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GINECOLOGIA

BETTOCCHI, SCHONAUER, CORMIO


ANATOMIA DELL’APP. GENITALE FEMMINILE
Organi deputati alla funzione riproduttiva:
A. ESTERNI
1. VULVA
Sporgenza ovoidale con una fessura mediana FESSURA VULVARE.
Ha sede nella parte centrale del Perineo.
Si estende dalla regione ipogastrica fino a 3 cm dall’ano in senso antero-posteriore.
Strutture della vulva:
• Monte di venere;
• Clitoride;
• Grandi e piccole labbra;
• Imene;
• Vestibolo vaginale.
B. INTERNI
Sede: posteriormente la vescica ed anteriormente al retto, in una zona anatomica detta PICCOLA PELVI
1. VAGINA
Organo muscolo-membranoso impari mediano.
Forma tubulare che in basso si apre dall’orifizio vaginale e in alto termina intorno alla portio.
È, per la sua vacuità, una cavità virtuale in quanto le pareti anteriori e posteriori sono accollate l’una
all’altra.
Istologicamente ha una mucosa con ep. Pavimentoso pluristratificato varietà molle, privo di
ghiandole.
Funzioni:
• Organo della copula;
• Accoglie nel fornice posteriore il liquido seminale, che poi passa attraverso l’orifizio uterino
esterno;
• All’interno dell’ambiente vaginale troviamo i Lattobacilli di Doderlain, che modulano il pH
dell’ambiente vaginale, trasformando il glicogeno (che aumenta quando aumenta la
concentrazione di estrogeni) in ac. lattico, creando un sistema di difesa rispetto all’ingresso di
altri patogeni infatti l’utilizzo eccessivo di disinfettanti può compromettere questi importanti
sistemi di difesa.
2. UTERO
Organo fibro-muscolare, cavo, impari mediano.
Organo piriforme con base in alto e apice in basso.
Funzioni:
• Accoglie il prodotto del concepimento e di conseguenza risponde efficacemente alla
stimolazione estrogenica;
• Ha ruolo fondamentale nell’espulsione del feto.
Struttura:
• Il corpo è la sua parte superiore;
• Il fondo presenta ai due estremi gli ANGOLI TUBARICI;
• La porzione istmica invece si pone tra il Corpo e il Collo dell’utero.
• È delimitato dall’orifizio uterino interno e gli orifizi istmici;
• Il collo uterino è delimitato dall’orifizio uterino interno da un lato e l’esterno dall’altro.
• Ha due cavità:
§ CAVITA’ UTERINA;
§ CANALE CERVICALE.
che ha gli stessi limiti prima descritti.
• N.B. solo a termine della gravidanza si riconosce un ISTMO che forma il segmento uterino
inferiore (sede dove si effettua il taglio cesareo).
Posizione:

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• Ha una notevole mobilità;
• Normalmente ha 2 angoli:
§ ANTIFLESSIONE è l’angolo formato
tra il segmento uterino e vaginale,
aperto anteriormente di circa 80°
(può variare fino alla retroflessione);
§ ANTIVERSIONE tra collo e corpo
dell’utero.
Mezzi di fissità:
• Fascia endopelvica;
• Legamento rotondo;
• Leg. Utero-sacrali.
Istologia:
• Perimetrio: lo strato sieroso o peritoneale che in avanti si riflette sulla vescia e dietro invece si
porta sul retto, dove forma il cavo di Douglas che è la sede più declive nel quale possono
raccogliersi i versamenti, anche fisiologici nell’ovulazione;
• Miometrio: ha tre strati, sottosieroso, medio e sottomucoso, quest’ultimo ha disposizione a
spirale intorno ai vasi con funzione “EMOSTATICA” in quanto serra i vasi uterini
• Endometrio: è lo strato mucoso con ep. Cilindrico semplice e ghiandole interposte nella
mucosa.).
La cervice uterina ha invece una istologia differente:
• Endocervice costituita da
§ Un epitelio colonnare monostratificato con cellule ciliate e muco-secernenti;
§ Lamina propria
• Porzione sottovaginale del collo è detta esocervice che ha invece:
§ Un epitelio pavimentoso pluristratificato varietà molle a 5 strati;
• Tra una parte e l’altra troviamo la cosiddetta GIUNZIONE SQUAMO-COLONNARE che può
conoscere 2 fenomeni: EVERSIONE o INVERSIONE (la componente pavimentosa tende ad
addentrarsi verso l’endocervice, viceversa per l’altro)
3. TUBE UTERINE
Condotti pari e simmetrici di 18-25 cm, che originano dal fondo dell’utero e terminano con la loro
estremità libera in corrispondenza del rispettivo ovaio.
Funzioni:
• Captazione ovocita;
• Trasporto dell’ovocita;
• Migrazione spermatozoi;
• Capacitazione spermatozoi;
• Fecondazione e transito tubarico dell’embrione;
• Prime fasi di sviluppo embrionale.
Sede:
• Direzione obliqua dalla cavità uterina alla parete pelvica;
• Godono di notevole mobilità ma vengono mantenute in sito medialmente dalla continuità con
l’utero, e lateralmente dal ligamento infundibolo-pelvico (o tubo-ovarico).
Struttura:
• Ad imbuto il padiglione o infundibolo che possiede fimbrie captanti l’oocita, che continua con
(...) fino alla regione istmica.
Istologia:
• Ha una mucosa che riveste il lume della salpinge formata da epitelio cilindrico monostratificato
dotato di ciglia (che aumenta in risposta alla stimolazione ormonale consentendo una maggiore
captazione degli spermatozoi), non vi sono ghiandole ma vi sono cellule che hanno attività
secernente, e possiede ovviamente cell. Basali di rimpiazzo.

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• Ha poi uno strato muscolare LONGIT. ESTERNO e CIRCOLARE INTERNO, che le danno attività
peristaltica che favoriscono la migrazione dell’ovocita.
• In ultimo c’è poi una sierosa tubarica che è il rivestimento esterno della struttura tubarica.
4. OVAIO
A mandorla, pari e simmetrico.
2x3x1 cm che variano con il ciclo mestruale per il numero di follicoli prodotti e in menopausa perché
mancando attività ormonale il volume si riduce.
È di colorito biancastro.
Funzioni:
• Gametogenica;
• Endocrina (producendo estrogeni, progesterone, androgeni)
Rapporti:
• Medialmente è connesso all’utero con il legamento utero-ovarico;
• Lateralmente è connesso con il lig. Sospensore (infundibolo-pelvico) che proviene dalla parete
laterale del bacino);
• Anteriormente è connesso con la faccia posteriore del legamento largo;
• Posteriormente risulta libero.
Mezzi di fissità:
• Leg. Utero-ovarico;
• Legamento sospensore;
• Legamento meso-ovaio o leg. Tubo-ovarico
NB quindi l’ovaio ha una parte intraperitoneale e una parte extraperitoneale, e c’è un muro tra i
due “Linea di (??)”
Sede variabile:
• Nella NULLIPARA occupa la fossetta ovarica delimitata:
§ Posteriormente da uretere e vasi ipogastrici;
§ Anteriormente pag. posteriore leg. Largo;
§ In alto vasi iliaci esterni;
§ In basso art. uterina.
• Nella PLURIPARA invece tende a spingersi verso il Douglas.
Istologia:
• Un epitelio di superfice;
• Una tunica albuginea;
• Una sostanza corticale (con cell. della granulosa producenti estrogeni e i follicoli) più esterna;
• Una midollare più interna che origina dall’infundibolo e termina nell’ovaio.
Il FOLLICOLO è l’unità funzionale dell’ovaio, la sua maturazione periodica da luogo al ciclo ovarico,
correlato a quello mestruale.
VASCOLARIZZAZIONE:
1. VAGINA:
Arterie:
• Arterie cervico-vaginali (ramo dell’uterina);
• Vescico-vaginali (ramo dell’ipogastrica).
Vene:
• Plesso utero-vaginale;
• vescico-vaginale
Vasi linfatici:
• Parte media e superiore:
§ Linfonodi inter-iliaci;
§ L. Iliaci interni;
§ L. Otturatori;
§ L. Para aortici.
• Terzo inferiore:

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§ Linfonodi inguinali superficiali profondi;
§ L. Iliaci;
§ L. Otturatori.
2. UTERO:
Arterie:
• Arterie Ipogastriche che danno origine alle aa. uterine che danno un ramo ascendente
(vascolarizza l’utero e da i due rami tubarico ed ovarico) ed uno discendente (chiamata anche aa.
Vaginale) che si porta al collo e alla vagina, e con le controlaterali vanno a formare i rami che
vascolarizzano parete anteriore e posteriore dell’utero.
Le vene seguono il decorso delle vene ipogastriche e formano:
• Plesso cervico-vaginali;
• Plesso utero- vaginali.
3. TUBA:
• Ramo tubarico dell’arteria uterina;
• Ramo tubarico dell’aa. ovarica.
4. OVAIO:
Arterie:
• Aa. Ovarica (che entra nel legamento sospensore e prima di terminare da un ramo tubarico)
• Ramo ovarico dell’arteria uterina (del tratto ascendente della stessa) che si anastomizza con l’AA.
Ovarica.
Drenaggio Venoso uguale a quello del testicolo, si forma un plesso, il PLESSO PAMPINIFORME che
risale nell’infundibolo pelvico che a dx va nella cava inf, a sx nella vena renale (anche nella donna può
dilatarsi e dare VARICOCELE.
INNERVAZIONE:
1. VAGINA: dal plesso utero-vaginale, secondo e quarto sacrale e dal nervo pudendo, che formano un
plesso peri-vaginale.
2. UTERO: Plesso pelvico dal simpatico toraco lombare e fibre parasimpatiche del plesso sacrale.
3. TUBE: (?)
4. OVAIO: fibre nervose vegetative dal Plesso preaortico.

FISIOLOGIA DELL’APPARATO GENITALE


Lo scopo principale è il processo riproduttivo, con il termine di “ciclo riproduttivo” parliamo di un insieme di
fenomeni finalizzati alla produzione di un follicolo contenente un oocita che ha lo scopo di essere fecondato.
Questo processo origina da una fine regolazione di un asse coinvolgente ipotalamo ipofisi ed ovaio e la
periferia con utero e vagina che viene chiamato “ASSE RIPRODUTTIVO”.
ASSE IPOTALAMO-IPOFISI-OVAIO
L’ipotalamo fa parte del SNC e svolge 2 funzioni in particolare:
• Integra le informazioni neuronali ed ormonali;
• Rilascia neuro-ormoni che regolano la funzione ipofisaria.
L’ipofisi anteriore sotto lo stimolo del GnRH ipotalamico secerne FSH ed LH, che a loro volta nell’ovaio
porteranno allo sviluppo follicolare, ovulazione e secrezione degli ormoni estrogeno e progesterone.
I meccanismi di regolazioni di questi processi sono quelli di feedback positivo e negativo; possono essere
corti, medi o lunghi (es. ovaio-ipotalamico).

GAMETOGENESI FEMMINILE
Una serie di eventi che permettono il percorso maturativo del follicolo e di produzione degli steroidi
femminili, e dipendono infatti dall’asse prima descritto.
Questo asse si attiva alla pubertà per aumento di alcuni segnali (in particolare una riduzione della sensibilità
ipotalamica al feed-back negativo degli estrogeni) e per l’inizio della “pulsatilità̀” del GnRH ed aumento della
sua secrezione, aumenta anche la risposta ipofisaria al GnRH.

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La maturazione del feed-back positivo è responsabile del picco dell’LH alla metà del ciclo, che segna il
passaggio ad una attività di tipo adulto, e la sua maturità nei primi cicli mestruali è responsabile della
anovularietà degli stessi.
Dato istologico: l’oocita possiede una serie di microvilli e le cell. Follicolari iniziano nella loro maturità ad
emettere una serie di macrovilli che si interdigitano con i precedenti.

FUNZIONI OVAIO:
• Gametogenica
• Endocrina OVOGENESI
1. Fase proliferativa: gli ovogoni si dividono per mitosi;
2. Ingresso in MEIOSI I e arresto in DIPLOTENE;
3. Ripresa della MEIOSI e arresto in METAFASE II (a partire dalla pubertà ciclicamente un oocita
completa la meiosi I e arresta la meiosi II in metafase II);
4. Completamento della MEIOSI II dopo la fecondazione.

SPERMATOGENESI OVOGENESI
Della meiosi derivano 4 spermatozoi Dalla meiosi deriva 1 ovocita
Meiosi rapida e continua Meiosi lenta a tappe
Eliminazione citoplasma Accumulo citoplasma
Molti spermatozoi per ogni sertoli Molte cell. Follicolari per oocita
Mancano membrane accessorie Diverse strutture di rivestimento oocitario
CICLO OVARICO:
• Fase follicolare:
§ Crescita dei follicoli ovarici;
§ Termina all’ovulazione;
§ È una fase estrogeno-dipendente.
• Fase ovulatoria:
§ Inizia all’ovulazione con la formazione del corpo luteo;
§ È una fase progesterone-dipendente.

ACCRESCIMENTO DEI FOLLICOLI


• Follicoli primordiale (30-40 micron)
circondato da un singolo strato di
cell. Follicolari appiattite;
• Follicolo primario (50 micron)
singolo strato di cell. Follicolari
cubiche;
• Follicolo secondario iniziale (60-220
micron) iniziale produzione di liquido
e multi-stratificazione delle cellule;
• Follicolo secondario a termine (200-
220 micron) il liquido converge verso
la formazione di una camera detta
“antro”;
• Follicolo terziario iniziale (circa 1
mm);
• Follicolo di Graaf (terziario a
termine; preovulatorio) (18-22 mm)
esternamente al follicolo i tessuti
connettivi ovarici esterni alla lam.
Basale si organizzano in Teca interna
e Teca esterna.

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CRESCITA FOLLICOLARE
• Fase iniziale:
§ Indipendente dall’azione delle gonadotropine
§ Dipendente da fatt. genetici
§ Al controllo intraovarico con maturazione vi è un aumento del volume dell’oocita,
moltiplicazione delle cell. Granulosa e formazione della zona pellucida
• Fase successiva:
§ Regolata dalle gonadotropine, con comparsa di recettori per l’FSH e LH (ha azione soprattutto
sulla teca) oltre che per gli androgeni (prodotti dalla teca stessa) sulle cellule della granulosa,
ciò̀ le rende sensibili alla stimolazione gonadotropinica ed estrogenica

OVULAZIONE
Quando il follicolo è maturo si verifica questo processo, prima dell’ovulazione si verifica un picco dell’LH.
Sotto stimolazione dell’FSH le cell. Follicolari producono ialuronidasi per permettere disgregazione della
matrice extracellulare e il cumulo ooforo viene rilasciato libero nell’antro, si completa la meiosi I e si arresta
in metafase II.
Scoppio del follicolo con fuoriuscita del cumulo ooforo (..)
Percorso degli oociti: movimento di liquido consente il trasporto dell’oocita nella tuba verso l’utero.
Quindi 2 fasi rilevanti:
• Reclutamento dei follicoli (maturazione e atresia follicoli disponibili, selezione follicolo-dominante,
ovulazione, costituzione del corpo luteo e sua maturazione e/o regressione)
• Steroidogenesi

DOMINANZA
Non tutti i follicoli vanno
avanti nell’accrescimento, ma
solo i follicoli che
metabolicamente sono più
competenti e che esprimono
un numero di recettori che li
rende più sensibili.

CICLO ENDOMETRIALE
Di pari passo al precedente
c’è il ciclo endometriale, dove
si intende l’insieme di
fenomeni che portano
l’endometrio dalla fase
distruttiva, attraverso la fase
ricostruttiva e proliferazione
iniziale, sino alla fase
proliferativa avanzata e
quindi dopo l’ovulazione alla
trasformazione secretiva
dell’endometrio stesso.

Menarca inizia a 10-16 anni e


la menopausa si ha
generalmente intorno ai 50
anni.
La ciclicità o ritmicità sono dei fenomeni conseguenti alla attività ormonale ciclica legata all’attività
riproduttiva.

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• Ritmo: 28 +/- 4 gg
• Durata: 4+/- 2 gg
• Entità: Scarsa, normale, abbondante
Dopo la mestruazione l’endometrio è sottile (spessore < 0,5 mm); con la stimolazione estrogenica, che si
verifica durante la fase follicolare, l’ep endometriale viene sottoposto ad intensa attività mitotica e si
inspessisce.
Quindi avremo:
• Fase mestruale
• Fase proliferativa
• Fase secretiva
ENDOMETRIO è composto di 2 strati:
1. BASALE che è sottile, < 0,5 mm;
2. SUPERFICIALE che presenta ghiandole e stroma.
In base alle modificazioni che si verificano sull’endometrio possiamo definire 5 fasi:
1. RIGENERATIVA da desquamazione precedente alla successiva proliferativa, con ricostruzione ep.
Superficiale;
2. PROLIFERATIVA in fase iniziale sotto l’azione degli estrogeni le cell. Endometriali cambiano la
morfologia divengono cubiche, le ghiandole più grandi e dilatate, cambiano anche le cell. Stromali, le
arterie tendono a spiralizzarsi;
In fase intermedia le ghiandole aumentano di numero e lo stroma diviene edematoso, in fase avanzata
le ghiandole assumono il volume massimo e si infarciscono di glicogeno e le arterie arrivano in
prossimità dell’epitelio superficiale)
3. SECRETIVA quindi già si è avuta la ovulazione, le ghiandole aumentano di volume per dare nutrimento
ad eventuale prodotto del concepimento, divengono a cavaturacciolo.
4. PREMESTRUALI modificazioni sulla componente superficiale, necrosi vera e propria per la rapida
caduta di progesterone ed estrogeni, legati soprattutto alla produzione di prostaglandine che
determina questa necrosi tissutale, si infarciscono di lisosomi, questi degranulano e si determinano una
serie di vasocostrizioni, responsabili del dolore, e lo strato superficiale viene cosi ad esserne esfoliato)
5. Mestruale vera e propria (?)

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MENOPAUSA

L’aspettativa di vita nella donna si è modificata radicalmente negli ultimi


150 anni.
Prima, dall’epoca romana fino a qualche secolo fa le situazioni non erano
molto diverse e le aspettative di vita erano simili, si moriva per complicanze
ostetriche: si calcola che mediamente una donna aveva circa 12
gravidanze, di cui 3 finivano in aborto spontaneo, 9 a termine con 6 nati
vivi.
Questo ovviamente aveva una ricaduta importante, perché per alcune
complicanze ostetriche non esistevano cure, quindi morivano per
complicanze vere e proprie del parto, morivano di emorragie post-partum
(tutt’ora causa significativa di morte nel post-partum, meno nel mondo
occidentale dove è più importante la sepsi), morivano di complicanze quali
le lacerazioni post-partum che riducevano la qualità di vita e facilitavano
situazioni settiche.
Migliora poi l’assistenza ostetrica e il parto cesareo si modifica (già esisteva
in passato, ma comportava inevitabilmente morte della madre).
Nel 1850 comincia ad essere clinicamente più affidabile anche l’anestesia, si associano tutta una serie anche di miglioramenti sociali,
che determinano così un cambiamento significativo su questo fronte.
Nel 1950 arriva il Pap-test, altro strumento di prevenzione fondamentale: questo ha determinato il raggiungimento di un’aspettativa
di vita di circa 90 anni.
Quello che non è cambiato o è cambiato poco è l’età della menopausa: 50-51-52 anni.
Cosa succede all’ovaio?
Non fabbrica cellule uovo, ma piuttosto è un serbatoio: i precursori di queste cellule raggiungono l’ovaio in
fase embrionale, proliferano, poi questa proliferazione si interrompe, e da lì in poi comincia una loro
progressiva perdita non controllabile per apoptosi.
Un numero decisamente minore rispetto a quelli distrutti sarà, invece, consumato per le ovulazioni,
ed è per questo che l’età della menopausa non si modifica tra una nullipara e una multipara, perché il numero
di cellule uovo consumate per le ovulazioni è infinitesimo rispetto alla quantità distrutta ogni giorno.
Quindi, la differenza tra i tempi attuali e il passato è che oggi c’è una metà della vita che viene trascorsa senza
attività ovarica.
Su questo si montano un’altra serie di fattori sociali, che sono poi alla base delle richieste della popolazione
(essere giovani sempre): il problema diviene conservare la gioventù in “termini interni”.

NOMENCLATURA
• CLIMATERIO
Fase di transizione tra periodo riproduttivo (attività follicolare ovarica) e periodo non riproduttivo
(esaurimento attività ovarica) può durare diversi anni.
L’ovaio inizia ad impoverirsi di follicoli e il feedback negativo ipotalamo-ipofisi inizia ad essere più
debole e quindi l’ipofisi inizia a scaricare più ormoni.
Dai 45 ai 55 anni.
• MENOPAUSA
Ultimo ciclo mestruale della vita della donna.
Età media di insorgenza:50 anni.
• PREMENOPAUSA
Il periodo che precede la menopausa, iniziali irregolarità dell’attività ovarica.
• POSTMENOPAUSA
Nonostante nel parlare comune si definisca questo periodo successivo alla menopausa,
“menopausa” stessa, la postmenopausa è l’assenza di attività follicolare, definita cessazione dei cicli
mestruali da almeno 12 mesi.
• PERIMENOPAUSA
È l’insieme di premenopausa e post menopausa nelle fasi più vicine alla menopausa.

CLIMATERIO

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È un periodo di passaggio che arriva in un momento in cui la donna moderna è ancora giovane, attiva, rispetto
alle moderne categorie sociali.
L’ovaio comincia a non rispondere più adeguatamente allo stimolo.

Può capitare in alcuni cicli che la quantità di estradiolo si abbassa, quindi nell’ovaio estrogeni bassi e FSH ed
LH aumentano, poiché manca il feedback negativo, quindi non c’è più l’ovulazione o comunque diventa più
rara.
Si ritiene mediamente che una donna con un ciclo diciamo perfetto, “da libro”, abbia 13 cicli all’anno.
Di questi 13 cicli, nella migliore delle ipotesi, uno è anovulatorio. Questo vale per tutte le donne.
Quello che capita col climaterio, e capita sempre di più avvicinandosi alla menopausa, è che sempre più cicli
(sempre che ci sia un follicolo che cresce), non raggiungono l’ovulazione.
Questo avviene perché la quantità di FSH ed LH, che sono presenti in queste donne, restano elevati,
disordinati, e si perde la fisiologica secrezione di FSH ed LH.
Il fatto che non ci sia ovulazione, malgrado possa non esserci una grande quantità di estrogeni in circolo,
comunque mette quella donna nella condizione di iperestrogenismo relativo.
L’iperestrogenismo relativo è l’esposizione ad estrogeni (non importa se alti o bassi), che non sono bilanciati
dal progesterone.
Quindi, se lasciati andare potranno dare malattie estrogeno-sensibili, prima fra tutte l’iperplasia
dell’endometrio, che lasciata andare nel tempo può diventare un cancro endometrioide.

COSA SUCCEDE?
I follicoli non ovulano e sono sempre più resistenti alle gonadotropine.
Non sappiamo perché, ma in menopausa, sull’ovaio esiste qualche migliaio di follicoli, che però sono
inamovibili: non vanno incontro ad apoptosi, non sono sensibili agli ormoni, ma restano lì.

COMUNICATO STAMPA RECENTE:


Ricerca del dottor Pasquale Patrizio (di Castellamare di Stabia), ordinario a YALE, che è uno scienziato traslazionale, quindi lui si
occupa di sperimentazione clinica di tecnologie o di idee che vengono dal laboratorio o viceversa.
Si interessa in maniera specifica di fertilità, con l’interesse proprio nel prolungamento dell’età fertile; per cui è una persona che ha
vitrificato l’ovaio intero (4.10-4.14) di una capra, ha tolto l’altro ovaio e ha reimpiantato l’ovaio vitrificato e questo riprende a
funzionare, quindi lui immagina in un futuro, che ad una donna giovane venga tolto un ovaio, venga messo vitrificato in azoto liquido,
e quando la menopausa arriva (non completa il discorso).
La menopausa arriva alla stessa età, sia che le ovaie siano una o siano due, perché il sistema si regola. E questa l’altra grande
scommessa: IN BASE A COSA SI REGOLA L’APOPTOSI, PER CUI SE TOGLIAMO UN OVAIO, SULL’OVAIO RESIDUO L’APOPTOSI SI
RALLENTA E L’OVAIO DIVENTA PIÙ GRANDE?

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Potremmo pensare che ci siano staminali, che fanno aumentare il numero di follicoli anche in una donna, e quindi la sua idea è che
poi a quella donna con l’ovaio tenuto in azoto, alla menopausa, venga reimpiantato l’ovaio per darle altri 40 anni di fertilità, o per lo
meno di ormoni.
Ha fatto un’altra cosa: ha iniettato cellule staminali prelevate dal midollo nell’ovaio di donne in menopausa precoce (pur avendo il
POF, un esaurimento ovarico prematuro)
CHE COSA È SUCCESSO?
Hanno ricominciato ad ovulare, ma solo per un anno, quindi è riuscito a risvegliare dal torpore quasi cadaverico l’ovaio.
E questo rappresenta sicuramente qualcosa di molto interessante dl punto di vista di studio della fisiologia; perché quello che non
riusciamo a capire è perché questi follicoli siano assolutamente insensibili ai corticosteroidi.

QUINDI CHE COSA SUCCEDE?


➢ Aumenta il tasso di atresia
➢ Diminuisce il numero di follicoli,
➢ Diminuisce la sensibilità alle gonadotropine.
QUESTO HA DELLE RICADUTE sul tessuto più sensibile di tutti che è l’endometrio.
Ricordatevi che la mestruazione non è altro che la testimonianza del corretto funzionamento del ciclo
ovarico, per cui se quel ciclo ovarico comincia a funzionare male, l’endometrio altrettanto ne risentirà.
Quindi, avremo l’ipermenorrea e menorragia.
Questo avviene perché l’utero fisiologicamente, in conseguenza delle gravidanze e del susseguirsi dei cicli,
diventa sempre più fibroso.
Il tessuto fibroso, che si interpone tra le cellule muscolari, fa sì che l’attività contrattile dell’utero sia sempre
minore, quindi l’emostasi meccanica delle arteriole, che si scoprono con la mestruazione, è sempre più
ridotta.
Inoltre, è possibile che manchi la produzione di estrogeni subito dopo la mestruazione: l’attività del follicolo
nuovo (quello che ovulerà alla metà del ciclo successivo) comincia il primo giorno di mestruazione.
Se per motivi ormonali, l’attività follicolare non parte, non ci saranno estrogeni che stimolano la
riepitilizzazione della cavità.
In più altra cosa che si sperimenta è che quello che porta poi una donna 40enne dal ginecologo,
spaventatissima, è l’avvicinamento dei cicli: non abbiamo più cicli ogni 28 giorni dall’inizio del flusso, ma
comincio ad avere cicli ogni 24-22-21 giorni.
Questo perché si riducono i follicoli ANTRALI, che sono sempre una proporzione del totale, quindi se
diminuisce il totale dei follicoli contenuti nell’ovaio, saranno di meno anche i follicoli antrali messi a
disposizione dall’ovaio per il ciclo.
Quindi, come vi ho già detto, il feed-back si riduce come forza, di conseguenza l’ipofisi scarica più FSH e
quindi l’ovulazione non arriva più al 14° giorno, ma semmai arriva al 9° o 7°.
Queste donne se fanno un dosaggio ormonale, semmai al 3° giorno del ciclo hanno estrogeni alti (dice il
laboratorista: “signora, lei è una ragazzina, ha gli estrogeni alti”), in realtà no, è una donna che sta ovulando
al 5° giorno.
Pertanto, quello che si può vedere nelle 40enni è:
1. Ovulazione anticipata;
2. Ovulazione doppia, proprio perché lo stimolo è così forte, da riuscire a portare a maturazione ed
ovulazione più di un follicolo;
3. Ipomenorrea, quando comincerà a calare realmente l’attività ovarica. Gli estrogeni introdotti sono
diminuiti e quella che lei chiama mestruazione in realtà è soltanto una perdita legata ad una alterazione
nella produzione degli estrogeni,
4. Amenorrea;
5. Infine, quando di estrogeni non ce ne sono più, in maniera “sincronica” (quindi parliamo di almeno sei
mesi), l’endometrio va in atrofia (non è più funzionale).

TUTTO QUESTO HA UNA RICADUTA:


• La carenza di estrogeni e l’aumento di LH portano alle vampate, che consistono in una sensazione
di calore violentissima della metà superiore del corpo, seguita da profusa sudorazione.
• La sudorazione notturna (il più delle volte è l’inizio) sono vampate non percepite perché la donna
stava dormendo.

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• Per gli effetti degli estrogeni c’è tutto un corteo sintomatologico di tipo psicologico- psichiatrico:
§ Irritabilità;
§ Depressione;
§ Bruschi cambi di umore,
§ Insonnia (o meglio più che insonnia, il risveglio anticipato con incapacità di addormentarsi).
Ci sono donne che si addormentano anche ad un orario loro abituale e si risvegliano alle 2- 3 di notte,
perché non riescono più a prendere sonno.
• Inoltre, si associa cefalea che vede come suo motore, nella maggior parte dei casi, una
degranulazione mastocitaria importante a livello cerebrale.
I mastociti sono sensibili ai bruschi cambi di ormoni steroidei, da questo viene, per esempio, la
cefalea catameneale, che alcune donne sperimentano come sintomo della sindrome premestruale;
per cui in tutto questo periodo di sbalzi, può capitare un peggioramento della cefalea, se quella
donna già ne soffre.
La mestruazione corrisponde al livello minimo, in cui gli estrogeni ed il progesterone circolano.
In una donna in climaterio, si possono avere picchi anche molto elevati di estrogeni: quando non
c’è l’ovulazione, non ci sono gli estrogeni; appena calano gli estrogeni, viene la mestruazione
anticipata e nello stesso tempo si ha la degranulazione mastocitaria.
Questa condizione di fluttuazioni violente della quantità degli steroidi circolanti può dare il
peggioramento della cefalea.
• Altro tessuto ormono-sensibile per eccellenza è rappresentato da: vagina, vulva e parte più distale
della vescica e dell’uretra.

COSA CI DÀ LA CARENZA DEGLI ESTROGENI?


• La carenza degli estrogeni porta a delle modificazioni del collagene, per questo cambia la pelle in
menopausa, per questo compaiono le rughe, perché cambia la qualità del collagene. Se vedete tutte le
pubblicità di creme che utilizziamo per dare una pelle di una ragazzina, queste agiscono sulle fibre
collagene.
Esiste collagene di diversi tipi in base a come viene montata la molecola: ce ne sono varianti molto più
elastiche e molto più capaci di trattenere acqua, quindi garantire l’idratazione, rispetto ad altri tipi che
sono invece più fibrosi e tenaci.
Quello che succede in menopausa è che si sostituiscono quelli di tipo elastico con quelli di tipo più
fibroso.
• Questo processo così come riguarda la pelle, riguarda anche la vagina e la vulva, per cui la vagina perde
elasticità, la mucosa diventa sottile, dunque non c’è più glicogeno, si riduce la flora lattobacillare, si alza
il pH e si è protette meno dalle infezioni; altrettanto la vulva vede le grandi labbra svuotarsi, le piccole
labbra scomparire, l’introito vaginale ridursi di diametro, i peli diminuire.
• La vescica risulta meno protetta dalle infezioni, perché l’uretra perde lo spessore del suo rivestimento
interno, perde capacità di chiusura, di sigillare la vescica, per cui i batteri (che in menopausa proliferano
più facilmente), possono entrare in vescica con più facilità.
• La mammella (altro organo ormono-sensibile), in seguito a questi sbalzi può andare incontro a
condizioni frequenti e mantenute per parecchio tempo di tensione simile a quella premestruale.
• La vagina è diventato un grandissimo argomento nella gestione della qualità di vita, perché donne
sempre più grate vogliono un prolungamento anche della salute sessuale. Pertanto, si perde la capacità
di mantenere il collagene.

Gli estrogeni permettono di:


• Mantenere il collagene;
• Mantenere i mucopolisaccaridi e l’acido ialuronico, che danno turgore ai tessuti e lubrificazione;
• Mantenere la vascolarizzazione dei tessuti;
• Mantenere la produzione di glicogeno. Ricordatevi che il glicogeno appartiene alle cellule superficiali
della vagina, che sfaldandosi lo liberano e lo rendono disponibile come sub-strato, fermentato da
lattobacilli, per produrre l’acido lattico e quindi come protezione contro le infezioni urinarie.

11
• C’è un prolasso anteriore: Si rompono i legamenti di sostegno dell’uretra verso l’utero, insieme
all’ultima parte del trigono, per cui col tempo e soprattutto quando la vagina perde l’elasticità, questa
struttura, questa parte dell’organo, cade all’interno del lume vaginale e si porta dietro piano piano tutto
il resto della vescica.
Con quale conseguenza? che l’urina, che è contenuta in questo recesso (Anteriore), non viene emessa
durante la minzione, resta lì e quindi si infetta più facilmente e dà più facilmente le infezioni urinarie
(stiamo parlando della parete anteriore della vagina e quindi della vescica).
Ce n’è anche uno piccolo Posteriore, molto meno sintomatico rispetto a quello anteriore. Le pazienti
vengono per le infezioni urinarie frequenti, o perché, lavandosi, percepiscono il cambiamento
anatomico.

Quindi, la vagina perde collagene, tessuto adiposo e capacità di conservare elasticità̀.


La vulva perde riempimento, i vasi sanguigni diventano più piccoli e diminuiscono, come le ghiandole di
Bartolini, che praticamente partecipano in minima parte alla lubrificazione vaginale, ma che comunque
vanno in atrofia anche loro. Si riducono l’introito vaginale e la lunghezza della vagina.

Se guardassimo l’epitelio, quello che cambia è che perde la sua pluristratificazione e diventa sottile, infatti,
se facciamo il PAP-test in una donna che è da poco in menopausa, molto probabilmente il PAP-test ci dirà
che abbiamo raccolto anche cellule parabasali, cosa che normalmente non si trova in una donna in età
fertile, a meno che non prenda un contraccettivo a basso dosaggio di estrogeni.
Tra le altre modificazioni sale il pH (diminuisce l’acidità): meno idoneo per i lattobacilli, migliore per i
patogeni che vengono.

DAL PUNTO DI VISTA URINARIO, LA PAZIENTE COMINCERÀ A RIFERIRE:


1. URGENZA, dovuta allo stimolo continuo sulla zona trigger della vescica. La zona trigger della vescica è
la parte iniziale del trigono, per cui quando questa zona percepisce la distensione, manda il segnale
percepito.
2. DISURIA, se il prolasso è così importante da rendere difficile svuotare la vescica: così come abbiamo le
incontinenze, abbiamo anche le ritenzioni.
3. URETRITI ABATTERICHE, legate semplicemente al trauma;
4. INFEZIONI URINARIE RICORRENTI;
5. CARUNCOLE, quindi formazioni polipoidi dell’uretra (meno importante, ma allarma moltissimo):
possono sanguinare, sono grosse, possono ostruire il meato e diventa difficilissimo mettere il catetere,
quindi sono condizioni che poi finiscono in pronto soccorso.

Ricordiamoci che il follicolo produce estradiolo, in gravidanza la placenta produce estriòlo, in menopausa
resta solo l’estrone che è quello prodotto dal tessuto adiposo (bassa attività estrogenica, funzionalità di
riserva per la formazione dell’estradiolo).

• Inoltre, così come nell’ovaio policistico, c’è anche un cambiamento nel tipo di distribuzione del grasso
corporeo, che diventa maschile, quindi deposizione al di sopra dell’ombelico, obesità a mela, che porta
ad insulino-resistenza e quindi iperinsulinemia compensatoria e questo dà un aumento del rischio
cardiovascolare.
Fino alla menopausa è raro trovare una donna che abbia avuto un infarto, se non trombofilica; dopo la
menopausa il rischio diventa simile a quello di un maschio con le stesse caratteristiche ed abitudini di
vita.
• Con la menopausa arriva anche il declino della tiroide (altra malattia di genere), che può influenzare
l’attività mestruale:
§ Aumenta il TSH;
§ Diminuisce il T4;
§ Si modifica il rapporto con la proteina di trasporto (T4/TBG) con riduzione dell’indice medio
di tiroxina libera.

12
CLIMATERIO-SINTOMI
Climaterio vuol dire che si stiamo osservando una donna che non è in menopausa e una donna che può essere
tra i 40 e i 50 anni.
In base a quello che sarà la sua lamentela, possiamo pensare a quello che è il problema.
• Se sta sperimentando una produzione anomala, fluttuante e anche violenta di estrogeni, quindi un
problema estrogenico nello specifico un’iperestrogenismo riferirà:
§ Tensione mammaria;
§ Ritenzione idrica;
§ Cefalea;
§ Irritabilità;
§ Disturbi del sonno;
§ Fatica;
§ Calo del desiderio sessuale,
• Ha un problema di ipotiroidismo se invece riferisce:
§ Aumento di peso;
§ Intolleranza caldo-freddo;
§ Caduta di capelli;
§ Costipazione;
§ Deficit di attenzione e concentrazione;
§ Affaticamento respiratorio;
§ Cicli abbondanti ed irregolarità mestruale;
§ Crampi muscolari;
§ Formicolio alle dita
§ Cute secca

Quando vengono in osservazione, siamo liberi di fare o non fare il dosaggio delle gonadotropine, che ci
interessa relativamente poco, perché da un ciclo all’altro c’è grandissima variabilità, quindi potremmo
trovare cicli con un quadro ormonale giusto.
Al limite potete vedere solo un po’ di FSH aumentato (intorno a 10-12); ma, invece, a quella donna
dobbiamo assolutamente fare l’inquadramento tiroideo, se non l’ha fatto o se non l’ha fatto
recentemente.

• Venendo meno i follicoli e, quindi viene meno la teca del follicolo che è quella che produce androgeni,
ci sarà un’altra parte di sintomatologia:
§ In gran parte è di tipo psicologico, che è legata alla carenza del cromo:
- Perdita del desiderio sessuale;
- Ridotta risposta sessuale;
- Ridotta sensibilità delle zone erogene;
- Riduzione di questa sensazione di benessere e di energia e di ambizione, che può diventare
vera depressione;
§ Secchezza della cute;
§ Assottigliamento del pelo pubico.

DIAGNOSI
ANAMNESI
Che cosa dobbiamo chiedere?
1. Sintomi soggettivi: cosa sperimenta quella donna;
2. Caratteristiche del flusso mestruale;
3. Markers di attività ovarica: possiamo vedere, se proprio vogliamo, FSH ed estradiolo, che
nel caso vanno dosati al 3° ed al 5° giorno del ciclo e questo vale per tutti i dosaggi ormonali nella
donna fertile.

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ESAMI STRUMENTALI
• ECOGRAGIA
Perché facciamo un’ecografia?
Perché pensiamo che quella donna possa essere esposta a quantità abnormi di estrogeni, o meglio a
quella parte di estrogeni non compensati dal progesterone.
Idealmente in menopausa, io dovrei trovare un endometrio atrofico (mostra un’ecografia trans-
vaginale).
L’uso delle sonde trans-vaginali ha permesso di studiare
molto meglio l’utero e le ovaie, perché dovendo gli
ultrasuoni fare meno strada per raggiungere l’organo
che ci interessa, si possono usare sonde a frequenza di
emissione di ultrasuoni più elevata e quindi a migliore
risoluzione spaziale, per cui vediamo molto bene il
contorno dell’utero, questo è il collo dell’utero, questo
è il fondo dell’utero, questa è la cavità, l’endometrio
diventa sottilissimo (1 mm - 2 mm al massimo).
Può capitare che si chiuda la cavità per la formazione di
sinechie e per stenosi del canale cervicale, quindi si
accumuli un po’ di secrezione, di muco all’interno. Non è una patologia, ci permetterà di vedere molto
bene le due superfici dell’endometrio.
Diverso è, ed è per questo che dobbiamo indagare, se
troviamo un endometrio spesso.
Il cut-off è di 4 mm in una donna in menopausa senza
terapia, e di 6-7 mm nelle donne che fanno terapia
ormonale. In queste donne, quando vengono in
monitoraggio, dobbiamo escludere la presenza di
patologia endometriale.
In questo caso questa è un’ecografia, tecnicamente si
chiama SIS (Saline Infusion Sonohysterography), cioè
6 o più sonografi, cioè abbiamo iniettato un po’ di
soluzione fisiologica attraverso il canale cervicale,
abbiamo fatto l’ecografia, abbiamo ottenuto il contrasto intracavitario, che ci permette di vedere i
dettagli dell’endometrio.
Se troviamo un aspetto così irregolare, questa può essere un’iperplasia, quindi un endometrio spesso
ed irregolare; ma poi l’esame istologico che siamo obbligati a fare, potrebbe anche dirci che è un
adenocarcinoma.
• ISTEROSCOPIA
Un altro esame che ha completamente cambiato la diagnostica ginecologica, importante tanto quanto
la colposcopia ed il PAP-test probabilmente per la salute della donna, è l’Isteroscopia. Quindi,
guardiamo all’interno delle cavità uterina ed è l’unico esame che ci permette di vedere le caratteristiche
dell’endometrio in vivo.
Può essere fatta, più modernamente, con mezzi di distensione liquidi (soluzione fisiologica
principalmente), oppure in passato si usava l’anidride carbonica (così come si usa per la laparoscopia
per distendere l’addome).
Quindi, possiamo vedere polipi, che molto facilmente possiamo rimuovere con questo strumento che
abbiamo copiato agli urologi (è lo stesso strumento che gli urologi usano per prostatectomie trans-
uretrali).
Quindi, inseriamo l’isteroscopio con resettore e con un’ansa elettrica si vanno a fare a pezzetti le lesioni
endocavitarie (questo vale non solo in una donna in menopausa, ma in tutte le donne si possono
formare polipi o ci possono essere dei fibromi sottomucosi che aggettano nel lume). Pertanto,
agevolmente un polipo si può togliere con il resettore, se è piccolino anche con l’isteroscopio stesso
operativo (quindi uno strumento di piccolo calibro).

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Diverso è se troviamo un aspetto di tutta la mucosa: qui tutta la mucosa ha un aspetto polipoide,
sembra un materasso, si vedono gli sbocchi ghiandolari.
Valgono un po’ le stesse cose che valgono per il collo dell’utero. Se si vedono gli sbocchi ghiandolari,
vuol dire che la mucosa che c’è attorno è molto spessa.
Questa può essere un’iperplasia (ce lo dirà l’anatomopatologo se è atipica o, se dal punto di vista
cellulare è conservata e quindi anche lesioni benigne; se è atipica, risponde molto bene alla terapia
ormonale, può essere controllata).
Questa è la mucosa che dà emorragie mestruali, menorragie, irregolarità, perdita di sangue con il ciclo.
Qui invece siamo andati oltre, tessuto cerebroide, sanguinante al tocco: questo è un cancro
dell’endometrio.
• ECOGRAFIA MAMMELLA/MAMMOGRAFIA
Studiamo la mammella, soprattutto se dobbiamo fare terapia ormonale o se già la stiamo facendo.

ESAMI DI LABORATORIO
• STUDIO FUNZIONE TIROIDEA
Un’altra cosa che possiamo fare è andare a vedere la tiroide, che è la cosa più utile, perché interessa
un’elevatissima percentuale di donne (intorno al 60%).
• QUADRO GLICO-LIPIDICO
Se è in menopausa e quindi non ci sono più gli estrogeni ed i loro effetti favorevoli, andare a vedere il
quadro del metabolismo glico-lipidico, quindi la glicemia ed anche eventualmente fare una curva orale
di glucosio per glicemia e insulinemia e poi tutto il profilo dei grassi (colesterolo, HDL, trigliceridi).
La curva la facciamo, se ha familiarità per il diabete o se comincia a riferire sintomatologia di tipo
diabetico o se comincerà a riferire infezioni frequenti cutanee micotiche, quelle non solo da batteri, e
se pensiamo che siano recidivanti, è probabile che possa esserci un problema di glicemia.
• QUADRO EMOCOAGULATIVO
Inoltre, guardiamo anche alla coagulazione, se in seguito pensiamo di dare alla donna terapia per un
eventuale supporto ormonale.
• SANGUE OCCULTO NELLE FECI
Può essere decisamente minore come importanza, però se mi riferisce modificazioni nell’alvo, bisogna
farlo, perché è anche l’età alla quale comincia l’incidenza di carcinoma del colon-retto.
• Studio del metabolismo osseo
Questo è un aspetto molto importante perché gli estrogeni stimolano gli osteoblasti: se vengono meno
gli estrogeni, l’osso comincia a perdere minerali e matrice.
Dobbiamo chiedere a quella donna se fa attività fisica, se passa del tempo all’aria aperta, alla luce del
sole, perché sono due condizioni che migliorano molto il metabolismo dell’osso.
• PAP TEST
Facciamo un PAP-test, se quella donna è a rischio, invece se quella donna è monogama e viene già da
tanti PAP-test negativi non è la nostra principale attenzione, perché con il PAP-test, in una donna che
si è controllata, l’incidenza cala.
• VALUTAZIONE CLINICA UROGENITALE
Se poi se riferisce sintomatologia urologica, andare a valutare la vagina e la vescica.

MANAGEMENT-TERAPIA
Qual è l’obiettivo che ci poniamo?
Non è solo dire alla paziente: signora è in menopausa, a quello ci arriva anche da sola, glielo dicono anche le
riviste, l’amica più grande, la nipote che studia o che legge, ma dobbiamo risolvere i sintomi che riferisce e
dobbiamo pensare al benessere sul lungo termine.
Questo riguarda soprattutto l’osso, perché la frattura della testa del femore a livello del collo, per le sue
complicanze, è una delle prime cause di morte nelle donne ultrasettantenni.

Che cosa possiamo fare?


• TRATTAMENTO ORMONALE

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• TRATTAMENTO FARMACOLOGICO
• TRATTAMENTO NON FARMACOLOGICO
Possiamo usare gli ormoni, possiamo usare molecole non-ormonali, possiamo avere un approccio non
farmacologico, che vada però a modificare le abitudini di vita di quella persona (alimentazione, attività fisica).

In transizione, quindi, un utero non ancora in menopausa, che però ha delle irregolarità, dobbiamo dare un
contraccettivo, un estroprogestinico, così:
• Le curiamo soprattutto l’irregolarità mestruale, il motivo principale per il quale è venuta da noi.
• Le riduciamo il rischio di iperplasia e cancro dell’endometrio.
• Le miglioriamo la quantità di emoglobina e di ferro nel sangue.
• Le cominciamo a fare una minima terapia di correzione dell’osso.
Bisogna preferire le vie parenterali, perché quando una donna assume (questo riguarda anche un uomo)
steroidi per bocca, il 70% di quella compressa viene metabolizzato dal fegato, dove dà tutti gli effetti
collaterali e nessun effetto desiderato.
Se, invece, quegli ormoni li facciamo entrare attraverso altre vie (la cute, la vagina o gli impianti sottocutanei),
non abbiamo questo primo passaggio epatico.
Nello specifico poi, se usiamo la via vaginale, la quasi totalità degli ormoni si concentra nella pelvi.
Qual è la conseguenza?
Si riduce il rischio trombotico, non va ad alterare la sensibilità all’insulina, non va a toccare la pressione
arteriosa.

• VAMPATE
Per le vampate o dobbiamo somministrare estrogeni o dobbiamo pensare a farmaci non ormonali che
agiscono sul sistema nervoso centrale: gli antidepressivi.
È un utilizzo off-label, quindi dobbiamo informare la paziente e richiedere un consenso informato
specifico; però quando la paziente non può prendere ormoni, come per esempio in caso di cancro della
mammella nella sua storia, che ha recettori per gli estrogeni (è assolutamente controindicato dare
terapie ormonali), e viene a lamentarsi di flushing, vampate, possiamo darle gli antidepressivi.
Poi c’è tutta una serie di integratori, estratti di polline per esempio, che contengono molecole che sono
capaci di legare molto debolmente i recettori cerebrali, ma non sono diciamo ben studiati.
• OSTEOPOROSI
Se invece dobbiamo pensare a tutelare l’osso e non vogliamo dare ormoni, possiamo dare i bifosfonati
e i ranelati (ranelato di stronzio), che lavorano sul rallentamento del riassorbimento osseo, però
dobbiamo consigliare sempre in quella donna sole ed attività fisica, da soli non fanno niente.
• PROBLEMI CARDIOVASCOLARI
Se comincia ad avere qualche problema cardiovascolare si usano le statine, farmaci che in questi ultimi
15 anni sono arrivati ormai alla terza generazione, con meno effetti collaterali perché le statine danno
una necrosi, soprattutto dolori terribili alle gambe, che portavano all’interruzione della terapia. Ora
abbiamo anche quelli naturali che sono le monacoline, estratte dal riso rosso fermentato.
Possiamo dare anche farmaci anti-ipertensivi.
Poi quello che questi decenni piace molto è che tutto deve essere naturale, estratti naturali, la
farmaceutica è diventata una strega, e allora c’è tutta una serie di integratori, ne trovate molti su
internet, ne trovate nelle erboristerie; e di fatto cosa contengono questi integratori? Contengono
estratti della soia, che contengono molecole capaci di legare il recettore per gli estrogeni.
Domanda studente: ma lei li consiglia?
Risposta: Nella paziente, dal punto di vista prescrittivo, hanno meno controindicazioni rispetto agli
steroidi, quindi non quella oncologica, che ha controindicazioni assoluta a qualsiasi tipo di steroidi, però
per esempio nella donna con una blanda trombofilia o nella donna ipertesa, è più facile prescrivere un
integratore naturale che non una terapia steroidea.

TRATTAMENTO NON FARMACOLOGICO


• Modificazioni dello stile di vita:

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• Attività fisica
• Stop al fumo
• Terapie non convenzionali (cromoterapia, agopuntura, tecniche di rilassamento)
• Interventi nutrizionali:
• Ridurre i grassi saturi;
• Ridurre caffeina ed alcool;
• Bere di più, perché il corpo si disidrata (ricordatevi che all’aumentare della quantità di grasso
corporea, diminuisce la quantità di acqua corporea, quindi se quella donna sta ingrassando,
sarà sempre più disidratata);
• Aumentare le proteine vegetali;
• Integrazione di calcio, se non lo assume;
• Dare le fibre, perché abbiamo visto che i problemi tiroidei peggiorano il transito
intestinale.

PASSAGGIO DALLA TERAPIA DELLA FASE DI TRANSIZIONE ALLA TERAPIA ORMONALE SOSTITUTIVA
Ci sono diversi approcci.
Il più facile è che a 52 anni interrompe il contraccettivo e passa alla terapia ormonale sostitutiva.
Se vogliamo essere più raffinati, le facciamo sospendere il contraccettivo e vediamo nei 2-3 mesi successivi
come sta in termini di vampate e di sintomatologia, per esempio, uro-genitale.

QUANDO FARE TERAPIA ORMONALE SOSTITUTIVA?


Questo è un argomento in evoluzione, la terapia ormonale sostitutiva è stata una grande innovazione degli
anni ‘80, che doveva tutelare la salute della donna in post-menopausa, e ha avuto una grandissima diffusione
soprattutto negli Stati Uniti.
Purtroppo, all’inizio fatta solo con gli estrogeni (quindi brusco aumento dei cancri alla mammella). Con il
tempo si migliora, vengono pubblicati due studi agli inizi degli anni ’90:

MILLION WOMEN STUDY


Uno studio multicentrico che raccoglie un milione di pazienti in terapia ormonale sostitutiva, che dice non fate più la
terapia ormonale sostitutiva, perché aumenta terribilmente il rischio di trombosi, infarto, ictus e cancro della
mammella. La terapia ormonale crolla e non la prescrive più nessuno, per cui donne che morivano di vampate, nella
migliore delle ipotesi si prendevano un antidepressivo.
Che cosa è stato visto?
• Difetto 1 dello studio
È stato visto che la raccolta dati, però, è stata sbagliata in un milione di donne.
In che senso? Nel senso che loro hanno preso donne di tutte le età (quindi c’era la donna di 51 anni, c’era anche
la donna di 80 anni), e c’erano sia quelle che avevano cominciato la terapia ormonale subito o che avevano fatto
terapie ormonali di accompagnamento e poi terapia ormonale sostitutiva, e poi c’erano quelle che avevano
cominciato a prendere estrogeni a 75 anni.
Che cosa avviene invece se dividiamo la popolazione per categoria?
Che se comincia subito, quella terapia funziona, protegge la donna. Se tu ti fidi di dare l’estrogeno alla donna di
75 anni solo perché trovo la densitometria alterata, le darai tutti gli effetti collaterali ed i rischi e non le darai
nessun beneficio in termini di metabolismo osseo.
• Difetto 2 dello studio
Loro non guardavano quando avevano cominciato, non guardavano l’età della paziente.
Per cui si ritiene nella posizione attuale che la terapia ormonale debba cominciare subito, debba durare almeno
5 anni.
Se quella donna si controlla (cioè fa un’ecografia all’anno, fa una mammografia all’anno, fa gli esami del sangue
una volta all’anno), la terapia può essere portata avanti moltissimo, anche 65-70 anni.
Qualcuno sostiene che se gli esami sono buoni, se si sente bene e non fuma (questo è il grosso cambiamento delle
abitudini di vita), la si può portare avanti senza fine.

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Quando fare la terapia ormonale sostitutiva?
Dalla terapia EP Ovariostatica (OEP) alla Terapia
Ormonale (HRT) MENOPAUSA
Quando fare lo switch?
• Stato menopausale confermato (ovaio inattivo) E
• Sintomi neuro-vegetativi medio-severi O/E
• Sintomi urogenitali medio-severi O/E Terapia Ormonale Sostitutiva
QUANDO?
(TOS)
• Rischio medio-alto di fratture osteoporotiche
La dobbiamo fare con il rischio di frattura ossea, ma non
con gli estrogeni, se non è stata bensì la dobbiamo curare
con i farmaci che curano il metabolismo. PAZIENTI SINTOMATICHE
Trattamento dei sintomi
Quando gli estrogeni ci possono aiutare? moderati/severi, Rischio fratutura ossea
Atrofia vaginale = E locale (on
Quando quella paziente riferisce vampate, insonnia e P)
disturbi del tono dell’umore.

PAZIENTE SINTOMATICA
Che cosa abbiamo in post-menopausa?
Quelle che abbiamo visto prima era una sintomatologia del climaterio e delle tre categorie: estrogeni, tiroide,
androgeni.

DOMANDA 1: Quindi la terapia sostitutiva è solo con estrogeni?


RISPOSTA: No, devi dare estrogeni e progesterone.

DOMANDA 2: Qual è la differenza tra i tipi di terapie con contraccettivi?


RISPOSTA: Pochissimo, cambia il tipo di estrogeni, il più delle volte. Non si usa la pillola con estradiolo, ma si usano gli estrogeni coniugati equini, che
sono un mix di molecole ad effetto estrogenico, e questo a vantaggio per il fegato, quando non va a stimolare solo il metabolismo sulla catena
enzimatica ed anche sui recettori hanno effetto più delicato, soprattutto sulla mammella.
C’è un preparato nuovo, introdotto 2-3 anni fa in commercio, che associa gli estrogeni coniugati equini ad un modulatore del recettore degli estrogeni.
I modulatori del recettore degli estrogeni, per intenderci, sono quelli che finiscono con –ene, es.: clomifene, raloxifene.
Nello specifico quello di questo integratore è il BAZEDOXIFENE.
QUAL È L’EFFETTO?
Maschera e non rende aggredibile dagli estrogeni i recettori a livello di endometrio e mammella. Questo perché il progesterone, con la terapia
progestinica, può dare mastodinia, anche molto fastidiosa, per cui la paziente in menopausa interrompe la terapia.

Quindi, in post-menopausa possiamo avere:

CONSEGUENZE A BREVE TERMINE:


• Conseguenze tiroidee;
• Vampate, che prima o poi scompaiono da sole: ogni donna in base al suo metabolismo e
alla quantità di grasso corporeo (ci sono tante variabili), ma comunque queste prima o poi
scompaiono.
• Sudorazioni notturne, che intanto migliorano;
• Palpitazione;
• Ipertensione;
• Ansia per i figli, per i nipoti e così via...
• Disturbi del sonno;
• Irritabilità;
• Perdita della memoria: la perdita di memoria è un altro dato, l’Alzheimer è decisamente più elevato
nella donna che non ha fatto terapia ormonale sostitutiva.
Evidenza recente è che è decisamente più elevato nella donna che non ha fatto contraccezione e
questo è interessante, e coinvolge sempre i mastociti.
Si ritiene che alla base delle malattie degenerative del cervello possa esserci una questione di flogosi
cronica, quindi si ritiene che aver esposto il cervello per tutto il periodo fertile (pensiamo ad una
nullipara, che non ha fatto contraccezione, quindi una donna che ha affrontato 13 mestruazioni
all’anno, per circa 40 anni, quindi è andata in contro a 12 cicli), alla degranulazione del mastocita

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cellulare, possa essere il motivo dell’aumento dell’incidenza dell’Alzheimer, perché è diminuito il
numero delle gravidanze.
• Problemi vescicali;
• Ritenzione idrica, perché viene meno la filtrazione renale;
• Ridistribuzione del grasso corporeo;
• Tensione mammaria;
• Artromialgia (fanno male le ossa), per il riassorbimento osseo.
Altra evidenza recente è che non solo cala l’osso, ma cala anche il muscolo: nell’anziano, anche
maschio, c’è un processo di sarcopenia importante, che è l’altro prossimo obiettivo di trattamento.
I farmaci che stanno uscendo, da un lato, lavorano moltissimo sull’aspetto psichiatrico della
menopausa, con molecole fondamentalmente progestiniche, perché i progestinici sono parenti
stretti degli androgeni, quindi riescono a dare quella percezione di benessere che è normalità.
CONSEGUENZE A MEDIO TERMINE
• Disuria;
• Secchezza vaginale;
• Difficoltà nei rapporti (dispareunia);
• Calo del desiderio;
CONSEGUENZE A LUNGO TERMINE (quindi parliamo dopo i 70 anni):
• Osteoporosi;
• Malattie cardiovascolari;
• Demenza.
RISCHIO DI FRATTURA OSSEA
L’osso vede diminuita la matrice e quindi la deposizione QUADRO
ORMONALE
minerale. Estrogeni,
ormoni
Ci sono diversi modi per studiarla e quello più diffuso, più tiroidei

pratico, è la densitometria ossea radiologica su vertebre


lombari (corpo vertebrale ovviamente), e femore. DENSITOME INDIVIDUAZIONE INDICI DI

Molto più raro che si facciano i dosaggi dei derivati del


TRIA OSSEA DELLA RIASSORBI
(DXA) POPOLAZIONE A MENTO
Lombare e RISCHIO DI Idrossiproln
riassorbimento, quindi idrossiprolina, piridinolina..., è Femorale OSTEOPOROSI uri e clciuria

difficile trovare un laboratorio d’analisi che li faccia: questa


è più un’applicazione della ricerca, che non realmente INDICI
DINEOFOR
un’applicazione clinica. MAZIONE
Fosfatasi
Quindi, bisogna individuare la popolazione a rischio di alcalina
(isoenzima

osteoporosi (matrice sedentaria fondamentalmente). osseo)

Per chi mi ha chiesto, per quanto riguarda la terapia dell’osteoporosi con Alendronati bisogna ricordare che
se facciamo la terapia ormonale sostitutiva, noi lavoreremo sull’osso, aumenteremo qualche rischio di
tumore della mammella, però riusciremo anche ad avere qualche miglioramento dei problemi
sintomatologici; quindi nella donna che può farla, con una sola terapia riusciamo a coprire quasi tutto lo
spettro della sintomatologia e dei problemi di salute.

IMPORTANTE (questo non lo trovate sui testi)


È importante ricordare che l’aspetto uro-genitale può essere migliorato solo da terapia locale, quindi la
donna che riferisce che non riesce ad avere più rapporti, che sanguina durante i rapporti, se non si riesce a
mettere lo speculum ed ha infezioni frequenti, anche se le prescriviamo una terapia ormonale sostitutiva,
dobbiamo pensare ad una integrazione.
Esiste anche in questo caso una molecola specifica non ormonale (quindi pensata fondamentalmente per le
donne sopravvissute ad un tumore della mammella), ma di fatto rappresenta l’ultimo step di terapia per
l’atrofia vaginale: è una terapia sistemica fatta con un altro modulatore del recettore degli estrogeni, che si
chiama OSPENIFENE.
Questa terapia sembra funzionare, inoltre è una terapia orale, quindi facile da fare anche in una donna
anziana, che permette di ridurre i fastidi uro-genitali.
Invece tutta questa terapia non protegge assolutamente la vagina e la vescica; così come è difficile che riesca
a dare grande soddisfazione sulle vampate, se sono parecchie.

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SCHEMA DI SOMMINISTRAZIONE ESTROGENI-PROGESTINICI
Cosa dobbiamo dare?
Qua dobbiamo parlare con la paziente. Dobbiamo chiedere a quella paziente (questo riguarda anche la
contraccezione), se vuole vedere una perdita di sangue periodica: c’è una forte componente psicologica nel
vissuto mestruale, quindi, in una buona parte delle donne, la gioventù percepita equivale alla mestruazione.
Per questo dovete considerare che anche le terapie contraccettive recenti consigliate, sono terapie che non
tutelano la mestruazione, sono terapie che danno amenorrea.
Questo perché ora le ricerche spingono verso la somministrazione, per esempio, di terapie contraccettive a
lungo rilascio: per intenderci si tratta di dispositivi intrauterini, che rilasciano progesterone in maniera
cronica.
Il progesterone resta quasi tutto nella pelvi, fra l’endometrio e la (?) e disturbano il circolo quel tanto da
riuscire a prevenire il picco di LH.
Quella ragazza, (perché pensiamo ad una giovane che non ha mai avuto figli), per 3 anni non vede
mestruazioni in corso. Non va bene.
Stessa cosa per la terapia ormonale sostitutiva. Ci sono donne che, anche se, vanno avanti con gli anni,
vogliono vedere la mestruazione: è la loro percezione di benessere: il mio corpo è sano, se c’è la
mestruazione.
Quindi, in base a quello che chiede, noi abbiamo schemi sequenziali o schemi di continuo:
• Un continuo è come un contraccettivo monofase: sin dall’inizio si danno questi estrogeni con il
progestinico insieme, che continuano così tutti i giorni senza interruzione. L’esposizione al
trattamento progestinico, sin dall’inizio del trattamento, darà atrofia dell’endometrio.
• Se, invece, in quella donna, la esponi prima a estrogeni da soli, e quindi avrò un ispessimento
dell’endometrio, dopodiché la espongo ad estrogeni più un progestinico, (quindi dò la maturazione
dell’endometrio), alla sospensione avrà una pseudo-mestruazione, esattamente come accade con i
contraccettivi.

DOMANDA: ma è meglio avere una mestruazione?


RISPOSTA: Non c’è vantaggio ad avere la mestruazione.
Da qui il professore fa una digressione sulla contraccezione
Quando Schering mise in commercio il primo contraccettivo negli Stati Uniti, parliamo del ‘65-‘68, ed era una ditta tedesca, e chi
aveva messo a punto la terapia aveva utilizzato fondi raccolti dalle associazioni femministe di allora, che si interessavano di
interruzione di gravidanza e contraccezione.
Considerate che la prima femminista è stata esclusa tanto dall’Inghilterra quanto dagli Stati Uniti, una donna che ha dedicato la sua
vita distribuendo opuscoli da dare alle giovani che parlassero di contraccezione, perché non se ne parlava da nessuna parte, era un
argomento tabù in Inghilterra.
Si impegna, riesce a raccogliere i fondi, sempre a YALE, vengono studiati i principi base della contraccezione ed una ditta tedesca si
incarica dopo la guerra di produrla.
Quando la producono, loro si rendono conto che, se la somministrazione fosse stata cronica, non ci sarebbe stata più mestruazione.
Pensate alla modernità della Germania post-bellica, quindi fanno un sondaggio tra le donne e chiedono se vogliono vedere o no la
mestruazione.
Poiché dicono di si, nasce lo schema: 21 giorni di terapia – 7 giorni di pausa (che mima poi i 28 giorni del ciclo teorico).
Quindi, tutti gli schemi, da allora, seguono questo principio, ma è solo una questione psicologica. Allora poteva anche migliorare un
po’ il metabolismo del fegato, perché usavano dosaggi che erano 6 volte più alti di quelli attuali, quindi c’era un lavoro epatico
decisamente superiore per l’eliminazione; ma con le pillole attuali, questo non c’è più, con le altre terapie parenterali un po’ meno,
col cerotto o con l’anello vaginale (che è un'altra possibilità di somministrazione), per cui se
quella donna non è motivata ad avere la mestruazione, per suo convincimento, non c’è nessun vantaggio nel fargliela venire.
Tanto che esistono già dei contraccettivi orali, che sono già in confezione con un numero esatto di compresse: 84 dosi di ormone, 7
di placebo, quindi fanno una settimana di interruzione, ogni tre mesi.
È una visione moderna: per intenderci, il farmaco di scelta per la terapia delle meno-metrorragie, anche climateriche, è la spirale al
progesterone, che è un dispositivo intrauterino che rilascia Levonrgestrèl in maniera continuativa per 5 anni. Il 60-70 % delle donne
che non la portano, va in amenorrea dopo i primi 6 mesi.
QUANDO SI FA RICORSO A QUESTA?
Quando si considera che l’alternativa a questo è o la terapia orale (meno efficace, ma sicuramente con impatto metabolico peggiore)
o un’isterectomia.
C’era una buona quota di donne (per un farmaco usato per una quindicina di anni) che quando sentivano dire che andavano via le
mestruazioni, rifiutavano.

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È l’unico trattamento, per intenderci, che nei paesi in cui viene rimborsato dal servizio sanitario nazionale, ha ridotto il numero di
isterectomie per patologie benigne.
Adesso è cambiata un po’ la popolazione, anche la donna che è in menopausa, è una donna attiva, quindi può vivere con maggiore
fastidio il disturbo della sua libertà personale, quindi è accettato decisamente meno, però è un fatto culturale.
Per esempio, un’altra terapia chirurgica irreversibile delle meno-metrorragie è l’asportazione dell’endometrio col resettore, lo
strumento con cui si toglie il polipo; si chiama resezione/ablazione endometriale: si scava e si toglie anche lo strato profondo, quello
ghiandolare, per cui resta il miometrio scoperto. Questo trattamento dà amenorrea e contraccezione.
Negli Stati Uniti, in California, lo fanno le donne giovani, per motivi cosmetici: è l’equivalente di un intervento di chirurgia plastica.
È ovvio che la spirale al progesterone è infinitamente più pratica e soprattutto è reversibile, però è una questione culturale, di vissuto
personale della mestruazione, di scelta riproduttiva.
È ovvio, infatti, che gli Stati Uniti sono la patria della maternità surrogata, quindi la giovane di famiglia abbiente è assolutamente non
interessata a portare avanti lei una gravidanza.
Se ci fate caso c’è una buona quota di attrici, che hanno figli da utero in affitto, perché loro non possono permettersi la modificazione
corporea della gravidanza.
Lasciamo fuori il discorso etico, ma laddove, come negli Sati Uniti, se lo desidero e posso pagarmelo, lo faccio, è pratica comune,
banale, diffusa.
Quindi, tutto l’ambito riproduttivo, che sia contraccezione, che sia gravidanza, che sia menopausa, risente moltissimo dell’ambiente
sociale, della cultura di quella popolazione.
Per esempio, in alcune zone dell’India, la donna in menopausa può vestire gli abiti degli uomini e può sedersi con loro, nel cerchio
degli anziani.
Ad una donna del genere ovviamente tu non puoi proporre una terapia (qualora esse possano accedere alla terapia, è ovvio), che
garantisca una conservazione del ciclo mestruale. Finalmente riesce a vedere i suoi diritti riconosciuti e tu vai a ributtarla nel cerchio
delle impure.
Anche in diverse religioni, la donna se mestrua, è una donna impura ed è per questo che in diverse religioni, uomini e donne
frequentano chiese diverse o su livelli diversi dello stesso tempio.

ACCERTAMENTI PRE-TERAPIA E PERIODICAMENTE


• Esami ematochimici, perché gli effetti degli steroidi sono tutti epatici, soprattutto se è diabetica,
dobbiamo vedere i livelli del colesterolo e dei trigliceridi;
• Esami ormonali, che possono interessarci prima della terapia e non dopo;
• PAP-test
• Ecografia trans-vaginale: questa assolutamente una volta l’anno e prima di cominciare la terapia, perché
se quella donna ha patologie ormono-sensibili, la mia terapia è controproducente
• Mammografia;
• DXA (densitometria ossea)

ESTROGENI
Vie di somministrazione:
• Orale;
• Trans-dermica;
• Trans-vaginale;
• Percutanea;
• Impianto sottocutaneo.
Di fatto, gli impianti sottocutanei e l’iniettiva appartengono al mondo anglosassone, dove tutte le terapie
ormonali, che siano contraccettive o che siano quelle della menopausa, sono somministrate dal medico di
famiglia.
Quello che trovate indicato come G.P. (General Practitioner) non è un ginecologo, ma è un medico di famiglia:
quindi, per lui è decisamente più facile mettere un impianto al progesterone sotto la pelle del braccio non
dominante, che non mettere una spirale al progesterone; è molto più facile fare un’iniezione di medrossi-
progesterone acetato mensile, piuttosto che mettere una spirale in una donna fertile.

• Estrogeni per via orale;


• Estrogeni coniugati con diverso dosaggio, anche questo va adeguato alla risposta alla terapia.
• Estradiolo valerato;
• Estradiolo micronizzato;
• Estriolo, che serve per le terapie vaginali: nelle creme vaginali a base di estrogeni c’è estriolo
fondamentalmente;

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• Tibolone: questa è una molecola interessante perché è un modulatore del recettore, non
degli estrogeni, ma del progesterone; ha però capacità anche di legare il recettore per gli androgeni
ed un pochino quello per gli estrogeni, quindi non è potente su tutti gli ambiti allo stesso modo, ma
proprio per questo dà meno fastidio in determinati ambiti.
Quello che ci interessa tutelare è mammella ed endometrio ed è un buon farmaco soprattutto in una
donna in età più avanzata: prende solo una compressa, ci sono meno effetti collaterali, un profilo di
tossicità epatica decisamente migliore, però è meno efficace, per esempio, sul controllo
dell’osteoporosi.

AZIONE ESTROGENICA SUL FEGATO:


• Aumentano la sintesi dell’SHbG (proteina di trasporto degli ormoni sessuali)
• Aumentano la sintesi della proteina di trasporto degli ormoni tiroidei
• Aumentano la sintesi della proteina di trasporto del cortisolo
• Aumentano l’HDL
• Riducono l’LDL con effetti favorevoli

ESTROGENI PER VIA TRANDERMICA


Esiste tanto il cerotto quanto il gel da applicare, e adesso è stato introdotto da un paio di mesi in Italia uno
spray sempre trans-dermico: vanno da 1 a 3 spruzzi e c’è un applicatore che garantisce la giusta distanza, la
giusta area di somministrazione di estradiolo.
La via transdermica è migliore perché:
• Ha una migliore compliance da parte del paziente: è molto più facile prendere una compressa, che non
mettersi il cerotto, che si vede, o spalmare un gel (10 minuti, tutte le mattine, per due ore non si può
bagnare l’area su cui è stato applicato).
La cosa migliore che viene preferita del cerotto è il fatto che se ne cambiano 2 alla settimana o 1 alla
settimana, in base a quello che hanno riferito, quindi non c’è da ricordarselo tutti i giorni.
• Dà meno fluttuazioni a livello plasmatico rispetto alla via orale: questo ci interessa in ambito
contraccettivo, ma ci interessa decisamente meno in ambito di terapia ormonale sostitutiva.
Perché ci sono meno fluttuazioni? Perché se c’è il cerotto, c’è il passaggio costante del farmaco
all’interno del corpo della donna, e anche perché c’è un accumulo di estrogeni nel grasso sottocutaneo
è una sorta di serbatoio che fa da tampone, da ammortizzatore;
• Ha una funzione di serbatoio della cute;
• Ha una somministrazione mono o bisettimanale;

ESTROGENI E SISTEMA CARDIOVASCOLARE


Gli estrogeni proteggono dal danno cardiovascolare perché:

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• Aumentano il rilascio di nitrossido (NO) e la molecola conosciuta come EDRF (fattore di rilassamento
vascolare derivato dall’endotelio);
• Diminuiscono le endoteline;
• Hanno un effetto calcio-antagonista sulla parete arteriosa, quindi dilatano;
• Diminuiscono le LDL, la lipoproteina A, il fibrionogeno, l’insulina, i livelli di omocisteina, l’ossidazione
delle LDL;
• Aumentano le HDL.

Quindi, proteggono dalle placche nella parete delle arterie; la terapia con estrogeni non è però
raccomandata come indicazione primaria nella protezione coronarica.
Non pensiamo di proteggere quella donna dagli infarti, solo con gli estrogeni.
Se si ha la pressione alta, bisogna prendere la terapia.
Lo studio WHI (Women’s Health Initiative) dimostra che la terapia ormonale sostitutiva riduce il rischio
cardiovascolare, se iniziata nel primo periodo dopo la menopausa.
Gli estrogeni proteggono dal danno cardiocircolatorio, però all’aumentare degli estrogeni (questo vale
soprattutto per la pillola, ma anche nella terapia ormonale sostitutiva), aumenta il rischio trombo-embolico.
Non compare subito ed è sempre legato al primo passaggio epatico, che modifica la produzione dei fattori
della coagulazione, per cui se evitiamo il primo passaggio epatico, quindi usiamo dosaggi più bassi perché ha
un effetto dose-dipendente, abbiamo meno rischi di infarto. Per questo le terapie ormonali trans-dermiche
e vaginali sono da preferire.
Pertanto, si può leggere in alcune casistiche che aumentano i rischi di infarto e assolutamente non esiste
prevenzione primaria o secondaria dello stroke con gli ormoni steroidei.

ESTROGENI ED EFFETTI SUL TESSUTO MAMMARIO


Abbiamo già parlato degli effetti sui tessuti sensibili agli estrogeni, quindi la terapia ormonale aumenta la
proliferazione delle cellule mammarie, il dolore mammario (mastodinia), e la densità del tessuto mammario.
La terapia ormonale può disturbare la diagnostica, quindi prima di cominciare una terapia (in menopausa e
possibilmente la terapia contraccettiva in età fertile), bisogna sempre fare una valutazione senologica.
Non è chiaro se ci sia una diversa mortalità per il carcinoma mammario: gli studi sulla pillola dicono che
aumentano i casi, ma consigliando alla donna un controllo periodico della mammella, aumentano le diagnosi
precoci, per cui, di fatto, non c’è un aumento statisticamente significativo di donne morte per cancro della
mammella, perché fortunatamente la mammella è un tumore che, se preso in tempo, risponde meglio alle
terapie.
Il rischio per la mammella è proporzionale all’esposizione, quindi finchè fa la terapia, deve fare controlli.
QUANTO AUMENTA IL RISCHIO?
4-6 cancri invasivi/ogni 10.000 donne che
utilizza la terapia.
È molto più pericoloso per il cancro della
mammella l’utilizzo dell’alcol o l’obesità.
Quindi, la differenza di curva c’è, c’è un
aumento dei casi, ma le terapie ormonali
non sono da demonizzare: se quella donna
non ha patologie specifiche, la continua;
altrimenti è ovvio, che se il senologo la
sconsiglia, nessuno si sogna di dare una
terapia ormonale sostitutiva o
contraccettiva.
Ma se restiamo nell’ambito delle
controindicazioni relative, o delle opinioni del medico di famiglia, c’è decisamente un vantaggio che resta.

ESTROGENI E AZIONE SUL TESSUTO OSSEO


Gli osteoblasti hanno recettori per gli estrogeni, quindi dandoli riusciamo a migliorare la densità, sempre se
associata alla giusta integrazione di calcio.
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Riducono il rischio di fratture in post menopausa e questo crea un miglioramento importante della salute.

EFFETTI COLLATERALI ESTROGENI


• Cefalea;
• Aumento ponderale;
• Tensione mammaria, decisamente più associabile al progesterone, che non agli estrogeni;
• Nausea (via orale);
• Irritazione cutanea (via transdermica).

CONTROINDICAZIONI ESTROGENI ▪
A. CONTROINDICAZIONI RELATIVE:
se quella paziente ha già una sindrome metabolica o se ha calcoli della colecisti o se ha avuto una trombo-
embolia.
B. CONTROINDICAZIONI ASSOLUTE:
• Insufficienza epatica;
• Trombosi acuta;
• Porfiria;
• Carcinoma dell’endometrio;
• Carcinoma della mammella.

PROGESTINICI
I progestinici sono molecole ormonali in sé, quindi modulatori del recettore degli estrogeni, quello che vi ho
detto scomodo da usare, ci vuole prudenza, oppure il Tibolone, che è un modulatore blando del recettore.
COSA POSSIAMO USARE?
Il Progesterone naturale, decisamente più scomodo da usare, è in soluzione oleosa, quello idrosolubile, di
recentissima introduzione e ad utilizzo sottocutaneo, ha indicazione al momento solo nelle prime 12
settimane di gravidanza (un utilizzo marginale).
Si preferisce, molto più frequentemente, in questo ambito, l’utilizzo di prodotti di sintesi.
IN CHE MOMENTO LO UTILIZZIAMO?
Quando quella donna vive in una condizione d’iperestrogenismo assoluto e relativo, tipo ovaio microcistico.
La donna con ovaio microcistico è una donna che può avere un’iperplasia, anche atipica, dell’endometrio,
oppure un cancro differenziato dell’endometrio, anche in età fertile.
Quando studierete il cancro, vedrete che ne esistono due tipi: uno ormono-sensibile e quelli non ormono-
sensibili.
Quello ormono-sensibile conosce un picco meno importante di quello successivo, avvenuto già nelle donne
a 21 anni e poi c’è il vero picco in post-menopausa.
Quel picco in pre-menopausa è delle donne con ovaio microcistico.
Gli effetti del progesterone non sono uguali per tutte le molecole o per tutte le vie di somministrazione.
Quindi, abbiamo:
• Derivati del progesterone naturale:
§ Progesterone micronizzato (che è una conquista degli ultimi 15-20 anni, che permette il
passaggio anche, per esempio, attraverso la parete vaginale);
• Derivati del 17-idrossi-progesterone:
§ Medrossiprogesterone acetato;
§ Ciproterone acetato
Queste sono molecole con spiccata attività antiandrogenica.
Non so se avete mai sentito parlare di un contracettivo, il DIANE, che è un contraccettivo a base di
Ciproterone acetato, ritirato dal commercio.
• Derivati del 19-nortestosterone:
§ Gonani;
§ Estrani.
• Derivati del 19-norprogesterone:

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Questi, invece, sono meno violenti nell’effetto antiandrogenico, anzi possono avere qualche effetto
androgeno-simile.

VIE DI SOMMINISTRAZIONE
• Via orale (soprattutto per il micronizzato o progestinici di sintesi);
• Via trans-dermica (per quelli di sintesi);
• Via vaginale (si può usare il progesterone anche micronizzato);
• Via intramuscolo;
• Impianti intrauterini o sottocutanei.

Alla fine degli anni ’90 era stabile ormai come numero di somministrazioni, poi sono arrivati gli studi WHI e
MWS e subito è calata, portandosi dietro anche la contraccezione ormonale.
SU COSA È EFFICACE LA TOS?
• La somministrazione migliora un po’ i disturbi vulvo-vaginali, anche se ricordatevi: se è una situazione
grave, serve la terapia locale specifica;
• Sicuramente protegge bene dall’osteoporosi;
• Sugli effetti psicologici, dipende dalla paziente, o per esempio se ha ancora l’ovaio.
Fino a qualche anno fa, in tutte le isterectomie fatte dai 45 anni in su toglievamo anche le ovaie per
fare la profilassi del cancro.
Quando si manda una donna così violentemente in menopausa, c’è una discreta possibilità che quella
donna sviluppi depressione, quindi secondo gli stessi andrologi e gli stessi endocrinologi, fino a 65
anni noi quelle ovaie dovremmo lasciarle proprio per la produzione androgenica residua.

Esistevano in Europa, ma ora ci sono solo negli Stati Uniti, trattamenti a base di testosterone, proprio per
curare i disturbi dello spettro psicologico e desiderio sessuale (quindi deficienza androgenica frequente, ma
decisamente più rara, e anche questa associata a (?).

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STERILITÀ E RIPRODUZIONE ASSISTITA

La percentuale di sterilità risulta in aumento, le cause purtroppo ancora non si conoscono, si conoscono
alcuni dati, ma non la visione completa.
L’incidenza è in aumento per:
• Età media in cui si cerca una gravidanza;
• Incidenza delle malattie sessualmente trasmesse;
• Incidenza dell’oligo-terato-astenozoospermia;
• Stress
Sterilità ed infertilità non sono sinonimi.
Si parla di sterilità indicando l’incapacità in una coppia di ottenere una gravidanza dopo 12 mesi con regolari
rapporti.
Si parla di infertilità l’incapacità della donna di condurre una gravidanza fino alla vitalità fetale.
In media per ogni ciclo ovulatorio la probabilità di concepire è del 20/25%.
Cause:
• Femminili
§ Meccanici;
§ Ormonali;
• Maschili;
• Immunologiche;
• Sterilità idiopatica (senza eziologia)

CAUSE FEMMINILI
ENDOCRINE
Da un pdv ormonale ruolo fondamentale è svolto dalle gonadotropine (ipogonadismo) e dai livelli di estrogeni
con valutazioni dell’attivà basale dell’ovaio (tramite livelli sierici di AMH) e conta dei follicoli atriali (numero
dei follicoli con diametro >2 mm per ovaio).
1. Tra le più frequenti abbiamo quella della sindrome dell’ovaio micropolicistico (PCOS), molto
inflazionata, in quanto basta vedere qualche follicolo in eccesso all’interno dell’ovaio che molti
ecografisti identificano la paziente come PCOS.
Ma questa ha un aspetto ecografico estremamente chiaro in cui questi tanti piccoli follicoli sono disposti
perimetralmente sul contorno dell’ovaio con prevalenza di stroma nella parte centrale dell’ovaio.
La PCOS pertanto può essere un’ottima concausa perché porta a volte ad anovularietà del ciclo e quindi
va indagata
2. Poi ci sono quadri simili definiti ecograficamente come Ovaio multicistico o multifollicolare (MFO) in cui
ci sono tanti follicoli (più grandi rispetto la PCOS) ma sparsi in senso random (disposti a “ruota di carro”)
e senza ipertrofia dello stroma.
3. Abbiamo inoltre un’alterata funzione del corpo luteo, quindi insufficienza luteale;
4. Alterazione dell’asse ipotalamo-ipofisi;
5. Alterazioni a carico della tiroide
6. Ci sono altre possibilità disfunzionali tra cui anomalie congenite ed acquisite
7. Aumentata resistenza insulinica (cosa che troviamo anche nel contesto della PCOS).

CERVICALI
1. Anomalie quantitative del muco come:
• Acidificazione del pH vaginale
• Ridotta capacitazione degli spermatozoi;
da valutare con esami microscopici e tamponi.
2. Anomalie qualitative del muco:
• Cervicite;
• Deficit estrogenico;
• Anticorpi anti-spermatozoi;

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da valutare con esami microscopici e tamponi.
3. Infezioni si identificano con tamponi sia vaginali, ma specialmente cervicali.
Per la cavità uterina invece si ricorre ad una tecnica recente, ovvero l’endometriocoltura.
Quest’ ultima consiste nel prelevare del campione con una piccola cannula che entra, senza dilatare, nel
canale cervicale (di 4 mm circa) e grattare sotto aspirazione di una siringa dall’altra parte e portare via
un certo quantitativo di endometrio.
Si preleva così in maniera random l’endometrio e si pone in coltura.
Abbiamo la coltura del secreto vaginale, quella del secreto cervicale e la coltura dell’endometrio, e quindi
si vede se è annidata in una di queste tre location un germe che può alterare la normale fisiologia.
Ricordatevi di associare in questo caso un’urinocoltura in maniera da avere un quadro completo.

UTERINE
Anomalie anatomiche congenite derivate dall’alterazione dei processi di formazione, fusione e
riassorbimento dei dotti di Muller.
Tra le malformazioni uterine, esclusa l’agenesia che mi sembra ovvia, abbiamo:
1. Utero setto: Principalmente causa di aborto e quindi
determinare un’infertilità più che una sterilità. Molto comune,
caratterizzata dalla presenza di tessuto muscolare-fibroso che
prende origine dal fondo dell’utero e si proietta verso la cervice;
2. Utero bicorne: non è causa di infertilità, infatti noi abbiamo tante
pazienti che partoriscono spontaneamente, ma aumenta la
probabilità di aborto spontaneo.
Utero bicorne vuol dire cha abbiamo:
• Due emiuteri collegati in un collo solo;
• A volte invece due emiuteri con doppia cervice;
• Altre volte ancora il setto vaginale che divide la vagina in
due emivagine;
• Le combinazioni tra queste patologie;
3. Miomi sottosierosi, intramurali, sottomucosi (quelli che
ostruiscono parte della cavità sia come fattore meccanico sia
come impianto).
Immaginate un mioma intramurale (classificazione 3) lambisce
l’endometrio e quindi con un’isteroscopia non visualizzi
un’anomalia del volume della cavità però se l’impianto
dell’embrione arriva nella zona dove sottostante c’è il mioma, non riuscirà ad attecchire.
4. Polipo endometriali;
5. Sinechie: adesioni di tessuto fibroso che possono essere post-traumatiche o dovute a processi
infiammatori di vario tipo.

CAUSE TUBARICO-PELVICHE
Il problema è che sappiamo quali possono essere le alterazioni strutturali della tuba ad esempio:
1. Un’obliterazione a seguito di un’infiammazione;
2. Una chiusura con adesioni della parte fimbriale per un’infiammazione;
3. Alterazioni dell’epitelio ciliato (mancanza)
Alterazioni funzionali quali:
1. Peristalsi o spasmi della mucosa tubarica stessa
Paradossalmente non abbiamo il mezzo per diagnosticarlo.
Eziologia:
• Processi infiammatori:
§ PID;
§ Infezioni di ascendenti da N. Gonorrhoeae o C. Trachomatis;
§ TBC

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• Endometriosi;
• Pregresse GEU;
• Esiti cicatriziali di chirurgia addomino-pelvica;

VAGINALI
Malformazioni vaginali:
1. Agenesia;
2. Setti: non sono frequenti, ma si trovano.
Vuol dire che la vagina è esattamente divisa da un setto mediano (che quindi va dalla parte anteriore
sottostante allo sbocco dell’uretra fino alla forchetta vulvare in basso) e divide a destra e a sinistra due
mezze vagine.
Quasi mai la paziente se ne accorge perché con l’inizio dell’attività sessuale tendenzialmente una delle
due vagine diverrà la vagina “più usata” nel senso che diverrà più beante, e quindi nei rapporti si
prediligerà sempre quel lato.
Questo per dire che a volte diventa anche difficile in una visita sommaria un’identificazione del setto.
3. Vaginiti: per lo più candida criptica perché non si riesce a identificare con normali campioni vaginali, ma
con campioni a livello della vulva.
4. Vulvodinia: spasmo involontario che ostacola la penetrazione.

PERCORSO DIAGNOSTICO
A. ANAMNESI
Accurate anamnesi ed esame obiettivo gineco/andrologico:
• Informarsi sulla durata dell’infertilità (Se magari la paziente viene all’osservazione dopo 6 mesi di
rapporti liberi, si consiglia di ritornare dopo altri 6 mesi);
• Frequenza, durata e modalità dei rapporti
• Indagare sulle caratteristiche dei cicli mestruali (oligo/polimenorrea)
• Tra le caratteristiche dei cicli mestruali, chiedere so sono dolorosi (Algie pelviche) perché dalla
tipologia di dolore possiamo anche sospettare la presenza o meno di una endometriosi.
• BMI e score pilifero: l’ipertricosi si ha in zone in cui sono già presenti normalmente i peli; l’irsutismo
si ha in zone in cui normalmente non sono presenti i peli (labbro superiore, sterno, masseteri...).
Quindi bisogna considerare anche l’adipe e la distribuzione dei peli di tipo androginico. Se poi
aggiungiamo anche la presenza di caduta dei capelli, possiamo indirizzarci sull’ovaio policistico a cui
si somma anche l’aumento della resistenza insulinica, che già di per sé è una causa di sterilità.
In presenza di una qualsiasi anomalia del ciclo mestruale, la prima cosa da fare è riportare la pz nell’ambito
di un normale BMI, quindi intraprendere una dieta.
L’accesso alle procedure diagnostiche ed al percorso terapeutico è più rapido per:
• Donne con età superiore ai 35 anni
• Obesità
• Ridotta attività sessuale
• Irregolarità dei cicli mestruali (Oligo/amenorrea)
• Nota o sospetta patologia utero/annessiale o endometriosi
• Pregressa chirurgia addominale/pelvica
• Nota sub fertilità del partner
B. INDAGINI STRUMENTALI
1. Ecografia pelvica;
2. Temperatura basale:
Il rialzo termico intorno ai 37° corrisponde al picco ovulatorio, ma questo è per lo più un riferimento
storico. È un metodo che si usa poco perché sono moltissimi i fattori che possono modificare la
temperatura corporea.
3. Score cervicale (dilatazione O.U.E., caratteristiche del muco cervicale):
La portio durante il periodo fertile ha un orifizio uterino esterno dilatato di 3-4 mm, con una cascata
di muco trasparente come l’albume dell’uovo, questo è dovuto essenzialmente all’azione degli
estrogeni.

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Il follicolo cresce fino a che arriva a 18-20 mm e, man mano che cresce produce sempre più
estradiolo.
L’estradiolo (arrivato alla soglia critica di 150-200pg/mL) prodotto dal follicolo, induce il picco di LH
e quindi lo scoppio del follicolo. Ma l’estradiolo ha anche altre funzioni.
L’estradiolo è responsabile anche della dilatazione dell’orifizio esterno della cervice uterina e della
produzione di muco che tampona l’acidità vaginale favorendo la risalita degli spermatozoi.
Quindi gli spermatozoi possono risalire facilmente attraverso l’orifizio uterino esterno beante ed
entrare un utero.
Poi a livello tubarico, l’estradiolo induce movimento ciliare centrifugo, verso l’ostio tubarico esterno
cioè peritoneale. Questo fa sì che gli spermatozoi arrivino a destinazione ad incontrare l’ovocita.
Con lo scoppio del follicolo gli estrogeni si riducono e si stabilizzano intorno a circa 80 pg/mL. Questo,
in alcune pazienti può determinare un piccolo spotting perché l’estradiolo cadendo rapidamente
trasforma un po’ la mucosa e quindi si possono avere delle macchie ematiche periovulatorie e
progressivamente inizia ad aumentare il progesterone.
Quest’ultimo induce a sua volta una trasformazione secretiva dell’endometrio (diventa molto soffice
e spugnoso) preparandolo all’impianto dell’embrione, crea a livello vascolare le condizioni ideali per
l’impianto ed inverte il movimento ciliare tubarico, il quale diventa centripeto, cioè verso l’ostio
tubarico interno (uterino).
Se ho MUCO OSTILE cioè poco muco, grigiastro, faccio un tampone cervicale per esame
batteriologico a fresco (clamydia, micoplasmi, batteri, miceti, trycomonas).
Se negativi, escludo un fatto infiammatorio e allora propendo verso un problema recettoriale cioè
gli estrogeni non agiscono come dovrebbero a livello periferico o meglio le cellule cervicali non
rispondono come dovrebbero agli alti livelli di estradiolo circolante. In questo caso si può fare poco
con la terapia medica e procedo con l’inseminazione intrauterina.
Ci si orienta cioè verso un metodo per bypassare il problema del canale cervicale.
4. Isteroscopia: dà una visione del canale cervicale della cavità uterina; oggi si fa con un approccio
vaginoscopico, ovvero si fa entrando nel meato vaginale con l’isteroscopio distendendo la vagina, in
questa maniera avremo anche una visione globale dell’anatomia vaginale che permette di
individuare eventuali malformazioni.
Da lì si imbocca il canale cervicale e si arriva alla cavità.
5. Laparoscopia: non la consideriamo come mezzo di diagnosi (una volta lo era quando l’ecografia era
ai primordi);
6. Isterosalpingografia: tecnica radiologica con contrasto per visualizzare la morfologia dell’utero e
delle tube.
Pilastro portante per chi si occupa di infertilità/sterilità di coppia/riproduzione assistita, di cui non
si può fare a meno, ed io adesso ve la smonterò e vi spiegherò il perché.
Dobbiamo fare però un passo indietro, partendo dalla fisiologia dell’utero.
FISIOLOGIA ED ANATOMIA DELL’UTERO
Le fibre muscolari dell’utero e della cervice sono
disposte in modo variabile a spirale concentrica con
la funzione di generare una peristalsi con un ritmo
di contrazione cadenzato e può essere massiva
(espulsione di un mioma dall’interno dell’utero) o
peristaltica (es. consente lo spostamento dello
spermatozoo all’interno delle tube) ed ovviamente
la sua funzione durante il parto.
Tutto questo per dirvi cosa?
Descrizione immagine:
Vi sono tre gruppi di cerchietti (indicati dalle frecce):
• Uno sull’orifizio uterino interno;
• Il secondo sulla parte corneale;
• Un gruppo posto a livello fimbriale.

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Cosa vuol dire?
Ricordiamoci quello che ci siamo detti nelle
precedenti lezioni, ovvero che l’utero è una” cavità
collassata”, la distendiamo se poniamo all’interno
qualcosa (un liquido, gas, ecc…).
Normalmente noi abbiamo delle “valvole di
contenimento”, che sono le tre di cui vi parlavo poco
fa (i tre gruppi di cerchietti).
Inserendo un isteroscopio all’interno della cavità
uterina dovremmo isolare la parte dell’orifizio uterino
interno (perché quest’ultimo ha una beanza attorno
ai 5mm, l’isteroscopio ha un diametro di max 4-5mm e quindi isola abbastanza bene il tratto
cervicale dalla cavità).
Invece immettendo un liquido all’interno dell’utero a bassa pressione (45mmHg) il liquido staziona
all’interno dell’utero.
Perché non passerà attraverso le tube?
Perché abbiamo questi “anelli di tenuta” oltre alla pressione negativa che vige all’interno
dell’addome.
Quindi solo con una pressione tra 50-70mmHg si può forzare questi anelli e passerà in cavità
addominale tutto quello di liquido o cellule presenti.
Ma con l’isteroscopia bisogna utilizzare basse pressioni proprio per permetterci di valutare la cavità,
ma di non trasportare muco, cellule attraverso le tube in cavità addominale.
Paradossalmente è quello che dobbiamo fare con l’isterosalpingografia.
Questa metodica tappa la parte cervicale
dall’interno con uno strumento apposito, isola
l’esterno (tutto ciò che è al difuori del canale
cervicale), inietta ad altissima pressione un
liquido radioriflettente nella cavità, forza la
pressione negativa dell’addome ed in questa
maniera passa all’interno della cavità
addominale.
Questa metodica ovviamente è
estremamente dolorosa perché sovra
distende la cavità dell’utero.

L’epitelio tubarico estremamente è fine, dotato di un aspetto ciliato (un vero e proprio tapis roulant)
infatti le ciglia si muovono in un senso o nell’altro e permettono di trasportare lo spermatozoo,
l’ovocita, di far avvenire la fecondazione, quindi basta un’alterazione di questo epitelio che
determina alterazioni del trasporto all’interno dell’utero e della fecondazione stessa.
Negli anni 80 si utilizzava come primo approccio il lavaggio tubarico; praticamente si sfruttava lo
stesso principio dell’isterosalpingografia con la differenza che si cercava di arrivare il più vicino ai
meati tubarici e di iniettare ad alta pressione un liquido basato su fisiologica contenente antibiotici,
e che quindi doveva avere la doppia funzione di distendere le tube e di lavarle. Tornando
all’isterosalpingografia questo è quello che serve:
• Bisogna inserire lo speculum nella vagina;
• Pinzare il collo dell’utero con un’apposita pinza;
• Inserire l’isterosalpingografo.
I più moderni sono delle cannule con un doppio palloncino:
- Uno a livello cervicale;
- Uno a livello peri-orifiziale in vagina;
Che tappano ed isolano completamente la cavità dell’utero e quindi impediscono al liquido di
refluire attraverso il canale cervicale.
• Dopo di che si inietta il liquido radioriflettente sotto controllo di raggi X.

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Ai raggi X è possibile vedere vari steps: vengono fatte quindi le radiografie in maniera ritmata
perché all’inizio il liquido entra e dilata la cavità uterina, poi c’è un momento in cui bisogna forzare
l’iniezione e successivamente il liquido entra nelle tube e le distende, e poi si osserva lo
spandimento nell’addome.

Vi spiego quindi perché questa tecnica non serve a niente e perché ha un tasso di valore predittivo
positivo ed un tasso di valore predittivo negativo attorno al 50% in media, e ciò significa che una
volta su due si può dire il contrario di quello che c’è.

Perché c’è un valore cosi alto predittivo ed un valore così alto predittivo negativo?
Perché è basato su un fatto meccanico: noi introduciamo il catetere nell’utero, ed è sufficiente che
la cannula stacchi/gratti all’interno dello spessore endometriale un frustolo (che visto in modo
panoramico può sembrare un polipo, ma così non è); immettiamo il liquido ad alta pressione che
ha una sola via (può andare solo verso le tube, non può tornare indietro perchè abbiamo isolato in
maniera perfetta il canale cervicale) quindi anche il detrito endometriale si muoverà verso le tube
fino a tappare uno o entrambi gli orifizi tubarici.
Ed ecco perché a volte noi abbiamo una tuba cosiddetta pervia ed una non pervia.
Allora in quel caso con una pinza traumatica clampiamo in maniera soft la tuba risultata pervia,
riposizioniamo al meglio il manipolatore e rimettiamo il liquido e quasi sempre vediamo l’altra tuba
iniettarsi.
Quindi quello era un falso dato, questo per dire che la tecnica di per sé non è affidabile.
Ma ammesso che la tecnica sia affidabile c’è un problema maggiore: il fatto che noi consideriamo
la tuba come un “tubo”, cioè che non è un organo funzionale ma è solo, come dicono gli
anglosassoni, una “tight line”, ovvero un qualcosa che porta da A a B un liquido o qualcos’altro, e
ciò non è.

Quindi sapere che la tuba è libera e pervia e non sapere nulla sullo stato della mucosa, a mio
modo di vedere, rende inutile l’esecuzione di un’isterosalpingografia.

Il paradosso è che negli anni 90 si era messo a punto uno strumento che permetteva, attraverso
una laparoscopia (salpingoscopia), di incannulare la tuba e di fare un’endoscopia della tuba e si
vedeva chiaramente la mucosa (risultata pessima dall’isterosalpingografia).
Successivamente, causa la complessità dell’esecuzione e di addizionale strumentazione e per altri
vari motivi, è scomparso l’utilizzo di questa metodica ed oggi non si fa più.
Tutto ciò per dire che l’isterosalpingografia che ancora oggi viene elencata fra ciò che voi dovreste
fare, non ha assolutamente nessuna funzione.

TERAPIA DELLA STERILITÀ FEMMINILE


Varia in relazione all’eziologia:
1. Anovulatorietà cronica:
• Induzione farmacologica dell’ovulazione
2. Endometriosi:
• Correzione chirurgica
• FIVET (fecondazione in vitreo con embrio-transfert).
3. Patologia cervicale
• IUI (Inseminazione intra-uterina);
• Terapia antibiotica;
• Ripristino normali livelli di estrogeni
4. Patologia tubarica:
• FIVET

VELOCE EXCURSUS DELLA PARTE RIPRODUTTIVA

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Di solito quando la donna è giovane, dopo 1 anno (anche se in realtà così non è perché le pazienti a volte
aspettano 5-6 anni) può essere validato il ricorso ad una fecondazione assistita.
Diverso invece il discorso in caso di endometriosi: se la paziente è stata sottoposta ad intervento complesso,
dobbiamo concedere 6 mesi prima di intervenire.
Importante è ovviamente l’esame dei partner, la ricerca anticorpale e anche genetica.

TECNICHE DI FECONDAZIONE ASSISTITA


1. IUI (Inseminazione intra-uterina): sperma iniettato all’interno della cavità uterina mediante un
catetere e lascio che la fisiologia faccia il resto, quindi bypasso il problema vagina-canale cervicale;
Naturalmente non si può iniettare il seme intero in utero, per due motivi:
• Perché sono presenti le prostaglandine che provocherebbero dolori molto forti
• Perché verrebbero anche trasferiti globuli bianchi, enzimi della flogosi, ecc., e non un liquido
purificato e controllato quindi senza globuli bianchi, detriti, spermatozoi immobili.
Normalmente, la capacitazione dello spermatozoo inizia quando esso viene in contatto con l’apparato
sessuale femminile, quindi quando viene in contatto con il muco cervicale, ed inizia così ad acquisire il
suo potere fecondante.
Con questa tecnica, utilizzando i terreni di coltura, è come se portassimo gli spermatozoi già a questo
stadio. È come se fossero stati a contatto con il muco cervicale per un certo periodo.
2. FIVET (fecondazione in vitreo con embrio-transfert): si fertilizzano in vitro ovociti e si inietta all’interno
dell’utero l’embrione fecondato;
3. ICSI (intracytoplasmatic sperm injection): si entra all’interno dell’ovocita e si manipola il contatto tra
l’ovocita e singolo spermatozoo.
4. Altre opzioni sono:
• Adozione
• Ovodonazione: in Italia si può fare fino ai 50 anni. Ricordate che l’utero non invecchia, invecchiano
gli ovociti, quindi i gameti. L’ovodonazione consiste nel prelevare un ovocita di una donna donatrice
che abbia meno di 30 anni. Viene utilizzato lo spermatozoo dell’uomo della coppia e poi si
trasferisce nell’utero della donna della coppia.
• Fecondazione eterologa.

STERILITÀ MASCHILE
Cause della sterilità maschile:
1. Ormonali:
Alterata produzione di ormoni sessuali da:
• Ipotalamo;
• Ipofisi
• Testicolo (Sterilità secretoria)
2. Testicolari:
• Alterata produzione degli spermatozoi (Sterilità secretoria)
3. Post-testicolari:
• Alterato trasporto degli spermatozoi (Sterilità escretoria) da causa:
§ Congenita;
§ Infiammatoria;
§ Traumatica
4. Da considerare anche:
• Varicocele: dilatazione delle vene testicolari con conseguente aumento della temperatura e
interferenza con la produzione degli spermatozoi;
• Disfunzione erettile;
• Criptorchidismo;
• Mutazioni genetiche quali anomalie del cariotipo, microdelezione Y o mutazioni della fibrosi
cistica;
• Stile di vita (fumo, alcol, sostanze stupefacenti).

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Solitamente non si parla di sterilità assoluta (tranne in condizione di azoospermia).
Diagnosi mediante spermiogramma e test della funzionalità spermatica.
CONTRACCEZIONE
METODI ARTIFICIALI -DISPOSITIVI INTRAUTERINI (Zanoio)
(Altri AIMS)

I Dispositivi intrauterini (IUD, Intra Uterin Devices) sono dispositivi di varie forme:
• A T;
• A canestro;
• A sette;
• Ad anello;
• ecc…
con un supporto in materiale plastico inerte sul quale è avvolto un filo di rame (spirali al rame) oppure è
connesso un serbatoio contenente l’ormone progesterone che viene dismesso in quantità costante di 20 µg
al giorno per 5 anni.
Le spirali al rame rilasciano per 3-5 anni ioni del suddetto metallo, che hanno effetti negativi sugli
spermatozoi:
• Sia nei confronti della loro motilità;
• Sia con un'azione tossica diretta;
In aggiunta, gli ioni rame esercitano anche un'azione di flogosi cronica nei confronti della mucosa
endometriale rendendola inadatta all'annidamento della blastocisti.
La spirale al progesterone determina:
• Da un lato modificazioni del muco cervicale, che diventa denso e difficilmente penetrabile dagli
spermatozoi;
• Dall'altro provoca una trasformazione progestativa persistente a carico dell'endometrio, rendendolo
inadatto all'annidamento.
L'indice di Pearl è basso (0,4-2), leggermente superiore a quello della pillola.
Gli effetti collaterali più comuni, generalmente reversibili dopo i primi 3-4 mesi di uso, sono:
• Perdite ematiche intermestruali (spotting o vere e proprie metrorragie);
• Algie pelviche;
• Più raramente si manifestano ipermenorrea o menometrorragie che, se persistenti, consigliano la
rimozione del dispositivo.
La gravidanza può insorgere sia a seguito di espulsione spontanea e non riconosciuta da parte della donna
dello IUD, sia con la spirale in utero, nel 3-4% dei casi.
È necessario allora rimuoverlo al più presto, se il filo è visibile, per evitare:
• Aborti settici tardivi;
• Rotture intempestive di membrane;
• Parti prematuri.
E ciò è effettuabile senza particolari rischi, eventualmente sotto guida ecografica, in quanto il dispositivo
resta sempre al di fuori della camera gestazionale.
Quando il dispositivo è allocato a livello del fondo, e il filo non è visibile, la gravidanza può proseguire anche
con lo IUD, ponendo sempre attenzione, come già detto, al rischio di infezione intrauterina.
Gravi, anche se rari, sono i rischi secondari all’uso degli IUD:
• Infezioni uterine, fino alla PID (malattia infiammatoria pelvica) da Actynomices;
• Gravidanze ectopiche (5%);
• Sterilità.
Ovviamente, se si sospetta una PID, lo IUD deve essere immediatamente rimosso e va iniziata una terapia
antibiotica a dosi piene.

TECNICA DI INSERIMENTO
Lo IUD è inserito generalmente durante il ciclo mestruale:
• Per essere sicuri che non sussista uno stato gravidico;

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• Per creare minor fastidio alla paziente, in un momento in cui il canale cervicale è fisiologicamente
beante.
Esposta la cervice, disinfettata con soluzione antisettica, usando o meno una pinza da collo, si misura
preliminarmente la cavità uterina con un isterometro.
Isterometrie inferiori a 6 cm sconsigliano l'uso della spirale, per la facile espulsione spontanea.
A questo punto si può inserire facilmente lo IUD.
Una terapia antispastica precedente l'inserimento non è obbligatoria, mentre è raccomandata una profilassi
antibiotica nei giorni successivi.
NB La spirale non si può tenere più di 5 anni.

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MALATTIA INFIAMMATORIA PELVICA (PID)

DEFINIZIONE
Con il termine PID si intende una gamma di stati flogistici che di solito colpiscono la tuba (salpingite), ma si
possono estendere:
• All’ovaio (salpingo-ovarite o annessite);
• Al peritoneo pelvi (pelvi-peritonite);
• Al parametrio (parametrite).
È molto difficile, da un punto di vista clinico, stabilire l’estensione di un processo infiammatorio nell’apparato
geitale femminile interno, ma è certo che la salpinge è il tratto ove l’infiammazione si localizza con maggiore
facilità e provoca le lesioni più rilevanti e più importanti (Crum-Cianflone, 2015).
Poiché i meccanismi riparativi tubarici, qualunque sia stato l’inizio e la causa della patologia, causano spesso
esiti cicatriziali, le conseguenze a distanza della flogosi tubarica sono non raramente rappresentate da:
• Sterilità per chiusura del lume tubarico;
• Da una più elevata tendenza alla gravidanza extrauterina;
• Da alterazioni della tuba con formazione di raccolte nel lume tubarico sovra disteso (sactosalpinge) nel
quale si può avere la persistenza dell’agente patogeno e dove, con maggior facilità, vanno a localizzarsi
nuovi microorganismi, per cui si hanno più frequentemente recidive e/o il persistere di disturbi
invalidanti la qualità di vita e la capacità lavorativa della donna.

EPIDEMIOLOGIA
È molto difficile valutare l'incidenza e la prevalenza della PID, per vari motivi: la diagnosi può essere posta
con certezza solo con la laparoscopia, perciò un buon numero di casi non è rilevato; altre patologie possono
essere erroneamente diagnosticate come quadri di PID; alcune donne sintomatiche non richiedono
assistenza medica, oppure in molti casi il decorso è paucisintomatico o asintomatico e, pertanto, non
perviene all'osservazione del medico.
Tuttavia, l'incidenza di Malattia Infiammatoria Pelvica (PID) nelle ragazze dai 15 ai 19 anni (sessualmente
attive) è particolarmente elevata.
In uno studio epidemiologico il tasso di PID in ragazze di 15 anni (sessualmente attive) era di 1:8 rispetto al
rischio 1:80 di donne sessualmente attive di 24 anni (Westrom, 1980).
La PID è di natura polimicrobica, legata soprattutto a Chlamydia e Gonococco, ma con associazione di
Gardnerella, Enterococchi, Gram negativi intestinali, Mycoplasma, Cytomegalovirus ecc...
I tassi di infezione da Gonococco e soprattutto da Chlamydia sono particolarmente elevati nelle adolescenti.
In USA 3 milioni di adolescenti ogni anno acquisiscono una infezione sessualmente trasmessa (in pratica 1 su
4 adolescenti sessualmente attive).

FATTORI DI RISCHIO
• Demografici
§ Età giovanile (11-19 anni);
§ Stato coniugale
§ Basso stato socioeconomico;
§ Razza nera frequenza doppia rispetto a bianchi;
• Abitudini sessuali
§ Età di inizio attività sessuale;
§ Partners sessuali multipli;
§ Partners sessuali con uretrite o gonorrea;
§ Alta frequenza di rapporti sessuali;
§ Rapporti durante il periodo sessuale;
§ Pratica di sesso orale e anale.
• Contraccezione
§ Mancato utilizzo di contraccettivi di barriera;
§ Uso di dispositivi intrauterini.

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• Altre Abitudini
§ Fumo di sigaretta;
§ Abuso di sostanze voluttuarie, droghe;
§ Lavande vaginali frequenti.
• Malattie sessualmente trasmesse
• Test cervicale positivo per N.Gonorrhoeae o C. Trachomatis.
• Precedenti episodi di PID

EZIOPATOGENESI
La malattia infiammatoria pelvica è nella grande maggioranza dei casi (99%) una diretta conseguenza della
risalita (ascesa) di germi dal tratto genitale basso (vagina, cervice) all'endometrio, ma soprattutto alle tube
e agli altri organi pelvici vicini.
Nel caso della N. gonorrhoeae la virulenza del ceppo o il tipo di colonia possono aiutare a predire il rischio di
infezione del tratto genitale alto.
Le colonie trasparenti di neisseria si attaccano più prontamente alle cellule epiteliali e pertanto producono
più frequentemente infezione rispetto alle colonie opache.
In circa il 70% delle donne dopo una grave infiammazione pelvica si sviluppa un anticorpo contro le proteine
della membrana esterna della N.gonorrhoeae. La mancanza di un significativo titolo anticorpale può aiutare
a spiegare perché le teenagers vanno più facilmente incontro alla PID rispetto alle donne che hanno più di
20-25 anni.
L'infiammazione può essere localizzata in una zona qualunque del tratto genitale alto in un continuo che
include endometrite, salpingite e peritonite.
La salpingite rappresenta la più importante delle forme di PID, tanto che i termini sono normalmente usati
come sinonimi (Guaschino et al., 2005).
Circa 2/3 delle donne affette da PID presentano le caratteristiche della sola infiammazione tubarica. Nel
restante terzo dei casi, la sindrome interessa anche gli altri organi pelvici, mentre solo in una piccola
percentuale la malattia non colpisce la tuba.
La sola risalita dei germi non è sufficiente tuttavia a spiegare dal punto di vista patogenetico l'instaurarsi di
una PID dal momento che germi arrivano per via ascendente alle tube anche in situazioni fisiologiche
(mestruazione, rapporti) senza che si instauri una infiammazione. Probabilmente assumono importanza la
carica batterica, le difese locali e generali dell'individuo (tab. 14.5) (Simmons, 2015).
Una crescente area di interesse è rappresentata dalla identificazione delle modificazioni nella virulenza dei
germi nella risposta dell'ospite ai microorganismi.
La maggiore o minore virulenza di un microorganismo può spiegare perché alcune infezioni del tratto
genitale basso si diffondono a quello alto, mentre altre no.
Anche fattori genetici possono rappresentare un elemento di rischio.
Un aumento del rischio di PID si ha anche con l'isteroscopia, l'isterosalpingografia ed in generale con tutte le
manovre effettuate a livello cervico-endometriale.
Tra queste ultime in particolare l'aborto, soprattutto se clandestino, e quindi praticato in ambiente non
idoneo, od eseguito con tecnica non corretta.
Più rara l'infezione pelvica secondaria al parto.
Le statistiche attuali evidenziano che la maggior parte delle infiammazioni delle salpingi sono polimicrobiche,
bilaterali e dovute per lo più alla Chlamydia trachomatis e alla N. gonorrhoeae (Scholes et al., 1996).
Questi due microrganismi coesistono nello stesso individuo nel 25-50% dei casi.
Approssimativamente il 15% delle donne con una endocervicite da N. gonorrhoeaee successivamente
svilupperà una PID acuta, mentre circa il 50% delle donne con coltura endocervicale positiva per N.
gonorrhoeae al momento della PID acuta avrà lo stesso microrganismo presente nella coltura delle secrezioni
tubariche.
Se la N. gonorrhoeae è il solo microrganismo coltivato negli essudati tubarici, di solito la paziente risponde
rapidamente al trattamento (Biggs e Williams, 2009).
Complessivamente la chlamydia sembra coinvolta in almeno il 40% delle donne ospedalizzate per PID acuta.

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Mentre la N. gonorrhoeae persiste nelle tube infettate al massimo per pochi giorni nelle pazienti non
trattate, la chlamydia può persistere nelle tube per mesi dopo l'iniziale colonizzazione del tratto genitale
alto.
Partecipano anche (circa 50% dei casi) germi anaerobi Gram-positivi e Gram-negativi e comuni piogeni
aerobi (streptococco, stafilococco e Escherichia coli).
Dalle colture del materiale prelevato direttamente dalle tube per aspirazione sono state isolate più di 20
specie di microorganismi.
Spesso si tratta di infezioni miste da aerobi ed anaerobi.
Questi germi provengono per lo più da infezioni cervicali o vaginali (vaginosi batteriche) o dall'uretra.
Talora è in causa a livello della salpinge il Mycoplasma hominis (4-17% dei casi) (Onnis e Marchesoni, 1986),
che è frequentemente associato alla vaginosi batterica, che di per sé è considerata un fattore di rischio per
la PID.
L'ureaplasma urealyticum si riscontra nel 2-20% delle PID acute.
Tuttavia studi in vitro ed in vivo sembrerebbero dimostrare che il Mycoplasma e l'ureaplasma si comportano
nelle tube più da germi commensali che da germi patogeni.
Un certo numero di salpingiti (5-10%) a decorso cronico bacillo tubercolare (Mycobacterium tu- berculosis);
la frequenza di questo tipo di flogosi è andata diminuendo in molti Paesi soprattutto nel nord Europa e nel
nord America, mentre persiste abbastanza elevata nell'America del sud, nei paesi tropicali e subtropicali e in
qualche area del sud Europa.
Non sempre nelle forme acute e tanto meno in quelle croniche si riesce a sapere esattamente, pur
utilizzando il prelievo delle secrezioni infiammatorie direttamente dalla pelvi (per via laparoscopica o
attraverso la puntura del cavo del Douglas), quale è lo spettro dei microorganismi che hanno provocato
l'infezione.
Non sempre l'individuazione del patogeno del tratto genitale basso (cervicite mucopurulenta tc da
Chlamydia o da gonococco, uretrite mucopurulenta dagli la stessi agenti patogeni, vaginosi batterica,
infezione polimicrobica) coincide con quello o quelli che vengono reperiti a livello della salpinge (Biggs e
Williams, 2009).
Il risultato è infatti molto influenzato dal momento in cui il prelievo viene fatto, dal mezzo di trasporto nel
quale il materiale in esame è stato messo e dalle diverse tecniche utilizzate in laboratorio per evidenziare
l'agente o gli agenti patogeni.

Microorganismi trasmessi per via sessuale • Clamydia Trachomatis;


• Neisseria Gonorrhoeae;
• Mycoplasma Hominis.
Aerobi endogeni o facoltativi • Streptococcus species;
• Staphylococcus;
• Haemophilus;
• E. Coli
Anaerobi • Bacteroides:
• Peptococcus;
• Peptostreptococcus;
• Clostridium;
• Actynomyces

CLINICA
Lo spettro clinico della PID è molto ampio, in quanto va da quadri subclinici (PID silente), sfumati, di
endometrite, a quadri clinicamente evidenti di salpingiti, fino a quadri anche molto gravi di ascessi tubo-
ovarici, pelvi-peritonite e peritonite (PID acuta).
1. Uno dei sintomi più frequenti è il dolore in genere è:
• Sordo;
• Continuo;

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• Localizzato nei quadranti inferiori dell'addome, talora irradiato al fianco, alla regione lombo sacrale,
all’ipogastrio, alla radice della coscia e alla coscia stessa; tuttavia l’irradiazione all’arto inferiore è
più tipica delle forme sub acute e sub croniche che di quelle acute
• Mono o bilaterale;
• Con inizio graduale;
• Oltre alla dolorabilità uterina e annessiale spontanea, è caratteristica anche la dolorabilità uterina
provocata dagli spostamenti;
• Si associa a addome intrattabile alla palpazione.
2. La febbre si manifesta nel 40% dei casi di salpingite, a volte accompagnata da brivido.
Se presente è superiore a 38° e solitamente la ritroviamo più in forme determinate da N. Gonorrhoeae;
3. Nella maggior parte dei casi di salpingite sono presenti secrezioni vaginali anomale, spesso giallastre e
omogenee che prendono il nome di leucoxantorrea;
Questo sintomo può comparire proprio con l’inizio dell’episodio acuto o essere già presente a causa di
una cervico-vaginite, di una endocervicite o di una endometrite, in tal caso si accentua in concomitanza
con l’insorgenza della PID
4. Nel 15-20% dei casi sono evidenti anche sintomi urinari, quali pollachiuria e bruciore alla minzione.
5. In caso di forme gravi di PID con pelvi-peritonite o peritonite diffusa, frequentemente compaiono:
• Nausea e vomito;
• Fortissimi dolori addominali spontanei e provocati e relativa resistenza della parete alla
palpazione;
• Alvo chiuso alle feci e al gas;
• Meteorismo;
• Febbre elevata;
• Stato subocclusivo;
• Talora delirio.
• Raramente si hanno sintomi di proctite che, in genere, sono provocati da un ascesso nel cavo di
Douglas.
6. Possiamo avere anche:
• Irregolarità mestruali con aumento della durata dello stillicidio o una maggiore abbondanza;
• Alterazioni annessiali
La parametrite o infezione del parametrio può essere cronica o acuta.
Nella forma acuta può essere localizzata lateralmente e, di conseguenza, compare, di solito dopo TC, alla
base del legamento largo.
Compare febbre la cui durata persiste oltre le 72 ore nonostante il trattamento, mentre localmente si
apprezza una tumefazione a limiti indistinti, dolente, accompagnata spesso da disuria o stipsi.
È abbastanza frequente anche dopo isterectomia.
Tale patologia si risolve di solito con il trattamento antibiotico.
Raramente può trasformarsi in ascesso pelvico (TC) che necessita di trattamento chirurgico.
Secondo una teoria, basata su una serie di dati, i casi di PID clinicamente evidenti sarebbero solo la punta di
un iceberg: nella maggior parte dei casi questa patologia avrebbe un decorso asintomatico o
paucisintomatico, con il quadro della cosiddetta atypical o silent PID, con andamento subacuto, con
sintomatologia sfumata, che potrebbe determinare l'instaurarsi in maniera lenta e progressiva di un danno
organico tubo-pelvico, responsabile d’infertilità, misconosciuto fino al momento di eventuali accertamenti
per mancato concepimento.
COMPLICANZE
• Infertilità;
• GEU;
• Dolore pelvico cronico;
• Pelviperitonite;
• Pelvicellulite;
• Sacroileite;
• Tromboflebite pelvica;

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• Retroversoflessione uterine fissa;

DIAGNOSI
1. Clinica, può essere difficile.
Ci può comunque aiutare la ricerca di fattori di rischio o di eventuali precedenti episodi di PID
nell’anamnesi.
All’esame obiettivo possiamo ritrovare dolorabilità, secrezioni o tumefazioni.
2. Laboratorio:
• Indici di flogosi aumentati come leucocitosi, VES e PCR;
• Striscio a fresco;
• Coltura cervicale positiva.
3. Ecografia transvaginale
Evidenzia versamenti fluidi liberi o nel lume tubarico, tube dilatate, tumefazioni annessiali.
Possiamo evidenziare il tipico segno a corona dentata.
4. RMN
Ci permette di osservare meglio i reperti ecografici con possibilità di DD
5. Biopsia endometriale per aspirazione
Per ricercare leucociti e plasmacellile, viene usata più che altro per confermare la diagnosi.
6. Laparoscopia
È considerata il gold standard e può essere contemporaneamente diagnostica e terapeutica
determinando lisi di aderenze e lavaggio delle raccolte ascessuali.
Gravità della malattia infiammatoria delle salpingi valutata alla laparoscopia (Sec. Harper et. Al., 1983)
GRAVITÀ ASPETTI
Lieve • Eritema;
• Edema;
• Assenza di secrezioni purulente spontanee;
• Tube mobili bilateralmente.
Moderata • Eritema marcato;
• Edema marcato;
• Secrezioni purulente evidenti;
• Tube non mobili spontaneamente;
• Ostio fimbriale chiuso.
Grave • Piosalpinge;
• Ascesso

Criteri diagnostici di PID secondo le linee guida CDC 2010 (MMWR 2010; 59 1-140)
CRITERI MINIMI
• Dolorabilità uterina/annessiale;
• Dolorabilità cervicale allo spostamento
CRITERI ADDIZIONALI
• Temperatura orale >38,3°C;
• Secrezioni cervicali o vaginali mucopurulente;
• Presenza di leucociti nelle secrezioni vaginali nello striscio a fresco;
• VES elevata;
• PCR elevata;
• Documentazione laboratoristica di infezione cervicale da N. gonorrhoeae o C. trachomatis.
CRITERI SPECIFICI
• Segni di endometrite nella biopsia endometriale;
• Reperti ecografici o alla RM di tube inspessite, piene di fluido con o senza versamento pelvico o
complesso tubo-ovarico;
• Quadro laparoscopico compatibile con PID.

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DIAGNOSI DIFFERENZIALE
Varie patologie ginecologiche possono simulare un quadro di PID.
La diagnosi differenziale va posta con:
• Rottura di cisti ovariche;
• Torsioni annessiali;
• Gravidanze ectopiche;
• Endometriosi;
• Patologie a carico di altri apparati adiacenti:
§ Urinario come cistite acuta o pielite;
§ Gastro-intestinale come la diverticolite, l’ileo meccanico, la perforazione di ulcera gastro-
duodenale;
§ Muscolo-scheletrico.
• Dolore o fastidio in corrispondenza del quadrante addominale superiore destro deve far sospettare una
periepatite concomitante;
• Dolore nel quadrante inferiore destro può indicare una periappendicite (sierosite periappendicolare
senza coinvolgimento della mucosa intestinale, rilevata nel 5% delle pazienti sottoposte ad
appendicectomia per sospetta appendicite);
• Condizioni neoplastiche a carico dell’ovaio o dell’intestino.

TERAPIA
Quando la malattia infiammatoria pelvica è già evidente clinicamente la terapia deve essere istituita senza
indugi con lo scopo di:
• Portare alla rapida guarigione;
• Minimizzare le sequele della flogosi;
• Evitare la cronicizzazione e le riacutizzazioni;
• Evitare la sterilità e la predisposizione alla gravidanza extra uterina.
Si deve perciò decidere:
• Se il trattamento può essere fatto ambulatorialmente o se al contrario sia utile ricoverare la paziente;
• La scelta dell' antibiotico o degli antibiotici più appropriati;
• Il controllo per valutare la risposta al trattamento;
• La cura per il partner, se è il caso di farla.
Poiché la maggior parte delle PID ha una eziologia polimicrobica, è indicato in prima istanza un trattamento
empirico con antibiotici a largo spettro.
La terapia deve essere iniziata il prima possibile e si consiglia di prolungarla per almeno 48 ore dopo il
miglioramento della sintomatologia.
La terapia chirurgica è indicata per le PID croniche nel caso in cui la paziente voglia una gravidanza, per
drenaggio delle tube, malgrado possa comunque averle tramite FIVET, e per un ascesso tubarico a rischio
rottura.
Non si opera mai nel corso di una riacutizzazione.

PREVENZIONE
La prevenzione può essere primaria, secondaria o terzaria.
1. La prevenzione primaria comprende la prevenzione dell'esposizione agli agenti eziologici delle MST e la
prevenzione dell'infezione dopo l'esposizione.
Si basa fondamentalmente sull'educazione sanitaria, sull'adozione di determinati stili di vita (ritardare
l'inizio dell’attività sessuale fino ad almeno 2-3 anni dal menarca, limitare il partner sessuali, evitare
rapporti sessuali casuali o con partner ad alto rischio), sull’utilizzo di metodi anticoncezionali di barriera,
sull'impiego di vaccini contro le infezioni batteriche.
2. La prevenzione secondaria comprende la prevenzione della diffusione dell’infezione dalle basse alle
alte vie genitali e la prevenzione della diffusione dell'infezione nella comunità.
Questa può essere attuata tramite diagnosi precoce, trattamento adeguato dell'infezione e controllo
del partner.

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3. La prevenzione terziaria riguarda la prevenzione delle sequele e dovrebbe agire impedendo l'instaurarsi
del danno tubo-pelvico.
Molto importante è la tempestività del trattamento antibiotico.
Il rischio di infertilità aumenta di 3 volte se il trattamento è iniziato 72 ore dopo l'insorgenza della
sintomatologia, rispetto ai casi in cui è iniziato subito.
Fondamentale è anche la prevenzione delle recidive: nel 20% dei casi di PID si hanno una o più recidive
e nell’80% dei casi la recidiva si verifica entro 24 mesi dal primo episodio.
A tale proposito sono fondamentali anche il controllo e il trattamento del partner.

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INFEZIONI GENITALI NELLA DONNA E MALATTIE SESSUALMENTE TRASMESSE

Dal punto di vista delle infezione e anche anatomo-patologico con una linea che attraversa
perpendicolarmente la cervice (n.d.r. appena sopra la portio) possiamo suddividere in due l’apparato genitale
femminile distinguiamo, quindi, Upper e Lower tract.
1. Lower genital tract :
• Vulvo-vaginiti e cervico-vaginiti;
• Patologia vulvare;
• Patologia vaginale.

MODALITA’ DI TRASMISSIONE

A. PATOGENI COINVOLTI CON TRASMISSIONE SESSUALE QUASI ESCLUSIVA:


• Chlamydia
• T. pallidum
• Gonococco
• T.vaginalis
• HSV
• HPV?
B. PATOGENI COINVOLTI CON TRASMISSIONE SESSUALE NON ESCLUSIVA
• Mycoplasma
• HBV
• Cytomegalovirus
• HIV
• Sarcoptes Scabei
• Poxvirus
C. PATOGENI COINVOLTI CON TRASMISSIONE SESSUALE POCO FREQUENTE
• Candida
• HCV
• Batterei aerobi e anaerobi
• Gardnerellavaginlis

§ CANDIDA VULVO-VAGINALE (VULVO-VAGINITE)


• Vulvite evidente
• Con rossore evidente
• Più che dolore trovo spesso il prurito, con bruciore che è esito di grattamento.
Anatomicamente la vagina inizia dall’imene in su, al di fuori di questo abbiamo la vulva, che è
rivestita quasi interamente di cute, tranne per un 10% subito al di fuori dell’imene che è ancora
mucosa per cui, non è altro che una “dermatite” e in questa forma evidenzio un materiale
biancastro, latteo.
Può essere:
Sporadica, non complicata: Ricorrente, complicata:
Meno di 4 episodi Con 4 o più episodi all’anno
Segni e sintomi lievi moderati Vulvo-vaginite severa
Candida Albicans C. Albicans con anche agenti non-albicans
Generalmente nella donna normale, Si presenta in sogg. con fattori di rischio
non gravida
Nell’immagine batteriologica a fresco, si vedono le caratteristiche spore della candida, o quando
si allungano, pseudo-ife (pseudo perché non divengono pluricellulari come in altri tipi di funghi,
qui restano di fatto isolati) che ne rappresentano la forma vegetativa.
Questo tipo di indagine diagnostica è già sufficiente, non serve altro.

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Nelle forme complicate può essere utile eseguire delle colture.

PAPANICOLAU: Vedo spore e/o pseudoife eosinofile, con uno striscio infiammatorie.

§ TRICHOMONAS VAGINALIS
Il primo patogeno sessualmente trasmesso descritto
• Ha un contagio prevalentemente sessuale;
• È asintomatico nel 10-50% donne, di più nel maschio (portatore “sano” nelle vie urinarie);
• Determina perdite vaginali irritanti, raramente maleodoranti;
• La vulva può risultarne esente (cervico-vaginite piuttosto che vulvo-vaginite, quindi non c’è
l’interessamento cutaneo, la dermatite di prima);
• Disuria;
• Dispareunia;
• Dolore pelvico.
N.B. Spesso nelle infezioni ci sono fasi o forme di infezione che risultando asintomatiche o oligo-
sintomatiche, favoriscono la trasmissione dell’infezione, altrimenti il dolore non porterebbe
all’attuazione di un rapporto sessuale.
L’aspetto dell’infezione è detto: PORTIO A “FRAGOLA”, è una colpite maculare, che dopo
colorazione con liquido di Lugol, si evidenziano una serie di macchie puntiformi multiple che non
prendono il colore.
In un PAP-TEST vedo queste cellule piriformi, che A FRESCO sono ancora più caratteristiche, in
quanto si muovono per la presenza di un flagello.
Chiaramente vederli in questo modo fa fare diagnosi certa.

§ FORME BATTERICHE
Nella vagina sono presenti sempre, in tutta la vita, c’è una consistente colonizzazione batterica.
In particolar modo per la presenza di glicogeno sono numerosi i Lactobacilli, questo consente
di mantenere, grazie alla produzione di Ac. Lattico, un ambiente a pH acido, poco consono alla
crescita di altri batteri patogeni (i batteri anaerobi sono ad esempio presenti, ma in piccole
quantità).
Sono queste forme divise in 2:
A. Forma anaerobica (o vaginosi - perché non da molta infiammazione – batterica).
B. Vaginite aerobica
N.B. Con il termine “parto pretermine” si intende un parto prima del compimento della
37°esima settimana e può derivare da:
• Induzione del parto o taglio cesareo per indicazioni materne o fetali (circa 30%);
• Travaglio pre-termine spontaneo a membrane integre(circa 45%);
• Rottura prematura delle membrane pretermine → pPROM (preterm premature rocture
of membrane) (circa 25%).
Il punto 3. è rilevante clinicamente poiché dopo la rottura delle membrane chiaramente i
batteri risalgono. Ed è questo molto legato, anche se in parte il 2. ma più il 3. all’equilibrio
dell’ambiente vaginale;
I microorganismi possono giungere nella cavità amniotica in modi diversi
• Ascendente dalla vagina e dalla cervice
• Ematogena attraverso la placenta
• Accidentale per procedure invasive neonatali
• Retrograda dalle tube uterine
Noi parliamo quindi di un vero e proprio ecosistema vaginale, perché c’è un equilibrio tra i
vari “colonizzatori” di questo ambiente, una serie di lactobacilli con diverse funzioni:
• Produzione di Ac Lattico
• Produzione di Perossido d’idrogeno
• Produzione di specifiche “batteriocine”

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• Competizione con altri microrganismi per l’adesione all’epitelio vaginale
Normalmente sono predominanti, ma può in alcuni casi alterarsi,
• La flora può essere disturbata da una maggiore crescita degli anaerobi (vaginosi
batterica);
• O da microrganismi aerobi come E.coli, streptococchi gruppo B, enterococchi etc.
(vaginiti aerobiche);
• Oppure situazioni miste.

A. VAGINOSI BATTERICA
Squilibrio ecologico, con una maggiore prevalenza di batteri anaerobi , anche 1000 volte
più alta, ed ovviamente ci aspettiamo che il pH aumenti.
CRITERI DI AMSEL (3 su 4):
1. pH >4,5;
2. Odore di “pesce” per le amine prodotte dai batteri (sia sintomo che segno);
3. “Clue cells” a contrasto di fase;
4. Perdite di acqua sporca;
N.B. in queste tre forme di vaginite descritta non c’è la coltura, ma è sufficiente l’esame a
fresco.

B. VAGINITE BATTERICA
Sono batteri che oltre a determinare altri disturbi, come cistiti o altro, possono anche
determinare delle vaginiti.
Analizzo anche il “Grado Lattobacillare” (LBG) si vedono abbastanza in microscopia, e
quindi posso analizzarlo agevolmente.
Lattobacilli Forme Coccoidi PMN
I. ++ - -
II. + -/+ -/+
III. -/+ + +
IV. - ++ ++

§ ULCERA SIFILITICA
SIFILOMA PRIMARIO:
• Interessa vulva, pene, può ovviamente esserci la bocca, o l’ano a seconda dei rapporti.
• E’ quasi asintomatica rispetto all’Herpes
• Possiamo fare un prelievo , non bioptico, e chiaramente possiamo trovarci i Treponemi
(T.pallidum).
• A FRESCO le vedo bene, sono delle spirochete molto mobili.

§ ECTOPARASSITI
A. SCABBIA:
• Microrganismo invisibile;
• Non è una infezione, ma una infestazione da Sarcoptes Scabei, che crea dei
tunnel intraepidermici;
• Può ritrovarsi a livello vulvare, un eritema di questo tipo;
• Può simulare altre dermatiti, ma chiaramente dobbiamo valutare eventuali altri
sedi.
B. PHTIRIASI (Phtirius pubis):
• Determina prurito intenso e lesioni da grattamento;
• Eritema cutaneo, questo è piatto a differenza di quello dei capelli (dal nome
“piattola”) e preferisce i peli pubici, infatti non c’entra niente con i capelli.
• I punti neri che possono vedersi sulle mutande bianche sono le feci del parassita,
non il parassita in sé.

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§ HERPES GENITALE
HSV 1 e 2
• Localizzazione a livello della vulva, vagina, portio (l’HSV una volta entrato
nell’organismo poi, come noto, non se ne va più).
• Con bruciore intenso;
• Vescicole/ulcere multiple;
• Eritema;
• Edema;
• Perdite vaginali di vario tipo;
• Adenopatia inguinale (tipica della prima infezione);
• Complicanze neurologiche.
DIAGNOSI:
• Clinica;
• Colposcopia;
• Colpocitologia;
• Vulvoscopia;
• Coltura virale.
Chiaramente si pone un problema importante in gravidanza, che più che il problema di
trasmissione transplacentare, che è improbabile perché richiede che la prima infezione
avvenga durate la gravidanza, poiché solo nella prima c’è la viremia. Invece è più
importante in caso di ricorrenze che permettono l’infezione nel passaggio attraverso il
canale del parto, perché se nell’immediato preparto vedo l’infezione è necessario il
cesareo.

§ HIV
Dal punta di vista ginecologico in realtà non abbiamo lesioni specifiche, a differenza dell’HPV che
da invece lesioni genitali benigne o maligne.
Anche queste terapie antivirali, tranne per il primo trimestre, possiamo farle in gravidanza, come
per l’HSV.
Adesso è, più che in passato, una MST sia etero - oltre che omo - sessuale.

§ HPV Lesioni:
• Condilomi (??)
• Condilomi cervicali eventualmente associati a CIN 2 o oltre. (Problema più rilevante per la
trasformazione carcinomatosa)

2. Upper genital tract


• Malattia infiammatoria pelvica
• Patologia endometrio
È infrequente in età fertile visto che ovviamente l’epitelio è rinnovato mensilmente, è più
facile da ottenersi in menopausa
• Patologia tubo-ovarica

TRATTAMENTO DEL PARTNER


Riduce ovviamente il tratto di persistenza o recidiva di gonorrea e chlamydia.
È sempre da fare per trichomonas.
Consigliabile se sintomatica Invece in caso di candida.
Non utile per Gardnerella o Vaginite aerobica.
Per Herpes solo se sintomatico.
In sifilide considerare il rischio di contagio, se <90 gg trattamento presuntivo, se > 90 gg fare sierologia.

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ENDOMETRIOSI

DEFINIZIONE
L’endometriosi è una condizione patologica, progressiva, spesso debilitante,
caratterizzata dall’impianto in sede ectopica di tessuto endometriale, cioè
della mucosa che noi troviamo normalmente in cavità uterina.
Quindi abbiamo in tutto e per tutto una replicazione di questa mucosa, il che
ovviamente vuol dire che è funzionale e segue l’andamento ciclico della sua
gemella normalmente collocata all’interno dell’utero.
Questo vuol dire che ogni volta che la donna mestrua, anche le foci di
endometriosi mestuano.

EPIDEMIOLOGIA
Ha una discreta prevalenza ovviamente in pazienti in età riproduttiva (3-5%).
I dati sono in continuo divenire e quindi quelli che trovate sul libro a volte non sono corretti, nel senso che
sono minori, rispetto all’incidenza che si sta rilevando oggi, questo perché abbiamo metodi diagnostici molto
più fini, molto più precisi e ogni giorno che passa, ovviamente come tutte le malattie riusciamo a capire di
più e quindi poter scovare la malattia anche in quei casi che prima venivano passati per algie pelviche o per
altri problemi.
Il range di concentrazione, quello in cui la troviamo più spesso è quello tra i 25 e i 30 anni, anche se la malattia,
secondo degli studi fatti negli USA sulle adolescenti, è già evidente anche in epoca post menarca, quindi reali
teenagers, pazienti dai 12-13 anni in su.
Poi la possiamo trovare ovviamente, come “ricordo” in pazienti in perimenopausa, dove la menopausa gioca
un effetto terapeutico sulla sintomatologia.
Il sintomo principale è quello del dolore pelvico cronico e infatti riscontriamo l’endometriosi nel 5-20% delle
pazienti che riferisce questo sintomo e el 20-60% delle pazienti infertili.

FATTORI DI RISCHIO
(Il prof dice che non saranno chiesti nel dettaglio.)
• CLASSE SOCIALE E RAZZA
§ Classe sociale elevata
§ Razza bianca
• FATTORI RIPRODUTTIVI E MESTRUALI
§ Menarca precoce;
§ Cicli mestruali brevi;
§ Mestruazioni abbondanti, cioè menorraggia, associata a ipermenorrea, poiché uno stimolo
proliferativo sull’endometrio più elevato determina una maggiore possibilià di contatto con
materiale endometriale durante la fase desquamativa;
§ Nulliparità;
• STORIA FAMILIARE
• Pur essendo puramente un’ipotesi si pensa ci sia una correlazione con con mutazioni genetiche a carico
dei geni EMX2, un fattore di trascrizione indispesabile per lo sviluppo del tratto genitale e PTEN, un
oncosoppressore.

Non si conosce ancora la vera causa dell’endometriosi, quindi il fatto di non conoscere il perché si instauri, è
sicuramente un qualcosa che non ci permette di affrontare correttamente la malattia; in quanto, se io
conosco la causa, posso cercare dove possibile di prevenire la malattia.

EZIOPATOGENESI
Se io invece non conosco l’eziopatogenesi, non potrò far altro che curare la malattia e non avrò armi per la
prevenzione della stessa.
Quindi, esistono: (ma Bettocchi ribadisce che a lui non interessa molto)
• La teoria retrograda

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L’endometrio passa dall’utero all’addome attraverso le Tube di Falloppio.
Tra la cavità uterina e quella addominale esiste una differenza di pressione. Nella cavità addominale
c’è una pressione negativa rispetto alla cavità uterina.
Affinchè ci sia passaggio di materiale dall’utero all’addome, quindi, ci deve essere una forza che vince
la pressione negativa che isola la cavità addominale da quella uterina; questa forza è solitamente
determinata da meccanismi periodici o condizioni di contrattilità come ad esempio fenomeni di
peristalsi esagerata all’interno dell’utero.
Queste condizioni causano cambiamenti pressori che determinano la spinta di frammenti di
endometrio o cellule attraverso la tuba nella cavità addominale, per poi attecchire su vari organi.

NB: questo è lo stesso concetto che caratterizza la PID (Pelvic Inflammatory Disease).
La PID o una malattia infiammatoria della pelvi è un’infezione del tratto genitale in cui l’agente
patogeno (Clamydia, Trichomonas, ecc.) passa dal canale cervicale, alle tube di Falloppio, fino a
giungere nella cavità addominale.
• La Teoria della disseminazione attraverso la circolazione sanguigna e linfatica. Su questa teoria ci
sono delle evidenze favorevoli e altre sfavorevoli.
• La teoria dell’impianto iatrogeno;
• Alterazioni immunitarie per ridotta clearance peritoneale delle cellule endometriali provenienti dal
flusso mestruale retrogrado, per una alterazione dell’immunità cellulo mediata;
• Alterazioni anatomiche come dell’imene imperforato, setto vaginale trasverso, corno uterino non
comunicante predispongono.
• Dipendenza ormonale, è stata dimostrata la presenza in cellue endometriosiche di aromatasi e la
DH1, responsabile della produzione di estrogei; nelle cellule endomtriali di endometrio normale
invece è presente anche la DH2 che determina il catabolismo degli estrogeni e determina anche
l’equilibrio ormonale. Quindi si pensa una correlazione con lo squilibrio ormonale importante
soprattutto per definire un approccio terapeutico, ma, anche in questo caso si parla di ipotesi.

CLASSIFICAZIONE TOPOGRAFICA
Sicuramente c’è da distinguere:
• ENDOMETRIOSI INTERNA, conosciuta meglio come ADENOMIOSI che è una forma di endometriosi che
colpisce solamente l’organo, l‘utero inteso come struttura, quindi la parte
miometriale, la parte muscolare dell’utero.

“Condizione patologica in cui le isole di tessuto endometriale si trovano nel


contesto del miometrio, talvolta organizzate a formare un vero e proprio nodulo,
detto adenomioma.”

• ENDOMETRIOSI ESTERNA Dove l’endometriosi è al di là dell’utero, quindi partendo dalle tube e le ovaie
che sono gli organi più vicini in su fino a poter arrivare anche alle corde
vocali o in altre localizzazioni stranissime;

“Condizione patologica in cui le isole di tessuto endometriale possono


essere presenti in varie sedi, in cavità addominale o nella parete di altri
organi.”

CLINICA
L’endometriosi ha un momento in cui è asintomatica, infatti talvolta viene rilevata casualmente nel corso di
un intervento laparoscopico o laparotomico eseguito generalmente per sterilità, spesso coesistente in queste
pazienti.
Il problema è che evolve col tempo: ad ogni mestruazione aggiunge qualcosa in più, è come se stessimo
costruendo una casa e ogni giorno si aggiunge un mattone nuovo.
Come sintomi abbiamo:

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• Dolore, è il principale sintomo ed è determinato da:
§ Citochine e Prostaglandine rilasciate dagli impianti peritoneali;
§ Dall’aumento di volume dei focolai endometriosici e dalla loro reazione flogistica e fibroadesiva;
§ Possiamo avere una componente neurofunzionale, esso è conseguente a invasione neuronale
degli impianti che progressivamente sviluppano un'innervazione sensitiva e simpatica che può
essere collegata sensibile sensibilizzazione centrale;
Avremo quindi dolore:
§ Durante la mestruazione, quindi la dismenorrea, in particolare la dismenorrea tardiva, più intensa
sella dismenorrea primaria, dovuta all’irritazione peritoneale provocata dallo stillicidio ematico
proveniente dalle isole endometriosiche. Generalmente si accentua sul finire della mestruazione
ed è resistente alla terapia antidolorifica convenzionale.
§ Dispareunia per aderenza e irritazione cronica del cavo del Douglas e dei legamenti utero-sacrali,
oppure per aderenze pelviche che dislocano le ovaie in corrispondenza del fornice posteriore. Si
accentua in fase premestruale.
§ Talora compare anche Sciatalgia ciclica per coinvolgimento del nervo sciatico e peritoneo
posteriore;
Il dolore dell’endometriosi è molto intenso, negli stadi avanzati la paziente è costretta a letto e si
muove con la sedia a rotelle.
In questi stadi a livello addominale si trova la frozen pelvis: L’anatomia delle pelvi non è più
riconoscibile, perché il processo cicatriziale, conseguente all’endometriosi, ha creato un unico blocco
comprendente utero, tube, retto e sigma.
l dolore fa da comune denominatore nell’endometriosi però ciò avviene anche per il mioma e per altre
patologie, quasi per tutto l’arco delle patologie benigne dell’apparato genitale femminile: è difficile
poter capire dal sintomo del dolore cosa la paziente abbia. Quindi potrebbe aiutarci la presenza a volte
di una altro sintomo.
• Menorragia, la perdita di sangue scuro, riferito così dalla paziente come un sangue più sul marrone che
sul rosso vivo, è l’effetto il più delle volte non dell’endometriosi, ma dell’adenomiosi, è un sintomo
classico ed è dovuto all’alterata contrattilità del miometrio.
• Spotting pre-mestruale solitamente per endometriosi cervico-vaginale;
• Rettorragie ricorrenti per endometriosi intestinale che può essere accompagnata anche da:
§ Alterazioni dell’alvo;
§ Tenesmo;
§ Dischezia ciclica;
§ Dolore profondo sacro-vertebrale.
• Ematuria, disuria, tenesmo vescicale a carattere ciclico per endometriosi intestinale;

COMPLICANZE
• Il 30-40% delle pazienti con endometriosi non riesce a concepire. Tuttavia, non è ancora chiaro se la
sterilità sia una conseguenza diretta dell’endometriosi o se quest’ultima sia solo un fattore
predisponente ad essa.
Noi sappiamo che questo può dare sterilità, il fatto della sterilità non è matematico: cioè non è che se
la paziente ha l’endometriosi sarà per forza sterile.
(Io, personalmente, ho avuto molti casi di pazienti con endometriosi severissime, molto peggio di quello che vi ho fatto vedere
nel video, che hanno avuto gravidanze in presenza, magari, di cisti anche di sei cm; quindi di queste cose ne sappiamo ancora
molto poco.)
L’endometriosi di alto grado inficia la capacità riproduttiva della paziente, soprattutto nello stadio di
frozen pelvis. Nell’endometriosi di basso grado, invece, è possibile portare avanti una gravidanza. In
quest’ultimo caso, la malattia si arresta durante la gravidanza perché si arresta il ciclo mestruale e
riprende ad avanzare al termine della stessa.
• È possibile, seppur molto rara, la degenerazione neoplastica della cisti endometriosica con formazione
di un carcinoma endometrioide.
• Torsione ovarica: rotazione dell’ovaio su se stesso. Tutte le patologie caratterizzate dalla formazione di
cisti ovariche benigne appesantiscono l’ovaio. L’ovaio ha normalmente la possibilità di ruotare su se

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stesso di 180°, perché è un organo sorretto da ligamenti. Al di sotto non ci sono strutture di sostegno
ma c’è la pelvi. Se l’ovaio si appesantisce, quindi, prolassa progressivamente nello Scavo del Douglas,
tirando il ligamento utero sacrale e l’infundibolo pelvico. Nelle ragazze giovani, i movimenti del corpo
(in palestra, a danza ecc.) possono determinare una rotazione dell’ovaio prolassato. Gli stessi
movimenti possono determinare una seconda torsione ovarica che sarà devastante: l’ovaio interessato
diventerà necrotico e la paziente avvertirà un dolore pelvico molto forte.
Se si detorce l’ovaio dopo la prima torsione e quando ancora non è avvenuta la necrosi, la condizione
potrebbe essere reversibile. Se la torsione è doppia, detorcendo l’ovaio potrei avere una trombosi,
quindi è una manovra rischiosa. Se la doppia torsione è diagnosticata tardivamente, l’ovaio si trasforma
in una massa necrotica imbibita di sangue. In questi casi si può intervenire solo rimuovendo l’ovaio
chirurgicamente.

LOCALIZZAZIONI

L’adenomiosi, di solito colpisce in maniera particolare la parte anteriore dell’utero, e non ne sappiamo il
perché, ma ci aiuta nella diagnosi ecografica, perché vedremo il cosiddetto cappello di vescovo, una struttura
a bozza della parete anteriore dell’utero.

L’endometriosi invece è presente ovunque, sicuramente le localizzazioni più comuni sono le localizzazioni
pelviche, quindi tutto ciò che ruota attorno a utero, ovaie e annessi, quindi:
§ I ligamenti uterosacrali;
§ Gli organi vicini:
s Vescica, anteriormente, se questo è il centro, tutta la zona può essere contaminata quindi abbiamo
la plica vescico uterina;
s Ovaie una delle localizzazioni più comuni e anche la più evidente perché porta a formazioni di cisti
e con l’infiammazione l’interessamento del peritoneo della fossetta ovarica porta tutta una serie di
aderenze tenaci tra l’ovaio e il foglietto mediale del ligamento largo o altrimenti detto fossetta
ovarica.
L’adesione dell’ovaio alla fossetta ovarica fa sì che diventi l’ovaio un tutt’uno con questa struttura e
durante alcune manovre ecografiche, quale spingere per esempio la sonda transvaginale e muovere
assialmente, cranio caudalmente, il corpo uterino, se vediamo che il corpo e le ovaie scivolano una
sull’altra, sappiamo che ho una certa mobilità, quindi questo ci fa presupporre che non ci siano delle
adesioni che hanno creato fissità.
Se, invece, vedo che alla pressione della sonda l’utero si muove in un pacchetto unico e muove
insieme a sé anche gli annessi, anche l’ovaio o le tube e l’ovaio, se la tuba si riesce a vedere, allora
questo è un indicatore di una aderenza e posso già immaginare che l’ovaio non sia libero nella sua
posizione, ma sia adeso alla parete;
s Salpingi, soprattutto la parte sierosa;
s Retto sigma;

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s Setto retto vaginale, anatomicamente è una sottile lamina, che divide la vagina dal retto è una
lamina estremamente sottile, in questa porzione cervicale e iniziale della vagina.
Quando si crea una fibrosi e viene interessato il Douglas dall’endometriosi, questo porta ad uno
spostamento del sigma retto sulla parete posteriore dell’utero.
Quindi il retto si ritrova non libero nel Douglas, ma completamente adeso alla parete posteriore
dell’utero.
Nel punto dove è delimitata anche dai legamenti uterosacrali, si chiama torus uterino, detto così
perché i ligamenti uterosacrali sembrano le corna di questo toro e l’impianto delle corna sul cranio
del toro è questa zona che diventa una zona spessa, dura, non morbida, ed è tutta una zona
endometriosica.
s Ureteri lateralmente;
s Ligamenti rotondi;
s Ligamento largo;
s Cicatrici, non sono frequentissime: la paziente fa una laparotomia e dopo un certo tempo comincia
ad accusare dolori forti e fastidi e alla palpazione si sentono delle nodosità; si fa una ecografia
transaddominale sottocutanea si notano delle aree di addensamento che sono dei focolai
endometriosici; dopo ovviamente per toglierli bisogna incidere e asportare queste palline che di
solito sono adese fra fascia e muscolo.
s L’endometriosi risale fino ad arrivare a livello delle corde vocali ed altro.
s Torus uterino: è un’altra sede abbastanza frequente di endometriosi. In una sezione cranio-caudale
dell’utero, il torus è quella parte posteriore della pelvi in cui ho la parete posteriore dell’utero, i due
ligamenti utero-sacrali e il retto. Da qui l’endometriosi potrebbe espandersi nel setto retto-vaginale
e diventerebbe ancora più difficile da trattare;
s Sono state descritte anche endometriosi delle porte laparoscopiche (ombelicali) e dei muscoli retti
(quest’ultima sede è molto atipica).

Dal punto di vista istologico segue in tutto e per tutto l’andamento dell’endometrio.

Dal punto di vista macroscopico, i focolai endometriosici si presentano come:


• Macule
• Papule
• Noduli
Le macule e le papule all’ecografia hanno l’aspetto di bottoncini marroni. Il colore scuro è dato dal sangue
che è rimasto all’interno di questi micro focolai.
I noduli invece hanno un aspetto biancastro e sono considerati “endometriosi spenta”, perché sono l’esito
cicatriziale di un focolaio endometriosico. I noduli sono più difficili da trattare, perché il processo fibroso può
aver coinvolto le strutture vicine (l’uretere, il retto, l’ovaio sulla sierosa ecc.).

ANATOMIA PATOLOGICA
L’endemetriosi esordisce con una papula chiara (ghiandole stroma endometriale), cui fa seguito dapprima la
creazione di un reticolo vascolare (angiogenesi) infine si manifesta un microflusso mestruale: in questo modo
la papula diventa rossa e vescicolosa e provoca l'insorgente della reazione infiammatoria in gran parte
caratterizzata da infiltrazione istiocitaria. Accanto ai macrofagi sono presenti linfociti, eritrociti ed
emosiderina, che aumenta in rapporto all'età della lesione.
Le placche possono guarire esitano in cicatrici biancastre o in piccole aree (brunastre polvere da sparo) per
presenza di pigmenti.

FORMAZIONE CISTICA OVARICA È quella che


normalmente aiuta tutti nella diagnosi, perché è
abbastanza chiara.
È come se fosse una piccola cavità uterina: l’interno di
questa cisti è costituito da contenuto denso brunastro
costituito da emosiderina e altri prodotti di

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decomposizione del sangue in contatto con la sua parete interna rivestita da mucosa endometriale, mentre
quella esterna è quella adesa all’ovaio che crea retrazioni cicatriziali e briglie aderenziali.
Quando avviene la mestruazione la paziente ha il normale ciclo e questo tessuto, come tutti i focolai
endometriosici, mestrua, avviene la stessa cosa: sfaldamento dell’endometrio, caduta dell’endometrio,
sanguinamento e creazione di questo sangue misto a tessuto mucoso.
Il problema è che questo tessuto rimane intrappolato all’interno della cisti, creando un certo volume, al ciclo
successivo, altro materiale verrà aggiunto.
È come se voi ritmicamente soffiaste aria all’interno di un palloncino: ad ogni insufflazione all’interno del
palloncino, esso aumenta di volume. Però vi dovete immaginare che l’aumento di volume, voglia dire
aumento della superficie ricoperta da tessuto endometriale; quindi ad ogni mestruazione non solo si
accumula più materiale all’interno che non è potuto fuoriuscire, ma si amplia la superficie che il mese dopo
mestruerà e così via.
Cosicchè la crescita di una cisti endometriosica è una crescita logaritmica perché ogni volta aggiunge
materiale, quindi cresce molto velocemente.
E questo ci pone il secondo problema: l’ovaio non è espandibile all’infinito ovviamente e quindi, così come
il palloncino della festa se insuffliamo troppa aria ad un certo punto scoppia, alla stessa maniera la cisti
arrivata ad un certo punto incomincia ad assottigliare il parenchima ovarico che lo circonda, fino a che la
cisti si romperà. Non esploderà come esplode il palloncino, con lo stesso fragore, però, vi garantisco, che una
cisti endometriosica quando si rompe, realmente spande il suo contenuto in tutto l’addome fino ad arrivare
al fegato; proprio perché, come una piccola bombetta che è sotto tensione, rilascia il suo contenuto e il
contenuto più liquido è, meno denso è, più se ne andrà in giro per l’addome; più denso è, più avrà possibilità
di rimanere confinato nella zona dello scavo pelvico.
Quando questo liquido fuoriesce contamina tutto l’ambiente circostante, si svuota il contenuto, quindi la
cisti si acquatta, però come tutte le zone di lesione poi si cicatrizza.
Quindi quella rottura, quella fissurazione che, generato lo spandimento del materiale ematico e corpuscolare
che era nel suo interno, ad un certo punto si chiuderà.
Chiudendosi, ridà la possibilità di riaccumulo di liquido, è un fatto ciclico: la cisti aumenta di volume, ad un
certo punto, in base a quanto tessuto c’è, in base all’elasticità di quell’ovaio, in base a quante volte si è rotta,
perché la cicatrice non è espandibile, quindi l’ovaio si romperà più o meno sempre nello stesso punto.
La cisti periodicamente si rompe, svuota il suo contenuto nell’addome, nello scavo del Douglas, di solito in
maniera privilegiata e contamina con una reazione di tipo infiammatorio i tessuti circostanti che determina
processi destruenti.

DIAGNOSI
1. Anamnesi
Quando fate l’anamnesi, ovviamente, oltre al dolore dovete anche capire se c’è lo spotting, se c’è la
perdita di sangue che quindi è riferibile ad adenomiosi, ematuria, disuria legata all’interessamento
della vescica ed eventualmente alla presenza di rettorragie che vi portano a fare una colonscopia e a
controllare se ci sia l’interessamento del sigmaretto.
2. Esame obiettivo generale e ginecologico
La visita costituisce l’esame non strumentale fondamentale.
Presenza di tumefazioni, dolorabilità .
Tuttavia la visita ginecologica, in questo caso, è un po’ diversa: l’utero va esplorato con due dita, che
vanno inserite profondamente nella vagina per esplorare punti specifici: fornici, ligamenti utero-
sacrali, il setto retto-vaginale. Effettuando l’esplorazione solo con un dito, come nella visita normale,
è difficile esaminare tutte queste zone. In una paziente con endometriosi, in queste sedi si apprezzano
nodosità, la retrazione degli organi e si stimola il dolore. Eventualmente si può associare anche
l’esplorazione rettale.
È semplice pensare che se io ho il dubbio che ci possa essere una endometriosi del setto rettovaginale
la prima cosa che posso fare è visitare la paziente in contemporanea: usando l’indice e il medio, un
dito in vagina, un dito nel retto e tra le dita si sentirà la lamina del setto rettovaginale.
Con una esplorazione profonda invece si sentiranno i fornici.

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Normalmente, se la paziente sta bene, poiché dietro i fornici che sono morbidi ed elastici, non c’è
nulla, l’esplorazione non provocherà dolore alla paziente.
Se invece abbiamo un quadro con delle nodosità, con retrazione dei ligamenti uterosacrali, non solo
si sentiranno queste nodosità, ma anche i fornici duri, gli uterosacrali tesati; contemporaneamente
alla movimentazione, alla pressione sull’utero e ai vari tentativi di muovere l’utero la paziente riferirà
dolore.
Dolore che la paziente lamenterà anche durante l’ecografia poiché la sonda di nuovo le farà gli stessi
movimenti che fanno le nostre dita.
Quindi la visita è fondamentale, il primo passo per capire e, a volte, è anche di aiuto all’ecografia per
una migliore identificazione della patologia stessa.
3. Ecografia Pelvica e transvaginale e/o transrettale
All’ecografia, quella che permette a tutti quanti di fare diagnosi di endometriosi, è la presenza di una
cisti ovarica.
È una cisti di ecogenicità variabile con setti e spessa capsula iperriflettente e a margini sfumati.
Essa ha una caratteristica unica: che è quella di
questo aspetto cosiddetto a “vetro
smerigliato” o “ground glass”.
L’unica patologia che può avvicinarsi a questo
quadro può essere il corpo luteo cistico, perché
contiene anch’esso sangue e depositi di
emosiderina e corpuscolati.
La differenza fra l’endometriosi e un corpo luteo cistico è quella della vascolarizzazione periferica che
si vede con l’ecocolordoppler all’ecografia: la cisti endometriosica non ha vascolarizzazione
periferica.
Il copro luteo presenta un ring perimetralmente alla cisti, si notano i vasi e il loro caratteristico
pulsare del ecocolordoppler in blu e in rosso.

ASSENZA DI VASCOLARIZZAIONE PERIFERICA = CISTI ENDOMETRIOSICA


VASCOLARIZZAZIONE PERIFERICA = CORPO LUTEO CISTICO

Il problema non è la cisti endometriosica, perché con essa è vincere facile, siamo tutti bravi a fare una
diagnosi; il problema è quando non vediamo la cisi endometriosica perché non c’è non è detto che ci
debba essere sempre o si è rotta da poco e quindi non è visibile come sfera, ma è solo tessuto
acquattato, non ben identificabile e stranamente complessa l’identificazione, ma vi ho già detto.
Con la sonda ecografica bisogna effettuare dei movimenti per valutare se c’è lo slittamento degli
organi pelvici (dell’ovaio sull’utero o dell’utero sul retto).
Se ci sono aderenze cicatriziali, spingendo con la sonda l’organo rimane fisso o organi adiacenti si
muovono insieme e non slittano l’uno sull’altro.
Quindi, lo slittamento del piano, l’osservazione di tessuto fibroso nello scavo del Douglas, sulla parete
posteriore dell’utero e quant’altro sono di grande aiuto.
Inoltre può succedere che durante una visita ginecologica l’ecografista rilevi una lesione cistica e il
medico chieda alla paziente di ritornare dopo 3-4 mesi non comprendendo se sia un corpo luteo o
una cisti endometriosica perché non esperto o la cisti non ha il caratteristico aspetto a vetro
smerigliato.
Quando la paziente ritorna dal ginecologo e all’ecografia non si vede più la cisti molti medici tendono
ad escludere l’endometriosi.
Questo è un errore diagnostico! Spesso a distanza di tempo le cisti non sono più visibili perché
possono andare incontro a rottura.
Le cisti ovariche accumulano sangue ad ogni mestruazione, fino a che la tensione superficiale non
aumenta al punto da causare rottura della cisti. Il liquido “melmoso” in essa contenuto fuoriesce e
attiva processi di flogosi nel tessuto circostante. In questo caso, all’ecografia si può vedere una cisti
collassata, ma è una lesione molto difficile da riconoscere. Allo svuotamento segue la cicatrizzazione
della lesione e la fissurazione si chiude.

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Per motivi ancora non noti, le lesioni cicatriziali si localizzano quasi sempre sulla faccia laterale
dell’ovaio. Se la cicatrice si localizzasse sulla faccia mediale sarebbe meno dannosa, invece cicatrici
sulla faccia laterale dell’ovaio creano aderenze tra ovaio e sierosa della fossetta ovarica.
La cisti sarà nuovamente visibile all’ecografia a distanza di mesi perché tenderà nuovamente a
riempirsi di sangue. Perché questo si verifichi, però, saranno necessari molti cicli mestruali.
Questo discorso serve a capire che è importante fare delle ECOGRAFIE SERIATE, ravvicinate, per un
periodo di tempo di circa 6 mesi, per riuscire ad individuare le lesioni e a interpretarle correttamente.
4. RMN
Si effettua dopo che l’anamnesi, l’ecografia e la visita ginecologica hanno
posto un forte sospetto di endometriosi.
È quindi un esame che di solito si fa per confermare la diagnosi.
Questa indagine diagnostica permette soprattutto di valutare le
localizzazioni intestinali della patologia.
Tutavia, la risonanza magnetica è un qualcosa che molti fanno perché
non hanno cultura o le capacità ecografiche per poter fare diagnosi
corretta quindi si affidano alla risonanza magnetica, ma essa soffre degli
stessi problemi dell’ecografia: se non ho un radiologo capace di leggere tutti i segni, cioè un radiologo
che si è esercitato con l’endometriosi, potrò non aver descritto neanche quei quadri che invece un
radiologo più attento mi potrebbe descrivere.
Dunque la RMN offre i seguenti vantaggi:
§ Utile per gli endometriomi ovarici;
§ Più accurata in caso di impianti peritoneali;
§ Distinguere tra lesioni emorragiche acute e lesioni a vario grado di organizzazione.
5. Marker: positività al CA125
Il CA125 è una proteina antigenica presente sulla superficie degli epiteli di origine celomatica e
mülleriana (peritoneo, pleura, pericardio…), ma prodotto anche dalle cellule endometriosiche.
Questo marker risente delle reazioni infiammatorie, quindi se è negativo non possiamo affermare con
certezza che la paziente non ha l’endometriosi. Allo stesso modo, se la paziente è CA125+ non è detto
che abbia l’endometriosi, perché i livelli di questo marker possono innalzarsi in altre patologie come
la PID, miomi uterini, necrosi ovariche ecc…
In ogni caso è un marker che deve essere dosato perché è un dato in più da aggiungere alle altre
indagini diagnostiche.
Il suo dosaggio nel plasma è anche utile per il monitoraggio della terapia nelle forme gravi
NB condizioni fisiologiche di aumento del CA125 sono Ciclo mestruale e gravidanza.
6. Altre indagini:
§ Immunoscintigrafia
§ Dosaggio TNF
§ Quando si sospettano localizzazioni vescicali o rettali
- Cistoscopia quando si vedono vegetazioni in vescica;
- Rettoscopia quando si vedono stenosi nel sigma retto.
7. La laparoscopia non è un metodo diagnostico, è un metodo chirurgico.
• Consente la diagnosi definitiva permettendo l’esecuzione di biopsie mirate sulle lesioni sopette;
• Consente la stadiazione eseguita valutando le lesioni in sede ovarica, tubarica e peritoneale.

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DIAGNOSI DIFFERENZIALE
• Apparato genitale:
§ PID;
§ Gravidanza Ectopica;
§ Cisti ovarica in torsione.
• Apparato digerente:
§ Appendicite;
§ Gastroenterocolite;
§ Colelitiasi;
• Apparato urinario:
§ Cistopieliti;
§ Stenosi uretrali.

STADIAZIONE/CLASSIFICAZIONE

Ci sono varie classificazioni questa è quella vecchia della American Fertility Society, oggi ci sono anche
classificazioni riviste, quindi questa è quella un po’ più recente, ci sono i vari stadi, quattro, con la severa che
è quella in cui sono coinvolti tuba, ovaio, retto, douglas, ecc o addirittura, peggio ancora anche l‘altro ovaio.
Ci sono casi molto più complessi in cui non è solo un emiutero, un emiparte della pelvi a essere interessata
ma anche la parte opposta.
Le due formazioni cistiche ovariche addirittura si chiudono, si baciano fra di loro, tanto che è stato coniato il
termine di “kissing ovaris” cioè le due ovaie sono aumentate di volume, lo spazio è quello, quindi le due parti
mediali si uniscono fra di loro, incarcerando in questa unione anche il sigma retto. Quindi viene fuori un
blocco aderenziale che tiene nel suo interno le ovaie, le tube, il rettosigma e l’utero.

Classificazione dell’endometriosi secondo American Fertility Society (1985)


STADIO GRADO DI MALATTIA DESCRIZIONE
I Minima Pochi impianti superficiali
II Lieve Più impianti, leggermente più
profondi

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III Moderata Molti impianti profondi, piccoli
endometriomi su una o entrambe
le ovaie e alcune tenui aderenze
IV Grave Molti impianti profondi,
endometriomi voluminosi su una
o entrambe le ovaie e aderenze
strette, talvolta con il retto che
aderisce alla faccia posteriore
dell’utero

TERAPIA
La terapia è l’abito sartoriale: non esiste la terapia ma esiste una combinazione di possibilità chirurgiche e
farmacologiche che vanno aggiustate, vanno stabilite in base alla paziente, quindi in base a:
• Grado di severità della malattia;
• Età della paziente;
• Presenza o meno di sterilità;
• Eventuale esistenza di altre cause di sterilità;
• Se vuole gravidanze o meno
• Se è asintomatica, quindi gravità soggettiva dei sintomi;
Quindi tutte le possibili variazioni sul tema ci portano a calibrare la terapia.
Abbiamo quindi varie possibilità di trattamento:
1. Astensione dai trattameti (6-12 mesi)
Nelle forme minime di endometriosi, per la possibilità di una regressione spontanea delle lesioni che
tuttavia è di dubbia realizzazione
2. Terapia medica
Utile per il controllo della sintomatologia, ma non per raggiungere la guarigione definitiva o per
migliorare la prognosi riproduttiva.
Cerchiamo in tutte le maniere di bloccare l’apporto ormonale, quindi di evitare che la paziente mestrui
o che abbia la sua funzione mestruale corretta.
Teniamo a bada la malattia: questa è una forma di contenimento, non stiamo facendo la terapia sto
frizzando la malattia facendola leggermente regredire, ma non la farò mai scomparire
• DANAZOLO
Questo farmaco ha diverse azioni:
§ Antigonadotropa;
§ Antiestrogenica;
§ Antiprogestinica;
§ Androgenica parziale, quindi potrà provocare effetti quali aumento ponderale, seborrea,
cambiamento del timbro della voce, ipertricosi lieve ecc..
§ Effetto immunosoppressivo
La somministrazione avviene per via orale o intravaginale alla dose di 400-600 mg/die per un
periodo ininterrotto di 6-9 mesi, iniziando in fase follicolare precoce.
• ANALOGHI DEL GnRH
• GESTRINONE
• ANASTRAZOLO
3. Terapia chirurgica
Essa ha il vantaggio di togliere la malattia, può essere preceduta o seguita da terapia medica dipende
dai casi.
Molti preferiscono non fare la chirurgia preceduta da terapia per il semplice fatto che se io devo
operare una paziente la devo operare con la malattia in atto, se io invece li faccio un periodo più o
meno lungo di terapia in cui frizzo, metto a riposo, potrei poi andare ad eseguire l’atto chirurgico e
non evidenziare correttamente tutti i focolai o tutte le zone interessate dalla malattia.

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Quello che la maggior parte di coloro che si dedicano a questa patologia fa è quella di evitare di
trattare la paziente dopo un periodo lungo di terapia, addirittura certi preferiscono operarla durante
le mestruazioni, il che ha un senso perché io durante le mestruazioni posso grazie al sanguinamento
in atto identificare anche focolai che, magari, non vedrei in quel momento proprio perché stanno
mestruando anche questi.
Diversa è la terapia post: durante un intervento estremamente complesso la paziente è sottoposta a
uno stress chirurgico non da poco, magari associata anche la resezione del sigmaretto quindi si
fornisce la terapia in maniera tale da consolidare per tot. Tempo, che possono essere mesi o 1 anno,
gli effetti della chirurgia.
Nel caso in cui ci sia desiderio riproduttivo, quindi se la paziente dica di voler avere una gravidanza a
tutti i costi quello che di solito si fa è operare la paziente e informarla che qualora ci siano i presupposti
la cisti di 2 cm verrà lasciata a livello ovarico lasciano che la paziente cerchi di avere una gravidanza.
Quello che viene detto alle pazienti che invece hanno un’endometriosi severa con cisti
particolarmente voluminose, con problemi sul sigma retto o peggio ancora su altri organi è quello di
dire: “Bene, io la sottopongo a chirurgia, la tengo per sei mesi bloccata con la terapia per cercare di
dare maggior effetto all’atto chirurgico; in questi sei mesi lei prenda contatto con un centro di
fecondazione assistita e proceda con una fecondazione assistita” in maniera tale da sfruttare tutti i
vantaggi che la chirurgia le ha dato.
Dove non ci siano casi severissimi ma siamo in un caso diciamo medio si dice alla paziente: Chirurgia,
sei mesi di tentativo spontaneo di avere gravidanza; passati sei mesi, se non è successo nulla, la
fecondazione assistita. Quindi la paziente si deve rendere conto che non può lasciarsi andare o essere
lasciata a se stessa, deve avere un termine molto preciso.
Si tratta di una malattia che non perdona, quindi dobbiamo cercare di aiutarla in questo senso.
Ricapitolando endometriosi, gravidanza e terapia chirurgica
ENDOMETRIOSI NON GRAVE
1. CHIRURGIA, MA SI PUÒ NON ASPORTARE CISTI CON I GIUSTI PRESUPPOSTI
ENDOMETRIOSI MEDIA
1. CHIRURGIA;
2. 6 MESI BLOCCATA CON LA TERAPIA E IN QUESTI MESI SI COSIGLIA DI TENTARE DI AVERE
SPONTANEAMENTE UNA GRAVIDANZA
3. DOPO 6 MESI SI CONSIGLIA LA FECONDAZIONE ASSISTITA
ENDOMETRIOSI SEVERA E CISTI VOLUMINOSE
1. CHIRURGIA;
2. 6 MESI BLOCCATA CON LA TERAPIA E IN QUESTI MESI SI COSIGLIA DI CONTATTARE UN CENTRO PER
LA FECONDAZIONE ASSISTITA.
4. Terapia chirurgica laparoscopica
Permetti di effettuare:
• Diagnosi;
• Stadiazione;
• Alcuni interventi terapeutici:
- Lisi di piccole aderenze,
- Cauterizzazione di piccoli focolai;
- Asportazioni di raccolte cistiche;
- Asportazione per “stripping” della pseudocapsula degli endometriomi.

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FIBROMI O MIOMI UTERINI

DEFINIZIONE
Questa è una delle patologie più frequenti che abbiamo. Tenete presente che tutto ciò che leggerete o che
vedrete ha avuto ultimamente una maggiore evidenza di diagnosi, ma non perché sono aumentate le
patologie, ma perché è migliorata notevolmente la capacità diagnostica sia conoscitiva sia degli strumenti
che utilizziamo per poterlo fare.
Fino a 20 anni fa alcune di queste patologie non erano considerate come le consideriamo oggi perché non
c’era la cultura della diagnosi che abbiamo acquisito. Due sono le patologie che hanno avuto negli ultimi anni
la maggiore attenzione e rivisitazione anche di tipo concettuale: i miomi e l’endometriosi.

Il mioma altro non è che una struttura che noi amiamo definire sferoidale, ma che molte volte sferoidale
non è: alcune volte ha una forma a pera, a fuso, a otto, rotondeggianti, plurilobulati o oblunghi a seconda
della posizione dell’utero in cui crescono.
Non è altro che tessuto collagene: quello che noi definiamo tessuto fibrotico, istologicamente è tessuto
collagene.
All’interno di questa massa di tessuto collagene, rinveniamo delle isole di fibre muscolari, istologicamente
raggruppate a mo’ di fuso, senza un ordine preciso e non strutturalmente funzionali.
Il mioma, quando lo si estrae, ha una struttura biancastra e ci si chiederebbe perché visto che il muscolo è
rosa: in realtà il colore non è dato dalla presenza di fibre, ma dalla presenza di sangue nelle fibre, infatti
sappiamo che il tessuto miometriale è un tessuto riccamente vascolarizzato. Quindi il mioma, avendo poca
vascolarizzazione, vuoi perché le isole sono molto piccole e sparse, vuoi perché non ci sono grossi vasi,
appare biancastro quando lo asportate.

EPIDEMIOLOGIA
La sua frequenza è in aumento.
Fino agli anni 2000 si parlava di utero fibromatoso e quello che una volta era definito tale oggi può essere
scisso in utero a miomi multipli o utero con adenomiosi (l’adenomiosi fa parte della famiglia delle
endometriosi, in particolare l’endometriosi che colpisce l’utero).
In seguito a questa diagnosi spesso superficiale, in quanto non c’era la cultura dell’ecografia ginecologica se
non di quella ostetrica quando c'era un sanguinamento si eseguiva isterectomia a pazienti che magari non
ne avevano necessità o avrebbero potuto esser trattate farmacologicamente.
Oggi invece si tende ad operare ciò che non è può essere arginato o curato farmacologicamente.
Oggi far diagnosi di utero fibromatoso non è propriamente corretto, anche perché abbiamo a disposizione
ecografi più performanti che ci permettono di definire meglio la patologia.
Invece la diagnosi “diffusa fibromatosi per miomi multipli” è già più corretta.

EZIOLOGIA
Sicuramente risentono dello stimolo estrogenico: gli estrogeni sono la benzina per la crescita di tante
patologie fra cui anche la produzione di miomi.
Da non scordarsi la predisposizione genetica: ci sono pazienti geneticamente predisposte alla formazione di
miomi e sono pazienti che più che della chirurgia avrebbero bisogno di un supporto farmacologico per
impedire la crescita del mioma, dal momento che dopo l’intervento i miomi tenderebbero a ripresentarsi e
ne necessiterebbero di ulteriori.
Un altro problema è quello relativo ai miomi e fertilità: tutte le patologie ginecologiche (miomi,
endometriosi, lesioni neoplastiche non avanzate, gravidanza extrauterina, cisti ovariche) sono relazionate
alla fertilità.
Non esiste una regola per trattare queste patologie, ma è un abito sartoriale, cucito in base alla paziente: se
alta, magra, in sovrappeso, età, in base al desiderio di fertilità, precedenti interventi ecc...

CLASSIFICAZIONE

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L’utero è un grosso muscolo compattato e formato in maniera tale da creare una cavità virtuale.
Se con un bisturi tagliassimo sagittalmente un utero appena isterectomizzato, non vedremmo la cavità ma
un tessuto soffice che è l’endometrio.
La cavità la creiamo immettendo all’interno dell’utero un mezzo di distensione che una volta era la CO2, oggi
è liquido durante una tecnica endoscopica chiamata isteroscopia, la quale permette di vedere l’interno
dell’utero attraverso un endoscopio passando per le vie naturali cioè vagina, canale cervicale e cavità
dell’utero.
Le fibre muscolari sono disposte in una maniera molto intelligente, cioè non una parallela all’altra, altrimenti
si avrebbe solo l’azione contrattiva e restringente, ma in maniera “cross” cioè una sull’altra secondo una
determinata organizzazione.
Questo è funzionale al fatto che quando si contraggono possano svolgere, a seconda del tempo in cui lo
fanno, una funzione peristaltica, come ad esempio quello che succede nell’intestino per far passare le feci.
L’utero ha bisogno di peristalsi perché deve agire durante il parto per espellere il prodotto del concepimento.

Il mioma è una struttura estremamente piccola che con il tempo e con dovuto stimolo cresce. Nasce
all’interno delle fibre muscolari ed è un tumore benigno.
Se nascesse dentro le fibre muscolari e fosse in diretto contatto con le stesse, essendo queste riccamente
vascolarizzate, nel momento in cui doveste andare a toglierlo si creerebbe un grosso sanguinamento e si
lederebbero le fibre muscolari.
Questo nel caso del mioma non accade in quanto presentano una pseudocapsula, uno scudo di protezione
non del mioma ma dell’organismo, che separa la struttura tumorale, aggressiva nel tempo che però cresce
solamente, dal tessuto sano che in questo caso è il muscolo.
Quindi quando andiamo a togliere il mioma, se evidenziamo lo spazio tra esso e la pseudocapsula,
proteggiamo l’integrità del muscolo ed evitiamo che ci sia sanguinamento perché il vaso del miometrio si
apre, non riesce a penetrare nel mioma e crea un network di vasellini superficiali che poi alimentano il
mioma.
È importante non entrare nel piano sbagliato perché:
• Si avrebbe sanguinamento;
• Si creerebbe un danno al muscolo che nell’utero vuol dire una cicatrice e quindi necessità di ricostituirlo
nella sua integrità nella finalità di una gravidanza.
Altro punto fondamentale: il mioma quando nasce non lo vediamo perché è estremamente piccolo e i nostri
mezzi diagnostici rilevano miomi di 4-5-6 mm.
Nasce tra le fibre muscolari, cioè è sempre intramurale, circondato a 360 gradi e contenuto nello spessore
della parete uterina che ha uno spessore di un paio di cm.
Durante la sua crescita il mioma:
• Non si sostituisce alle fibre muscolari ma cresce protetto dalla pseudocapsula;
• Sposta le fibre muscolari da ogni lato a 360 gradi.
Se durante la crescita ha da una parte più fibre muscolari e dall’altra meno, il mioma molto lentamente si
sposterà dal lato dove c’è meno fibra muscolare, perché il lato con più fibre eserciterà una forza muscolare
e si contrarrà, specialmente durante la fase mestruale in cui c’è una forte contrazione dell’utero.
A seconda di dove si sposta, il mioma potrà diventare sottomucoso o sottosieroso.

Ricapitolando: il mioma nasce fondamentalmente intramurale, poi crescendo muove le fibre muscolari e le fibre
muscolari per azione dinamica muoveranno il mioma verso la direzione più debole.

I miomi intramurali sono piccoli, ad esempio di 1 cm e che non vedrei isteroscopicamente.

Domanda: possiamo avere miomi intramurali di 3 cm? No, perché lo spessore della parete uterina è di 2 cm,
quindi dovrà rendersi evidente o da un lato o dall’altro.

Quando poi il mioma cresce e diventa di 1,5 cm, almeno una deformazione di una delle due pareti si deve
creare.

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Quindi avremo miomi sottomucosi intramurali o sottosierosi intramurali.
I miomi totalmente
peduncolati nascono da due
eventi:
• O perché il mioma
piccolino piccolino è nato
al margine della sierosa o
al margine della mucosa,
cioè negli ultimi strati di
fibre muscolari prima
della sierosa o prima della
mucosa, e questo vale per
i miomi piccoli;
• Oppure è un mioma che
ha già una certa
dimensione, che era nato
ai confini e che
lentamente è stato spinto
fuori ma rimane connesso
perché la pseudocapsula
rimane connessa da un
peduncolo che è o il peduncolo sottosieroso o il peduncolo sottomucoso.
I miomi peduncolati rappresentano dei casi più tranquilli perché si coagula la base, il peduncolo si stacca
lasciando l’utero integro e nella maggior parte delle volte non bisogna neanche suturarlo.

I miomi transmurali sono miomi che probabilmente sono cresciuti esattamente al centro dei due gruppi di
fibre muscolari che hanno spostato in maniera identica i due gruppi, motivo per cui si è reso evidente sia da
un lato che dall'altro.
Quindi lo vedrete sia se fate una isteroscopia sia se fate una laparoscopia, ma prima di tutto con una
ecografia.
I miomi transmurali sono i più voluminosi, 4-5-6 cm, e passano da una parte all’altra.

Nel caso di un mioma intramurale profondo che guardi la cavità ed ecograficamente vi sia ad esempio un
margine sano di 8-9 mm di miometrio da una parte e dall’altra parte quasi nulla, è possibile che ancora oggi
vi siano persone che non sapendolo aggredire per via isteroscopica lo rimuovano per via laparoscopica, con
un alto rischio che tirando il mioma si crei un continuum, un buco, tra la cavità e l’esterno che poi è difficile
da ricostituire.
Per questo devo aggredire il mioma dal lato dove ho meno muscolo.
Se ho un mioma transmurale bisogna aggredirlo dal lato dove ecograficamente ho meno tessuto muscolare.
Invece, a parità di tessuto muscolare è meglio toglierlo per via laparoscopica e non in isteroscopia perché
con questa tecnica non posso ricostruire il miometrio.
In laparoscopia faccio incisione, apro, vedo la superficie bianca, metto una pinza, mi tiro il mioma e piano
piano mi lascio la pseudocapsula attaccata lì, poi suturo e quindi gli do la possibilità all’utero di ricostruirsi.
Quindi se ho grosse masse muscolari dal lato della sierosa e pochissime dal lato della mucosa lo aggredisco
isteroscopicamente; se io ho grossi miomi voluminosi e ho parità di muscolo probabilmente è meglio
toglierlo per via laparoscopica.

Esistono anche i miomi cervicali. Questi sono meno frequenti dei miomi del corpo uterino proprio perché la
cervice anatomicamente è diversa dal corpo uterino: è un tessuto diverso, più rigido e con più tessuto
collagene.
Togliere un mioma cervicale è più complesso anche perché la cervice non è più una struttura situata
all’esterno, ma è una struttura già inglobata nel pavimento pelvico, nei cosiddetti parametri, di più
complessa aggressione.

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I miomi possono originare:
• Dalla parete anteriore che è libera;
• Dal fondo dell’utero che è libero;
• Dalla parete posteriore che è libera;
• Dalla parete laterale che non è libera, ma è la parte compresa nei due foglietti del legamento largo, se il
mioma cresce nella parete laterale diventa intraligamentario, cioè vedo qualcosa ma è nell’ambito del
ligamento.
Questi sono i miomi che destano più preoccupazione perché a questo livello passano due strutture importanti
che sono l’uretere e l’arteria uterina la quale arriva lateralmente, passa sopra l’uretere, arriva contro la
parete laterale dell’utero e si ramifica nel ramo uterino che va verso l’alto e nel ramo cervico-vaginale che va
verso il basso. Quindi quando ho una massa di tale proporzioni che cresce non so dove sta spostando sia
l’uretere che l’arteria uterina, quindi è un intervento che richiede grande attenzione proprio perché ho
difficoltà a capire dove si possa muovere.
I miomi intraligamentari di solito sono quasi esclusivamente sottosierosi con una minima componente
intramurale, non si sa per quale motivo, ma li troviamo quasi sempre tutti visibili verso il ligamento largo.
È molto complesso perché per aggredirli bisogna aprire il ligamento largo.
Quindi di solito, a meno che non siano posterolaterali e, in questo caso, alzate l’utero, avete la fossetta
ovarica, lo incidete dall’alto e lo tirate da sotto, il più delle volte crescono nello spessore del ligamento largo,
motivo per cui per accedere bene al mioma dovete sezionare il ligamento rotondo, aprire tutto il foglietto
peritoneale del ligamento largo, quindi esporre tutta questa zona e tirarlo con l'accortezza dopo di risuturare
il ligamento rotondo altrimenti avremmo eliminato nella donna uno dei ligamenti sospensori dell’utero che
sono i due ligamenti rotondi che lo tirano verso l’alto e sbucano nel canale inguinale, i ligamenti larghi che
danno stabilità laterale e i ligamenti utero sacrali che lo tirano posteriormente.
I miomi possono essere singoli o multipli.
In laparoscopia non si possono togliere interi i miomi grossi perché il canale di estrazione della laparoscopia
è il trocar che ha dimensione di 1cm-1.2 cm, quindi si possono estrarre dal trocar i miomi attorno a 1 cm.
Se presentano dimensioni maggiori il mioma viene "carotato", si parla di morcellazione.
Il morcellatore crea dei frustoli lunghi che vengono portati fuori.
Se i miomi superano gli 8 cm non si opera per laparoscopia perché non c'è spazio per operare.
Non si opera nemmeno con il "taglio cesareo" sovrapubico.
Si fa il taglio mediano dall'ombelico al pube.

CLINICA
Un aspetto importante è relativo alla sintomatologia.
Sul libro troverete scritto che i miomi possono provocare dolore ecc, ma tutto dipende dalla localizzazione
del mioma:
• I sottosierosi/intramurali molte volte sono asintomatici.
Tutto sta nel rapporto contenuto-contenitore: esternamente non daranno grossi problemi, ma
inizieranno a crearli quando il mioma diventa molto grande, di 5-6 cm e oltre, con fastidio/dolore perché
diventa una massa tale che inizia a toccare gli altri organi come la vescica se è posizionato
anteriormente;
se è posteriore darà problemi sul retto, ma anche sulla vescica perché, se cresce posteriormente, tocca
sul retto, alza l’utero che va a sbattere sulla vescica.
Nei casi limite cresce nel Douglas, lo occupa e quindi interferisce sulle fossette ovariche dove ci sono gli
ureteri con conseguente compressione e ve ne accorgete con la dilatazione dei calici renali, idronefrosi.
Il mioma sottosieroso di solito non lascia tracce, per cui, se la paziente non è ligia con i controlli
ginecologici annuali, non se ne potrà accorgere e si rivolgerà al medico solo quando la situazione sarà
complessa;
• I sottomucosi/intramurali si posizionano all’interno della cavità uterina dove c’è endometrio che cresce,
si sfalda e dà la mestruazione.

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La mestruazione è l’insieme di endometrio che si sfalda più sangue, questo perché l’endometrio è
costituito dai vasi basali da cui nascono le arterie spirali, così chiamate perché crescono attorno alle
ghiandole, in alto si riuniscono e creano un network, una rete superficiale e sono esse che provocano il
sanguinamento.
Il mioma innanzitutto aumenta la superficie endometriale, quindi ho più endometrio che sanguina, ma
alla fine della mestruazione l’utero si contrae per chiudere le bocche vascolari e stoppare il
sanguinamento, ma non ci riesce perché ha il mioma all’interno che gli impedisce di contrarsi
adeguatamente, motivo per cui le pazienti con miomi sottomucosi riferiranno come sintomatologia
IPERMENORREA cioè mestruazioni estremamente abbondanti e MENOMETRORRAGIE cioè
mestruazione intensa che dura anche due settimane o che non si ferma mai.
In una paziente giovane e fertile con questo quadro, la mia idea, prima di andare verso patologie
destruenti, va al mioma.
Dunque, il mioma sottomucoso si rende evidenziabile abbastanza rapidamente perché interferisce con
la mestruazione e la paziente ha un campanello d'allarme;
Il caso limite dei miomi sottomucosi è che se il mioma non è nato al centro dello spessore miometriale,
ma vicino alla mucosa diventa mioma peduncolato e dopo la mestruazione il mioma cresce, il peduncolo
si accresce e il mioma inizia ad essere espulso dall’utero dal canale cervicale: si chiamano MIOMI IN VIA
DI ESPULSIONE.
Il mioma di 1-2 cm deve dilatare il canale cervicale che è il punto in assoluto più irrorato e innervato in
cui le fibre sono disposte in maniera tale da formare un ostio difficilmente dilatabile: alla metrorragia si
assocerà un dolore molto forte che è quello dello spasmo contrattivo.
Si attivano quei meccanismi del parto: contrazioni che partono dal fondo verso l’orifizio interno,
dilatazione orifizio esterno canale cervicale, uscita senza avere la “preparazione” del parto.
Si dice “ sta partorendo il mioma”.
Ciò non si verifica più grazie alle tecniche diagnostiche più affinate.
La sintomatologia dei miomi sottomucosi è legata alla perdita di sangue.

DIAGNOSI DEL MIOMA


Il mioma oggi con l’ecografia si riesce ad identificare.
Il problema è che ecograficamente si vede il mioma in una dimensione, si vede una forma sferoidale, si
prende il diametro o anche i tre diametri:
• L’anteroposteriore;
• Il laterale;
• Il sagittale.
Si hanno tre misure.
L'ecografia può essere transaddominale, transvaginale o transrettale.
In ginecologia si preferisce, ove possibile, l’ecografia transvaginale perché è molto più precisa in quanto il
trasduttore, che ha forma di dito allungato, si posiziona direttamente vicino gli organi che dobbiamo
esaminare.
L’ecografia transaddominale è affetta da problemi quali spessore della parete addominale, presenza di anse
intestinali, quindi ha una risoluzione che a volte non soddisfa quelle che sono le esigenze diagnostiche.
La transaddominale viene preferita solo in presenza di voluminose masse come grossi miomi, grosse
formazioni cistiche o tumori perché, quando queste superano i 10 cm, una visione anche dall’alto può essere
paradossalmente più precisa rispetto ad una visione dal basso.
Laddove la paziente fosse virgo o comunque non fosse possibile l’esplorazione vaginale, è altamente
consigliabile l’ecografia transrettale effettuata con la stessa sonda della transvaginale.
Ricordando l’anatomia, la vagina e il retto sono contigui, separati da una sottile lamina di pochi millimetri
chiamata setto rettovaginale il quale è uno spazio tecnicamente virtuale che dobbiamo eventualmente
andare a cercare chirurgicamente.
La sonda viene posizionata nel retto, con pochi mm di differenza rispetto al punto dove si posizionerebbe la
sonda transvaginale e permette elevata risoluzione e maggior chiarezza.
Il mioma ha una struttura sferoidale, da non confondere con un'adenomiosi.

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Il vantaggio del mioma da un punto di vista diagnostico è che è facilmente identificabile perché ha una
pseudocapsula che ecograficamente è ben delimitata che invece è a diretto contatto con le fibre muscolari e
quindi di difficile visualizzazione ecografica.

E’ importante però ragionare non monodimensionalmente, ma calcolare il volume del mioma per non
sottovalutare la situazione.
Piccola parentesi sull’ecografia: è nata negli anni 80’ per l’ostetricia, per studiare il feto e quindi si è creata una
classe di ginecologici ecografisti prettamente ostetrici; a partire dagli anni 90’ è cominciato uno studio ginecologico
estremamente attento, ma non tutti coloro che erano bravi ecografisti ostetrici hanno avuto tempo e voglia di
convertirsi o aggiungere al pacchetto informativo anche quello di ginecologia.
È possibile che alcuni ginecologi sottovalutino il problema, non riportando nemmeno miomi di 1 cm, ma
scrivendo “vari numerosi miomi di piccole dimensioni” e riportando solo quello di dimensioni maggiori
oppure scrivono “piccolo mioma di 1,5 cm intramurale” e dicono alla donna di non preoccuparsi.
Se per esempio all’ecografia vedo un mioma di 1,5 cm, lo si diagnostica come intramurale.
Il problema è ad esempio un referto di “mioma di 3-4 cm intramurale”: in questo caso devo iniziare ad avere
dei sospetti perché un mioma di questa dimensione non può essere intramurale.
Quindi è importante che un buon ginecologo che voglia fare l’interesse della paziente, oltre all’ecografia
faccia una isteroscopia e non una laparoscopia essendo quest’ultima un intervento e come tale non può
essere utilizzato per fare una diagnosi, ma per trattare.
Quindi si ragiona per esclusione: faccio ecografia, poi l’isteroscopia, guardo all’interno e se la cavità è pulita
e non ci sono deformazioni, per esclusione il mioma di 3 cm se ne sta andando all’esterno; se invece faccio
l’isteroscopia e il mioma lo vedo all’interno, allora so che lo devo aggredire.

Esiste anche un’ulteriore tecnica ecografica chiamata SONOISTEROGRAFIA.


È un ibrido tra l'ecografia e l’isteroscopia, per chi vorrebbe ma non può fare l'isteroscopia.
Con l’ecografia transvaginale, transaddominale, transrettale la cavità uterina è collassata, cioè non si vede,
si vedono solo le due rime endometriali, a meno che all’interno non ci sia muco o liquido.
Nella diagnosi isterosonografica si immette con un piccolo catetere un apposito gel transonico ad alto
contrasto, andando così a distendere le pareti dell'utero, proprio come si farebbe nell’isteroscopia
immettendo la soluzione fisiologica.
Ad esempio, nell’ecografia transvaginale vediamo una parete acquattata ed un bravo ecografista capirebbe
che c’è uno spessore endometriale che non è riferibile all’endometrio proprio, ma a patologia.
Con la isterosonografia il polipo si vede molto chiaramente perché è stata distesa la cavità.
La sonoistero però è complessa nell'esecuzione: bisogna inserire lo speculum, pinzare il collo, inserire il
cateterino, iniettare il mezzo di contrasto.
Fare la sonoistero non è proprio il massimo: si aumenta il livello di conoscenza e di comprensione però noi,
non vedendo e non potendo accedere alla cavità dell'utero, non possiamo eseguire una biopsia o vedere
eventuali anomalie vascolari o di spessore delle pareti.
Quindi non è un sostitutivo della isteroscopia, ma un surrogato.

Ecografia transvaginale Sonoisterografia

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Per avere un quadro completo calcolerò il margine libero, cioè lo spessore tra il mioma e la sierosa e tra il
mioma e la mucosa anche se è difficile rapportare la monodimensionalità, cioè i cm del mioma, alla reale
grandezza del mioma: ad esempio un mioma di 1,5 cm all’interno dell’utero è già un mioma grande, mentre
se localizzato all’esterno quasi non si considera; invece un mioma di 2 cm all’interno dell’utero è un mioma
che sta diventando quasi esclusivamente sottomucoso.
Per questa ragione esiste una classificazione dei miomi intracavitari, a differenza dei sottosierosi che non ci
interessano perché si procede con la laparoscopia.
Tuttavia, una situazione che si potrebbe verificare è diagnosi di tanti piccoli miomi e all’isteroscopia se ne
trova solo uno.
Si effettua l’intervento e succede che per pure forze meccaniche l’impronta che il mioma aveva creato
nell’endometrio, nel giro di poche ore o giorni, torna al suo posto e nel fare ciò spinge in avanti un mioma
che stava dietro, che quindi non ha più impedimento.
Per questa ragione, quando la paziente ha tanti miomi, va avvisata che durante l’intervento verrà rimosso
ciò che è visibile, ma è possibile che al controllo se ne trovi un altro perché, tolto il mioma che lo blocca,
quello che stava dietro è libero di procedere meccanicamente in avanti.
Un altro aspetto che si verifica quando si effettua una miomectomia in isteroscopia è il seguente: nel
momento in cui si rimuove un’emisfera di mioma avremo rimosso anche parte della pseudocapsula, avendo
così eliminato l’ultima forza che teneva il mioma verso l’interno, motivo per cui si creano tante forze
muscolari la cui risultante è una forza maggiore espulsiva che spinge il mioma verso la cavità.

GRADING
I miomi intracavitari vengono classificati in:
• G0: quasi peduncolato, totalmente
intracavitario;
• G1: più del 50% visibile nella cavità;
• G2: più del 50% intramurale.
G sta per GRADING.
Se all’isteroscopia si vede una cupola, sarà un
mioma G2; G1 è quasi tutto all’interno della
cavità uterina.
Se si vede una struttura quasi sferica con una
piccola area di connessione , è un G0.
Una volta si diceva:
• Se l'angolo fra la superficie del mioma e l'endometrio è un angolo acuto si tratta di G0-G1 perché
vuol dire che la maggior parte del mioma è fuori;
• Se l'angolo è ottuso il mioma è indovato all'interno dell'utero.

Mioma G1 Mioma G2

Questo però non è vero al 100% perché ci sono miomi che somigliano ad un 8, con una parte all’interno della
parete ed una all’esterno della parete, che aggetta nella cavità uterina, questo perché il mioma risente
dell’azione delle forze muscolari presenti nel miometrio per cui è bastato che una parte del mioma si sia

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posizionata al di fuori della zona di contrazione muscolare e le fibre stesse hanno formato una specie di collo,
hanno modellato il mioma stringendolo e permettendo alla parte sovrastante di crescere maggiormente
rispetto alla sottostante.
Un’altra possibilità è che miomi contigui si fondano tra di loro, quindi avremo miomi con tanti bernoccoli
che non sono altro che miomi fusi in una massa unica.

TRATTAMENTO
Descrizione di un intervento di miomectomia per via isteroscopica
Si effettua con un resettore che ha un movimento assiale e l’operatore fa fisicamente a fettine il mioma.
Macroscopicamente il mioma ha una parte biancastra che è il bordo e la pseudocapsula un po' giallastra.
L’operatore si muove approfondendosi e poi risalendo per cercare di non ledere la componente muscolare
che sta attorno alla pseudocapsula. Poi lentamente con l’ansa si va tra mioma e pseudocapsula, cioè si
enuclea il mioma.
Oppure, a seguito di continui movimenti di distensione e non distensione, per togliere i chip, si realizza una
specie massaggio dell’utero che spinge il mioma. Quando si toglie la pressione il mioma fuoriesce perché
l’utero stesso lo spinge verso l’esterno in quanto non c’è più la forza di contenimento.
Il sanguinamento è piccolo perché i vasi che vanno all’interno sono minimi.
Ciò che rimane sono le impronte, dette anche fovee, le quali altro non sono che il posto dove era allocato il
mioma. Queste fovee nel giro di 24-48 ore non sono più visibili perché, una volta che si riduce la pressione
dentro l’utero estraendo il resettore, non essendoci più la distensione che forza le pareti, queste ultime
collassano e il muscolo si contrae e lentamente c’è una restitutio ad integrum perfetta.

La resettoscopia si esegue nella fase proliferativa del ciclo mestruale, quando l'endometrio è più sottile e
non sanguina.
Più si va avanti con il ciclo, più l'endometrio cresce e questo porta tre problemi:
• Occulta la visuale;
• Sanguina, perché c’è tutta la filiera dei vasi che stanno crescendo;
• Più diventa secretivo avanzato, più la struttura ghiandolare diventa spugnosa e assorbe il liquido, infatti,
se si effettua per errore un’isteroscopia in fase secretiva, in meno di un minuto la situazione
dell’endometrio cambia perché assorbe e diventa edematoso.
Pertanto o l’intervento si esegue in fase proliferativa o si prepara l’endometrio farmacologicamente

Descrizione di interventi di miomectomia per via laparoscopica


La laparoscopia, che si effettua entrando dall’ombelico e agendo lateralmente su vie laterali e centrali che
aggrediscono da tre punti differenti il mioma, riesce a trattare bene miomi sottosierosi fino a una
dimensione limite che è compresa tra 3 e 6-8 cm, questo perché non c’è spazio sufficiente per operare dato
che il mioma cresce nell’addome.
Se avessi il mioma davanti a me, le vie laterali starebbero dietro al mioma e non avrei spazio per poterlo fare.
Quindi, arrivati ad una certa dimensione, si passa alla laparotomia, ma non con taglio secondo Pfannenstiel
cioè il taglio del cesareo, basso sovrapubico, gradito dalla paziente poiché lascia poche tracce ed è coperto
dal costume, ma con il taglio mediano cioè dall’ombelico al pube che esteticamente non è molto piacevole.

Primo intervento: si inseriscono i trocar, le cannule che rappresentano l’unica di possibilità di comunicare con
l’interno dell’addome.
Quella grigia è il trocar dell’ottica che è posizionata nell’ombelico.
In questa paziente il colon ed il sigma contraggono grosse aderenze con la parete laterale e devono essere
staccate per poter aggredire i due miomi presenti in corrispondenza della parete posteriore dell’utero.
Si vede il margine tra il peritoneo sano che è rosa e la lacinia aderenziale che è biancastra.
Tutto questo è un preparativo per avere un campo chiaro, libero per poter operare.
Si vedono i legamenti utero sacrali che convergono posteriormente sull’utero e delimitano uno spazio che è lo
scavo del Douglas. Gli ureteri decorrono lateralmente, leggermente al di sopra degli utero-sacrali.
Si controlla la parete anteriore dell’utero per vedere se ci siano altri miomi. Si evidenzia la plica vescico-uterina
incidendo la quale si può portare la vescica in avanti e liberare la parte ceduta.
L’ovaio è tipo un panno steso: è piatto, allungato.

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La fossetta ovarica della paziente presenta due nodosità che corrispondono ad aree di endometriosi: in nero è
una zona di accumulo di sangue e detriti endometriali.
Se fosse lasciata lì, quell’area lentamente potrebbe allargarsi, potrebbe approfondirsi dove sotto c’è l’uretere,
oppure potrebbe coinvolgere la parete dell’ovaio, facendo un tutt’uno e quindi creare una forte aderenza in
quella zona.
Oltre ai noduli un’altra forma di endometriosi sono le vescicole. Quindi ogni volta che si individuano queste
aree vanno asportate con un minimo di margine libero. Si intravede l’uretere che ha un movimento peristaltico
e se stimolato un pochino si muove.
Uno dei movimenti fondamentali in tutte le chirurgie è la trazione, che permette l’esposizione dei piani. Se non
c’è trazione non c’è una buona chirurgia.
Dopo tutta questa fase si passa all’intervento vero e proprio di enucleazione dei due miomi: si
incide anche abbastanza profondamente il mioma, si vede il muscolo e solo dopo un certo strato
muscolare spunta il bianco del mioma che è profondamente indovato.
Con una pinza si cerca di scapsulare il mioma e lentamente lo si asporta completamente, con
un’opera di pelatura, infilandosi tra il mioma e la pseudocapsula. La zona va dunque suturata
accostando le pareti e annodando internamente.
Una delle complicazioni della miomectomia è l’emorragia intra o postoperatoria, che rende la
miomectomia uno degli interventi più complessi.
Da non confondere la presenza di un mioma con la punta del manipolatore che si inserisce nell’utero
per muoverlo dall’esterno, abbassandolo o lateralizzandolo.
Alla fine dell’intervento si effettua la morcellazione.
Il morcellatore è dotato di una parte a becco di flauto protettiva, una parte tonda all’interno che è la
lama e poi vi è il pinzone che cattura il mioma e lo porta verso la lama che ruota e lo mangia creando
dei frustoli lunghi in base a quanto è grande il mioma stesso.
Si effettua dunque il lavaggio, si controlla che non ci siano frammenti del mioma rimasti attaccati al
tubo, si controlla l’emostasi e infine si pone un prodotto anti-aderenziale, una specie di garza che
viene posta come un vestitino su tutte le zone cruentate e che permette di ridurre al minimo il rischio
di aderenze.
Tolto il manipolatore l’utero ritorna nella sua posizione originaria, antiversa o retroversa.

Secondo intervento: l’utero della paziente ha tanti miomi che conferiscono all’utero un aspetto
bernoccoluto e rendono l’intervento più complesso.
Degna di nota è la sutura Barbed: il filo ha una superficie irregolare perché dotata di tanti piccoli
uncini rivolti al contrario rispetto al senso di passaggio; ciò vuol dire che il filo scorre ma non ritorna
più indietro, quindi si autoserra.
Quando ci sono tanti miomi, all’inizio dell’intervento, quando tutto è chiaro, il professore preferisce
fare tanti piccoli marker coagulando la superficie della sierosa, in maniera tale da ricordare dove
sono i miomi perché quando si comincia a suturare e tutto diventa rosso è difficile riconoscerli.
I miomi centimetrici (di 1 cm) si riconoscono perché vengono fuori con il trocar che ha 1,2 cm di
diametro.
Alla fine dell’intervento si posiziona un emostatico e sopra di esso si pone l’anti-aderenziale e viene
fuori una specie di piumino. In questo modo vi è una discreta tranquillità per cui qualora ci dovessero
essere dei piccoli focolai di gemizio di sangue si riuscirebbe a contenerli. L’anti-aderenziale e
l’emostatico dopo qualche ora si trasformano in una specie di gel.
Va comunque riportato in cartella il loro utilizzo perché, qualora dovessero esserci problematiche
post-operatorie e si dovesse fare una ecografia, si troverebbe un accumulo che può sembrare sangue,
ma è la copertura che è stata messa.
Si effettua un check dell’addome per vedere se ci sono frammenti o altro e infine si chiude la fascia.
Si chiude la fascia nel trocar per evitare che l’intestino, in presenza di colpi di tosse o lassità della
fascia, possa incunearsi nella breccia e quindi comportare la necessità di un nuovo intervento.
Un trocar viene posizionato a livello ombelicale dove il muscolo non c’è più ma c’è un punto di fibrosi;
l’importante è che venga inserito dritto per prendere solo la parte fibrotica dell’ombelico, senza
toccare il muscolo. In corrispondenza dell’ombelico basta solo chiudere la cute, non c’è bisogno di
suturare.

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Il problema sono le tre vie pubiche: due sono laterali, accanto alle spine e sono da 5 mm e poi c’è il
trocar da 10 o12 mm che può essere centrale o laterale.
I trocar oggi sono traumatici perché non tagliano ma separano.
Quando vengono rimossi la fascia si richiude, però, poiché esiste la possibilità che l’intestino o
l’omento si incuneino in questo buchino di 1 cm a seguito di colpi di tosse, quando si toglie il trocar
da 12 dei tre accessori (dei 5 mm non ci interessa) è buona norma suturare la fascia che grazie alla
struttura fibrotica a fasci è il muro di contenimento per ciò che c’è dentro, in quanto il muscolo non
ce la fa.

Per il trattamento dei miomi non esiste una regola ma in base alle esigenze della paziente, alla sua età, al
numero dei miomi ecc.. si decide come procedere.

Per quanto riguarda i miomi sottosierosi, ad esempio, se una paziente ha 47 anni e ha mioma/i di 2-3 cm
sottosierosi e non cerca più gravidanze, si potrebbe prediligere una terapia medica con analoghi del GnRH
o altri farmaci specifici che agiscono da inibitori della crescita del mioma attraverso una riduzione degli
estrogeni, in maniera tale da evitare che esso cresca o ancora meglio fare in modo che si riduca di volume.

La terapia con analoghi del GnRH risale agli anni ‘90, ma è ancora in uso e viene utilizza non solo per tenere
a bada il mioma nella paziente che è vicina alla menopausa che avrà il suo effetto, ma anche per tenere a
bada il mioma se la lista di attesa chirurgica non permette un intervento immediato e quindi in una paziente
giovane nei 5-6 mesi di attesa quel mioma, soprattutto se già grande, potrebbe ingrandirsi.

Per il mioma sottomucoso esistono sono varie scuole di pensiero: secondo il professore, anche se una
paziente è in menopausa, sarebbe preferibile toglierlo perché potrebbe instaurarsi un adenocarcinoma. Per
cui secondo alcuni il mioma può restare in una paziente in menopausa; secondo altri, laddove fosse possibile
rimuoverlo, lo si deve proporre alla paziente.
Se una paziente è giovane e richiede fertilità, il mioma sottomucoso va asportato e in questo caso l’intervento
va fatto in condizioni di sicurezza per l’operatore, agendo quando la cavità è pulita, con pochissimo
endometrio e con un mioma non particolarmente grande.
Per fare questo ci deve essere un timing perfetto, cioè chi comanda è la mestruazione della signora che è
l’unico evento che non può essere modificato.
La signora deve dire quando ha avuto la mestruazione e quindi deve essere operata in una finestra che va dal
4° e il 9° giorno dal ciclo mestruale, prima è meglio è.
Il problema è che non sempre è possibile fare gli interventi in quella finestra temporale in base alle
disponibilità della sala operatoria, per cui è previsto dal SSN che l'analogo del GnRH sia dato oltre che per
miomi, endometriosi e altre patologie in fascia A, anche per la preparazione all'intervento endoscopico
perché così apre finestre temporali molto ampie.
La paziente può essere operata in qualsiasi momento perché l'endometrio, a partire dalla seconda fiala, è
ipotrofico (atrofico è termine non propriamente corretto da un punto di vista anatomopatologico).
L’endometrio è sottile, sanguina poco quando lo si tocca, l’intervento è pulito.
In conclusione, l’analogo è utilizzato per porre rimedio a deficit organizzativi e per annullare la temporalità
e contestualità dell’intervento.

Durante l'intervento chirurgico con il resettore si va a togliere via via tessuto e si aprono delle bocche
vascolari. Se all'interno dell'utero c’è una pressione discreta, non si vedrà fuoriuscire del sangue, però ciò
non vuol dire che l’intervento sia pulito ma la pressione è tale per cui, invece che far fuoriuscire sangue dai
vasi, si è immesso in circolo il liquido usato per distendere la cavità dell’utero: si parla di sindrome da
intravasazione, descritta per prima dagli urologi che utilizzano lo stesso strumento usato per la resezione del
mioma anche per la resezione della prostata.
L’intravasazione è legata a tre variabili:
1. Pressione all’interno dell’utero;
2. Tempo dell’intervento;
3. Quantità di tessuto traumatizzato cioè le bocche vascolari aperte.

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Più la chirurgia è complessa, più porta via tempo, più si aprono bocche vascolari e si usano pressioni senza
averne un controllo, maggiore è il rischio di intravasazione che può in casi estremi portare a conseguenze
molto gravi.
Questo è il motivo per cui se c'è un mioma ad esempio di 3 cm è bene asportarlo in più tempi, non per
incapacità dell’operatore, ma è lo stop che l’anestesista stesso impone per variazione dei parametri della
paziente.
Ci sono anche delle ancore di salvezza, come per esempio somministrare un diuretico prima dell’intervento
(in maniera tale da iniziarlo con paziente già in diuresi spinta, per cui se è immesso liquido questo è
eliminato), durante e dopo l’intervento.
In questa maniera si è ridotto notevolmente il rischio di intravasazione.
Tutto ciò naturalmente va sempre concordato con la paziente.

Ricapitolando, gli analoghi del GnRH hanno:


• Un uso terapeutico definitivo per accompagnare la paziente alla menopausa e secondo la propria filosofia
il mioma non va toccato;
• Un uso protettivo per metterci nelle migliori condizioni di chirurgia riducendo la massa del mioma,
qualunque sia la sua posizione;
• Un uso protettivo per la resettoscopia al fine di avere un utero pulito, senza sanguinamento.
Dunque, non esiste LA terapia del mioma ma ci sono varie strategie a seconda della situazione:
• Età;
• Richiesta di fertilità;
• Precedenti gravidanze o meno;
• Dimensione del mioma
• Posizionamento del mioma;
• Sintomatologia.
La terapia medica e quella chirurgica possono esistere indipendentemente oppure insieme dove la terapia
medica può essere d'ausilio ad una migliore terapia chirurgica.

I miomi intramurali vanno trattati tutti:


• Perché danno sintomatologia o la daranno;
• A prescindere dalla sintomatologia, se c’è richiesta di fertilità, saranno un impedimento per la stessa;
• Se la donna è in menopausa, a seconda dei punti di vista, si possono togliere per essere più sicuri.

Per i miomi sottosierosi multipli molti dicono che non sono un problema poiché non invadono la cavità.
Tuttavia la paziente con miomi multipli è a rischio di aborto tardivo tra le 18 e le 21 settimane perché, nel
momento in cui l'utero comincia ad aumentare di volume e le pareti si assottigliano, quei miomi diventano
tanti posti di alterazione dell’impianto, della contrazione ecc..

Per i miomi intracavitari invece il rischio di aborto è precoce, ammesso che riesca a rimanere gravida perché,
una volta che comincia a formarsi la placenta, quando questa si amplia e tocca zone con i miomi, non c’è
possibilità di accrescimento e si interrompe la gravidanza.

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MASSE ANNESSIALI

FORMAZIONI CISTICHE OVARICHE BENIGNE


Oggi parliamo delle formazioni cistiche ovariche benigne, c’è una parte descrittoria che dovete conoscere,
ossia l’elenco delle cisti, che si ritrova su tutti i libri.
La cosa importante è capire la problematica che queste cisti danno e che il più delle volte è sempre uguale.
Al di là dell’eziologia, visto che la sintomatologia è sempre uguale, perché colpisce sempre l’ovaio, la diagnosi
è sempre ECOGRAFICA.

CLASSIFICAZIONI MASSE ANNESSIALI


A. TUMEFAZIONI CISTICHE NON NEOPLASTICHE:
1. FUNZIONALI si ritrovano più frequentemente insieme all’endometriosi:
• Follicolari;
• Luteiniche
• Tecoluteiniche
2. INFIAMMATORIE:
• Piosalpinge;
• Idrosalpinge;
• Ascesso tubo-ovarico.
B. TUMEFAZIONI CISTICHE NEOPLASTICHE:
1. CISTI SOLIDE NON FUNZIONANTI
2. CISTI SOLIDE FUNZIONANTI.
NB. Possono essere considerate masse endopelviche anche esiti cicatriziali post chirurgici.

SINTOMI
• Asintomatiche;
• Senso di peso;
• Dolorabilità;
• Si può apprezzare la tumefazione con la palpazione, ma la diagnosi è prettamente ECOGRAFICA.
• Manifestazioni pseudogravidiche, dismenorrea membranacea, sterilità anovulatoria;

CISTI FOLLICOLARI CISTI LUTEINICHE CISTI TECOLUTEINICHE

Da mancata rottura del follicolo al Sono secondarie a una Luteinizzazione di un follicolo


momento dell’ovulazione ovulazione, possono essere le non scoppiato, con conseguente
conseguenze di un ematoma del accumulo di liquido al suo
corpo luteo o di una raccolta di interno.
liquido siero ematico al suo
interno.
Più comune
Donne in età fertile Donne in età fertile Si osserva in circa il 60% delle
donne con mola vescicolare,
come conseguenza dell’elevata
quantità di 𝛽 − ℎ𝐶𝐺 (β-human

68
chorionic Gonadotropin)
prodotta dal trofoblasto
anomalo e iperattivo e in molti
casi di iperstimolazione ovarica
(per esempio dopo procreazione
medicalmente assistita)
(Sindrome da iperstimolazione
ovarica)
Rotondeggianti Rotondeggianti

Uniche o multiple Uniche Multiple e bilaterali


Diametro vario tra 4 e 10 cm. Diametro tra 2-5 cm Diametro 4-5 cm
Colore bianco-grigiastro Colore giallastro Colore grigio giallastro
Superficie liscia e traslucida Superficie liscia
Superficie interna è costituita da Superficie interna costituita da Superficie interna costituita da
un epitelio con cellule della strati irregolari di cellule tecali cellule della teca interna in attiva
granulosa circondate da cellule luteinizzate. proliferazione e luteinizzante.
della teca interna Multiloculari.
Uniloculate. Pareti sottili.
Pareti sottili o spesse.
Contenuto è un liquido giallo- Contenuto liquido da rosso- Contenuto liquido di colore
citrino bruno a giallo limpido e fibrina. variabile.
Funzionalmente inattive e Frequentemente inattive. Le ovaie si presentano
asintomatiche, ma a volte Possono produrre un ecceso di bilateralmente ingrossate,
producono un eccesso di Eg con Pg con conseguente policistiche, di volume variabile
conseguenti anomalie del ciclo: trasformazione secretiva fino ad occupare l’intera pelvi.
• Oligomenorrea; persistentedell’endometrio: Talora in gravidanza appare il
• Menometrorraggie; • Oligomenorrea; cosiddetto luteoma, cioè un
• Dismenorrea • Anovulazione; aumento di ovlume dell’ovaio
• Dolore pelvico; • Infertilità (Sindrome del per iperplasia monolaterale
• Dolore in fossa iliaca follicolo non scoppiato e (50%) dello stroma.
omolaterale, coliche luteinizzato LUF, Luteinized
ricorrenti e dolore intenso Unruptured Follicle)
Oppure Sindrome di Halban con
persistenza del corpo luteo
cistico che simula una gravidanza
con amenorrea, dolori pelvici,
utero aumentato di volume e
segni simpatici.
In più avremo:
• Dolore;
• Senso di peso in fossa iliaca
omolaterale.
L’anatomia circostante non
viene toccata e quindi tendono a
raggiungere dimensioni
ragguardevoli e il contenuto che
non è più liquido. ma è
corpuscolato siero-ematico ne
aumenta anche il peso specifico.
Complicanze: Complicanze:
• Torsione ovaio; • Torsione ovaio;

69
• Rottura cisti dando luogo a un • Rottura cisti dando luogo a
addome acuto; un addome acuto;
• Sindrome di Shroerer, per Per valutare un versamento
produzione di Eg avremo: emoperitoneo non bisogna solo
- Cicli anovulatori; guardare la presenza di sangue
- Iperplasia endometriale. nel Douglas ma bisogna con la
sonda addominale andare ad
esplorare le docce paracoliche
sotto
epatiche per vedere se c’è
presenza di sangue anche in
queste arie.
La diagnosi è speso casuale, cliica La diagnosi è ecografica.
con visita ginecologica e ecografia Con l’ Eco-color-ecodoppler
dove sono di facile individuazione, attorno alla cisti si può vedere un
sono transoniche, appaiono come anello (ring vascolare) con la
un buco nero sullo schermo chiara individuazione dei vasi, se
ecografico. pur il contenuto possa lasciare
dei dubbi, perché c’è il grosso
problema della diagnosi
differenziale tra corpo luteo
cistico ed endometriosi.
In questo caso il ring vascolare ci
fa subito pensare che non siamo
in una condizione di
endometriosi.
Se non è attivo l’ Eco-color-
doppler si vedono all’interno i
depositi emosiderinici e ossia
delle trabecolature di chiara
identificazione.
Possono regredire Possono regredire Regredisce spontaneamente
spontaneamente in 1-2 cicli spontaneamente. dopo il parto.
mestruali.
O possono necessitare di
trattamento estroprogestinica.
Ovviamente va valutata in base a
dimensioni perché quelle più
grandi possono dare più
facilmente complicanze.
Si valuta se con la cura Eg-Pg in 3-6
mesi è regredita, se no, se di grandi
dimensioni si valuta la chirurgia
per via laparoscopica.
DD con cisti endometriosiche
hanno lo stesso contenuto però
si ha una rottura della cisti,
quindi un processo
infiammatorio e diminuita
mobilità dell’ovaio stesso.
Le cisti endometriosiche una
volta rotte versano il contenuto

70
però poi si devono richiudere per
riacquistare volume.

TUMEFAZIONI CISTICHE NON NEOPLASTICHE INFIAMMATORIE


Per tumefazioni cistiche non neoplastiche infiammatorie intendiamo tutto ciò che colpisce la tuba:
• Piosalpinge raccolta di pus confinata in una o entrambe le tube;
• Idrosalpinge ostruzione delle fimbrie e distensione tubarica con liquido non purulento;
• Ascesso tubo-ovarico che provoca irritazione peritoneale e presenza di una massa
annessiale palpabile.
Sono formazioni di natura cistica del tratto genitale, ma non sono a carico dell’ovaio.
Queste sono sequele delle salpingiti acute molto variabili e dipendono dal danno che nell’organo ha
provocato il processo infiammatorio.
Talune forme lievi regrediscono completamente o lasciano solo piccoli danni a livello della mucosa tubarica
(declinazione che può tuttavia interferire con il trasporto intratubarico dell’embrione e quindi predisporre
alla GEU).
Nelle forme più gravi di endosalpingite, a causa dei fatti necrotici a livello dell’epitelio e degli essudati che si
formano, le pliche della mucosa tendono a fondersi l’una con l’altra per cui, quando il processo tubarico si è
risolto, il lume tubarico risulta più o meno suddiviso da questi setti o sinechie che si sono formati ed in
sezione appare co un aspetto ad alveare irregolare.
La forma viene definita salpingite follicolare e predispone all’instaurarsi di una gravidanza extrauterina,
qualora gli osti addominale e uterino della salpinge rimangano aperti.
Più sovente però si ha a livello degli osti addominali una conglutinazione delle fimbrie del padiglione tubarico
ed una sua ostruzione.
Non si può stabilire la percentuale dei casi nei quali dopo un episodio acuto si ha un danno permanente e/o
il passaggio ad una forma cronicizzata.
Si afferma però che la chiusura della tuba si verifica nel 15-20% dei casi dopo un solo episodio di salpingite
acuta, nel 40% dopo due episodi e nell'80% dei casi dopo tre o più recidive.
Le lesioni tubariche croniche si distinguono in due categorie:
1. Le salpingiti croniche parenchimatose che assumono l'aspetto di:
• Salpingite ipertrofica, che, per lo più, è la conseguenza della cronicizzazione di una salpingite
acuta;
• Salpingite atrofica, caratterizzata da una tuba assottigliata, dura e rigida quasi come una matita;
2. Le salpingiti croniche cistiche, che comprendono:
• Idrosalpinge, lesione caratterizzata da una distensione della tuba anche di notevoli proporzioni
fino a dare l'impressione, alla visita ginecologica, di una grossa cisti ovarica. La superficie della
tuba appare liscia.
La parete è frequentemente sottile, translucida, di colorito biancastro-rosa.
Spesso l'idrosalpinge è fissata da aderenze non molto tenaci alla parete posteriore dell'utero,
all'ovaio od al cavo del Douglas.
L'idrosalpinge si produce per fenomeni di trasduzione, essudazione e anche di secrezione
perché esiste una occlusione o una stenosi dell'ostio addominale tuba e, di solito, anche di
quello uterino.
Talvolta l'occlusione di questo ultimo orifizio può essere incompleta, oppure intermittente ed
in tali casi si ha la possibilità di periodici svuotamenti del contenuto della tuba attraverso l'ostio
stesso, con emissione dall'ostio e quindi dai genitali di un liquame chiaro oppure torbido.
Questo fenomeno viene denominato "hydrops tubae profluens". Soventete l'idrosalpinge è
bilaterale, ma l'alterazione non ha di solito la stessa entità dai due lati. Talora da un lato si
riscontra un'idrosalpinge dall'altro una piosalpinge od una cisti tubo-ovarica.
Istologicamente le alterazioni che si possono riscontrare a livello delle idrosalpingi non hanno
un aspetto uniforme, ma dipendono dal grado di evoluzione del processo infiammatorio.

71
• Piosalpinge cronico se non si tratta di una forma tubercolare o actinomicotica, abbastanza rare,
è per lo più conseguenza di un piosalpinge acuto.
La tuba si presenta avvolta da spesse e tese aderenze, per lo più bloccata nel cavo del Douglas
e non raramente conglutinata, con l'estremo ampollare della tuba controlaterale sede o dello
stesso tipo di lesione o di un semplice idrosalpinge.
Il volume della tuba è, di solito, quello di un dito pollice, ma la formazione può raggiungere
anche il diametro di una decina centimetri.
Nel piosalpinge cronico la chiusura dell'ostio addominale è la regola e quello dell'ostio uterino
è molto frequente.
• Ematosalpinge.

SINTOMI
• Dolore;
• Massa palpabile;
• Leucorrea 40-50% casi;
• Febbre non supera i 38°nelle forme moderate, ma può essere assente;
• Forme moderate dolore subacuto, ingravescente, bilaterale, associato a dispareunia
• Nelle forme più gravi sintomi sovrapponibili a peritonite acuta;

DIAGOSI
• Ecografia transvaginale e nei casi più avanzati vedremo aspetto a ruota dentata.
• PCR e VES aumentate

TRATTAMENTO
• Eziologico forme lievi-moderate;
• Chirurgico con laparoscopia forme gravi (Aspetto a ruota dentata, VES, PCR elevati, Febbre)

COMPLICANZE
Le annessiti croniche possono complicarsi come quella acuta con:
• La pelviperitonite;
• La pelvicellulite.
Più raramente si può avere a seguito di esse l'ascesso del cavo del Douglas e l'ascesso tubo-ovarico.
• La tromboflebite pelvica;
• La peritonite generalizzata;
• La sacroileite, complicanza rarissima, segnalata nelle pazienti con annessiti acute e croniche.
In caso di guarigione clinica dopo un'annessite cronica possono residuare:
• Dolore pelvico cronico, presente in circa il 20% delle donne che hanno avuto una PID. Il dolore pelvico
può essere causato da un idrosalpinge, oppure, più spesso, dal formarsi di aderenze che vincolano, in
maniera più o meno tenace, organi dotati di libertà di movimento;
• Tendenza alla recidiva della flogosi;;
• Sterilità per occlusione o dislocazione anomala delle salpingi o per alterazione della peristalsi o delle
secrezioni tubariche (più lieve è l'episodio acuto di PID minore è la probabilità che la donna vada
incontro a sterilità; al contrario la quota di sterilità aumenta con il ripetersi degli episodi di PID);
• Retroversoflessione uterina fissa, associata a dispareunia e dismenorrea;
• Un maggior rischio di gravidanza extra-uterina (in caso di PID lieve-moderata alla laparoscopia il
rischio di gravidanza ectopica è del 10-15%, mentre arriva al 50% in caso di PID grave), venendo ad
essere alterati i fattori che presiedono nella salpinge al trasporto dell'embrione (ciglia ribratili,
peristalsi, correnti sierose).

ANOMALIE CONGENITE
Le tube originano dalle parti superiori dei dotti di Müller.
L'assenza completa di entrambe le tube talora si osserva associata all'aplasia uterina.

72
Difetti parziali o completi unilaterali sono riscontrati, specie in associazione con l'utero unicorne. Più comuni
le anomalie per eccesso, come gli orifizi tubarici accessori e le tube uterine accessorie. E possibile anche il
riscontro di tube ipoplasiche.

SALPINGITE ISTMICA NODOSA


Consiste in gittate ghiandolari ramificate della mucosa nella are nella parte istmica più interna della tuba o
nelle fimbrie.
Alcuni presumono che la salpingite istmica nodosa sia di origine infiammatoria.
Se questa ipotesi può essere valida molti casi, per altri è da considerarsi come una condizione di odenomiosi
tubarica strettamente collegata a quella uterina.
Si accompagna a sterilità per occlusione tubarica e può essere diagnosticata con l'isterosalpingografia (ISG)
o con l'esame istologico; aumenta l'incidenza di gravidanze extrauterine (GEU) del 52%.

CISTI PARAOVARICA
parete tubarica e si manifesta come un ingrossamento nodu- per Deriva dai residui embrionali del sistema
mesonefrico, detti epoophoron e paraoophoron, presenti nel tessuto cellulare posto all'interno dei due
foglietti peritoneali del mesosalpinge.
Il primo (epoophoron), posto a livello della parte esterna della tuba, si presenta come una serie di canalicoli
a fondo cieco riuniti da un condotto allungato.
Il secondo (paraoophoron) è formato da vescicole raggruppate all'altezza dell'istmo tubarico.
La cisti paraovarica è piuttosto frequente e può comparire a ogni età, specie nel periodo fertile. Si sviluppa
tra le pagine del legamento largo, tra tuba (che appare fortemente allungata) e ovaio. Generalmente è
unilaterale, uniloculata, a parete liscia e sottile, di dimensioni a volte anche cospicue (fino a 30 cm di
diametro), a contenuto liquido acquoso; la superficie interna è rivestita da epitelio cubico o cilindrico
monostratificato. Può evolvere verso la rottura, la torsione, la suppurazione (addome acuto); la diagnosi,
oltre che della sintomatologia (spesso assente se non intervengono complicanze), si avvale della visita e
dell'ecografia. Il trattamento è chirurgico.

LE TUMEFAZIONI CISTICHE NEOPLASTICHE BENIGNE


Le tumefazioni cistiche neoplastiche benigne sono:
s CISTOADENOMA SIEROSO;
s CISTOADENOMA MUCINOSO;
s CISTI DERMOIDE;
s CISTI ENDOMETRIOSICA.

La diagnosi è puramente ecografica, non si può fare nessuna distinzione e su campo operatorio molte volte
intimoriscono l’operatore e durante l’intervento la diagnosi viene confermata da un esame estemporaneo
(si invia un frammento della cisti per una valutazione isto-patologica) per fare in modo che non ci si ritrova
davanti a un tumore borderline.

CISTOADENOMA CISTOADENOMA CISTI ENDOMETRIOIDE CISTI DERMOIDE


SIEROSO MUCINOSO
Neoplasie ovariche di origine epiteliale, molto Deriva da endometriosi 90-95% dei tumori
frequenti ovarica, che determina germinali.
dapprima cisti ovariche Forma benigna.
e poi endometriomi o È difficile spiegare alla
cistoadenoma paziente
endometrioide. l’eziopatogenesi. Alla
paziente si dice : “ si
tratta di cellule che in
epoca fetale dovevano
produrre quel tipo di
organo (osso, denti,
73
capelli) o avrebbero
dovuto fare quello e
invece si sono
addormentate e un
giorno si sono risvegliate
e hanno iniziato a farlo
all’interno delle ovaie”
Generalmete si presentano tra i 30 e i 50 anni Picco di frequenza tra i
20 e 40 anni
Asintomatici. La dispersione di
Quando raggiungono dimensioni cospicuoe materiale ematico da
possono manifestare: queste masse determina
• Dolore; irritazione peritoneale,
• Senso di peso; sindromi aderenzioali e
• Meteorismo fissazione degli organi
pelvici.
Complicare con:
• Rottura;
• Torsione ovarica
Dimensioni importanti , anche in rapporto alla loro
evoluzione verso la malignità:
• < 5 cm: tumore maligno < 1%;
• > 5 cm <10 cm: tumore maligno < 11% ;
• >10 cm: tumore maligno nel 72% dei casi.
Varie dimensioni può È il più voluminoso di Diametro variabile da
arrivare a 15 cm tutti i tumori ovarici pochi millimetri fino a 10
benigni (t.t.o.b.), cm o più, bilaterale dal
proprio per questo può 10 al 15% dei casi.
determinare disturbi
respiratori e
cardiocircolatori.
Costituisce il 20 % dei È il più frequente di
tumori benigni t.t.o.b.
Cisti uniloculata. Multiloculato Uniloculare o
multiloculare.
Presenta delle papille o Raramente evolve verso Rischio degenerazione
strutture solide la malignità (5%) 2%
all’interno della cisti e
può essere sintomo di
malignità (per questo
utilizziamo una
classificazione ad hoc-
IOTA) (dispense)
Contenuto sieroso, Contenuto pseudo Cisti che contiene
all’interno possono mucinoso prevalentemente
essere presenti corpi strutture ectodermiche
psammomatosi. (dispense) e contiene liquido simil
sebaceo, epidermide,
derma e annessi, capelli,
peli, piccoli denti (di
neonato), pezzettini di
osso.

74
Si distinguono due Capsula liscia. Tumore cistico con
forme: capsula spessa, liscia e
1. Semplice a pareti biancastra.
liscie; Colore bianco-giall ino.
2. Papillare, con
caratteristiche di
vegetazione
all’interno,
costituite da un asse
connettivale
rivestito da epitelio
cubico o cilindrico di
tipo tubarico. Le
escrescenze
papillari possono
perforare la capsula
della cisti e dare
origine al papilloma
ovarico (con
formazione di
ascite, aderenze,
occlusione
intestinale,
evoluzione clinicoa
come un tumore
maligno)
Con corpi
psammomatosi. (libro)
Quando la componente Nell’ 8% dei casi si
connettivale prevale su accompagna al
quella epiteliale si parla pseudomixoma del
di adenofibroma. peritoneo,
caratterizzato da
impianti multipli
tumorali sulla sierosa
dei visceri addominali.
Diagnosi clinica e Diagnosi clinica e Diagnosi spesso
ecografica ecografica occasionale nel contesto
transvaginale. transvaginale. di visite di controllo.
Facendo delle manovre Appare come una cisti Si basa su Ecografia
e premendo con la multiloculata a pareti transvaginale e RM.
sonda transvaginale sul spesse, scarsamente
fondo vaginale e vascolarizzata all’eco-
facendo ballottare doppler, e con setti
fisicamente la cisti si sottili a contenuto
vede se queste strutture ipoecogeno, per la
sono da raccolta di muco presenza di sostanza
o di sangue all’interno mucinose al suo interno.
della cisti (che alla
movimentazione della
cisti si muovono con il
liquido) o se sono
strutture solidali e fisse

75
sulla parete della cisti e
in questo caso fanno
pensare a delle
trabecolature o a delle
papille che non sono
proprio un segno
positivo .

La terapia è chirurgica, laparoscopica, e il tipo di intervento è diversificato in Non sono cisti maligne,
base all’età del paziente e alla dimensione del tumore: ma comunque vanno
• Donna in età fertile approccio conservativo con enucleazione asportate anche se le
(stripping) della cisti/cistoma; dimensioni non sono
• Se è in peri o post menopausa è consigliata una annessiectomia mono molto ampie, possiamo
o bilaterale; aspettare, ma non
• In gravidanza è giustificato un comportamento di attesa per tutte dimenticarcele e hanno
quelle neoformazioni che presentano caratteristiche ecografiche di un certo peso specifico
bnignità. ragguardevole.
Se il quadro è dubbio (1/2% dei casi) o se la cisti subisce torsione, si A parità di volume una
renderà necessario un intervento laparoscopico. cisti sierosa pesa meno
Il taglio cesareo trova indicazioni solo ostetriche. rispetto ad una cisti
dermoide e il loro
contenuto è per il 95%
costituito da sebo e
peluria, a volte si
possono trovare anche
frammenti di denti o di
ossa.
Bisogna asportarle in
maniera pulita durante
la laparoscopia perché
uno sversamento del
contenuto che può
essere un pelo o un
capello può dare vita a
reazioni infiammatorie.

TUMEFAZIONI SOLIDE NEOPLASTICHE BENIGNE NON FUNZIONANTI


• TUMORE DI BRENNER
Le forme maligne sono molto rare, a differenza di quelle benigne. Il loro diametro varia da 10 a 30 cm
e sono istologicamente costituiti da una grande varietà di cellule epiteliali (spesso assimilabili a cellule
di transizione come quelle del tratto urinario), con stroma scarso ad alto grado nucleare ed elevata
attività mitotica.
• TERATOMA SOLIDO MATURO
• FIBROMA
Molte volte si trovano fibromi ovarici che somigliano a un fibroma uterino ma non si riesce a spiegare
la localizzazione al di fuori dell’utero.
• TUMORE ADENOMATOIDE

76
TORSIONE OVARICA
Avviene sempre su un ovaio che ha aumentato le dimensioni per la presenza di grosse formazioni cistiche
perche la formazione cistica porta ad un aumento di peso dell’ovaio.
L’ovaio è come un panno steso sorretto da un filo che lo tiene su.
Questo filo è dato dal ligamento utero ovarico (lungo meno di 1 cm) e dal ligamento infundibolo pelvico che
tengono stirato l’ovaio, ossia tirato verso i due poli (l’utero da una parte e la pelvi dall’altra parte).
L’aumento di peso e di massa del mioma fa lentamente nel tempo prolassare l’ovaio (stirando sia il ligamento
utero ovarico sia il ligamento infundibolo pelvico).
La cavità di Douglas non è vuota, ma la vediamo vuota perché quando facciamo la laparoscopia poniamo la
paziente nella posizione di Trendelemburg vale a dire con la testa abbassata e le gambe verso l’alto e quindi
tutta la matassa intestenale scivola verso il diaframma e quindi ci libera lo scavo pelvico che vediamo libero
e pulito, ma in condizione normale la parte pelvica è occupata dalle matasse intestenali, perché il sigma retto
è fisso sulla parete addominale laterale, il colon discendente che poi passa nel sigma e che poi passa nel
retto; quello che si muove è la matassa intestinale con il suo omento.
Tutto questo è ricoperto dal peritoneo (tonaca sierosa) che permette agli organi di scivolare tra di loro.
Nella pelvi, dove c’è l’ovaio che è prolassato, c’è anche la matassa intestinale e quindi bastano dei movimenti
intensi (attività fisica , andare a cavallo, fare ginnastica, fare una capriola) per fare in modo che l’ovaio,
diventato estremamente mobile, non più teso e adeso
alla fossetta ovarica e potendo fare solo un movimento
di mezza rotazione sull’asse dei due ligamenti, comincia
a muoversi in tutte le direzioni.
Questo movimento è favorito anche dallo scivolare sulla
matassa intestinale perché è oleosa e quindi si ha che
l’ovaio gira su se stesso portando con se anche la tuba e
crea uno strozzamento dei vasi che lo dovrebbero
irrorare normalmente, cioè dei vasi contenuti nel
ligamento infundibolo pelvico e di quello ovarico.
Normalmente la torsione ovarica si verifica in donne
giovani che non hanno superato i 22-23 anni.

DIAGNOSI DIFFERENZIALI E CRITERI DI DIFFERENZIAZIONE


Un esame che in Italia esiste da meno di 10 anni è L’ECOGRAFIA che ci permette di fare una diagnosi abbastanza
precisa, pre-operatoria del tipo di cisti che abbiamo, invece prima si distingueva solo tra una cisti follicolare (in
gergo chiamata cisti follicolare sierosa semplice) ossia un mega follicolone non scoppiato e la cisti endometriosica
(un tumore conclamato).
Oggi invece abbiamo la possibilità di valutare il rischio che una cisti ha di essere una lesione tumorale maligna e lo
possiamo vedere anche in stadi iniziali non conclamati.
Un tumore dell’ovaio una volta che è conclamato, diffuso, ha caratteristiche abbastanza univoche, invece è molto
più difficile prenderlo agli stadi iniziali ed è proprio questo che deve fare l’ecografia: distinguere tra cisti luteinica
e corpo luteo cistico e la cisti endometriosica perché hanno due percorsi prognostici diversi; sono tutte cose che
riusciamo a fare abbastanza bene con l’ecografia.
C’è da dire che fare questo tipo di diagnosi non è da tutti i medici perché c’è chi riesce ad individuare una lesione
e chi no, ma non perché il medico non è in grado, ma semplicemente perché deve aver fatto un corso, essersi
registrato e aver fatto un certo numero di applicazioni.
La stessa cosa succede per l’ecografia del primo trimestre quando si fa la translucenza nucale (la valutazione della
plica nucale) in quanto il medico non può fare questa ecografia se non ha ottenuto un patentino, che si ha solo
dopo aver dimostrato di essere stati capaci di diagnosticare un certo numero di procedure.

77
CLASSIFICAZIONE IOTA (International Ovarian Tumour Analysis) (2000)
Uno score morfologico che divide le masse annessiali in 5 categorie, in base ai reperti ecografici.
1. Cisti uniloculare
Una cisti uniloculare senza setti e senza parti solide o strutture papillari.
Lo stroma ovarico normale non è considerato "solido", ad esempio una cisti peritoneale, contenente
un'ovaia normale, è uniloculare e non uniloculare-solido.

2. Cisti uniloculare mista


Una cisti uniloculare con un componente solida misurabile o almeno una struttura papillare). Questa
categoria può includere pio o idro salpinge con il cosiddetto aspetto beads-on-a-string
(perle di collana) o cogwheel (ruota dentata) se ≥ 3 mm. Se la parte solida contiene cisti molto
piccole, la massa potrebbe essere uniloculare-solida (vedi sotto).

3. Cisti multiloculare
Una cisti con almeno un setto, ma senza componenti solide misurabili o proiezioni papillari. La "lesione"
viene misurata come indicato dalle frecce (ultima immagine a dx).

4. Cisti multiloculare mista


Una cisti multiloculare con un componente solido misurabile o almeno una struttura papillare.

5. Massa solida,
Un tumore in cui i componenti solidi comprendono l'80% o più del tumore quando valutato in una
sezione bidimensionale

78
Esiste un’applicazione che possiamo tenere sul cellulare che mettendo insieme i vari parametri (cisti
uniloculari, cisti uniloculari mista, cisti multiloculare, trabecolature) ci da poi alla fine il calcolo, ci da delle
caratteristiche predittive di malignità o di benignità, questo non toglie la necessità di un esame
estemporaneo durante la chirurgia, però grazie a questo score possiamo programmare l’intervento e se
dobbiamo intervenire insieme ad un chirurgo.

Timmerman et Al. Ultrasound Obstet Gynecol (2005 o 2008, dalla slide non si legge c’è una macchia sull’ultima cifra)
PATOLOGIE ANNESSIALI BENIGNE
Cosa porta a pensare a una lesione benigna rispetto a una maligna?
CARATTERISTICHE PREDITTIVE DI MALIGNITÀ CARATTERISTICHE PREDITTIVE DI BENIGNITÀ
(M-rules) (B-rules)
M1: Massa solida irregolare M1: Massa uniloculare
M2: Presenza di ascite M2: Presenza componente solida con diametro
maggiore ≤ 7 mm
M3: Almeno 4 strutture papillari M3: Presenza di ombre acustiche
M4: Massa solida irregolare con diametro maggiore M4: Massa multiloculare superficie regolare, con
≥ 100 mm diametro maggiore < 100 mm
M5: Vascolarizzazione (color score 4) M5: Vascolarizzazione assente (color score 1)
Una nota va posta in merito alla presenza /assenza vascolarizzazione: la neoangiogenesi tumorale non è
differenziabile dalla neoangiogenesi fisiologica che appare durante il ciclo in periodo pre ovulatorio e poi
luteale, per questo è importante sottolineare che è cruciale realizzare l'analisi Doppler nella prima parte del
ciclo, nel miglior modo possibile tra 3° e 7° giorno, per evitare le modificazioni funzionali normali.

I criteri per cui una lesione si definisce benigna o maligna secondo questa classificazione sono:
• MALIGNITÀ: 1 o più M-rules in assenza di B-rules;
• BENIGNITÀ: 1 o più B-rules in assenza di M-rules;
• NON CLASSIFICABILE: M-rules e B-rules contemporaneamente.
Sensibilità 95%.
Specigicità 91%.
LR + 10.37.
LR – 0.06.
Valutazione ecografica da parte di ecografista esperto.

CRITERI DI Alcazar
• Presenza di aree solide
• Presenza di margini irregolari
• Presenza di vegetazioni (>3 mm)
• Presenza di setti spessi (>3 mm)
• Presenza di ascite

L’UTILIZZO DEI MARKERS BIOCHIMICI O MARKERS TUMORALI


• CA125;
• CA 19,9;
• 𝜶-Feto Proteina.
Sono quelli che supportano la diagnosi, ma sono di supporto in caso di forte positività, ma la loro negatività
non ne escluda la patologia.
Questi sono anche Markers di riferimento per patologia benigna (endometrioma) e/o borderline-maligna
sierosa- mucinosa in caso di dermoidi (teratoma cistico immaturo).
Nelle pazienti in premenopausa con tumefazioni annessiali semplici non sospette per endometrioma e/o
neoplasia, il CA125 e il CA19.9 non devono essere utilizzati per il rischio di elevati falsi positivi.
Altre condizioni che alterano questi valori (NB domanda fatta):

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• Condizioni fisiologiche legate a:
§ Ciclo ovarico;
§ Gravidanza;
• Condizioni patologiche quali:
§ Malattia infiammatoria pelvica;
§ Endometriosi
§ Epatopatie
§ Fumo
Cut off sospetto>200 U/ML.

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DESCENSUS (PROLASSO) VAGINALE

ANATOMIA DEL PAVIMENTO PELVICO


Il pavimento pelvico è la struttura che aiutano la statica pelvica,
è sostanzialmente un'area romboidale che si estende dalla
sinfisi pubica al coccige, chiudendo in basso la cavità addomino-
pelvica, circondando e sostenendo l'uretra, la vescica e la
vagina fino all'apparato ano-rettale. Lateralmente i suoi confini
sono sostanzialmente individuabili a livello delle tuberosità
ischiatiche.
Il punto più importante è quello centrale, laddove abbiamo il
passaggio da utero a collo dell’utero.
Quando si parla di pavimento pelvico vanno quindi distinti tre
piani muscolo-aponeurotici:
• Il diaframma pelvico rappresenta il triangolo di portanza
anteriore costituito dal muscolo elevatore dell’ano con
i suoi fasci pubo-rettali, pubo-coccigei e ilio-coccigei
che, sia a destra che a sinistra, formano come due
ventagli, caratterizzati da una sorta di perno comune (il
coccige).
A unire centralmente le due porzioni dell'elevatore
dell'ano, che di fatto costituiscono poi un'unica unità
funzionale, è invece il cosiddetto centro Fibroso
Tendineo uretrale del Perineo, situato tra canale
vaginale e rettale. Sulla linea mediana del diaframma pelvico troviamo infatti il cosiddetto Hiatus
Genitale, ossia un'apertura attraverso la quale passano sia il retto che la vagina e l'uretra.
Lateralmente, infine, il diaframma pelvico si inserisce lungo
il cosiddetto Arco Tendineo che scorre dal pube alla spina
ischiatica mentre al di sotto del piano dell'elevatore dell'ano
si trova la fossa ischio-rettale.
si viene a creare una vera e propria culla, costituita dal
muscolo elevatore dell’ano e dalle componenti tendinee.
Lo spaccato laterale fa vedere la presenza delle fasce di
contenimento: la fascia pubo-cervicale e la fascia retto-
vaginale che formano una concavità di supporto agli organi
pelvici. Frontalmente, andando dall’ano verso l’interno ,
verso la pelvi, si osserva la fascia di contenimento, simile ad
un fazzoletto, che si aggancia lateralmente e sostiene utero e retto.
• Il diaframma urogenitale ha invece la forma di un triangolo ed è situato inferiormente all'elevatore
dell'ano nella porzione anteriore del perineo. Tale triangolo è delimitato alla base dalla linea bis-
ischiatica, che idealmente unisce le due tuberosità ischiatiche; i lati sono rappresentati dalle
cosiddette branche ischio-pubiche di destra e di sinistra; il vertice è costituito dalla sinfisi pubica. Del
trigono urogenitale - come viene anche chiamato tale diaframma - fanno parte il muscolo Trasverso
Profondo del Perineo e i legamenti Pubo-Uretrali (questi ultimi svolgono il compito di guida e
sospensore dell’uretra).
Il diaframma urogenitale presenta infine un'apertura sulla linea mediana, attraverso cui passano
l'uretra e la vagina.
• Lo strato superficiale degli sfinteri è costituito da quattro muscoli:
§ L'ischio-cavernoso (dalla tuberosità ischiatica alla radice del clitoride);
§ Il bulbo-cavernoso o costrittore della vagina (dal Centro fibroso Tendineo del perineo al
clitoride);

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§ Il trasverso superficiale del perineo (dal Centro Fibroso Tendineo del perineo alla tuberosità
ischiatica);
§ Lo sfintere dell'ano (situato posteriormente).
La porzione anteriore dello strato degli sfinteri è anche detta loggia bulbo-clitoridea e accoglie i corpi
cavernosi del clitoride oltre ai bulbi del vestibolo.

DEFINIZIONE
Il cedimento del pavimento pelvico porta al prolasso degli organi
pelvici quindi utero, vescica e retto insieme o singolarmente per una
alterazione della statica pelvica determinata da:
• Alterata qualità dei componenti fondamentali dell'apparato
di sostegno del pavimento pelvico quali sono collagene ed
elastina;
• Sbilanciamento delle resistenze opponenti ai vettori
intraddominali;
• Inversione di direzione dell'asse vaginale;
• Perdita di dimora di organi pelvici (vescica, retto, piccolo
intestino epiplon ecc.);
• Complicanza tardiva post isterectomia o recidiva, in questo caso avremo il prolasso della cupola
vaginale cioè del moncone vaginale chiuso dopo isterectomia. Poiché anche se non c’è più l’utero c’è
la pressione addominale dei visceri addominali che gioca lo
stesso effetto.
In caso di descensus vaginale si ha innanzitutto una variazione
dell’angolo di flessione vaginale: nella condizione anatomica
normale abbiamo un angolo di circa 130° della vagina, dovuto alla
presenza della vescica e dell’utero.
Oppure possiamo avere primariamente una alterazione di
posizione dello stesso angolo, o, ancora, una associazione di queste
due condizioni.

FATTORI DI RISCHIO
Sono stati osservati diversi fattori di rischio.
CONGENITE
• Fattore è di tipo genetico. Alcune donne soffrono di malattie congenite (cioè presenti fin dalla
nascita) del collagene (collagenopatie), che rendono il pavimento pelvico più lasso e soggetto alla
lacerazione.
• Sindrome di Marfan
• Brevità congenita vagina;
ACQUISITE
Condizioni patologiche sistemiche:
• Obesità
• Sindrome metabolica
• Numero di parti vaginali: una donna che ha partorito più volte è maggiormente predisposta al
prolasso uterino. A causarlo è la somma delle contrazioni di più travagli.
• Invecchiamento. Una donna, superata la menopausa, produce meno estrogeni, ciò indebolisce la
muscolatura del pavimento pelvico.
• Precedenti interventi chirurgici agli organi pelvici. Donne, che ne sono state oggetto, hanno un
pavimento pelvico più debole.
• BPCO
• Stipsi idiopatica;
• Stazione eretta;
• Gravidanza;

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• Episiotomia inadeguata;
• Grande sforzo espulsivo;
• Gemellarità.

SETTORI INTERESSATI E SINTOMI

• Se abbiamo un prolasso di tipo ANTERIORE a livello del trigono vescicale prolassa la parete anteriore
della vagina sotto il peso della vescica. In questo caso abbiamo erniazione della vescica con
alterazione dell’angolo dell’uretra che prendono il nome di:
§ URETROCELE: inginocchiamento dell’uretra, ossia uno spostamento rispetto al suo asse
normale, il che porterà ad incontinenza urinaria;
§ CISTOCELE, che provoca ritenzione urinaria;
• Se abbiamo una deiscenza CENTRALE, quindi prolassa la parte fibrosa superiore della vagina, avremo
un ENTEROCELE, quindi un’erniatura intestinale che determinerà ingombro vaginale e
sintomatologia erniaria;
Parleremo in questo caso di PROLASSO DI VOLTA CENTRALE: si ha cedimento della parte centrale
(mentre la parte anteriore è quella che confina con uretra e vescica e quella posteriore corrisponde al
setto retto vaginale), cede la parte superiore e le anse intestinali iniziano ad entrare all’interno di
questo cedimento.
Il cedimento inizia sempre della parte centrale, si porta giù la vescica con risvolto peritoneale e
cambia completamente sia la posizione della vescica che dell’uretra, che forma un angolo.
Contestualmente si forma anche un modesto rettocele fino ad arrivare ad un prolasso (erniazione)
peritoneale con all’interno le anse intestinali. La vescica viene stirata verso il basso e diventa poco
continente e l’angolo uretrale viene completamente compromesso (questi sono casi estremi, ma non
infrequenti).
Se si incidesse la zona erniata, ci si troverebbe in cavità addominale e si vedrebbero le anse intestinali.
• Se abbiamo una deiscenza a livello POSTERIORE a livello del cavo del Douglas avremo un RETTOCELE
in cui avremo un cedimento, un ampliamento del tratto rettale che precede l’orifizio anale, definito
cul de sac dell’ampolla rettale, che porta con sé la vagina e provoca un ristagno di feci. Vedremo la
presenza di questo rigonfiamento che contiene feci con conseguente ingombro vaginale e
alterazione della defecazione;
• Infine in caso di difetti di fascia trasversale possiamo avere il cedimento totale di vescica, intestino e
retto erniati esternamente che quindi verificano la compresenza di cistocele, enterocele e rettocele
che determineranno incontinenza e/o ritenzione urinaria, ingombro vaginale e alterazione della
defecazione.
Tuttavia se il difetto di fascia trasversale è più laterale il prolasso è più ridotto nell’ambito del
cistocele.

83
Bisogna fare un discorso a parte per il prolasso dell’utero isolato (ISTEROCELE).
Questo rappresenta un falso problema in quanto la discesa dell'organo e sempre secondario ad alterazioni
congenite o acquisite dei sistemi di supporto e/o di sospensione.
La vagina e il collo dell'utero sono solidamente fusi, così che il prolasso della cervice (cioè il descensus al di
sotto del piano fisiologico) si accompagna necessariamente al prolasso della parte alta della vagina e si parla
di prolasso utero vaginale; in caso di de descensus del fondo vaginale dopo isterectomia si parla di prolasso
della cupola vaginale mentre quando essa giace totalmente al di fuori si parla di eversione vaginale.
Con o senza utero il prolasso è definito per INVERSIONE quando riguarda la parete della vagina seguito del
cedimento dei legamenti cardinali utero-sacrali: il loro indebolimento infatti sposta l'asse utero-vaginale
posteriormente così che scompare l'angolo di versione tra vagina e cervice e i due assi cervicale generale
diventano paralleli; in tal modo un allargamento dello hiatus genitalis (per alterazione delle pareti vaginali o
del piatto dell’elevatore) spinge l'utero e la vagina verso il prolasso, che aumenta in continuazione nel tempo
con l'incremento della pressione addominale.
La discesa della vagina trasmette una trazione alla cervice che può scendere insieme al corpo dell’utero
oppure soltanto allungarsi (ipertrofia longitudinale del collo) mentre il corpo dell’utero è trattenuto contro
la piastra dell' elevatore dell'ano: in entrambi i casi la parete vaginale anteriore trascina la vescica, ma
difficilmente compare rettocele almeno fino a che i diaframmi pelvico e urogenitali sono integri.
Il prolasso per eversione è tipico della metà inferiore della vagina ed è causato dalla mancanza di sostegno
da parte del diaframma pelvico e urogenitale la diagnosi è effettuata con la visita ginecologica:
§ se compare prima la cervice e poi il cisto-rettocele il prolasso è per inversione;
§ se compare prima il cisto-rettocele e prolasso per eversione.

Questa è la diapositiva di rafforzo a quanto visto prima con lastre di


risonanza con il prolasso della vescica (non cambia molto a livello della
vagina e del retto). Il cedimento della parte centrale in cui si incuneano
le anse intestinali (in questo caso la vescica ne rimane quasi indenne). Il
rettocele, in cui, in questo caso, è ceduta la parte posteriore.

SINTOMI
Il prolasso vaginale porta a:
• Disturbi anatomici che determinano un inestetismo;
• Disfunzioni sessuali;
• Riduzione della qualità della vita con:
§ Senso di peso, pienezza o di corpo estraneo protrudente dalla vagina;
§ Dolore o stiramento verso il Basso o verso l’inguine;
§ Problemi di deambulazione, erosione da sfregamento della cervice e eventuali sanguinamenti;
• Disturbi funzionali:
§ Nel caso del rettocele avremo avremo stipsi
§ Disturbi urinari poiché la caduta della vescica verso il basso comporta che l’angolo vescico-uretrale
venga alterato. Questo angolo è di per sé fondamentale per l’ottimale funzionamento dello
svuotamento vescicale; Se la vescica discende verso il basso, la prima conseguenza è la formazione
di un angolo più acuto, una sorta di gomito a livello vescico-uretrale e questo divente la principale
causa dei difetti di svuotamento vescicale che sono le condizioni più spesso associatae al prolasso e
anche le più facilmente correggibili. Avremo quindi:
- Ristagno di urina in vescica, ma anche a lungo andare negli ureteri e nel bacinetto renale con
conseguente rischio di infezioni ricorrenti delle vie urinarie o addirittura sepsi;
- Pollachiuria: aumentata frequenza della minzione;
- Nicturia: frequenti risvegli notturni con l’impellenza di andare a urinare;

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- Incontinenza urinaria e incapacità di svuotamenti rapidi delle urine;
- Tenesmo vescicale;
Però c’è un’altra patologia che nulla potrebbe avere a che fare con il prolasso utero-vaginale e che
comporta gli stessi sintomi urologici: Parliamo della iperattività del detrusore.
Il detrusore è il muscolo principale della vescica.
Esistono delle condizioni di carattere sistemico come:
- Patologie neurologiche (ictus, sclerosi multipla);
- Patologie post-traumatiche della colonna (paresi: in questo caso si verifica in vescica un
corrispettivo delle fascicolazioni nei paraplegici);
- Ipereattività detrusoriale idiopatica, spesso associata a periodi di minore tenore estrogenico,
quindi in menopausa; gli estrogeni intervengono sul trofismo sia della parete vaginale che della
mucosa vescicale, e anche sul tono muscolare di vari muscoli, incluso il detrusore. In
concomitanza con un minore tenore estrogenico la vescica perde la naturale correlazione che
c’è, nella minzione, tra contrazione del detrusore e contemporaneo rilassamento dello sfintere,
che si traduce in un’urgenza minzionale, anche frequente, specie in alcuni periodi.
Come fare diagnosi differenziale tra incontinenza da urgenza dovuta a un prolasso e l’incontinenza
da urgenza dovuta a iperattività del detrusore? Con l’esame uro-dinamico, ovvero una cisto-
manometria e una flussometria.
Se ho un’anomalia anatomica come il prolasso innanzitutto il flusso è più lungo di 13 secondi, c’è
l’ausilio del torchio addominale, perché la paziente si sforza per riuscire a urinare e si vede dal
catetere rettale che mostra un aumento della pressione endoaddominale, e soprattutto il flusso
non è a campana, ma molto più basso, certe volte interrotto, con onde di svuotamento.
Al termine si fa una valutazione ecografica della vescica del residuo: un residuo superiore ai 100 cc
è abbastanza significativo e indicativo di disturbo di svuotamento delle vie urinarie.
È chiaro che un difetto di svuotamento può non essere legato solo al prolasso, ma anche a una
condizione di ipotonicità del detrusore, per questo si integra sempre la diagnosi con l’anamnesi.
Fare la diagnosi differenziale è importante soprattutto ai fini terapeutici in quanto per
l’iperreattività del detrusore la terapia è con farmaci 𝛽2 – mimetici o con infiltrazioni di tossina
botulinica ogni 6/7 mesi.

DIAGNOSI
Come sempre si integra l’anamnesi e l’esame obiettivo a vescica vuota con esami strumentali come
l’ecografia che può essere sia translabiale che transperineale che intrauretrale per esaminare le varie porzioni
e eventualmente andare a stadiare il prolasso.
Eventualmente può essere effettuata anche la risonanza magnetica consentendo di ottenere immagini
chiare.
Per quanto riguarda la preparazione al trattamento chirurgico conviene sempre associare al contorno
ecografico, un’isteroscopia e anche il PAP eventualmente.

STADIAZIONE
1° Grado metà vagina
2° Grado imene
3° Grado tutto fuori

POP-Q system
Stadio 0: Nessuna discesa al ponzamento
Stadio I: Il limite inferiore del prolasso è > 1cm sopra l’imene (hymenal ring)
Stadio II: Il piano passante per il margine inferiore del prolasso si estende da > 1 cm sopra a 1 cm oltre l’imene
Stadio III: Il prolasso si estende da 2 a 3 cm oltre l’imene, senza però completa eversione vaginale
Stadio IV: L’eversione vaginale è completa.

TERAPIA
Gli obiettivi terapeutici sono:

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• Alleviare la sintomatologia;
• Ricostruire sia un’anatomia normale;
• Ristabilire una normale funzionalità;
• Garantire un risultato duraturo nel tempo.
Per quanto riguarda propriamente il trattamento abbiamo diversi tipi di possibilità:
• Riabilitazione del pavimento pelvico, chinesiterapia comportamentale, biofeedback e stimolazione
elettrica funzionale;
• Uso del pessario: un anello di gomma che molto semplicemente viene inserito all’interno della vagina,
schiacciandolo fra le dita, in modo tale da dargli una forma ad ogiva e poi riprende la sua forma rotonda
in cui al centro si posiziona il collo dell’utero.
Proprio per la sua forma, riesce a sopperire e a fare ciò che avrebbero dovuto fare i legamenti
mantenendo l’utero in sede.
I problemi legati al pessario che era chiamato “il metodo della nonna” perché era l’unico sistema
esistente anni fa prima che intervenisse la chirurgia vaginale sono:
1. La scelta delle dimensione: non bisogna usare né uno troppo piccolo che fuoriesca al primo colpo
di tosse né troppo grande che si metta in obliquo e non svolga adeguatamente la sua funzione
provocando dolore alla paziente. Tuttavia essendo molto economici se ne possono acquistare di
più misure e vedere quale va meglio;
2. Igiene intima: questo corpo estraneo rimane nella vagina e richiede attenzione dal punto di vista
dell’igiene intima con il rischio, se ciò non avviene, di generare una serie di infezioni vaginali molto
fastidiose.
È un trattamento che, qualora si riesca a calibrare adeguatamente, può sopperire alla chirurgia ed evita
che il prolasso si renda evidente all’esterno e, grazie al riposizionamento dei giusti angoli, si annulla
quasi del tutto il problema legato alla vescica e all’incontinenza. Dove ciò non avvenga abbiamo bisogno
della chirurgia.
• Chirurgia
Abbiamo soluzioni:
§ Vaginali con accesso dal basso che per molti anni è stato il trattamento chirurgico dei prolassi che
includevano rettocele e cistocele laddove c’erano prolassi e non c’erano situazioni di utero
particolarmente complesse.
In questo modo si rimodellano i piani vaginali anteriori e posteriori: togliendo il tessuto in
abbondanza che crea il sacco sia anteriormente che posteriormente, si spinge la mucosa verso
l’interno e si accostano i lembi, cui è stato asportato il materiale in eccesso, andando così a
ricostruire una parete vaginale più tenace e trofica rispetta a quella ormai ceduta.
Sono metodiche non invasive, cioè che non prevedono l’asportazione dell’utero e la correzione di
cistocele e rettocele, che prevedono queste mesh, queste reti. Queste sono svariate, hanno varie
applicazioni a seconda delle varie problematiche presenti. Tutte volte a immettere una banderella
lateralmente che riporti, passando sotto determinati organi, che ricostituisca l’anatomia. Tecniche
vaginali:
• Omologhe:
§ Richter con idice di cura pari al 80/93%, bassa morbilità, ma elevate recidive anteriori,
I.U.S. de novo, Dispareunia e stipsi.
• Protesiche:
§ Trans Vaginal Mesh
§ ICS
§ SCS
§ Laparotomiche con accesso del’addome;
§ Laparoscopiche con accesso in endoscopisa;
In questi ultimi due casi si può svolgere la chirurgia di sospensione o colposacropessia, in cui con
una banderella di materiale come il titanio, molto resistenti, si aggancia l’utero al promontorio
sacrale. Quindi si fa una specie di tirante che riporta l’utero verso l’alto. Negli ultimi anni, ultima
decade, ha preso sempre più piede un altro tipo di intervento che si fa laddove abbiamo:

86
• Una presenza di utero pressoché normale;
• Un’età della paziente non superiore ai 65-70 anni;
• Un prolasso prevalentemente di utero, quindi centrale.
In questo caso non si fa una colposacropessia, ma si fa banalmente una sospensione: si passa da
capo a capo, da spina a spina, una sottile banderella, che va lateralmente a ponte sulla superficie
dell’utero e risale dall’altro lato. In questa maniera viene agganciata lateralmente, passa al di
sotto dei legamenti rotondi e ristabilisce esattamente una sospensione, un’anatomia normale. È
poco invasiva, è laparoscopica e non fa nessun tipo di chirurgia demolitiva.
Si monta solo la benderella, che fa esattamente un semicerchio lateralmente e da un lato all’altro
della parete addominale, passando sotto i ligamenti rotondi sulla parete anteriore dell’utero a
livello della piega vescico-uterina e poi lateralmente. Questa tecnica non è riportata in molti testi,
proprio perché è una tecnica molto recente. Questa tecnica si chiama POPS (Pelvic Organs Prolaps
Suspension) ed è una tecnica puramente laparoscopica.

Descrizione video su tecnica POPS:


Si taglia la banderella (questa è laparoscopia), la si fissa sulla parete anteriore dell’utero a livello della
plica vescico-uterina, si fissa l’estensione centrale e lateralmente, pochi centimetri sotto la spina ischiatica,
si fa un buchino da cui si infila, senza perforare, uno strumento che scivoli sotto il peritoneo, sopra i vasi
pelvici, sotto il ligamento rotondo e si tira fuori un capo della banderella.
Il capo della banderella viene poi fissato, si passa dall’altra parte sopra i vasi pelvici, sotto il ligamento
rotondo... capo della banderella dove abbiamo fatto l’incisione del peritoneo, lo tiriamo fuori dall’altra
parte, ricostruiamo il peritoneo e in questa maniera l’utero è stato tirato come se gli avessimo dato due
nuovi legamenti rotondi sopra i vasi pelvici e viene agganciato lateralmente. In questa maniera abbiamo
sopperito a quello che ha ceduto.

Quando si fanno questi tipi di intervento, ovviamente, essendo pazienti con una certa età, di solito superiore
alla menopausa, si preferisce asportare gli annessi, tube e ovaie, in maniera tale da fare insieme al
trattamento del prolasso, anche una prevenzione verso il nemico maggiore, il tumore dell’ovaio.

È ovvio che, lasciando in sede l’utero, andrà consigliato di eseguire i normali controlli come isteroscopia e
PAP test. )

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TUMORI MALIGNI DELLA VAGINA

Sono molto rari. Il tumore della vagina tra i tumori ginecologici è il meno comune, rappresentandone meno
dell'1% (Il tumore ginecologico più frequente è il tumore dell'endometrio, seguito dal tumore dell'ovaio,
tumore della cervice, tumore della vulva ed infine dal tumore della vagina al 5o posto).
Non ci sono grosse differenze rispetto alle neoplasie della vulva ed alle neoplasie della cervice, sia dal punto
di vista clinico che dal punto di vista patologico.
Viene diagnosticato in media intorno ai 60 anni.

EZIOPATOGENESI:
Esattamente come tutte le patologie del basso tratto genitale femminile, riconosce un fattore di rischio
prevalentemente di natura virale, collegato all'HPV.

FASI TUMORALI:
Anche a livello vaginale (analogamente al VIN nella vulva ed al CIN nella cervice) si hanno fasi pre-invasive
lentamente progressive chiamate VaIN (vaginal intraepithelial neoplasia).

FORME PRIMITIVE:
• Tumori squamosi: rappresentano la quasi totalità delle forme primitive.
• Adenocarcinomi: sono meno frequenti;
• Melanoma: molto raro, ma ci può essere, come per tutti gli epiteli che contengono melanociti.
• Adenocarcimoma a cellule chiare: forma particolare, molto raro (oggi quasi non si vede più) ma molto
peculiare. Si tratta di un tumore ghiandolare che si manifesta in donne molto giovani (2°-3° decade di
vita) e che sono state esposte al farmaco Dietilsilbestrolo, un ormone sintetico che negli anni ’50-60
veniva somministrato alle donne in gravidanza per scongiurare la minaccia di aborto. Questo farmaco
era in grado di indurre delle importanti modificazioni nella vagina del feto, che potevano poi evolvere in
adenocarcinoma a cellule chiare.

FORME SECONDARIE:
Sono più comuni, provengono solitamente da tumori della cervice uterina o della vulva.

SEGNI E SINTOMI:
• Forma non invasiva (VaIN): di solito è completamente asintomatica.
• Forma invasiva: può determinare una perdita ematica vaginale spesso post-coitale (il traumatismo
indotto dalla penetrazione può determinare sanguinamento) e leucoxantorrea (perdite acquose
vaginali).
• Forme invasive più avanzate: essendo la parete della vagina molto sottile, il tumore può portare ad
una scompaginazione della parete vaginale anteriore che si protrae a livello della vescica e dell’uretra,
creando fistole vescico-vaginali o uretro-vaginali, oppure può scompaginare la parete vaginale
posteriore, infiltrare il retto e quindi dare fistole retto-vaginali.

DIAGNOSI:
• Forme non invasive essendo asintomatiche vengono identificate esclusivamente con il Pap-test.
Tramite lo speculum è possibile ispezionare la vagina. Di solito riscontriamo una lesione ulcerata o
vegetante, che è necessario sottoporre a biopsia (con anestesia locale) per avere la diagnosi. La maggior
parte delle lesioni sono nel 1/3 superiore, quindi vicine alla cervice, meno frequentemente sono nel
1/3 inferiore.
Nei casi in cui si abbia un interessamento contestuale di vagina e cervice, si definisce il tumore come
primitivo della cervice.
• Forme più avanzate è utile eseguire una cistoscopia o una rettoscopia per valutare una eventuale
infiltrazione di vescica e retto.

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• Forme ancora più avanzate valutazione strumentale con risonanza magnetica e TAC per escludere la
malattia a distanza.

Lesione vaginale vegetante, di colorito rossastro, RMN: la parte rotonda bianca in alto è la vescica con contrasto, la parte sferoidale
sanguinante. Si può osservare facilmente divaricando posteriore è il retto. Al centro c'è questa lesione vaginale che sfiora sia la parete
l'introito vaginale. vescicale che la parete rettale, tende a sfioccarsi nel parametrio (baffo di tessuto che
contiene i vasi e l'uretere, che dalla vagina si porta verso la parete pelvica

VIE DI DIFFUSIONE:
• Diffusione locale → Solitamente infiltra i tessuti para-vaginali, in avanti la vescica, dietro il retto.
• Diffusione per via linfatica → La metà inferiore della vagina tende a diffondere a livello dei linfonodi
inguinali (esattamente come la vulva).
La metà superiore invece diffonde verso i linfonodi pelvici (esattamente come la cervice).
• Diffusione per via ematica → È abbastanza rara, è un evento tardivo che di solito interessa polmone,
fegato e ossa.

STADIAZIONE:
(«al solito non dovete impararla, ricordatevi che esistono 4 stadi »):
La stadiazione viene eseguita mediante il sistema FIGO (Federazione Internazionale di Ginecologia de
Ostetricia) e non con il sistema TNM.
È estremamente importante in quanto ci consente di definire la modalità del trattamento più adeguato a
quello stadio, delinea la prognosi e quindi la sopravvivenza e consente di poter correlare le casistiche tra le
varie strutture.
• STADIO 0 = forma non invasiva (VaIN)
• STADIO 1 = tumore molto piccolo, limitato alla vagina
• STADIO 2 = tumore che va oltre i tessuti vaginali
• STADIO 3 = interessamento della parete pelvica
• STADIO 4
§ 4a = interessamento di vescica/retto
§ 4b = malattia a distanza

TERAPIA:
• Forme non invasive (stadio 0):
A. Terapia chirurgica: nelle primissime fasi si utilizza un trattamento chirurgico.
Possiamo fare una escissione chirurgica o laser ablazione;
B. Trattamento farmacologico topico con fluorouracile topico (che dà un forte bruciore).
• Forme più avanzate:
A. Trattamento combinato chemio-radioterapico concomitante seguito da brachiterapia.
È preferito nelle forme più avanzate alla vaginectomia parziale o totale, in queste forme
quindi la chirurgia perde il suo ruolo. Bisogna infatti tenere conto del fatto che la parete
vaginale è molto sottile e si trova a diretto contatto con vescica e retto, si avrà quindi
difficoltà ad avere un margine sano sufficiente ma anche difficoltà di ricostruzione della
vagina.

89
La Radioterapia esterna consiste nell’erogazione di un fascio di elettroni (in genere tra i 45
e i 50 Gray) su un campo, di solito un quadrato (campo bersaglio).
Di solito viene associato un trattamento chemioterapico concomitante a base di platino in
quanto si è visto che aggiungere piccole dosi settimanali di chemioterapia potenzia l'azione
della radioterapia.
Alla radioterapia esterna di solito si fa seguire una brachiterapia (radioterapia interna)
endovaginale con iridio o con cesio. È molto indicata in quanto la vagina, essendo un organo
cavo, accoglie molto bene al suo interno l’applicatore (sorgente radioattiva).
• Fistola vescico-vaginale o retto-vaginale:
A. Terapia chirurgica palliativa: in questo caso si può fare un exenteratio anteriore, posteriore
o totale, al fine di rimuovere in blocco tutta la parte interessata.

PROGNOSI:
La sopravvivenza è abbastanza scadente a causa delle difficoltà nel fare diagnosi precoce. Una certa quota di
tumori vengono diagnosticati in fase ormai avanzata.

90
CARCINOMA DELLA CERVICE UTERINA

Il carcinoma della cervice è un tumore molto particolare per diversi motivi: è il tumore nel quale si applicano
benissimo le procedure di prevenzione:
• Prevenzione primaria (vaccino contro l’HPV): ovvero l'eliminazione delle cause tramite l'utilizzo
della strategia vaccinale, la quale ha determinato quasi un azzeramento dell'incidenza e della
mortalità per carcinoma della cervice uterina nei paesi industrializzati.
• Prevenzione secondaria (screening: Pap-Test): Il carcinoma della cervice uterina, prestandosi
benissimo alla diagnosi precoce, è il tumore per eccellenza per il quale si esegue lo screening
mediante il Pap-Test.
Queste due procedure hanno determinato un notevolissimo calo sia dell’incidenza che della mortalità.
Allo stesso tempo però è uno straordinario esempio di disuguaglianza sociale poiché è un tumore che
interessa ormai quasi esclusivamente i paesi poveri e poco sviluppati e le classi sociali più povere. Questo
in quanto in questi paesi vi è un generale minor accesso alle cure e vi è una carenza delle strategie preventive
prima citate.
Considerato complessivamente si tratta di un tumore comune, nel mondo è la seconda causa di mortalità. Ci
sono circa 500.000 nuovi casi ogni anno, ma il 75% di questi si presentano nei Paesi non sviluppati.

Nei paesi in blu scuro (paesi dall'Africa Sub-sahariana, del Sudamerica, del sud-est asiatico) l'incidenza di
questa malattia è estremamente alta, soprattutto in confronto con i Paesi chiari dove la mortalità e
l'incidenza sono quasi azzerati.
**Digressione sul grande interesse di Bill Gates per quel che riguarda il virus dell'HIV, meno per il carcinoma della cervice,
nonostante l'incidenza e la mortalità siano il doppio rispetto all'HIV (dove i farmaci antivirali hanno una certa azione,
ma non prevengono l'insorgenza della malattia) e nonstante la possibilità di fare prevenzione ed eradicazione della
malattia.**

FATTORI DI RISCHIO
• Infezione da HPV (Human Papilloma Virus): rappresenta il principale fattore di rischio per il carcinoma
della cervice. La presenza dell'HPV raggiunge il 99% nei tumori della cervice, questo significa che nella
quasi totalità dei tumori alberga un ceppo dell'HPV, in particolare i sierotipi ad alto rischio (16, 18, 31,
41).

91
• Fattori di rischio addizionali Sono quelli che venivano considerati come le cause della neoplasia prima di
scoprire il virus dell'HPV:
Quando non si conosceva il virus, si pensava che il tumore della cervice fosse “il tumore delle donne dai
facili costumi”, donne che avevano un'attività sessuale molto precoce, con multipli partner, ognuno dei
quali a sua volta ad alto rischio.
Tutto questo faceva pensare, complice anche la presenza di coinfezioni da Mycoplasma o da Herpes, che
il tumore della cervice fosse un tumore sessualmente trasmesso e che ci potesse essere qualche fattore
correlato con il rapporto sessuale, ma che non conoscevamo e che, successivamente, è venuto fuori con
gli studi sul virus dell'HPV.
Fumo: Il riscontro dell’abitudine al fumo in pazienti con tumore alla cervice è molto elevato,
probabilmente perché il fumo riduce il numero di cellule di Langherans dell'epitelio cervicale.
Stati di Immunodeficienza: tutte le condizioni che possono determinare un quadro di
immunosoppressione più o meno grave possono associarsi a un aumentato rischio di sviluppare il
carcinoma della cervice.
L'osservazione più comune di questo stato immunosoppressivo è nell'HIV. Nei vari stadi della malattia
da infezione da HIV, il passaggio da AIDS Related Complex (stato di malattia subclinica) ad AIDS
conclamato è legato alla presenza di neoplasie HIV-correlate tra cui sarcoma di Kaposi, linfoma di Burkitt
e carcinoma della cervice. Ci possono essere poi condizioni di immunodeficienza congenita o condizioni
di immunodeficienza acquisita iatrogena in soggetti che fanno immunoterapia soppressiva per trapianti
o più banalmente nel LES (Lupus Eritematoso Sistemico) o in altre forme di tipo disreattivo.

CARCINOGENESI:
Nel corso degli anni (grazie anche agli studi del premio nobel per la medicina Harold zur Hausen) si è riusciti
a comprendere il processo di carcinogenesi indotta dall'HPV.
L’infezione da HPV è infatti una condizione necessaria ma non sufficiente per determinare la neoplasia.
L'HPV è un virus a DNA, comunissimo, che presenta una serie di geni con diverse funzioni, questi vengono
identificati come geni E (Early, precoci) e una serie di altri geni detti geni L (Late, tardivi).
Il virus è in grado di integrare il proprio genoma nel genoma delle cellule ospiti, in particolare le cellule dello
strato basale dell'epitelio pluristratificato squamoso non cheratinizzato presente a livello della cervice
uterina.

NB!: C’è una discrepanza tra quanto detto dal professore a proposito dell’azione delle proteine oncogene virali dell’HPV
e quanto scritto su libri di testo e siti internet. Ciononostante verrà di seguito trascritto quanto da lui detto a lezione. A
seguire si riporta quanto scritto sul libro “Oncologia medica – F. Ciardiello – 2oEd. Cap 25: neoplasie della cervice uterina,
p466” a proposito del ciclo vitale dell’HPV.
Prof. Cormio:
Il primo tempo quindi è dato sostanzialmente dall'integrazione. Il secondo tempo, quello mediato dalle
proteine E6 ed E7, è quello in cui si ha un meccanismo di attivazione (?) della p53 e della pRB.

Il ciclo vitale del virus attraversa le seguenti fasi:


1. Fase episomale, non replicativa, in cui il DNA virale non è integrato e corrisponde allo stadio di
infezione subclinica.
2. Fase replicativa in cui il DNA è integrato ed il virus si replica e che corrisponde allo stadio di infezione
clinica in cui le cellule subiscono l’effetto citopatico (coilocitosi)
3. Fase di attivazione, in cui infine vi è espressione delle proteine oncogene virali (v-onc) E6 ed E7, che
provocano la degradazione delle proteine oncosoppressorie della cellula ospite, rispettivamente P53
ed Rb. Inoltre E7 promuove il ciclo cellulare mediante l’up-regulation della ciclina E.

Sono due i principali meccanismi con cui l’integrazione del DNA virale in quello dell’ospite può portare allo
sviluppo di un tumore:
1. Bloccando la via di apoptosi cellulare
2. Bloccando la sintesi delle proteine regolatorie causando mitosi non controllate

92
Nella fisiologia normale, p53 ed Rb sono coinvolte nella regolazione delle cellule con un DNA
mutato o danneggiato.

Questi processi sono quelli in grado di innescare, dopo l'integrazione nel genoma umano, una serie di
meccanismi che portano ad una trasformazione neoplastica estremamente lenta e progressiva,
comportano una crescita delle cellule displastiche dapprima nello spessore dell’epitelio, quindi si parla di una
forma di carcinoma in situ (lesione intraepiteliale) meglio nota come CIN (Cervical intraepithelial neoplasia)
, se questo processo continua nella sua lenta progressione si avrà poi la trasformazione neoplastica vera e
propria.
Ovviamente l’inibizione della p53 altera il processo di apoptosi e modifica i meccanismi di riparazione del
DNA. Tutto questo comporta l'innescarsi del processo neoplastico.

L’HPV è un virus ubiquitario, comunissimo, esistono tanti ceppi virali che vengono numerati (oggi siamo
arrivati intorno ai 160, ma questo numero è in continua crescita) e vengono classificati come sierotipi a basso
rischio e sierotipi ad alto rischio (16 e 18 i più noti). Però, come detto prima, il virus da solo non è in grado
di determinare la malattia, esistono quindi degli altri fattori associati che agiscono come concause detti
fattori di rischio addizionali.
Sulla base di tutti questi dati il virus può
determinare la malattia e la zona preferenziale di
integrazione del virus è la giunzione squamo-
colonnare che di solito dal punto di vista
topografico corrisponde all’orifizio uterino
esterno, quindi la parte più bassa del canale
cervicale dove vi è la fusione e quindi il
progressivo passaggio dall'epitelio esocervicale
(squamoso pluristratificato non cheratinizzato, lo
stesso della vagina e della vulva) all'epitelio
endocervicale (monofilare ghiandolare semplice).
Questa è una zona che noi diciamo essere
fortemente attiva, che facilmente va incontro a
metaplasia, un processo di trasformazione non
neoplastico, non maligno, ma che rende questa
zona più suscettibile all’insorgenza del tumore, che quindi sarà quella che noi dobbiamo andare a guardare,
dove va effettuato il PAP-test e dove va fatta la biopsia colposcopica.

Quando noi abbiamo una paziente in posizione litotomica, con gambe divaricate, inserendo lo speculum noi
vediamo i fornici vaginali e al centro vediamo il muso di tinca del collo dell'utero (esocervice), che a sua volta
ha una porzione centrale di colore diverso che corrisponde appunto alla giunzione squamo-colonnare.

CLASSIFICAZIONE ISTOLOGICA
Abbiamo detto prima che il virus può essere ad alto rischio o a basso rischio.
• LESIONI BENIGNE DA SIEROTIPI DI HPV A BASSO RISCHIO:
Il virus può trovare una ricettività dell'organismo femminile estremamente differente: in alcune
circostanze il virus a basso rischio può dare il condiloma, ovvero la cresta di gallo sulla vulva, sulla
vagina, sulla cervice, cioè una trasformazione istologica benigna (una forma fortemente infettiva è
la cosiddetta verruca, ma non dà alcun tipo di problema).
• LESIONI DA SIEROTIPI DI HPV AD ALTO RISCHIO
Al contrario, se noi abbiamo un virus ad alto rischio e se questo virus dopo aver infettato l'apparato
genitale di quella donna persiste per un lungo periodo e se vi sono quella serie di fattori associati
prima citati, tutto questo può innescare un processo che progressivamente determina una lesione
intraepiteliale detta Cervical Intraepithelial Neoplasia (CIN), cioè una displasia, un'alterazione
cellulare dello strato più basale dell'epitelio che cresce verso l'alto interessando progressivamente
gli strati più superficiali dell’epitelio fino ad interessarlo a tutto spessore:

93
§ CIN-1: cellule atipiche occupano 1/3 basale dell’epitelio.
§ CIN-2: cellule atipiche occupano 2/3 basali dell’epitelio.
§ CIN-3: cellule atipiche occupano l’epitelio a tutto spessore.

Come rappresentato dalle frecce di ritorno nella figura accanto queste


lesioni possono andare incontro a regressione spontanea: hanno un basso
grado di evolutività e possono regredire.
Questo accade soprattutto per il CIN1 e qualche volta per il CIN2, molto
meno frequentemente per il CIN3.
Questa classificazione è una classificazione istologica, che si può definire
(low-grade SIL) dopo aver fatto una biopsia, ovvero dopo aver analizzato il tessuto, ma
nella maggior parte dei casi si fa diagnosi con il il Pap-test (quindi con
(high-grade SIL) l’esame citologico su cellule esfoliate).

CLASSIFICAZIONE CITOLOGICA
Dal punto di vista citologico esiste una correlazione con la classificazione istologica.
Con il Pap-Test il citologo può classificare le lesioni displastiche come lesioni squamose intraepiteliali o
Squamous Intraepithelial Lesions (SIL): si vedono queste cellule displasiche che vengono classificate in due
gruppi:
1. L-SIL: lesioni squamose intraepiteliali di basso grado (corrispondenti al CIN-1).
2. H-SIL: lesioni squamose intraepiteliali di alto grado (corrispondenti a CIN-2 e CIN-3), con alto grado
di evolutività e scarsa possibilità di retroconversione.

Immagine: Progressione quasi diagonale verso l’alto delle cellule,


dal CIN-1 verso il CIN-3

Immagini di istologia in alto a sinistra:


si nota che le cellule con nucleo viola sono solo alla base, in alto ci sono le cellule bianche a scodella i cosiddetti
coilociti, espressione dell'infezione virale. Se lo stimolo prosegue si passa al CIN2, quindi le cellule scure, quelle
viola, sono presenti nei 2/3 basali dell'epitelio, nel CIN3, l'ultima immagine sulla destra in alto, le cellule sono
presenti a tutto spessore.
Questo è quindi un processo lento e progressivo che porta via davvero tanti anni, per questo si può
facilmente applicare lo screening.

Immagini di citologia in basso a sinistra (quello che si vede con un Pap-test). Nella prima colonna si vedono le
cellule normali, nella seconda colonna la displasia è lieve, cioè quella che si chiama L-SIL, nelle ultime due colonne
sulla destra sono descritte displasie gravi, quindi quelle definite H-SIL (corrisponde al CIN-2/CIN-3).

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Questo schema vi fa vedere quanto sia lungo il
tempo necessario per avere la progressione di
malattia.
Il tempo che intercorre tra l'epitelio normale,
l'infezione HPV, la coilocitosi ed il CIN-1 porta via
dei mesi. La progressione al CIN-2/CIN-3 (cioè
lesioni di alto grado) è di anni, quindi c'è tutto il
tempo con lo screening di fare
diagnosi precoce.
Il tempo è ancora più lungo affinché le cellule
scompaginino, infiltrino la lamina basale quindi
vadano nel connettivo sottostante, diventando
carcinoma micro-invasivo e poi francamente invasivo. Il periodo utile per fare lo screening può essere
lunghissimo.
Il trattamento va dal CIN-2 in poi.

Vi è un continuum tra lesioni non invasive (CIN) ed il tumore invasivo, ma le due condizioni sono anche molto
differenti:
La lesione non invasiva è asintomatica per definizione (non da né sintomi né segni clinici della malattia), si
scopre solo eseguendo le procedure di screening (Pap- test ripetuto nel tempo).
Questo spiega perchè nei paesi non sviluppati (Africa, Asia, etc) il tumore non invasivo non esista, esiste solo
il tumore invasivo (sintomatico, grave e mortale).
Nei paesi sviluppati invece, dove c'è la vaccinazione e lo screening, la stragrande maggioranza dei casi sono
tumori non invasivi (subclinici), quelli che noi vediamo solo col Pap-test.
Io posso dirvi che ormai i tumori della cervice che noi abbiamo sono per l'80% non invasivi, nel restante 20%
ritroviamo donne straniere provenienti ad esempio dal Sud-Est asiatico o dall’Europa dell’Est (la filippina o la
georgiana che vengono qua a lavorare) , in cui abbiamo tumori molto avanzati (e con manifestazione clinica
molto tardiva).

CARCINOMA NON INVASIVO (CIN-1, CIN-2, CIN-3)


Nella forma non invasiva quindi (visto che quella invasiva dovrebbe scomparire come nei Paesi scandinavi e
anglosassoni) abbiamo come arma a nostra disposizione il Pap-test.
PAP-TEST
È un esame basilare.
Si chiama Pap-test in quanto è stato inventato alla fine degli anni ‘50 dal Dottor George Papanicolau,
un anatomopatologo greco che alla fine della seconda guerra mondiale andò negli Stati Uniti ed ebbe
questa grandissima intuizione nel capire che prelevando le cellule esfoliate dalla superficie della
cervice uterina e strisciandole su un vetrino, con una apposita colorazione (la colorazione di
Papanicolau) era possibile fare una diagnosi precoce di carcinoma alla cervice.
Procedura: Si posiziona la paziente sul lettino, si inserire
lo speculum, e con degli appositi strumenti (spatola e
cytobrush) si vanno a prelevare le cellule a livello della
giunzione squamo-colonnare, la zona più a rischio.
(Attenzione! Prelevare le cellule a livello del fornice
vaginale o nella parte bassa del collo potrebbe dare
come risultato un falso negativo).
Queste cellule possono essere prelevate con questi
due strumenti, quello che vedete sopra si chiama
spatola di Ayre (pronuncia ”air”), ed ha una forma che
si adatta al muso di tinca della cervice: la parte tonda più
lunga e sporgente entra nel canale cervicale e si fa
ruotare di 360° in modo da prelevare tutte le cellule, proprio a livello della giunzione squamo-
colonnare.

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Quello che vedete sotto invece si chiama cytobrush, uno spazzolino che vi consente di prendere le
cellule dal canale cervicale.
Queste cellule così prelevate vengono strisciate su un vetrino, vengono colorate e date al citologo
che le legge.

La vecchia classificazione del Pap-test secondo Papanicolau prevedeva 5 classi:


• Classe I: è nella norma, le cellule sono normali.
• Classe II: c’è un fatto infiammatorio, irritativo benigno.
• Classe III: è dubbia, Papanicolau quindi ammetteva di non riuscire a fare una diagnosi precisa
visionando queste cellule.
• Classe IV: corrisponde a displasia.
• Classe V: è il carcinoma.
La nuova CLASSIFICAZIONE DI BETHESDA: (città nel Maryland, dove nel 1990 si sono incontrati esperti
di citologia e ginecologia, i quali hanno rivisto la classificazione di Papanicolau) ha sostituito la
classificazione di Papanicolau.
Ha una serie di vantaggi:
• In primo luogo il citologo deve esprimere la qualità del prelievo, specificando se ci sono
cellule endocervicali o esocervicali;
• Si deve specificare se il vetrino è offuscato per esempio dalla presenza di sangue, o se si tratta
di artefatti tecnici.
Le classi invece sono rappresentate da:
1. Normale (corrisponde alla Classe I);
2. Infiammazione (corrisponde alla Classe II): specificare la causa dell'infiammazione: da
radioterapia, da Candida, da Trichomonas, da Mycoplasma, in modo che il ginecologo possa
trattarla al meglio;
3. Unknown Significance (significato sconosciuto) (corrisponde alla Classe III): analogamente
alla classe III di Papanicolau definita dubbia, il citologo non riesce a esprimere un giudizio.
Viene ulteriormente specificata in due classi:
A. ASC-US (alterazione delle cellule squamose di significato sconosciuto);
B. AG-US (alterazione delle cellule ghiandolari di significato sconosciuto)
È necessario perciò fare ulteriori accertamenti, di solito si fa la colposcopia, si fa una terapia
antinfiammatoria e si ripete il Pap-test.
4. Squamous Intraepithelial Lesions (SIL) (corrisponde alla Classe IV: la displasia) che
comprende:
A. SIL di basso grado: ridotta possibilità di progredire.
B. SIL di alto grado: elevata possibilità di progredire.
5. Carcinoma (corrisponde alla classe V): la classificazione di Bethesda codifica il tipo di
carcinoma, a seconda del fatto che si tratti di:
A. Carcinoma squamoso
B. Adenocarcinoma (cioè un carcinoma ghiandolare).

PAPANICOLAU BETHESDA
Class 1 Normale Normale
Class 2 Flogosi Infiammatoria
Class 3 Dubbia ASC-US/AG-US
Class 4 Displasia SIL
Class 5 CARCINOMA CARCINOMA

ITER DIAGNOSTICO (E TERAPEUTICO) NELLA MALATTIA NON INVASIVA


• Pap-Test (da screening o occasionale): se evidenzia alterazioni cellulari, si esegue la colposcopia;
• Colposcopia: esame endoscopico che consente tramite uno strumento detto colposcopio, che
ingrandisce l’immagine, di avere una visione della vagina (=colpo) e del collo dell'utero (vulvo-scopia,

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vagino-scopia, cervico-scopia, perché possiamo guardare i tre distretti anatomici) e poter poi
effettuare la biopsia.
Si possono usare dei coloranti vitali tipo l’ acido acetico che coagula le proteine conferendo agli
epiteli ricchi in proteine (epiteli displastici) un colore biancastro. Saranno quelle le zone dove io devo
andare ad eseguire la biopsia. Con la biopsia il patologo decide se si tratta di un CIN-1, CIN-2, CIN-3
o un carcinoma o anche niente. Dopo aver fatto la biopsia io posso o considerare l'idea che la lesione
di basso grado possa regredire spontaneamente e quindi non fare niente (“wait and see”), oppure
al contrario trattarla subito (“see and treat”) mediante conizzazione.
• Conizzazione : procedura chirurgica
conservativa ambulatoriale semplice, consiste
nel portar via un cono di tessuto del collo
dell'utero utilizzando una serie di strumenti
particolari (lama fredda, laser, termoablatore a
radiofrequenze, elettro-cauterio). Ha una
duplice finalità, sia diagnostica sia terapeutica.
§ Finalità diagnostica: consente di avere una
diagnosi più precisa perché, contariamente alla
biopsia, si preleva un pezzo molto più grande.
Ma la cosa principale è sempre quella: viene
fatta in soggetti che non hanno né segni né
sintomi di malattia, completamente
asintomatici, in cui quella procedura diventa la
cura.
§ Finalità terapeutica: se i margini di resezione del cono sono sani e se la lesione non è invasiva, diventa
la cura, la mortalità viene azzerata.
Sono di solito soggetti giovani nei quali questa procedura conservativa sull’utero non altera la funzionalità
riproduttiva sia in termini di ciclo mestruale che di gravidanza (non dà, come si pensava una volta minaccia
di parto prematuro).
Il cono di collo che viene asportato viene sezionato in vari modi e viene esaminato dal patologo che ci dice
esattamente quanto è grande la lesione, quanto si approfondisce e quali siano le sue caratteristiche.
In questo modo la paziente finisce il suo percorso e la consideriamo guarita. Ovviamente eseguirà dei controlli
successivi di follow-up, perché la lesione è stata asportata ma la presenza del virus, che comunque alberga
nelle tratto genitale, potrebbe comportare delle recidive.
Oggi siamo soliti eseguire comunque la vaccinazione terapeutica in chi ha fatto un trattamento escissionale
per una lesione di alto grado, perché verosimilmente riduciamo il rischio che il virus presente possa ancora
persistere e dare problemi.

CARCINOMA INVASIVO
Il tumore invasivo rappresenta il fallimento delle procedure di prevenzione.
«Non guardate questa classificazione, considerate solo che» esistono due tipi istologici:
• Carcinoma squamoso: è quello classico. Da un punto di vista topografico è più esocervicale
• Adenocarcinoma: insorge tendenzialmente dalla componente ghiandolare endocervicale. Da un
punto di vista topografico è più endocervicale.
Anche in questo caso abbiamo vari stadi della malattia.
• Carcinoma microinvasivo: la malattia negli stadi iniziali spesso è asintomatica (è poco di più della
forma non invasiva).
• Carcinoma invasivo: il carcinoma microinvasivo poi diventa francamente invasivo e cresce: il
sintomo classico ed abbastanza specifico è la perdita ematica post-coitale, perché durante il
rapporto sessuale il pene sfrega sulla cervice (spesso le lesioni sono vegetanti, ulcerate) portando a
sanguinamento («ieri ho avuto un rapporto sessuale, ho avuto due-tre gocce di sangue ma poi è
passato tutto»). Talvolta ci possono essere perdite saniose (= purulente e maleodoranti) a causa di
sovrainfezioni.

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Negli stadi più avanzati, con la progressione della malattia, può manifestarsi un dolore sordo alla spalla, per
compressione del nervo ischiatico può comparire sciatalgia, poi si può avere perdita di peso ed
analogamente a quanto visto per il tumore della vagina si possono avere fistole vescicali o rettali.

Questo è un tumore già abbastanza grande e questo è quello che Immagine a sinistra: Questo è un tumore esocervicale, perché vediamo il collo dell'utero e sul labbro
voi vedreste mettendo uno speculum. La parte bianca è posteriore c'è quell'area di 1 cm vegetante e sanguinante. La lesione essendo esterna alla cervice è più
l'esocervice. Alle ore 5 (labbro inferiore) c'è questa lesione facile da osservare, basta mettere lo speculum.
vegetante, in parte sanguinante Immagine a destra: è una forma classica di adenocarcinoma endocervicale con un aspetto ad utero
Barrel-Shaped (a forma di botte): la parte più bianca, lucida, in basso è l'esocervice, la quale è
assolutamente sana. Se vediamo l'orifizio uterino esterno (quella specie di occhio rosso in basso), notiamo
che è integro, ma completamente dilatato e se risaliamo sopra, lungo il canale, vediamo che c'è una specie
di forma a botte, cioè il canale cervicale è molto lungo, grande e dilatato come una botte, mentre il fondo
dell'utero è piccolino. Un adenocarcinoma endocervicale ovviamente potrebbe essere più difficile da
diagnosticare se non si va bene col cytobrush nel canale cervicale e facciamo il Pap-test prendendo
soltanto l'esocervice (parte bianca) corriamo il rischio di non riconoscere la presenza del carcinoma.

ITER DIAGNOSTICO E STADIAZIONE NELLA MALATTIA INVASIVA :


• Visita ginecologica: posizionamento dello speculum e visione diretta della lesione.
• Colposcopia con biopsia: esecuzione della biopsia sotto guida colposcopia
• Esami strumentali : risonanza magnetica, eventualmente TAC per la malattia a distanza, cistoscopia,
rettoscopia per vedere vescica e retto.

STADIAZIONE FIGO DEL CARCINOMA DELLA CERVICE UTERINA


(«queste 3 cose le voglio sentire a memoria perché di fondamentale importanza»).
Serve a:
• Definire l'estensione della malattia e quindi il tipo di trattamento
• Definire la prognosi.
• Comparare le casistiche.

Questo è un diagramma schematico degli stadi del carcinoma


della cervice:
«Se io dico carcinoma della cervice stadio III-b, voi dovete
sapere quanto è grande, perché è diverso rispetto allo STADIO
I-a. Non imparate i vari stadi, vi serve soltanto sapere che
sono 4, e che esistono una serie di sotto stadi a, b, c, ma
questo non interessa voi».

• Stadio I: tumore piccolo confinato al collo dell’utero. Sopravvivenza a 5 anni dell’80- 90%
• Stadio II: fuoriesce dal collo dell’utero per andare o in vagina o nel tessuto para-vaginale;
• Stadio III: ancora più grande.

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Nel III-b il tumore raggiunge la parete pelvica ed è molto importante perché nel legamento cardinale
corrono il nervo sciatico (sciatalgia) e l'uretere, per cui spesso uno dei sintomi negli stadi avanzati
può essere l'idronefrosi, perché l'uretere viene ostruito con accumulo delle urine a monte, il rene si
gonfia e può dare o una sintomatologia improvvisa (pionefrosi, dolore, febbre) o qualche volta, vista
l'ostruzione lenta e graduale, il rene può evolvere in un rene grinzo idronefrotico senza che il
paziente se ne accorga.
• Stadio IV: infiltrazione della vescica o malattia a distanza, questo perché la crescista è abbastanza
lenta e tendenzialmente locale.

99
VIE DI DIFFUSIONE
• Diffusione linfatica → come per il 1/3 superiore della vagina avviene tramite i linfonodi pelvici, la
malattia prosegue dai pelvici ai linfonodi paraortici, mediastinici, sopraclavicolari.
Qualche volta noi palpiamo dei grossi linfonodi sopraclavicolari, segno di un tumore
diffuso.
• Diffusione per via ematogena → è rara e raggiunge polmoni, ossa, cervello e fegato.
• Diffusione intraperitoneale → tipica dell'ovaio, è molto rara nel carcinoma della cervice.
I

TERAPIA
Una volta che noi abbiamo visto la storia, i sintomi, abbiamo fatto la biopsia, abbiamo fatto la stadiazione,
sappiamo che:
Stadio I: sono gli unici tumori operabili, tutti gli altri non fanno chirurgia, si fa un intervento chirurgico
chiamato isterectomia radicale con linfoadenectomia pelvica bilaterale. Questo è l’intervento clou del
ginecologo-oncologo, pochissimi in ogni centro fanno questo tipo di intervento.
Si differenzia dall’isterectomia semplice in quanto oltre ad asportare l’utero si va ad asportare anche il
parametrio (baffo di tessuto paracervicale, nella parte più bassa, contenente l’arteria uterina, che viene
presa alla sua origine tramite un filo (vedi immagine)) ed 1/3 superiore della vagina
Quando i linfonodi pelvici sono positivi si fa anche una linfoadenectomia lombo-aortica.
Nel carcinoma della cervice solo nel stadio I si può fare la chirurgia, in tutti gli altri stadi il trattamento
standard è un trattamento radioterapico o meglio un trattamento chemio- radioterapico concomitante.
Questo significa che devo associare alla radioterapia esterna e alla brachiradioterapia un trattamento
chemioterapico concomitante con piccole dosi di platino a cadenza settimanale. Si è visto infatti che
l’utilizzo del platino potenzia l’azione della radioterapia.
Esistono dei pro e dei contro per quanto riguarda la chirurgia («ve li dico rapidamente, non sono molto
importanti»):
§ Pro:
- La chirurgia è una procedura rapida (io la faccio oggi, dopo 3 giorni la paziente sta a casa);
- Con la chirurgia posso preservare la funzione ovarica in donne giovani, quindi mantenere la
produzione ormonale. Io posso praticare una chirurgia radicale, rimuovendo l’utero, e conservare
però una o entrambe le ovaie. La paziente manterrà dunque la produzione ormonale e non avrà i
sintomi della menopausa, ma ovviamente non avrà il ciclo mestruale.
§ Contro:
- Con la chirurgia però ho una serie di potenziali effetti collaterali anche importanti;
- Una fetta di pazienti (25-30%) sono costrette comunque, a causa della presenza di fattori di rischio, a
sottoporsi a radioterapia adiuvante, quindi a fare due procedure, chirurgica e radioterapica. Ovviamente
con due procedure aumentano le complicanze rispetto ad una sola procedura.
Al contrario la radioterapia è una terapia lunga (dura circa 2 mesi), non ha rischi particolari perché la
radiodermite, la cistite e la proctite post-attiniche sono abbastanza ben tollerate, però per esempio brucia
le ovaie, quindi se la donna è giovane io la mando in menopausa: brucia i tessuti vaginali e può
compromettere la funzione sessuale della paziente.
Questo fa sì che:

100
§ In donne giovani tendenzialmente preferiamo la chirurgia;
§ In donna in età più avanzata preferiamo la radioterapia.
Poi esistono altre variabili come la lista di attesa, la disponibilità, la volontà del chirurgo di operare sempre,
che fanno sì che l’ago della bilancia possa spostarsi più su una procedura o più sull’altra.
Una volta che noi facciamo la radio la cosa finisce là.
Una volta invece che noi operiamo, noi andiamo a vedere i fattori prognostici, che sono:
• Stato linfonodale
• Diametro del tumore
• Profondità di invasione stromale
• Infiltrazione degli spazi vascolari
• Margini
Vedete in questa curva di Kaplan-Meier come le metastasi linfonodali siano un importantissimo fattore
prognostico. Nella prima curva in alto (node negative) vedete che la sopravvivenza è quasi del 100%. Nei nodi
positivi o nei nodi non eseguiti la sopravvivenza a 5 anni scende al 70%. Quindi è un importante fattore
prognostico.
Noi sappiamo che la positività dei linfonodi pelvici aumenta progressivamente con lo stadio, vedete:
scendendo nello stadio aumenta la percentuale.
Indicazioni alla radioterapia adiuvante post-chirurgica sono:
• Margini positivi
• Linfonodi positivi
• Interessamento parametriale
Se c’è uno di questi fattori dopo la chirurgia si fa la radioterapia. L’alternativa abbiamo detto essere la
chemio-radioterapia che si può fare per tutti quegli stadi più avanzati.

Dopo il trattamento si fa il follow-up, si fanno tutti i controlli periodici, a 3 mesi, a 4 mesi, a 6 mesi, a 1 anno.
Qualora dovesse esserci una percentuale di recidive (che sappiamo essere progressive con lo stadio), che
possono essere locali o a distanza, il trattamento è molto più complicato.
Il trattamento chirurgico può prevedere una chirurgia che si chiama exenteratio o evisceratio, una chirurgia
molto complessa:
Esiste una:
• exenteratio anteriore: utero-vagina-vescica
• exenteratio posteriore: utero-vagina-retto, che può essere infra-elevatore, quindi al di sotto
dell’elevatore dell’ano, togliendo persino la vulva, o al di sopra dell’elevatore dell’ano quindi
conservando la vulva.
È una chirurgia abbastanza complessa che prevede una fase ricostruttiva molto importante: bisogna
ricostruire la via urinaria, la via intestinale e la vagina, anche se l’ambito vaginale è probabilmente il
meno rilevante perché serve solo per la funzione sessuale, mentre le funzioni urinaria e intestinale
sono fondamentali.
Esistono una serie di tecniche di ricostruzione della vescica, per esempio eterotopica o ortotopica con dei
pezzi di intestino; esiste la possibilità di ricostruire le vie intestinali o nella peggiore delle ipotesi si possono
fare due stomìe, una colostomia e una urostomia, perché spesso queste procedure hanno una finalità
palliativa.

PREVENZIONE
1. Prevenzione primaria: vaccino anti-hpv: l’eliminazione delle cause nei tumori è possibile solo in
pochissimi casi (ad esempio nel carcinoma polmonare, eliminando il fumo, oppure nel carcinoma
della cervice eliminado l’HPV).
C’è una curva molto bella che mostra come il virus dell’HPV sia presente in più del 90% dei tumori
nei soggetti intorno ai 15- 16 anni.
Questo spiega la necessità di andare a fare il vaccino prima.

101
La fascia di età tra i 12 e i 14 anni è quella per la quale viene consigliato il vaccino, sia nelle femmine
che nei maschi.
La curva del virus mostra come si ha un picco intorno ai 15 anni e poi progressivamente tende a
scendere fino ad un plateau intorno ai 20-30 anni. Questo significa che la maggior parte dei soggetti
elimina il virus, anche spontaneamente.
Solo in una piccola quoto persiste per i fattori che abbiamo descritto prima e potrà quindi svilupparsi
la malattia. Questo è molto importante per inquadrare l’età consigliata per il vaccino e la tempistica:
parallelamente alla discesa della curva del virus, inizia la curva di ascesa delle lesioni non invasive
(CIN) che ha un’incidenza massimo intorno ai 35 anni circa. Invece il carcinoma della cervice ha
un’incidenza di 15-20 anni dopo. Quindi questo vi fa capire come dovete fare il vaccino subito per
eliminare il virus, per ridurre le forme non invasive dopo i 15 anni e per non avere altre forme
invasive dopo altri 10-15 anni.

La storia del vaccino dell’HPV è una storia recentissima ed esistono 3 vaccini: bivalente,
quadrivalente, nonavalente, a seconda del numero di ceppi. In realtà sono abbastanza simili, ma
non uguali tra loro, e si ritiene che:
• Vi sia reazione crociata, per cui se io faccio il bivalente sono comunque coperto;
• È possibile per chi ha fatto il bivalente fare successivamente il quadrivalente o il
nonavalente, in modo da allargare questa copertura.
• Il dato importante è che il vaccino è un vaccino estremamente ben tollerato, non vi sono
effetti collaterali.
• Il secondo aspetto è che è fortemente immunogeno, infatti noi oggi sappiamo, a distanza i
11-12 anni dai primi studi, che il titolo anticorpale indotto dal vaccino è di gran lunga
superiore rispetto al titolo anticorpale standard biologico acquisito che noi abbiamo, e si
mantiene per un periodo di tempo molto lungo, quindi non serve un richiamo.
Questo fa sì che la vaccinazione HPV sia obbligatoria per i ragazzi tra i 12 e 14 anni, ma è stata estesa
fino ai 26 anni. Inoltre fino ai 26 anni è gratuito. L’età potrebbe comunque estendersi fino ai 40 anni
perché si è vista la sua efficacia anche in età più avanzata.
Non ha senso fare il titolo anticorpale prima. “Se tu sei immune non lo fai” non significa niente, puoi
farlo lo stesso.
Dopo i 40-45 anni probabilmente non serve più molto perché abbiamo superato il picco di incidenza
dei tumori non invasivi e quindi è molto più importante il discorso dello screening.
Un altro aspetto è l’indicazione a fare la vaccinazione HPV terapeutica in quei soggetti che sono stati
già trattati per una lesione cervicale non invasiva; quindi faccio il cono, dopo il cono faccio il vaccino.
Questo per quanto riguarda la prevenzione primaria. Ricordatevi: il carcinoma della cervice è una

102
rarissima complicanza di una infezione comune, da HPV. Insieme alla correlazione epatite C -
epatocarcinoma, l’HPV, molto più comune, è la prima causa di tumore indotta da virus.
2. Prevenzione secondaria: screening col Pap-test.
Lo screening o diagnosi precoce deve avere una serie di requisiti, che perfettamente si sposano con
il Pap-test del carcinoma della cervice: lo screening è indirizzato a una popolazione sana, ma a rischio
(donne sane, asintomatiche, tra i 25 ed i 65 anni). È un test semplice, ripetibile, indolore, di rapida
esecuzione (di solito fatto nei consultori da ostetriche), con un’affidabilità abbastanza elevata.
Vado a fare lo screening su una malattia come il carcinoma della cervice che ha una fase preclinica
molto lunga (passaggio dalla fase CIN1 → CIN2 → CIN3 molto lungo), per questo io posso prendermi
il lusso di organizzare uno screening, che può essere opportunistico (cioè io vado dal mio medico e
mi faccio fare il pap test) oppure organizzato, in genere su base regionale (la percentuale di adesione
allo screening delle donne pugliesi è bassissima!), che prevede un invito su chiamata tra i 25 ed i 65
anni, tramite lettera inviata dal consultorio, si accede al consultorio, l’ostetrica esegue il pap test.
Esiste poi un percorso successivo: se il risultato è negativo la paziente viene ricontattata dopo 3
anni, se il risultato è positivo si passa ad una procedura di secondo livello con colposcopia e ulteriori
approfondimenti; se necessario farà poi la biopsia, la conizzazione e tutto il resto.
Questa procedura si ripete ogni 3 anni, perché si è visto che l’intervallo di 3 anni è un intervallo
sufficiente, in un’analisi costi/benefici. Aumentare lo screening a 2 anni aumenterebbe di pochissimo
la possibilità di diagnosi, ma comporterebbe un incremento significativo per quel che riguarda i costi.
Chi fa il vaccino deve comunque fare lo screening, una cosa non esclude l’altra.

Nei Paesi civili, industrializzati, nei quali la vaccinazione e lo screening funzionano bene oramai le curve di
mortalità del carcinoma della cervice sono quasi azzerate e ci aspettiamo anche un drastico calo di incidenza
delle forme invasive. Il concetto generale del carcinoma della cervice è quindi quello che dovete fare il
vaccino, dovete fare lo screening, dovete consigliarlo. È un tumore che deve scomparire.

HPV-DNA Test (NB: argomento affrontato dal professore solo per rispondere alla domanda di una
studentessa circa la confusione che c’è tra il fare l’HPV-DNA test da solo od insieme al Pap-test): è una cosa
molto complessa perche in primo luogo c’è adesso una fase di cambiamento, non ancora attiva ed
istituzionalizzata, nei prossimi tempi (probabilmente dal prossimo anno, ma non si sa a causa dell’emergenza
Covid) i sistemi sanitari regionali potrebbero decidere di cambiare l’approccio allo screening facendo l’HPV-
DNA al posto del Pap- test, una sorta di procedura al contrario: cercare la presenza del virus ancora prima
di cercare le cellule alterate.
In caso di HPV-DNA positivo, facciamo il Pap-test. Presenta alcuni vantaggi: posso allungare i tempi facendo
il test ogni 5 anni, avendo una sensibilità maggiore. Ha però degli svantaggi: nei soggetti giovani tra i 25 ed
i 30 anni, la percentuale di positività è altissima, in questa fascia di età farò quindi il Pap-test, dopo i 30 anni
farò l’HPV-DNA. Nei soggetti positivi al Pap-test andrò a fare l’HPV-DNA Test.
Inoltre esistono molti kit commerciali di HPV-DNA test ed alcuni di questi non sono completamente validati,
avendo quindi un’affidabilità bassissima. Il problema sussiste soprattutto nel caso in cui ci si rivolga ad un
ginecologo privato (magari desideroso di proporre alle pazienti “la novità”) che poi si appoggia ad un
laboratorio di analisi privato. È molto più affidabile lo screening organizzato a livello regionale, fatto al
consultorio secondo il percorso ufficiale e che inoltre consenta agli organi preposti di fare delle casistiche ed
avere dei dati utilizzabili per poi fare delle scelte successive.

103
I TUMORI DEL CORPO DELL’UTERO
In particolare, ci soffermeremo sui tumori dell’endometrio

I tumori dell’endometrio si dividono in tumori primitivi e secondari.


I tumori secondari sono molto rari e, di solito, sono neoplasie che dalla cervice uterina si estendono,
attraversando il canale, al corpo uterino; in alternativa si tratta neoplasie tubo-ovariche che dalle tube si
estendono al corpo (ma sono rare).

I più comuni sono i tumori primitivi.

Anatomicamente l’utero si compone di tre


strati:
• ENDOMETRIO è lo strato più interno
ed è costituito da un epitelio
ghiandolare semplice colonnare
monostratificato e da una tonaca
propria sottostante;
• MIOMETRIO che è il fascio di cellule
muscolari;
• PERIMETRIO.

I tumori dell’utero sono quasi tutti adenocarcinomi endometriali, ovvero tumori maligni a partenza
dall’epitelio ghiandolare dell’endometrio.
Molto più rari invece sono i tumori dello stroma endometriale e i tumori misti mulleriani, che sono delle
neoplasie connettivali.
In questa trattazione noi parleremo dei tumori dell’endometrio.

EPIDEMIOLOGIA
Il carcinoma endometriale è il tumore ginecologico più frequente, nonché la 4° neoplasia nella donna,
dunque è un tumore molto frequente, ma con una bassa mortalità.

INCIDENZA
• 11% nei paesi sviluppati;
• 3% in quelli in via di sviluppo per cui è un tumore dei paesi ricchi e sviluppati al contrario del
carcinoma della cervice, che è un tumore tipico dei paesi poveri e sottosviluppati.

PATOGENESI
I tumori dell’alto tratto endometriale, rispetto a quelli del basso tratto, riconoscono una genesi di tipo
disendocrino, ovvero sono caratterizzati da uno squilibrio tra estrogeni in eccesso e carenza di progesterone,
questi sono i due principali ormoni steroidi sessuali e vengono prodotti dall’ovaio.

In condizioni fisiologiche, nella prima fase del ciclo ovarico, la fase follicolare (all’interno della quale si assiste
alla crescita del follicolo), si ha una prevalenza degli estrogeni, che a loro volta determinano a livello
endometriale la cosiddetta fase proliferativa, in cui lo spessore dell’epitelio dell’endometrio aumenta.
A metà del ciclo, in concomitanza con l’ovulazione, si ha un passaggio dalla fase follicolare a quella luteale in
cui si riduce la produzione di estrogeni e aumenta la produzione di progesterone. In questo contesto, a livello
del ciclo endometriale, si passa dalla fase proliferativa a quella secretiva. Per cui l’endometrio che proliferava
nella prima fase, adesso matura e secerne muco al fine di favorire l’impianto dell’embrione.
Dunque, nella prima metà del ciclo mestruale prevalgono gli estrogeni (aventi un’azione proliferativa), nella
seconda metà prevale il progesterone (avente un’azione maturativa).

FATTORI DI RISCHIO ENDOGENI:


• Aspetti di tipo dismetabolico che determinano una conversione periferica di androgeni:

104
§ Obesità, in questo caso si registra un’aumentata disponibilità periferica di estrogeni non
bilanciata, dovuta ad un differente metabolismo degli estrogeni, alla conversione periferica
di androstenedione a estrone, ridotta SHBG (Sex Hormone Binding Globulin), deficit relativo
di progesterone per via di cicli anovulatori;
§ Diabete;
§ Ipertensione;
§ Condizioni che connotano la sindrome metabolica, comune nei paesi sviluppati;
• Fattori legati alla storia riproduttiva:
§ Menopausa tardiva;
§ Menarca precoce;
§ Nulliparità;
§ Infertilità.
• Ovaio policistico caratterizzato tipicamente da iperproduzione di estrogeni che determinano
anovulazione cronica.
• Tumori producenti estrogeni (a cellule della granulosa).

FATTORI DI RISCHIO ESOGENI:


• Farmaci ad azione estrogenica sbilanciati, in passato la terapia ormonale sostitutiva era a base di soli
estrogeni e senza progesterone;
• Donne con carcinoma della mammella che assumono tamoxifene, il quale ha azione anti- estrogenica
selettiva sui recettori della mammella, ma presenta anche un’azione stimolante sui recettori a livello
endometriale;

In tutti i casi vi sarà una stimolazione estrogenica sbilanciata.

RUOLO DELLA PREDISPOSIZIONE GENETICA


Prevalentemente ci riferiamo alla Sindrome di Lynch (HNPCC carcinoma del colon retto ereditario non
poliposico), patologia autosomica dominante caratterizzata per mutazione dei geni mismatch repair,
soprattutto MLH1(54%), MSH2(21%), MSH6(16%).

Un’altra patologia coinvolta è la Sindrome di Cowden (autosomica dominante per mutazione germinale
dominante di PTEN)

Un ruolo non ancora chiaro risulta quello di BRCA.

FATTORI PROTETTIVI
• Pillola anticoncezionale, perché viene fornita una quota stabile di estrogeni e progesterone (vi è una
contemporanea riduzione anche di carcinoma ovarico e del colon-retto);
• Spirale medicata;
• Fumo.

VARIANTI ISTOLOGICHE
(il prof dice che non sono importanti per noi inserito dalla slide per completezza)
• Endometroide:
§ Squamoso;
§ Villoghiandolare;
§ Secretorio;
§ Ciliato.
• Mucinoso
• Sieroso
• Cellule chiare
• Misto
• Small Cell

105
• Indifferenziato/dedifferenziato
IMPORTANTE INVECE è il Grado di differenziazione:
Il grado di differenziazione è molto importante ai fini di poter elaborare una prognosi, quindi anche
ai fini di poter valutare il tipo di terapia più adeguata.
La classificazione più usata, chiamata FIGO, suddivide i gradi di tumore dell'endometrio in 3: G1, G2, G3.
Chiaramente, i tumori G1 hanno la prognosi migliore, e quanto maggiore è la componente solida ed
indifferenziata, tanto peggiore risulta essere la prognosi.
• G1 = 5% o meno di pattern di crescita solido non squamoso, non morulare.
• G2 = 6 - 50% di pattern di crescita solido non squamoso, non morulare.
• G3 = > 50% di pattern di crescita solido non squamoso, non morulare.
Da un punto di vista anatomopatologico, si assiste ad un continuum tra endometrio normale, che appare con
ghiandole dalla forma regolare ed epitelio normale, il quale a seguito di stimolazione, mostra una
proliferazione ghiandolare.
Se lo stimolo non cessa, si assiste ad aree di iperplasia ed iperplasia atipica, fino a raggiungere lo stato di
carcinoma se lo stimolo proliferativo risulta persistente.
Spesso questo continuum si ritrova in varie zone dell’utero della stessa paziente, per cui si può parlare di uno
spettro di modificazioni proliferative endometriali, la progressione nel contesto del carcinoma
dell’endometrio è rapida (si parla di mesi), e sopraggiunge attraverso un meccanismo simile al carcinoma
della cervice, il quale presenta tempi di progressione più lenti.

CLASSIFICAZIONE di BOKHMANN

TIPO 1 TIPO 2
ETÀ Pre-perimenopausale Post-menopausale
STIMOLAZIONE ESTROGENI Presente √ Assente X
IPERPLASIA Presente √ Assente X
GRADING Basso ↓ Alto ↑
INVASIONE MIOMETRIALE Minima Profonda
COMPORTAMENTO CLINICO Stabile Aggressivo
ALTERAZIONI GENETICHE Instabilità Microsatellite Mutazione P53
PTEN LOH
𝛽 − 𝑐𝑎𝑡𝑒𝑛𝑖𝑛𝑎
ISTOTIPO Endometriale Non Endometriale

Oggi viene impiegata una nuova classificazione molecolare, che classifica il carcinoma dell’endometrio in:
• POLE (ultramutated), 7% che verifica una ottima prognosi ottima persino nei tumori G3;
• MSI (hypermutated), 28% con prognosi intermedia;
• COPY NUMER LOW (endometrioid), 39% con prognosi intermedia
• COPY NUMBER HIGH (serous like), 26% in cui la prognosi risulta essere pessima.
Questi dati sono stati ottenuti attraverso il Tumour Genome Atlas, che ha permesso di individuare dei cluster
genetici all’interno di questo carcinoma.
Ogni gruppo presenta diverse mutazioni genetiche (da non conoscere).

CLINICA
Il carcinoma endometriale si manifesta attraverso una perdita ematica genitale in menopausa, oppure
attraverso meno-metrorraggia in donne in età fertile.

DIAGNOSI
1. Il primo approccio nei confronti di una donna in menopausa con perdite ematiche è rappresentato dalla
ecografia in cui si osserva lo spessore endometriale:
§ In una donna in menopausa deve essere inferiore ai 5 mm;
§ In una donna fertile può arrivare a 1 - 1,2 cm.
106
2. L’ecografia attraverso alcune estensioni quali la flussimetria, ci consente di valutare l’estensione della
malattia con maggiore accuratezza.
3. In presenza di un aumento dello spessore endometriale, si passa all’isteroscopia, che rappresenta oggi il
gold standard nella diagnosi del carcinoma dell’endometrio. A differenza del raschiamento, che è una
tecnica blind e che richiede anestesia e ospedalizzazione, l’isteroscopia è una tecnica usufruibile
ambulatorialmente e che consente di visualizzare anche fondo ed angoli tubarici, dove difficilmente si
riesce ad arrivare col raschiamento.
4. Rintracciata la zona di ispessimento, si procede poi con la biopsia.

N.B.: la disseminazione di cellule nella cavità peritoneale durante l’insufflazione di acqua che precede l’esecuzione
era considerata uno dei rischi dell’isteroscopia, tuttavia attraverso un articolo pubblicato diversi anni fa dai
professori, questa ipotesi è stata smentita, sottolineando l’innocuità della tecnica.

STADIAZIONE CHIRURGICO-PATOLOGICA
La diagnosi avviene a seguito di conferma istologica ed in seguito si procede con la stadiazione, che si avvale
di indagini strumentali e di laboratorio quali:
• CA125, che è un marker specifico del carcinoma dell’ovaio può esserci d’aiuto, perché soggetti con
marcatore elevato nel carcinoma dell’endometrio, possono essere suggestivi di un’importante
disseminazione di malattia.
NB condizioni fisiologiche di aumento del CA125 sono Ciclo mestruale e gravidanza.
• TAC/RMC
§ Sensibilità 27-66%;
§ Specificità 73-99%
• PET
§ Sensibilità 51-69%;
§ Specificità 90-100%
Queste ultime indagini vengono impiegate solo in determinate occasioni, ovvero quando si è di fronte:
o A particolari istotipi (a cellule chiare e sieroso);
o Malattia in fase avanzata
o Segni o sintomi di metastasi in sede insolita (SNC, polmone, ossa).
Quindi noi valutiamo di fare TAC/RMN per verificare una serie di dati:
§ Profondità d’invasione del miometrio;
§ Metastasi peritoneali;
§ Metastasi linfonodali;
§ Metastasi a distanza.
Questo perché questa malattia tende a diffondersi prevalentemente per continuità e contiguità:
• Dall’utero scendere nel canale cervicale, spostarsi nella tuba;
• Per via linfatica interessando i linfonodi pelvici e aortici, e più raramente, attraverso la via del
ligamento inguinale e ligamento rotondo, anche i linfonodi inguinali;
• infine nelle forme più avanzate, ci può essere una diffusione ematogena con diffusione a livello
fegato, polmone, SNC.

Quindi una volta eseguito l’esame istologico e fatte le valutazioni diagnostiche, si passa alla stadiazione, che
viene realizzata col sistema FIGO e non TNM.

Gli stadi FIGO sono 4, con la possibilità di sotto-stadi.


1. nello stadio 1, il tumore è confinato all’utero;
2. nello stadio 2, al corpo dell’utero;
3. nello stadio 3 c’è una disseminazione alle strutture pelviche (linfonodi, vagina, ovaio, tube,
ecc);

107
4. nello stadio 4 ci sono metastasi a distanza.

Quello che è molto importante e che differisce del tutto dai tumori dell’ovaio, è che la stragrande
maggioranza dei tumori dell’endometrio vengono diagnosticati in stadio 1 (72-75%), stadio 2 (11- 12%).
Quindi l’85-90% vengono diagnosticati in stadio iniziale.
Questo dipende dal fatto che la prima manifestazione clinica è rappresentata dal sanguinamento, per cui la
paziente si rivolge subito al medico. Essendo per la maggior parte diagnosticati in fase iniziale, la
sopravvivenza è buona: a fronte di un’elevata incidenza (quarto tumore nelle donne), la sua mortalità è molto
bassa. Esattamente l’opposto dei tumori dell’ovaio, i quali vengono diagnosticati in fase avanzata, per cui la
sopravvivenza risulta molto ridotta.

APPROCCIO TERAPEUTICO
1. PERITONEAL CYTOLOGY
2. EXTRAFASCIAL HYSTERECTOMY AND BSO
3. ESPLORATION OF THE PERITONEAL CAVITY
4. PELVIC AND AORTIC LYMPH NODE EVALUATION
5. BIOPSY OF ANY SUSPICIOUS LESION
6. DEBULKING IN ADVANCED STAGE DISEASE

STADIO 1
Esiste una chirurgia dell’utero ed una chirurgia dei linfonodi.
Il trattamento standard è caratterizzato dalla citologia peritoneale, isterectomia totale con:
§ Annessectomia bilaterale;
§ Esplorazione della cavità peritoneale;
§ Valutazione e campionamento dei linfonodi pelvici e aortici;
§ Biopsia di ogni lesione sospetta.

STADI PIÙ AVANZATI DI MALATTIA


In questi casi si asporta tutto.
Nel carcinoma dell’endometrio è indicata l’isterectomia semplice, e non serve una isterectomia radicale
extrafasciale.

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I professori hanno partecipato ad uno studio randomizzato internazionale in cui si valutava l’impiego dell’isterectomia semplice rispetto a quella
extrafasciale, mostrando come a fronte di un aumento del tempo chirurgico, della perdita ematica, (ed altre complicanze non citate) i risultati in
termini di sopravvivenza globale e di free disease survival fossero assolutamente sovrapponibili.

La linfadenectomia ha aspetti controversi, in quanto sicuramente presenta un ruolo prognostico, ma risulta


avere un ruolo meno rilevante da un punto di vista terapeutico.
§ Quando i linfonodi pelvici sono negativi, quelli paraortici sono negativi nel 90% casi;
§ quando i linfonodi pelvici sono positivi, quelli paraortici possono essere positivi nel 3% dei casi.
È stato dimostrato come la positività dell’invasione dei linfonodi pelvici e aortici correli con la profondità
dell’invasione miometriale.
Maggiore è l’infiltrazione del miometrio, maggiore è la possibilità d’infiltrazione linfonodale.

Stessa cosa per il grado di differenziazione:


• Grado 1: la percentuale di metastasi linfonodali è basso
• Grado 2 e 3: questa percentuale aumenta progressivamente.

Anche la dimensione del tumore impatta su queste percentuali:


• Tumori inferiori ai 2 cm presentano uno scarso rischio, con positività linfonodale del 4%;
• Tumori maggiori di 2 cm presentano un rischio moderato, con positività linfonodale del 15%
• Nei tumori che occupano l’intera cavità, il rischio di metastasi linfonodali è del 36%.

Infine, anche il tipo istologico presenta la sua influenza sulla positività linfonodale:
(Riportata per completezza, non elencata dal prof):
§ Adenocarcinoma 9 %;
§ Adenoacantoma 8 %;
§ Adenosquamoso 28 %
§ Carcinoma siero-papillare 36 %;
§ Cellule chiare 75 %

Volendo integrare queste informazioni, i tumori che presentano un più elevato rischio di disseminazione
linfonodale sono rappresentati dai tumori M3, G3.
Nonostante tutti questi dati, oggi sappiamo, grazie a due grossi studi randomizzati internazionali
multicentrici, che la linfadenectomia, non ha nessun impatto sulla sopravvivenza e sul disease free survival.

Dati sovrapponibili sono stati ottenuti nello studio inglese ASTEC. Esiste anche una metanalisi che conferma la
stessa cosa, ed infine anche i risultati di uno studio retrospettivo condotto dai professori, hanno messo
ulteriormente in evidenza la stessa cosa, a dimostrazione di come non sia né obbligatorio né utile rimuovere i
linfonodi dell’endometrio; non è obbligatorio toglierli, ma nel contempo risulta utile il controllo del linfonodo
sentinella, il quale sta prendendo piede anche in questo campo.

La tecnica del linfonodo sentinella è impiegata anche per i carcinomi che coinvolgono vulva, mammella e
melanoma per andare a selezionare, mediante un tacciante radioattivo con tecnezio, la prima stazione di
drenaggio.
Il tracciante può essere iniettato o nella cervice uterina oppure, mediante isteroscopia, a livello
subendometriale permettendo di valutare la prima sede di diffusione. Il tracciante usato può essere a base
di tecnezio oppure il verde di indocianina.
Se il linfonodo che capta per primo il tracciante risulta positivo all’istologia, si procede con la
linfadenectomia; in caso di negatività invece non si fa nulla.

Un’altra delle controversie che concernono il carcinoma endometriale riguarda le modalità di esecuzione
chirurgica, che possono essere di:
§ Laparotomia;
§ Laparoscopia;
§ Chirurgia vaginale;

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§ Chirurgia robotica.
In realtà non esistono dati univoci, esistono dati di vecchi studi, in cui la isterectomia addominale è uguale
alla isterectomia vaginale in termini di risultati.
La robotica presenta una serie di vantaggi, ma presenta costi elevati, per cui probabilmente il rapporto
costi/benefici non sono adeguati a giustificarne l’utilizzo.
Per quanto riguarda la laparoscopia, negli anni sono stati effettuati una serie di studi sulla fattibilità, sulle
tecniche, sull’outcome, sugli strumenti, sui costi, su qualità della vita e su eventuali controindicazioni.
Il più grosso di questi studi si chiama LAP-02, comprendeva 2500 pazienti randomizzati a laparoscopia verso
laparotomia e i risultati in termini di sopravvivenza sono sovrapponibili.
Questo ci fa capire come la chirurgia per il carcinoma dell’endometrio può essere fatta anche in laparoscopia,
anche se vi sono dei motivi di preoccupazione correlati in particolare alle port-sites metastatses in
corrispondenza della sede dell’inserzione del trocar o a livello vaginale perché in caso di tumori molto grandi,
il posizionamento del manipolatore può essere problematico.
Altre controindicazioni sono: chirurgie addominali ripetute, peritoniti, adesioni dense, limitata
visualizzazione della cavità uterina (nei casi di stadio 2 di invasione cervicale, l’inserzione del manipolatore
risulterà vincolata).
Un’altra applicazione (che i prof impiegano di frequente) è quella della panniculectomia nei soggetti molto
obesi con ventre pendulo per facilitare l’accesso durante l’intervento. Non solo, la paziente al risveglio
presenterà diversi chili in meno (mediamente 8-10 kg) e la ripresa postoperatoria risulterà facilitata.
Negli stadi più avanzati è possibile modulare la chirurgia eseguendo un debulky con resezioni intestinali,
vescicali, omentectomia, peritonectomia, ecc.
Dunque, la chirurgia da mettere in atto va modulata sulla base di una serie di caratteristiche delle pazienti:
l’età, stadio, BMI, comorbidità, disponibilità nella struttura, al fine di assicurare i risultati migliori.

TERAPIA ADIUVANTE
Anche questo è un argomento controverso. Si tratta della necessità, dopo l’intervento chirurgico, di
eseguire una terapia adiuvante, che dovrebbe ridurre il rischio di recidiva. Le possibilità sono:
• ORMONOTERAPIA: era un vecchio trattamento obbligatorio, quasi completamente superato
• RADIOTERAPIA: abusata, oggi in riduzione, dona un buon controllo pelvico, ma non
migliora la sopravvivenza
• CHEMIOTERAPIA: ha unicamente un ruolo nella malattia extrauterina ma non provato in
stadio iniziale
Esistono le linee guida dell’AIO, disponibili online, aggiornate ogni anno, a cui bisogna cercare di attenersi,
assieme alle linee guida fornite da ESMO (società di oncologia medica), ESGO (società di oncologica
ginecologica), ESTRO (società di radioterapia).
Poi vi sono le linee guida più usate negli stati uniti che sono le NCCN (National Comprehensive Cancer
Network) che sono sovrapponibili e danno delle indicazioni specifiche sulla necessità di individuare le
categorie a rischio di pazienti in cui somministrare una terapia adiuvante, al fine di ridurre il rischio di recidiva.

FOLLOW-UP
Il passo successivo è il follow-up, attraverso procedure che servono a monitorare che la malattia non si
ripresenti, e prevede visite alle pazienti condotte ogni 3 mesi, con visita, eco, indagini strumentali.
Tuttavia, si è dimostrato come la diagnosi precoce di recidiva, rispetto ad una recidiva manifestatasi
attraverso sanguinamenti, non modifichi la prognosi e la sopravvivenza.
Per questo motivo il follow- up è messo in dubbio da molti, oltre a rappresentare una spesa elevata, tanto
più per casi come il carcinoma dell’endometrio che presenta una elevata incidenza, ma bassa mortalità.
Per queste ragioni oggi, viene adottato un follow-up di tipo telefonico, condotto dagli infermieri i quali
contattano telefonicamente le pazienti chiedendo se riferiscono determinati sintomi, tra cui il
sanguinamento.
Attraverso questo sistema, vengono rilevati l’80% dei casi che presentano una recidiva. Questo comporta
un grosso risparmio economico e di tempo per il personale sanitario.

NON ESISTE UNA POSSIBILITA DI PREVENZIONE, per vari motivi:

110
• Non c’è una causa specifica;
• Non vi è possibilità di test di screening (perché non si può fare una isterectomia ogni tre mesi
a tutte le donne e perché questa neoplasia ha una mortalità già bassissima ed una curabilità
altissima).
Vi è tuttavia possibilità di uno screening genetico, importante per soggetti affetti da sindrome di Lynch, i
quali vanno tenuti sotto stretto controllo al fine di intercettare la neoplasia quanto prima qualora si verifichi.

RISPOSTE AD ALCUNE DOMANDE


1. Uno stile di vita sano non può essere collocato in un contesto di prevenzione primaria poiché rientra nelle
buone abitudini di tutta la popolazione e non solo quella affetta da patologia.
2. Quando la malattia è disseminata in addome si procede con chemio-ipertermia operatoria? La quota di
casi di carcinoma endometriale con disseminazione peritoneale è molto bassa, l’indicazione è comunque
la citoriduzione cioè portar via la maggior parte di organo possibile A questo di solito può rimanere una
certa quantità di tumore, che va trattato con chemioterapia sistemica.
Da un po’ di anni, dopo l’idea di Sugar-Baker, è stata proposta una peritonectomia totale, seguita in
maniera intraoperatoria da una procedura di chemio-ipertermia, ovvero la infusione di chemioterapia
direttamente nella cavita addominale con uno strumento che è quello che usano i perfusionisti in
cardiochirurgia che riscalda il liquido della chemioterapia. Questo tipo di procedura, proposta
inizialmente da Sugar-Baker per il mesotelioma e poi per i tumori gastrointestinali, si è cercato di traslarla
per altri tumori, soprattutto ovaio (dove la carcinosi peritoneale è la regola) ed endometrio.
Ad oggi non esiste nessuna linea guida e nessuna evidenza di tipo 1 (cioè forte evidenza) che questa
procedura possa comportare un significativo aumento della sopravvivenza, a fronte di numerosi effetti
collaterali. Tuttavia, ci sono dei centri che la ripropongono e pazienti che ricercano questo tipo di
interventi nonostante alcuni rischi che comporta.

111
IL CARCINOMA OVARICO

Le ovaie sono due piccoli organi tondeggianti confinati nella cavità peritoneale -entro cui fluttuano- e non
sono in diretto contatto con l’esterno e quindi questo spiega perché spesso la sintomatologia sia spesso
tardiva.

CLASSIFICAZIONE
Possiamo annoverare:
• Tumori primitivi: sui quali ci concentreremo maggiormente;
• Tumori secondari: ovvero i tumori metastatici;
sono circa il 5-10% di tutte le neoplasie ovariche e di solito sono secondari ai tumori di stomaco e
colon (che prendono il nome di tumori di Krukenberg) e c’è una disseminazione per caduta delle
cellule tumorali, che hanno raggiunto la superficie esterna dell’organo.
Dal gastroenterico cadono sull’ovaio e possono impiantarsi qui; di solito sono bilaterali Sono
situazioni che devono essere gestite in base alla storia naturale e alla clinica del tumore primario; noi
non li tratteremo e ci concentreremo sui tumori primitivi dell’ovaio.

L’ovaio è una piccola ghiandola di circa 3 cm (quasi come una mandorla) ed ha un epitelio superficiale di
rivestimento sottile, simile sia istologicamente che per derivazione embriologica al MESOTELIO (tessuto che
riveste il peritoneo).

A riprova di questa similitudine esiste un tumore, il primitivo peritoneale che ha lo stesso decorso clinico ed
istologia del tumore dell’ovaio, ma invece di nascere primitivamente dall’epitelio superficiale dell’ovaio,
insorge dal tessuto che riveste il peritoneo in altre sedi.

Subito sotto all’epitelio abbiamo la ZONA CORTICALE, cioè dove avviene la maturazione degli ovociti e
follicoli (dall’istologia ricordiamo si dice: FOLLICOLO OVOCITARIO quello con tutto intorno le cellule della teca
e della granulosa – stroma gonadico specifico che sostiene la crescita dell’ovocita con estrogeni,
progesterone e androgeni - ed al centro l’ovocita a vari stadi di maturazione – ovogoni, ovociti I, ovociti II etc
...).

112
Da questa ZONA CORTICALE, quindi, possono originare due tipologie di tumore:
• I tumori delle cellule germinali:
§ Rari (10%);
§ Riguardano l’ovocita e sono il 15% di tutti i tumori ed interessano le donne molto giovani
20/30 anni l’intervento chirurgico da eseguire sarà perciò tassativamente conservativo per
preservare la fertilità;
§ Hanno una serie di quadri istologici che ricalcano i vari stadi di sviluppo dell’ovocita:
- Il disgerminoma;
- Il teratoma immaturo;
- Il tumore del seno endodermico;
- Il coriocarcinoma.
§ Presentano dei marcatori tumorali differenti rispetto a quelli del tumore epiteliale (CA125,
CA19.9) e sono:
- LDH;
- α-fetoproteina;
- A volte βhCG.
§ L’aspetto principale è che sono dei tumori a rapidissima crescita, vista la totipotenza
dell’ovocita, che fa sì che siano fortemente sensibili alla chemioterapia, a uno schema
particolare che si chiama PEB (platino, etoposide, bleomicina). Per questo motivo e perché
le pazienti sono molto giovani, in questi casi è necessario eseguire sempre un trattamento
chirurgico conservativo.
• Tumori che insorgono dalle cellule dello stroma gonadico e sono i tumori delle cellule della granulosa
e delle cellule Leydig-Sertoli:
§ Anch’essi sono una quota minima, il 10%;
§ La diagnosi è abbastanza semplice:
s I tumori della granulosa sono ormono-secernenti, perciò possono dare luogo a segni di
IPERSTIMOLAZIONE ESTROGENICA:
• Iperplasia dell’endometrio;
• Metrorragia anche in menopausa.
s I tumori delle cellule del Sertoli possono produrre androgeni e generare una SINDROME
ANDROGENICA:
• Alopecia;
• Segni di virilizzazione;
• Ipertrofia del clitoride.

Tuttavia, i più comuni restano i tumori epiteliali (80% circa), che derivano dall’epitelio superficiale di
rivestimento dell’ovaio e possono essere classificati in :
• Benigni i più frequenti 85%;
§ Sono le classiche CISTI sierose o mucinose e colpiscono le donne con meno di 40 anni:
- CISTOADENOMA SIEROSO
- CISTOADENOMA MUCINOSO
• Borderline è una vera e propria forma intermedia per via dell’organizzazione istologica ma a basso
potenziale di malignità, perché non sono in grado di infiltrare la lamina basale. Sono il 5% e colpiscono
le donne con 20-40 anni.
• Maligni meno frequente, circa il 10% ed insorgono dopo i 40 anni e sono i CISTOADENOCARCINOMI.

113
Il carcinoma ovarico è un tumore
abbastanza raro come incidenza ma molto
aggressivo, tanto da essere il 3° (dopo
endometrio e cervice) in ambito
ginecologico e tra questi prima causa di
morte, anche perché nella maggior parte dei
casi si diagnostica agli stadi terzo e quarto.

La diagnosi precoce è molto difficile, poiché


come detto, l’ovaio non è in comunicazione
con l’esterno, non si percepiscono eventuali
sanguinamenti ed in più è una struttura che
fluttua in una cavità peritoneale dove ha
molto spazio, senza ostacoli ed è quindi
possibile una sua libera espansione.
Per quanto riguarda l’età di insorgenza il
rischio è crescente e giunge ad un plateau a
60 anni circa. Come visto in precedenza per il carcinoma dell’endometrio, anche qui si ha più dell’80% dei
casi definibili come FORME SPORADICHE, in cui non ci sono fattori di rischio genetici.
Il restante 20 % invece è legato a FORME EREDITARIE.

FORME SPORADICHE
In questo caso ossiamo individuare dei fattori di rischio:
• Di natura riproduttiva
§ Nulliparità;
§ Menopausa tardiva e il menarca precoce;
§ Storie di infertilità e assunzione di terapie per l’infertilità;
§ Sindrome dell’ovaio policistico;
§ Endometriosi)
• Dei fattori ambientali:
§ Obesità;
§ Dieta ricca di grasso;
§ L’esposizione genitale al talco, che contiene nelle sue particelle delle tracce di asbesto che migra
in cavità genitale ed attraverso le tube giungono all’ovaio);
• Ci sono anche fattori di protezione di natura endocrina:
§ Multiparità poichè aumentando il numero di gravidanze diminuisce il rischio;
§ L’allattamento al seno;
§ L’uso prolungato di estroprogestinici che mantiene dei livelli ormonali stabili per lungo tempo.

FORME EREDITARIE
Le FORME EREDITARIE costituiscono un 15/20% dei casi, sono molto particolari seppur la diagnosi è
abbastanza semplice:
• Hereditary breast/ovarian cancer syndrome (HBOC): una sindrome determinata dalla mutazione dei
geni BRCA1 e A2 che nell’ambito familiare è caratterizzata dalla presenza di tumori ovarici e
mammari sincroni, metacroni o in individui diversi della stessa famiglia.
• Hereditary site-specific ovarian cancer syndrome: è una variante in cui tutte le donne presentano il
cancro dell’ovaio ed è il 5%
• Nell’ambito della Sindrome di Lynch: i geni MLH1, MSH2 e MSH6 oltre a esporre al rischio di
sviluppare il tumore al colon-retto e il tumore all’endometrio, c’è anche quello del tumore all’ovaio.

114
Oggi sappiamo che oltre alla mutazione dei geni
BRCA1 e 2, ci sono ulteriori geni (e con il corso del
tempo e degli studi aumenteranno sempre di più),
che possono essere correlati ad un aumento di
sviluppo del rischio del carcinoma dell’ovaio.
Mutazioni BRCA (cioè gene associato al breast
cancer): è un gene fondamentale, il cui studio ha
completamente modificato la nostra attività
clinica.
L’incidenza della mutazione del BRCA nella
popolazione generale è abbastanza bassa
(1:400/1:800). Esistono, però delle popolazioni,
per es., gli ebrei Askenazi, in cui, per una serie di
fattori tradizionali, l’incidenza raggiunge 1:40,
quindi è molto più comune.
Il gene mutato presenta una trasmissione nella
prole AUTOSOMICA DOMINANTE e crea forte
incremento di rischio di neoplasia della mammella
(rischio 4/6 volte in più nei soggetti mutati), ovaio
(rischio 10/40 volte in più), mammella maschile,
prostata, pancreas, melanoma etc.
Il BRCA1 è più incidente nel rischio, rispetto a
BRCA2 ed è età dipendente.
Il rischio si modifica e cresce con l’età, a seconda
del tumore.
La famiglia portatrice della mutazione viene
studiata con opportuni alberi genealogici e seguita
nel tempo per valutare i rischi e le evoluzioni.
L’età di insorgenza delle neoplasie nelle 3
generazioni successive tenda a scendere.
Per esempio, nella nonna a 75 anni, nella figlia 65 anni, nella nipote 40 anni e questo vuol dire che c’è una
tendenza nelle successive generazioni a sviluppare dei tumori in una fascia di età sempre più bassa.
Vedremo che il monitoraggio di BRCA è l’unica forma profilattica per il tumore dell’ovaio.
Il fermento degli ultimi anni attorno a BRCA è dovuto all’attrice Angelina Jolie che qualche tempo fa ha
rivelato di essere mutata per tale gene e di aver eseguito una mastectomia e annessiectomia profilattica
bilaterale.
Inizialmente tale atteggiamento è stato mal visto e criticato, ma pian piano ha sensibilizzato la popolazione
generale -sanitaria e non- sul “caso” del gene BRCA che fino a quel momento non era molto conosciuto.

CLINICA
Abbiamo già detto che nella quasi totalità dei casi si diagnostica in uno stadio avanzato 3 e 4, quando la
sopravvivenza stimata è ormai bassissima, è subdolo ed è perciò anche detto SILENT KILLER.

Oggi il carcinoma dell’ovaio non è considerato come una singola entità ma sono state annoverate nell’ambito
dei tumori epiteliali maligni molte varianti istologiche; ci sono 5 istotipi diversi, ognuno dotata di pattern
molecolari molto specifici, una propria modalità di diffusione, sensibilità differente alla chemioterapia e
prognosi diversificata.

L’ovaio, per via della sede anatomica, dà una diffusione del tumore locale di tipo intraperitoneale,
sottoforma di CARCINOMATOSI PERITONEALE: ovvero le cellule esfoliano dalla superficie ovarica e giungono
in cavità peritoneale nella quale c’è una piccola quantità di liquido peritoneale, che circola sospinto dai
movimenti peristaltici intestinali.

115
Il movimento favorisce la diffusione delle cellule maligne, garantendone la velocità ed uniformità.
Meno frequente è invece la diffusione per via linfatica, in tal caso i linfonodi più interessati sono i linfonodi
para-aortici perché: il drenaggio linfatico fa riferimento alla vascolarizzazione; la vascolarizzazione arteriosa
dell’ovario dipende dall’arteria ovarica, (che nasce bilateralmente dalla aorta addominale, sotto le renali
prima della mesenterica inferiore) mentre il suo drenaggio dipende dalle vene ovariche (quella di sinistra
sbocca nella vena renale di sinistra, quella di destra nella vena cava).
Quindi il drenaggio linfatico ovarico non appartiene alla pelvi ma fa riferimento ai linfonodi lombo/aortici.
La terza possibile modalità di diffusione è quella ematogena, abbastanza rara, che può interessare fegato,
polmone, SNC e, di rado, le ossa.
Clinicamente il tumore dell’ovaio genera all’inizio alcuni sintomi e segni molto poco specifici, sfumati e lievi.

In generale, nella prima manifestazione dei sintomi si può giungere da diversi specialisti a seconda del segno
e sintomo colto, ad esempio:
• Raramente c’è MASSA PELVICA, gonfiore a livello pelvico ma non eccessivo, tensione addominale e
disturbi urinari ed intestinali da compressione;
giunge di rado tempestivamente all’attenzione del ginecologo che può fare diagnosi immediata,
dopo conferma ecografica.
Di solito infatti il ginecologo è l’ultimo specialista ad essere consultato poiché è già avvenuta la
diffusione locale peritoneale del tumore, CARCINOSI responsabile di:
§ ASCITE da accumulo di liquido secreti dai noduli maligni si ricorre al
gastroenterologo/internista, tardando la diagnosi;
§ SUBOCCLUSIONE INTESTINALE, i noduli tumorali fanno angolare e strozzare le anse
intestinali creando dolore, scarso appetito e disturbi dell’alvo; la paziente va dal chirurgo
generale);
§ Abbastanza frequentemente la diffusione può giungere a livello pleurico, si ha
VERSAMENTO PLEURICO con un quadro di dispnea e il paziente si reca dal chirurgo
toracico/pneumologo.
Tutte queste manifestazioni però non sono che l’anticamera e nascondono una problematica ben più grave
e asintomatica: il carcinoma dell’ovaio.

DIAGNOSI

116
Vista la aspecificità e visto quanto le manifestazioni cliniche possono risultare fallaci, bisogna sempre fare
una ANAMNESI approfondita.
Chiedete alla paziente da quanto ha questi sintomi, come sono questi sintomi, se la paziente ha una
familiarità specifica.
Importante la visita ginecologica, alla quale riscontriamo i segni e i sintomi dell’ascite, quindi per es. il segno
del fiotto, quando l’ascite è molto importante oppure potete palpare una massa ovarica più o meno fissa.
Sono tutti segni indiretti.
Successivamente si procede con la diagnostica strumentale.
• Vi può aiutare l’ecografia TA e TV. Dal punto di vista ecografico oggi abbiamo dei criteri abbastanza
specifici per poter differenziare una massa ovarica (criteri IOTA).
• La TC, però, è il gold standard. Ci consente di vedere la diffusione peritoneale, l’eventuale carcinosi,
l’interessamento dei vari organi.
L’altro aspetto estremamente importante è quello dei marcatori tumorali. Il più accurato è il CA125, una
glicoproteina sierica che può solamente dare una mano nel monitoraggio della malattia (follow- up), non è
utile per la diagnosi perché bisogna discriminare varie condizioni in cui può elevarsi:
• Condizioni fisiologiche come gravidanza e ciclo mestruale;
• Patologiche benigne come fibromi, cisti endometriosiche;
• Perfino nel corso di malattie non ginecologiche come l’artrite quindi ci indurrebbe in confusione se
usato come discriminante nella diagnosi.
Quindi, il CA-125 è importante, come tutti i marcatori nel monitoraggio dell’evoluzione della malattia, ovvero
il CA-125 nella maggior parte dei casi ricalca l’andamento della malattia:
• Se opero una paziente e tolgo tutto il marcatore si azzera;
• Se la paziente recidiva il marcatore si può elevare;
• Se la pz risponde alla chemioterapia io vedrò una graduale e progressiva diminuzione del marcatore
tumorale.

Avvenuta la conferma del carcinoma ovarico è fondamentale che la paziente sia inquadrata in una struttura
di riferimento ad hoc, con diversi specialisti che dialogano e garantiscono una eccellente chirurgia seguita da
altrettanto mirata chemioterapia in un percorso molto lungo: solo così si è visto un aumento della
sopravvivenza delle pazienti, vista la multidisciplinarietà del tumore.

TERAPIA DEL CARCINOMA OVARICO


La storia del carcinoma dell’ovaio è una storia molto complessa ed è costellata da una serie di procedure
chirurgiche e una serie di linee di chemioterapia che vengono denominate dal punto di vista temporale: prima
chirurgia e prima linea di chemioterapia, ecc.
Molto spesso la paziente è destinata a recidivare e quindi, dopo un periodo di remissione più o meno lungo,
si avrà una seconda chirurgia e una seconda linea di chemioterapia.
Tendenzialmente la paziente che recidiva non guarisce, quindi ripresenterà ancora la malattia e quindi potrà
fare una eventuale terza chirurgia, ma anche una terza, quarta, quinta linea di chemioterapia.
Quindi, è un percorso molto lungo, dove lo standard è costituito da chirurgia seguita da chemioterapia.

CHIRURGIA DELL’OVAIO
La chirurgia del tumore dell’ovaio, e della patologia ovarica in generale, è una patologia estremamente
interessante per noi ginecologi-oncologi, perché presenta delle caratteristiche molto peculiari.
In primo luogo, è una patologia multidisciplinare che richiede delle grandi conoscenze genetiche, pensate
all’aspetto del BRCA, richiede delle grandi competenze dal punto di vista diagnostico, perché il ruolo della
TAC, della ecografia nella dx e nella stadiazione di queste malattie è basilare, richiede un’importantissima
capacità chirurgica.
La chirurgia del tumore dell’ovaio è formata da tanti interventi, tante procedure nello stesso intervento.

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È una chirurgia molto complessa che può richiedere una particolare specializzazione o può richiedere persino
l’ausilio di alcuni chirurghi delle altre specialità: chirurgo epatico, chirurgo generale, chirurgo urologo e così
via.
Tra l’altro, il ginecologo oncologo, a differenza di molte altre specialità di chirurgia generale, pensate alla
chirurgia senologica, alla chirurgia toracica dove di solito il chirurgo opera e spedisce la paziente all’oncologo
medico, gestisce in autonomia tutte le fasi della terapia della paziente, compresa la chemioterapia, quindi la
gestione è una gestione globale che va dalla diagnosi alla guarigione o ahimè, come più spesso accade, alla
morte.

Allora, fatta questa premessa, come deve essere la chirurgia dell’ovaio?

Deve essere una chirurgia completa. L’obiettivo è quello di eradicare tutta la malattia possibile, in termine
medico si parla di citoriduzione, ovvero di asportazione di tutto quello che è macroscopicamente visibile.

Questo è un caso di una chirurgia di base.


Che cos’è questa parte gialla grande che vedete qua? L’omento. L’OMENTECTOMIA fa parte della strategia
chirurgica del carcinoma dell’ovaio.
Questo che vedete sotto è l’utero, questa è la malattia sul perimetrio,
questa è una massa ovarica di destra e questa è la massa ovarica di
sinistra più piccola.
In più, abbiamo tolto la colescisti dove c’era un calcolo e l’appendice. In
generale, però, il quadro che si trova è questo, che vedete sulla sinistra,
ovvero una cosiddetta pelvi completamente obliterata, vedete si
riconosce a stento un frammento del colon trasverso con le pliche
epiploiche, poi tanto tumore che fonde tutto. Questo è quello che si vede
al termine dell’intervento chirurgico, ovvero l’intestino nel quale
abbiamo fatto una resezione con un’anastomosi tra sigma e retto.
Questa avanti è la vescica, sollevati dalla stringa bianca sono gli ureteri e
vedete che tutta la pelvi è stata completamente ripulita, la paziente ha fatto una peritonectomia,
isterectomia, annessiectomia, omentectomia, resezioni intestinali.

La peritonectomia per la carcinosi può essere fatta anche sul diaframma: il fegato si strippa e si solleva, si
toglie tutto il peritoneo diaframmatico. Di solito la chirurgia dell’ovaio si fa con un’incisione xifo, si ruota il
fegato e si va a togliere questi grossi pacchetti linfonodali a livello dell’ilo epatico.
Questo è il quadro della carcinosi peritoneale, ovvero di un interessamento
della superficie del peritoneo con queste macchioline di dimensioni
estremamente variabili, che sono degli impianti neoplastici delle cellule
dell’ovaio che esfoliano e si impiantano, si fermano ovunque, producendo
liquido, questo da ascite.
Ovviamente, in questo caso si può fare, così come nei precedenti, una
chirurgia, una peritonectomia, ma qualche volta i noduli interessano anche
la superfecie dell’intestino e non sempre si possono portar via grosse
quantità di intestino, quindi, di solito, è una malattia a diffusione molto importante e la chirurgia deve essere
volta a cercare di togliere il più possibile.

Esistono dei casi in cui, vedete, questo è


tutto l’ileo che è completamente fuso in un
quadro subocclusivo da ovaio.

Questo è un altro caso, dove oltre alla


carcinosi dell’omento, tutta la superficie del
trasverso è interessata da malattia.

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Allora, in questi casi, in casi particolarmente impegnativi la strategia è
diversa , nel senso che la chirurgia non riesce a rimuovere tutto e quindi
l’alternativa può essere quella di fare una sorta di percorso inverso, quindi
partire prima dalla chemioterapia e, in questo caso, si chiama chemioterapia
neoadiuvante, cioè di aiuto prima del trattamento primario, quindi io faccio
tre cicli, una chirurgia che diventa chirurgia di intervallo (perché in mezzo alla
chemioterapia), e poi tre cicli dopo.

Invece, lo standard sarebbe: chirurgia primaria seguita da 6 cicli di chemioterapia.


Quindi, una volta fatta la diagnosi, valutazione dell’operabilità:
• Se la paziente è operabile faccio una chirurgia primaria quanto più estesa possibile, perché io so che
la quantità di tumore che resta alla fine dell’intervento è il principale fattore prognostico negativo,
quindi, più riesco a togliere, migliori saranno i miei risultati;
• Se non riesco a fare tutto questo, eseguo prima 3 cicli di chemioterapia, poi faccio l’intervento e poi
gli altri 3 cicli.
FATTORI PREDITTIVI DI CITORIDUCIBILITÀ
Citoriduzione ottimale 30-50% casi stadio III-IV
• Criteri TAC di Nelson;
• Valutazione combinata (clinica + marcatori)
• Score Laparoscopica

TERAPIA MEDICA (CHEMIOTERAPIA)


Quindi, oltre alla parte chirurgica, che è estremamente interessante, esiste, poi, tutta una parte medica.
Il trattamento chemioterapico è fondamentale, perché la paziente con tumore dell’ovaio è una paziente che
fa molteplici linee di chemioterapie, di solito ha una storia molto lunga.
Voi sapete che i farmaci standard nel trattamento chemioterapico sono il carboplatino e il taxolo. Il
carboplatino è uno dei derivati del platino. Ricordate che esiste il cisplatino, carboplatino e oxaliplatino; sono
tre diversi analoghi abbastanza simili fra loro, ma con delle piccole differenze negli effetti collaterali.
Lo schema standard prevede l’associazione del platino al taxolo.
Il taxolo (o paclitaxel) è un taxano, ha la funzione di inibire l’assemblaggio dei microtubili e quindi, grazie a
questa azione, avere un’azione antineoplastica.
Il trattamento standard è dato dal carboplatino e taxolo, ma da un certo numero di anni sono state introdotte
due tipologie nuove di farmaci molto importanti, che sono farmaci biologici, dei farmaci target o cosiddetti
farmaci ad azione molecolare.
Se vi ricordate, prima abbiamo visto che ognuno dei singoli istotipi del carcinoma dell’ovaio (il sieroso, il
mucinoso, il cellule chiare), ognuno di quei tumori presenta dei meccanismi biomolecolari diversi, per cui
l’obiettivo dei farmaci a bersaglio molecolare è quello di utilizzare la tipologia di farmaco che meglio agisce
su quello specifico tumore.
E nella fattispecie, nel tumore dell’ovaio due classi di farmaci sono estremamente importanti:
• Uno è il farmaco antiangiogenetico, il fc si chiama bevacizumab ed è un anticorpo monoclanale Anti-
VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor), ovvero un fattore di crescita dell’endotelio vascolare. Se
il farmaco riesce a bloccare i recettori per il VEGF si ha una ridotta vascolarizzazione e quindi si riduce
il rischio di metastatizzazione.
• La seconda classe di farmaci estremamente attivi, estremamente utili sono i cosiddetti PARP
inibitori.
I PARP inibitori (PARP sta per poly ADP ribose polymerase) inibiscono le proteine PARP (poli-ADP-
ribosio polimerasi), coinvolte in alcuni processi, tra cui il meccanismo di riparazione della doppia elica
del DNA.
I soggetti portatori della mutazione BRCA sono particolarmente suscettibili a questo processo di
letalità sintetica, che viene indotta proprio dai farmaci PARP inibitori.
Abbiamo oggi 3 tipi di farmaci PARP inibitori: OLAPARIB, NIRAPARIB, RUCAPARIB, che vengono
utilizzati in modo specifico in questa patologia.

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Quindi, la gestione del tumore dell’ovaio deve essere una gestione dedicata in un centro di riferimento dove
voi dovete avere tutte queste figure professionali:
• Oncologo medico;
• Oncologo ginecologo;
• Radioterapista;
• Fisiatra;
• Terapista del dolore;
• Nutrizionista;
• Immunooncologo;
• Psico-oncologo.
E dove avete la possibiltà di fare la miglior chirurgia e la miglior chemioterapia.
Chemioterapia che, ripeto, si ripresenterà per varie linee, perché, nonostante un’alta percentuale di
remissioni, la malattia tende a riformarsi e noi, oggi, siamo passati da un concetto iniziale, quello di alcuni
anni fa, che l’ovaio fosse una malattia acuta, cioè quando ho iniziato io la paziente aveva il tumore,
l’operavamo e, sfortunatamente, la paziente recidivava, i farmaci chemioterapici erano molto limitati e
quindi, nel giro di 6-12 mesi la paziente moriva.
Oggi, invece, grazie all’utilizzo di tanti farmaci, stiamo rendendo questa una malattia cronica, come il diabete,
come l’ipertensione e utilizziamo, specialmente queste ultime categorie di farmaci, non come una terapia di
attacco, ma come una terapia di mantenimento, per es., il PARP inibitore viene, di solito, somministrato
anche per anni, sino alla recidiva.
Io ho la mia pz in PARP inibitore con la durata maggiore, da più di 5 anni; significa che quella pz non ha
recidivato per 5 anni e questo, ovviamente, è un grande risultato. Questo spiega il motivo per cui noi vediamo
queste pazienti per tanti anni e quindi è una storia di patologia che diventa, per fortuna, sempre più lunga.
Ovviamente, l’evoluzione del tumore dell’ovaio è, spesso, quasi sempre verso la progressione a livello della
cavità addominale, verso la carcinosi peritoneale resistente a qualsiasi terapia, l’ascite, quindi il quadro
occlusivo intestinale e ahimè la morte di questi pazienti.

PREVENZIONE
Le ultime due parole sono riservate alla prevenzione, così come abbiamo fatto per gli altri tumori.
Il concetto della prevenzione è un concetto che nell’ovaio sarebbe estremamente utile, estremamente
importante, considerato il ritardo diagnostico, considerata l’elevata mortalità di questa neoplasia e la
prognosi sfavorevole e, ovviamente, la medicina preventiva è molto, molto più utile di quella curativa.
• La prevenzione primaria (eliminazione delle cause), così come per il carcinoma dell’endometrio, anche
nell’ovaio, sostanzialmente, non esiste, è difficile da attuare.
È chiaro, bisognerebbe incoraggiaare l’allattamento al seno che è un fattore protettivo, le gravidanze
(multiparità) e l’uso dei contraccettivi orali.
Mentre, quello che realmente si può fare, come prevenzione primaria, è la cosiddetta prevenzione del
rischio genetico, ovvero eseguire una chirurgia profilattica nelle pazienti portatrici della mutazione del
gene BRCA (Ovariectomia profilattica nelle pz con mutazione).
• Per quanto riguarda, invece, lo screening o diagnosi precoce (prevenzione secondaria), in realtà sono
stati eseguiti vari tentativi, per es., con l’esecuzione seriata di marcatori tumorali e/o ecografia
transvaginale, ma si è visto che questi tipi di programmi con finalità di screening non sono costo-effetti,
ovvero non vi è un bilancio e non vi è una significativa riduzione della mortalità, per i motivi che vi spiego.
1. Abbiamo detto che esistono vari marcatori, i più comune sono:
s CA-125;
s CA-19.9;
s CEA;
s CA- 15.3.
Più recente è un altro marcatore che si chiama HE4 (Human epididymis protein four), ovvero un
marcatore, una glicoproteina che è stata trovata nell’epididimo umano, ma tutti questi marcatori,
per i motivi che abbiamo detto hanno:

120
s Una scarsa sensibilità e specificità,;
s Sono positivi anche nella patologia benigna;
s Non sono efficaci nello screening, perché i tentativi di screenare le pazienti con il CA-125, da
eseguire, per esempio, ogni 6 mesi presentano una detection rate dell’86% se è seriato, del 62%
se è singolo, con una sensibilità estremamente bassa negli stadi iniziali.
Cosa vuol dre? Che facendo il CA- 125 anche una volta ogni 6 mesi, comunque non riesco a
rilevare gli stadi iniziali, quindi non impatto sulla riduzione della mortalità.
2. Stessa cosa per l’ecografia transavaginale (ecografia TV), che sicuramente è una procedura semplice
(disponibile, no preparazione paziente), economica, non ha controindicazioni (no radiazioni
ionizzanti), ma che prevede una serie di criteri che aiutano a definire la patologia tumorale.
Facciamo riferimento alla cosiddetta classificazione IOTA (International Ovarian Tumor Analysis). A
sinistra sono elencati i criteri di malignità e a destra sono, invece, indicati i criteri di benignità, vedete
B e M.
Per es., un tumore solido irregolare, la presenza di ascite, più di 4 strutture papillari, una lesione
multiloculare maggiore di 10 mm, una vascolarizzazione importante, questi sono tutti segni di

malignità.
Al contrario, quelli di benignità sono la cisti uniloculare, una componente solida inferiore ai 7 mm,
onde acustiche e la mancanza di vascolarizzazione.
Quindi, noi abbiamo delle modalità, ma la strategia di sceening ecografico comporta, come vedete, su un
numero elevatissimo di esami, la dx di pochi carcinomi dell’ovaio, quindi con una sensibilità e specificità non
eccezionali, è un valore predittivo positivo molto basso.

Esiste uno studio grandissimo, internazionale che è il PLCO Cancer


Screening randomized trial, era uno studio randomizzato volto a
valutare la possibilità della diagnosi precoce di prostata, polmone,
colon e ovaio, mediante una serie di procedure.
Per quanto riguarda lo screening del tumore dell’ovaio, su 78216
donne in età a rischio fra i 55 e i 74 anni, sottoposte a screening con
marcatori (CA-125) ed ecografia transvaginale, contro un gruppo
randomizzato che non faceva screening, ma facevano la usual
medical care, ovvero ricorso al medico solo se necessario, a un
follow-up mediano di 12 anni il CA-125 con l’ecografia non
determinavano una significativa riduzione della mortalità del

121
carcinoma dell’ovaio, quindi, i risultati di questo grosso studio ci dicono che fare l’ecografia annuale e il CA125 non
riduce la mortalità, quindi non c’è una procedura di prevenzione secondaria.
Questi sono i dati (dice il prof.: scusate, manca l’immagine) di un altro grosso studio inglese che dimostra
sostanzialmenente la stessa cosa.
Ovarian cancer screening and mortality in the UK. Collaborative Trial of Ovarian Cancer Screening (UKCTOCS): a
randomised controlled trial.
Quindi, la possibilità di prevenzione è limitata solo a questi soggetti che sono portatori della mutazione del gene
BRCA, quindi è molto importante andare ad identificare quei soggetti sani, ma che hanno un rischio intorno al 50% di
sviluppare il tumore della mammella e/o dell’ovaio.
Per la riduzione del rischio di insorgenza di neoplasia in soggetti sani ma a rischio bisogna fare in queste pazienti:
• Sicuramente una sorveglianza intensiva;
• Possono beneficiarsi di una profilassi chirurgica che è la chirurgia profilattica della mammella e dell’ovaio;
• Vi sono dei dati, degli studi in corso sulla chemio prevenzione e anche dell’utilizzo della pillola;
• La cosa sicuramente importante da fare a questi soggetti è la modificazione dello stile di vita (lifestyle), cioè se io
riduco il fumo, l’attività sedentaria, tutti quei fattori di rischio, sicuramente aiuto a prevenire l’insorgenza della
malattia.
Per quanto riguarda il discorso della sorveglianza della malattia (protocollo di sorveglianza) in questi soggetti BRCA
mutato:
• Per lo screening del carcinoma ovarico è indicata una ecografia e un CA-125 ogni 6 mesi;
• Per lo screening del carcinoma mammario sono indicate una mammografia e una risonanaza (RMN mammella) a
intervalli di 6 mesi l’una dall’altra.

E, infine, il discorso della chirurgia profilattica, che può essere, come nel
caso di Angelina Jolie, contestuale mammella e ovaie, oppure singola per
una di queste strutture.
Se vedete l’annessiectomia profilattica, vedete in queste metanalisi, vi è
una significativa riduzione del rischio di sviluppare il carcinoma dell’ovaio
in chi fa l’annessiectomia profilattica, che viene consigliata dopo i 35 anni,
quindi più giovane nel BRCA 1, dopo i 40-45 nel BRCA 2.
I risultati generali evidenziano che l’anessectomia profilattica riduce il
rischio di sviluppare il carcinoma dell’ovaio di più dell’80%, ma riduce
anche il rischio di sviluppare il cr mammario del 50%, perché togliendo le
ovaie sottraiamo la produzione ormonale, quindi riduciamo il rischio di
sviluppare il tumore della mammella.
Quindi, il discorso dell’andare a screenare, identificare i soggetti mutati,
ma sani, è estremamente importante, perchè il soggetto mutato ha un
rischio molto elevato.
Su questo soggetto io posso applicare delle procedure di sorveglianza
intensiva, di chemioprevenzione, per esempio la somministrazione della
pillola.
Un soggetto giovane, ma portatore della mutazione del gene BRCA
dovrei incitarlo ad avere subito una gravidanza, perché, poi, appena
possibile (35 anni nel BRCA 1, 45 anni nel BRCA 2) le devo proporre una
chirurgia profilattica.
Nella nostra serie, nei primi 100 casi di chirurgia profilattica, in soggetti
BRCA mutati, abbiamo trovato un 6% di tumori microinvasivi o precursori del tumore dell’ovaio, quindi questo vi
dimostra l’efficacia della procedura, perchè in alcune pazienti, completamente asintomatiche, già albergavano il
tumore, le altre, al 50%, lo avrebbero sviluppato nel tempo. Quindi, questo aspetto del BRCA è estremamente
importante, è un aspetto che stiamo cercando di estendere il più possibile, perché ci consente di ridurre l’incidenza e la
mortalità almeno di quel 20% di tumori dell’ovaio geneticamente correlato.
Esistono, poi, una serie di aspetti molto particolari, che sono per es., la funzione riproduttiva dei soggetti BRCA-mutato,
l’osservazione che i BRCA-mutati presentano una percentuale di sterilità, una risposta alle tecniche di riproduzione
assistita più limitata e, infine, anche, esistono degli aspetti molto particolari, in particolare in quelle etnie, in quelle
popolazioni ad altissimo rischio (vedi gli Ebrei Askenazi), dove si è arrivati persino ad eseguire (Udite!, Udite!), una
diagnosi preimpianto, perché gli embrioni mutati venivano scartati; è una sorta di eugenetica, poi, uno la può
considerare accettabile o moralmente, eticamente non accettabile, ma questo vi fa capire come la problematica, la
preoccupazione del BRCA sia estremamente sentita.

122
L’obiettivo deve essere quello di riuscire, in tutti i modi, a intercettare i soggetti mutati e questo significa che tutte le
specialità che hanno a che fare con le neoplasie della mammella, le neoplasie dell’ovaio, le neoplasie del colon-retto e
quindi, sia il senologo, l’oncologo, il chirurgo, il ginecologo, il gastroenterologo o i medici di medicina generale che
conoscono la famiglia (e sanno della familiarità), devono riferire questi soggetti sani dal genetista oncologo, il quale, a
sua volta, deve valutare l’esecuzione di un test genetico.
Se il test genetico dovesse dimostrare una negatività non si farebbe niente, ma se il test genetico dovesse dimostrare
la positività per i geni del BRCA, per i geni del mismatch repair, sarebbe necessario eseguire le procedure che abbiamo
visto di sorveglianza o di chirurgia profilattica. Ma, ancora più importante è estendere il test al resto dei familiari; deve
essere una sorta di rete, una sorta di catena, che ci consente di identificare il numero maggiore di soggetti mutati, i
quali, a loro volta, devono essere sottoposti a tutte le possibili valutazioni.

SEGUONO UNA SERIE DI DOMANDE SULLA LEZIONE:


Domanda 1: Per intercettare queste donne che hanno la mutazione BRCA ci sono altri parametri, tipo l’età?
Risposta: tu hai due modalità per intercettare questi soggetti:
1. La prima, che è stata proposta, ma che non si fa, è il cosiddetto screening universale, cioè che significa?
Io prendo tutti i soggetti al di sopra di una certa fascia di età ed eseguo a tutti un determinato pannello
genetico, ci metto dentro i geni più comuni, i geni più rilevanti, quelli più comunemente associati ad
alcune patologie che, attenzione, non devono essere soltanto patologie di tipo neoplastico,
probabilmente verranno fuori anche altre patologie, che sono geneticamente correlate. Noi ora in
ambito neoplastico le incominciamo a conoscere bene, ma probabilmente e potranno venir fuori delle
situazioni anche correlate alla sclerosi multipla, all’Alzheimer. Quindi, qualsiasi sia la patologia, tu decidi
di andare a trovare il gene.
Lo screening universale sulla popolazione non è fattibile perché è troppo costoso.
Allora, cosa fai?
2. Cerchi di andarlo a ricercare nei soggetti a rischio.
Quali sono i soggetti a rischio? Sicuramente i soggetti con tumore dell’ovaio e quindi è indicato
l’esecuzione del BRCA in tutti i pazienti affetti da tumore dell’ovaio e noi sappiamo che in quella
popolazione il 20% circa sarà mutata.
Non solo, ma il riconoscimento della mutazione nel soggetto con tumore dell’ovaio ha 3 finalità, ovvero
una finalità di tipo screening familiare, che è una cosa ed è quella più facilmente intuibile, cioè se la mia
paziente è mutata, io farò fare il test alla mamma, alla sorella, alla zia, alla cugina e andrò a cercare
quelli che sono mutati. Ma Attenzione! Il test ha delle implicazioni importanti per la paziente, quindi,
stiamo parlando, a questo punto, di una paziente che è già malata, perché il test ha probabilmente una
funzione predittiva della risposta all’uso di alcuni farmaci, vedi i PARP inibitori, cioè io so che il PARP
inibitore funzionerà particolarmente bene nel tumore ovarico BRCA mutato e probabilmente il test ha
anche una funzione prognostica, perché si è visto che i soggetti con carcinoma dell’ovaio, portatori della
mutazione del BRCA hanno, tendenzialmentre, a parità di stadio e di grado una prognosi migliore
rispetto ai non mutati.
Quindi, il test, ad oggi, a chi viene fatto?
A tutti quelli con tumore dell’ovaio e a tutti quelli con tumore della mammella? NO! Sfortunatamente,
siccome i tumori della mammella sono tanti e il test ha un costo di circa 1800 euro, nell’ambito dei
tumori della mammella vengono selezionati :
• Soggetti che sono tripli negativi;
• Soggetti che hanno un’età di insorgenza bassa;
• Soggetti che hanno una familiarità.
Ovviamente, è il primo criterio di selezione.
Tra l’altro, eseguire il test completo è più complicato e più costoso, ma una volta che nel soggetto
ammalto hai identificato qual è la mutazione specifica, tu andrai a utilizzare quel codone su tutti i
parenti, cioè sui parenti non fai il test completo a tutti e due i geni BRCA 1 e BRCA 2, andrai a ricercare
quello che sai già è positivo e quindi, questo comporta un notevole risparmio economico.
Nella nostra esperienza sul tumore dell’ovaio, la Puglia è una zona geografica con un’incidenza un po’
più elevata rispetto alla media nazionale, cioè in media sono il 20%, noi in Puglia abbiamo circa il 31%
di soggetti mutati con carcinoma dell’ovaio. Che significa questo? Che se io faccio il test a 100 pazienti
con tumore dell’ovaio, 30 saranno mutati. Di queste 30, io in media eseguirò il test a 4 familiari, perché,

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immaginate che hanno la figlia, la mamma e la sorella, quindi, in media, accettano di farlo 4-5 persone.
Di queste 4-5 persone, ne troverò il 50% positive, il test non lo faccio prima dei 20 anni e questa metà
di pazienti, metà di soggetti sani positivi, a loro volta, li devo sottoporre alla chirurgia profilattica o a
tutte quelle procedure di sorveglianza che abbiamo visto, quindi, questo significa un notevole impegno,
una notevole problematica, ma sicuramente una delle strategie che ci consente, ci consentirà, spero di
abbattere, se non di azzerare la mortalità almeno per quel 20-30% di tumori dell’ovaio BRCA correlati
e quindi con “caratteristiche” di tipo genetico.
Questo è il percorso, ovviamente è una magra soddisfazione, ma vi garantisco che sulla base di una
serie di costi di farmaco-economia, siccome il costo sociale di una paziente affetta da tumore dell’ovaio
con tanta chirurgia, tante chemioterapie costose è un costo molto elevato, la possibilità anche di ridurre
la mortalità solo in quel 20-30% rappresenta già un significativo e importante passo avanti.
Ci sono altri dubbi?
Vorrei fare una precisazione: la peritonectomia io l’ho saltata a piè pari, perché è indicata una chirurgia
importante, ma come vi dicevo ieri, la peritonectomia con chemioipertermia non rientra nelle
indicazioni ufficiali del trattamento del carcinoma dell’ovaio.
Domanda 2: Quali sono le sequele postchirurgiche dell’asportazione del peritoneo?
Risposta: Allora, così come abbiamo detto ieri, la procedura chirurgica è espressione della esperienza
della qualità e della capacità, non soltanto del chirurgo, ma di tutto il team, quindi, significa il chirurgo,
l’anestetista, la gestione postoperatoria.
Tendenzialmente, bisogna bilanciare i benefici di una chirurgia spinta, che non fai alla paziente che ha
80 anni e che è cardiopatica e che è messa male, quindi da una parte il beneficio della chirurgia per
raggiungere una ottimale citoriduzione, una ottimale pulizia, dall’altra parte un dato estremamente
importante che la presenza di eventuali complicanze della chirurgia che posticipano l’inizio della
chemioterapia rappresenta un fattore prognostico estremamente sfavorevole.
Cioè si calcola che per ogni settimana di ritardo dall’inizio della chemioterapia, dopo le 4 settimane
dall’intervento, paghi un 5% di sopravvivenza globale.
Quindi, la chirurgia deve essere aggressiva, però deve essere fatta nelle condizioni da limitare gli effetti
collaterali.
Se gli effetti collaterali e le complicanze sono troppo elevati, quella chirurgia invece che far bene, farà
male alla paziente, le farà ritardare l’inizio della chemioterapia e, in alcuni casi, non gliela farà fare per
niente e quello è un fattore estremamente sfavorevole.
Io ti posso dire che nella nostra esperienza, dopo tanti anni, dopo tanti casi, la letalità nel tumore
dell’ovaio è davvero dello 0,5%, cioè noi abbiamo una morte ogni 200 pazienti operati e le complicanze
maggiori, con tutte una serie di strategie che utilizziamo sono davvero minime.
Domanda 3: C’è una correlazione tra il carcinoma dell’ovaio e l’eventuale presenza di tumori benigni,
come i miomi?
Risposta: Non vi è alcuna correlazione fra il tumore dell’ovaio e altre patologie ginecologiche benigne,
nemmeno genetica.
È stata trovata solo un’associazione tra l’endometriosi e il carcinoma endometroide, cioè
l’endometriosi che, come sapete, è una patologia molto, molto comune presenta un rischio lievemente
superiore di poter portare a un carcinoma endometrioide.

Domanda 4: Qual è il ruolo preciso del marcatore HE4?


Risposta: HE4 è un marcatore di recente introduzione, che è più sensibile nella paziente in
postmenopausa, meno nella premenopausa.
In realtà, da solo ha un valore limitato.
Oggi si utilizza un algoritmo che si chiama ROMA index (ROMA sta per Risk of Ovarian Malignancy
Algorithm).
È un algoritmo che viene calcolato in base al valore dell’HE4, al valore del CA125 e all’età della paziente.
In realtà, io personalmente sono abbastanza scettico per 2 motivi: in primo luogo perché, oggi,
l’attendibilità dei centri di analisi nell’esecuzione dell’HE4 non è ancora perfetta e, in secondo luogo,
perché, diciamo, comunque, resta un marcatore, quindi, con un valore predittivo negativo e una
sensibilità che non sono del 100%.

124
Quindi, così come è stato detto per il CA125 voi dovete considerarlo come un parametro, un fattore,
insieme alla clinica, insieme a un’attenta valutazione ecografica e non può essere da solo un motivo
per dire che quella signora ha un tumore del’ovaio, piuttosto che un’endometriosi o un’altra patologia
benigna.

Domanda 5: la terapia con PARP si fa solo a chi ha mutazione del BRCA 1 o BRCA 2?
Risposta: In realtà, i farmaci PARP inibitori sono stati inizialmente autorizzati dalla FDA solo nei soggetti
portatori della mutazione, perché dal punto di vista biomolecolare, siccome il meccanismo d’azione del
farmaco è una inibizione dell’enzima PARP, questo enzima funziona se c’è la mutazione del BRCA e
quindi, inizialmente sono stati indicati solo in quel gruppo di pazienti.
Successivamente, sono stati testati anche nei soggetti non mutati e si è visto che funzionano anche
nei soggetti non mutati, ma in misura minore.
Si è visto che il grado di efficacia del farmaco varia in base non solo alla mutazione del BRCA, ma ad
un’altra situazione genetica molto più complessa che si chiama HRD (Homologous recombination
deficiency) che è un meccanismo genetico molto complesso, che forse avrete studiato, che può basarsi
sia sul BRCA che su altri fattori e quindi, questo ha spiegato, che altri meccanismi HRD dichiarano la
responsività a un determinato farmaco, per cui oggi, in realtà, due di questi PARP inibitori risultano
indicati anche per i soggetti non BRCA mutati , ma i risultati sono molto meno brillanti.

Domanda 6: volevo sapere se durante la sua esperienza di ginecologo le è mai capitato di diagnosticare
un tumore ovarico ad una primipara con un forte desiderio di gravidanza e che cosa ha fatto nel
momento in cui questa primipara ha deciso di portare a termine la gravidanza.
Risposta: Allora, tu hai messo in risalto due problematiche importanti: una è quella della diagnosi di
una neoplasia in gravidanza, cioè il fatto che durante i nove mesi della gravidanza si faccia una diagnosi
di un tumore, può essere un tumore dell’ovaio, un tumore della cervice, può essere anche un tumore
in sedi extraginecologiche.
In passato se tu avevi un tumore in gravidanza la prima cosa che facevi era interrompere la gravidanza,
perché c’erano una marea di remore sul fatto che gli ormoni della gravidnza potessero far peggiorare
il tumore, vedi tumore della mammella e gravidanza, oppure, ancora, che il tumore potesse
danneggiare la gravidaanza o potesse persino essere trasmesso, cosa che accade aneddoticamente
molto sporadicamente al feto, per cui fino a un po’ di tempo fa era un tabù: tumori in gravidanza
equivalevano a interruzione immediata della gravidanza.
Nel corso degli anni l’approccio è cambiato, infatti ci sono una serie di strategie, che variano da tumore
a tumore , da caso a caso, da età gestazionale a età gestazionale, perchè ovviamente una cosa è fare
diagnosi del tumore nel primo trimestre di gravidanza e una cosa farlo a 37 settimane, cioè quando fai
il cesareo quel giorno e la storia della gravidanza è finita, quindi, l’approccio cambia molto in base
all’epoca della diagnosi.
Nel nostro reparto abbiamo persino eseguito per tumori della cervice, diagnosticati durante la
gravidanza, la chemioterapia in donne gravide, cioé abbiamo fatto il cisplatino alla donna gravida, al
fine di rallentare la crescita del tumore della cervice uterina, così siamo riusciti ad arrivare con il feto a
30-32 settimane, per fare il cesareo e successivamente gestire il tumore. Al contrario, per il tumore
dell’ovaio è possibile fare la chirurgia dell’ovaio durante la gravidanza, abbiamo eseguito
l’annessiectomia, l’omentectomia, linfadenectomia, peritonectomia, lasciando l’utero al suo posto con
il feto all’interno, abbiamo aspettato che il feto crescesse fino all’epoca di maturità, per, poi,
completare con la chirurgia.
Quindi, questo tabù è stato, in parte, vinto. Ovviamente, sono delle situazioni non comuni che devono
essere gestite caso per caso in base al tumore, alla storia clinica del tumore e in base all’epoca
gestazionale, perché concettualmente la diagnosi di un tumore fatta in un’epoca gestazionale molto
precoce farebbe pensare all’idea di interrompere.
La diagnosi di tumore fatta in un’epoca gestazionale molto avanzata per es., a termine della gravidanza
ti impone di dire: guarda io faccio maturare il bambino, appena il feto è autonomo (di solito lo è già
delle 28, 32 settimane) eseguo immediatamente il taglio cesareo, quindi faccio nascere il bambino e
poi mi dedico al tumore.

125
Questa problematica è davvero molto complessa e affascinante, perché ti garantisco che ti trovi in
situazioni in cui la paziente dice: a me non me ne frega niente del mio tumore, fate nascere il bambino
sano, ci sono delle altre, che, invece, sono pronte ad interrompere subito e, al solito, vale in questi casi
un sano, attento e preciso counseling, cioè tu devi sederti con la paziente due ore, spiegarle quali sono
i rischi, quali sono i vantaggi, quali sono le opzioni da offrire e inventarti caso per caso cosa fare.
La seconda importante problematica che tu hai messo in risalto, e che è argomento del nostro gruppo,
è quella della preservazione della fertilità, ovvero cercare a tutti i costi di mantenere la fertilità in una
donna affetta da tumore.
Mantenere la fertilità significa o fare un tipo di chirurgia conservativa e quindi per es., quando vi parlavo
del carcinoma della cervice uterina, fare la conizzazione nelle forme non invasive e nelle forme molto
piccole e ciò consente di preservare la fertilità.
Nel tumore dell’ovaio, al primo stadio, posso considerare in donne giovani, desiderose di prole, l’idea
di fare una annessiectomia monolaterale e di conservare la tuba e l’altro ovaio, ma persino nei tumori
dell’endometrio, ci sono dei casi che sono i tumori di grado 1 molto limitati, in cui si può persino
eseguire una chirurgia conservativa, un trattamento conservativo nell’ottica di conservare l’utero per
una eventuale gravidanza.
E poi esistono tutta una serie di metodiche sperimentali che sono il congelamento dell’ovocita, cioè se
ho avuto una diagnosi di tumore della mammella so che la chemioterapia che farò è ad alto rischio, mi
brucia le ovaie, mi dà una gonado-tossicità, quindi posso subito prelevare gli ovociti e congelarli, che
mi serviranno in futuro, oppure ancora, facciamo la preservazione della corticale dell’ovaio, cioè
facciamo una laparoscopia, per es., in chi ha il linfoma, la leucemia, tumori ematologici importanti, dove
le chemio sono distruttive sull’ovaio, oppure prima di una radioterapia sulla pelvi.
In questi soggetti faccio la laparoscopia, prelevo un frammento di corticale ovarica e la congelo.
Questa corticale io posso reimpiantarla anche a distanza di anni o nella pelvi, diciamo in sede fisiologica,
nella fossetta ovarica, oppure posso reimpiantarla perfino nella cute del braccio. Questo ovaio può
ricominciare a funzionare, io posso stimolare e prelevare gli ovociti dal braccio e fare una tecnica di
riproduzione assistita.
Quindi, le opzioni sono tante, sono estremamente affascinanti e personalmente col nostro gruppo ci
interessiamo di cellule staminali dell’ovaio, ovvero siamo riusciti ad isolare dalla corticale dell’ovaio sia
di donne sane, ma persino di donne affette dalla malattia, alcune cellule che con una serie di fattori di
differenziazione sono arrivate a differenziarsi da cellula staminale ad ovocita primordiale.
Questo è un ulteriore passo avanti, quasi fantascientifico, ma che ci consente di affrontare questa
problematica in modo diverso.
È un argomento estremamente nuovo e molto interessante perché, tra l’altro, oggi le donne non
possono più fare i figli in età molto giovane e quindi, più vanno avanti, più rischiano di avere una
neoplasia senza aver avuto una gravidanza precedente.

126
LESIONI DELLA VULVA

ANATOMIA
Le strutture anatomiche della vulva sono:
• Clitoride;
• Piccole labbra;
• Grandi labbra
• L’introito vaginale con la zona inguinale;
• Due coppie di ghiandole: le ghiandole del Bartolini (usate questa dicitura e non quella italiana perché
lo scopritore di queste ghiandole fu un danese Bartolini nel sedicesimo secolo) e due ghiandole
parauretrali, o ghiandole di Skene.
La vulva è rivestita da epitelio identico all’epitelio cutaneo, epitelio pavimentoso pluristratificato
corneificato.
Esistono sulle piccole labbra delle ghiandole sebacee, poche ghiandole sudoripare e non vi sono follicoli
piliferi.
Tutto ciò che è patologia vulvare è patologia cutanea, anche i tumori della vulva sono gli stessi che vede il
dermatologo in tutte le altre zone anatomiche del nostro corpo.
Quello che cambia è che la vulva è una zona inesplorata e risulta di competenza ginecologica.
L’aspetto delle lesioni vulvari è estremamente vario, per cui la prima cosa da fare
è sempre la biopsia, l’esame istologico vi aiuta.
Questa immagine è l’esito di una biopsia escissionale.
È assai diversa dalla biopsia incisionale, noi usiamo queste specie di pennini, le
trucut, che alla punta hanno una sorta di lama circolare.
È sufficiente appoggiare la lama al tessuto, ruotarla di 360 gradi, la lama taglia e,
come vedete nell’immagine, vi crea una specie di “mozzicone di sigaretta” che
racchiude cute e sottocute.
Questa biopsia ci consente di fare diagnosi di una marea di patologie che
possono essere neoplastiche ma possono essere anche non neoplastiche.
Tra le patologie non neoplastiche abbiamo:
• Le traumatiche;
• Le malformative;
• Le infiammatorie;
• Lesioni cistiche;
• Lesioni amartomatose;
• Lesioni pigmentate;
• Lesioni vescicali.

LESIONI NON NEOPLASTICHE


Traumatica :
La figura mostra un grosso trauma , del labbro di sx, di una ragazzina che è caduta
dalla bicicletta, urtando i genitali. Vedete c’è una grossa zona livida, si intravede il
catetere nella zona che sanguinava .

Malformativa:
1. Imene imperforato
Questa , invece, è una patologia di tipo malformativo , molto comune.
La lamina imenale non viene perforata, resta integra. La ragazzina non si accorge di tutto ciò fino al
menarca , in occasione del quale, il sangue mestruale non riesce a fuoriuscire dalla vagina, la vagina si
gonfia , si ha dolore e qualche volta febbre. Dopo aver inciso questa lamina bianca, fuoriesce questo

127
materiale scuro, questo sangue vecchio. Si mettono dei punti per estroflettere la lamina imenale e si
lasciano intorno qualche giorno per distendere il tessuto.

2. Ipertrofia del clitoride:


ha una genesi di tipo disendocrino, per un eccesso di produzione di androgeni.
L’immagine mostra un clitoride somigliante a un piccolo pene. Applichiamo una chirurga di riduzione e
otteniamo l’ aspetto nell’ immagine a destra.

Lesioni infiammatorie benigne :


• Iperplasia cellule squamose (+/- atipia)
• Lichen simplex chronicus
• Dermatite irritativa primaria
• Intertrigo
• Dermatite allergica da contatto
• Eritema da farmaci
• Eritema multiforme
• Epidermolisi bollosa tossica
• Dermatite atopica
• Dermatite seborroica
• Psoriasi
• Malattia di Reiter
• Lichen planus è una patologia con varie classificazione, sicuramente ha vari istotipi :
papulosquamoso, ipertrofico o erosivo. Per questo è definibile “ lesione a cartina geografica della
vulva” con questa pelle incartapecorita con aree bianche e rosse, è importate ricordarla perché è una
pre-neoplasia.
Il lichen sclero atrofico comporta una forma restrittiva , quasi c’è l’ impossibilita di visitare questo
paziente.
La diagnosi è istologica. Quindi , biopsia escissionale e istologia perché il lichen nella forma più
comune è asintomatico;
Se sintomatico, dà prurito, senso di bruciore, fastidio, questo aspetto plastico a 8, attorno agli Orifizi
perianale e anale.
Nel 6 % dei casi può evolvere a carcinoma squamoso. Questo è un aspetto istologico , la biopsia mi
consente di fare diagnosi.

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• Les
• Malattia di Darier
• Pyoderma gangrenosum
• Morbo di Crohn , malattia sistemica
• Idradenite suppurativa
• Vulvite plasmacellulare
• Sindrome vulvo-vestibolare, malattia sistemica,
• Malattia di Behçet, malattia sistemica ove si hanno ulcere vulvari e a livello buccale, ulcera linguale,
eritema nodoso sulla gamba;
• Penfigo, una malattia autoimmuni vescicante di vulva , vagina e congiuntivite.

Lesioni Cistiche
Si possono averedelle tumefazioni cistiche, per esempio del dotto della ghiandola del Batolini o di Skene.
Sono tutte manifestazioni benigne che vanno viste e diagnosticate.
Le ghiandole del Batolini si trovano nella parte posteriore delle grandi labbra e sono una per lato, di solito,
non sono né visibili né palpabili.
Quando il dotto della ghiandola si ostruisce, si rigonfiano e si crea la cisti.
Se il contenuto della cisti si infetta, si ha il classico ascesso. Questa è una cisti di 2/3 cm, spesso, contengono
del muco sterile, ma quando si infettano diventano grandi, sono dolenti, danno febbre e , in questo caso,
bisogna incidere e drenare , fare un tampone e terapia antibiotica.
Esistono delle cisti che insorgono da residui di cisti cutanee perineali. In questo caso devono essere escissi.
Queste sono le cisti delle ghiandole di Skene , parauretrali, quindi sono più in alto e più avanti della cisti del
batoli e , spesso, sono sostenute da infezioni da Clamhidya, anche queste vanno escisse e esportate.
Ci sono altre patologie, ancora più rare, come la leiomiomatosi vulvare multipla, che si può associare alla
sindrome di Alport che è una nefropatia congenita.
Le lesioni vulvari possono essere classificate , in base la colore, in bianche o rosse;
Possono essere di tipo infettivo e non infettivo.

NEOPLASIA DELLA VULVA


Ci sono varie classificazioni, la prima calca l’ anatomia.
Vi è la cute vulvare che forma clitoride, piccole e grandi labbra che
costituirà la basa per il tumore più comune che è il carcinoma
squamoso con le due varianti basocellulare e verrucoso.
Vi è anche lo sbocco delle ghiandole ureterali con la possibilità di avere
dei tumori come l’adenocarcinoma o, molto rari, i melanomi che
insorgono dai melanociti vulvari e, infine, la malattia di paget è una
patologia di confine tra dermatologo e ginecologo.
Al di sotto dell’ epitelio vi è il connettivo che può dare leiomiosarcoma
e sarcoma.
EPIDEMIOLOGIA
È uno dei tumori più rari.
Il tumore più frequente del tratto genitale è il carcinoma dell’ endometrio seguito da carcinoma dell’ovaio e
della cervice ,infine , della vulva.
I tumori vulvari non sono più del 3-5 % di tumori ginecologici , sono tumori che colpiscono le donne in età
avanzata e, nella maggior parte dei casi, sono sopra i 60 anni.
È una patologia rara.
Un’ altra classificazione prevede la distinzione in tumori dell’alto tratto o del basso tratto.
Dal pdv anatomico, il confine è a livello del collo dell’ utero, nella zona di passaggio tra eso e endocervice.
Dal p.d.v. istologico, tutto ciò che è basso tratto ( vulva, vagina, e esocervice )è caratterizzato da un epitelio
pluistratificato pavimentoso cheratinizzato nella vulva , non cheratinizzato in vagina e cervice.
Nella zona del basso tratto, ha una eziologia di tipo virale, sono tumori del HPV, quindi eziologia virale,
istologia squamosa perché è un epitelio pluristratificato.

129
I tumori dell’alto tratto genitale vanno dall’ endocervice in poi, e sono
tumori che orginano dall’epitelio monostratificato cilindrico
ghiandolare.
Sono dunque adenocarcinoma e hanno una genesi di tipo
disendocrino: squilibrio tra carenza di progesterone e aumento
androgeni;
Tanto è che, mentre i carcinomi del basso tratto sono tipici dei paesi
sottosviluppati ove il rischio infettivo è maggiore, i tumori dell’ alto
Istologia carcinoma squamoso
tratto sono tipici dei paesi sviluppati.

MORFOPATOGENESI DEI TUMORI DEL BASSO TRATTO


I tumori del basso tratto, oltre ad avere la genesi infettiva , hanno una caratteristica molto peculiare: essi
hanno una crescita e progressione lenta e graduale, caratterizzata da una fase non invasiva, non infiltra la
lamina basale.
Questa fase è particolarmente lunga nel tempo, può durare anni e si chiama IN ( intraepithelial neoplasia).
Il tumore resta confinata senza scompaginare o superare la lamina basale. A seconda della zona anatomica
dove accade, noi possiamo chiamare VIN (vulvar epithelial neoplasia ) , o VAIN (vagina neoplasia
intraepithelial ), CIN ,se interessa la cervice.
A sua volta , la neoplasia intraepiteliale viene graduata in tre diversi stadi a seconda di quanto spessore dell’
epitelio è interessato:
• VIN 1 : vicino il terzo inferiore, vicino la lamina basale;
• VIN 2 : fino a 2/3 inferiori;
• VIN 3 : a tutto spessore;
Il fattore principale di rischio che è l’HPV.
L’HPV può determinare a seconda del ceppo, una patologia benigna , la condilomatosi , ovvero, una malattia
infettiva, le cosiddette creste di Gallo.
In donne più anziane, il virus, di altri ceppi, può persistere e integrarsi a livello dell’ epitelio basale usando
due geni : early genes (E) e late gene (L).
Il virus attiva la p53 e il gene del retinobastoma e si avvia la progressione neoplastica che è lenta e graduale
e che comporta la trasformazione dello strato basale.
Se questo stimolo persiste, procede da VIN 2 , VIN3 e ,alla fine, diviene carcinoma invasivo.
Questo tipo di patogenesi è simile a livello vulvare, vaginale e cervicale.
Una parte delle lesioni di grado 1 possono regredire, una percentuale più ridotta dei VIN 2 , possono regredire
a VIN 1 e guarire. La maggior parte progredisce verso il carcinoma.
Vedete due immagini di VIN, sono aree arrossate ed è complesso fare diagnosi differenziale con una semplice
area infiammata.

Per VIN 3 intendiamo carcinoma in situ, cioè non supera la tonaca propria.
Quando la malattia progredisce infiltra la lamina basale, se l’infiltrazione è minore di un 1 mm , si parla di
carcinoma microinvasivo, non serve fare la linfoadenectomia perché il rischio di metastasi linfonodale è zero.
Chiara la patogenesi? non basta solo la infezione da HPV, bisogna avere dei cofattori.
I cofattori sono:
• La malattia di lichen;
• Lo stato immunologico;
• Il fumo;

130
• La distrofia;
• La mancata diagnosi.
La progressione dei tumori è lenta, per tanto , bisogna fare quanto più velocemente possibile diagnosi di
carcinoma.

MANIFESTAZIONI CLINICHE
Il carcinoma della vulva è caratterizzato da sintomi aspecifici ragion per cui la diagnosi è tardiva, la maggior
parte sono sintomi locali come:
• Prurito, sintomo principale e aspecifico;
• Fastidio vulvare;
• Sanguinamento per l’ intenso grattamento.
• La paziente ha possibilità di avere disturbi di minzione e defecazione, in fase tardiva .
Ci sono però sintomi a distanza come:
• Tumefazioni dei linfonodi;
• Edema e linfedema dell’ arto inferiore che sono sintomi tardivi;
• In casi avanzatissimi, dispnea o un dolore della metastasi ossea. Per dare metastasi a distanza il
tumore dev’essere enorme.
Il tumore dal pdv macroscopico può avere un aspetto:
• Vegetante;
• Ulcerato;
• Piano.
La sede principale è:
• Il grande labbro dx o sx;
• Può interessare anche piccole labbra o clitoride.
La neoplasia può essere:
• Unifocale;
• Ma più spesso è polifocale, policentrica.
Ci sono, in casi avanzati, ”kissing lesion“: il grande labbro di dx è la sede ove c’è il tumore ed, essendo il
grande labbro controlaterale quasi collabito, le cellule passano sul labbro controlaterale, dando questa
lesione a bacio.

DIAGNOSI
Il problema della vulva è che i sintomi sono aspecifici, la diagnosi tardiva, è estremamente importante
l’ispezione (guardare la vulva sul lettino mitotomico con il colposcopio o vulvoscopio).
La vulva è un organo esterno , quindi, nella maggioranza dei casi, non serve fare indagini strumentali.
Le indagini strumentali devono essere solamente eseguite quando il tumore è molto grande e voi sospettate
una diffusione a distanza a livello addominale inguinale, a livello osseo, e il tumore dovrebbe essere
sufficientemente piccolo da essere viscerale.
Questa che vedete è una linfangiomatosi vulvare, una malattia infettiva sostenuta da streptococco che si
cura con antibiotico.
La diagnosi è fatta con biopsia, in tal modo, voi sapete di che tumore si tratta, la procedura successiva è la
stadiazione.

STADIAZIONE
Stadiazione FIGO ( FEDERAZIONE INTERNAZIONALE DI GINECOLOGIA ED OSTETRICIA ), LA FIGO è simile alla
classificazione TNM ma è leggermente diversa.
Possiamo codificare la caratteristiche morfologiche del tumore e classificarle in 4 stadi.
N.B non imparate la classificazione cosi a memoria , ma capite il concetto:
• Stadio 1: il tumore è confinato all’ organo ma piccolo;
• Stadio 2: tumore un po’ più grande, confinato più o meno all’organo o agli organi vicini;
• Stadio 3: tumore di grosse dimensioni, esteso localmente;
• Stadio 4 : metastasi a distanza.

131
Non è necessario che impariate i sottostadi.
Perché devo fare la stadiazione? Ci sono 3 motivi:
1. Pianificare il trattamento specifico (stadio basso reseco con chirurgia; stadio avanzato applico
chemioterapia+chirurgia);
2. Serve per fare la prognosi;
3. Comparare le casistiche (molto importante ricordarlo);
I ginecologi hanno ideato l’ annual report figo, un report annuale nel quale vengono censiti vari risultati e si
comparano.

Stadio 1 Stadio 2 Stadio 3

Nell’ immagine in basso quella garza bianca che vedete con un tubicino nella regione sovrapubica. È un catetere
epicistomico. Paziente in casa di cura psichiatrica con tumore estremamente grande della vulva che aveva erosa
mazza coscia, andava verso il gluteo ed aveva ostruito l’uretra. Per cui questa signora era andata in coma uremico.
Non urinando più ha avuto un’insufficienza renale. Non si sono accorti di niente fino a qua. Abbiamo esso un
catetere per farla urinare.
PROGNOSI
Si esprime in percentuali di recidive o in sopravvivenza.
Sopravvivenza: si descrive molto bene con una
curva che si chiama curva di Kaplan-Meier
(statistica di gruppo).
Hanno mesi, giorni o anni in ascissa; in
ordinata la % di pazienti che sopravvivono. I
vari colori corrispondono agli Stadi: 1, 2, 3, 4.
Già visivamente vedete come si distribuiscono
a scalare, a scendere.
Per esempio, a 100mesi (8 anni circa), la curva
Blu, Stadio 1, arriva a circa il 65% (sono vive il
65% delle pazienti), mentre a 200 mesi sono
vive il 50% e così via a scendere gradualmente.
Una volta fatta la stadiazione dovete decidere
che cosa fare.
Andremo a distinguere il trattamento
chirurgico sula zona vulvare e sull’inguine.
Perché sono 2 aspetti separati.

VULVA
In teoria la chirurgia si può adoperare in tutti i carcinomi della vulva tranne che allo stadio 4.
Più indicata nello stadio 1 e 2, meno nel 3 e niente nel 4.
La chirurgia vulvare ha assunto una diversa connotazione nel tempo.
Si è passati da una chirurgia molto estesa: Incisione a farfalla: veniva tolto in blocco il tessuto vulvare, i
linfonodi inguinali con un ponte cutaneo a forma di farfalla o pipistrello.
Col passare degli anni: Triplice incisione, si tratta separatamente l’aspetto vulvare, poi quello linfonodale
separate da un ponte di cute che si lascia.

132
Si è visto oggi, essere importante lasciare nella vulva un margine sano di 2cm quindi si è giunti ad una
tumorectomia o emivulvectomia settoriale: anteriore, posteriore, destra, sinistra, l’importante è lasciare un
margine sano. Sempre di più si cerca di personalizzare il trattamento.

IMMAGINI:
ESCISSIONE ALLARGATA A MEZZA FARFALLA: la garzina bianca al centro della vulva.
Viene tolto in blocco la cute verso l’inguine. Demolitiva, drammatica e complessa
In alto a sx la triplice incisione: vedete quel che resta dopo escissione. Nell’immagine in alto a dx c’è il meato
uretrale.
Donna più giovane che aveva chiesto di conservare la funzione sessuale. Tumore sul grande labbro di destra.
Emivulvectomia posteriore, conservando parte delle piccole labbra o del clitoride.
Chirurgia meno demolitiva.
In situazione più avanzate siamo costretti a dover togliere anche organi vicini. Una chirurgia così importante può
portare ad una serie di conseguenze.
La vulva è una zona a contatto con secrezioni vaginali, feci ed urine, questo significa che gli esiti della chirurgia
possono essere estremamente invalidanti, possiamo avere la deiscenza della tenuta, avere dei fatti infettivi,
delle cicatrici retraenti, stenosi completa.
Quindi disturbi della minzione, della defecazione, della funzione sessuale ed implicazioni psicologiche
estremamente impattanti.
Per questo negli ultimi anni si sono sviluppate una serie di tecniche di chirurgia plastica estremamente utili: dico
questa oggetto della mia tesi di specializzazione: su lembi di scorrimento, lembi a z sollevati, ruotati in modo da
ottenere risultati esteticamente notevoli.
Oggi possiamo usare lembi di scorrimento su superfici molto grandi ed addirittura si è arrivati all’utilizzo di lembi
mio-cutanei più solidi, costituiti da cute, sottocute, fascia e muscolo, quindi con una vascolarizzazione importante.
Lembo di muscolo tensore della fascia lata viene utilizzato per chiudere difetti inguinali. Esiste il lembo costruito
su muscolo grande gluteo. Un altro lembo è costruito sul muscolo del retto addominale passato ad isola al di sotto
e raggiunge la zona vulvo- perineale.
Per la chirurgia plastica oggi possiamo operare praticamente tutto.
Il vincolo sono le metastasi ed i casi in cui c’è infiltrazione di muscoli della coscia o della sinfisi pubica.

INGUINE

133
A livello dell’INGUINE: molto complesso, sede di linfonodi, palpazione complessa e sede di diagnosi difficile.
L’accuratezza di TAC e risonanza è bassa. Una quota che va dal 20% al 50% di carcinoma vulvare, ha
coinvolgimento inguinale.
Lo stato linfonodale è un importante fattore prognostico, tanto che il coinvolgimento linfonodale è da stadio
3, influenza la terapia adiuvante ed in ultima analisi, le recidive linfonodali hanno prognosi sfavorevole: circa
il 90% di mortalità.
È una chirurgia complessa: ci sono vasi femorali, nervo femorale. Drenaggio linfatico della vulva è abbastanza
ordinato, i tumori laterali corrono ai linfonodi omolaterali. I linfonodi sono situati in due aree: una parallela
al ligamento inguinale (immagine in alto a dx) e l’altro a decorso verticale che scende medialmente rispetto
ai vasi e lungo la safena.
Con questo dato anatomico dobbiamo approcciare la linfadenectomia in vari modi:
• Tecnica del linfonodo sentinella tecnica già in voga nel melanoma e nella mammella. Tendenzialmente
è una procedura che ricalca quella della mammella: si inietta sul perimetro o un colorante vitale o un
tracciamento marcato con tecnezio.
Si va a cercare la zona che corrisponde alla prima stazione di drenaggio linfatico, si togli e si fa analizzare.
Se risulta positivo, bisogna completare con la linfadenectomia.
Se è negativo non è necessaria la linfadenectomia completa.
Questa procedura ha: Specificità, sensibilità e valore predittivo molto elevati.
Esistono una serie di limiti: tumore non deve superare i 4cm e non deve esserci un franco coinvolgimento
linfonodale.
Anche il tracciante ne costituisce il limite, il blu, il tracciante radioattivo o insieme.
Il limite più grande è la procedura di esame perché in molti centri è fatto in due step.
Nel primo addormento la paziente, prelevo il linfonodo, sveglio la paziente, lo analizzo e decido il
trattamento operatorio. C’è chi lo fa in unico step mediante analisi estemporanea: prelevo il linfonodo e
nel frattempo dell’analisi faccio il tempo vulvare, al termine saprò se andare a mettere mano ai linfonodi.
La tecnica del linfonodo sentinella è una tecnica che sta prendendo piede ma non è ancora
completamente definita.
• Linfadenectomia sistematica inguino-femorale bilaterale
• Linfadenectomia pelvica: Incisione lungo il ligamento inguinale, pulire tutto il tessuto,
posizionamento di drenaggi e chiusura.
Comporta una serie di Complicanze simili alle vulvari, è facile avere una deiscenza della ferita
inguinotomica, linfocisti, linfedema.
Dobbiamo cercare di ometterla nei tumori che non infiltrano più di 1mm o nel carcinoma verrucoso e
basocellulare che non danno mai metastasi.
Faccio il mio trattamento sul tumore (T), sull’inguine (N) ed ho il mio esame istologico che mi da una serie
di fattori predittivi:
s Stadio FIGO:
s Coinvolgimento linfonodale (tipo e numero)
s Diametro
s Istotipo
s Profondità di invasione stromale
s Margini di resezione (estremamente importante).
s Grading e LVSI
Curva prognostica dei linfonodi, è sempre una curva di Kaplan-Meier: la parte in alto, linfonodi no, curva blu
si vede come è decisamente superiore nel caso di linfonodi coinvolti.
Per esempio: a 50 mesi c’è una differenza di sopravvivenza: 50% con linfonodi positivi e 70% con linfonodi
negativi, non solo, ma anche l’età ha un valore predittivo, in quanto le donne più giovani hanno prospettiva
migliore di sopravvivenza: curva blu rispetto alla marrone.
Infine i margini: evidente che con margine negativo, curva blu, la percentuale di recidiva sarà decisamente
più ridotta rispetto ai margini positivi.

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TERAPIA ADIUVANTE
Radioterapia sulla vulva quando ci sono i positivi o
radioterapia sul perineo quando ho margini positivi posso
utilizzare chemioterapia se ci sono molti linfonodi metastatici
o metastasi a distanza.

FOLLOW-UP
Percorso che prevede a seconda del tumore una serie di
procedure diagnostiche, cliniche laboratoristiche e
strumentali volte alla diagnosi precoce dell’eventuale
recidiva.
Purtroppo non esiste ad oggi uno studio che dimostri in
qualsiasi sede anatomica (utero, vulva, ovaio) che il follow-up
si associ a un miglioramento della sopravvivenza.
La maggior parte degli autori sostiene che se rivedi la paziente nel caso si ripresenti sintomatica o la tieni
sotto controllo nel tempo con diagnostica di vario genere, le prospettive di sopravvivenza sono esattamente
uguali.
Questo sembra follia ma è stato dimostrato da alcuni studi clinici randomizzati, uno di questi nel carcinoma
dell’ovaio con marcatore CA125, in questo studio prospettico a cui ha partecipato anche Bari, se si fa il
marcatore ogni 3 mesi, oppure se non lo fai ed aspetti la signora che ripresenti un disturbo, la sopravvivenza
è esattamente uguale.
Per questo ci sono anche una serie di dati che mostrano che la spesa del follow-up, superi la spesa del
trattamento primario. In ogni caso noi tutto facciamo follow-up, ma in molti paesi scandinavi o anglosassoni
si comincia a fare follow-up telefonico con infermiere che usa una sorta di questionario, volto ad indagare
una serie di sintomi sospetti.
Qualora vi siano 2 almeno di questi, la paziente è invitata in clinica per il follow-up.
Seguendo le pazienti posiamo avere una fetta delle pazienti con recidive:
s Recidive Regionali: zona vulvare ed inguinale
s A distanza: polmone, fegato, ossa;
s Miste.
Curate con trattamento chirurgico, radioterapia o chemioterapia.
Nella recidiva dobbiamo per forza applicare tecniche di ricostruzione chirurgica, perché molto più facile avere
deiscenza, in quanto rimane poco tessuto.
Complicanze principali: deiscenza, assenza di margine sano e difficoltà per sclerosi tissutale.
Quindi ancora fondamentale la ricostruzione plastica.

Ricostruzione con lembi V-Y


Malattia di Paget: classicamente della mammella, tessuto rosso a carta geografica.
Ricostruzione con Lotus Flap: a sx la zona, a dx in alto il lembo chirurgico, in basso a dx aspetto finale
Recidiva locale con eviseratio locale: abbiamo tolto l’ano e richiuso con 2 grossi lembi presi dalla coscia
Evisceratio con vulvectomia totale: enorme buco che prende dal margine inferiore della sinfisi pubica fino
al coccige. Bisogna chiudere dall’ interno e dall’esterno con 2 grandi lembi

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RECIDIVE INGUINALI
• Ulcerate;
• Solide;
• Nodulari.

A livello della vulva non esiste la prevenzione ma esiste la diagnosi precoce. Sapere, guardare e biopsia, unico
modo per fare diagnosi precoce.
MELANOMI DEL TRATTO GENITALE

I melanomi primitivi del tratto genitale sono molto rari e rappresentano solo il 4% di tutti i melanomi
diagnosticati nel sesso femminile.
Essi insorgono a livello di:
• Vulva (70%);
• Vagina (20%);
• Cervice (5%);
• Ovaio (5%).
Vanno distinti dalle metastasi genitali di melanomi primitivi insorti in altra sede (generalmente cute), che
invece si localizzano preferenzialmente a livello ovarico.
Trattandosi di neoplasie molto rare, la casistica a nostra disposizione è troppo limitata per poter realizzare
degli studi prospettici.
Da ciò deriva che, a differenza dei melanomi cutanei, per i melanomi genitali non esiste nessuna linea guida
per il trattamento.
Possiamo cercare di capire se il melanoma a livello del tratto genitale ha un comportamento simile a quello
dei melanomi della cute, ma in realtà non lo sappiamo, vista la scarsità di dati a disposizione.
Tendenzialmente il melanoma vulvare può essere paragonato al melanoma cutaneo perché la vulva
sostanzialmente è cute, anche se qualche differenza con il melanoma cutaneo c’è.
Per quanto concerne il melanoma cervico-vaginale si ritiene che sia simile a quelli mucosali, come quello
dell’iride e quello della mucosa anale, che sono comunque rari.
Infine l’altra questione è se quello vulvare è simile a quello vaginale.
Tutti questi dubbi sono di difficile chiarimento.

Se volessimo cercare di paragonare i melanomi vulvo-vaginali con


quelli cutanei, possiamo guardare questo grosso studio del 2013
basato su dati raccolti dal SEER (uno dei più grandi istituti di
sorveglianza epidemiologica in ambito oncologico).
Si tratta di una raccolta epidemiologica che copre 35 anni, con circa
760 casi di melanoma vulvo-vaginale contro 55000 di quello
cutaneo.
Come vedete il numero di casi di melanoma vulvo-vaginale è molto
basso se confrontato al lunghissimo intervallo di tempo
considerato.

EPIDEMIOLOGIA
Ciò conferma il fatto che è una patologia molto rara.
Analizziamo i dati statisticamente più significativi relativi alle due neoplasie:
• Età: l’età mediana di insorgenza è più avanzata per le forma vulvo-vaginale (68 anni) rispetto alla forma
cutanea (52 anni).
• Razza: relativamente alla razza, nella forma vulvo-vaginale si osservano differenze statisticamente
meno significative rispetto alla forma cutanea.
• Stadio: alla diagnosi i melanomi cutanei sono notevolmente più localizzati rispetto a quelli vulvo-
vaginali. Ciò è legato al fatto che la cute, essendo esposta, è facilmente osservabile e pertanto nella
maggior parte dei casi è possibile una diagnosi precoce. Vediamo infatti nell’84% dei casi i melanomi
cutanei vengono diagnosticati nello stadio localizzato, contro il 45% dei melanomi vulvo-vaginali.

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• Positività dei linfonodi: questo aspetto è strettamente legato al punto precedente. Poiché il melanoma
cutaneo viene generalmente diagnosticato in uno stadio precoce, il coinvolgimento linfonodale è raro
(3% dei casi). Per contro, i melanomi vulvo-vaginali alla diagnosi risultano meno localizzati e quindi si
associano più frequentemente ad un coinvolgimento linfonodale (15% dei casi).
• Sopravvivenza mediana: è significativamente più bassa nei melanomi vulvo-vaginali (sia nei neri che
nei non-neri) rispetto a quella dei melanomi cutanei, proprio perché in uno stadio iniziale la
sopravvivenza è maggiore.

Vulvo-Vaginale Cutaneo
Età 68 y 52y
Razza Evidenze meno significative
Stadio Alla diagnosi più localizzati 84%
45%
Positività dei linfonodi Più frequentemente per diagnosi
più tardiva (15%)
Sopravvivenza mediana Maggiore

MELANOMA VULVARE

EPIDEMIOLOGIA
• Il melanoma vulvare è per frequenza la seconda neoplasia vulvare dopo il carcinoma;
• Rappresenta circa il 2-3 % di tutti i melanomi, pur essendo la superficie della vulva meno dell’1% di
tutta la superficie cutanea corporea (quindi in rapporto alle sue ridotte dimensioni, apparentemente la
vulva sembra essere più colpita);
• Più frequente nelle donne caucasiche;
• Più frequente in 5°-8° decade di vita.

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PATOGENESI
Alcuni aspetti patogenetici sembrano concordi con i melanomi cutanei, altri no. Ma sostanzialmente non
conosciamo bene la causa.
• Le mutazioni di NRAS e BRAF che nel melanoma cutaneo sono comuni, nei melanomi vulvo vaginali
sono raramente osservate. Anche la mutazione di c-KIT è molto più rara rispetto a quella dei melanomi
cutanei.
• Esiste una associazione con il lichen sclerosus e con HPV che sono fattori di rischio generali per la
patologia vulvare.
• Per quanto riguarda i raggi UV, normalmente questi non dovrebbero costituire un rischio in quanto la
vulva è una regione coperta. Tuttavia in letteratura sono riportati casi di ragazze giovanissime che
facevano il lettino solare senza costume, senza protezione, che hanno sviluppato il melanoma vulvare.

PRESENTAZIONE CLINICA
Il melanoma può insorgere a livello di
cute, mucosa o giunzione cute-mucosa
di una qualsiasi delle strutture che
costituiscono la vulva (grandi labbra,
piccole labbra o clitoride).
In generale vale sempre la regola “ABC”,
utile per differenziare i nevi dai
melanomi: A (asimmetria), B (bordi) e C
(colore).
Il melanoma si presenta sotto forma di
una macula o papula con colore
irregolare, bordi asimmetrici e diametro
di solito superiore ai 7 mm (questo ci aiuta a differenziarlo dai nevi).
Le lesioni sono più spesso melanotiche (figura 1) ma nel 10-15% dei casi possono essere amelanotiche (figura
2).
Esistono una serie di parametri che ci consentono di fare la diagnosi differenziale tra nevi vulvari, melanoma,
melanosi e AMNGT (Atipical Melanocitic Nevi of the Genital Trait).
Quest’ultima è una condizione sostanzialmente intermedia tra nevo e melanoma.
I parametri più significativi sono:
• La necrosi;
• L’ulcerazione;
• Il grado di atipie citologiche;
• Le mitosi.

Dal punto di vista della sintomatologia, a differenza del carcinoma vulvare (che è subito sintomatico), il
melanoma vulvare resta per lunghissimo tempo asintomatico (60%).
Meno frequentemente può dare:
• Prurito vulvare 40%;
• Sanguinamento 20%;
• Adenopatie inguinali 20%;

138
• Segni di metastasi a distanza 20%.

ISTOLOGIA
Da un punto di vista istologico abbiamo le classiche tre forme:
• Acrale lentigginoso;
• A diffusione superficiale;
• Nodulare
I melanociti atipici sono arrangiati in nidi confluenti, con diffusione pagetoide, necrosi cellulare e mitosi
estremamente spiccate.
Quindi questo quadro istologico non differisce più di tanto da quello classico del melanoma cutaneo.

STADIAZIONE
La stadiazione si basa su due sistemi:
Livelli di Clark
• Livello I: melanoma intraepidermico (melanoma in situ)
• Livello II: è presente una inziale infiltrazione del derma papillare
• Livello III: vi è infiltrazione completa del derma papillare
• Livello IV: Il melanoma invade il derma reticolare.
• Livello V: il melanoma invade l’ipoderma.
Spessore di Breslow
• ≤ 0.75 mm
• 0.76 – 1.5 mm
• 1.51–4mm
• >4mm
Questi sono dati che non dovete imparare a memoria. Dovete sapere soltanto il tipo di classificazione.

TRATTAMENTO
Il trattamento chirurgico si è modificato nel tempo.
• Il primo intervento è stato la vulvectomia con “incisione a farfalla”. Si tratta di un intervento molto
demolitivo che prevede una vulvectomia totale con linfadenectomia inguinale bilaterale. L’intervento
prende il nome dal fatto che con un’unica incisione veniva tolta in blocco l’intera regione vulvare e le
due regioni inguinali connesse da un ponte cutaneo.
• Attualmente si tende a ricorrere ad interventi meno demolitivi rappresentati dalla tumorectomia e
dall’emivulvectomia settoriale (anteriore, posteriore, destra o sinistra). Questo perché si è visto che la
radicalità oncologica può essere ottenuta senza necessariamente ricorrere alla vulvectomia totale, ma
praticando un’asportazione con margini di resezione (quota di tessuto sano asportata insieme al
tumore) di 3 cm.
In alcuni casi si può eseguire una chirurgia più estesa qualora ci sia la necessità di allargare il perimetro
chirurgico. Quindi si cerca sempre di più di personalizzare il trattamento.

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• Successivamente si è passati al cosiddetto intervento “a triplice incisione”. Si tratta sempre di un
intervento di vulvectomia totale con linfadenectomia bilaterale, ma in questo caso vengono eseguite
3 incisioni: una per la vulvectomia e una per ciascuna delle due linfadenectomie. Viene quindi
risparmiato il ponte cutaneo.

• In caso di malattia avanzata, recidiva o metastatica possiamo utilizzare tecniche chirurgiche più estese
(chirurgia ultraradicale/exenteratio). Possiamo inoltre aggiungere radioterapia, chemioterapia e
immunoterapia con regimi che di solito sono molto simili a quelli usati per i melanomi non ginecologici.

Sebbene nel
melanoma cutaneo il
linfonodo sentinella
sia diventato
sostanzialmente uno
standard, a livello
vulvare è ancora poco
utilizzato. La tecnica è
sovrapponibile a quella
del linfonodo
sentinella cutaneo. Nel 70% abbiamo il riscontro di un solo linfonodo sentinella a livello inguinale e si è
dimostrato che in caso di positività la linfadenectomia migliora il desease free survival (DFS) ma non migliora
la sopravvivenza.

MELANOMA DELLA VAGINA


I melanomi della vagina traggono origine da melanociti presenti
nello strato basale dell’epitelio vaginale (nel 3% delle donne), che
rappresentano un residuo della cresta neurale.
Si sviluppano prevalentemente nel terzo inferiore o nella parete
anteriore della vagina.
Possono essere:
• Singoli o multipli;
• Polipoidi o ulcerati;
• Pigmentati o non pigmentati.
Dal punto di vista istologico si distinguono in:

140
• Epitelioidi;
• Spindle cells;
• Misti.

EPIDEMIOLOGIA
Il melanoma della vagina è un melanoma mucosale e pertanto ha caratteristiche diverse rispetto al
melanoma cutaneo:
• L’incidenza è più bassa (rappresenta meno dell’1% di tutti i melanomi, il 2-5% dei melanomi genitali, il
3% delle neoplasie vaginali).
• L’età media di insorgenza è più avanzata (60 anni).
• Sopravvivenza a 5 anni più bassa (8-17%)
• Non vi sono differenze razziali ed etniche.
• Non è correlato ai raggi UV.
• La mutazione di cKIT è più frequente rispetto a quella di BRAF.

CLINICA
I segni e i sintomi clinici possono essere:
• Perdita ematica 80%;
• Leucorrea 25%;
• Lesione palpabile 15%;
• Dolore.
Le metastasi linfonodali e quelle a distanza sono abbastanza comuni proprio perché la diagnosi può essere
tardiva.

STADIAZIONE
La stadiazione FIGO non si applica bene al melanoma vaginale perché non incorpora né il diametro né lo stato
linfonodale.

TERAPIA
Anche in questo caso il trattamento può essere chirurgico (escissione ampia
margine sano, vaginectomia, exenteratio) associando il linfonodo sentinella.
Si può utilizzare in alternativa la radioterapia nei casi non operabili e una terapia
medica usando gli stessi farmaci (dacarbazina, interferone o IL2) che si utilizzano
per i melanomi in altre sedi.
La sopravvivenza di solito è abbastanza bassa, in particolare in base a diametro
del tumore e allo spessore.

SARCOMI DELL’UTERO
Il sarcoma è una patologia maligna che non deriva dall’epitelio (non a caso non si chiama carcinoma) ma dal
tessuto connettivo.
Sono molto rari a livello genitale (così come in tutte le altre sedi dell’organismo) e quei rari casi quasi sempre
interessano l’utero.
Vulva, vagina e ovaio sono invece localizzazioni estremamente rare.
I sarcomi dell’utero rappresentano il 2-4 % di tutti i tumori uterini e l’1% di tutti i tumori ginecologici. Sono
quindi estremamente rari (8 casi/1000000 donne), più o meno al pari dei melanomi.
I fattori di rischio non li conosciamo ancora bene.

141
Sappiamo che nel 10-20% dei casi si tratta di pazienti che sono state sottoposte a precedente radioterapia
pelvica, di solito o per un linfoma di Hodgkin o per una neoplasia del retto o per una neoplasia cervicale.
Inoltre c’è un notevole aumento di rischio nelle donne nere rispetto alle bianche.
Non vi sono dati significativi riguardo la storia riproduttiva e la storia ostetrica, tipo la parità, menarca,
menopausa che invece sono molto più rilevanti per i fibromi.
C’è un incremento del rischio per donne che hanno utilizzato a lungo Tamoxifene per una storia di
carcinoma della mammella.

CLASSIFICAZIONE
La classificazione GOG (Ginecological Oncology Group) del 1993 distingue 4 varianti istologiche principali:
• Tumorimisti mulleriani: rappresentano la variante più comune (50%). Sono anche definiti
carcinosarcomi in quanto sono tumori misti che comprendono una componente di derivazione
epiteliale (carcinomatosa) e una di derivazione connettivale (sarcomatosa). L’elemento sarcomatoso
può essere:
s di “tipo omologo” → quando somiglia al normale stroma endometriale;
s di “tipo eterologo” → quando esprime un istotipo che non si ritrova normalmente nell’utero,
come cartilagine (condrosarcomatoso), osso (osteosarcomatoso) o muscolo striato
(rabdomiosarcomatoso).
I tumori mulleriani sono molto comuni, ma li terremo da parte nella discussione perché in base
a studi genetici e di immunoistochimica si è visto che il carcinosarcoma deve essere considerato
più vicino al tumore dell’endometrio (epiteliale) che a quello connettivale. Probabilmente è un
tumore epiteliale che si è talmente tanto sdifferenziato da avere degli aspetti di tipo
sarcomatoso.
• Leiomiosarcoma (25-30%): è un tumore maligno a partenza dalle cellule muscolari lisce presenti nel
miometrio. Occupa il secondo posto per frequenza dopo i tumori mulleriani.
• Sarcoma dello stroma endometriale (15%): insorge nel connettivo che si trova subito al di sotto della
tonaca propria dell’endometrio.
• Adenosarcoma (5%): variante meno comune.
Ci concentreremo prevalentemente sul leiomiosarcoma.

LEIOMIOSARCOMA
Il leiomiosarcoma è un tumore estremamente raro. Al contrario la sua controparte benigna, il leiomioma
(comunemente chiamato fibroma o fibromioma), rappresenta l’80% delle patologie ginecologiche ed è quindi
la patologia più comune in assoluto (si stima che una donna su tre abbia uno o più fibromi di varie
dimensioni).
Dal punto di vista macroscopico il leiomiosarcoma si presenta come:
• Una massa larga;
• Di colorito giallastro-grigio.
• Di solito è solitario (quando sono multipli sono generalmente
fibromi, mentre è difficile che si tratti di leiomiosarcoma);
• Morbida al taglio con aree di emorragia e aree di necrosi.
• Nella stragrande maggioranza dei casi il leiomiosarcoma
compare ex novo e solo raramente può derivare da un
leiomioma (l’incidenza di trasformazione sarcomatosa nei
leiomiomi dell’utero è dello 0.2-0.7%).
È fondamentale la diagnosi differenziale tra fibroma e
leiomiosarcoma, dato che i due tumori hanno una prognosi molto differente e richiedono un trattamento
altrettanto diverso.
Il problema è che la diagnosi differenziale non sempre è agevole in quanto molto spesso hanno la stessa
presentazione clinica e nemmeno la diagnostica per immagini è di grande aiuto nel differenziare le lesioni
benigne da quelle maligne.
• Sia il leiomioma che il leiomiosarcoma danno come segno clinico più importante il sanguinamento.

142
Il sospetto di leiomiosarcoma dovrebbe essere posto in tutte quelle donne che hanno un
sanguinamento anomalo in post menopausa.
Il leiomioma invece sanguina in premenopausa. Quindi il sanguinamento postmenopausale, in presenza
di una massa pelvica e dolore può essere indicativo di un leiomiosarcoma anziché di un leiomioma.
• Il leiomiosarcoma cresce rapidamente, ma anche i fibromi spesso possono avere una crescita rapida.
• All’imaging (US, RM, TC) difficilmente si è in grado di distinguerli tra di loro. In entrambi i casi l’utero
appare di dimensioni aumentate.
Ci può aiutare la presenza di aree irregolari di necrosi, vascolarizzazione, che possono orientare verso
la malignità, ma anche fibromi di grosse dimensioni.
• possono avere frequentemente aree di colliquazione, necrosi e irregolarità.

Per la diagnosi definitiva è necessario l’esame


istologico.
Caratteristiche che depongono per la malignità sono:
• L’ipercellularità;
• Le atipie cellulari;
• L’elevato numero di mitosi (incluse le mitosi
atipiche);
• La presenza di aree di necrosi;
• I margini non ben definiti rispetto al
miometrio circostante;
• L’invasione vascolare.
Ma tra tutti questi parametri, quello principale è il
numero di mitosi osservate su 10 campi microscopici ad alto ingrandimento (HPF = High Power Fields).
Si conviene che:
• I tumori con meno di 5 mitosi/10 HPF hanno comportamento benigno;
• I tumori con 5-9 mitosi/10 HPF sono ad incerto significato biologico;
• I tumori con più di 10 mitosi/10 HPF sono francamente maligni.

In realtà è possibile individuare una gamma di lesioni che sono intermedie tra leiomioma e leiomiosarcoma,
sulla base di:
• Atipia citologica;
• Numero delle mitosi;
• Aree di necrosi coagulativa;
• Invasione vascolare.
Secondo la classificazione di Zaloudek e Norris si distinguono:
• Leiomioma;
• Leiomioma cellulare atipico;
• A incerto grado di malignità;
• Leiomiosarcoma a basso grado;
• Leiomiosarcoma ad alto grado.
Questa classificazione tuttavia è controversa e non è universalmente accettata.

143
Quindi fare una corretta diagnosi preoperatoria è più difficile nel leiomiosarcoma rispetto alle altre forme
tumorali.
Ma fare una corretta diagnosi preoperatoria sarebbe fondamentale in quanto indirizza verso il trattamento
da eseguire, che è molto diverso per i due tumori.
• Il leiomioma a seconda dei casi può essere trattato chirurgicamente con una miomectomia oppure
si può optare per terapie conservative (terapia medica ormonale);
• Il leiomioarcoma essendo un tumore molto aggressivo richiede una isterectomia.
Quando non viene posta correttamente la diagnosi preoperatoria, talvolta allora accade che la diagnosi di
sarcoma venga fatta su un mioma tolto nell’errato sospetto di patologia benigna.
In questo caso va completata la chirurgia con una isterectomia.

Un altro aspetto importante da considerare è il tipo di intervento da eseguire per la miomectomia. Una
parte dei leiomiomi si possono asportare in laparoscopia, una metodica mininvasiva nella quale attraverso
piccoli orifizi si può scapsulare il fibroma dall’utero.
Poi per tirarlo fuori si effettua la morcellazione, cioè si utilizza uno strumento che lo carota e poi si tirano
fuori trucioli di 6-8 cm.
Questa metodica può risultare deleteria nel caso in cui, invece che di fibroma si tratti di leiomiosarcoma:
infatti la morcellazione in laparoscopia utilizza gas, che determina una importante disseminazione cellulare
con conseguente rischio di carcinosi da leiomiosarcoma.
Qualche anno fa c’è stato un allert della FDA perché una donna, in seguito ad una laparoscopia con
morcellazione per un sospetto fibroma, ha avuto uno spread peritoneale a distanza di un mese
dall’intervento. Alla fine la donna è morta. Quindi vi è stato un grosso allert dalla FDA che ha di fatto vietato
la morcellazione e che ha limitato fortemente la possibilità di eseguire una miomectomia per via
laparoscopica.
Quindi la possibilità di eseguire una diagnosi preoperatoria affidabile vi consente di gestire la paziente in
laparoscopia oppure eseguire l’intervento in laparotomia se si vuole evitare qualsiasi rischio legato alla
morcellazione. Questo è l’aspetto principale.
Oggi si stanno mettendo appunto dei sacchetti che si chiamano endobag, all’interno dei quali poter eseguire
la procedura di morcellazione e quindi ridurre il rischio.
Però questo rischio deve essere tenuto sempre in mente prima di approcciare una donna per una
miomectomia, ricordando che tutte le nostre ipotesi per definire una patologia sospetta per un
leiomosarcoma (crescita rapida, eco, TC, RM) non possono essere sufficientemente affidabili.
La stadiazione è quella usata per il carcinoma dell’endometrio ma non vi interessa.
Nel complesso occorre sapere che il leiomiosarcoma è un tumore molto aggressivo, a crescita molto rapida.
Dà raramente metastasi linfonodali e metastasi ovariche, mentre dà per lo più metastasi per via ematogena.
La prognosi è sfavorevole. Anche allo stadio 1 la sopravvivenza è del 50%. C’è una elevata recidività anche
negli stadi iniziali.
Le linee guida NCCN (National Canadian Cancer Network) rappresentano le linee guida più usate in
oncologia e sono aggiornate periodicamente. Per ogni patologia indicano quali devono essere le procedure
di trattamento primario, terapia adiuvante in base allo stadio, procedure di sorveglianza e follow up.
Secondo queste linee guida, per il leiomiosarcoma il follow up prevede:
• Esame fisico ogni tre mesi per due anni, poi ogni 6-12 mesi;
• Imaging TC torace-addome-pelvi ogni 3-6 mesi per i primi due anni, poi annualmente.
La paziente deve fare patient education regarding sintoms.
In caso di recidiva, a seconda se è locale, isolata, disseminata, si eseguirà uno specifico trattamento.

144
FOLLOW UP IN GINECOLOGIA ONCOLOGICA

Il follow up o sorveglianza è un insieme di controlli, di procedure clinico-strumentali-laboratoristiche volte a


monitorare ed eventualmente identificare la ripresa di malattia.
Il follow up lo si può applicare a tutte le patologie, ma in ambito oncologico ha una rilevanza diversa perché
il presupposto teorico sulla base del quale indichiamo il follow up è il poter fare diagnosi precoce di eventuale
recidiva di malattia.
Nei tumori ginecologici il ruolo del follow up è poco chiaro non sappiamo se effettivamente riduce la
mortalità, la morbilità e soprattutto se migliora la qualità della vita questo perché abbiamo poche evidenze
in letteratura, abbiamo pochissimi studi prospettici (sui tumori dell’ovaio abbiamo solo uno studio che ha
dimostrato la totale inutilità del follow up), abbiamo studi con una serie di bias e limitazioni, abbiamo linee
guida carenti e nella pratica clinica ogni istituzione utilizza un proprio protocollo e una diversa gestione.
Quindi si parla di “evidence based ignorance”, perché non conosciamo il reale valore del follow up.

Domanda: se noi con il follow up si riesce a diagnosticare una recidiva in fase precoce e si riesce a trattarlo,
come è possibile che poi questo non determina un aumento della sopravvivenza a lungo termine?
Risposta: Questo è il presupposto teorico, ma nella pratica ci sono una serie di aspetti da considerare:
• Qual è il rischio reale di recidiva di malattia?
• Qual è la capacità degli strumenti a nostra disposizione di individuare precocemente (cioè prima dei
sintomi) la recidiva?
• Poi dobbiamo tenere in considerazione che la maggior parte delle pazienti che recidivano
inevitabilmente muoiono.
• Infine la sorveglianza ha un impatto sul sistema sanitario nazionale e un impatto psicologico sulla
paziente.
Quindi se facciamo una analisi dei costi benefici, i costi sono sproporzionatamente alti rispetto ai benefici. In
una analisi del 2010, su 150 tumori operati all’anno, circa 900 accessi per chemioterapia. Voi vedete come il
follow up ha previsto un numero stratosferico di visite (pap test, ecografie, TC e RX) e in un anno sono molto
di più gli accessi per il follow up che non quelli per il trattamento primario.
Nella nostra casistica, la diagnosi di recidiva, in meno dell’1% siamo riusciti a diagnosticarla in anticipo in fase
asintomatica. Nella restante quota di casi la diagnosi di recidiva si fa parallelamente alla comparsa di sintomi.
Quindi conviene? Probabilmente non cambia niente.
Il follow up è un discorso che riguarda il medico, la
paziente e gli amministratori del Sistema Sanitario
Nazionale (SSN).
Le finalità del medico sono:
• Diagnosi precoce della recidiva;
• Diagnosi delle patologie associate (es.
prevenzione carcinoma mammario);
• Valutazione degli esiti a distanza della terapia
chirurgica, terapia radiologica (stenosi vaginale, disturbi della funzione sessuale dopo radioterapia,
disturbi della funzione urinaria dopo chirurgia radicale);
• Valutazione della sopravvivenza.
• Controllo della malattia;
• Definizione di un programma ottimale di follow-up.
Le finalità della paziente sono molto importanti dal punto di vista psicologico perché è una forma di
rassicurazione sul proprio stato di salute, la paziente vuole avere una diagnosi precocissima di recidive e per
monitorare gli esiti della patologia.
Poi ci sono le finalità del Sistema Sanitario Nazionale, che riguardano soprattutto i rapporti costi/benefici,
perché eseguire una sorveglianza a tutti i pz oncologici significa dare un impatto sul SSN non indifferente.
Per il SSN sprecare un medico a fare due giorni di ambulatorio di follow up quando potrebbe fare due giorni
di attività di sala operatoria crea un grosso svantaggio economico perché quello che può produrre operando
per due giorni è molto di più di quello che può produrre facendo 10 visite di follow up in quei due giorni.

145
Deve inoltre valutare qual è la reale efficacia di procedure diagnostiche e terapeutiche, cioè capire che
vantaggio si ha in termine di anticipazione diagnostica se si ripete un esame periodicamente.
È necessario anche che il SSN controlli l’eventuale percentuale di complicanze dei trattamenti erogati. Ad
esempio se in seguito a un intervento chirurgico si ha una percentuale di fistole retto ureterali o retto vaginali
del 30% (una percentuale troppo elevata) il SSN ha tutto il diritto di mandare il medico a casa. Quini il SSN ha
la finalità di valutare la qualità dei servizi che eroga e deve definire un programma ottimale di follow up.

Quindi questo argomento va visto da molte sfaccettature, non da ultimo quello del MMG il quale molto
frequentemente alza il telefono, chiama lo specialista e dice “è possibile che io devo fare alla mia assistita gli
esami del sangue, la TC, anche se sono passati 5 anni?”, quindi il tentativo da parte del medico di base di
svincolarsi da una serie di procedure.
Le procedure che si fanno durante la sorveglianza sono:
• Visita ginecologica. Viene fatta dallo specialista ginecologo. Teoricamente può farla ovunque, sia
presso il centro che l’ha operata, sia con il medico ambulatoriale e dei servizi del territorio. Vi è però
in primis una differenza qualitativa, perché lo specialista ginecologo non ha la stessa esperienza
rispetto al ginecologo comune; in secondo luogo la stessa paziente non vuole fare la visita da un altro
medico, ma vuole farla dallo stesso che le ha fatto diagnosi, che l’ha operata e che l’ha seguita nel
post operatorio.
• Marcatori tumorali. Oggi c’è un’inflazione di marcatori tumorali, sia nella fase di pre-diagnosi sia nella
fase di follow up.
Nella fase di pre-diagnosi sono aspecifici e hanno un basso valore predittivo positivo.
Nel follow up hanno sicuramente un elevato valore predittivo positivo, ma non sempre sono
determinanti in quanto, come vedremo successivamente in uno studio prospettico randomizzato sul
CA125 del carcinoma ovarico, l’esecuzione ripetuta del marcatore tumorale non impatta sulla
sopravvivenza. Quindi quello studio ci dice che il marcatore tumorale non lo dovremmo fare.
• Colposcopia e PAP test.
• Ecografia transvaginale e ecografia addominale.
• RX torace.
Queste sono procedure semplici e poco costose. Il problema si pone quando si devono prescrivere indagini
ad alto costo.
• TC, risonanza e PET. Queste indagini hanno dei limiti: l’accuratezza è variabile; il numero dei posti è
limitato (quindi se si fanno tante TC di follow up inutili, il paziente a cui serve la diagnosi subirà ritardi
nell’esecuzione dell’esame); gli esami strumentali ingenerano uno stato di ansia importante nel
paziente (c’è una fase di ansia al momento della prenotazione, una fase di ansia nel momento in cui
si va a fare l’esame e una fase di ansia al ritiro dell’esito dell’esame strumentale). Quindi l’utilizzo di
queste procedure deve essere regolamentato e non bisogna seguire il concetto della medicina
difensivistica o astensionistica, cioè poiché si ha paura di non riuscire a fare diagnosi, si ricorre ad
esami che in talune circostanze sono inutili.
Quindi come si sceglie il follow up?
In base a fattori legati alla neoplasia, al medico e alla paziente.
• In base a fattori legati alla neoplasia dobbiamo conoscere i fattori prognostici e il rischio di recidiva
e le potenzialità terapeutiche.
Devo sapere che un tumore in stadio 1° è prognosticamente molto più favorevole rispetto ad un
tumore in stadio 3C, dove il rischio di recidiva è maggiore. Devo sapere anche, in base al tipo di
trattamento e al tipo di patologia, dove andare a cercare la recidiva e quindi quali esami consigliare.
• Fattori legati al medico. Il medico che ha trattato la paziente conosce meglio la storia naturale della
malattia e può indicare meglio quali sono gli esami da fare rispetto al medico di medicina generale,
in base alle risorse disponibili.
• Fattori legati alla paziente. Ogni paziente ha il suo vissuto, la sua ansia, il suo livello culturale. Ci sono
alcune che non verrebbero mai a fare il follow up (perché sono molto tranquille o non ci vogliono
pensare) e pazienti che chiamano ogni giorno il medico per sintomi ogni giorno diversi.

146
FOLLOW UP DEL CARCINOMA DELL’ENDOMETRIO
Tabella riassuntiva di studi retrospettivi su tumore dell’endometrio, tumore più comune della sfera
ginecologica.

Osservando questi studi si evince che:


• Quasi in modo univoco la percentuale di recidive è bassa (10%).
• Nella maggior parte dei casi (fino al 95%) quando c’è recidiva questa si verifica entro il 3° anno, quindi
bisogna avere attenzione entro il 3° anno.
• La cosa più importante è che, indipendentemente da tutto, la sopravvivenza dopo la recidiva è bassa
(minore del 10%).
• Inoltre le recidive sono spesso sintomatiche, per cui si diagnostica non solo perché faccio tanti esami,
ma perché la paziente presenta sintomi.

Pertanto non ha molto senso fare uno sforzo immane con un follow up per un tumore che recidiva poco,
recidiva solo nei primi tre anni e per il quale comunque posso fare ben poco (perché la sopravvivenza è bassa
sia se lo diagnostico presto che tardi).

Vedete come esistono in tempi diversi visita, marcatori,


TC, questionario della qualità di vita.
Per la diagnosi di recidiva sulla cupola vaginale in teoria è utile il pap test.

Tuttavia il pap test ha una detection rate (per tasso di identificazione, o Detection Rate, si intende il rapporto tra
numero di donne positive al test e numero totale di donne sottoposte al test) della recidiva molto bassa e ho
bisogno di fare 800 pap test per fare una diagnosi di recidiva.
Quindi significa che spreco 800 test per diagnosticare una recidiva che sarà manifesta con il sanguinamento.

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FOLLOW UP DEL CARCINOMA DELLA CERVICE UTERINA
Per il carcinoma della cervice uterina stessa cosa, anzi
ancora di più.
Abbiamo visto che i carcinomi della cervice uterina,
grazie alla prevenzione primaria e secondaria, si
diagnosticano in stadi iniziali. Il rischio di recidive è
molto basso negli stadi iniziali, mentre è molto
maggiore negli stadi avanzati.
Inoltre il follow up della paziente con carcinoma della
cervice è più complesso perché la maggior parte fa
trattamento chemio-radioterapico, per cui rischia di
fare il follow up da specialisti diversi. Ma l’oncologo medico non fa la visita ginecologica, ma solo esami
strumentali. Infine la sopravvivenza dopo la recidiva è sfavorevole e le pazienti muoiono indipendentemente
da cosa si faccia.

FOLLOW-UP DEL CARCINOMA OVARICO


Il carcinoma ovarico presenta un rischio recidiva
piuttosto elevato.
I sintomi alla recidiva sono presenti nel 30% dei casi
(quindi c’è una grossa fetta di pazienti asintomatiche).
Però la visita ginecologica nell’80% dei casi è efficace
nel diagnosticare la recidiva pelvica, che rappresenta
fino al 50% delle forme di recidiva. Quindi la visita è
l’aspetto principale nel carcinoma dell’ovaio.
Il CA125 è un marcatore abbastanza specifico (98%) e
sensibile (82%) e precede la comparsa dei sintomi di
circa quattro mesi.
Tuttavia può essere assente nel 15% delle
recidive e può inoltre essere positivo per
patologia benigna.
Nonostante questi presupposti uno studio
clinico randomizzato condotto da Rustin nel
2010 ha dimostrato che non impatta sulla
sopravvivenza. Quindi indipendentemente
dal fatto che si faccia diagnosi di recidiva con
il CA125 o si faccia solo su base clinica, la
sopravvivenza non cambia.
Nello studio in questione venivano valutati i livelli di CA125 in 529 pazienti dopo remissione completa del
carcinoma dell’ovaio. Le pazienti venivano randomizzate 1:1 in due gruppi:
1)un gruppo riceveva trattamento all’aumento del CA125;
2)un gruppo riceveva trattamento alla manifestazione clinica.
Non vi erano differenze di sopravvivenza tra i due gruppi.
Quindi il CA125 non è statisticamente utile nel follow up del carcinoma ovarico perché non modifica la
sopravvivenza. Questo studio è stato fortemente criticato in primo luogo dall’associazione delle pazienti, ma
bisogna avere il coraggio di ammettere che a rigore di logica, quello studio randomizzato prospettico a doppio
cieco, con rigore scientifico ha dimostrato che farlo o non farlo non modifica la sopravvivenza.
Sempre nel carcinoma dell’ovaio vedete che TC, RM, PET hanno delle percentuali di sensibilità, specificità,
valore predittivo positivo che non sono il 100%, ma hanno come limite principale quello dei costi.
Quindi in un’ottica di bilanciamento delle risorse è molto meglio utilizzarle per la diagnosi che non per il
follow up.

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CONCLUSIONI
PERCHÉ?
Il follow up in ginecologia oncologica non si dovrebbe fare perché non impatta sulla sopravvivenza, eccetto
che:
• Per le rare recidive vaginali isolate del carcinoma endometriale, che sono trattabili con la radioterapia;
• Per le limitatissime recidive isolate passibili di trattamento chirurgico.
A CHI?
È indicato per le pazienti con elevato rischio di recidiva. Quindi nella scelta se eseguire o meno il follow up
dovremmo essere guidati solo dal rigore scientifico e non dall’ansia della paziente.
COME SI FA?
Per prima cosa si deve conoscere la valutazione clinica e anamnestica. Dobbiamo conoscere la storia naturale
della malattia, i trattamenti fatti in precedenza e valutare in modo pedissequo tutti i sintomi perché molto
spesso la sintomatologia ci aiuta, anche piccoli segni iniziali possono essere sintomi di ripresa della malattia.
DOVE?
• Può farlo lo specialista ospedaliero, ma gli sottraiamo tempo per fare altre cose.
• Dobbiamo chiedere aiuto al MMG, il quale deve gestire insieme allo specialista ambulatoriale un
protocollo che deve essere dettato dallo specialista oncologo ospedaliero. Quindi non deve essere
generico per tutti, ma personalizzato nell’ottica di ridurre gli sprechi.
• Quello che sta prendendo molto piede è il self care follow up, ovvero il paziente viene istruito su una
serie potenziale di sintomi che devono allarmarlo. Solo in presenza di quelli si fa il follow up.
• Oppure un’alternativa è la gestione tramite infermiere specializzate, il Nurse lead telephone follow
up, una sorveglianza telefonica condotta da un infermiere specializzato, l’infermiere chiama il
paziente, chiede di una serie potenziale di sintomi e in base a quello gestisce l’eventualità delle
procedure da fare.

Il follow up coinvolge anche l’integrità morale del medico. Ci sono anche colleghi che sfruttano l’ansia della
paziente per interessi personali facendo visite private.
Al di là di questo, fare tante visite e tante diagnosi precoci di recidiva non significa aumentare la
sopravvivenza. Per giunta, le risorse impiegate per il follow up rappresentano risorse sottratte ad altre attività
che risultano più fruttuose, come la prevenzione. E in ultima analisi non bisogna farsi prendere dall’ansia
della paziente.
Domanda: Ci sono linee guida per i singoli tumori, anche dal punto di vista medico legale?
Risposta: Ci sono quelle linee guida viste in precedenza dell’NCCN e vanno applicate caso per caso perché
c’è la paziente a basso rischio e quella ad alto rischio, ci sono gli anni dalla diagnosi, ci sono i trattamenti
precedenti. Il problema medico legale secondo me deve essere tenuto in seconda o terza istanza. Dobbiamo
avere la capacità, con i metodi e gli studi e i dati in letteratura, di dire alla paziente che il follow up non ha
una significativa evidenza.
In Scandinavia non fanno follow up perché non è cost effective e la paziente lo deve accettare.
Nella nostra mentalità è più difficile. Però noi cerchiamo di svincolarci, di allungare sempre di più gli intervalli,
di considerare il follow up più come una cosa di affettività e utile per aggiornare i database e le casistiche,
trovando un compromesso tra la concettuale di idea di fare follow up in modo intensivo e impegnativo e
dall’altra di non sprecare risorse di tempo ed energie.

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