriente e per il feto; distocico, se intervengono ostacoli o complicazioni o rischi per la
partoriente; spontaneo,se inizia, decorre e si espleta in modo naturale; provocato, se artificialmente
indotto;pilotato, artificialmente guidato nel suo decorso. Il parto operativo, se viene espletato con un
intervento chirurgico, può essere eseguito per via vaginale (tramite l’uso di ventosa, prima si faceva tramite
forcipe) o per via laparotomica (taglio cesareo).

Facciamo un riassunto e poi analizziamo i singoli elementi uno per uno. I fattori del parto sono forza, canale
del parto e corpo mobile. I fenomeni del parto si distinguono in dinamici (materni); meccanici (sia materni
che fetali); plastici (solo del feto). I periodi, invece, si distinguono in dilatante, espulsivo e del
secondamento.

Forza È la causa efficiente del parto ed è data dalle contrazioni uterine, involontarie, intermittenti e
dolorose, quando la pressione del liquido amniotico è superiore a 25 mmHg. Vi sono anche delle forze
ausiliarie, determinate dalla contrazione di muscoli volontari, quali muscolo retto dell’addome, grande e
piccolo obliquo, trasverso dell’addome e diaframma.

Le contrazioni si dividono in:

 Contrazioni gravidiche, bassa frequenza ed intensità, poco dolorose, prive di coordinazione;


 Contrazioni del pretravaglio (di Braxton-Hicks), maggiore frequenza ed intensità, prive di ritmicità,
non sono dolorose, avvertite come fastidiose;
 Contrazioni del periodo prodromico, del periodo dilatante e del periodo espulsivo, frequenza ed
intensità crescente, dolorose;
 Contrazioni del secondamento, di notevole frequenza ed intensità, ma non dolorose;
 Contrazioni del postpartum, intense e di frequenza decrescente, non dolorose;
 Contrazioni del puerperio, di frequenza ed intensità decrescenti, talvolta dolorose (morsi uterini).

Le contrazioni dal periodo prodromico alla fase espulsiva aumentano di intensità e così deve essere,
altrimenti il parto non può avvenire. Dopo che esce il feto, non è che l’utero non si contrae, ci sono le
contrazioni del secondamento, che permettono la fuoriuscita della placenta. Poi, una volta uscita la
placenta, l’utero si contrae ancora e sono le contrazioni del post-partuum, servono per una funzione
emostatica, per bloccare l’emorragia, e per permettere all’utero di tornare alle dimensioni da 33 cm a 6-7
Cannizzaro Paolo Danilo

cm di diametro longitudinale. Ovviamente questo percorso non si fa all’improvviso, ci sono le contrazioni


nel puerperio, che fanno tornare l’utero nello stato pregravidico. 26
Durata della contrazione La durata della contrazione nel travaglio iniziale è intorno a 15-20 secondi;
nel travaglio avanzato la durata aumenta, può durare fino a 60-70 secondi. Naturalmente nell’utero esiste
una parte superiore, attiva, e un segmento inferiore passivo. Questo è importante perché dopo il parto si
ha una retrazione del viscere muscolare fisiologica. Noi abbiamo una parte dell’utero molto più spessa,
superiore, che tende a contrarsi ed una parte inferiore, dove c’è il segmento uterino inferiore, non ha
molto tessuto muscolare, serve a dilatare.

Corpo mobile Il feto rappresenta il corpo mobile che, sotto la spinta della forza, procede verso un
condotto obbligato (il canale del parto). Quindi quando l’utero si contrae, se abbiamo una presentazione di
vertice, il feto progredisce nel canale del parto. Esistono dei rapporti tra il feto e la madre e l’utero,
intrinseci, cioè l’atteggiamento fetale. I rapporti estrinseci sono quelli esistenti tra feto, utero e bacino, cioè
la situazione fetale. La situazione si distingue in longitudinale, trasversale o obliqua e stiamo mettendo a
confronto il maggiore asse fetale con il maggiore asse della cavità uterina. È importante perché se abbiamo
una situazione trasversa, il parto naturale non potrà mai avvenire (anzi, c’è un rischio di prolasso del
cordone ombelicale), infatti un’indicazione al parto operativo è la situazione trasversa o obliqua o la
presentazione podalica. La situazione si capisce sia con la visita, che con l’ecografia. La situazione fetale
deve essere distinta dalla presentazione. La situazione l’abbiamo definita prima, la presentazione, invece, è
la più grossa parte fetale che si mette in rapporto con lo stretto superiore del bacino (es. presentazione
podalica, il podice si mette in contatto con lo stretto superiore, quindi la situazione sarà longitudinale, ma
la presentazione sarà podalica). Poi c’è la posizione ed il livello della parte presentata.

Le presentazioni possono essere:

 Cefalica, ma con la visita possiamo distinguere il tipo: di vertice (la testa è completamente flessa, la
più comune), di bregma (leggermente deflessa), di fronte e di faccia (ancora più estesa). Quando
facciamo la visita, se tocchiamo il mento, avremo una presentazione cefalica di faccia. Questo è
importante, perché dobbiamo programmare il parto, perché se abbiamo una presentazione di
faccia dobbiamo fare un taglio cesareo, tranne se abbiamo un feto molto piccolo, altrimenti la testa
si blocca nel canale del parto;
 Podalica, completa (quando presenta natiche e piedi), incompleta (i piedi sono in alto e presenta
solo le natiche). Si preferisce eseguire il taglio cesareo;
 Di spalla, ovviamente dobbiamo fare il cesareo.
Cannizzaro Paolo Danilo

Ovviamente noi abbiamo degli indici di presentazione, li andiamo a palpare, una zona anatomica che ci fa
dire “questo è di vertice” se palpiamo la piccola fontanella (fontanella lambdoidea); è una presentazione di 27
bregma se palpiamo la fontanella bregmatica; di fronte se palpiamo la radice del naso; è una presentazione
di faccia se palpiamo il mento; presentazione di podice, se palpiamo l’osso sacro; presentazione di spalla se
palpiamo l’acromion. Quindi gli indici di presentazione sono quelle zone anatomiche che palpiamo alla
visita che ci fanno capire la presentazione del corpo mobile.

Posizione Rapporto che l’indice della parte presentata assume con determinati punti di riferimento sul
perimetro dell’ingresso pelvico, che costituiscono gli indici materni. Quindi è il rapporto tra il feto con la
madre, il bacino. Noi possiamo distinguere una posizione occipito sinistra anteriore o una posizione occipito
sinistra posteriore. Normalmente la posizione è occipito sinistra anteriore, il parto è molto più facilitato.
Nella posizione occipito sinistra posteriore viene ad essere prolungata la fase espulsiva.

Bisogna conoscere l’anatomia della testa fetale, le suture del cranio (sagittale, frontale, coronaria,
lambdoidea), le fontanelle (bregmatica, occipitale) e dobbiamo capire i diametri di impegno (sottoccipito-
bregmatico, bi parietale, occipitofrontale, sottoccipitomentoniero, sottoccipito bregmatico). Abbiamo
questi diametri a secondo l’indice di presentazione della testa, perché c’è un diametro più favorevole per
poter attraversale il canale del parto. Nella presentazione di vertice (quando la testa è molto flessa) il
diametro di impegno è il diametro sottoccipito-bregmatico ed è circa 9,5 cm. Quindi, la presentazione più
favorevole affinché il feto possa attraversare il canale di parto è la presentazione di vertice, che presenta il
diametro minore. Nella presentazione per esempio di bregma, il diametro di impegno è l’occipitofrontale,
che è 11-11.5 cm. Nella presentazione di fronte, il diametro è il mento-occipitale, il diametro maggiore, 13-
14 cm, quindi nel canale di parto non passa, tranne che è un feto molto piccolo; nella presentazione di
faccia è il sottomento-bregmatico, il parto può avvenire se il feto non è molto grosso.

Il parto può avvenire perché le squame della testa fetale possono modificarsi durante il passaggio della
testa nel bacino. Il parto è possibile perché c’è una riduzione relativa, in funzione di un diametro,
Cannizzaro Paolo Danilo

compensata dall’allungamento di un altro diametro, ed una riduzione assoluta, non compensata (indiretta),
se si sostituisce un diametro con un altro. Il diametro si modifica con una compressione o con una 28
modificazione dell’impegno, quindi per esempio iperflessione. Durante il travaglio di parto, valutiamo il
livello della parte presentata (possiamo dire se la testa è al di sopra dello stretto superiore) attraverso la
palpazione delle spine ischiatiche, dire per esempio “la testa è a -3”, cioè la testa non ha ancora impegnato
il distretto superiore; “la testa è a +2, +3” vuol dire che già affiora nella vulva.

Canale del parto Il canale del parto è costituito da una parte ossea (stretto superiore, scavo pelvico,
stretto inferiore) e da una parte molle (collo dell’utero, utero, segmento uterino inferiore, vagina e vulva),
sono le barriere che il feto deve attraversare, perché mentre possiamo allargare le parti molli con
un’episiotomia, le parti ossee non possiamo modificarle.

Lo stretto superiore è la prima parte che la testa incontra (in un feto che idealmente è in presentazione
cefalica, di vertice), delimitato dal promontorio delle ali del sacro, linea arcuata, cresta pettinea, tubercolo
pubico, margine superiore della sinfisi pubica. Se c’è una viziatura del bacino, la testa non si può impegnare.
In questi casi, si dice mancato impegno della parte presentata, si procede ad un parto operativo. La testa
sarà -3, sarà mobile e non si è ancora adattata allo stretto superiore. Esiste una coniugata anatomica di 10
cm ed una coniugata obliqua che ci permettono di valutare se c’è una viziatura del bacino.
Cannizzaro Paolo Danilo

Poi abbiamo lo stretto medio, circondato dalle spine ischiatiche e dalla concavità del sacro. Ci può essere
un feto che può impegnarsi, ma a livello dello stretto medio si può bloccare. 29
Infine abbiamo lo stretto inferiore, delimitato dal coccige, che può diventare più mobile durante il parto;
tuberosità ischiatiche, ramo ischio-pubico, margine inferiore della sinfisi pubica. Se il feto non riesce a
superare lo stretto inferiore, faremo un parto operativo, che non è il cesareo, ma l’applicazione di ventosa,
uno strumento dove si crea un vuoto, fissa il cranio, e serve a tirare in modo graduale il feto all’esterno,
quindi possiamo ridurre i tempi della fase espulsiva, se ci sono ritardi in questa fase, se c’è una lieve
sofferenza fetale o se la donna non ce fa la più a spingere. Se c’è una grave sofferenza fetale, dobbiamo
fare il parto cesareo, potremmo applicare la ventosa ma questa si stacca, quindi si deve fare
necessariamente il parto cesareo.

Le parti molli che deve superare il feto li abbiamo elencati poc’anzi.

I fenomeni del parto sono:

 dinamici (materni), perché interviene solo la madre;


 meccanici (materno fetali);
 plastici (fetali).

I fenomeni dinamici sono: espansione del segmento uterino inferiore, appianamento e dilatazione del collo
uterino, rottura delle membrane, distensione della vagina e del perineo. Sono tutte le modificazioni
materne, che permettono il parto.

Il segmento uterino inferiore è la parte dell’utero che origina dall’espansione dell’istmo, che in gravidanza si
trasforma in segmento inferiore e a partire del VI mese, col contributo delle contrazioni, si appiana e si
espande e serve ad accogliere la testa fetale. Se non avviene questa modificazione, la testa non può
scendere.

Il collo dell’utero forma un tappo, ma durante le contrazioni questo collo deve dilatarsi, altrimenti si lacera
e il parto non può avvenire.
Cannizzaro Paolo Danilo

Nella pluripara, prima si appiana e poi si dilata. Nella primipara,


invece, entrambi i fenomeni avvengono contemporaneamente. È la 30
contrazione dell’utero che fa innescare i meccanismi di dilatazione.

A volte noi facciamo il parto pilotato, perché le contrazioni sono deboli


e la dilatazione non avviene. Se la dilatazione non è di 10 cm, la testa
non può uscire.

Naturalmente il feto è circondato da liquido amniotico e quando la testa si impegna, noi abbiamo acque
anteriori (basse, che palpiamo con la visita) e posteriori. Ad un certo punto del travaglio di parto, si ha la
rottura delle membrane, che può essere tempestiva, intempestiva, tardiva, prematura.

Distensione di vagina, utero e perineo. La vagina è molto elastica, nel pavimento pelvico si forma un canale
fibromuscolare, il coccige si può retrarre leggermente e possiamo aumentare questo cercine eseguendo un
taglio del perineo, la episiotomia, favorendo la fuoriuscita della testa fetale.

I fenomeni materno-fetali sono i movimenti che il corpo fetale compie per attraversare il canale del parto e
sono sei:

1. Riduzione e impegno della parte presentata nello stretto superiore, la testa si flette e si impegna.
Nello stretto superiore, il diametro più favorevole è quello obliquo;
2. Progressione, la testa scende nella piccola pelvi, mantenendo il rapporto sottoccipito-bregmatico;
3. Rotazione interna, giunto a livello dello stretto medio, la testa fetale si pone in diametro antero-
posteriore, perché è il diametro più favorevole per attraversare il bacino;
4. Disimpegno della parte presentata, avviene sempre in diametro antero-posteriore, con la nuca in
rapporto con la sinfisi pubica;
5. Rotazione esterna, altrimenti le spalle non potrebbero uscire. Le spalle nel frattempo vanno nello
stretto medio e siccome in questo stretto devono essere in senso antero-posteriore, per uscire, ci
deve essere una nuova rotazione;
6. Espulsione del tronco fetale, uscite le spalle, l’espulsione del tronco avviene sempre.

Se non avvengono questi fattori meccanici, il parto non può avvenire. Se c’è un mancato impegno della
parte presentata, facciamo un taglio cesareo. Se c’è un arresto della progressione, possiamo fare
ossitocina, se fallisce questo o ventosa o taglio cesareo.

I fenomeni plastici sono: modificazioni delle ossa della volta cranica; tumore da parto (bozza siero ematica,
per permettere a questa testa di adattarsi bene, distinguendolo dal cefalo ematoma, tardivo, per rottura
dei vasi del periostio).

Periodi del travaglio di parto Il travaglio di parto prevede diversi periodi: periodo prodromico;
periodo dilatante; periodo espulsivo; periodo del secondamento. C’è una distinzione fra una primipara ed
una pluripara, perché nella primipara il travaglio di parto è più lungo.
Cannizzaro Paolo Danilo

Come facciamo diagnosi di travaglio di parto? Attività contrattile uterina, che deve essere dolorosa e
regolare; appianamento del collo dell’utero e sua dilatazione di almeno 2 cm. Con questi tre dati, possiamo 31
fare diagnosi di travaglio di parto.

Nel periodo prodromico avvengono fenomeni dinamici (espansione del segmento uterino inferiore e
appianamento del collo); fattori meccanici (riduzione e impegno della parte presentata); contrazioni
ritmiche e fastidiose. La durata del periodo prodromico va dalle 8 ore nella nullipara alle 5 ore nella
pluripara. Dobbiamo mettere questi paletti per fare diagnosi di parto patologico.

Poi abbiamo il periodo dilatante, durante cui avvengono fenomeni dinamici (dilatazione del collo,
formazione della borsa amniotica, distensione vaginale); fenomeni meccanici (progressione della parte
presentata). Dura 4-5 ore nella nullipara, 2 ore nella pluripara. Se il periodo dilatante dura troppo,
possiamo fare ossitocina, la rottura delle membrane.

Nel periodo espulsivo avvengono i fenomeni dinamici (distensione del perineo e della vulva); fenomeni
meccanici (rotazione interna, disimpegno della parte presentata, rotazione esterna ed espulsione del
tronco fetale); contrazioni più ravvicinate e prolungate; spinte volontarie del torchio addominale. Dura 1 h
nella nullipara, 20-30 minuti nella pluripara. Se il periodo espulsivo si prolunga, noi, secondo le linee guida,
aspettiamo un’ora, aiutiamo la gestante con alcune manovre, somministriamo ossitocina, applichiamo la
ventosa, se tutto questo non serve, dobbiamo fare il taglio cesareo.

Tutti questi periodi devono essere rappresentati nel partogramma, dove indichiamo la dilatazione cervicale,
le stazioni della parte presentata e l’orario. Le due linee si devono incontrare, se non si incontrano è un
problema, si deve fare il parto operativo.

Ritorniamo al livello della parte presentata, è importante sapere il repere delle spine ischiatiche e mediante
la visita possiamo capire come si presenta questo parto. C’è un indice di Bishop per valutare la potenzialità
di una donna che ha di partorire per via naturale, ci dà un punteggio mediante la valutazione della
dilatazione del collo in cm, lunghezza del collo, consistenza del collo, posizione del collo e livello della testa.
Se abbiamo un punteggio alto e induciamo il parto, sappiamo che il parto molto probabilmente andrà bene.

Il tracciato cardiotocografico ci aiuta molto anche per poter capire le condizioni fetali durante il travaglio di
parto, sia la presenza e l’intensità delle contrazioni uterine. Quindi possiamo valutare se siamo in una fase
prodromica o in una fase dilatante, attiva.

Secondamento Il secondamento è l’espulsione degli annessi fetali, dopo l’espulsione del feto.
Fisiologicamente avviene il secondamento perché si ha il distacco della placenta dalla sede di inserzione,
Cannizzaro Paolo Danilo

che può essere centrale o marginale, la placenta passa dal segmento uterino, dalla vagina e viene espulsa.
Dopodiché l’utero si contrae e determina il globo di sicurezza, se questo non si forma, c’è un’emorragia del 32
post partuum. La placenta nel 70% dei casi si stacca centralmente, nel rimanente dei casi si può staccare
lateralmente. Quando la placenta non viene espulsa spontaneamente, si deve procedere al secondamento
manuale: si entra con la mano in utero (in anestesia) si stacca la placenta e si tira fuori. Poi, nel post-
partuum, quando esce la placenta, che dura 2h, la gestante deve essere mantenuta in stretta osservazione;
dopo l’espulsione c’è un’emostasi meccanica nella zona di inserzione placentare, l’ostetrica deve
controllare se ci sono perdite vaginali, se l’utero è contratto, l’integrità delle lesioni perineali, controllo dei
parametri vitali. Se c’è un’atonia del post-partuum, la gestante può andare in shock emorragico.
Naturalmente possiamo influenzare questo periodo con la somministrazione di methergin
(Metilergometrina Maleato).

Puerperio Periodo che inizia dopo l’espulsione della placenta, fino alla ripresa dell’attività ovarica. Dura
in genere da 3 a 6 settimane. I fenomeni locali avvengono nell’utero, nella parete addominale, eccetera.

Prima di parlare del puerperio, parliamo delle indicazioni del taglio cesareo, una procedura chirurgica,
incisione trasversale al di sopra della sinfisi pubica (sec. Pfannenstiel), si incide l’utero trasversalmente, si
estrae manualmente feto e placenta, sutura dei vari strati. Ovviamente ci sono delle indicazioni assolute,
una delle indicazioni è la gravidanza gemellare; pregresso taglio cesareo, perché la pregressa isterotomia è
un locus minoris resistentiae; presentazione podalica in primipara; sofferenza fetale acuta; situazione
trasversa con presentazione di spalla; anomalie di inserzione placentare (placenta previa); fibroma a livello
dell’istmo.

Torniamo al puerperio. Nei processi che accompagnano l’eliminazione dall’utero dei residui dei tessuti
gravidici e i processi prende il nome di lochiazione, con la presenza delle perdite genitali denominate lochi.
Questi i primi tre giorni sono ematici, siero-ematici, sierosi e cremosi. Poi ci sono i morsi uterini, durante
l’allattamento l’utero si contrae, per tornare alle dimensioni pregravidiche. Quindi i fenomeni del puerperio
avvengono nell’utero, nella vagina, vulva e perineo e anche la parete addominale; sistema nervoso, perché
c’è il ritorno della gittata cardiaca, apparato respiratorio, atteggiamento psichico, apparato urinario,
gastroenterico alle condizioni pregravidiche.

Nel puerperio comincia il meccanismo della lattazione, meccanismi biologici e comportamentali che
permettono l’eiezione di latte dalla ghiandola mammaria. Durante la gravidanza, ci può essere una
secrezione biancastra; dopo il secondamento diminuiscono i tassi estrogenici e c’è la montata lattea.
Naturalmente noi facciamo attaccare subito il bambino, perché il colostro ha un alto valore proteico; la
lattazione prevede tre fasi: galattogenesi, galattopoiesi ed eiezione del latte. La galattogenesi permette la
produzione del latte, le mammelle diventano calde e pesanti e la temperatura può essere superiore alla
norma, a causa dell’elevata vascolarizzazione; la galattopoiesi è il mantenimento della produzione del latte,
garantita dalla prolattina; l’eiezione del latte è determinata dal riflesso della suzione e l’ossitocina, che
stimola la contrazione delle cellule mioepiteliali dei dotti galattofori e determina l’eiezione del latte. Oggi
molte donne preferiscono il latte artificiale.

Ringrazio Giulia M. Bonanno per avermi aiutato a completare questi appunti.


Cannizzaro Paolo Danilo

VI lezione Prof. M. Iraci 33

Oggi parleremo di endometriosi e dolore pelvico.

L’endometriosi è una malattia infiammatoria cronica, recidivante, benigna, estrogeno-dipendente e


consiste nell’impianto di endometrio e stroma in sede atopica. Quando questo tessuto si impianta nel
miometrio, si chiama adenomiosi (adeno = ghiandola; mioma = muscolo). Quando questa adenomiosi si
sviluppa in maniera circoscritta nel contesto del miometrio, si chiama adenomioma, perché simula l’aspetto
di un fibroma (fibromioma), ma è caratterizzato da ghiandole, non da fibre connettivali o muscolari.

L’eziopatogenesi è multifattoriale. Le localizzazioni principali sono i legamenti utero-sacrali; foglietti


posteriori dei legamenti larghi (fossetta ovarica), plica vescico-uterina; ovaie; salpingi ed utero. Dobbiamo
anche menzionare il tratto ileo-cecale, appendicolare, diaframma, che sono le localizzazioni extra-pelviche,
correlate alla circolazione del fluido peritoneale; in qualche modo il fluido peritoneale, che permette ai
visceri di scivolare fra di loro, ha un andamento a orologio, quindi il fluido viene raccolto dal cavo del
Douglas, che è la zona più profonda, bagna le anse ileali e queste, con la loro peristalsi, portano questo
liquido in alto. Questo liquido scorre nella loggia paracolica destra, diaframma, loggia paracolica sinistra e
tutto viene a raccogliersi di nuovo fra sigma ed annesso sinistro. Infatti, le localizzazioni si trovano
maggiormente a sinistra, che a destra. Per cui, secondo una delle teorie dell’impianto da flusso mestruale
retrogrado, questo sangue mestruale versatosi all’interno della cavità addominale, per circolazione interna,
viene dislocato in sede annessiale sinistra dove, appunto, prevalentemente si impianta. Non sono rare le
localizzazioni a livello del sigma-retto.

È stato visto che il sangue mestruale di alcune donne contiene tessuto ghiandolare, endometrio e stroma,
che ha la capacità di attecchire in sede peritoneale e, grazie ad alcuni fattori chemiotattici, interleuchine,
fattori di crescita, citochine pro infiammatorie, inibizione dell’attivazione dei macrofagi, non fa altro che
costruire quel microambiente che può essere stimolato come tessuto endometriale fisiologico dagli ormoni.
Quindi questo impianto, ogni mese, cresce come il normale endometrio e mestrua all’interno della cavità,
come se avessimo dei piccoli uteri all’interno del peritoneo, che mestruano.

Come reagisce l’organismo a questo stimolo irritativo? Questa endometriosi, determinando mensilmente
un’irritazione peritoneale, col rilascio di TNF-α, interleuchine pro-infiammatorie, prostaglandine algogene,
determinano dolore e sviluppo di aderenze reattive. Capite bene che è un circolo vizioso, che tende a
mantenersi nel tempo. Quindi, questa è la teoria della mestruazione retrograda, la più accreditata.

Oggi, visto che ci sono impianti dislocati anche al di fuori della cavità addominale, si pensa ad altre teorie
eziopatogenetiche. Abbiamo quella vascolare, tipica dell’embolo vascolare; linfatica, visto sono dimostrati
focolai endometriosici all’interno di linfonodi, come se fosse una metastasi; teoria mulleriana, della
metaplasia dell’epitelio celomatico, perché l’epitelio che riveste l’ovaio ha la capacità, sotto stimoli
particolari, di trasformarsi in tessuti endometriali, infatti la lesione più famosa dell’endometriosi è
l’endometrioma, cioè la cisti “cioccolato”. In realtà questa lesione si pensa derivi dall’invaginazione o di un
focolaio endometriosico o l’epitelio celomatico che riveste l’ovaio, sotto stimoli irritativi, si trasforma in
tessuto endometriale e si invagina, perché dovete sapere che l’ovaio normalmente, quando ovula, poi
tende ad invaginare il tessuto che vi è sulla superficie, se c’è un tessuto endometriosico e accanto è
avvenuta l’ovulazione, questa parte di tessuto viene inglobata e si forma l’endometrioma. Questo spiega
quegli eventi per cui, una signora, che va dal ginecologo, non ha nulla e un mese dopo ha una cisti di 4-5
Cannizzaro Paolo Danilo

cm, non segue l’andamento progressivo lento di aumento del diametro di mezzo centimetro. Inoltre
l’origine mulleriana dell’endometriosi ci sta bene, perché ovviamente come l’epitelio celomatico che riveste 34
l’epitelio mulleriano, siccome si è visto che è di origine uterina endometriale, il tessuto mulleriano sviluppa
l’utero e sviluppa anche il terzo superiore della vagina, è successo che sono state trovate lesioni
endometriosiche direttamente in vagina. Quindi inizialmente si pensava che potesse esserci un impianto,
come per il peritoneo, di tessuto mestruale in vagina, oggi si tende più a ipotizzare una trasformazione di
questo tessuto sotto stimoli irritativi, neoangiogenetici e flogistici in una trasformazione endometrio sica di
tessuto mulleriano residuato in queste aree. Non possiamo ovviamente trascurare una predisposizione
familiare, genetiche, ci sono decine e decine di geni che possono essere coinvolti. È ovvio che una
predisposizione ci deve essere, altrimenti non si capirebbe perché il sangue mestruale refluo in alcune
donne viene digerito dai macrofagi e in alcune donne no. Una predisposizione ci deve essere: un
abbassamento delle difese immunitarie, una forma di riconoscimento self per cui quel macrofago non
distrugge quelle cellule che riconosce come sue; ci sono tutta una serie di fattori per cui, tra le varie teorie,
tutto questo favorisce lo sviluppo di nuovi focolai endometriosici.

Non dobbiamo dimenticare che a queste teorie si aggiunge quella della disseminazione, che è un dato di
fatto. La capacità di questo tessuto di impiantarsi è assolutamente accreditato non solo su base
sperimentale ma anche su base clinica: non è raro trovare donne che hanno un endometriosi solo in sede
chirurgica (molto spesso vengono pazienti operate di endometriosi fasciale o muscolare da pregresso taglio
cesareo, ma non hanno assolutamente endometriosi di tipo peritoneale, ovarica. La paziente manifesta
endometriosi solo dove il focolare si è impiantato). Perché in una laparotomia o in una laparoscopia? O
nella breccia del trocar? Perché in quel punto c’è un trauma, il trauma determina tessuto di granulazione
per la cicatrizzazione e tutto questo porta nutrimento e neovascolarizzazione al tessuto endometriosico.
Questo tessuto endometriale, in un tessuto di granulazione, ha colto l’occasione, si è impiantato, si è fatto
la sua rete vascolare e si fa nutrire mensilmente dagli ormoni.

Le lesioni tipiche si trovano nell’ovaio, peritoneo che riveste l’utero; retto-sigma, che possono dare
sintomatologia sub occlusiva; fegato e diaframma, che può dare, in fase catameniale, algie alla spalla;
legamenti utero-sacrali; focolai vaginali e nella portio. È opportuno distinguere lesioni attive, denominate
red lesions, lesioni rosse, perché sono appunto molto vascolarizzate, particolarmente anche dolenti, perché
sono presenti diversi fattori sia angiogenetici che flogistici che algogeni; lesioni brune, in cui il tessuto
comincia ad andare incontro ad ischemia, per cui le lesioni nere sono lesioni in cui si raccoglie
l’emosiderina, che residua dal sanguinamento; il sanguinamento porta a trattenere globuli rossi, o
ovviamente degenerati, sono accumuli di emosiderina che determina a sua volta una flogosi irritativa che
poi induce la sclerosi. La sclerosi è data da queste lesioni bianche. Ci sono tante altre piccole lesioni, circa
una ventina, vescicolari, stellari ma queste sono poco utili in realtà le tre lesioni tipiche sono le red
lesions,brown lesions e white lesions, che denotano un vario grado di attività.

Come ci si accorge dell’endometriosi? Fondamentalmente essendo una malattia correlata con il ciclo
mestruale è ovvio che una donna quando comincia ad avere dolori mestruali importanti (dismenorrea) è da
attenzionare, a maggior ragione se questa dismenorrea tende ad aggravarsi nel tempo tant’è che la classica
cosa che chiediamo è la dismenorrea è andata ad intensificarsi, magari inizialmente bastava un FANS, poi
malgrado la terapia, il dolore è troppo intenso e questo dolore può portare nel tempo ad essere
persistente. L’endometriosi, essendo un rilascio in sede peritoneale di citochine e prostaglandine, non
fanno altro che irritare il peritoneo quindi simulare un’appendicite acuta localizzata nella pelvi mensilmente
con il ciclo,perché non dura solo un giorno, dura tutta la fase del ciclo mestruale. Tutto questo ovviamente
porta ad un’irritazione peritoneale, la quale si difende creando aderenze, perché tutto ciò che crea flogosi
Cannizzaro Paolo Danilo

poi crea una reazione peritoneale per isolare il problema. Questo cosa comporta? Che quella zona è sede di
aderenze, queste aderenze portano che l’ovaio si appicichi sopra o l’intestino, che di conseguenza il dolore 35
che era legato alle fasi del ciclo, se interessa un’ansa intestinale il dolore diventa cronico, perché l’intestino
si muove (la peristalsi è fisiologica) ma questa peristalsi che impedisce all’ansa intestinale di scorrere
determina una situazione di “strappamento”, perché l’intestino cerca di stirarsi, stira le fibre del dolore,
quindi il dolore da mensile diventa cronico persistente e quindi invalida ancora di più la vita di una donna.

Inizialmente i dolori sono correlati prima al ciclo mestruale, poi diventano dolori legati all’ovulazione e al
ciclo mestruale per poi diventare cronici. Perché l’ovulazione provoca questi problemi? Perché l’ovulazione
determina un rilascio in peritoneo di liquido follicolare, il liquido follicolare è ricco di prostaglandine, queste
prostaglandine cadute nel peritoneo, che è già infiammato, crea un dolore. Il dolore da mensile diventa
intermestruale per poi diventare cronico. Questi sono sintomi eclatanti ma non è sempre così evidente e
non sempre è facile fare una diagnosi, ovviamente se l’interessamento coinvolge l’intestino abbiamo
problemi anche durante l’alvo, perché quando l’intestino, specialmente il tratto terminale sigma-retto,
sono coinvolti da endometriosi quindi quando vi è un invaginazione del tessuto tanto da ridurre il calibro
del lume, ovviamente cominciano a manifestarsi anche dolori all’evacuazione magari quando la paziente ha
il ciclo riesce ad evacuare meglio ma ha un senso di ostruzione.

Siccome, fondamentalmente tutto ciò che crea irritazione peritoneale, e siccome la parte più profonda
dell’addome è il cavo del Douglas, ovviamente tutte queste sostanze flogistiche si raccolgono nel Douglas
e in effetti le lesioni più frequenti sono nel cavo del Douglas, i legamenti, fossetta ovarica, l’intestino sigma
retto, l’istmo uterino, la vagina. Anche il rapporto sessuale diventa doloroso infatti diciamo che la diagnosi
diventa più facile nel momento in cui al dolore catameniale subentra un dolore anche durante il rapporto
da non confondere con il bruciore. All’anamnesi chiedere se è un dolore alla penetrazione, quindi da
secchezza vaginale, lacerazione, flogosi; o è un dolore profondo, da endometriosi (dispareunia). Se la
donna non lo dice, a volte può capitare, alla visita, toccando il fornice vaginale posteriore (il “trigger point”
per il ginecologo) si evoca dolore e allontanamento dalla mano del ginecologo.

L’endometriosi coinvolge la fertilità, perché ovviamente creando aderenze, creando un sovvertimento


anatomico, ovviamente per fare un figlio occorre che ciascun organo funzioni correttamente quindi che
l’ovaio riesca a liberare il follicolo,che faccia liberare l’ovocita; che la tuba abbia quella peristalsi fisiologica
per cui l’ovocita viene captato, reclutato e tutto questo può avvenire se la tuba è libera di muoversi o
l’ovaio libero di ovulare, quindi l’endometriosi, per le conseguenze che comporta, può ridurre la fertilità.
Quindi le cause legate all’infertilità sono le aderenze che coinvolgono la tuba, sono state avanzate tutta una
serie di problematiche quali ad esempio l’aumento dei macrofagi, l’aumento delle prostaglandine
comportano a livello tubarico e ciliare una problematica di motilità nel periodo ovulatorio. Quando ci sono
nel liquido peritoneale dei fattori flogistici, sia le ciglia che la muscolatura liscia tubarica non lavorano
correttamente quindi quella peristalsi non c’è, quelle ciglia non si muovono, e quindi ovviamente la fertilità
è compromessa.

Ovviamente c’è la sindrome del follicolo non rotto (LUF) che però è legato all’impossibilità di rompersi
perché affinché avvenga la rottura del follicolo, questo deve essere libero di aprirsi e accrescersi. Se però
davanti all’ovaio c’è una membrana aderenziale, questo follicolo non si romperà mai.

Come si fa diagnosi di endometriosi? Da premettere che l’endometriosi può comportare non solo
l’interessamento diretto dell’organo quindi l’ovaio con la cisti; i legamenti e i nervi con l’infiltrazione
dell’endometriosi profonda, quali legamenti utero-sacrali; l’intestino con la sub-occlusione, fino ad arrivare
l’occlusione; ma può compromettere gli organi anche in maniera indiretta perché quando viene interessato
Cannizzaro Paolo Danilo

il foglietto posteriore del legamento largo, quindi la fossetta ovarica e al di sotto di questa ci passa
l’uretere. Quando l’endometriosi colpisce quest’area il tessuto cicatriziale tutto attorno all’uretere viene ad 36
essere retratto e l’uretere viene strozzato e ci può essere una compromissione renale da compressione
ureterale. Mentre l’intestino dà sintomi, la dispaurenia, l’endometrioma o l’endometriosi vescicale sono
tutti sintomatici, la strozzatura dell’uretere non dà sintomi e la donna può trovarsi con idronefrosi e
nemmeno accorgersene.

La diagnosi si fa tramite l’anamnesi, regolarità mestruale, se accompagnati da dolore, ecc.; molto spesso ci
si rende conto che la paziente ha una soglia del dolore molto alta ma accusa il colon irritabile o disturbi
alimentari, stipsi cronica, che ci sta con l’azione del progesterone nella seconda fase del ciclo, ma se questo
diventa un disturbo per la paziente, deve essere attenzionata. Con la visita, se la donna ha dismenorrea e
dispaurenia, sicuramente ha un utero non mobile, con difficoltà a lateralizzarsi, mi fa insospettire; i
legamenti utero-sacrali sono particolarmente duri, retratti; a volte si possono sentire anche dei noduli,
come fossero delle noccioline: tutto questo determina dolore. Il trigger point nel fornice vaginale è
doloroso se c’è irritazione peritoneale, la causa non si sa, può derivare dall’intestino, dalla tuba, dall’ovaio,
ma c’è qualcosa che sta irritando il peritoneo.

Il passo successivo è l’ecografia, da premettere che ci sono endometriosi vaginali palpabili e visibili. La
prima cosa che un ginecologo vede è la cisti endometriosica, ma questa di solito è la punta dell’iceberg,
perché magari prima di aver colpito l’ovaio, l’endometriosi ha colpito le altre zone.

Quando c’è il dubbio sulla patologia, in quelle situazioni poco chiare, clinica molto sfumata, ci viene
incontro il marker tumorale: di solito l’endometriosi provoca un innalzamento del CA-125 e del CA 19-9.

Per riconoscere l’endometriosi intestinale c’è bisogno del clisma opaco doppio contrasto, normalmente
quando il lume è ridotto del 50% c’è indicazione alla resezione intestinale, se sintomatica. La risonanza
magnetica può aiutare nei casi dubbi, ma la laparoscopia esplorativa è la soluzione migliore perché
permette una visualizzazione diretta della pelvi.

La classificazione più utilizzata oggi è quella della American Fertility Society che divide l’endometriosi in IV
stadi, da minima, lieve, moderata e grave, creata per correlare la gravità all’infertilità, in realtà non riesce a
fare né l’una, né l’altra.

Le terapie oggi consigliate vanno dall’analogo del GnRH (decapeptyl 3.75 mg), serve a bloccare la ciclicità
del rilascio dell’FSH, quindi determina una inibizione dell’ovulazione, ma si è visto che la lesione
endometriosica ha la capacità di auto generarsi gli estrogeni, quindi basta una piccola quantità di androgeni
di provenienza dallo stroma ovarico o dalla surrenale, che il focolaio endometriosico ha la sua aromatasi e
si autoalimenta. Infatti si sono sviluppati gli inibitori dell’aromatasi, che non sono privi di effetti collaterali
importanti. La pillola estro-progestinica, dato in maniera continuativa, con un dosaggio basso di estradiolo,
ma costante nel tempo, determina un miglioramento clinico, già solo per il fatto che la donna non ha il ciclo
mestruale. Ovviamente, non mi crea problemi a livello osteogenico (che invece compromette l’analogo del
GnRH, per questo deve essere usato massimo per sei mesi), ma la pillola contiene sempre quel basso
contenuto di estrogeni che alimenta l’endometriosi profonda, infatti chi soffre di endometriosi profonda
spesso non risente degli effetti benefici della pillola. In questi casi, si è ovviato nel dare il progestinico, per
via orale, per via im, per via sottocutanea (nexplanon), con gli effetti collaterali di dare segni di
androgenismo (acne, mastodinia, spotting).
Cannizzaro Paolo Danilo

La terapia serve a migliorare la qualità di vita ed evitare che la malattia progredisca (allontanando la
probabilità di essere operata). L’indicazione all’intervento è la resistenza al trattamento farmacologico, il 37
rischio di perdere il rene (da compressione ureterale) o un altro organo; salvaguardare la fertilità.

L’adenomiosi, invece, è refrattaria al trattamento farmacologico, se non dell’analogo del GnRH.


L’adenomiosi non implica la fertilità, perché coinvolgendo il miometrio, non influenza né l’endometrio, né
la tuba, influenza di più il ciclo mestruale, perché il sangue si riversa nel contesto del muscolo e crea
moltissimo dolore. Il mioma è un tumore benigno che scompagina il tessuto muscolare, l’utero non perde la
sua elasticità; viceversa, nell’adenomiosi, si devono tranciare le fibre muscolari infiltrate e diventa un locus
minoris resistentiae.

Dolore pelvico cronico

Per dolore pelvico cronico intendiamo un dolore continuo, ricorrente, localizzato alla pelvi da almeno sei
mesi e con forti ripercussioni sulla qualità di vita. Quando supera i sei mesi, il dolore è talmente cronico da
essere memorizzato dal cervello (oggi si parla di “memoria del dolore”) e può sentire dolore, anche se non
c’è più motivo di averlo.

Le possibili cause sono:

 Endometriosi;
 Sindromi aderenziali;
 Infiammazione pelvica cronica (PID), in cui c’è un’infezione pelvica (U. urealyticum, C.
trachomatis), di difficile valutazione, perché non danno leucocitosi, febbre, ma danno senso di
congestione, senso di gonfiore persistente, cattiva digestione;
 Endometrite;
 Esiti radioterapici, perché la radioterapia induce sclerosi tissutale, con interessamento indiretto
delle terminazioni nervose;
 Varicocele pelvico;
 Ipermobilità uterina;
 Neoplasie.
Cannizzaro Paolo Danilo

VII lezione Prof. A. Cianci 38

Oggi parliamo dell’ovaio policistico, che è la disfunzione più comune nella donna. L’ovaio policistico va
inquadrato in una sindrome più importante che è la sindrome metabolica. È chiaro che dal punto di vista
metabolico le alterazioni non possono non interessare altri distretti dell’organismo e in particolare l’ovaio.
La sindrome metabolica coincide con la policistosi ovarica nell’età fertile e diventa esclusivamente
sindrome metabolica in menopausa, perché in menopausa la funzione dell’ovaio è azzerata quindi rimane
solo il dismetabolismo. Durante la vita fertile, la policistosi ovarica, dal punto di vista della disposizione del
grasso, la donna con policistosi ovarica è diverso da una donna normale.

Questa è una donna con policistosi ovarica che ha un’adiposità a “mela”, cioè il grasso è disposto sullo
stomaco, torace, braccia .

Una donna sana, invece, dal punto di vista endocrino, ha un’adiposità a “pera”, il grasso si dispone
prevalentemente sui glutei e sui fianchi.

Per fare diagnosi di policistosi ovarica devono essere presenti almeno due tra i tre segni della policistosi
ovarica che sono:

 Oligo-anovularietà, una donna che ovula non con cicli regolari o che addirittura non ovula;
 Segni di iperandogenismo e iperandrogenemia;
 Aspetto ecografico di ovaio policistico ( ≤ 10 mm).

Quando sono presenti due di questi segni possiamo fare diagnosi di ovaio policistico. In realtà non bisogna
trascurare un aspetto molto importante ovvero l’insulino-resistenza, poiché parecchie donne con
policistosi ovarica sono insulino-resistenti, allora anche questo è un parametro che noi dobbiamo valutare.

Cosa si intende per insulino resistenza? Si parla di insulino resistenza quando c’è una incapacità di livelli
normali di insulina di portare la glicemia a livelli normali, quindi è necessaria più insulina e queste donne
verranno chiamate iper-insulinemiche. Questa insulina in eccesso cosa fa?
Cannizzaro Paolo Danilo

Queste donne sono insulino resistenti quindi iperinsulinemiche, da non confondere con l’insulina del
diabete di tipo II. L’insulina in eccesso agisce in diversi livelli: può agire a livello dell’ipofisi, alterando la 39
secrezione LH e FSH. Se LH e FSH non sono secreti in maniera regolare in funzione dei feedback dovuti alla
risposta ovarica, ma, quindi, c’è una secrezione che non tiene conto della risposta ovarica, è chiaro quindi
che determina un aumento dell’LH, che a sua volta andrà a determinare un’alterazione della follicologenesi.
Se noi abbiamo più LH di quanto è necessario, noi abbiamo una precoce luteinizzazione del follicolo e
quindi non abbiamo il follicolo che arriva a maturazione completa, ma abbiamo più follicoli che si fermano
in una fase intermedia di maturazione e quindi abbiamo, dal punto di vista anatomo-patologico e
ultrasonografico, la classica situazione dell’ovaio policistico, micropolicistico.

Un altro effetto importante è l’azione dell’insulina nei confronti del citocromo p450. Il citocromo p450 è un
coenzima che interviene nella sintesi steroidogenetica degli androgeni/estrogeni, quindi all’interno della
cellula tecale.

(Immagine) questo ovale azzurro che vedete rappresenta la cellula tecale. Su questa cellula si sintetizzano i
precursori degli estrogeni che sono gli androgeni, in particolare aldosterone e testosterone. Laddove c’è
un’iperattivazione di questo coenzima che agisce a livello della 17-idrossilasi o a livello della 17-liasi,
abbiamo una iperproduzione di androgeni, la quale determinerà un accumulo di questi androgeni che
impedirà lo sviluppo regolare del follicolo.

Riassumiamo: l’insulina altera la normale secrezione delle gonadotropine, dell’LH in particolare, dando un
maggior stimolo alla secrezione di LH. L’LH in eccesso andrà a determinare una luteinizzazione del follicolo;
l’insulina agisce sul citocromo p450 e accelera la trasformazione del colesterolo nei precursori androgenici
degli estrogeni. Tutto questo rientra nel quadro di iperandrogenismo ovarico.

Un terzo aspetto non trascurabile è la riduzione delle SHBG epatiche indotto dall’insulinemia, quindi più
insulina meno SHBG, meno SHBG vuol dire più androgeni liberi, quindi più androgeni attivi e quindi una
perpetuazione di questa situazione. In questo caso il primum movens è l’iperinsulinismo. Ma cosa porta
l’iperinsulinemia? Può essere o un fattore genetico, perché anticamente non c’era la possibilità di mangiare
quotidianamente e a volte non si mangiava per due/tre giorni quindi ogni piccola quantità di cibo andava
immagazzinato e quindi si selezionò delle popolazioni iperinsulinemiche perché conservavano tutto e
diventava grasso di deposito da utilizzare nei giorni in cui non si pescava, non si mangiava in genere. Per
quei tempi questo era un meccanismo che consentiva la sopravvivenza. Oggi invece si ritorce contro di noi
che facciamo una vita sedentaria, un’offerta di cibo eccessiva quindi, in quelli che sono congenitamente
iperinsulinemici, sono quelli che hanno più problemi oggi.

Quindi questa insulina determina un aumento degli androgeni nella cellula tecale, un aumento dell’LH,
degli androgeni e viene a mancare la possibilità della trasformazione sotto l’azione dell’FSH dell’attivazione
dell’aromatasi che trasforma gli androgeni in estradiolo, quindi c’è un arresto della crescita follicolare.

Questa patologia colpisce il 10-15% della popolazione femminile, abbiamo il quadro dell’iperandrogenismo
che porta alla comparsa di acne e irsutismo. L’irsutismo è dovuto al fatto che c’è un’iperincrezione di
androgeni, riduzione della SHBG, che fa aumentare i peli. Poi ci sono anche le varianti, donne che hanno la
policistosi ovarica ma che hanno una pelle con pochi recettori per gli androgeni e quindi, pur essendo
iperandrogeniche, non sono irsute.

Quadro endocrino: aumento dell’LH, aumento degli androgeni (testosterone e androstenedione), 17-OH
progesterone, aumento del DHEA solfato, riduzione della SHBG e l’iperinsulinemia.
Cannizzaro Paolo Danilo

Predisposizione genetica, età, stile di vita (ingestione di cibi grassi fa aumentare l’insulina), farmaci, sono i
fattori più importanti per l’insulino-resistenza. L’iperinsulinemia non è una condizione indispensabile per 40
avere la policistosi ovarica, perché la stragrande maggioranza delle donne obese sono iperinsulinemiche e
quindi se sono obese e iperinsulinemiche sono anche policistosiche ma ci sono anche delle eccezioni: tra le
non obese abbiamo un 40% di iperinsulinemiche e qui interviene il fattore genetico.

La PCOS è una patologia complessa in cui la base è l’alterazione dell’anovoluarietà, alcuni aspetti sono
l’alterazione dell’aspetto estetico (iperandrogenismo e acne) e l’infertilità. La policistosi ovarica appartiene
ad un complesso multisindromico in cui ci sono alterazioni vascolari, stato infiammatorio cronico e
alterazioni metaboliche quindi è un complesso molto ampio di patologie che coinvolgono l’ovaio policistico.
Tra i fattori maggiormente coinvolti abbiamo l’insulina resistenza. Vediamo come funziona:

 Fattori ambientali;
 Obesità;
 Vita sedentaria;
 Dieta inadeguata;
 Insulto intrauterino (l’eccesso di grassi, glucosio, colesterolo passa a livello della barriera placentare
e va al bambino. Il bambino che nasce sovrappeso non è un bambino sano, è un bambino che nel
corso della vita si porterà alcuni problemi).

Il problema dell’ovaio policistico si trasferisce anche nel periodo post-menopausa.

L’HOMA alterato nelle donne fertili, in premenopausa, si mantiene nella menopausa; gli androgeni
aumentati nella vita premenopausale sono aumentati nella vita menopausale; l’aumento della proteina C
reattiva è presente sia prima e dopo menopausa; questi sono tutti segni che con il tempo possono
diventare premonitori di una patologia cardiovascolare. La sindrome metabolica predispone anche ad
alcuni tipi di tumori, il più a rischio è il cancro dell’endometrio. C’è una correlazione, nella vita post
menopausale, lineare tra aumento del grasso addominale o viscerale e aumentato rischio di carcinoma.
Questo perché l’aumento dell’estrone determina una stimolazione continua nell’endometrio, quindi
iperplasia costante, diventando un tessuto fisso, continuamente stimolato dall’estrone e non dal
progestinico. Poi l’aumento del tumore del pancreas, legato all’aumento dell’utilizzo di cibi grassi; aumento
dei tumori alla mammella, rettali, fegato, colon, ovaio .

Come fare a difendersi? Nei soggetti con policistosi in sovrappeso la prima cosa è il calo ponderale. Il calo
ponderale è in grado di ripristinare i cicli ovulatori in circa 50% di donne con obesità e il 62% di donne non
obese affette da policistosi ovarica.

Il professore mostra la glicemia a digiuno in donne che assumono crusca di frumento. Il valore della
glicemia a digiuno prima dell’assunzione della crusca di fumento e dopo hanno una differenza del 9.6%,
assumendo questo tipo di cibi. Ci sono alcune fibre come il glucomannano, che determina una riduzione
della glicemia del 13%. Il glucomannano è una fibra vegetale che non si assorbe, si dispone sulla superficie
dello stomaco e del duodeno e impedisce l’assorbimento dei grassi e quindi da un po’ di potere saziante.

Un altro aspetto importante per la policistosi ovarica sono gli estroprogestinici. La pillola viene
classicamente utilizzata per la policistosi ovarica ed è anzi il farmaco più utilizzato. Gli estroprogestinici
bloccano la secrezione ovarica e surrenale aumentano l’SHBG. Agisce a livello ipofisario, come agisce la
pillola per la contraccezione, blocca la secrezione dell’ LH e dell’FSH, quindi non essendoci gonadotropine,
non avviene la secrezione ovarica, quindi non c’è quel movimento di crescita del follicolo ovarico che poi va
Cannizzaro Paolo Danilo

in atresia (si bloccano le cisti luteiniche all’interno dell’ovaio). La pillola agisce anche ad altri livelli, a livello
del fegato, stimolando la sintesi dell’SHBG, aumentando la quota degli androgeni legati quindi inattivi e 41
riduce la quota degli androgeni liberi. Uno dei segni più tipici degli effetti della pillola nella policistosi
ovarica è la scomparsa dell’acne. Alcune pillole agiscono anche a livello surrenale, bloccando la sintesi degli
androgeni surrenalici; la pillola è fatta di estrogeni e progestinici: l’estrogeno serve per assicurare la ciclicità
mestruale, il progestinico oltre all’azione antiestrogenica di inibire la crescita dell’endometrio ha azione a
livello secondario in altri organi.

Noi con la pillola agiamo su due livelli: sugli androgeni presenti e sugli androgeni che dovrebbe sintetizzare
l’ovaio. Quando una donna è fortemente iperandrogenica, oltre alla pillola si può utilizzare in associazione
degli antiandrogeni specifici.

Gli androgeni hanno un ruolo importante perché sono i precursori degli estrogeni, perché hanno un’azione
trofica nei confronti della pelle, dei muscoli e delle ossa e poi hanno il controllo della libido. Nel ciclo
ovarico normale noi abbiamo subito prima dell’ovulazione un modesto aumento del 17idrossiprogesterone,
che è un androgeno. Questo modesto aumento ha un motivo ben preciso che è quello di stimolare il
desiderio sessuale della donna, quindi una donna senza androgeni è una donna a cui mancano alcuni
aspetti importanti della libido, così è anche vero che una donna con un eccesso di androgeni ha un eccesso
di stimolazione sessuale.

Per il trattamento della policistosi ovarica, poiché abbiamo visto che nella stragrande maggioranza delle
policistosi sono anche iperinsulinemiche, oggi sono entrati in uso gli insulinosensibilizzanti, la classica
metformina. Come agiscono? Riducono l’insulinemia, migliora l’assetto lipidico, si riduce la sintomatologia
(acne, irsutismo) e molto spesso la donna riprende ad ovulare. Dopo trattamento con metfomina, aumenta
l’SHBG e si riduce il testosterone, confermando ancora di più che la policistosi ovarica nei soggetti
sovrappeso c’è l’alterazione dell’insulina. Con questo studio si vede che, se noi stimoliamo una donna con
policistosi con l’LH vediamo un aumento del 17idrossiprogesterone, se questa stessa donna la trattiamo
qualche giorno dopo con metformina, vediamo che la risposta di produzione del 17idrossiprogesterone è
più bassa a dimostrare proprio il ruolo centrale dell’insulina nella sindrome dell’ovaio policistico .

Anche a Catania nel ’99 sono stati fatti degli studi con l’octreotide, analogo della somatostatina, inibitore
della sintesi del GH e inibitore della secrezione di insulina. Questi soggetti ebbero subito una risposta. La
differenza in questi soggetti è che questi non erano soggetti sovrappeso ma normopeso.

Oggi si è visto che si può intervenire sulla policistosi ovarica utilizzando altri prodotti, uno di questi è
l’inositolo. L’inositolo non è altro che il secondo messaggero dell’insulina. Il glucosio si lega al recettore
della cellula e stimola l’insulina, l’insulina si lega al suo recettore cellulare e stimola la produzione di
insulina II, un secondo messaggero che è l’inositolo, una vitamina del gruppo B che serve per ricevere il
segnale dall’insulina e che quindi attiva il ciclo di utilizzazione del glucosio o subito, attivando la
fosfodiesterasi o attivando la glicogeno sintetasi, quindi in definitiva questo inositolo o stimola
l’utilizzazione del glucosio nel mitocondrio utilizzabile per le funzioni normali della cellula oppure quelli in
eccesso va a costituire il deposito in caso di necessità (glicogeno). Ma questo D-chiro-inositolo proviene da
un processo di epimerizzazione cioè se c’è un ostacolo nella trasformazione dell’inositolo che si trova sulla
cellula nell’inositolo terminale, si determina una necessità di avere più insulina a disposizione per svolgere
questo processo e può essere che alla base di uno dei meccanismi della disfunzione metabolica
dell’iperinsulinemia possa essere questo difetto genetico di trasformazione del mioinositolo in D-chiro-
inositolo.
Cannizzaro Paolo Danilo

Nel ’99 viene pubblicato un lavoro importante in cui vengono trattate le donne affette da ovaio policistico
con D-chiro-inositolo, quindi con il secondo messaggero che si trova sulla parete della membrana cellulare 42
e ottiene questo risultato: la riduzione dell’insulina, che a sua volta determina un aumento dell’SHBG, una
riduzione degli androgeni (testosterone), oltre la riduzione importante dei trigliceridi quindi possiamo dire
che questo D-chiro-inositolo si comporta tale e quale come la metformina .

Concludiamo il discorso per quanto riguarda i sintomi della policistosi ovarica: iperandrogenismo, che
trattiamo con la pillola e antiandrogeni; alterazione metabolica, sappiamo che è dovuta all’iperinsulinemia,
quindi correggendola ripristiniamo la funzione ovarica e l’infertilità. La donna con policistosi ovarica non
ovula. Cosa possiamo fare per riportare la fertilità? Con il citrato di clomifene oppure le gonatropine. Il
citrato di clomifene viene somministrato dal terzo all’ottavo giorno del ciclo.

C’è uno strumento terapeutico che può avere effetto di indurre l’ovulazione in maniera indiretta: se noi
somministriamo alla paziente il contraccettivo orale e blocchiamo l’asse per tre/quattro mesi e
determiniamo uno strato di ipogonadismo per cui resettiamo le gonatropine, facciamo ridurre quelle
piccole microcisti dell’ovaio e poi sospendiamo la pillola, l’ovaio ricomincia a funzionare per qualche mese e
quindi tante volte restano gravide dopo la sospensione della pillola. Da qui nasce il famoso detto che dopo
la pillola nascono i gemelli. L’ovaio policistico è un ovaio che tende a produrre più follicoli di un ovaio
normale e se noi diamo la pillola e poi la sospendiamo, portiamo ad un “priming” dell’ovaio e c’è più rischio
di una gravidanza gemellare.
Cannizzaro Paolo Danilo

IX lezione 43

Parliamo del prolasso degli organi pelvici.

Questa è l’organizzazione del pavimento pelvico che, fondamentalmente, è diviso in tre livelli (denominati
anche livelli di Delancey).

L’apparato di sospensione, perché il bacino è aperto, deve contenere tutti gli organi pelvici, muscoli, è
costituito da delle strutture, che sono:

- Strutture muscolari
- Strutture connettivali
- Bacino (punto di ancoraggio di muscoli e legamenti)

Dicevo, il pavimento pelvico è costituito da tre livelli: primo, secondo e terzo livello, che è il piano perineale.
Cannizzaro Paolo Danilo

Il I livello si riferisce al collo dell’utero, legamenti utero-sacrali e legamenti cardinali. Ai lati del collo
dell’utero si dipartono delle strutture legamentose, che si inseriscono a livello del bacino, che tengono in 44
posizione il collo dell’utero. Il I livello è quello più alto, se cedono questi legamenti, andiamo incontro al
prolasso.

Al II livello noi abbiamo i muscoli del pavimento pelvico, che è costituito dai muscoli del pavimento pelvico,
che fondamentalmente è l’elevatore dell’ano, che con i suoi fasci costituisce la base del pavimento pelvico.
I fasci sono pubo-sacrali, pubo-coccigei, ileo-coccigei e i pubo-rettali, che sono una variante, che girano
come una fionda attorno al retto, una parte del muscolo molto importante per l’incontinenza fecale. Questi
muscoli si attaccano al bacino, ma anche alla linea bianca degli otturatori. Se il m. pubo-rettale è indenne,
dà una serie di modifiche funzionali agli organi dell’apparato genitale, che li rende adatti a sostenere le
linee di pressione endoaddominale fisiologiche. Se questo muscolo perde la tonicità, le posizioni di utero e
vagina cambiano, quindi sono sottoposti a pressione diverse, rispetto a quelle che dovrebbero mantenere.

L’importanza fondamentale del m. elevatore dell’ano è dovuta alla sua perdita di tono a seguito del parto.
Può succedere che questo rilassamento possa determinare l’incontinenza urinaria, ma se la donna fa la
ginnastica correttiva, l’incontinenza se ne va (esercizi di Kegel).

Ci sono degli angoli che regolano il pavimento pelvico: se noi abbiamo un angolo fra asse maggiore e asse
della vagina uguale a 45°, tutto è in posizione fisiologica; se questo angolo si apre, possono alterarsi le linee
di forza (teoria integrale di Petros).

Abbiamo anche la fascia endopelvica, un’altra struttura di sostegno del pavimento pelvico, essa ricopre la
vescica, entra nello spazio vescico-uterino, gira attorno all’utero, va nel cavo di Douglas e ricopre il retto. A
seconda delle posizioni dove si trova, cambia nome, in fascia pre-vescicale, pre-rettale, fascia degli
elevatori, ecc. Le duplicazioni di questa fascia costituiscono i legamenti di sospensione. Soffermiamoci sulla
fascia pre-rettale(fascia di Denonvilliers), che ricopre la parete anteriore del retto. Da una parte, questa
fascia si aggancia al corpo fibroso del perineo (III livello di Delancey) e si estende fino alla vescica e
lateralmente ai legamenti di Mackenrodt.

Del III livello fa parte il corpo perineale e i muscoli che si attaccano ad esso, m. bulbo-cavernoso e
trasverso superficiale del perineo, posizionato tra l’introito vaginale e l’ano ed è il punto di aggancio delle
strutture legamentose. L’angolatura fra vagina e asse principale è di 45°, a livello del terzo medio. Tutto
questo è funzionale alla statica pelvica. L’utero è in una posizione ortogonale rispetto alla vagina; questo
fatto è fondamentale, perché se c’è una pressione endoaddominale, l’utero si schiaccia sulla sinfisi pubica e
sulla parete vaginale. Se l’utero fosse retroverso, cioè rivolto verso il sacro, il maggiore asse dell’utero
corrisponderebbe al maggiore asse della vagina e le forze spingerebbero l’utero a prolassarsi nella vagina.

Qualsiasi danneggiamento a livello muscolare, connettivale, fasciale, che altera la disposizione dei propri
organi può condurre al prolasso.

Abbiamo altri legamenti, pubo-uretrali e uretro-pelvico, che stabilizzano il “compartimento anteriore”, cioè
uretra e vescica, insieme ai legamenti vescico-uterini. Una compromissione di questi legamenti può portare
ad una ipermobilità uretrale e quindi danno incontinenza.

A seconda di dove si verifica il deficit, avremo dei diversi quadri clinici. Per esempio, se si danneggia il primo
livello (cioè legamenti utero-sacrali, legamenti cardinali) avremo un prolasso dell’utero e/o dell’apice
vaginale. Se si danneggia il II o III livello (m. elevatore dell’ano o corpo fibroso del perineo e muscoli)
Cannizzaro Paolo Danilo

avremo un cistocele (prolasso della vescica) o un rettocele (prolasso del retto), perché si trovano ad un
livello più basso dell’utero. 45
Possiamo avere anche un’altra suddivisione, che è più una suddivisione topografica:

- Compartimento anteriore, che interessa uretra e vescica;


- Compartimento superiore, che interessa l’utero;
- Compartimento posteriore, che interessa il retto. Se il corpo perineale diventa mobile, lo spazio tra
l’introito vaginale e l’introito anale si accorcia, determinando la sindrome del perineo discendente.

Quindi noi facciamo una classificazione del prolasso uterino, vescicale e rettale. Diciamo che un prolasso è
allo stadio 0 quando la portio si trova nel terzo superiore della vagina; la parete vescicale anteriore si trova
nel terzo superiore e terzo medio della vagina e il retto si trova nel terzo superiore e terzo medio della
vagina. Quando c’è uno stage 1, il collo dell’utero arriva nella parte media della vagina e possiamo avere un
prolasso vescicale di primo grado quando la vescica scende a livello intermedio e la stessa cosa vale per il
retto. Parliamo di stadio 2° quando il collo dell’utero arriva a livello della rima imenale, quindi all’ingresso
della vagina e lo stesso discorso vale per la vescica e per il retto; parliamo di stadio 3° quando la portio esce
al di fuori dell’introito vaginale; stadio 4° quando l’utero esce al di fuori.

I fattori predisponenti per il prolasso sono la multiparità, perché ogni nascita è un trauma per ogni
pavimento pelvico; la menopausa, perché viene a mancare l’azione trofica degli estrogeni e le strutture si
assottigliano; la macrosomia, perché una cosa è partorire un bambino di 2,5 Kg e un’altra partorire un
bambino di 4 Kg. Tra i fattori acquisiti potremmo mettere l’obesità, la bronchite cronica, cioè la donna
fumatrice tossisce in continuazione, aumenta la pressione endoaddominale e facilmente va incontro a
prolasso. Abbiamo anche dei fattori ereditari: abbiamo prolassi di donne che non hanno mai partorito o in
donne molto giovani, perché magari fanno sforzi fisici eccessivi (sollevamento pesi) o alterazioni del
collagene. La durata del travaglio è anche un altro fattore, quanto tempo dura la fase espulsiva. Uno
studioso ha studiato quanto più dura la fase espulsiva, tanto più è incidente il prolasso. Una delle cause di
danno al pavimento pelvico è lo stiramento del pudendo. Il n. pudendo passa dietro le spine ischiatiche e al
passaggio della testa del bambino ci può essere una compressione di queste spine ischiatiche e può
determinare un’alterazione del pavimento pelvico, che vengono a mancare le fibre che innervano queste
strutture.

Nel primo tratto, nel tratto superiore, la testa può danneggiare i legamenti utero-sacrali e cardinali. Nel
tratto medio, la testa può lacerare sia la vescica che il retto e la fascia di Denonvilliers, determinando
cistocele e rettocele. Nel segmento anteriore può lacerare i legamenti dell’uretra e dare incontinenza da
sforzo.

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