Sei sulla pagina 1di 75

Economia dei Trasporti

Ripercussioni ambientali, sanitarie, ecologiche, economiche.


Sviluppo sostenibile

Le leggi economiche che regolano il sistema trasporti

I problemi oggetto della scienza economica riguardano tutti gli individui inseriti nell’intera
collettività e costituenti l’interezza del sistema economico. L’economia dei trasporti è uno degli
ambiti di studio della scienza economica ed analizza le dinamiche economiche, le relazioni del
sistema trasporti con il sistema economico generale e l’applicazione delle leggi economiche in tutte
le attività che comportano il trasferimento nel tempo e negli ambiti territoriali di individui e merci.
I fenomeni economici osservati nell’ambito del sistema trasporti descrivono:
- il comportamento degli individui nella scelta dei servizi di trasporto.
- i percorsi economici scelti e le modalità di gestione del trasporto delle merci.
- le relazioni con l’ambiente esterno.
- le scelte e gli interventi di natura pubblica per i servizi di trasporto.
Tali fenomeni vengono osservati con distinti approcci sistemici:
- microeconomico: analizza l’analisi comportamentale dei soggetti di fronte ai trasporti come
bisogno sociale. Lo strumento di analisi è la teoria del prezzo.
- macroeconomico: analizza insiemi e grandezze economiche, gli interventi dello Stato
nell’economia di settore, gli strumenti e le politiche territoriali da adottare per il perseguimento
degli obiettivi.
La politica economica è lo strumento attraverso il quale i soggetti pubblici pianificano la politica
dei trasporti (l’insieme degli interventi volti ad aumentare ed a valorizzare i fattori di competitività
del sistema economico attraverso il potenziamento della dotazione infrastrutturale e la migliore
accessibilità ai luoghi della produzione) e l’economia nel suo complesso, fissano gli obiettivi
prioritari ed effettuano le scelte tra obiettivi conflittuali. Ulteriormente, nel perseguire gli obiettivi
prefissati, i soggetti pubblici possono scegliere fra forme di intervento:
- di tipo microeconomico quali interventi per la costituzione e la gestione di imprese pubbliche
di trasporti, il controllo dei mezzi amministrati e della tariffe dei servizi di trasporto, la
regolamentazione dell’attività economica.
- di tipo macroeconomico in cui sia gli obiettivi perseguiti sia gli strumenti utilizzati consistono
in grandezze economiche aggregate (pianificazione degli investimenti infrastrutturali
territoriali, introduzione di incentivi e sussidi per la copertura dei costi dei servizi di trasporto
che rendano il trasporto collettivo economicamente vantaggioso rispetto al trasporto privato).
L’utilità non è una qualità intrinseca di un bene economico ma è un concetto soggettivo che esprime
il grado di importanza che ciascuno attribuisce ad un bene o ad un servizio. I trasporti producono
utilità proprio perché permettono la mobilità, nel tempo e nello spazio, degli individui e delle merci.
L’utilità (attitudine, reale o presunta, di un bene al soddisfacimento dei bisogni) che viene attribuita
ad un servizio ne determina il suo valore d’uso, il cosiddetto prezzo della domanda. Di
conseguenza, nel caso di servizi di trasporto per individui, l’utilità è funzione della rilevanza, nella
propria sfera economica e personale, del viaggio nello spazio e nel tempo; nel caso di merci, l’utilità
è funzione della rilevanza che il servizio di trasporto assume nel contesto economico organizzato
dell’agente che domanda il servizio. In questo senso il bisogno di trasporti ha carattere:
- strumentale, se relativo ai trasporti di merci ed a attività economiche di tipo distributivo
territoriale.
- di consumo, se direttamente riferibile ai bisogni individuali di trasporto persone.
I trasporti sono classificabili come servizi includibili nella lista dei bisogni sociali (stato di
insoddisfazione dell’individuo che avverte la sensazione di un desiderio inappagato).
Quando si parla di attività di produzione di mezzi di trasporto e di realizzazione di infrastrutture, i
trasporti rientrano nella categoria delle attività economiche secondarie (tutte le attività industriali di
trasformazione e di produzione di prodotti finiti). Essi rientrano nella più generica categoria delle
attività economiche terziarie (tutte le attività che utilizzano beni già esistenti il cui uso è strumentale
alla produzione di servizi) quando invece si parla di produzione di servizi di trasporto e gestione
delle infrastrutture.
Tutti gli elementi del sistema economico urbano costituiscono l’ambiente esterno, definito anche
sistema delle attività. Il sistema trasporti può essere, in via generale, scomposto in due sottosistemi
interagenti:
- sistema della domanda costituito dagli utenti dei servizi raggruppati in specifiche categorie
portatrici di interessi.
- sistema dell’offerta costituito dalle componenti sia fisiche che organizzative che
contribuiscono a produrre e ad evolvere il sistema economico urbano.
Un sistema di trasporto può essere definito come l’insieme delle componenti e delle loro
reciproche relazioni che realizzano la produzione ed il consumo dei servizi di trasporto in un certo
ambiente. I viaggiatori e le merci che si spostano in una determinata area territoriale costituiscono la
domanda (il concetto di domanda supera l’idea comune di desiderio o bisogno; non si ha domanda
se non esiste l’effettiva capacità e disponibilità a pagarne il corrispettivo) di trasporto che è una
domanda derivata in quanto azione congiunta dell’assetto del territorio con la distribuzione spaziale
di servizi, attività, abitazioni, e del particolare sistema di offerta (quantità di servizi posti sul
mercato ad un determinato prezzo) dei trasporti.
In sintesi, ogni analisi economica del sistema trasporti deve incentivarsi sulle caratteristiche:
- dell’ambiente esterno al sistema trasporti.
- dell’offerta di opportunità dei servizi di trasporto per le persone e per le cose.
- della domanda di mobilità di persone e di cose.
- della qualità dell’equilibrio tra domanda ed offerta (come nella scienza economica, i prezzi si
stabiliscono nel punto di incontro tra le curve della domanda e dell’offerta; aumentano quando
una delle due curve si sposta verso l’alto, diminuiscono quando una delle due curve si sposta
verso il basso).
La disponibilità di un sistema di trasporto pubblico possiede alcune caratteristiche di bene pubblico
(bene della collettività, reso disponibile dal settore pubblico e distribuito tra gli individui in quantità
fissa ed indipendente dai gusti individuali); infatti l’esistenza di un servizio potenzialmente utile ad
alcuni individui non preclude ad altri soggetti il godimento della stessa disponibilità anche se tale
disponibilità può essere influenzata dal livello di congestione delle risorse.
La scelta alternativa degli individui tra trasporto pubblico e trasporto privato corrisponde
all’alternativa tra condivisione e personalizzazione.
In generale la caratterizzazione del servizio di trasporto è rapportata al mercato dei servizi di
trasporto che ha essenzialmente natura duale:
- trasporto privato che pur essendo costoso offre un livello alto di flessibilità e risponde alle
specifiche esigenze degli individui.
- trasporto pubblico inteso come il complesso dei servizi pubblici che, pur essendo più
convenienti in termini di prezzo, offrono un prodotto abbastanza rigido in termini di tempo e
qualità.
Il trasporto pubblico offre un servizio garantito che può essere apprezzato anche da chi
normalmente non ne fa uso. In questo senso esso viene valutato sulla base dell’utilizzo potenziale
anziché effettivo con una valutazione ex – ante che differisce da una valutazione ex – post del
servizio. La maggiore utilità attesa origina un valore di opzione (il concetto si trova in genere nei
mercati finanziari quando viene compravenduto il diritto di acquistare o vendere nel futuro
un’attività ad un prezzo determinato. Lo stesso concetto viene utilizzato spesso anche nella
valutazione delle risorse ambientali per le quali il godimento futuro non è certo) che prescinde in
ogni caso dall’effettiva utilizzazione dell’opzione.
Il trasporto privato possiede anch’esso un valore di opzione quando, per esempio, l’acquisto di un
mezzo garantisce la possibilità di utilizzo nel futuro dello stesso.
Il risparmio dei costi del sistema di trasporto pubblico è tanto più significativo quanto maggiore è il
numero di individui e di soggetti economici servizi dalla rete. E’ maggiore inoltre la possibilità di
scelta tra varie tipologie di trasporto, alcune inaccessibili al trasporto privato. Il sistema di trasporto
privato realizza un doppio effetto distributivo:
- quantitativo: la presenza di un mercato permette agli individui di acquistare quantità differenti
commisurate alle esigenze soggettive.
- qualitativo: l’individuo può scegliere le caratteristiche del servizio.

Trasporti e sviluppo economico

Il sistema trasporti è considerato oggi uno dei fattori determinanti lo sviluppo delle grandi aree
metropolitane, con effetti sulla loro densità, sulla dimensione totale o relativa del centro rispetto alla
periferia, trasformando le città da monocentriche in policentriche, con poli di attrazione
(l’attrattività del punto è tanto più elevata quanto maggiore è il costo totale teorico di trasporto che
verrebbe economizzato localizzando l’impianto in prossimità del punto considerato. Di
conseguenza, quanto più numerose e costose (in termini di trasporto) sono le materie prime che si
trovano in una località, tanto maggiore è il risparmio nel costo di trasporto che si ottiene
localizzandosi presso questa località. La stima di questa attrattività e la comparazione con
l’attrattività delle altre localizzazioni conduce alla scelta localizzativa dell’impresa. Per valutare
l’attrattività comparata dei punti di potenziale localizzazione e risolvere il Weber problem occorre
definire per ciascuna località un peso ideale (ideal weight)) di maggiore o minore forza e
conseguenti processi di crescita o di decadenza.
I trasferimenti necessari per motivi di lavoro, le sempre maggiori relazioni tra soggetti che svolgono
attività economiche diverse, il raggiungimento dei punti di offerta dei servizi metropolitani,
dipendono strettamente dall’efficienza del sistema trasporti.
L’evoluzione di alcuni fattori socio – economici quali la crescita del reddito, l’allungamento della
vita, la riorganizzazione degli schemi di comportamento sociale e lavorativo hanno determinato un
forte aumento della mobilità erratica e la diminuzione di quella sistematica, generando relazioni
molto strette tra trasporti e territorio.
Ogni modifica del sistema trasporti incide sulle scelte degli utenti riguardo all’ora di viaggio, al
percorso, alla destinazione ed al modo di trasporto. L’accesso alla città può anche influenzare le
scelte localizzative dei singoli individui, sia nell’individuazione delle diverse aree cui agire come
soggetti economici, fino alla scelta del luogo in cui vivere od il lavoro da intraprendere.
Conseguentemente, la distribuzione spaziale delle attività economiche e residenziali sarà funzione
delle convenienze localizzative di negozi ed attività industriali. Queste considerazioni evidenziano
un meccanismo circolare nel quale l’uso del territorio, generando la domanda di mobilità, incide sul
sistema trasporti e ne orienta l’evoluzione.
L’analisi delle scelte localizzative può essere fatta secondo due modalità. Partendo dal presupposto
che ogni città ha un proprio centro intorno al quale essa si è sviluppata, la prima modalità considera
l’intensità di utilizzo del territorio ad esso circostante via via che aumenta la distanza con il
centro stesso. Il territorio più vicino al centro ha un’intensità di utilizzo maggiore visto lo
sfruttamento massimo degli spazi e delle altezze, mentre tanto più aumenta la distanza dal punto
centrale tanto più l’utilizzo del territorio è meno intensivo. La scelta localizzativa in questo caso
viene effettuata sia sulla base delle esigenze strutturali e logistiche del soggetto economico, sia
sull’effettiva possibilità che il soggetto economico ha di sostenere i costi di raggiungimento del
centro.
La seconda modalità di analisi ha un approccio di mercato, considerando il centro come il fulcro
economico per la produzione di servizi per tutto il territorio ad esso circostante. In questo caso, la
scelta localizzativa viene effettuata sulla base dell’importanza dell’attività economica che si vuole
svolgere in relazione a tutte le altre attività collocate nel centro della città, ed il maggiore, o minore
vantaggio economico che la minore, o maggiore, distanza dal centro procurerebbe.
Nella visione classica, la scelta localizzativa dell’impresa avverrà in base al criterio della
minimizzazione del costo totale di trasporto.
Verso l’impresa, infatti, devono convergere le materie prime da trasformare (costo di trasporto a
monte della produzione). Dall’impresa occorre poi trasportare il prodotto verso il centro di mercato
(costo di trasporto a valle della produzione). La somma di questi costi di trasporto dà luogo al costo
totale di trasporto per l’impresa, che dipenderà dal luogo in cui l’impresa è localizzata. La
minimizzazione del costo totale di trasporto consentirà di individuare la localizzazione ottima per
l’impresa nello spazio.
In sintesi, le considerazioni determinanti le scelte localizzative sono:
- i costi di trasporto e di spostamento strettamente dipendenti dalla distanza dai punti centrali di
interesse economico.
- i costi da sostenere per ovviare alla distanza dal punto centrale.
- i maggiori o minori costi strutturali e logistici del punto di insediamento rispetto al punto
centrale.
- i maggiori o minori ricavi derivanti dall’insediamento in territori più o meno intensamente
utilizzati.
In passato, la crescente domanda di mobilità, ha attivato interventi sul sistema trasporti indirizzati
principalmente al trasporto privato potenziando la rete stradale urbana e suburbana. Tali interventi
hanno favorito la crescita del trasporto individuale e lo sviluppo demografico delle grandi aree
metropolitane, generando però la congestione delle stesse ed un uso del territorio non supportato da
una programmazione degli insediamenti e della viabilità.
Il minor utilizzo dei sistemi di trasporto pubblico in favore di quello privato, viene generalmente
motivato dal fatto che il servizio di trasporto pubblico non garantisce celerità e frequenza dei
servizi. D’altro canto, si sottolinea anche che, proprio l’aumento della motorizzazione privata
contribuisce ad aumentare la congestione delle strutture urbane causando quindi risultati sfavorevoli
di gestione dei servizi pubblici.
La letteratura economica ha frequentemente ignorato l’incidenza dei trasporti pubblici sulla
struttura urbana, probabilmente perché la maggior parte degli studiosi della materia hanno osservato
i fenomeni economici in aree dove il trasporto pubblico non ha mai avuto grande rilevanza. In via
eccezionale però, Haring, Anas e Moses, Voith hanno teorizzato alcuni modelli che descrivono i
fenomeni economici intorno all’unità di osservazione C.B.D. (City Business District).
Partendo dal modello di analisi della struttura urbana locale di Mills e Von Thunen, Haring mette a
confronto i parametri delle città europee con quelli delle città nord – americane dove i sistemi di
trasporto pubblico hanno un’intensità naturalmente diversa. Il trasporto pubblico viene considerato
a priori in competizione con quello privato, ma i risultati dimostrano che essendo il trasporto
pubblico una possibilità di scelta in più offerta agli utilizzatori del territorio, la presenza dello stesso
favorisce la diminuzione della congestione urbana ed aumenta le possibilità di accesso al C.B.D.
(City Business District). La funzione di rendita del territorio viene dunque resa più elastica in
quanto diminuisce il differenziale tra la rendita del C.B.D. e quella dei territori circostanti.
Anas e Moses dimostrano che la classica struttura concentrica centro – periferia è solo uno dei casi
possibili in uno spazio dove devono ipotizzarsi due modi di trasporto diversi:
- un modo di accesso alle strutture urbane costituito da linee radiali sparse, dove cioè la modalità
di trasporto è disponibile sono in alcuni e non in tutti i punti (trasporto pubblico o strade veloci
di accesso al C.B.D.).
- un modo di accesso più denso, dove le strade sono più piccole e più lente.
Poiché ogni individuo sceglie la combinazione dei modi o il modo di trasporto che più compensa la
struttura dei costi (fissi, variabili, congestione), vengono di conseguenza a crearsi diverse strutture
della città e sottoinsiemi economici che gravitano nello stesso territorio.
Voith ipotizza un modello di equilibrio economico generale dove i provvedimenti di gestione del
traffico influiscono sulla distribuzione modale tra trasporto pubblico e privato. L’introduzione di
imposte sui parcheggi o sull’accesso al C.B.D. diminuisce infatti i costi esterni da congestione ma
fa aumentare i costi per il raggiungimento del C.B.D. causandone dunque la minore attrattività e le
economie da agglomerazione. Le imposte da congestione possono però essere utilizzate per
finanziare il sussidio al trasporto pubblico, che rimane il sistema utile per raggiungere il C.B.D., e
possono dunque essere applicate tariffe ottimali pari a costi marginali, che comportano però deficit
nei bilanci pubblici. Il punto di equilibrio ottimale è dunque quello che riesce a bilanciare tra costo
del trasporto pubblico, congestione ed imposte sui parcheggi od accessi C.B.D.
Il concetto di Sviluppo sostenibile (sviluppo che soddisfa le esigenze presenti senza compromettere
la capacità delle future generazioni di soddisfare le proprie stesse esigenze) (Rapporto Brundtland
(è a partire dagli anni 60, in conseguenza di uno sviluppo industriale incalzante e caotico, che si
sviluppa una crescente sensibilità relativa a modelli di sviluppo alternativi a quelli dimostratisi
dannosi per l’ambiente. Occorre attendere però l’inizio degli anni 70 affinché questa nuova
sensibilità collettiva si traduca, sul piano internazionale, in azioni significative capaci di definire
nuovi modelli di sviluppo. Solo nel 1972, con la Conferenza di Stoccolma, vengono infatti enunciati
per la prima volta in sede internazionale alcuni di quei principi che avrebbero portato più tardi ad
una precisa definizione del concetto di sviluppo sostenibile. Occorrerà attendere ancora fino al 1983
perché le Nazioni Unite istituiscano la Commissione Mondiale per l’Ambiente (WCED), meglio
nota come Commissione Brundtland (dal nome della norvegese Gro Harlem Brundtland, che ne fu
il Presidente). Si arriva quindi, con l’anno 1987, ad una tappa fondamentale dell’evoluzione del
concetto di sviluppo sostenibile, è l’anno in cui a Tokio si svolge la Conferenza delle Nazioni Unite
per l’Ambiente e lo Sviluppo (UNCED) ed è proprio in tale occasione che viene presentato il
“Rapporto Brundtland” secondo il quale la protezione dell’ambiente smette di essere considerata
come un limite allo sviluppo economico e sociale per diventarne invece un presupposto
fondamentale. In tale occasione viene inoltre definito il concetto di sviluppo sostenibile quale
ancora oggi è universalmente riconosciuto, secondo tale definizione lo sviluppo sostenibile consiste
nella realizzazione di un equilibrio tra esigenze di tutela ambientale e sviluppo economico che
consenta di soddisfare i bisogni delle persone esistenti senza compromettere la capacità delle future
generazioni di soddisfare i loro bisogni) fa parte ormai del linguaggio comune e proviene da una
cultura ambientalista (la sostenibilità è stata elaborata per l’analisi di sistemi naturali,
successivamente applicata come concetto utile all’ambiente quasi artificiale della città) che si sta
lentamente ma saldamente affermando in tutto il mondo. L’aggettivo “sostenibile” può avere
molteplici accezioni, ma se non se ne comprende l’origine, mai potrà diventare sinonimo
dell’espressione “che ci possiamo permettere di pagare” come pare qualcuno lo intenda. Infatti
talvolta si tratta di un termine abusato, utilizzato per indicare concetti completamente diversi da
quelli originari, attribuiti a persone o punti di vista assolutamente lontani da quella cultura della
sostenibilità che l’hanno generato.
Il sistema trasporti è una delle determinanti da un lato, e delle risultanti dall’altro, di tutti gli attuali
Piani strategici di sviluppo economico applicati sul territorio. La città, in questa chiave di lettura,
diventa città sostenibile. La città rappresenta il territorio guida della società, dove si elaborano
modelli di comportamento sociale e si attivano meccanismi di competizione economica, finanziaria,
commerciale e tecnologica. Contemporaneamente, è nella stessa città che si manifestano e si
osservano le esternalità prodotte dai meccanismi appena detti.
Il trasporto è una delle maggiori fonti di esternalità ambientali negative tanto da indurre interventi
di tipo pubblico che ne ridimensionino la portata. Tali interventi si sono, nella maggior parte dei
casi, focalizzati sulla riduzione del trasporto privato dei passeggeri, da qualche tempo misure
restrittive sono state imposte anche per la regolazione dei flussi di merci all’interno dei centri
urbani. Tali interventi tendono da una parte a minimizzare gli impatti ambientali, dall’altra a
garantire il funzionamento delle attività economiche dell’area urbana.
I diversi strumenti di intervento suggeriti dalla teoria economica possono essere così classificati:
- tasse e misure tariffarie: applicabili per l’accesso alla città dei veicoli pesanti.
- misure di gestione del traffico: limitazioni ad aree specifiche in determinati orari o a
determinati mezzi.
- interventi infrastrutturali: sviluppo di progetti radiali di vie, aree di carico e scarico, assi di
carico e scarico.
- misure di distribuzione fisica del trasporto: fasce orarie, diversa frequenza consegne, mezzi
pubblici anche per trasporto di beni.
- interventi tecnologici: ottimizzazione dei circuiti e dei viaggi, adozione di sistemi e mezzi
meno inquinanti.
- misure di pianificazione territoriale: localizzazione ottimale delle attività economiche.
In generale, le azioni di intervento locale devono essere ispirate da una serie di principi che
assolvono alla funzione di sostenibilità:
- principio della gestione urbana, che prevede, attraverso un processo di natura essenzialmente
politica, la pianificazione degli interventi urbani.
- principio dell’integrazione politica, nel quale il coordinamento e l’integrazione sono
raggiungibili congiungendo il principio di sussidiarietà con quello di responsabilità condivisa
onde evitare conflittualità politica a vari livelli.
- principio dei ragionamenti sugli ecosistemi, per il quale la città è un sistema complesso di
flussi inseriti in un continuo processo di mutamenti; la regolamentazione del sistema trasporti è
uno degli elementi della riflessione basata sugli ecosistemi.
- principio della cooperazione e della partnership, in base al quale, essendo la sostenibilità
una responsabilità condivisa, diventa importante la condivisione anche delle esperienze,
l’istruzione e la formazione professionale, la consultazione e la partecipazione della collettività
e, in generale di tutti gli organismi che possono contribuire a scelte di migliore intervento sul
sistema urbano.
Il conseguimento dell’accessibilità urbana in chiave sostenibile è una tappa importante del processo
di miglioramento generale dell’ambiente urbano e nel mantenimento della vitalità economica. Di
conseguenza, tutti gli obiettivi in campo ambientale e di trasporti, sono raggiungibili attraverso
approcci integrati che combinino i trasporti, la pianificazione ambientale e quella spaziale.
L’accessibilità urbana sostenibile deve essere misurata tramite indicatori di sostenibilità
(caratteristiche determinabili e misurabili di un mondo i cui livelli assoluti o tassi e direzioni di
variazione sono concepiti per rivelare se il mondo (od una città) sta diventando più o meno
sostenibile), obiettivi quantificati e relativi controlli nonché politiche che migliorino la fruibilità
generale della città e non solo gli spostamenti.
Le linee guida preminenti di una sana politica dei trasporti devono prevedere un sistema integrato di
trasporto urbano multimodale (l’insieme combinato di più mezzi e modi di trasporto) nel quale sia
promossa la complementarità piuttosto che la concorrenza tra i modi. Per conciliare gli interessi di
natura divergente tra qualità dell’ambiente e vitalità economica e sociale dei centri urbani, la ricerca
economica ha sviluppato il concetto di City Logistic che mira a ridurre e razionalizzare il traffico di
distribuzione delle merci. Pur non esistendo una definizione univoca di City Logistic, la descrizione
più corretta sembra essere quella che la intende come l’insieme delle misure che, tramite la
massimizzazione della capacità (in termini di riempimento) dei mezzi e la minimizzazione del
numero veicoli/km, realizzano la logistica dei flussi urbani ed il raggiungimento dell’efficacia e
dell’efficienza. La City Logistic utilizza, quale strumento principale anche se non esclusivo, la
creazione di uno o più centri di distribuzione urbana delle merci (transhipment) nella periferia o
subito a ridosso della città, centralizzando (è estremamente necessario che la piattaforma logistica
sia dotata di sistemi telematici ed informatici collegati a tutti gli attori coinvolti) il coordinamento
dei flussi ed ottimizzando i percorsi, gli orari e la destinazione delle consegne. I fattori operativi
della politica di razionalizzazione della City Logistic sono:
- il tempo.
- la gestione dello spazio.
- le modalità di accesso.
- lo smaltimento dei residui da carico e scarico (imballaggi).
- la centralizzazione delle informazioni e possibilità di cooperazione, anche tra pubblico e
privato.
La giusta combinazione di tali fattori decide il successo della piattaforma.
I fattori di rischio per la City Logistics sono:
- elevati investimenti iniziali per la creazione della piattaforma: è necessario che vi sia il
coinvolgimento di un numero elevato di partecipanti ed una compartecipazione di
finanziamenti sia pubblici che privati.
- incremento iniziale dei costi distributivi per gli operatori: solo nel lungo periodo vengono
compensati dai risparmi globali legati alla produttività.
- alta improduttività dei percorsi di ritorno: incidono sul costo distributivo globale; la piattaforma
deve coordinare ed ottimizzare anche i flussi in uscita dalla città.
- esistenza di altri sistemi distributivi organizzati: è necessario adottare misure di gestione del
traffico che agevolino l’utilizzo e la convenienza della piattaforma.

I soggetti economici del sistema trasporti

I soggetti economici che operano ed interagiscono nel Sistema Trasporti possono essere raggruppati
in grandi categorie portatrici di interessi specifici dei contesti economici di riferimento. L’insieme
degli interessi di ogni contesto economico determina non solo la domanda di servizi di trasporto in
senso stretto, ma rende possibile una serie di evoluzioni e connessioni, sociali e territoriali, tra
risorse disponibili e masse di popolazione, differentemente dislocate.
L’analisi delle grandi categorie di soggetti economici può opportunamente essere effettuata con il
parallelismo tecnico – concettuale tra il Sistema Trasporti in generale, e la città. In questo percorso
analitico la città è intesa come microambiente di studio, circoscritto in un ambito territoriale
organizzato, dove una rete di soggetti attiva tutte le dinamiche economiche e sociali riscontrabili nel
ben più ampio Sistema Economico Generale.
La categoria più importante tra i soggetti economici è costituita dai Destinatari dei prodotti e dei
servizi di trasporto disponibili nella città. In particolare:
- i cittadini, intesi come singoli individui e, nella loro interezza, come attori collettivi, che
fruiscono dei servizi di trasporto integrati in una realtà, la città, che nel suo insieme, volge ad
una visione di benessere collettivo.
- le imprese che utilizzano la mobilità sul territorio quale strumento per l’ottimizzazione dei costi
di produzione e di distribuzione e determinano, le condizioni di efficienza tecnica e sociale
della città.
La categoria dei Destinatari può essere ulteriormente specificata distinguendo gli specifici servizi di
cui essi fruiscono:
- servizi residenziali, particolarmente goduti dai cittadini residenti (coloro che vivono
stabilmente nelle città).
- servizi pubblici, utilizzati sia dai cittadini residenti che dai non residenti (pendolari,
frequentatori occasionali, turisti).
- servizi localizzativi, utilizzati da imprese locali od anche da imprese esterne che stabiliscono i
loro poli operativi nelle città di interesse economico.
I Gestori dell’attività urbana, intesi come tutti quegli organismi, politici od economici, che hanno
l’obiettivo di ottimizzare le relazioni tra i diversi soggetti urbani. In particolare:
- analizzano la domanda reale dei destinatari dei servizi di trasporto.
- definiscono le regole di interazione tra ambiti privati e pubblici, nel rispetto dei reciproci diritti
di autonomia.
- definiscono i piani operativi strategici per l’integrazione dei soggetti.
- facilitano i processi di apprendimento collettivo delle regole del gioco.
Gli Operatori sono tutti i soggetti che hanno un interesse collegato con l’esistenza del Sistema
Trasporti della città. Gli obiettivi economici sono raggiungibili ove esista una rete di trasporti
efficiente. In particolare:
- i lavoratori che svolgono la propria occupazione.
- le imprese che nel mercato locale, riversano i risultati della propria attività.
- i professionisti che forniscono le competenze professionali e specializzate.
- i costruttori che, in base ai piani strategici urbani, realizzano specifici progetti.
Una particolare categoria di soggetti economici che, in via indiretta, domanda servizi di trasporto, è
costituita dai Proprietari di infrastrutture, immobili e terreni localizzati nella città. Tutte le
politiche urbane di trasporti, ma in questo senso anche quelle a livello globale, favoriscono o meno
la valorizzazione del capitale in termini patrimoniali.
I Soggetti esterni all’area urbana sono in genere tutti coloro che cooperano e contribuiscono al
buon successo della città apportando risorse di varia natura:
- i governi locali o nazionali che forniscono finanziamenti specifici e realizzano infrastrutture per
il Sistema Trasporti ma anche per la realizzazione di imprese pubbliche di utilities.
- le istituzioni pubbliche o private, quali università o centri di ricerca, che apportano le proprie
competenze e creano canali di informazione e di conoscenza con altri sistemi locali urbani (reti
di città) per lo scambio di esperienze ed il mantenimento del know – how.
In sintesi, la categorizzazione dei soggetti economici del Sistema Trasporti permette di raggiungere
i seguenti obiettivi:
- individuazione dei beneficiari, diretti o indiretti, di tutti i piani strategici di Politica dei
Trasporti, sia essa locale che nazionale.
- il perseguimento del benessere collettivo.
- il controllo effettivo di efficienza pubblica, sia nella rete infrastrutturale che nelle modalità di
fornitura e fruizione dei servizi di trasporto.
- la costruzione di un sistema di incentivi, siano essi ambientali che economici, per il rispetto
delle regole comuni.
L’analisi delle relazioni reciproche tra i diversi soggetti economici del Sistema Trasporti è di
estrema rilevanza in quanto permette di conoscere quanto e come esse influenzano le scelte ed i
processi decisionali. Tale analisi rientra nel ben più ampio ambito di studio riguardante l’approccio
comportamentale e fa riferimento alla Teoria del coordinamento e fa riferimento ad un campo di
ricerca a cavallo della Teoria delle decisioni, della Computing Science, della linguistica,
dell’economia, teoria dei giochi, della Organization Theory. La Teoria del coordinamento è la
gestione delle dipendenze tra diverse attività. Il concetto di coordinamento è alla base di molte
teorie economiche (diverse sono in economia le teorie che si rifanno allo studio del coordinamento,
con una attenzione particolare rivolta all’analisi di come gli incentivi e l’informazione hanno effetto
sull’allocazione delle risorse tra gli individui. Ad esempio, la teoria microeconomica classica
analizza come le diverse domande ed offerte possono interagire localmente in un mercato in modo
da produrre globalmente un’ottima allocazione delle risorse. Tale teoria si basa su prove formali di
tipo matematico per cui se i consumatori massimizzano il loro benessere e le imprese i loro profitti,
la risultante allocazione delle risorse sarà globalmente ottima in senso paretiano. Al di là della teoria
neoclassica, altri filoni di ricerca economica si sono rivolti allo studio del coordinamento. Ad
esempio, la teoria dei costi di transazione (transaction cost theory) analizza le condizioni in base
alle quali un sistema gerarchico risulta uno strumento migliore per coordinare una molteplicità di
attori rispetto ad un sistema di mercato. La Agency Theory cerca di vedere come è possibile creare
degli incentivi per certe categorie di attori (agents) in modo da rendere il loro comportamento
vantaggioso per altre categorie di attori (principals), anche quando i principals non sono in grado di
osservare tutto ciò che gli agents fanno. La Team Theory analizza come le informazioni dovrebbero
venir scambiate tra individui quando più attori devono prendere decisioni interdipendenti avendo
però lo stesso obiettivo finale. La Mechanism design Theory analizza anch’essa come sia possibile
offrire degli incentivi a degli attori in modo da far rivelare delle informazioni in loro possesso,
anche quando essi hanno obiettivi in conflitto.). Essa individua le diverse tipologie di dipendenze
reciproche e definisce diverse categorie di meccanismi di coordinamento. In generale, dato un certo
insieme di relazioni reciproche tra un certo numero di soggetti agenti, viene definito meccanismo di
coordinamento l’insieme delle regole in base alle quali certe attività vengono attribuite agli agenti.
L’approccio comportamentale è divenuto molto rilevante nell’analisi del Sistema Trasporti e si
inserisce nel filone evolutivo della teoria economica che non si basa essenzialmente sulla
cristallizzazione del comportamento economico dei vari soggetti in formule matematiche generali,
ma ricorre a ricostruzioni empiriche dei processi decisionali seguiti dai soggetti economici. Il
risultato dell’approccio comportamentale consiste in un modello generale rappresentativo del
Sistema economico sostenibile, comprendente le condizioni locali, le interdipendenze strategiche ed
i problemi allocativi.

Il trasporto multimodale

Il ciclo di trasporto deve essere inteso come l’insieme delle operazioni atte a trasferire un carico di
persone o di merci dall’origine alla destinazione. I cicli di trasporto possono essere distinti in:
- semplici, quando, per il trasferimento del carico, adottano un unico mezzo di trasporto
caricandola e scaricandola da esso.
- complessi, quando il trasferimento necessita di più mezzi di trasporto ed una pluralità di
operazioni di carico e scarico, eventualmente intervallate da fasi di sosta e conservazione dello
stesso.
I cicli complessi, quindi, quando prevedono l’utilizzo di più modi di trasporto, danno origine al
trasporto multimodale od intermodale o combinato. Definizioni di trasporto per cicli complessi:
- trasporto multimodale: trasferimento di una merce che utilizza almeno due modi di trasporto
diversi.
- trasporto intermodale: trasferimento multimodale di una merce che utilizza più modi di
trasporto ma con uno stesso contenitore, senza rottura di carico.
- trasporto combinato: trasporto intermodale le cui percorrenze si effettuano principalmente per
ferrovia, vie navigabili o per mare, mentre i percorsi iniziali e/o terminali, i più corti possibili,
sono realizzati per strada.
Le nozioni di multimodalità, intermodalità e di trasporto combinato, sebbene abbiano
un’equivalenza concettuale in termini economici, differiscono in termini giuridici. La Convenzione
Internazionale dell’ONU definisce trasporto multimodale, il trasporto per il quale un soggetto
economico assume il compito, in un ciclo complesso di trasporto, di organizzare tutte le operazioni
di trasferimento del carico facendo ricorso a modi diversi. Si ha trasporto multimodale anche
quando il soggetto economico iniziale, l’operatore multimodale, quello cui è stato affidato il carico,
utilizza, per l’esecuzione del trasporto, altri soggetti economici. Da tale definizione emergono
dunque le caratteristiche proprie del trasporto multimodale:
- la presenza di un contratto unico.
- la pluralità dei modi di trasporto utilizzati.
La multimodalità coglie aspetti sia di natura economica che tecnica. La multimodalità si applica sia
ai trasporti di persone che di merci dove gli aspetti della multimodalità sono più evidenti. La
multimodalità dei trasporti si avvale dei trasporti unitizzati, quelli in cui il carico viene organizzato
in unità di carico (container, cassa speciale per il trasporto merce, rinforzata, sovrapponibile e che
può essere trasbordata orizzontalmente o verticalmente. Cassa mobile, unità concepita per il
trasporto di merce, utilizzata solo nel trasporto strada – rotaia e generalmente non rinforzata per
essere sovrapposta quando carica. Ha dimensioni diverse dal container ed i vantaggi sono la
riduzione della tara, il minor costo, la maggiore volumetria di carico) standardizzate che
minimizzano i problemi ed i costi di rotture di carico. Le catene multimodali sono i cicli di trasporto
basati sulle sequenze delle unità di carico standardizzate.
Qualunque merce è unitizzabile purché vengano rispettati i vincoli tecnici e dimensionali
dell’unitizzazione (va sottolineato l’importante ruolo del container, oggi unità di carico
generalmente utilizzata, che ha permesso una riduzione dei costi per unità di merce ed una maggiore
integrazione tra i sistemi di trasporto internazionali), la cui caratteristica fondamentale è proprio
quella della standardizzazione delle dimensioni che rendono possibile l’utilizzo di attrezzature e
mezzi appositamente costruite. I limiti della unitizzabilità dei trasporti sono essenzialmente
economici e riferibili al costo dei particolari adattamenti dell’unità di carico, ai flussi di traffico
sulle varie rotte, alla scala delle spedizioni. L’attrezzatura intermodale è il mezzo meccanico che
viene utilizzato per più trasferimenti nell’ambito dello stesso ciclo di trasporto complesso. La
proprietà intermodale indica la proprietà o la gestione delle attrezzature e dei mezzi di trasporto. Si
può parlare di proprietà multimodale anche quando l’operatore multimodale non produce di fatto il
servizio di trasporto e non è neanche titolare dei mezzi o della gestione degli stessi, ma si trova a
coordinare sotto un profilo tecnico tale servizio, combinando i diversi produttori del servizio e
monitorandone i tempi di esecuzione e gli itinerari da seguire. In questo caso si può anche parlare di
multimodalità da coordinamento.
La multimodalità di proprietà può originare integrazioni verticali ed integrazioni orizzontali.
Il trasporto integrato è oggi il concetto guida di tutte le politiche dei trasporti. In termini pratici
integrare significa unificare il processo attraverso l’unificazione del carico, specialmente per il
trasporto merci, evitando le rotture di carico che comportavano oneri aggiuntivi di trasporto. In
termini più generali si intende la creazione della complementarietà tra via, terminali, veicoli e forza
motrice al fine di facilitare l’attività di trasporto e renderla continua, incentivare dunque il trasporto
multimodale.
Si è in presenza di integrazione verticale quando l’operatore multimodale è proprietario e gestisce
diversi tipi di infrastrutture e mezzi di trasporto, operativamente continuativi tra loro (es. nave e
terminale Portuale), che gli permettono di completare il ciclo di trasporto.
Si è in presenza di integrazione orizzontale quando l’operatore multimodale è proprietario e
gestisce mezzi diversi utilizzati in almeno due fasi del ciclo di trasporto, non necessariamente
continuative tra di loro e senza che qualcuna di queste abbia preminenza sull’altra (es. nave N e
Mezzo pesante su gomma G).
La politica integrata di trasporto, nel sostenere lo sviluppo del trasporto multimodale, persegue i
seguenti obiettivi:
- ottimizzazione dell’uso delle infrastrutture esistenti.
- rimozione delle inefficienze create dai punti di rottura.
- stimolare la concorrenza e lo sviluppo dei mercati.
- fornire agli utenti una più ampia scelta tra i servizi di trasporto.
- ottenere un sistema trasporti sostenibile.
- integrare le economie dei vari mercati

La produzione dei servizi di trasporto

L’analisi delle caratteristiche del sistema trasporti deve partire da due presupposti concettuali:
- che esiste il sistema logistico (il sistema logistico è l’insieme delle infrastrutture, delle
attrezzature, delle persone e delle politiche operative che permette il flusso dei beni e delle
necessarie informazioni, dall’acquisizione delle materie prime fino alla distribuzione dei
prodotti finiti e dei servizi ai consumatori) strutturale, proprio del sistema trasporti, che
permette l’accesso alla mobilità, che crea i collegamenti e gli scambi tra attività diverse
dislocate nel territorio.
- che esiste il servizio di trasporto vero e proprio, quale risultato di attività d impresa, come unità
di analisi a sé stante, che sebbene complementare al sistema logistico strutturale, ha
caratteristiche e processo produttivo diverso.
I servizi di trasporto veri e propri possono essere classificati in due macro categorie:
- i servizi di linea
- i servizi su domanda
I servizi di linea sono rivolti essenzialmente al trasporto di persone, in ambito stradale, ferroviario
aereo e marittimo quando sussistono i requisiti di definizione di itinerario e frequenza dello stesso.
I servizi su domanda riguardano principalmente il trasporto merci, in ambito ferroviario, marittimo,
aereo ed idroviario. Per quanto riguarda l’ambito stradale, sussistono ovviamente delle eccezioni
che trasformano i servizi di linea in servizi su domanda quando la scelta del modo di trasporto
fuoriesce dalla organizzazione tipica e periodica dei servizi di linea (es. taxi invece di trasporto
pubblico urbano). In via generale tali eccezioni possono verificarsi anche in altre modalità di
trasporto, quali ad esempio la prenotazione di un aereo privato, l’organizzazione di viaggi
crocieristici fuori dalle rotte tipiche.
Le caratteristiche essenziali del servizio di linea sono:
- l’esistenza di un percorso definito e quindi di un itinerario.
- la ripetizione del percorso definito.
- la frequenza della ripetizione del percorso.
Tali caratteristiche distinguono il servizio di linea, tipicamente pubblico, dal servizio su domanda
per la mancanza in quest’ultimo di una frequenza di ripetizione. Eccezionalmente il servizio su
domanda può comprendere le caratteristiche tipiche del servizio di linea ed essere fornito tramite
trasporto di tipo privato.
Per quanto riguarda la domanda, il servizio deve:
- avere certezza di disponibilità, nel tempo e nello spazio.
- rendere evidente il prezzo da pagare per ottenere la prestazione richiesta.
Per quanto riguarda l’offerta, il servizio deve:
- essere preventivamente organizzato in tutte le sue espressioni modali.
- avere una determinazione preventiva del prezzo che si intende far pagare per la prestazione.
I globali cambiamenti socio – economici hanno indotto anche una trasformazione culturale delle
imprese di produzione dei servizi, facendole diventare soggetti altamente sensibili alla domanda di
servizi in termini di soddisfacimento dei bisogni collettivi e quindi del bacino di utenza.
Tale affermazione è notevolmente rilevante ai fini delle scelte operative delle imprese.
La domanda non esplica soltanto il bisogno, ma anche la richiesta effettiva o potenziale di servizi,
da parte del bacino di utenza, che varia in quantità e qualità in relazione all’evoluzione dei bisogni
stessi. Di conseguenza l’impresa produttrice di servizi deve essere in grado di rilevare
anticipatamente le attese dell’utenza, sia in quantità che in qualità. Dal punto di vista quantitativo
dei servizi di trasporto, in genere, vengono utilizzate unità di misura diverse a seconda se riferite al
trasporto di persone o merci. Il concetto di unità di misura è utilizzabile per tutte le modalità di
trasporto, tenendo però anche conto del fattore percorso effettuato e di tutte le variabili che
influenzano il risultato finale (raggiungimento della destinazione), quali le soste, le operazioni
necessarie tra un modo e l’altro (trasporto multimodale), i tempi di alto e basso traffico.
La misurazione della qualità del servizio in termini di soddisfazione del bacino di utenza può essere
fatta con sistemi di misurazione diretta e con sistemi di misurazione indiretta.
I sistemi di misurazione diretta riguardano tutte le tecniche che comportano la valutazione effettuata
dal cliente in merito al servizio erogato e la sua manifestazione diretta circa il proprio livello di
soddisfazione. Tali sistemi sono in genere costituiti dall’utilizzo di questionari specificatamente
definiti focalizzati nel campo di indagine, sul metodo di rilevazione, sulla frequenza di rilevazione,
sul campionamento.
I sistemi di misurazione indiretta consentono invece di ottenere la misura della soddisfazione del
cliente tramite la raccolta e l’analisi delle informazioni ottenute indirettamente attraverso le
rimostranze del bacino di utenza ed i resoconti del personale di front line. Tra i sistemi di
misurazione diretta più accreditati, ci sembra opportuno riportare il modello di Parasuraman che
consente di calcolare, tramite un questionario, un indice numerico della soddisfazione del cliente
nei confronti del servizio fornito. L’analisi del modello di Parasuraman è importante in quanto
evidenzia le linee di riferimento che indicano alle imprese produttrici di servizi di trasporto su quali
aree di attività è utile intervenire. In particolare:
- la comunicazione con il bacino di utenza, ai fini della trasparenza e della promozione dei
servizi per ripristinare o instaurare il rapporto tra il cliente e l’impresa.
- il miglioramento delle condizioni di fornitura del servizio, attraverso lo snellimento delle
procedure e l’organizzazione del processo produttivo in modo integrato.
- il continuo monitoraggio del sistema di fornitura del servizio, per controllare la stabilità del
livello di qualità prefissato e il grado di soddisfazione della domanda.
- la pianificazione e la programmazione del servizio in senso lato, attraverso e non solo,
l’ideazione di forme diverse di servizio ma anche potenziamento ed evoluzione dei servizi già
esistenti.

I costi dei servizi di trasporto

I soggetti che sopportano i costi connessi al sistema trasporti possono essere distinti in tre categorie:
- proprietari e/o gestori delle Infrastrutture (Autostrade, Ferrovie, ANAS).
- produttori dei servizi di trasporto (COTRAL, ATAC).
- fruitori del sistema trasporti (utenti privati ed operatori economici).
Un’ulteriore categoria può essere individuata nella collettività, che nella sua interezza, sopporta i
costi derivanti dal Sistema Trasporti sia in forma diretta, attraverso imposizione fiscale, sia indiretta
quando ne subisce gli impatti di tipo ambientale. Alle categorie principali appena dette
corrispondono le relative categorie di costo:
- costi di costruzione e manutenzione delle infrastrutture.
- costi di produzione del servizio.
- costi di uso del servizio.
I costi di costruzione e manutenzione delle infrastrutture sono costi che ricadono sul proprietario o
gestore dell’infrastruttura e/o sulla collettività. In particolare i costi di costruzione, nel caso di
infrastrutture stradali e ferroviarie, vengono valutati come costo – km, dipendente ovviamente dalla
tipologia del territorio su cui esse vengono impiantate e dagli impianti che completano
l’infrastruttura e la rendono utilizzabile. Di conseguenza il costo totale di costruzione è dato dal
prodotto tra il costo – km ed il totale km su cui si esplica l’infrastruttura, prendendo come base per
le valutazioni preventive di spesa, la tipologia di infrastruttura che si intende realizzare.
I costi di costruzione sono molto elevati nelle infrastrutture marittime, ferroviarie e stradali ma è
proprio in queste modalità di trasporto che si verificano forti economie di scala (se il passaggio da
un certo quantitativo di produzione ad un doppio avviene con un incremento proporzionalmente
inferiore di fattori della produzione, si dice che il sentiero di espansione dell’impresa presenta
rendimenti di scala). I rendimenti di scala possono verificasi per:
- economie di specializzazione, dovute alla possibilità di utilizzare tecnologie più avanzate e
personale specializzato dedicabile in via esclusiva alla produzione.
- migliore combinazione delle capacità ottime di tutti gli elementi della produzione.
- economie di dimensione, dovute alla possibilità di razionalizzare i fattori in rapporto alla loro
capacità.
La presenza di economie di scala fa si che i costi di costruzione crescano in misura
proporzionalmente inferiore rispetto alla capacità produttiva.
I costi di manutenzione vengono invece valutati come km – anno, considerando tutte le variabili
che possono influenzare il costo totale di manutenzione (traffico previsto, variazioni climatiche e
stagionali). La funzione di costo totale di un’infrastruttura è determinata da un valore fisso, che è
appunto l’infrastruttura costruita ed i relativi costi di impianto, e da un valore variabile comprensivo
di tutti i fattori che agiscono sul valore totale di manutenzione km – anno.
I costi di produzione del servizio di trasporto sono quelli che ricadono sul produttore del servizio;
tali costi vengono sostenuti anche dalla collettività quando, per esempio, si verificano sovvenzioni
alle aziende di trasporto pubblico locale; nel trasporto individuale, il produttore del servizio è
l’utente stesso. I costi di produzione sono suddivisi in:
- fissi, la ripercussione nelle economie delle aziende si verifica per più esercizi.
- variabili, quelli che invece esauriscono la loro portata all’interno di un unico esercizio.
Nell’ambito dei costi fissi, voce determinante è il costo per l’acquisizione dei mezzi di trasporto e
di tutti i componenti permettono la produzione del servizio di trasporto. Quando i mezzi e gli
impianti sono di proprietà dell’azienda, i costi di acquisizione si ripercuotono sui diversi esercizi,
sotto forma di quote di ammortamento; in genere i costi attribuibili alle quote di ammortamento
sono espresse come somma di tre aliquote:
- ammortamento veicoli.
- ammortamento uffici.
- ammortamento depositi.
Nella realtà economica è molto frequente che le aziende di produzione di trasporto non dispongano
di strutture o mezzi di proprietà, in questo caso i costi fissi si tramutano in canoni periodici.
Nell’ambito dei costi variabili, i costi di gestione variano in funzione della quantità di servizi
prodotta.
I costi di gestione comprendono:
- il costo del personale (il personale aziendale, nel caso di una azienda di trasporti, è costituito
dal personale di guida, altro personale di movimento, personale amministrativo, personale
ausiliario), la cui variabilità è da considerarsi discontinua data la lentezza, a meno di forti
riorganizzazioni aziendali, dei cambiamenti nella composizione del capitale umano. Esso è dato
dal totale delle retribuzioni medie contrattuali degli addetti di una certa categoria, per il numero
degli addetti della stessa categoria.
- il costo per la trazione dei veicoli, considerando i costi dei carburanti, dei pneumatici, dei
lubrificanti, sulla base della percorrenza annua del veicolo (km), del costo unitario del
materiale (x) (euro/x) e del consumo unitario (x/km).
- i costi per la manutenzione sia ordinaria che straordinaria dei veicoli e delle infrastrutture.
- le spese generali, quali le forniture elettriche , riscaldamento, spese legali ecc, la cui variabilità
è da considerarsi continua ma in questo caso non direttamente proporzionale alla quantità di
servizio prodotto.
La produzione del servizio di trasporto può comprendere anche tutta una serie di oneri non di certo
considerabili accessori ma funzionali al completamento della attività di trasporto. In particolare, per
il trasporto merci, ma in via generale il discorso può valere anche per il trasporto persone, sono da
considerarsi costi di produzione variabili anche i cosiddetti costi di terminale. Essi derivano da:
- tutti gli oneri conseguenti alle operazioni di caricazione e scaricazione.
- tutti gli oneri derivanti dall’utilizzo di infrastrutture e mezzi di terminale non di proprietà delle
aziende di produzione, compresi i tempi di sosta e transito, sia delle merci che del personale
che gestisce il servizio di trasporto.
Ulteriormente, sono da considerarsi costi di produzione variabili anche i costi promozionali
derivanti da azioni di differenziazione del servizio rispetto alla concorrenza, ed i costi per la
ricerca e l’innovazione tecnologica. Per quanto riguarda i costi di uso del servizio, nel trasporto
privato essi comprendono i costi di acquisto di veicoli ed i costi di ammortamento e manutenzione
dello stesso, anche se nella realtà pratica l’utente privato non considera direttamente quest’ultimi
costi per la scelta tra le alternative di trasporto.
Per l’uso delle infrastrutture, si parla di tariffazione al costo marginale (è il costo dell’ultima unità
prodotta, ovvero l’incremento che subisce il costo totale quando la produzione aumenta di una
unità) sociale che consente di raggiungere l’obiettivo di efficienza dei trasporti in ambito
comunitario (la Commissione Europea propone di far pagare agli utenti, tra gli altri, i seguenti
costi variabili legati all’infrastruttura di trasporto: costi operativi; costi di manutenzione; costi legati
agli incidenti; costi legati all’inquinamento acustico e alle vibrazioni; costi legati alla congestione),
ed assicura l’uguaglianza tra i costi variabili interni ed esterni, da una parte, ed i prezzi finali
dall’altra. La tariffazione al costo marginale sociale permette l’uniformarsi al principio di giustizia
sociale tipico dei servizi pubblici anche se, in condizioni di monopolio naturale, non consente la
copertura dei costi fissi e genera una perdita di gestione recuperabile attraverso l’imposizione
fiscale.
Applicando un prezzo per l’utilizzo delle infrastrutture, ogni utente effettuerà le proprie scelte
considerando tutti i costi che esse comportano, a partire dalle tariffe dei mezzi pubblici, al
pagamento di pedaggi, fino alle esternalità imposte dai trasporti su tutti gli individui.
La congestione del traffico è di certo il più importante costo esterno associato al trasporto. Il
cosiddetto road pricing è uno strumento che consiste nel far pagare i costi esterni, variabili nel
tempo e nello spazio, a chi li ha generati. Pur essendo nella realtà strumenti poco applicabili per
difficoltà soprattutto pratiche, il road pricing è da intendersi una politica di prezzo (first best) che
mira a far pagare, e ad applicare, il giusto prezzo sociale agli utenti della strada, nella misura in cui
le tariffe possano essere fissate in corrispondenza dei costi esterni marginali. La reale efficacia di
una politica di road pricing dipende dalla elasticità della domanda di trasporto nelle diverse
modalità. Vari studi hanno dimostrato che pur applicando prezzi d’uso alle infrastrutture stradali e
contemporaneamente tariffe del trasporto pubblico competitive, i valori di elasticità della domanda
sono molto bassi e che esiste maggiore flessibilità rispetto a modi alternativi di trasporto pubblico,
piuttosto che all’alternativa tra trasporto pubblico e privato, non riducendo quindi i costi da
congestione.

Classificazione e caratteristiche dei sistemi di trasporto collettivo urbano

L’economia delle città è fortemente condizionata dal suo Sistema Trasporti, per le condizioni di
accessibilità, per la fruizione delle economie di urbanizzazione, per la rilevanza ed il valore che la
risorsa del territorio comporta. L’insostenibile esternalità della mobilità individuale, accresciuta
negli anni del boom economico dell’auto privata, ha inoltre manifestamente dimostrato
l’importanza del Sistema di Trasporti Collettivo. Questa innanzi detta è la considerazione che
spinge i soggetti economici pubblici alla predisposizione di una offerta di trasporto collettivo di
persone che raggiunga il duplice obiettivo:
- il conseguimento di un livello accettabile di mobilità urbana.
- l’applicazione di prezzi politici, finanziati da risorse collettive, che permettano a tutti la
fruizione dei servizi urbani.
- il decongestionamento delle aree metropolitane.
La scelta verso il Sistema di Trasporto Collettivo è determinata dai seguenti parametri di
valutazione:
- il prezzo: è in genere fissato dalle aziende che gestiscono il Sistema di Trasporto Collettivo
sulla base delle indicazioni economiche ricevute dagli enti pubblici locali dai quali dipendono.
Nel Sistema di Trasporto Collettivo è molto raro il ricorso a politiche tariffarie mirate
all’accrescimento del volume utenza; di solito, gli interventi sul prezzo, ove ce ne siano, sono
dettati da politiche di livello gerarchico più alto, nazionali o globali con finalità prettamente
sociali.
- la qualità: è il risultato di una serie di fattori tra loro combinati, quali la disponibilità del
servizio, il comfort offerto dallo stesso, i tempi medi di percorrenza, la copertura del territorio,
il sovraffollamento.
- fattori economici e sociali, quali il reddito più o meno elevato che possa consentire la scelta, o
meno, dell’alternativa privata a quella pubblica, la localizzazione di particolari attività di tipo
ludico – sociale raggiungibili solo tramite trasporto pubblico (concerti, mostre, manifestazioni
di massa), l’aumento del tempo libero.
- il costo del servizio privato, in termini di spesa da sostenere per coprire la distanza.
L’utenza dei Sistemi di Trasporto Collettivi può essere così classificata:
- i non – utenti in assoluto, cioè coloro che non hanno mai utilizzato il trasporto pubblico.
- i non – utenti relativi, cioè coloro che in un determinato periodo non stanno utilizzando il
trasporto pubblico.
- gli utenti occasionali, che alternano l’uso del trasporto pubblico all’uso del mezzo privato.
- gli utenti regolari, che per propria scelta utilizzano sempre il servizio di trasporto pubblico.
Ogni singola categoria di utenza partecipa alla determinazione della domanda effettiva di servizio
pubblico.
I sistemi di trasporto collettivo urbano si suddividono in:
- sistemi ordinari, filovie, tramvie, metropolitane leggere (light rail), metropolitane, ferrovie
regionali.
- sistemi speciali, funicolari, ascensori, linee a cremagliera.
- sistemi innovativi o non convenzionali, autobus elettrici, bus bimodali, monorotaie (monorail
(esistono due tipi di sistema monorotaia: “suspendend monorail”, in cui il mezzo è sospeso
sotto la rotaia, e “straddle – beam monorail” dove il mezzo poggia sulla rotaia di larghezza
inferiore a quella del mezzo)), sistemi automatici in genere, la cui caratteristica principale è il
viaggiare su una sede propria.
Dal punto di vista economico, i costi di realizzazione di ogni sistema di trasporto collettivo urbano
sono in genere molto alti ma presentano vantaggi diversi a seconda del loro impianto ed utilizzo. Le
filovie, sono sistemi a guida libera su gomma, a trazione elettrica (via aerea), con marcia a vista, su
sede generalmente promiscua ed eccezionalmente in sede riservata; i vantaggi sono di tipo
ambientale con basso inquinamento acustico e nessun inquinamento atmosferico, minori costi di
esercizio e manutenzione, lunga durata dei veicoli in circolazione; gli svantaggi sono legati al
vincolo della rete aerea (per ovviare al vincolo della rete aerea, sono stati realizzati veicoli con
alimentazione a batteria o diesel, sono ancora in sperimentazione veicoli bimodali che possano
funzionare sia come autobus che filobus) che non permette deviazioni di percorso (a meno di
interventi di modifica delle linee), i notevoli costi di impianto e delle vetture, l’impatto visivo della
linea aerea.
Le tramvie, sono sistemi a guida vincolata su binario, a trazione elettrica (rete aerea), con marcia a
vista su sede promiscua, a tratti riservata o esclusiva; i vantaggi possono ritrovarsi nell’economicità
di esercizio e manutenzione, nell’assenza di inquinamento atmosferico e nel risparmio energetico,
nell’elevata capacità di trasporto (i veicoli più diffusi sono quelli a 4 od a 6 assi, con una capacità di
100 – 180 passeggeri, di cui un 20 – 40% a sedere. Nella maggior parte dei casi i veicoli sono
unidirezionali, ma in molte città ad alto utilizzo del mezzo, i veicoli sono bidirezionali, con doppia
cabina di guida e porte su entrambi i lati. La potenzialità massima di una linea con veicoli da 200
posti ed intertempi di 3 minuti è di 4.000 passeggeri/ora); gli svantaggi sono la rigidità del tracciato,
l’elevato costo dell’impianto e delle vetture.
La metropolitana è un sistema di trasporto rapido di massa ad alta capacità e frequenza, a guida
vincolata e trazione elettrica (linea aerea e terza rotaia), con marcia strumentale ed in sede
completamente esclusiva; i vantaggi sono la grande capacità di trasporto, con l’utilizzo di più
vetture, l’alta frequenza di viaggi (fino all’ordine dei 90 secondi); gli svantaggi sono strettamente
economici e legati agli altissimi costi di realizzazione delle infrastrutture che prevedono interventi
radicali e molto complessi.
Le Light Rail sono sistemi di trasporto a guida vincolata e trazione elettrica (linea aerea) con
marcia a vista o strumentale, in sede esclusiva e traffico regolato con segnali. E’ una forma di
trasporto di origine ferroviaria e può essere sviluppata per stadi successivi; i vantaggi sono che
ciascuno stadio di sviluppo può essere considerato lo stadio finale con potenzialità di ulteriore
avanzamento; gli svantaggi sono gli elevati costi infrastrutturali tipici di un sistema ferroviario, la
capacità e la frequenza inferiori rispetto ad un sistema con metropolitana classica, il maggiore
impatto visivo.
L’utilizzo sempre più spinto di nuove tecnologie, permette, soprattutto per i sistemi innovativi,
definiti in generale People Movers (dopo tante discussioni e progetti che negli anni Ottanta
sembravano delineare un brillante futuro per i sistemi cosiddetti “innovativi”, il ruolo dei People
Movers sembra essere ricondotto a quello proprio di sistemi automatici a corto raggio per aeroporti,
ospedali, aree fieristiche, ecc. La loro principale caratteristica consiste nel totale automatismo, che
permette l’assenza di personale di condotta), il contenimento degli impegni economici e
l’ottimizzazione dei flussi di traffico. Sebbene i costi di realizzazione di impianti tecnologicamente
innovativi non possano definirsi propriamente bassi, il minor impegno economico per gli stessi è
principalmente dovuto a:
- minor tempo di realizzazione degli impianti.
- risparmio sui costi di gestione e manutenzione, attraverso la definizione ed uso di percorsi in
genere totalmente indipendenti, salvo possibili eccezioni, dalle vie di corsa ordinarie, che
permettono quindi una manutenzione mirata e non influenzata dal fattore traffico di altri mezzi.
- l’utilizzo di avanzati sistemi di automazione che riducono i costi del personale necessario sia
per la guida che per la manutenzione dei mezzi.
- il minore intervento territoriale che in genere essi comportano, permettendo di evitare scavi e
predisposizioni ambientali tipici dei sistemi ordinari (metropolitane).

Parametri di esercizio dei sistemi di trasporto collettivo urbano

Le prestazioni dei Sistemi di Trasporto Collettivo urbano possono essere diversamente valutate da
operatori, utenti e non – utenti. La scelta dell’utente sarà condizionata dai tempi di viaggio, dalla
regolarità del servizio, dalla qualità e sicurezza del trasporto; quella dell’operatore dai costi e dalla
capacità; quella della collettività dall’impatto ambientale, quella degli amministratori e dei
pianificatori dall’interazione tra sistema di trasporto e assetto territoriale. Diverse analisi tecnico –
scientifiche hanno messo in evidenza l’inesistenza di un solo ottimo modo di Sistema di Trasporto
Collettivo urbano. Il sistema ottimale dovrebbe essere un sistema bilanciato, e cioè un sistema
composto di sottosistemi complementari e coordinati in un singolo sistema multimodale.
I principali parametri di esercizio di una linea di un Sistema di Trasporto Collettivo sono:
- la velocità commerciale media.
- la frequenza del servizio (od intertempo).
- la capacità oraria.
- il tempo di giro.
- il numero di veicoli necessari al servizio.
- i posti/km e veicoli/km.
- i passeggeri/km
La velocità commerciale media è il rapporto tra la lunghezza della linea ed il tempo medio di
percorrenza della stessa, tenendo conto del tempo di sosta alle fermate. La velocità commerciale
media può ovviamente essere calcolata anche tratta per tratta ed è un parametro rilevante sia per la
scelta dell’utente verso un mezzo di trasporto piuttosto che un altro, sia per gli operatori/gestori che,
sulla base della velocità del mezzo e delle variabili che ne influenzano il valore, intervengono
logisticamente o strutturalmente. Vcm = Lab/Tab dove L è la lunghezza della linea tra il punto a e
quello b. T è il tempo di percorrenza della linea comprensivo dei tempi di sosta alle fermate.
La frequenza di una linea è il numero di veicoli che servono quella linea “i” nell’arco di un’ora. Fi
= NumVeic/h. Di conseguenza, l’unità di misura presa in considerazione è il veicolo/ora.
La differenza temporale tra il passaggio di un veicolo e di un altro per quella linea, per una
qualunque fermata è definito intertempo, misurato in minuti. Quindi l’intertempo è dato dal
rapporto tra il tempo (60 minuti) con la frequenza della linea. I = 60/Fi.
Se si considera un servizio regolare con una distribuzione casuale degli utenti nell’intertempo, il
tempo di attesa “TA” è funzione dell’intertempo (si consideri una rete di trasporto collettivo con
sovrapposizioni tra le linee, in cui il comportamento dell’utente è basato sulle frequenze e non sugli
orari delle linee. La classica ipotesi è che l’utente monterà sul primo veicolo tra quelli delle linee
che egli percepisce come attrattive. In quasi tutti i modelli proposti in letteratura e largamente
impiegati per la progettazione dei sistemi di trasporto collettivo l’insieme attrattivo è considerato
statico, cioè non modificabile durante l’attesa. Questo approccio però non è consistente con l’ipotesi
di comportamento razionale. In effetti, l’utente decide se gli conviene montare su un veicolo in
arrivo piuttosto che rimanere ad aspettare per il successivo arrivo di una linea migliore, prendendo
in considerazione il tempo già atteso alla fermata. Quindi una linea può essere attrattiva in un dato
istante, e non necessariamente per l’intero processo dell’attesa, fornendo un modello di insieme
attrattivo dinamico. L’approccio statico vale solo quando la distribuzione degli intertempi di tutte le
linee è esponenziale, poiché in questo caso effettivamente non si verifica nessuna evoluzione
dell’insieme attrattivo; d’altra parte la distribuzione esponenziale è piuttosto irrealistica. Inoltre,
quando alla fermata viene fornita l’informazione on – line sugli arrivi dei prossimi veicoli, gli utenti
possono scegliere di montare su una linea che offra la migliore combinazione tra il tempo affisso e
la speranza matematica del tempo di viaggio per raggiungere la destinazione una volta a bordo). TA
= Ii/2 = 30/Fi.
La capacità oraria di una linea è il carico massimo di passeggeri trasportabili su una certa tratta.
Può essere calcolata in funzione della frequenza e della capacità di carico del veicolo. La frequenza
e la capacità del veicolo sono determinanti per calcolare la capacità massima di carico della linea e
predisporre l’infrastruttura all’utilizzo estremo; in genere tali calcoli sono sempre superiori alla
distribuzione media del carico sull’intera linea nell’arco di tempo definito, proprio perché il numero
di passeggeri varia da una tratta all’altra e si distribuisce in intertempi diversi. C(i) = F(i) x Cap(i).
Il Tempo di giro è il tempo che un veicolo impiega a compiere un giro completo sulla linea di
esercizio, passando quindi due volte per la stessa fermata, comprendendo anche i tempi di
inversione al capolinea/capilinea. Dato il tempo di inversione TI(i), che è il tempo che intercorre tra
l’arrivo di un veicolo al capolinea e la ripartenza dello stesso per una corsa successiva, il tempo di
giro è funzione della lunghezza della linea, sia in andata che in ritorno se due capilinea, e della
velocità commerciale media. Il Tempo di Inversione comprende il tempo necessario all’inversione
del veicolo, i tempi di riposo del personale di guida e dei tempi di recupero tenuto conto di
eventuali ritardi in linea.
TG(i) è il tempo di giro in ore LA(i) è la lunghezza della linea in andata in km LR(i) è la lunghezza
della linea in ritorno in km. L(i) è la lunghezza totale della linea circolare in km. Vcm(i) è la
velocità commerciale media in km/h. TI(i) è il tempo di inversione al capolinea in h
Se capilinea
Se capolinea

Il numero di veicoli necessari per servire la linea nella determinata frequenza di esercizio deve in
genere tener conto delle esigenze di manutenzione degli stessi, degli eventuali guasti durante il
servizio e/o della necessità di corse supplementari. La definizione del numero di veicoli è
strettamente connessa al tempo di giro ed alla frequenza stabilita del servizio.

I posti/km e i veicoli/km sono indicatori della quantità di servizio di trasporto offerto ed in genere
possono riferirsi ad intervalli temporali diversi (ora, giorno). Se:
F(i)[h] è la frequenza relativa all’ora h del giorno
Cap(i)[h] è la capacità dei veicoli utilizzati nell’ora h del giorno.

I Passeggeri – km è un parametro che indica la quantità di servizio venduto, e quindi usufruito,


dagli utenti. Può essere calcolato per diversi ordini temporali (ora, giorno o altro). Considerando
dunque:
“T” la generica tratta del percorso “Ti” della linea i,
“Ch” la generica corsa (“h” dipendente dall’intervallo temporale scelto),
“Ci” il totale delle corse,
“PT(Ch)” il numero di passeggeri viaggianti sulla tratta T della corsa Ch,
“LT” la lunghezza della tratta T,
Il settore del trasporto collettivo

Il Sistema di Trasporto Pubblico ha, negli anni passati, subito grandi perdite di efficacia e
competitività rispetto alla mobilità individuale, tanto che si è creato un circolo vizioso di scarsa
domanda, assumendo un ruolo poco più che residuale rispetto alla mobilità privata. Le cause di tale
debolezza strutturale sono riconducibili a:
- variazione negativa della domanda di mobilità dovuta all’evoluzione di alcuni fenomeni
socio – economici quali l’aumento del reddito, un diverso mercato del lavoro che presuppone
un’offerta di lavoro su contesti spaziali più ampi, una diversificazione tecnologica di mezzi che
comporta scelte tra alternative più ampie e commisurabili alle proprie possibilità.
- una serie di problemi aziendali di natura finanziaria, economica e strutturale, tipica delle
aziende pubbliche, che si trovano a gestire risorse in genere scarse, con modelli gestionali
ancora burocratizzati e obsoleti che non garantiscono servizio efficiente.
- una riduzione dei ricavi di vendita causata da un sempre maggiore calo delle quote di
mercato, legato alla considerazione, da parte dell’utenza, di una equivalenza tra servizio
qualitativo insufficiente e servizio pubblico.
Negli anni ’90, per l’azione congiunta di una visione dell’economia più orientata alla competizione
ed al mercato, delle crescenti riduzioni dei bilanci pubblici, dell’emergenza ambientale nei grandi
centri, si è avviato un nuovo assetto istituzionale (Legge 59/1997 – Bassanini uno). Nella seconda
metà degli anni Novanta, la necessità di una riforma della Pubblica Amministrazione sfocia nelle
“riforme Bassanini” che mirano ad avviare il c.d. “federalismo amministrativo a costituzione
invariata”. La legge delega n. 59/1997, le cui finalità sono semplificazione e decentramento
amministrativo e riforma della P.A., conferisce alle Regioni e agli enti locali tutte le funzioni e i
compiti amministrativi non esplicitamente mantenuti di competenza dello Stato perché di interesse
dell’intera collettività nazionale. Nell’ambito dei trasporti resta allo Stato la “programmazione,
progettazione, esecuzione e manutenzione di grandi reti infrastrutturali dichiarate di interesse
nazionale con legge statale”, mentre alle Regioni spetta la programmazione e amministrazione dei
servizi di trasporto di interesse regionale e locale. Per programmazione si intende anche la
definizione dei livelli qualitativi e quantitativi “sufficienti” a soddisfare le esigenze della mobilità
dei cittadini. I costi di tali servizi sono a carico del bilancio regionale; i costi di servizi ulteriori
rispetto a quelli “sufficienti” sono a carico degli “enti locali che ne programmino l’esercizio” da
essi affidato in qualsiasi forma. Il D. Lgs. n.422/1997 “Burlando” attua nel settore dei trasporti i
principi contenuti dalla Legge 59/1997. La riforma organica del settore viene completata con il D.
Lgs. n. 400/99, modificativo del D. Lgs. n. 422/97) e gestionale per l’organizzazione e produzione
di trasporti pubblici locali con lo scopo, da un lato, di recuperare efficienza rispetto al dissesto
strutturale, dall’altro di incrementare l’efficacia dei Sistemi di Trasporto Collettivo locale in modo
da diventare una valida alternativa alla mobilità individuale. Il nuovo assetto istituzionale nasce in
un periodo di riforme volte alla liberalizzazione dell’economia, alla trasparenza delle scelte
pubbliche e all’introduzione di forme gestionali innovative sia per l’organizzazione che per la
produzione di servizi di trasporto pubblici. In particolare:
- le aziende di trasporto pubblico sono di proprietà degli enti locali o sono frutto di concessioni
da parte degli stessi.
- gli enti locali svolgono l’attività di programmazione per la rilevazione e la definizione dei
bisogni collettivi.
- la produzione dei servizi di trasporto e l’erogazione degli stessi viene affidata, a mezzo gare
pubbliche, ad aziende concessionarie.
Gli obiettivi politico – economici di tale rivoluzione organizzativa sono così riassumibili:
- incremento dell’efficienza produttiva e, in generale, riorganizzazione del settore con il
conseguente contenimento dei deficit delle amministrazioni.
- regionalizzazione delle politiche dei trasporti.
- aumento di efficacia del trasporto pubblico conseguente all’aumento di competitività tra
aziende.
- riduzione delle esternalità negative della mobilità urbana ed un relativo ridimensionamento del
traffico privato.
Più in generale, la nuova normativa ha evidenziato i punti di forza più importanti per la gestione del
settore dei trasporti pubblici, che sono:
- la regionalizzazione dei servizi di trasporto permette una visione complementare dei diversi
modi di trasporto e raggiunge l’obiettivo funzionale di una vera integrazione modale, attraverso
una unità di programmazione e di realizzazione delle infrastrutture.
- pur rimanendo il sistema dei trasporti pubblici un sistema sovvenzionato, si passa da un sistema
di sussidi all’offerta, ad un sistema strettamente condizionato alla domanda, in cui i sussidi
vengono elargiti a condizione che la domanda copra almeno una parte prestabilita dei costi;
l’obbligo di coprire con i ricavi almeno il 35% del costo complessivo è un incentivo sia al
raggiungimento dell’efficienza, sia alla riduzione dei costi di produzione.
- una maggiore trasparenza nel rapporto tra i costi e i benefici delle scelte pubbliche, avvicinando
così i gestori ai fruitori dei servizi, sia in termini politici che economici.
- in via di principio, il decentramento funzionale ed operativo apre la strada alle regole della
concorrenza in un settore dove la fruizione di posizioni monopoliste non può far altro che
produrre inefficienza nelle aziende.
Gli interventi di riorganizzazione in corso delle aziende di trasporto pubblico, vengono effettuati
secondo due livelli di pianificazione:
- la pianificazione strategica, che si occupa della definizione dell’intero assetto del sistema.
- la pianificazione operativa, che si occupa della definizione, nel dettaglio, delle caratteristiche
dei servizi di trasporto.
L’analisi di elementi sia tecnici che economici, validi per entrambi i due approcci programmatori,
completa l’organizzazione del trasporto collettivo. Tali elementi vanno dalla verifica del contesto
ambientale preesistente, alla valutazione dei bacini di utenza, alla reingegnerizzazione dei percorsi e
degli interscambi, alla definizione degli interventi diretti, alle valutazioni economiche finanziarie,
alle valutazioni di impatto ambientale.
I processi di ristrutturazione mirano a posizionare l’azienda su un segmento di mercato intermedio
che possa soddisfare sia la domanda sistematica, tipicamente mobilità per motivi di lavoro e
scolastici, sia la domanda erratica che in genere opta per la mobilità privata.
I punti determinanti l’organizzazione di un servizio di questo tipo sono essenzialmente:
- l’equilibrio di bilancio ottenibile tramite l’ottimizzazione dei costi.
- la flessibilità nella gestione e nella erogazione dei servizi con lo smantellamento di nicchie di
rigidità.
- l’utilizzo di soluzioni tecnologiche e la condivisione del know – how con altre aziende sia
pubbliche che private.
- un corretto posizionamento sul mercato, valutando correttamente tutti i fattori che determinano
la domanda di mobilità.
Il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti effettua periodicamente la Rilevazione delle imprese
che effettuano trasporto pubblico locale. La maggior parte delle aziende espleta servizio su gomma
mentre la presenza di tranvie e metropolitane è concentrata sui grandi centri urbani senza neanche
garantire la copertura di tutto l’ambito territoriale locale.
Le autolinee, in cui operano sia aziende private che pubbliche con servizi sia urbano che extra –
urbano, sono quelle che hanno maggiore importanza anche se, in particolare negli ultimi anni, tale
modalità ha dato numerosi segnali di crisi tra i quali la diminuzione degli addetti, causata dalla
necessità di razionalizzare l’uso dei fattori produttivi nel settore. In sintesi, la crisi del settore, che
inizialmente ha riguardato solo il servizio urbano, ha coinvolto anche il servizio extraurbano. Il
servizio di trasporto collettivo è quindi sempre più condizionato dalla concorrenza del mezzo di
trasporto privato non solo nei centri urbani, ma anche per gli spostamenti di media e lunga distanza
all’interno delle regioni.

La fattibilità delle infrastrutture

Il sistema dei trasporti è definibile come l’insieme delle componenti e delle reciproche relazioni che
realizzano la produzione ed il consumo dei servizi di trasporto in un certo ambiente. Le componenti
sono dunque gli utenti, persone e merci, le infrastrutture ed i mezzi utilizzati direttamente od
indirettamente per la produzione dei servizi di trasporto.
Le infrastrutture di trasporto sono il presupposto per l’interconnessione tra tutte le attività
economiche, siano esse di imprese che di privati, per la mobilità sul territorio e per la distribuzione
nel tempo e nello spazio di tutte le risorse produttive. E’ per tale motivo che esse rappresentano un
elemento strategico per le prospettive di sviluppo economico e territoriale di un’area; al contrario,
con la loro inefficienza, sono in grado di condizionare fortemente le dinamiche di sviluppo.
Le infrastrutture rappresentano uno stato di fatto dal quale non si può prescindere per la definizione
del Sistema Trasporti, di conseguenza la sola misurazione delle infrastrutture non è sufficiente come
criterio di valutazione della disponibilità di servizi di trasporto, ma vale la relazione secondo la
quale ad un’occupazione fisica di spazio occupato dalle infrastrutture, corrisponde un sistema
associato di servizi. Infatti, affinché un servizio di trasporto sia erogato è necessario:
a) che l’infrastruttura esista;
b) che produca servizi;
c) che il servizio sia accessibile a tutte le attività economiche e residenziali del territorio.
Il processo di analisi sulla fattibilità di un’infrastruttura passa attraverso tre macro fasi di attività:
1. individuazione degli obiettivi e dei vincoli;
2. analisi della situazione attuale;
3. formulazione dei progetti di sistema.
Per quanto riguarda la prima fase, gli obiettivi si differenziano a seconda dei soggetti che intendono
procedere alla realizzazione dell’infrastruttura. Nel caso di soggetto pubblico gli obiettivi sono di
certo più indefiniti rispetto ad un soggetto privato e possono riguardare:
a) la riduzione del costo generalizzato degli spostamenti degli utenti sul territorio;
b) l’aumento della sicurezza;
c) l’aumento e lo sviluppo di alcuni settori dell’economia;
d) la creazione od il miglioramento delle possibilità di accesso ai servizi sul territorio.
I vincoli che in genere i soggetti pubblici hanno sono anche di natura economica, data la
disponibilità di risorse finanziarie considerate a priori scarse, ma principalmente di impatto
ambientale (infatti la mancanza di programmazione degli anni precedenti la riorganizzazione del
settore dei trasporti, ha comportato lo sviluppo di insediamenti in zone del territorio non
adeguatamente supportate da infrastrutture di trasporto proporzionate ai livelli di traffico ed alle
esigenze di mobilità, unito alla deturpazione di territorio per il quale le conseguenze di tipo eco –
ambientale sono state devastanti) in contesti che risultano già organizzati senza una prioritaria ed
adeguata programmazione strutturale, tali quindi da creare una forte rigidità nell’inserimento di
nuove infrastrutture.
Nel caso di soggetti privati o misti, in genere i loro obiettivi principali riguardano la possibilità di
aumentare i ricavi al netto dei costi di trasporto che sono obbligati a sostenere per l’espletamento
delle loro attività. I vincoli che in genere questi soggetti hanno riguardano la disponibilità di budget,
le normative vigenti e limitazioni tecniche sulla capacità produttiva dei fattori di produzione.
L’analisi della situazione attuale analizza il funzionamento del sistema di trasporto che sarà oggetto
dell’intervento ed il sistema delle attività con cui esso interagisce. Obiettivo di tale fase è
l’individuazione di tutte le insufficienze e le criticità da risolvere con l’intervento su una
infrastruttura già esistente o da realizzare ex novo.
La stretta relazione tra tutti gli elementi di un Sistema Trasporti comporta la definizione di piani di
progetto che prevedano l’organicità ed il coordinamento di tutte le componenti che dalla nuova
infrastruttura saranno influenzate. I piani di progetto possono essere anche diversi ed alternativi tra
loro, con obiettivi diversificati per uno stesso intervento, prevedendo anche la possibilità del non
intervento nel caso in cui il funzionamento del sistema e le sue componenti facciano decidere per il
mantenimento della situazione attuale.
La valutazione di progetti alternativi richiede la simulazione degli effetti che comporterebbe la
realizzazione dell’infrastruttura, nonché il confronto dei progetti sulla base dei vari effetti.
Il potenziamento delle infrastrutture di trasporto produce effetti di varia natura con riferimento
all’attività economica dell’area in cui esse si trovano. Gli effetti di un nuovo investimento
infrastrutturale di trasporto possono essere:
a) positivi, quali di nuova occupazione e migliore utilizzazione del territorio; infatti, l’esistenza
di una rete di trasporti efficiente crea delle esternalità tali da permettere l’insediamento di
imprese che, con la riduzione dei costi di trasporto, possono produrre beni e servizi a prezzi
competitivi con un incremento dell’occupazione.
b) negativi, in genere riferibili all’impatto ambientale che gli investimenti determineranno sul
territorio interessato, sia dal punto di vista delle profonde ferite al suolo ed all’area di
riferimento, sia per inquinamento di vario tipo, che una rete di trasporti può causare.

La pianificazione delle infrastrutture

Il rilevamento e la valutazione degli effetti delle nuove infrastrutture di trasporto costituiscono un


elemento centrale della pianificazione del territorio e, in particolare, della progettazione di
infrastrutture. Si definisce pianificazione strategica il piano che prevede consistenti investimenti di
capitale per la realizzazione di nuove infrastrutture e quindi tempi di realizzazione molto lunghi. Si
definisce pianificazione operativa o di esercizio quella che prevede interventi sul sistema trasporti
in tempi brevi, con limitato o nullo investimento di ulteriori risorse.
In via generale, le infrastrutture vengono realizzate da soggetti pubblici e rispondono al principale
requisito che esse hanno, quello cioè di essere un bene, in termini economici il capitale fisso, della
collettività. L’entità investimento eccezionalmente riesce ad essere sostenuta da soggetti privati
(grandi imprese) che mirano ad ottenere benefici dalle nuove infrastrutture principalmente per le
proprie attività ma, in ogni caso, non pregiudicano la natura essenzialmente collettiva e indivisibile
di ogni infrastruttura.
La riorganizzazione (D. Lgs. 422/97) del Sistema Trasporti attuata negli ultimi anni, prevede tre
livelli di pianificazione:
a) un livello nazionale, nel quale sono presenti la normativa nazionale ed il Piano Generale dei
Trasporti e della Logistica;
b) un livello regionale, nel quale sono presenti le normative regionali ed il Pianto Regionale dei
Trasporti;
c) un livello di bacino, nel quale sono presenti i Piani di Bacino.
Le direttive del Piano Generale dei Trasporti si realizzano ad un livello locale attraverso quattro
strumenti di programmazione:
1) il Piano Regionale dei Trasporti;
2) il Piano di Bacino;
3) la Programmazione dei Servizi Minimi;
4) il Programma Triennale dei Servizi.
Il Piano Regionale dei Trasporti è un documento programmatico generale a livello regionale, il cui
obiettivo principale, in armonia con gli obiettivi del Piano Generale dei Trasporti, è la creazione di
un sistema bilanciato di trasporto, di persone e di merci, conciliandolo con i piani di assetto
territoriale e di sviluppo socio – economico. Le sue finalità sono:
a) definire i bacini di traffico;
b) stabilire i criteri per l’eventuale ridefinzione dei limiti territoriali dei bacini;
c) fissare i criteri programmatici e le direttive per l’elaborazione dei Piani locali;
d) determinare gli indirizzi per la pianificazione dei trasporti locali;
e) individuare la rete delle infrastrutture funzionali ad un sistema di trasporto integrato;
f) definire i criteri per il coordinamento e l’integrazione fra le diverse modalità favorendo
quelle a minore impatto ambientale.
Il Piano di Bacino è redatto dagli Enti locali e definisce dettagliatamente la rete ed i programmi di
esercizio dei servizi minimi. Esso mira alla massima integrazione tra i diversi modi di trasporto ed
all’eliminazione di sovrapposizioni modali. Si definisce bacino di traffico l’unità territoriale entro la
quale si attua un sistema di trasporto pubblico integrato e coordinato in rapporto ai fabbisogni di
mobilità.
Il Programma Triennale dei Servizi è uno strumento di programmazione approvato dalle Regioni.
Essi hanno il compito di definire:
a) la rete o l’organizzazione dei servizi;
b) l’integrazione modale e tariffaria;
c) le risorse da destinare all’esercizio ed agli investimenti;
d) le modalità di determinazione delle tariffe;
e) le modalità di attuazione e revisione dei contratti di servizio pubblico;
f) il sistema di monitoraggio dei servizi;
g) i criteri per la riduzione della congestione e dell’inquinamento ambientale.
Una delle maggiori novità introdotte dalla riorganizzazione del settore di trasporto pubblico, è
quella dei servizi minimi cioè quei servizi qualitativamente e quantitativamente sufficienti a
soddisfare la domanda di mobilità dei cittadini i cui costi sono a carico del bilancio delle Regioni.
Tali servizi devono essere definiti tenendo conto sia della domanda di mobilità, sia delle esigenze di
riduzione della congestione e dell’inquinamento, e in particolare:
a) dell’integrazione tra le reti di trasporto;
b) del pendolarismo scolastico e lavorativo;
c) della fruibilità dei servizi da parte degli utenti per l’accesso ai vari servizi amministrativi,
socio – sanitari e culturali.
Sono considerati minimi tutti i servizi assicurati dalle Regioni attraverso il Fondo Trasporti. Anzi
tali servizi potrebbero anche essere estesi, soprattutto nelle aree urbane, considerando l’inclusione
delle esternalità (esigenze di riduzione della congestione e dell’inquinamento). Il d. lg. 422/97
prevede inoltre che la definizione dei servizi minimi deve essere realizzata dalla Regione, d’intesa
con gli Enti Locali. Non è ben chiaro se i servizi aggiuntivi, quelli cioè che devono essere finanziati
dagli Enti Locali che li costituiscono, debbano essere inseriti negli strumenti di programmazione e
se debbano essere affidati congiuntamente ai servizi minimi. E’ necessario comunque considerare
che, data la definizione dei servizi minimi contenuta nel decreto e confermata dalle normative
regionali, il ricorso ai servizi aggiuntivi da parte degli Enti Locali potrebbe essere marginale. La
programmazione dei servizi minimi è uno degli aspetti che rientra maggiormente nelle competenze
delle Regioni e sui quali è presente una forte eterogeneità delle formulazioni. Tali eterogeneità
riguardano:
a) la classificazione dei servizi che variano da Regione a Regione;
b) i servizi di collegamento tra comuni limitrofi che competono o ai Comuni od alle Provincie;
c) i servizi automobilistici regionali e/o interregionali od agli Enti Locali.
Per quanto riguarda le risorse da destinare agli investimenti, le Regioni partecipano al
finanziamento degli investimenti che possono essere rivolti alle infrastrutture, ai sistemi tecnologici
ed ai mezzi di trasporto. Le tipologie possibili di partecipazione sono:
a) contributi in conto capitale od in conto ammortamento;
b) mutui;
c) contributi per contratti di leasing.
I possibili beneficiari di tali partecipazioni sono, oltre agli Enti Locali, anche le aziende di
Trasporto Pubblico Locale ed eventuali altri soggetti pubblici e privati. In ogni caso i contributi
regionali devono essere destinati esclusivamente al servizio pubblico di linea.
La normativa in tema di trasporti riduce le competenze dello Stato solo ad alcune materie di
interesse generale quali le grandi reti infrastrutturali, i servizi di interesse nazionale, la sicurezza, le
linee guida per la tutela dell’ambiente, servizi internazionali.
La realizzazione di grandi opere di interesse nazionale rimane però compito dello Stato che, negli
ultimi anni, ha provveduto alla pianificazione di quelle che, nel contesto italiano e nel rispetto delle
competenze delle Regioni, assumono carattere strategico sia per lo sviluppo di aree deficitarie,
dotandole quindi di adeguate reti infrastrutturali, sia per l’avvicinamento del sistema trasporti
italiano allo standard europeo.
La pianificazione a livello nazionale si configura, di fatto, come un nuovo piano generale per le
grandi infrastrutture ed inserisce gli interventi all’interno di un contesto di priorità elevate,
semplificando le procedure di valutazione degli impatti ambientali e velocizzando la procedura di
approvazione standard da parte degli Enti Locali. In altri termini viene costituita una corsia
preferenziale per l’approvazione di tali progetti.

La domanda e l’offerta di trasporto

La progettazione della rete dei servizi minimi e delle infrastrutture necessarie per garantirne la
disponibilità, deriva da una corretta analisi della domanda di trasporto sul territorio, sia individuale
che pubblica, con una previsione della tendenza della domanda di trasporto, almeno relativa ai
successivi tre anni.
La domanda di trasporto viene stimata relativamente a diversi periodi di tempo ed alle diverse
coppie origine/destinazioni degli spostamenti.
La domanda di trasporto da stimare è:
a) la domanda annuale media, necessaria per un’analisi economica del sistema e delle sue
singole parti;
b) la domanda giornaliera media, necessarie per l’individuazione dei bacini e per la
progettazione delle linee che compongono la rete dei servizi minimi;
c) la domanda in fasce orarie od ore di punta, necessaria per la programmazione di massima
dell’esercizio (frequenze, orari) e per una stima delle risorse necessarie per l’esercizio;
d) la domanda nei giorni festivi, per i quali in genere è previsto un programma di esercizio
differente;
e) la domanda stagionale (connessa a fenomeni di natura stagionale) nei territori in cui questa è
rilevante.
La stima della domanda di trasporto fornisce come risultato le matrici origine/destinazione (matrici
O/D) i cui elementi forniscono il numero di spostamenti per coppia origine – destinazione relativi ai
diversi periodi di riferimento, ai diversi motivi dello spostamento ed ai diversi modi utilizzati.
Particolare attenzione deve essere rivolta a stimare la domanda di trasporto di tipo pendolare (sia
scolastico che lavorativo) e ad individuare le principali relazioni (coppie O/D) relative a queste
tipologie di spostamenti.
I dati di domanda possono essere ottenuti da indagini istituzionali periodiche, campagne
campionarie di rilievo, tecniche basate su campagne di rilievo dei flussi su rete e ricostruzione della
domanda o, infine, da sistemi di modelli di domanda. E’ anche possibile utilizzare una
combinazione di questi metodi. Alcuni dei dati di domanda, inoltre, possono essere ottenuti da
documenti di programmazione nel settore dei trasporti di scala territoriale superiore e/o relativi ad
altri sottosistemi rilevanti del sistema di trasporto.
In generale, sia che i dati siano ricostruiti con metodi di stima diretta, sia nel caso in cui, almeno per
una parte di essi, si utilizzino modelli di domanda, occorre comunque effettuare delle indagini del
tipo:
a) indagini effettuate in corrispondenza del cordone dell’ambito di studio, per la stima del
traffico di scambio ed attraversamento;
b) indagini sulle linee di trasporto pubblico che attraversano il cordone (comprese linee
ferroviarie);
c) indagini per la rilevazione della mobilità tra le zone di traffico dell’ambito di studio,
effettuate in corrispondenza di un insieme di sezioni della rete di trasporto interna all’ambito
di studio; esse possono essere anche utilizzate per l’eventuali validazione/correzione delle
matrici O/D stimate;
d) linee di trasporto pubblico (comprese linee ferroviarie);
e) eventuali indagini per la definizione e la calibrazione dei modelli di domanda, effettuate su
un campione rappresentativo degli utenti del sistema di trasporto;
f) indagini per la rilevazione delle caratteristiche principali degli spostamenti.
L’analisi dell’offerta di trasporto deve essere rivolta da un lato all’esame delle infrastrutture
esistenti (stradali, ferroviarie) e dall’altro all’esame dei servizi attualmente in esercizio sul territorio.
Il risultato dell’analisi deve condurre alla costruzione di un modello rappresentativo dell’offerta di
trasporto, gestito ormai universalmente da un sistema informativo che contenga:
a) tutte le informazioni sulla rete delle infrastrutture di interesse nazionale, regionale,
provinciale e le principali strade di attraversamento dei centri urbani, con tutte le
caratteristiche geometriche, prestazionali e funzionali;
b) la rete dei servizi, comprendente tracciati delle linee, fermate, capolinea, tempi di
percorrenza, frequenze ed orari di tutti i servizi di Trasporto Pubblico Locale di interesse
interregionale, regionale, provinciale e delle linee urbane, relativo ala situazione attuale;
c) tutte le informazioni della rete di accesso cioè di tutti gli elementi infrastrutturali che
consentono all’utenza di accedere alla rete dei servizi.
L’analisi dell’interazione tra domanda ed offerta di trasporto è necessaria per simulare il sistema sia
allo stato attuale che a seguito della definizione dei servizi minimi. I modeli di interazione domanda
– offerta, detti anche modelli di assegnazione, consentono, nota l’offerta di trasporto e la domanda
di trasporto, di stimare i carichi (flussi di utenti o di autovetture) sul sistema e di conseguenza il tipo
di interventi da realizzare.

Infrastrutture portuali e sviluppo economico

L’analisi dei flussi di merci trasportate via mare dimostra che negli ultimi decenni si è registrata una
crescita costante delle quantità di merci trasportate tramite containers con un conseguente
incremento di tutte le attività che caratterizzano le infrastrutture portuali. Tali dati sono confermati
anche dai comportamenti degli operatori del settore e dagli investimenti che, già da molto tempo,
stanno effettuando per ridurre i costi di trasporto marittimo, attraverso l’introduzione di innovazioni
tecnologiche sia sulle navi che sulle attrezzature dei porti. Tra i fenomeni innovativi che
caratterizzano il mercato del capotaggio nel settore delle merci, il più importante è la
trasformazione del traffico, da accompagnato a non accompagnato, resa possibile dalla forte
ristrutturazione delle imprese di trasporto che possono imbarcare sulle navi i semirimorchi senza
autista piuttosto che gli autocarri con autista.
I mezzi del traffico non accompagnato necessitano di:
a) maggiore intervento di imprese portuali per svolgere tutte le operazioni di imbarco e sbarco;
b) di aree di parcheggio e di pre – imbarco vigilate ed attrezzate;
c) di un’organizzazione efficiente in grado di gestire la programmazione di imbarchi e sbarchi.
Il secondo fenomeno innovativo è l’entrata in servizio di navi veloci e superveloci, sia per il
trasporto di persone che di merci, che richiede una ristrutturazione degli impianti e delle
attrezzature portuali, quali opere di rinforzo delle banchine, riqualificazione delle apparecchiature di
segnalazione per la sicurezza dei trasporti e l’integrità delle infrastrutture.
L’infrastruttura portuale può essere considerata un’azienda di produzione vera e propria, sita sul
territorio ma con politiche di gestione e di massimizzazione dei profitti tipicamente aziendali, in
modo avulso dal territorio, e un elemento propulsore per lo sviluppo delle economie locali che
intorno al porto organizzano le proprie dinamiche.
Il settore dei trasporti portuali è caratterizzato da un gran numero di concorrenti e da un alto rischio
di variazione negativa della domanda di servizi. Infatti non è raro che gli armatori ed i grandi
caricatori internazionali spostino i loro porti di approdo di fronte ad offerte migliori sia in termini di
tariffe che di servizi. Tali comportamenti possono essere messi in atto facilmente perché i costi di
transazione, cioè i costi che un armatore deve sostenere per cambiare punto di approdo, sono
praticamente nulli. Per tale motivo i principali porti italiani hanno adottato la strategia della
specializzazione, soprattutto nel campo del trasporto di containers, che permettono forti economie
di scala oltre ad una standardizzazione dei processi di carico e scarico, oramai comunemente
adottati da tutti i paesi dell’UE.
I porti non specializzati sono molto spesso costretti ad operare acquisendo piccole nicchie di
mercato che raramente permettono di utilizzare appieno l’infrastruttura e ricavarne un adeguato
compenso remunerativo.
La specializzazione è quindi la strategia più opportuna per massimizzare i profitti del porto ed è
anche quella che presenta le maggiori prospettive di sviluppo. La specializzazione dei porti si
realizza particolarmente nell’attività di transhipment che presenta maggiori opportunità di sviluppo
e di redditività. La necessità di collegamenti tra operatori separati da grandi distanze trova infatti
una risposta nel transhipment, cioè nella connessione mare – mare operante su un modello che
comprende aspetti geografici, economici, liners unitizzati, trasporti integrati con operatori
multimodali.
Al centro del modello di specializzazione basato sul transshipment, si realizzano economie di scala
che permettono di ridurre i costi unitari dei trasporti proporzionalmente alla produttività dei servizi
terminali. Lo sviluppo del transhipment trascina sviluppi dei porti in ambiti territoriali minori, che
movimentano altrettanti servizi di trasporto terrestri creando filiere trasportisctiche di notevole
efficienze oltre che di alta redditività.
Per quanto riguarda la relazione tra infrastruttura portuale e sviluppo del territorio, la presenza di un
porto comporta un aumento dei livelli di occupazione. Il concetto di “porto di terza generazione”, in
grado cioè di produrre valore aggiunto nelle aree circostanti, è un elemento guida per la definizione
di investimenti in infrastrutture portuali. Gli effetti positivi non comprendono solo il numero degli
addetti dell’azienda portuale, ma anche tutte le nuove possibilità di occupazione, in termini di
servizi ed attività diverse, collegate alla cosiddetta Port Industry.
Un’impresa collocata logisticamente nelle vicinanze di un porto usufruisce delle esternalità prodotte
dall’abbattimento dei costi di trasporto e, di conseguenze, la sua funzione di produzione (f(x) è
influenzata dalla qualità e dai costi di trasporto sopportati. Considerando il costo generalizzato del
trasporto “C”, “L” il fattore Lavoro e “K” il fattore Capitale la funzione di produzione dell’impresa
sarà scritta come: f(x) = f (L,K,C).
Nel quadro dei benefici e dei costi originati dalla presenza di una infrastruttura portuale nel
territorio, è importante evidenziare le esternalità che si ripercuotono sulla collettività locale,
chiamata a far fronte non solo a livelli crescenti di congestione, ad inquinamento di tutti i tipi, ma
anche alla continua sottrazione di territorio, lo spazio costiero, risorsa esauribile e preziosa. Anche
nel caso di investimenti in infrastrutture portuali è dunque auspicabile una dettagliata analisi di
fattibilità che evidenzi anche i gravi conflitti socio – economici – ambientali che essa
comporterebbe.

La valutazione degli investimenti nel settore dei trasporti

L’usuale scarsità di risorse destinate agli investimenti e la necessità di una certa trasparenza
nell’allocazione delle risorse stesse, inducono a sostenere l’opportunità di affiancare a qualsiasi
progetto di investimento nel settore dei trasporti, oltre ad un’analisi finanziaria ed economica, anche
un ulteriore analisi socio – ambientale necessaria alla valutazione della qualità degli insediamenti
umani, attuali e futuri, nel rispetto di quello che viene definito, dall’UE, diritto alla mobilità e
sviluppo sostenibile.
E’ importante sottolineare il legame reciproco che esiste tra sostenibilità ambientale ed
investimenti, in quanto questi ultimi creano ricchezza pubblica non di per se stessi, ma solo se
generano benefici superiori ai costi ed entrambi possano essere misurati e raffrontati; di
conseguenza, la formalizzazione giuridica dei criteri guida, sociali ed ambientali, da adottare nella
definizione dei piani di investimento, deve necessariamente essere integrata con le conoscenze di
esperti economico – finanziari, tecnici e sociali.
Non tutti gli obiettivi potranno essere monetizzati, quali quelli redistributivi ed ambientali, che
resteranno più discrezionali, ma questo non comporta la rinuncia a misurazioni e trasparenza che
considerino l’impatto economico ed ambientale che ogni opera avrà per i prossimi decenni.
Emerge chiaramente l’utilità dell’introduzione di una cultura della valutazione a priori che possa
evidenziare ed evitare il rischio di un’efficacia immediata (dell’intervento) ma di un insuccesso (nel
sistema generale) futuro.

Analisi finanziaria ed economica

I progetti riguardanti il settore dei trasporti si riferiscono ai piani di riorganizzazione dei trasporti in
un certo ambito, per una o più modalità di trasporto, od alla realizzazione/ristrutturazione di
infrastrutture che possano erogare servizi in modo efficiente.
Ogni progetto di intervento sul Sistema Trasporti si colloca sempre nel contesto di un progetto
intersettoriale che ha obiettivi generali di sviluppo, siano essi economici, sociali e politici. Nel
settore dei trasporti la valutazione dei progetti di investimento ha una notevole importanza proprio
perché le scelte che vengono operate devono coprire gli interessi di categorie di soggetti più
numerosi di quelli che, apparentemente, un singolo, o più progetti sembrerebbero coinvolgere.
E’ utile distinguere le categorie di soggetti nell’interesse dei quali la valutazione ha rilievo:
a) gli imprenditori, sia pubblici che privati, che, secondo canoni aziendalistici, investono i
capitali di cui dispongono per conseguire gli utili (es. costruzione di un’autostrada con
riscossione di pedaggi); in questo caso le valutazioni tengono conto dei costi che tali
imprenditori dovranno sostenere per costruire l’infrastruttura, e dei ricavi che da essa
potranno conseguire scegliendo dunque i progetti che avranno differenziali maggiori, ovvero
in senso positivo;
b) la collettività (politicamente rappresentata); le valutazioni concerneranno il confronto tra i
costi di investimento dell’infrastruttura che saranno a carico della collettività, ed i benefici,
di diversa natura, che dalla realizzazione dell’opera essa potrà godere.
Se la valutazione dei piani di investimento è nell’interesse degli imprenditori, l’analisi effettuata è
di tipo finanziario e la tecnica di valutazione è la stesura di un bilancio previsionale, comprensivo
dei tempi di ritorni finanziari.
Se la valutazione dei piani di investimento è nell’interesse della collettività, l’analisi effettuata è di
tipo economico e la tecnica di valutazione è l’analisi benefici – costi di tipo multicriteriale.
L’elemento di analisi che accomuna le due valutazioni è di certo il calcolo dei costi, mentre si
differenzia il risultato atteso dall’investimento sull’infrastruttura, che, sebbene genericamente
definibile, ricavi, nell’analisi finanziaria è un vero e proprio flusso monetario di proventi (della
vendita di beni o dei servizi prodotti) che ritornerà nel circolo finanziario dell’azienda, mentre
nell’analisi economica è l’insieme dei benefici, intangibili e difficilmente precisamente valutabili,
distribuibili con l’infrastruttura a tutta la collettività.

Gli elementi di analisi

Nell’ambito del servizio di trasporto pubblico, la definizione dei costi e dei ricavi è utile per
pervenire ad una corretta quantificazione delle risorse necessarie all’investimento, ed ad un efficace
ed efficiente espletamento dei servizi. I costi possono essere divisi in tre grandi categorie:
a) costi diretti: costi sostenuti cioè per realizzare le singole linee. Operativamente il metodo più
diffuso consiste nell’individuare il costo diretto per ogni linea, comprensivo di consumi,
manutenzione, tasse e personale necessario allo svolgimento del servizio;
b) costi indiretti, o costi generali;
c) costi modali, cioè relativi alla via della singola linea e dipendenti dal tipo di mezzo.
La ripartizione effettuata per i costi avviene anche per i ricavi, fra le singole linee; l’operazione è
complessa data la presenza di un regime di integrazione modale e, in genere, di un regime di
integrazione tariffaria fra più aziende produttrici di servizi di trasporto.
Con l’individuazione dei suddetti dati possono essere costruiti gli indicatori; con riferimento ad
ogni singola linea, che evidenziano:
a) la differenza costi e ricavi (il deficit): indice 1 = C – R
b) il rapporto tra ricavi e costi: indice 2 = R / C
Tali analisi sono utili all’amministrazione locale che deve definire i propri piani triennali, oltre che
all’ente esercente il servizio per svolgere un regolare controllo di gestione o partecipare a gare per
l’affidamento del servizio.
Il modello di costo, adottabile per la quantificazione delle risorse dei programmi triennali, può
essere di natura aggregata o disaggregata. Nel modello aggregato il costo operativo totale viene
stimato inglobando tutte le variabili di costo dell’intero sistema analizzato, singolarmente calcolate,
in una unica equazione di calcolo. Nel modello disaggregato i costi delle principali componenti,
calcolati separatamente, vengono ripartiti fra le diverse aree di aggregazione logiche, contribuendo
tutti alla formazione del costo operativo totale costituito da tutte quelle spese sostenute annualmente
sia per l’erogazione del servizio (costo diretto) sia per il funzionamento delle strutture aziendali
(costi indiretti). Il Programma Triennale dei Servizi è uno strumento di programmazione approvato
dalle Regioni per definire la rete e l’organizzazione dei servizi, l’integrazione modale e tariffaria, le
risorse da destinare all’esercizio ed agli investimenti, le modalità di determinazione delle tariffe, le
modalità di attuazione e revisione dei contratti di servizio pubblico, il sistema di monitoraggio dei
servizi, i criteri per la riduzione della congestione e dell’inquinamento ambientale.
Nella valutazione di un piano basata sulla simulazione degli effetti, l’entità dei ricavi è
generalmente condizionata:
a) dalla struttura del sistema tariffario;
b) dalla struttura ed entità delle agevolazioni concedibili a particolari categorie di utenti.
I modelli per il calcolo dei ricavi possono essere strutturati come quelli di costo, e cioè in forma
aggregata e disaggregata. Il calcolo dei ricavi per la generica linea del servizio di trasporto può
avvenire attraverso stime prodotte sulla base di analisi sulla quantità e sulle caratteristiche della
domanda soddisfatta dalla singola linea. Un metodo di vera e propria rilevazione presuppone
l’emissione di titoli di viaggio identificativi della linea di effettivo utilizzo, per cui l’azienda è in
grado di contabilizzare i ricavi sulla base dei titoli erogati; ma mentre tale sistema è ancora adottato
in molte gestioni di servizi di trasporto extraurbano, nel caso dei trasporti urbani vengono ormai
dovunque venduti biglietti ed altri titoli che non consentono di individuare a priori il percorso
effettivamente compito dall’utente. Con la diffusione di titoli di viaggio che non necessitano di
obliterazione, gli esercenti il trasporto pubblico urbano hanno perso anche la possibilità di calcolare
sistematicamente i passeggeri che salgono a bordo dei mezzi ed il tipo di tariffa pagata; a tale
necessità è possibile sopperire solo occasionalmente attraverso attività straordinarie di conteggio dei
passeggeri sugli autobus e contestuale stima dei ricavi.
Le analisi effettuate tramite modelli di interazione tra domanda ed offerta costituiscono quindi una
valida alternativa in tutti quei casi in cui, per le modalità con cui avviene la vendita dei titoli, non
esiste la possibilità di rilevare e contabilizzare a priori i ricavi per linea. Attraverso tali procedure, in
unione alle informazioni disponibili sul tipo di tariffazione adottata, si può pervenire ad una stima
dell’ammontare dei ricavi; occorre quindi conoscere:
a) il numero di passeggeri trasportati sulla linea;
b) il tipo di tariffa pagata da ciascun passeggero;
c) i coefficienti di utilizzazione dei titoli a validità perpetua.
Per il calcolo dei modelli disaggregati, sono utilizzate le matrici di origine e destinazione calcolate
in sede di stima della domanda potenziale che fornisce come risultato le matrici O/D i cui elementi
forniscono il numero di spostamenti per coppia origine – destinazione relativi ai diversi periodi di
riferimento, ai diversi motivi dello spostamento ed ai diversi modi utilizzati.
La valutazione di ogni alternativa di intervento sul Sistema Trasporti esprime il confronto tra utilità
e discutibilità connesse agli impatti derivanti dalla sua adozione.
In particolare, gli impatti interni sono esprimibile con una generica valutazione finanziaria, gli
impatti esterni sono valutabili tramite la valutazione economica, di confronto tra la situazione di
intervento e quella di riferimento, che può essere condotta con tecniche di analisi multicriteriali.
Tali tecniche permettono di considerare i differenti impatti, la loro distribuzione tra i diversi
soggetti coinvolti ed i differenti obiettivi perseguibili.
In via generale, per casi particolarmente semplici, per dimensione dell’area oggetto di studio e/o per
numerosità della popolazione interessata, la valutazione economica può essere condotta con
un’analisi monocriteriale delle variazioni dei benefici e dei costi che, attraverso la produzione di un
unico indicatore sintetico, rende semplice il confronto tra diverse ipotesi di intervento, ma non
permette di considerare la distribuzione dei benefici e dei costi (equità sociale). In casi più
complessi, è opportuno procedere ad un’analisi multicriteriale che prevede, quale presupposto
iniziale, l’individuazione delle alternative non dominanti (o Pareto – ottimali), per poter poi
analizzare la distanza dalle alternative ideali, ed infine le soglie di concordanza o discordanza
rispetto alle quali un’alternativa diviene dominante su tutte le altre. In ogni caso la valutazione
economica è accompagnata sempre da un’analisi benefici – costi.

Analisi benefici – costi

L’analisi benefici – costi può essere suddivisa in quattro fasi:


1) identificazione dei progetti di investimento da valutare;
2) stima dei costi;
3) stima dei benefici;
4) definizione e stima degli indicatori.
La tecnica di analisi per Benefici – Costi permette di confrontare, per ogni alternativa di progetto di
investimento, compresa quella di non progetto, il totale dei benefici di cui potrà godere la
collettività ad intervento ultimato, ed i costi che la stessa dovrà sostenere affinché il progetto di
intervento possa essere realizzato.
In via generale, nell’identificare le varie alternative di progetto di intervento, i progetti possono
essere raggruppati in :
a) progetti incompatibili, sia tra loro stessi, nel senso che non possono essere realizzati
insieme, sia rispetto al contesto nel quale essi potranno poi essere applicati;
b) progetti indipendenti, che, presupponendo in ogni caso la loro compatibilità con il contesto
di riferimento, possono essere realizzati contemporaneamente ed i benefici totali possono
essere considerati come la somma dei singoli contributi;
c) progetti indipendenti, o complementari, che si completano cioè a vicenda ed i benefici totali
sono complessivamente superiori alla somma dei singoli contributi progettuali.
L’analisi economica deve prendere in considerazione inizialmente tutti i progetti effettivamente
dipendenti e, successivamente, quelli indipendenti che possano produrre un beneficio totale netto
pari alla somma dei benefici netti di ogni singolo progetto.
Date due alternative di intervento P1 e P2, l’intervento P1 sarà preferibile all’intervento P2 se la
differenza tra i Costi (C) ed i Benefici (B) del P1 sarà superiore alla stessa differenza del P2:
BP1 – CP1 > BP2 – CP2.
oppure se la differenza tra i benefici delle due alternative di intervento è maggiore della differenza
tra i costi:
BP1 – BP2 > CP1 – CP2
I costi devono essere stimati per tutti gli anni di vita economica del progetto, a prezzi attuali, non
considerando cioè i possibili incrementi rapportabili alle svalutazioni monetarie. Essi devono
comprendere tutti i costi da sostenere per realizzare le infrastrutture e gli impianti, i costi di gestione
e manutenzione, i costi di esercizio per la gestione del progetto.
I costi devono essere computati non considerando l’extra profitto quindi al costo dei fattori. L’extra
profitto è il profitto superiore a quello sufficiente a pagare il capitale, la mano d’opera e le materie
prime. Come tale non può essere considerato un costo ma un trasferimento dalle casse di chi
commissiona l’opera in quelle dell’impresa realizzatrice, che però risulta essere sempre una
componente della collettività nel cui interesse si sta valutando l’economicità del progetto.
I benefici ottenibili tramite la realizzazione di un progetto possono essere:
a) diretti, cioè quelli di cui godranno gli utenti del sistema di trasporto oggetto dell’intervento
(accesso alla mobilità, disponibilità di servizi, minori costi di trasferimento, incremento dei
circoli economici);
b) indiretti, cioè quelli di cui godranno anche i non – utenti e cioè tutti gli abitanti del territorio
nel quale l’intervento viene effettuato (minore inquinamento, salvaguardia degli equilibri
ecologici, storico – monumentali, sociali, incremento del valore degli immobili).
Gli indicatori che risultano dall’analisi benefici – costi sono:
a) il VAN, valore attuale netto o beneficio totale netto;
b) il SRI, saggio di rendimento interno.
Il VAN è dato dalla soma dei valori attualizzati delle differenze, anno per anno, tra i benefici ed i
costi che il progetto di intervento comporta.

L’economicità di un progetto di investimento deve presentare un VAN positivo e, tra due progetti
alternativi, sarà sempre opportuno scegliere quello con un VAN maggiore. Nel calcolare il VAN ha
notevole rilevanza il valore del tasso di attualizzazione la cui determinazione è spesso complessa in
quanto riflette le condizioni economiche e politiche esterne al settore dei trasporti.
Il Saggio di Rendimento Interno (SRI) è quel valore del tasso di attualizzazione che rende nullo il
VAN (lo riporta a zero), uguagliando i valori dei benefici e dei costi di un progetto.

La valutazione degli impatti

La valutazione a priori dell’impatto degli investimenti, è tecnicamente possibile grazie alla


costruzione di opportuni modelli di simulazione ed alla successiva applicazione degli stessi. E’
determinante ricorrere ad un processo di tipo iterativo che, svolgendosi durante tutto il percorso di
elaborazione del piano, garantisca l’efficacia del risultato. La definizione di una nuova metodologia
ha portato alla suddivisione logica del processo di valutazione in due fasi diverse, temporalmente e
di contenuto, quella qualitativa e quella quantitativa.
La prima fase, l’analisi qualitativa, è volta ad individuare la sostenibilità/compatibilità fra politiche
– azioni di piano ed obiettivi, e fornire suggerimenti per la risoluzione delle problematiche relative.
Il secondo momento valutativo, definito fase quantitativa, rappresenta un’integrazione della fase
iniziale effettuata a partire già dal periodo della conferenza di pianificazione. In sostanza si sviluppa
una valutazione che non si limita alla sola quantificazione delle interazione ma che si spinge fino
alla simulazione degli effetti e delle performance, relative a differenti scenari insediativi, di mobilità
e di allocazione delle risorse naturali.

La valutazione qualitativa degli effetti

La valutazione degli effetti di un investimento, in generale per tutti i tipi di infrastrutture e


maggiormente per quelle che, come per il settore trasporti, incidono sulla struttura del territorio e
sul suo utilizzo, si avvale di uno strumento formale di evidenziazione dei conflitti che possono
sorgere tra le valutazioni soggettive ed i problemi di natura ambientale. Tale strumento, in linea con
le direttive comunitarie in materia di sostenibilità ambientale, è la VIA che accompagna l’iter di
approvazione di progetti per la realizzazione di alcune opere che abbiano ripercussione
sull’ambiente. La VIA è intesa come una fase indipendente del lungo iteri di approvazione di un
progetto, con carattere di certo propedeutico, ma strettamente legato alla fase di progettazione e non
al processo di pianificazione nel suo complesso.
Allo scopo di elevare le procedure di valutazione ambientale a criteri guida per i processi di
pianificazione nelle politiche di settore, sono state specificate alcune procedure di integrazione
ambientale, tra cui la VAS che è un processo sistematico per valutare le conseguenze ambientali di
politiche, piani e programmi, e per assicurare che gli effetti ambientali siano completamente inclusi
ed affrontati in maniera appropriata fin dalle prime fasi del processo decisionale, alla pari con le
considerazioni economiche e sociali.
All’interno del processo decisionale, la VAS si struttura su sequenze e livelli molteplici:
a) deve accompagnare tutto l’iter pianificatorio;
b) deve essere effettuata durante la fase preparatoria del piano;
c) deve prevedere un processo di consultazione di tutte le parti interessate;
d) deve prevedere la valutazione della coerenza e della pertinenza dei piani e programmi
rispetto agli obiettivi di sostenibilità ambientale;
e) deve prevedere la valutazione degli effetti sull’ambiente;
f) deve esplicitare la valutazione tra alternative di piano.
I risultati della VAS consistono in:
a) elaborazione di un rapporto d’impatto ambientale;
b) realizzazione delle consultazioni;
c) valutazione del rapporto ambientale e dei risultati delle consultazioni nell’iter decisionale;
d) messa a disposizione per il pubblico delle informazioni.
I contenuti del rapporto ambientale sono:
a) descrizione dello stato attuale dell’ambiente e della sua evoluzione senza attuazione del
piano;
b) descrizione degli obiettivi di tutela ambientale e del modo in cui il piano ne tiene conto;
c) analisi dei possibili effetti ambientali significativi, misure previste per impedire, ridurre e
compensare gli eventuali effetti negativi;
d) sintesi delle ragioni della scelta delle alternative individuate;
e) descrizione di come è stata effettuata la valutazione.
Le procedure di VAS e VIA sono da intendersi complementari, nonostante esse si presentino in
maniera distinta ed operativamente separata.
Le maggiori differenze tra VAS e VIA possono essere ricondotte a:
a) livello dell’analisi; la VAS opera a livello di piano e di processo in generale, la VIA opera a
livello di progetto;
b) obiettivi: sostenibilità per la VAS, compatibilità per la VIA;
c) metodologie: per il piano, la previsione di impatti probabili e scenari possibili, per il
progetto, la definizione di impatti identificabili.
La VAS costituisce la procedura di valutazione che, in una teorica sequenza decisionale, si colloca
al livello superiore rispetto al progetto, a cui si applica la VIA, senza però sostituirsi ad essa in
quanto tratta alternative che non possono essere trattate a livello di progetto.
Per procedere alla valutazione quantitativa degli effetti della scelta di un piano di intervento nel
settore dei trasporti, sui sistemi territoriale ed ambientale, si utilizzano i modelli di simulazione e lo
schema metodologico di analisi denominato SSP, ad indicare le componenti che originano la sua
formulazione e cioè:
- Scenario, cioè la trasposizione in termini descrittivi di un progetto, inteso come la previsione
di un insieme definito di azioni sullo stato di fatto, in vista del raggiungimento di
determinati obiettivi.
- Simulazione, che può essere definita come l’attività che consente di passare dallo scenario
alle sue performance; è la fase più strumentale della metodologia e spesso coinvolge
complesse problematiche di modellazione del territorio e dell’ambiente nelle sue diverse
componenti.
- Performance, che consiste nella prestazione di un determinato scenario in funzione degli
obiettivi perseguiti; può essere intesa come la capacità di una politica/azioni di avvicinarsi
ad un target fissato, ovvero come lo scostamento da tale target.
Il concetto alla base della metodologia SSP è quello della simulazione previsionale delle possibili
alternative di intervento, e qualificare/quantificare le performance raggiungibili da confrontare con
gli obiettivi di riferimento. La scelta di un piano di intervento prevede il confronto tra due o più
scenari progettati, per confrontare ed esaminare futuri alternativi. In questo caso la simulazione è
vista come strumento previsionale di sperimentazione e di progettazione, sfruttandone le capacità di
predizione, e quindi utilizzando questi strumenti in fase di messa a punto delle strategie rivolte al
migliore raggiungimento degli obiettivi prefissati.
L’utilizzo di tale metodologia nel processo di valutazione quantitativa di sostenibilità ambientale e
territoriale comporta l’analisi dello scenario zero, o scenario attuale, che rappresenta la situazione
attuale del sistema territoriale rispetto alla quale effettuare il confronto valutativo.
Ogni valutazione di intervento sul settore dei trasporti trascina con se la valutazione della
componente insediativa (popolazione ed attività), della componente infrastrutturale, nonché della
componente mobilità.
Oltre allo scenario di base, occorre procedere all’individuazione dello scenario tendenziale: si tratta,
cioè, di andare a costruire una previsione sulla base delle tendenze in atto (con rifermento alla
distribuzione della popolazione e delle attività produttive), sulla base del trend demografico in atto,
considerando quanto già previsto dagli strumenti urbanistici vigenti e dai progetti infrastrutturali già
finanziati.
I modelli di simulazione devono essere in grado di restituire, sotto forma di performance, le
prestazioni raggiunte dagli scenari da valutare. La performance qualifica la prestazione di un
determinato scenario in funzione degli obiettivi perseguiti.
Gli impatti, in termini di sostenibilità ambientale e territoriale, relativi a tale scenari di progetto,
devono essere considerati:
a) in termini relativi, con riferimento allo scenario zero, per verificare l’attivazione di eventuali
circoli virtuosi/viziosi rispetto allo stato attuale, ed allo scenario tendenziale, al fine di
evidenziare la bontà o meno delle scelte operate dal piano rispetto al trend di sviluppo in
atto;
b) in termini assoluti e cioè sulla base dei target individuati per ciascuna componente. Tale
operazione consente di misurare l’avvicinamento o l’allontanamento dagli obiettivi di
sostenibilità condivisi e quindi permette di selezionare, all’interno delle opzioni possibili,
quel pacchetto di azioni – politiche che meglio risponde alle esigenze di sostenibilità.
Le principali esternalità da considerare nella valutazione di un progetto di intervento sul Sistema
Trasporti, sono gli impatti sulle risorse non rinnovabili, tra cui l’inquinamento atmosferico ed
acustico, i consumi energetici, l’intrusione visiva. E’ utile valutare anche l’impatto sulla sicurezza
(incidentalità), ma non sono attualmente disponibili metodi che consentono una stima quantitativa
di indicatori di incidentalità connessi ad un’ipotesi di intervento, pertanto vengono in genere
adottate valutazioni qualitative e/o indicatori di prossimità.
Nell’ambito della valutazione degli effetti che producono gli interventi nel Sistema Trasporti, risulta
rilevante la valutazione delle interrelazioni esistenti tra la congestione e gli investimenti
infrastrutturali in strade.
L’ampliamento dell’offerta infrastrutturale, nel caso delle strade, produce l’effetto di far aumentare
la domanda di trasporto ma, paradossalmente, di produrre gli stessi effetti per i quali l’intervento era
stato programmato e realizzato. Infatti, la riduzione dei tempi di percorrenza, dovuta alla
costruzione di una nuova via, provoca la crescita della domanda soprattutto nei periodi di punta,
provocando di nuovo la congestione della rete. Durante il processo di pianificazione degli
interventi, spesso si tende a sovrastimare i benefici conseguibili dall’espansione della capacità
viaria ed a sottostimare tutte le altre alternative di intervento.
Il traffico generato, cioè la quota addizionale di veicoli che si spostano in seguito ad un intervento
di espansione dell’offerta infrastrutturale, può essere distinto in:
a) traffico dirottato, con cambiamenti nell’orario di effettuazione, di percorso o di
destinazione;
b) traffico indotto, spostamenti e percorrenze più o meno lunghe, spostamenti che,
precedentemente all’intervento, venivano effettuati con altri modi di trasporto.
L’errata o la mancata stima degli effetti provocabili dal traffico indotto, soprattutto nel medio –
lungo periodo, può causare un incremento dei costi esterni dei trasporti, dovuti proprio ai
cambiamenti indotti sia sulle scelte modali di trasporto sia sul modo di utilizzo del territorio.
Il livello di congestione presente sulla rete viaria tende, nei periodi in cui esso è presente, a
rimanere relativamente costante ed a produrre un effetto di calmierazione della domanda di
trasporto; infatti gli automobilisti effettuano le proprie scelte di spostamento, quelli con bassa utilità
marginale, in momenti diversi rispetto all’orario di punta e di maggiore congestione.
La congestione influenza dunque la scelta del percorso, del modo, del tempo e della frequenza con
cui vengono effettuati gli spostamenti. Esiste quindi una circolarità nella causazione degli eventi
che, nel caso di investimenti infrastrutturali per la costruzione di nuove strade, fa materializzare la
domanda latente di spostamenti riducendo, o addirittura annullando, il risultato auspicato
dall’intervento e generando la necessità di effettuarne altri. Non sempre il miglioramento della
situazione per un modo di trasporto si traduce, automaticamente, in un miglioramento del sistema
nel suo complesso, confermando il paradosso di Downs – Thomson (le velocità sulla strada
decresceranno se i miglioramenti portati al sistema stradale comportano un deterioramento del
livello di servizio del trasporto pubblico, con la conseguente diminuzione della frequenza delle
corse od un aumento delle tariffe a causa della diminuzione della domanda).

Formazione dei prezzi dei servizi di trasporto

La definizione del prezzo dei servizi di trasporto dipende da una serie di fattori economici,
strutturali e congiunturali che agiscono in via complementare tra loro ed influenzano tutte le scelte
modali dei soggetti, sia quando i servizi di trasporto sono strumentali al soddisfacimento dei bisogni
individuali, sia quando i servizi di trasporto costituiscono l’attività principale dei soggetti in qualità
di operatori economici, propriamente detti vettori.
Il prezzo da pagare, o da richiedere, quale risultato di tali combinazioni, è di certo un’operazione
complessa in quanto deve raggiungere il doppio obiettivo di accesso alla mobilità e copertura dei
costi da sostenere per fornire un servizio domandato, apprezzato ed economicamente redditizio.

I prezzi dei servizi di trasporto

Il prezzo dei servizi di trasporto corrisponde all’utilità che ogni soggetto attribuisce al servizio
rispetto alla propria sfera personale ed economica. Tale utilità si quantifica monetariamente con il
prezzo, e qualitativamente con il valore d’uso del servizio. La differenziazione principale è tra
prezzo della domanda, che determina la quantità di servizio richiesto, e tra prezzo dell’offerta, che
determina la quantità del servizio venduto.
In altri termini, il prezzo della domanda è il corrispettivo monetario che un soggetto è disposto a
pagare, e può pagare, per spostarsi nel tempo e nello spazio; il prezzo dell’offerta è il corrispettivo
monetario che il vettore richiede per fornire lo spostamento, tenendo conto dei costi sostenuti per
approntarlo, del costo di ritorno, a vuoto o meno, sulla tratta percorsa, e del maggior ricavo che
intende ottenere dalla sua attività di vettore.
Come tutti gli altri ambiti della scienza economica, anche nel settore dei trasporti i prezzi dei servizi
si stabiliscono nel punto di incontro tra le curve della domanda di mobilità e dell’offerta di mobilità;
essi aumentano quando una delle due curve si sposta verso l’alto, diminuiscono quando una delle
due curve si sposta verso il basso. Tali dinamiche si esplicano principalmente nei mercati di tipo
concorrenziale, a prezzi liberi, mentre si assiste ad una minore elasticità dei prezzi quando questi
sono predeterminati.
Rientrano nella categoria dei prezzi liberi, tutti i prezzi che derivano da trattative e contrattazioni,
mentre sono prezzi predeterminati:
a) le tariffe del trasporto pubblico, sottoposte ad autorizzazioni delle autorità;
b) le tariffe scaturenti da accordi tra operatori del settore dei trasporti per regolamentare
l’applicazione dei prezzi;
I servizi di linea sono caratterizzati da prezzi predeterminati, i servizi su domanda, in linea di
massima, hanno prezzi liberi, salvo il caso in cui esistano degli accordi di categoria che ne abbiano
prefissato i limiti tariffari.
In via generale, la determinazione dei prezzi di trasporto tiene conto della distanza dello
spostamento, del mezzo utilizzato e del carico trasportato, sia in merci che persone. La distanza è
soggetta ad una duplice considerazione:
a) rappresenta la divisione tra il soggetto, sia esso individuo che impresa, ed il suo centro di
attrazione verso il quale esistono interessi economici, sociali e/o personali;
b) rappresenta la componente essenziale per l’attività economica del vettore, senza la quale il
servizio di trasporto non avrebbe ragione di esistere.
Si definisce prezzo effettivo il totale del costo affrontato dal consumatore per fruire del servizio,
risultate dalla somma del prezzo del bene sul luogo di mercato, del costo di trasporto sostenuto per
recarsi nella località centrale e quindi della distanza percorsa.
Il prezzo effettivo cresce al crescere della distanza, secondo il costo di trasporto t

Il prezzo definisce l’intercetta verticale della funzione, mentre il costo di trasporto t (dato) indica
l’inclinazione della funzione del prezzo effettivo che è crescente al crescere della distanza d.
La tariffazione dei servizi di trasporto urbano

La tariffazione dei servizi di trasporto in ambito urbano riveste un ruolo molto importante, sia per il
contributo alle dinamiche generali del sistema economico, sia per gli obiettivi di politica economica
perseguibili con tale strumento.
La tariffazione è strettamente legata al carattere distintivo del servizio pubblico, quale componente
del principio di giustizia sociale, e, più in particolare, quale strumento di soddisfacimento dei
bisogni normali della collettività e quindi del benessere collettivo. Tali caratteristiche pongono
quindi la tariffazione sotto il controllo da parte dello Stato nel processo di erogazione dei servizi di
trasporto pubblici.
Il controllo delle tariffe, o prezzi dei servizi pubblici, può essere esercitato:
a) tramite lo svolgimento diretto ed indiretto delle attività di erogazione dei servizi;
b) tramite la fissazione di criteri guida per la determinazione di tariffe, continuamente verificati
per evitare una non corretta distribuzione ed erogazione dei servizi su tutto il territorio.
L’analisi della tariffazione dei servizi di trasporto presuppone un’attività concettualmente e
tecnicamente differenziata, a seconda che si parli di metodi di tariffazione o di sistemi tariffari. Per
metodi di tariffazione si intende la metodologia di analisi adottata per la verifica degli elementi
determinanti la tariffa applicabile ad un servizio. Per sistemi tariffari, ci si riferisce propriamente
all’applicazione delle tariffe sul territorio che consentono di raggiungere gli obiettivi tipici delle
politiche tariffarie. I principali metodi di tariffazione sono:
a) la tariffazione al costo medio, il cui obiettivo è coprire il costo di produzione, anche se tale
metodo può comportare inefficienze dovute al fatto che può crearsi una disparità di
pagamento fra gli utenti. Dal punto do vista aziendale, il prezzo al costo medio permette di
considerare sia il costo fisso che quello variabile;
b) la tariffazione al costo marginale, dove la tariffa viene determinata sulla base dell’incontro
della curva di domanda con la curva del costo marginale;
c) la tariffazione a due parti, nella quale la tariffa è composta da una parte fissa per coprire i
costi fissi, ed una parte variabile proporzionale al costo marginale.
I sistemi tariffari portano alla definizione di vari tipi di tariffe:
a) la tariffa unica, nella quale il prezzo è unico e definito non tenendo conto della distanza del
trasferimento, cioè la distanza tra l’origine e la destinazione (es. tariffa oraria);
b) la tariffa a tratte, dove il prezzo del servizio totale è determinato dal prezzo assegnato alle
singole tratte del percorso;
c) la tariffa a zone, che presuppone che il territorio sul quale viene svolto il servizio sia diviso
in zone e la tariffa è quindi legata al numero delle zone attraversate durante il percorso;
d) la tariffa a scaglioni chilometrici, legata alla definizione di fasce chilometriche componenti
il percorso;
e) la tariffa a tempo, legata all’orario di inizio dello spostamento.
Nel processo di definizione delle tariffe, è di notevole importanza l’utilizzo delle indagini sulla
domanda effettiva di trasporto, per poter considerare, per ogni categoria di utenza, la reale
disponibilità a pagare (le tariffe devono crescere in misura non superiore al tasso di inflazione
programmato. Si tratta di introdurre predeterminati tetti massimi applicabili in un arco temporale
pluriennale con contemporanea introduzione di miglioramenti qualitativi dei servizi). La
segmentazione dell’utenze è un’attività essenziale per la determinazione dell’offerta dei titoli di
viaggio e permette di definire, per ciascuna categoria di utenza, il titolo di viaggio ideale
comprensivo dei seguenti elementi:
a) validità spazio temporale del titolo;
b) tipologia di servizio fornito;
c) tariffa del servizio.

I sistemi tariffari

L’individuazione di un unico, ottimale, sistema tariffario non è immediata in quanto la scelta


dell’una o dell’altra tariffa dipende dalla struttura urbana e produttiva, dalle condizioni ambientali
del territorio interessato e, maggiormente, dalla presenza di un regime di trasporto intermodale la
cui efficienza può essere garantita se supportata anche da un’integrazione tariffaria. Ognuno dei
singoli sistemi tariffari presenta infatti, se considerato in via esclusiva, delle criticità di successo.
La tariffa unica non comporta un equilibrio nel prezzo, proprio perché prevede un prezzo unico per
ogni spostamento, prescindendo dalla lunghezza dello stesso e dai maggiori costi del servizio per gli
spostamenti lunghi.
La tariffazione basata su scaglioni chilometrici è più rigida e rende difficoltosa la gestione dei
pagamenti e dei controlli per gli spostamenti intermodali. Tale sistema è basato su una suddivisione
dello spazio in zone, le zone sono chilometriche e le classi di distanza prevedono una tariffa
chilometrica decrescente (per km percorso).
La tariffazione a tempo richiede la suddivisione del territorio in zone mediante il tracciamento di
isocrone. Data la numerosità di famiglie di isocrone da tracciare (una per ogni origine degli
spostamenti), e poiché non è agevole definire in maniera univoca la durata temporale di uno
spostamento, una tariffazione esclusivamente a tempo risulta essere impraticabile su vaste aree.
Un sistema di tariffazione a zone viene adottato come sistema tariffario di base al quale affiancarne
altri, di vario tipo, che permettano, operando in maniera complementare, di raggiungere l’obiettivo
di efficiente erogazione del servizio a prezzi equilibrati, sia per gli utenti che per le aziende di
trasporto. In un sistema di tariffazione basato sul numero di zone adiacenti attraversate (ovvero
basato sulla percorrenza chilometrica), utilizzando un parametro di velocità convenzionale, è
possibile mettere in relazione la durata media dello spostamento con la lunghezza dello stesso.
Pertanto la realizzazione dei biglietti chilometrici (tariffa chilometrica), con associata una durata
temporale consentirebbe (tariffa a tempo), in base alla validità chilometrica, l’immediata
individuazione del titolo necessario ad un dato spostamento e, in base alla validità temporale, una
reale verifica della corretta utilizzazione del titolo di viaggio. Tale combinazione dei sistemi
tariffari risulta efficace.
La suddivisione in zone di un’area, avviene secondo due modalità:
a) a zone alveolari, dove il totale della superficie viene suddiviso in sub – aree di dimensioni
simili, la mobilità è fortemente diffusa, i centri di interesse sono numerosi e pariteticamente
attraenti;
b) a zone circolari concentriche, dove gli spostamenti sono maggiormente di tipo radiocentrici.
La tariffazione a zone comporta che tutti gli spostamenti interni ad una stessa zona hanno lo stesso
prezzo. Di conseguenza, l’oscillazione tra percorso minimo e percorso massimo possibili, a pari
costo per l’utente, è proporzionale alla grandezza della zona, mentre un percorso che attraversi un
confine di zona costa più di uno spostamento interno alla zona stessa. Nella pratica, zone molto
ampie semplificano la struttura anche se comportano differenze eccessive, sia tra spostamenti
possibili allo stesso prezzo, sia tra scaglioni tariffari consecutivi. Diversamente, la presenza di zone
molto piccole, pur permettendo di graduare il prezzo, rende molto complesso il sistema tariffario e
negativamente percepito dall’utente, vista la notevole differenziazione nei titoli di viaggio.
In via ottimale, la dimensione di una zona dovrebbe essere tale che il rapporto col prezzo base del
titolo di viaggio sia economicamente conveniente sia per gli utenti, sia per le aziende di trasporto.
La necessità di ottenere questo equilibrio di convenienza tra le due categorie di soggetti, viene
risolta costruendo zone con ampiezze simile a quella media degli scaglioni tariffari in uso sui
sistemi a tratte chilometriche, ed individuando moduli di prezzo di volta in volta comparabili.
I sistemi a zone concentriche, ideati per ottenere livelli tariffari equilibrati sugli spostamenti radiali,
non riescono a fornire le stesse condizioni di equilibrio se esistono delle relazioni tangenziali, sulle
quali diviene possibile percorrere distanze considerevoli impegnando una sola o poche zone. Tale
coesistenza può essere gradita, in alcuni casi, quando l’incentivo tariffario verso percorsi tangenziali
produce l’effetto decongestionante indotto sulle direttrici radiali, non è invece accettabili quando
essa determina conseguenze economiche e vistosi squilibri tariffari. Di conseguenza, per ovviare a
tale possibilità, è quasi sempre necessaria un’ulteriore suddivisione delle corone circolari in settori.

L’integrazione tariffaria e le implicazioni economiche

Il tema dell’integrazione tariffaria dei servizi di trasporto pubblico è strettamente connesso


all’utilizzo dello strumento della tariffa come leva delle politiche di governo della mobilità.
L’integrazione tariffaria è l’ultima fase di un processo di integrazione che deve essere:
a) in primo luogo fisica, e cioè relativa alle infrastrutture;
b) di esercizio, e cioè relativa ai servizi di trasporto;
c) informatica, e cioè relativa a politiche di comunicazione e promozione unificate.
La maggior parte delle esperienze di integrazione tariffaria, in ambito urbano e metropolitano, ha
adottato la struttura “a zone” quale struttura di base. Tale scelta è caratterizzata dall’individuazione
di un’area integrata in via modale, dalla suddivisione della stessa in sub – aree, all’interno di
ognuna delle quali lo spostamento ha una tariffa prefissata (tiolo di viaggio singolo), mentre per gli
spostamenti più lunghi la tariffa è proporzionata al numero di sub – aree da attraversare. Il sistema a
zone è efficace in aree i cui c’è una forte domanda di mobilità a mezzo trasporto pubblico, con
percorsi irregolari, tipico delle aree metropolitane. Nelle aree dove gli spostamenti sono meno
frequenti ed hanno natura più regolare, in termini di percorsi, è preferibile un sistema di tariffazione
a tratte, anche se, in via generale, è efficace anche un sistema ibrido, soprattutto per le aree molto
vaste.
Per poter procedere ad un’integrazione tariffaria, si deve considerare l’esistenza di diverse reti
sovrapposte ed interconnesse tra loro che rispondono a bisogni diversi:
a) la rete del trasporto pubblico locale;
b) la rete del trasporto pubblico di medio – lunga percorrenza;
c) l’insieme delle relazioni che costituiscono la mobilità privata, sia individuale (parcheggi di
interscambio con l’offerta pubblica), sia collettiva (autolinee aziendali, car – sarin, car –
pooling, etc).
Tra gli obiettivi dell’integrazione dei sistemi di trasporto figurano certamente:
a) l’aumento del numero di relazioni offerte, realizzabile attraverso interconnessioni di rete più
numerose ed efficienti;
b) una libertà di scelta maggiore ed una percezione più semplice ed immediata del sistema di
trasporto collettivo da parte dell’utenze;
c) un maggiore carico sulle singole tratte servite;
d) un aumento della domanda di trasporto pubblico locale che consentirebbe di ottenere
rilevanti ricadute positive per tutta la collettività in termini di qualità della vita.
L’ottenimento di un’efficace integrazione tariffaria presuppone che siano state adeguatamente
analizzate le seguenti aree tematiche:
a) conoscenza della domanda, per poter determinare il nuovo sistema tariffario;
b) rilevazione costante e sistematica degli utenti e delle percorrenze, ai fini della
standardizzazione dei titoli di viaggio e dei sistemi di rilevazione;
c) definizione di una strategia di comunicazione efficace, dato il ruolo cruciale svolto
dall’informazione;
d) individuazione di uno schema condiviso di ripartizione degli introiti tariffari tra i vari
operatori del trasporto.
Il circuito virtuoso che ci si attende da una politica di integrazione tariffaria, dovrebbe portare ad
una maggiore qualità del servizio, dalla quale scaturirebbe una maggiore domanda ed una
conseguente razionalizzazione della rete; l’efficienza economica dell’intero sistema migliorerebbe,
vale a dire più ricavi o minori costi per unità di prodotto.
Le criticità che potrebbero pregiudicare gli effetti positivi di una politica di integrazione tariffaria
sono essenzialmente riconducibili:
a) al possibile squilibrio temporale e direzionale della domanda di mobilità, vale a dire la
concentrazione della domanda in particolari ore della giornata lungo un unico senso di
marcia, che non consente flussi consistenti nel senso opposto. Infatti, qualunque incremento
di domanda che si collochi dove c’è eccesso di offerta aumenta l’efficienza, ma è altrettanto
vero che qualunque incremento di domanda che si collochi dove c’è eccesso di domanda
aumenta l’inefficienza, perché costringe ad attivare nuove risorse di produzione che
rimangono in parte inutilizzate;
b) alla rigidità dell’offerta, in termini funzionali ed operativi, che non consente un’adeguata
risposta alla disomogeneità della domanda.
La determinazione del segmento di domanda sul quale l’integrazione tariffaria comporterà i
maggiori effetti, è di fondamentale importanza. Possono verificarsi due scenari alternativi:
1) uno scenario positivo, nel quale aumenta la domanda di mobilità non sistematica ovvero che
insiste prevalentemente sulle fasce orare meno congestionate, anche se purtroppo il sistema
degli orari tende a far confluire la domanda non sistematica sulle stesse fasce orarie.
2) uno scenario critico, nel quale aumenta la domanda di mobilità sistematica ovvero causata
da una complessiva maggiore appetibilità del servizio, determinata dal maggiore numero di
relazioni servite e dalla contestuale riduzione della tariffa media.
Per ottenere lo scenario positivo di aumento della mobilità non sistematica e scongiurare che
l’integrazione tariffaria aumenti le già gravi criticità esistenti, la politica di integrazione deve
basarsi su un’adeguata strategia di comunicazione, che aumenti il grado di informazione della
collettività in materia di titoli di viaggio unici disponibili e di differenziazione tariffaria, secondo la
tipologia di utenza, l’orario di fruizione del servizio ed il grado di fidelizzazione. Tali
considerazioni sono rilevanti per evitare il rischio di sopravvalutazione degli effetti attesi
dall’introduzione di un’integrazione tariffaria, e di sottovalutazione delle dinamiche che possono
comunque innescarsi dal punto di vista degli equilibri aziendali, nei quali la riduzione degli introiti
comporta la necessità di reperire le risorse economiche “perse” altrove.
E’ ulteriormente essenziale, nel processo di determinazione di ogni politica di integrazione
tariffaria, valutarne la fattibilità economica, di mercato e politica. Una politica di riduzione delle
tariffe, o di incremento delle stesse, deve essere sempre rapportata al tipo di contesto territoriale di
riferimento, deve essere parallela ad un processo di trasformazione esteso del sistema, che permetta
la sinergia tra una strategia di comunicazione, disincentivi alla mobilità privata e lo sviluppo di una
reale capacità di governo della mobilità, sia dal lato dell’offerta, sia da quello della domanda.

I prezzi nei trasporti insulari

Uno dei fenomeni osservabili nel Sistema trasporti, è quello delle disparità regionali dovute
all’insularità ed alla discontinuità fisica che, in tema di servizi di trasporto, si traduce in un indice di
perifericità che illustra la realtà delle isole in termini di lontananza rispetto al resto dei territori.
Tutte le attività di trasporto, in particolare per le merci, che prevedono contatti, terminali o di
percorso, con le isole, comportano costi supplementari ed una differenziazione dei prezzi che tiene
conto delle maggiori difficoltà, in senso esteso, infrastrutturali e territoriali.
La definizione del prezzo del servizio di trasporto da parte del vettore, dipende dalla possibilità di
sfruttamento massimo dell’attività svolta, proprio perché si cerca di utilizzare il viaggio nei due
sensi, coprendone i costi sostenuti e ricavandone un maggiore corrispettivo. Tali considerazioni
permettono di non ridurre l’aspetto finanziario dei trasporti, da e verso origini/destinazioni insulari,
ai soli tariffari ufficiali pubblicati dai vettori, siano essi stradali, marittimi od aerei.
Il prezzo effettivo dipenderà quindi dal volume del carico, dalla tipologia del carico, dalla frequenza
che tali spostamenti avranno nei vari periodi e dall’intensità dei viaggi di ritorno/di andata a vuoto.
Il prezzo dei trasporti, tra i territori continentali e le isole, deve considerare tutta la catena del
trasporto: il carico, il viaggio su strada fino al porto d’imbarco, il carico sulla nave, la traversata, lo
scarico e la consegna, tenendo conto sia delle spese di movimentazione, sia di quelle portuali e se il
carico è accompagnato o meno.
Le spese di trasporto hanno un peso diverso a seconda dei casi. Se il porto d’imbarco delle merci
destinate ad un’isola si trova in una zona periferica, particolarmente lontana dai punti d’origine o di
destinazione della merce, su un percorso dove il volume del traffico è modesto e dove la
concorrenza tra i vettori su strada è debole, queste spese saranno piuttosto elevate. Tutte le spese per
il trasporto terrestre verso il porto, non sono direttamente legate alle isole, ma vanno ad aggiungersi
a quelle del trasporto marittimo che è invece tipico della condizione insulare. E’ quindi importante
conoscere l’origine delle merci verso la destinazione di un’isola, o la destinazione di quelle che ne
sono esportate. Se lo spostamento è verso una regione continentale non distante dal porto
d’imbarco, l’impatto è limitato, se invece gli scambi sono tra Paesi al centro dell’UE, la questione
cambia radicalmente.
Nel caso di una regione periferica, le possibilità di trovare un carico sulla via del ritorno saranno
minori, di conseguenza i prezzi proposti dai vettori dipenderanno sempre da vari fattori, quali
l’intensità degli scambi nel mercato, l’esistenza o meno di contratti a cadenza regolare
all’importazione od all’esportazione, i flussi stagionali e tutte le dinamiche economiche che
rendono ovviamente interessante un’area di mercato. Nella realtà, più una destinazione è lontana,
più il flusso degli scambi è ridotto e più le tariffe andata – ritorno, corrispondenti al costo globale
della rotazione, sono alte. Per quanto riguarda le isole, gli squilibri dei flussi sono evidenti. A parte
le merci alla rinfusa, ed in particolare i prodotti del petrolio, la percentuale di copertura delle merci
caricate sull’isola rispetto a quelle scaricate è, nella maggior parte dei casi, piuttosto ridotta. Ogni
vettore generalmente considera che il suo camion o il suo container, torneranno molto
probabilmente vuoti. Il cliente quindi che vorrò usufruire del servizio di trasporto dovrà farsi carico
del costo dell’intera rotazione con conseguenze evidenti sulle tariffe praticate.
Esistono diversi modi per trasportare delle merci da un punto ad un altro e la scelta del modo,
dell’itinerario, la rapidità della consegna ed il livello di sicurezza incidono sul costo. In generale i
vettori non hanno esitazioni di fronte ad una traversata marittima, anche laddove esistano altre
opzioni. Le merci sono quindi trasportate verso destinazioni continentali attraverso l’uso combinato
del trasporto su strada e via mare. Ciò vale non solo per il trasporto di container e pallet ma anche
per altri tipi di merci che non necessitano di unitizzazione. In via generale, per il trasporto con
container o pallet, i prezzi praticati per le destinazioni insulari superano del 50% quelli applicati per
altre destinazioni tipicamente continentali, anche se ovviamente esistono eccezioni per le quali le
tariffe applicate alle isole non sono sempre superiori a quelle delle destinazioni continentali. Per le
isole ultraperiferiche, il prezzo del trasporto corrisponde quasi interamente alla sola traversata
minima, dato che il trasporto su strada verso il porto d’imbarco rappresenta un impegno minore. Le
tariffe applicate alle isole ultraperiferiche per accedere al centro del mercato continentale, sono
generalmente molto superiori a quelle delle altre isole, con una maggiore incidenza delle spese di
trasporto. Le isole, nel loro complesso, sono dunque penalizzate nel settore dei trasporti rispetto alle
regioni continentali. Confrontando il costo di accesso medio alle capitali centrali del mercato
continentale, a partire da un punto origine scelto logisticamente per il calcolo dei dati, con il costo
supplementare medio di accesso alle isole, e separando le isole del Mediterraneo dalle isole
ultraperiferiche, si evince che il costo supplementare delle isole è superiore al prezzo medio del
trasporto tra le maggiori capitali del centro del mercato continentale europeo. Nel valutare il prezzo
del trasporto delle merci, il fattore tempo ha un ruolo fondamentale. Maggiore è l’urgenza del
trasporto, maggiori saranno le probabilità che il prezzo richiesto sarà elevato, dovendo per esempio
prevedere un invio specifico che esula dal normale servizio fornito dai vettori su strada, con la
conseguente improbabilità di trovare un carico complementare od uno al ritorno. E’ il caso questo
delle merci deperibili che, in genere, vengono trasportate per via aerea. Per le isole ultraperiferiche,
il trasporto aereo è la norma che si traduce in un ulteriore limite data la necessità che lo spazio
cargo sia disponibile sugli aeromobili. L’offerta di mezzi di trasporto, vista la loro onerosità, è
molto meno flessibile rispetto al trasporto su strada/mare che invece ha una capacità di risposto ed
adattamento più rapidi rispetto alle evoluzioni della domanda.
Nonostante la traversata marittima sia il differenziale tra il prezzo dei trasporti dei mercati insulari
(da e verso), e quello dei mercati continentali, vi sono altri fattori che influenzano la determinazione
del prezzo e l’origine dei costi supplementari che gravano sulle isole, quali le dimensioni dei
mercati, la consistenza dei flussi ed il livello di concorrenza tra i vettori. Maggiore è il traffico verso
una determinata destinazione, maggiore sarà il numero di operatori del mercato, il che si traduce in
sistemi tariffari generati da un contesto di maggiore competizione.
E’ evidente che i mercati continentali godono di intensi flussi di scambi, gran numero di vettori,
concorrenza tra i mezzi di trasporto e forte concorrenza tra i vettori, mentre le destinazioni
periferiche, territorialmente ed economicamente diverse, si trovano in una situazione meno
interessante. In alcune zone periferiche sono le variazioni stagionali e le produzioni ad esse
connesse che stabiliscono il flusso degli scambi, in altre zone sono i cicli e le fluttuazioni
economiche che, ancor più della rottura di carico generata da una traversata marittima, creano
squilibri di flussi il cui impatto è un elemento fondamentale della formazione del prezzo dei
trasporti. Nel caso delle isole, tali squilibri sono alla base dei costi supplementari legati al trasporto
dato che i mercati di destinazione finale sono necessariamente di dimensioni limitate e possono
generare solo un volume di traffico limitato.
Per valutare la realtà dei prezzi praticati sulle destinazioni insulari, è necessario tener conto del fatto
che esistono politiche di aiuto al trasporto, adottate da alcuni Stati, per ridurre il costo della
traversata marittima. Molte isole non ricevono questo tipo di aiuto finanziario per il trasporto delle
merci; le situazioni cambiano da paese a paese, ed a volte persino all’interno di un stesso stato,
generando uno stato di isolamento economico dei territori insulari.

Il ruolo dei trasporti nell’economia nazionale e globale

I trasporti sono una condizione essenziale per gli scambi tra punti diversi, contribuiscono alla
divisione territoriale di un Paese, alle specializzazioni od alle innovazioni nelle diverse aree, sono il
propulsore di tutti i meccanismi sociali ed economici che costituiscono la struttura di un Paese.
Tali caratteristiche rendono il Sistema Trasporti un fattore strategico per l’economia, sia in ambito
locale, sia in ambito globale, quando le stesse aree metropolitane, o nazionali, sono meccanismi di
un più ampio processo di comunicazione che vede, oramai, attraverso la globalizzazione, tutti gli
abitanti di un territorio, diventare cittadini del mondo. L’enormità degli scambi, siano essi sociali
che commerciali, la partecipazione a problematiche comuni, la fusione delle culture e delle azioni
per il mondo, fanno si che i trasporti siano dunque la condizione “sine qua non” per il
funzionamento dei Sistemi Economici Generali.
Il comparto dei trasporti, sia in ambito nazionale che globale, proprio per la natura del servizio
prodotto, per la struttura dei costi e la rilevanza degli investimenti, rende particolarmente necessaria
l’esistenza di un’azione programmatoria. In particolare, l’appartenenza degli Stati all’UE, permette
di avere una visione più globale e di svolgere tutte quelle azioni che mirano ad una concreta
sinergia dei Paesi ed allo sviluppo, oltre che all’efficienza, di un Sistema dei Trasporti Europeo.
Tale visione è naturalmente proiettabile al resto del mondo, nel quale, proprio per effetto dei
trasporti, si incontrano sistemi economici, con varie caratteristiche, che comunicano tra loro. In
quest’ottica, dunque, il Sistema Trasporti può essere approcciato e gestito in tutte le sue forme e
manifestazioni, evidenziando le specificità di ruolo che esso ha all’interno di un determinato Paese
e promuovendone un’effettiva integrazione fisica ed economica con il resto del mondo.
Gli obiettivi generali globali del Sistema Trasporti sono l’efficienza, la competitività, il
contenimento della finanza pubblica, la liberalizzazione dei mercati, l’integrazione dei mercati, la
produzione di ricchezza. Gli obiettivi complementari sono l’efficacia, la qualità, la sicurezza,
l’equità e giustizia, le regole per competere, la competitività internazionale.
Le più recenti analisi aventi per oggetto la relazione tra infrastrutture di trasporto e sistemi urbani
attraversati, hanno manifestato insospettate linee evolutive, con l’inversione di tendenza,
nell’impiego delle politiche urbanistiche e della mobilità, per governare gli effetti degenerativi del
traffico sulle città e l’ambiente. Il problema più attuale sembra essere diventato non tanto quanto i
trasporti influenzano il territorio e l’urbanizzazione, quanto piuttosto le politiche urbanistiche
influenzano il sistema della mobilità e quindi la domanda di infrastrutture di trasporto. Più in
generale, si è manifestata, in maniera ancora più stretta e necessaria, la reciproca relazione tra
politiche dei trasporti e politiche urbanistiche, che devono essere integrate e coordinate nelle
politiche di governo del territorio.
Ovunque si è visto nascere ed affermarsi il nuovo paradigma della sostenibilità, dell’integrazione tra
politiche dei trasporti e politiche territoriali, della riduzione e moderazione del traffico, della
riduzione degli standard dei parcheggi, dell’integrazione di funzioni ed usi del suolo in grado di
ridurre la necessità degli spostamenti e la dipendenza dall’auto, della valutazione degli impatti delle
opere e degli interventi urbanistici sul traffico e la mobilità. Anche dal punto di vista tecnico degli
strumenti di valutazione dei progetti infrastrutturali, si sono affermate delle metodologie di
valutazione delle opere che hanno teso a superare, sia la vecchia logica della valutazione di costi e
benefici degli investimenti, sia quella più recente della valutazione di impatto ambientale
dell’opera, per integrarli in una visione nuova basata sul confronto di alternative e sulla gradazione
delle priorità, in relazione ad un insieme di criteri di valutazione, non solo trasportistici, quali
accessibilità, sicurezza, economia, ambiente ed integrazione dell’opera con le politiche praticate
nell’area.
Dal punto di vista delle politiche urbanistiche, l’attenzione del pianificatore è molto focalizzata sul
rischio costituito dalle grandi infrastrutture di trasporto come detrattore ambientale per il territorio
attraversato, ma anche sulle potenzialità come occasione urbanistiche per la qualificazione
dell’intorno urbano e per la strutturazione del sistema insediativo. La legge francese, per esempio,
inserita nel codice dell’urbanistica, ha imposto, per tutte le strade di grande comunicazione, un
limite di inedificabilità nel tratto extraurbano, per una fascia dai 75 ai 100 metri a destra e sinistra
dell’asse stradale, a meno che, a livello locale, non si adotti un idoneo strumento attuativo di
pianificazione per lo sviluppo urbanistico della fascia interessata dall’infrastruttura, in grado di
giustificare la necessità dell’edificazione e che affronti i temi strategici ad essa connessi. Tali temi
sono identificati dalla legge francese nella valutazione degli effetti nocivi della strada, della
sicurezza, della qualità architettonica, di quella urbanistica, del paesaggio nell’intorno attraversato.
Si è infatti sviluppata in Francia un’interessante riflessione sul ruolo strategico e strutturante
dell’urbanizzazione, di sostegno dei grandi flussi di traffico e di qualificazione dell’intorno urbano,
che possono svolgere i grandi boulevards urbains, quando questi sono concepiti in relazione alle
diverse funzioni urbane che vi si svolgono ed in relazione alle tipologie edilizie e fondiarie delle
proprietà prospicienti. In America, come in Europa, il movimento del New Urbanism ha posto al
centro dell’attenzione del pianificatore la necessità di ridurre il traffico sulle strade ed il tasso di
crescita della mobilità indotta da modelli insediativi e di uso del suolo non sostenibili.
I Principi di Ahwahnee del 1994 hanno, da una parte richiamato i contenuti di una nuova Carta di
Atene dell’urbanistica sostenibile delle comunità locali e regionali, dall’altra hanno indicato la
necessità dell’integrazione tra sistemi insediativi, infrastrutture di trasporto, destinazioni d’uso e
mix funzionale, finalizzati alla riduzione della necessità degli spostamenti e del consumo delle
risorse, alla valorizzazione delle risorse locali e dell’ambiente esistenti.
Sembra dunque che le aspettative di spinta allo sviluppo e di volano per la crescita economica,
siano sempre meno centrali nella valutazione dei grandi progetti di infrastrutture di trasporto. Più
precise e decise si fanno le indicazioni per una riduzione del traffico e per una limitazione della
realizzazione di nuove infrastrutture, da vagliare, comunque, con un’attenta valutazione delle
compatibilità, della sostenibilità e dell’integrazione. In Gran Bretagna la legge per la riduzione del
traffico stradale ha imposto alle autorità locali la predisposizione di un piano per la riduzione del
traffico con l’individuazione di obiettivi, strategie, criteri, misure e politiche di piano per
raggiungere gli obiettivi. Tra le priorità dichiarata c’è quella di ridurre al minimo la costruzione di
nuove strade e del miglior uso delle strade esistenti. Anche in Italia, in via generale, ci si muove
nella stessa direzione della sostenibilità, dell’integrazione tra politiche di trasporto e politiche
urbanistiche, della valutazione degli impatti sulla mobilità indotti dai grandi interventi, anche se
nella normativa di settore non vi è una specifica indicazione per la riduzione del traffico e politiche
per la moderazione, con l’adozione di norme tecniche e di leggi specifiche. In passato, molta
rilevanza veniva data al Sistema dei trasporti nell’ambito del più generale obiettivo di riequilibrio
territoriale, di necessità di fornire sempre e comunque livelli di servizio minimi, mentre era
sottovalutata ogni considerazione di tipo ambientale che è oggi, invece, condizione prioritaria tra
quelle di realizzazione di qualsiasi progetto nel Sistema trasporti. Di certo ha assunto notevole
rilevanza anche il criterio dell’economicità e del recupero di efficienza nella gestione dei servizi di
trasporto anche se, in tema di pianificazione, una criticità ancora presente è il fatto che spesso
obiettivi del governo centrale non coincidono con quelli dell’ente territoriale locale, rivelandosi
addirittura vincolanti per i livelli inferiori di programmazione.

Le rilevazioni statistiche nazionali dei trasporti

Nel settore dei trasporti vengono condotte periodicamente varie rilevazioni statistiche sia da parte
dell’ISTAT, sia da parte di altri soggetti del Sistema statistico nazionale. Tali rilevazioni vengono
fatte per soddisfare esigenze conoscitive specifiche che presentano notevoli vincoli all’integrazione
in un’ottica di sistema globale. Uno dei principali obiettivi per le statistiche di questo settore è,
infatti, quello di promuovere l’armonizzazione delle diverse fonti favorendo il passaggio da un
insieme di statistiche sui trasporti ad un sistema integrato delle statistiche dei trasporti, inteso come
base informativa unitaria sull’offerta e sulla domanda di trasporto. La metodologia utilizzata si
attiene ad uno schema condiviso con gli altri paesi europei e basato su concetti, definizioni e
classificazioni omogenee, definite da regolamenti internazioni già emanati oppure in corso di
approvazione. Tra le varie rilevazioni di settore, nell’anno 2002, è stata avviata dall’ISTAT una
rinnovata analisi del trasporto aereo, con lo scopo di adeguare l’informazione prodotta alle esigenze
degli utenti nazionali e di rispondere alle richieste del Regolamento adottato dall’UE per
disciplinare, in un quadro concettuale e metodologico uniforme, le statistiche del settore negli Stati
membri. Le rilevazioni effettuate in collaborazione con l’ENAC presso tutti gli aeroporti
commerciali, hanno avuto quali unità di rilevazione le società di gestione degli aeroporti o le
Direzioni circoscrizionali aeroportuali che gestiscono direttamente il traffico. Il campi di
osservazione è stato l’insieme dei movimenti di aerei italiani e stranieri verificatisi negli aeroporti
nazionali ed il relativo carico trasportato, passeggeri, merci e posta.
Sempre nel 2002, è stato approvato il nuovo regolamento sulle statistiche dei trasporti ferroviari
applicabile dal 2004 per procedere, quindi, alle indagini sul trasporto ferroviario. La rilevazione del
traffico ferroviario svolto da tutte le imprese interessate alla produzione del servizio, mira ad
aumentare la qualità dell’informazione prodotta:
a) sia nel settore del traffico merci, con il monitoraggio dei flussi di traffico origine –
destinazione su base regionale ed il rilevamento dei trasporti per ferrovia di merci
pericolose;
b) sia in quello del trasporto viaggiatori, attraverso il rilevamento dei flussi di traffico origine –
destinazione su base regionale per tipo di viaggio (nazionale ed internazionale) e mediante
la raccolta dei dati relativi all’incidentalità ferroviaria.
Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha anche avviato la raccolta delle informazioni per la
realizzazione di un catasto delle strade a cura di tutti gli enti gestori e proprietari. Ulteriori attività
vengono sviluppate per il miglioramento della qualità dei processi di produzione statistica: nel 2002
è stata realizzata dall’ISTAT la prima parte del progetto di ristrutturazione dell’indagine sul
trasporto merci su strada, al fine di adeguare l’informazione prodotta alle nuove richieste dei
Regolamenti europei sulla diffusione e sulla qualità dei dati. Lo stesso Istituto ha curato la
ingegnerizzazione della rilevazione sul trasporto marittimo, regolata dalla direttiva europea CE
n.64/95, finalizzata al progressivo recupero di tempestività nella diffusione dei risultati.
Il Conto Nazionale delle Infrastrutture e dei Trasporti, è la pubblicazione statistica di maggiore
interesse per tutti gli operatori del settore, in quanto permette di disporre di un quadro ricco di
elementi informativi utili per una approfondita conoscenza dei trasporti e delle infrastrutture
italiane. Le statistiche di settore sono, da alcuni anni, oggetto di una profonda revisione e
ristrutturazione, attuate in collaborazione con l’ISTAT e con i principali enti pubblici e privati
produttori di informazioni in materia. Tutta l’attività è finalizzata alla realizzazione di un Sistema
informativo statistico nazionale delle infrastrutture e dei trasporti in grado di acquisire, armonizzare
e rendere facilmente fruibili all’utenze, le principali informazioni prodotte dalle fonti pubbliche e
private esistenti. In prospettiva il Conto Nazionale delle Infrastrutture e dei Trasporti dovrà
modificare in parte la sua attuale impostazione: non sarà soltanto una pubblicazione statistica ma
affronterà una serie di tematiche più ampie, svincolandosi definitivamente dalla visione del
Ministero come mera giusta opposizione di competenze, fornendo una visione unitaria e sistemica
utile all’attività di programmazione e di misurazione degli effetti, in termini di valore aggiunto,
dagli interventi infrastrutturali. Il nuovo CNIT riguarderà soprattutto la Legge Obiettivo e, in
particolare, le opere inserite nel piano delle infrastrutture strategiche approvato con delibera CIPE
del 2001. Il nuovo CNIT, oltre a fornire una stima del valore aggiunto e dell’occupazione generati
dalla realizzazione di tali infrastrutture strategiche, ne approfondirà anche gli aspetti normativi,
programmatici, finanziari ed operativi. Esso considererà la nuova figura del contraente generale, la
finanza di progetto e la Commissione speciale per la VIA.
Il CNIT è un documento utile all’analisi ed alla comprensione capillare di quanto effettivamente
realizzato, in termini di infrastrutture e di interventi, in generale, sul Sistema Trasporti, ed al tempo
stesso capace di prevedere le evoluzioni della domanda di mobilità e di contatti generata dal
territorio. Il CNIT, vista la sua coerenza con i corrispettivi riepiloghi a livello comunitario, è
un’occasione per monitorare anche i programmi pluriennali definiti all’interno dl Paese con quelle
linee e quei programmi del master plan europeo approvato recentemente.
L’osservazione dei dati economici e di spesa, contenuti nel CNIT, mette in luce la tendenza ad un
progressivo contenimento delle spese di settore, tendenza che conferma l’approccio che si è avuto
frequentemente negli ultimi anni. Tra il 2000 ed il 2002 le spese annualmente sostenute dalla PA
per i trasporti sono state pari rispettivamente a 35.972, 36.162 e 34.822 milioni di euro, destinati per
oltre i quattro quindi alla strada ed agli impianti fissi; la percentuale destinata alle spese correnti è
passata dal 51% del 2000 al 59% nel 2002, determinando una diminuzione del peso degli
investimenti. I dati sulla spesa dei privati hanno mostrato una sostanziale stabilità nel biennio 2000 -
2001 ed un leggero incremento nel 2002, evidenziando anch’essi un andamento più favorevole per
la parte corrente; infatti, le spese di produzione sono passate, tra il 2000 ed il 2002, da 334.580 a
358.857 milioni di euro, a fronte di una flessione degli investimenti, nello stesso periodo, da 68.457
a 57.965 milioni di euro.
L’esame dei dati relativi ai flussi di traffico evidenzia che la riduzione osservata per le spese di
settore, legata a politiche di contenimento dei costi da parte del settore pubblico e dei privati, non ha
significativamente influito sull’andamento del traffico interno di merci e passeggeri. In particolare, i
volumi di merci trasportate sono rimasi nel complesso stabili, mostrando inoltre una ripresa della
crescita, tra il 2001 ed il 2002, da 211 a 216 milioni di tonnellate chilometro in virtù del
miglioramento osservato nei settori marittimi e nell’autotrasporto. E’ lievemente diminuito il
traffico interno di passeggeri, che nel triennio 2000 – 2002 ha segnato rispettivamente 957, 952 e
948 milioni di passeggeri – chilometro, per effetto di una flessione del trasporto privato attenuata in
parte dall’incremento dei trasporti collettivi urbani ed extraurbani.

Intervento pubblico e mercato

La valorizzazione dei fattori di competitività del sistema economico in generale, è un obiettivo


raggiungibile attraverso:
a) il potenziamento della dotazione infrastrutturale;
b) la migliore accessibilità ai luoghi della produzione garantendo servizi fungibili diffusi
territorialmente ed economicamente vantaggiosi;
c) il miglioramento della connessione delle reti internazioni e nazionali con le reti regionali e
locali;
d) il potenziamento delle infrastrutture modali sia a rete che puntuali;
e) il miglioramento della qualità del servizio.
Tutto questo contribuisce all’aumento della produttività strutturale dei sistemi economici territoriali
ed allo sviluppo di nuove iniziative imprenditoriali.
Per molto tempo, si è affermato che gli investimenti nel settore dei trasporti, ed in particolare quelli
per la costruzione delle infrastrutture, fossero per natura compito della mano pubblica data la loro
indivisibilità di scala e di tempo. Si è inoltra parlato di fallimento pubblico in tema di trasporti,
anche se, in realtà, i risultati negativi degli anni passati, ed ancora in corso, sono riconducibili di
certo alle limitazioni ed ai vincoli propri dell’ambito pubblico, ma anche alla naturale evoluzione
dei sistemi ed alla costante crescita della domanda di mobilità che li accompagna.
Le ragioni del fallimento pubblico sono il monopolio pubblico, la bassa qualità dei servizi pubblici,
l’assenza di incentivi a ridurre le perdite, il controllo politico, le inefficienze nell’organizzazione
aziendale pubblica. Le ragioni dell’intervento pubblico sono la mobilità come bene sociale, i
comportamenti monopolisitici, il finanziamento pubblico per investimenti in infrastrutture, imprese
produttrici dei servizi di proprietà pubblica, le riserve di mercato a favore di imprese pubbliche, i
limiti, vincoli ed autorizzazioni alle imprese private.
I servizi di trasporto pubblico, soprattutto in ambito locale, hanno beneficiato in Italia di un
notevole sostegno finanziario pubblico, giustificato principalmente dal regime regolamentatorio
imposto alle imprese. Diverse teorie sono state invocate per fornire una base razionale alla
concessione di sussidi pubblici nel settore dei trasporti; in realtà, nessuna di queste è sembrata
essere completamente invocabile per giustificare l’ingente livello di sussidi erogati. In particolare, si
è fatto riferimento a:
a) necessità di sussidi per la presenza di economie di scala interne ed esterne;
b) sussidi come politica di second best;
c) trasporti come bisogno sociale.
La presenza di economie di scala interne ed esterne si verifica quando la produzione dei servizi di
trasporto, ad esempio le ferrovie, richiede la disponibilità di costose infrastrutture. Se questo
succede, l’azione della concorrenza in un mercato libero porterebbe ad un regime di monopolio
naturale, con la presenza cioè di una sola impresa che può sopravvivere nel mercato. In questa
situazione, l’impresa monopolistica, dovendo praticare un prezzo dei servizi socialmente ottimo,
cioè vicino ai costi marginali di produzione, avrebbe una perdita che si presenta tipicamente quando
i costi marginali sono inferiori ai costi medi. La teoria economica propone dunque l’imposizione
all’impresa di un prezzo uguale al costo marginale e contemporaneamente, l’assegnazione di sussidi
che le permetterebbero di chiudere in pareggio. La fondatezza di tale argomentazione ai sussidi è
minata dal fatto che non è così automatico trovare economie di scala in molti servizi di trasporto
pubblico urbano ed interurbano, di conseguenza è sempre e solo un problema empirico di
misurazione delle economie di scala.
L’efficacia di politiche di second best, alternative a quelle di first best (esempio: road pricing come
first best, e sussidi al trasporto pubblico per coprire i costi fissi ed incentivare l’uso dei mezzi
pubblici, come politica di second best), dipende molto dalla flessibilità della domanda rispetto a
modi alternativi di trasporto, a variazioni di prezzo incrociate. Non è detto, infatti, che una politica
di second best possa ottenere gli effetti che si propone. Infatti, nel caso di una notevole flessibilità
della domanda tra modi alternativi di trasporto pubblico, piuttosto che rispetto all’alternativa tra
trasporto pubblico e privato, può comunque rimanere un’evidente sproporziono tra i costi dei
sussidi concessi ed i reali benefici di riduzione dei costi di congestione.
Pur nell’accettazione del concetto di trasporti come bisogno sociale, va osservato che politiche
basate su di esso dipendono dalle differenze nella distribuzione dei consumi tra i diversi gruppi
della popolazione. Nei servizi di trasporto le differenze nei consumi sono direttamente
proporzionate al reddito. E’ evidente che il reddito ha un’influenza positiva sulle decisioni di
acquisto delle autovetture, mentre in molti casi il trasporto pubblico viene considerato un bene
inferiore (un bene il cui consumo decresce all’aumentare del reddito). Quando il reddito medio in
una popolazione aumenta, pur lasciando invariate le differenze interne di reddito relativo, la
struttura del consumo tra i diversi gruppi tende a diventare simile, in quanto la quota di spesa in
trasporto privato dei gruppi più poveri tende a crescere maggiormente.
La riforma del settore dei trasporti avviata con il D.L. 422/97 ed il processo di liberalizzazione, in
linea con le direttive europee, impongono al sistema dei trasporti un doppio ordine di
aggiustamenti:
a) il primo rende imperativo il raggiungimento di livelli di competitività adeguati;
b) il secondo richiede interventi di ristrutturazione, talvolta di ridimensionamento di organici,
di scomposizioni e ricomposizioni societarie, di criteri di nuova organizzazione del lavoro,
di un diverso sistema di relazioni industriali.
Le regioni si ritrovano a gestire direttamente questo processo in un momento in cui la politica dei
trasporti assume sempre più rango di strumento centrale di politica economica, con il compito di
promuovere lo sviluppo e l’integrazione delle diverse modalità privilegiando quelle a più basso
costo ed a minore impatto ambientale, in coerenza con gli obiettivi complessivi del sistema e
comunque sostenibile per i processi di ristrutturazione che deve generare.
In un contesto di forte dinamicità e di sempre maggiore domanda di mobilità, si inserisce il
processo di transizione basato sul concetto di meno Stato e più mercato in cui, la gestione del
Sistema Trasporti, quale componente del Sistema economico generale, è potenzialmente delegabile
al libero mercato dove ogni progetto viene convalidato da un mercato pluralistico di capitali,
attraverso l’impiego in larga proporzione del capitale di rischio. Non si tratta di una scelta
ideologica tra pubblico e privato o tra un’economia di stato ed un’economia di mercato; si tratta di
un discorso di migliore allocazione delle risorse pubbliche, con minori rischi per la collettività,
attraverso una funzione di coordinamento e di supporto, da parte dello Stato, di attività e progetti
che potrebbero dunque essere realizzati secondo una reale ottica di economicità e produttività
propria del mercato privato. In quest’ottica il diverso modo di affrontare i grandi problemi di
investimento, o di relative scelte, consentirebbe allo Stato, o per meglio dire alla politica, di
svolgere più propriamente il ruolo di soggetto guida, attraverso l’indicazione di priorità ed obiettivi
da raggiungere.
Un compito così esteso può essere svolto, in termini di orientamento e di programmazione, soltanto
da un organismo di controllo generale, di visione globale dei contesti interessati, di disponibilità di
risorse teoricamente infinite, dotato di potere centrale riconosciuto, cioè lo Stato. Questo grande
processo di rivalutazione dell’economia di mercato nell’organizzazione dei trasporti, è di certo
ispirato dalle indicazioni europee in materia di liberalizzazione, ma anche e soprattutto, dalla
considerazione, tra le altre che gli investimenti infrastrutturali sono diventati di dimensioni tali da
superare anche le possibilità economiche della spesa pubblica. Il rapporto tra Stato e mercato non è
un rapporto in alternativa; deve essere infatti considerato un punto fondamentale in quanto il
mercato realizza la migliore allocazione delle risorse solo all’interno delle regole che la Società
elabora ed impone come quadro al mercato stesso. In assenza di queste regole il mercato non
funziona e non fornisce garanzie sociali.
Il puro ricorso al mercato d’altro canto, comporta, nel caso dei servizi pubblici in generale e
specificatamente per i trasporti, notevoli limiti:
- in presenza di esternalità e di beni pubblici, è evidente che un insieme di decisioni
incrementali private, quali quelle del mercato, non può portare ad una condizione di
massimo benessere collettivo; l’investimento in comportamenti virtuosi sarà sempre
inferiore al livello ottimo;
- l’orizzonte temporale considerato dal mercato è chiaramente un orizzonte di breve periodo
in quanto le considerazioni sono riferite a condizioni presenti o facilmente prevedibili.
I radicali cambiamenti nell’ambito del Sistema Trasporti vedono in realtà numerose esperienze di
combinazioni pubblico – privato, stato – mercato, in materia di finanziamento e scelte per la
realizzazione di grandi infrastrutture di trasporto. La costante situazione tesa della finanza pubblica,
centrale e locale, sempre più è ragione per ricorrere a finanziamenti privati attraverso forme, più o
meno pure, di finanza di progetto e/o il ricorso all’istituto della concessione. La crescente
tariffabilità tecnica del servizio di tali infrastrutture e le forti economie rese possibili dalla gestione
privata, hanno portato a numerose esperienze internazionali di rilievo. In ogni caso, l’evidente
insufficiente economicità in senso privato della gran parte dei progetti infrastrutturali, e
particolarmente per quelli di trasporto, oltre ai costi di esazione delle tariffe d’uso), rendono
necessari sistemi di finanziamento misto, pubblico e privato, insieme.
A seconda dei casi, il pubblico può garantire un plafond di finanziamento del progetto, oppure
contribuire, parzialmente o totalmente, alla copertura delle tariffe se il livello di equilibrio sia
ritenuto troppo elevato dal punto di vista sociale.

Deregolamentazione e concorrenza

La particolare natura delle infrastrutture di trasporto, non immediatamente riproducibili, fa si che i


trasporti siano un fattore fondamentale per la regolamentazione del grado di competitività del
mercato. Il termine deregulation è esploso in tutto il suo significato proprio quando è stato inteso
come liberazione dall’eccesso di vincoli che impedivano ai mercati di rispondere ai propri impulsi
dinamici, economici e di efficienza.
In particolare, il grande processo di deregolamentazione, ancora in corso, ha avuto inizio negli Stati
Uniti nel trasporto aereo, proseguendo poi in altri ambiti di trasporto e propagandosi anche ai
mercati europei con la forma più leggera di progressiva liberalizzazione.
Tale situazione ha sicuramente prodotto migliori condizioni nella gestione dell’offerta più elastica
rispetto alla domanda, ed ha creato un livello competitivo rispetto ad altre aziende tale da
permettere la ricerca di un equilibrio qualità – prezzo.
Nel 1978 il Governo americano emanò l’ADA che eliminava definitivamente la regolamentazione
rigida del trasporto aereo che non avrebbe mai permesso l’instaurarsi della libera concorrenza.
I fautori della deregulation sostenevano che la concorrenza, e quindi la competizione che essa
implica, avrebbe portato ad un abbattimento delle tariffe a favore dei consumatori, costringendo le
imprese a recuperare l’efficienza perduta ed a razionalizzare il loro network operativo.
La deregolamentazione, inoltre, avrebbe incentivato nuove iniziative e creato opportunità
imprenditoriali che avrebbero valorizzato segmenti di mercato rispondendo a tutte le esigenze dei
consumatori. Complessivamente, i risultati prodotti dalla regolamentazione aerea negli Stati Uniti
sono positivi.
E’ possibile sintetizzare in due momenti particolari l’evoluzione del settore aereo statunitense dopo
l’approvazione dell’ADA:
a) un primo momento, in cui si ebbe la prima guerra dei prezzi tramite il lancio di pacchetti
tariffari sempre più competitivi;
b) un secondo momento, in cui si creò una seconda guerra dei prezzi che vedeva però, nel
settore, la presenza di un numero molto più elevato di operatori che avevano aumentato le
rotte di destinazione all’interno del Paese; fu proprio in questo secondo momento che
presero piede le compagnie di volo a basso costo, che miravano ad un contenimento dei
costi aziendali tramite l’abbassamento dei costi del personale, l’aumento dell’orario di
lavoro, la riduzione degli stipendi e, soprattutto, attraverso l’eliminazione dei servizi a bordo
a favore dei passeggeri.
In risposta a tale evoluzione dei servizi, i megacarrier adottarono la massima segmentazione della
domanda, suddividendo la totalità dei passeggeri in economy e business, focalizzando l’attenzione
sulle fasce più elevate e tralasciando le aree meno redditizie.
Le tattiche definite dai megacarrier per rispondere alla deregulation furono, in sintesi:
a) evitare lo scontro sulle tariffe per segmenti di domanda molto sensibili alla variabile prezzo,
cedendo quindi tali fette di mercato ai low cost carrier;
b) l’adozione, nei segmenti di interesse, di politiche tariffarie simili a quelle delle low cost
carrier; tali strategie si sarebbero nel tempo rivelate inefficienti in quanto l’imitazione
rispetto alle low cost carrier non si basava sui presupposti economici di costo uguali, di netto
inferiori per le low cost carrier;
c) la sollecitazione di vari tipi di intervento verso le autorità governative per la limitazione
della frammentazione del settore del trasporto aereo, nella sostanza un tentativo di
limitazione alla concorrenza;
d) l’intesa con low cost carrier rivali, mediante accordi di partnership e di spartizione del
mercato.
I mutamenti intervenuti nel mercato del trasporto aereo statunitense dopo la deregulation, hanno
spinto i vettori a rivedere le politiche di prodotto tradizionalmente adottate. Tra le operazioni
strategiche a disposizione delle compagnie aeree assume particolare importanza quella concernente
la conformazione della rete dei collegamenti. La più grande libertà di scelta dovuta alla riduzione
dei vincoli per l’accesso al mercato, ha avuto come conseguenza immediata la trasformazione del
network delle compagnie maggiori basati, negli anni della regolamentazione, sui collegamenti
diretti tra coppie di città e su mercati di appoggio, in una logica di sviluppo della rete di tipo lineare.
Successivamente alla deregulation, i vettori statunitensi ridisegnarono la struttura delle rotte per
ottenere una configurazione a raggiera delle proprie reti, puntando ad un incremento dell’efficienza
produttiva ed al consolidamento delle quote di mercato, quali conseguenze dirette dell’innovazione
tecnologica.
I network di tipo hub and spoke hanno una formula di organizzazione basata su un fulcro
aeroportuale che funge da nodo centipeto e centrifugo dei flussi di traffico. I vantaggi di un sistema
hub and spoke riguardano essenzialmente l’efficienza dinamica che, in un’ottica microeconomica,
caratterizza le imprese che, tramite innovazioni di processo, riescono ad ottenere una riduzione dei
costi medi.
Le maggiori potenzialità della formula a raggiera sono, inoltre, la possibilità di aumentare il flusso
di traffico a parità del numero di collegamenti.
Ai fini della valutazione degli effetti dinamici dell’hubbing sull’efficienza produttiva, è utile
individuare le fonti da cui possono provenire i rendimenti crescenti nell’industria del trasporto
aereo. Si possono distinguere:
a) economie di dimensione, legate alla dimensione dei velivoli utilizzati ed alla proporzionale
riduzione delle attività ad essi connesse;
b) economie di varietà, che si riscontrano nell’ambito dei processi produttivi delle imprese
multiproduct, la cui funzione dei costi congiunti è interamente caratterizzata da sub
additività;
c) economie di riempimento, ottenibili incrementando il coefficiente di occupazione degli
aerei;
d) economie legate alla lunghezza dei voli, nelle quali i rendimenti crescenti sono dovuti al
fatto che l’incidenza dei costi terminali sul costo medio varia in direzione inversa al numero
di miglia volate;
e) economie di densità del traffico, derivanti dalle economie di dimensione dei veicoli che, per
dimensioni maggiori comportano la riduzione dei costi unitari.
In particolare, riguardo alle economie di densità, studi statistici dimostrarono come il costo
marginale, derivante dal trasporto di un passeggero aggiuntivo da un megacarrier all’interno del
proprio sistema di hub, era di circa il 20% inferiore rispetto ad un vettore point to point.
Diminuendo il costo marginale, ovvero il costo sopportato da un’impresa per produrre un’unità
aggiuntiva di prodotto (quando il prezzo di mercato eguaglia il costo marginale si ha la condizione
di massimo profitto per l’azienda) è quindi possibile praticare tariffe più basse e, utilizzando
l’elasticità della domanda (che è legata alla variabilità della stessa con il prezzo. La domanda è
tanto più elastica quanto maggiori sono le sue variazioni al variare del livello di prezzo di beni o
servizi) legata alle tariffe, richiamare più traffico.
Gli svantaggi derivanti dal transito per l’hub invece del volo diretto, vengono di solito gestiti
dall’hub concentrando i voli provenienti dai vari spoke all’interno di fasce orarie ristrette (tra i 15 e
40 minuti) e limitare dunque le perdite di benessere del passeggero rispetto ai voli diretti.

La liberalizzazione del trasporto nella realtà europea

Nella UE, la liberalizzazione del trasporto aereo ha creato un assetto sufficientemente flessibile del
sistema creando le condizioni necessarie affinché le forze di mercato possano esercitare una
maggiore pressione sulle diverse componenti dell’industria. In ogni caso, la potenzialità
concorrenziale dei vettori risulta ancora limitata a causa del congestionamento delle aerovie e dei
terminali, oltre che a causa delle inefficienze provenienti dalle politiche di gestione delle
infrastrutture. In sintesi, nonostante la liberalizzazione abbia potenzialmente introdotto la completa
libertà di accesso alle rotte intracomunitarie, di fatto la mancata disponibilità di slot aeroportuali e
l’affollamento dei cieli, non hanno concretizzato il sopravvento dell’economie di mercato nel
settore del trasporto aereo. A livello europeo, dunque, le economie di densità non esplicano tutte le
loro potenzialità in quanto la già elevata densità di traffico impedisce che il sistema si spinga verso
un assetto esclusivamente a stessa.
La diversa morfologia insediativa europea, rispetto a quella USA, e le conseguenti caratteristiche
del traffico, fanno si che le strutture a raggiera siano più conseguenza delle caratteristiche
geografiche ed istituzionali piuttosto che del processo di deregolamentazione. Già nel 1957, anno di
istituzione della CEE, si espresse l’esigenza di introdurre una maggiore concorrenza nei trasporti.
Nel 1986, dopo la stipula dell’Atto Unico Europeo, il trasporto aereo venne considerato come parte
integrante del mercato interno comunitario. Nel 1987 il Consiglio adottò una serie di misure
denominate Primo Pacchetto sulla riforma del trasporto aereo. Si eliminò il regime bilaterale, basato
su accordi tra coppie di Stati membri, e si diede la possibilità ad altri vettori di interagire con il
sistema permettendo l’ingresso di aerolinee non di bandiera, definite anche non flag carrier e si
realizzò la prima vera flessibilità nella determinazione delle tariffe.
Successivamente vennero ampliate le zone di flessibilità ed eliminati i vincoli di capacità e
frequenza, con l’affermazione di un sistema multilaterale imperniato sul principio del libero accesso
al mercato e di libera fissazione del regime tariffario. Nella realtà dei fatti, almeno nel periodo 1996
– 2000, le compagnie aeree non hanno avviato, tanto meno praticato politiche concorrenziali tra di
loto, per vari motivi, di certo tecnici ma anche e soprattutto politici. Le varie posizioni di monopolio
supportate dalle PA e, soprattutto, i sussidi che alle imprese venivano concessi, hanno evidenziato il
fisiologico contrasto tra interessi aziendali ed interessi della collettività. In particolare, i sussidi
governativi elargiti dallo Stato alle compagnie di bandiera, visti come ambasciatori del proprio
Governo nei vari Paesi del mondo, hanno realizzato un grande elemento di disturbo del sistema
concorrenziale.
Dal punto di vista pratico, le peculiarità che contraddistinguono il settore del trasporto aereo
europeo sono:
a) le differenze dimensionali tra le diverse aerolinee nazionali;
b) la prevalente partecipazione statale relativamente alla proprietà delle aerolinee nazionali;
c) l’ingente presenza di voli charter che rappresentano il 30% dell’output totale del settore;
d) la concorrenza di mezzi di trasporto alternativi quali le ferrovie;
e) la grave carenza infrastrutturale, principalmente in aeroporti, con un costante aumento di
situazioni di congestione.
Nel sistema italiano, il settore del trasporto aereo è stato per molto tempo caratterizzato da una
situazione di semi – monopolio a favore dell’Alitalia. Altri vettori quali Meridiana, detenevano
piccole fette di mercato nazionali, ma la presenza di grandi bacini di utenza tra il Nord Italia ed il
Nord Europa, e la concentrazione dell’offerta tra gli scali di Roma e Milano, hanno lasciato
inesplorate molte nicchie di mercato.
Nel corso degli anni 90 si è quindi avviato un lento processo di liberalizzazione e di introduzione
della concorrenza nel settore dei trasporti.
In ogni caso le barriere di accesso al mercato nazionale, sebbene formalmente ridotte, esistono
ancora sotto forme diverse (per esempio nell’assegnazione degli slot e delle bande orarie negli
aeroporti di maggior traffico). Un ulteriore limite alla presenza di altri vettori è il grande impegno
finanziario necessario per la costituzione di compagnie aeree anche di piccole dimensioni, rendendo
dunque il mercato dei trasporti aerei italiano particolarmente debole.
Nel trasporto ferroviario italiano, un inizio di riforma si è avuto alla fine degli anni 90 con la
ristrutturazione delle FS e la creazione di cinque divisione core business, nell’ottica di rispondere
meglio alle esigenze del mercato ed alle possibili interazioni con altre industrie per la concessione
di diritti di transito sulla rete ferroviaria italiana. Anche nell’ambito dei trasporti locali urbani, la
riforma del cd. Federalismo dei trasporti, stenta a produrre i propri effetti a causa della scarsa
capacità programmatoria ed organizzativa, di tipo aziendale, dei trasporti da parte degli enti locali
come anche la scarsa realizzazione di un effettivo decentramento funzioni e compiti.
In ambito portuale, la situazione è di certo migliore, sia la liberalizzazione che le innovazioni
tecnologiche del mercato specifico, hanno permesso il raggiungimento di livelli qualitativi e
competitivi in linea con gli standard europei. Il D.L. 422/97 ha introdotto nuove regole di
concorrenzialità in un comparto caratterizzato dalla presenza di monopoli pubblici e privati.
L’avvento del mercato unico europeo ha dato un forte impulso all’apertura al mercato di settori che
in Italia erano prima di monopolio pubblico ed ha visto la trasformazione di enti ed aziende
pubbliche in società per azioni, ma certamente il passaggio da un gestione pubblica ad una gestione
privata dei servizi di trasporto è traumatico, oltre al fatto che gli obiettivi di consentire un trasporto
accessibile da un punto di vista economico piuttosto che proficuo, generano l’esigenza di
determinare tariffe inferiori rispetto a quelle che possono garantire la redditività del trasporto
pubblico locale.

Il sistema dei trasporti in Italia

I trasporti hanno rappresentato, nel corso della storia, un importante fattore di progresso della
società. Grazie alle evoluzioni in questo settore, sono stati ridotti in modo drastico i tempi necessari
agli spostamenti da un luogo all’altro, anche tra continenti, avvicinando sempre più popoli diversi,
facilitando lo scambio culturale e commerciale, e insomma, migliorando il livello di vita
dell’umanità. Il sistema dei trasporti contribuisce al processo di globalizzazione in cui tutti siamo
coinvolti con relazioni economiche, politiche e sociali che si moltiplicano e si allargano, con una
interdipendenza sempre più forte tra le aree geografiche.
La situazione attuale e gli squilibri dei trasporti italiani

L’Italia, per la sua particolare posizione geografica nel Mediterraneo, è attraversata da tre grandi
direttrici di collegamento mondiale: due direttrici est – ovest, la prima che va dall’estremo Oriente
all’Europa occidentale attraverso il canale di Suez ed il Mediterraneo, la seconda che va dai Balcani
e dall’Europa orientale verso l’Europa occidentale e la Penisola iberica, e la direttrice nord – sud
che va dal nord Africa e dai paesi del vicino e Medio Oriente verso l’Europa meridionale e centrale.
In particolare, il nostro Paese è al centro dei flussi di traffico delle merci e dei passeggeri che si
muovono intorno al bacino del Mediterraneo e che si stanno sviluppando sempre di più.
Il settore dei trasporti in Italia presenta una situazione di squilibrio tra le varie forme di trasporto,
squilibrio alimentato da una forte propensione al trasporto su strada a discapito delle altre modalità.
Allo squilibrio nelle forme del trasporto si aggiunge lo squilibrio nella distribuzione territoriale del
traffico, che si concentra particolarmente nel centro nord del Paese, generando un forte impatto
ambientale in queste regioni. Anche il turismo, soprattutto quello internazionale, contribuisce ad
accentuare la criticità di un sistema di trasporti squilibrato, particolarmente nella stagione estiva,
con impatti sia nelle forme del trasporto, in quanto gran parte del flusso turistico si concentra sulle
strade, sia sul territorio, in quanto sono interessate alcune direttrici verso i luoghi di villeggiatura, al
mare ed in montagna, e verso le città d’arte. Particolarmente grave è il problema del traffico nelle
aree urbane, dove si concentra il 50% della popolazione, si svolge oltre il 70% delle attività
produttive e circola il 60% dei veicoli.
Nel libro bianco sui trasporti l’UE tracciava, nel 1996, le prime allarmanti previsioni sul rischio di
un collasso incombente per il sistema dei trasporti di alcuni fra i più importanti Paesi membri,
primo fra tutti l’Italia. Con una prospettiva di crescita del solo traffico merci di oltre il 40% in più
entro il 2000 e con infrastrutture sostanzialmente ferme da oltre 20 anni, venivano identificate
alcune aree strategiche del territorio italiano a maggior pericolo potenziale, affiancate in un destino
di congestionamento cronico solo dall’area urbana di Parigi e dall’attraversamento dei Pirenei.
Nel 2001 una versione aggiornato dello stesso libro bianco con previsioni sino al 2010 evidenziava
un incremento potenziale del 50% del traffico di mezzi pesanti, significativi aumenti della
congestione stradale, incrementi del 142% dei costi diretti ed indotti legati alla congestione stessa
(pari a 80 miliardi di euro all’anno) ed una drammatica crescita parallela degli incidenti che già nel
2001 provocavano 40.000 decessi all’anno. Dalla fotografia del 2001, in via generale, poco è
cambiato per l’Italia ed i pochi risultati migliorativi sono addirittura paradossali. In particolare:
a) il congestionamento di intere aree strategiche del Paese ha subito un rallentamento solo
perché la domanda di trasporto merci per strada ha subito, nel secondo semestre 2002,
un’ulteriore e brusca decelerazione in conseguenza delle recessione economica e della
diminuzioni degli scambi. Di conseguenza, la flessione nel fatturato nel comparto
dell’autotrasporto è da ricondursi ai segnali di crescita marginale del trasporto ferroviario e
del trasporto combinato;
b) l’unico reale cambiamento, negli ultimi dieci anni, nella struttura del trasporto italiano, si è
concretizzato sulle banchine portuali che, in seguito alla liberalizzazione, sotto gestione
privata sono state capaci di attirare grandi flussi di traffico internazionale. Tali flussi, però,
soprattutto per container, si sono riversati sul sistema e sui nodi autostradali, oltre che su una
rete ferroviaria in gran parte saturata dal movimento passeggeri, esasperandone le difficoltà
ed evidenziando nuovi drammatici colli di bottiglia.
L’apertura ed il successo dei grandi porti – hub di container, come Gioia Tauro e Taranto, ha
generato positivi processi di razionalizzazione logistica rappresentati dallo sviluppo dei traffici
feeder (cabotaggio marittimo di container utilizzando servizi shuttle fra i porti nazionali). In
generale, i porti italiani sono stati, negli ultimi anni, protagonisti di un recupero di efficienza e di
traffico senza precedenti. Inoltre, tali processi favoriscono anche il sorgere, al Sud, di grandi
piattaforme logistiche, portuali e non, in grado di trasformarsi in enormi centri di distribuzione e
smistamento razionale delle merci, influenzando positivamente anche i processi di
razionalizzazione paralleli di autotrasporto e servizi ferroviari.
Nel 2001, in Italia, il rapporto tra popolazione ed autovetture è pari ad 1,74; nel periodo 1990 al
2001 tale valore è passato da 2,11 ad 1,74 a fronte di un lieve incremento della popolazione che è
aumentata dello 0,2%. Nel 2002 tale rapporto è ulteriormente calato arrivando ad 1,72. Questi dati
stanno ad indicare una tendenza sempre maggiore all’utilizzo del mezzo privato da parte degli
italiani; basti pensare, tra l’altro, che le famiglie destinano circa il 15% dei loro consumi alle spese
per trasporti ed è intuitivo ritenere che gran parte di queste spese siano da imputare al mezzo
privato. E’ dunque di fondamentale importanza disporre di informazioni dettagliate sulle
infrastrutture e sul traffico relativamente a questa modalità di trasporto, tali da fornire elementi utili
per la definizione di una strategia complessiva della politica del settore.
Per quanto riguarda il trasporto delle merci, nel 2002, il traffico complessivo interno è stimabile in
circa 217 miliari di T/km, mostrando un aumento del 2,6% rispetto all’anno precedente e superando
i livelli dell’anno 2000. I dati evidenziano ancora l’assoluta prevalenza del trasporto su strada che
assorbe oltre il 60% della merce trasportata. La indiscussa prevalenza della modalità stradale
rispetto alle altre è dovuta alla maggiore flessibilità ed alla maggiore adattabilità dei mezzi gommati
ad offrire un servizio “porta a porta”. Inoltre nel 2002 rimangono pressoché equivalenti le
percentuali delle merci trasportate per vie d’acqua (navigazione marittima ed interna) e quelle
mediante impianti fissi (ferrovie ed oleodotti). Il trasporto ferroviario è stato pari a 23.197 milioni
di T/km, il 10,7% del traffico merci complessivo.
Passando al trasporto passeggeri, dopo l’incremento costante dei traffici negli anni Novanta, si
registra nel periodo 2000 – 2002 una lieve flessione che porta a circa 948 miliardi il totale
complessivo dei passeggeri – km nel 2002. La modalità strada, ancor più che nel trasporto merci,
prevale sulle altre in maniera netta: nel 2002 quasi il 93% del traffico passeggeri è avvenuto su
strada. Le percentuali delle altre modalità di trasporto rimangono pressoché costanti. In Italia buona
parte del trasporto merci e passeggeri si svolge su strada. Al 31 dicembre 2002 la consistenza della
rete stradale italiana primaria raggiungeva i 155 mila km. L’Italia settentrionale ha la maggiore
dotazione di autostrade, sia rispetto ai residenti sia rispetto alla superficie, sia rispetto al circolante.
E’ evidente la situazione di squilibrio del Meridione, che ha una rete autostradale nettamente
inferiore a quella del Nord. Tra il Nord ed il Sud dell’Italia, vi sono rispettivamente il 30%, il 75%
ed il 21% in meno di autostrade per abitante, per kmq di superficie e per veicolo circolante. Al
contrario, l’Italia meridionale detiene la maggior estensione di strade provinciali e statali, mentre
l’Italia centrale si avvicina, come valori, al settentrione. Il rapporto tra rete stradale e veicolo
circolanti è molto importante in quanto indica, non solo la dotazione, ma anche la congestione della
rete a livello regionale. In questo senso, si riscontrano, da decenni, dati preoccupanti in regioni quali
la Lombardia, il Lazio, la Campania ed il Veneto.
Per quanto riguarda il trasporto pubblico locale, tra tutte le modalità le autolinee sono quelle che
rivestono maggiore importanza nonostante, negli anni ’80, tale modalità abbia manifestato molti
segnali di crisi, tra i quali la caduta della domanda, soprattutto per quanto riguarda l’ambito urbano,
e la diminuzione degli addetti, determinata dalla necessità di razionalizzare l’uso dei fattori
produttivi nel settore. La crisi ha riguardato inizialmente solo il servizio urbano, i cui passeggeri si
sino ridotti in 15 anni del 37%, si è poi estesa, nell’ultimo decennio, anche al servizio extraurbano.
A partire dal 1990, infatti, entrambe le tipologie del servizio avevano registrato continue riduzioni
in termini di numero di passeggeri trasportati. Nel periodo 1990 – 1995 era proprio il servizio
extraurbano che manifestava una maggiore riduzione della domanda passeggeri. La domanda di
servizio di trasporto collettivo è sempre più condizionata dalla forte concorrenza esercitata dall’uso
del mezzo di trasporto privato non solo nei centri urbani, ma anche al di fuori degli stessi per gli
spostamenti di media e lunga distanza all’interno delle regioni.
Nonostante lo squilibrio infrastrutturale italiano, in generale, è evidente che, rispetto alla media
europea, il sistema stradale italiano è molto più sviluppato. Rimangono irrisolti i problemi
infrastrutturali delle altre modalità di trasporto e le conseguenze, paradossali, di un utilizzo
sproporzionato del mezzo privato.

I costi ambientali dei trasporti italiani

La crescita della mobilità è il principale fattore di incremento delle emissioni climalteranti in Italia,
come negli altri paesi sviluppati. Ma soprattutto in Italia, caratterizzata dai più alti tassi di
motorizzazione europei, da percorrenza molto elevate, da un eccezionale squilibrio tra mezzi privati
e pubblici e tra trasporto su gomme e su ferro od acqua, la conversione dei trasporti è una delle
grandi priorità del paese, sia per la riduzione della CO2, che più in generale per la qualità
ambientale e della vita urbana. La conversione ambientale del sistema dei trasporti richiede
interventi sia sul lato della domanda che sul lato dell’offerta. Anche in questo caso, un paese civile
e moderno non può limitarsi ad inseguire le emergenze e gli ingorghi.
La principale causa dei pesanti costi ambientali e sociali, detti anche costi esterni o esternalità,
dell’attuale sistema di trasporti, risiede nell’eccessivo ricorso alla forma privata d’uso dei veicoli,
che si accompagna ad una scarsa diffusione dei servizi di trasporto basati su veicoli ad uso
collettivo, durevoli ed intensamente utilizzati. Per ogni km percorso da un passeggero (p – km), i
costi esterni della produzione, dell’esercizio e dello smaltimento dell’autovettura privata sono doppi
rispetto a quelli dell’aereo, ed addirittura tre volte maggiori di quelli dell’autobus e del treno.
I servizi di trasporto collettivo, oltre a costare nettamente di meno all’utente, consentono minori
costi ambientali nelle varie fasi del ciclo di vita dei veicoli. In Italia, negli ultimi 10 anni, gli
spostamenti sono aumentato del 23%, ma non di certo privilegiando il trasporto pubblico. In questi
ultimi anni la maggioranza delle nostre città ha sperimentato blocchi della circolazione, targhe
alterne od altri provvedimenti restrittivi della mobilità. Il traffico, inoltre, sta avvelenando l’aria
delle nostre piccole e grandi città: le concentrazioni di benzene, polveri ed altri inquinanti superano,
da anni, il livello di guardia, mentre il traffico pesante dei TIR ha reso le nostre autostrade
congestionate ed insicure. In Italia circa il 30% delle emissioni di anidride carbonica derivano
proprio dal settore dei trasporti. Le emissioni di CO2 rappresentano la principale causa
dell’inasprimento dell’effetto serra. In Italia, i macrosettori maggiormente responsabili
dell’emissione di CO2 sono nell’ordine:
1. produzione di energia ed industria di trasformazione (32%);
2. trasporti stradali (26%);
3. industria manifatturiera (17%);
4. uso domestico ed agricoltura (16%);
5. altro (9%).
Dalle rilevazioni effettuate al 2002, i trasporti su strada, con circa il 95% di emissioni, continuano
ad essere il settore più inquinante, mentre la ferrovia risulta all’estremo opposto con lo 0,2%.
L’introduzione delle marmitte catalitiche, obbligatorie in Italia dal 1993, ha comportato una
progressiva riduzione delle emissioni di ossidi di azoto. L’introduzione di limiti ancora più
stringenti per le auto, l’entrata in vigore delle direttive relative ai veicoli leggeri e pesanti, e la
completa abolizione dell’uso della benzina super, sono fattori di ulteriore diminuzione delle
emissioni. Nonostante i valori ancora comunque molto elevati, vi sono stati dei miglioramenti
dovuti in gran parte al settore del trasporto passeggeri, che è passato, dal 72% delle emissioni totali
del 1990, al 58% del 2002, mentre il settore merci ha seguito un andamento contrario passando dal
28% del 1990 al 42% del 2002 (causato principalmente dalle emissioni del traffico merci con
veicoli alimentati a gasolio). Il trasporto stradale è il settore che contribuisce maggiormente alle
emissioni di composti volatili nell’aria (44% sul totale delle attività economiche), anche se il
fenomeno è in fase di attenuazione negli ultimi anni.
Per affrontare i problemi ambientali creati dai trasporti, negli ultimi anni, in Italia, ci sono stati vari
interventi, sia sul piano dei programmi di prevenzione, che su quello dell’adeguamento legislativo.
Per quanto riguarda gli aspetti normativi sulle emissioni, va ricordato il D. Lgs. del 1996 che
impone valori limite molto severi. Per quanto riguarda l’inquinamento acustico è stata recepita la
direttiva CEE 97/92 che fissa i limiti massimi ammissibili, in sede di omologazione e verifica, per il
livello sonoro dei veicoli a motore. Anche il nuovo Codice della strada recepisce importanti novità
di carattere ambientale relative alla omologazione degli autoveicoli, ai poteri dei Sindaci di limitare
la circolazione per prevenire l’inquinamento, ai controlli delle emissioni degli autoveicoli.
Particolare importanza è attribuita al miglioramento della qualità dei carburanti, anche attraverso
accordi volontari con le imprese e normative tecniche.

I conti economici dei trasporti italiani

Il conto nazionale delle infrastrutture e dei trasporti propone un’analisi dei dati di spesa funzionale
ad una politica dei trasporti mirata ad ottimizzare la qualità del servizio proposto. In tal senso, la
possibilità di monitorare la spesa complessiva dello Stato, quella dei privati e delle Regioni,
mediante una puntuale rilevazione dei dati, può sicuramente rivelarsi una preziosa occasione di
analisi. Dal 1967, anno in cui è stato istituito il Conto Nazionale, è aumentato considerevolmente il
numero delle elaborazioni proposte e, conseguentemente, ne è accresciuta la complessità, tanto da
assumere oggi un ruolo di sicuro riferimento per gli operatori del settore. Sul piano normativo, la
materia è regolamentata dall’art.3 della Legge 1085/67, dal quale si evince che il Conto Nazionale
deve essere un conto di cassa; nella fattispecie, devono essere prese in esame le spese sia di
esercizio che quelle per gli investimenti sostenute annualmente dallo Stato, a vario titolo, per
l’esercizio del servizio di trasporto.
Nel conto nazionale vengono analizzate le spese correnti e quelle in conto capitale sostenute dalle
Amministrazioni centrali pubbliche, con riferimento al settore di destinazione delle stesse, e cioè ai
comparti modali di trasporto in cui si attuano gli interventi di spesa. Le spese sono suddivise in due
macro sezioni: spese attribuibili e non attribuibili, laddove l’uso del termine attribuibile è
imputabile alla possibilità di ricondurre una spesa ad una determinata Amministrazione pubblica
oppure ad un singolo comparto modale di trasporto. Quando questo non sia possibile, le voci
vengono classificate come non attribuibili in considerazione del fatto che, pur non propriamente
imputabili ad una tipologia di trasporto intesa in senso stretto, comunque influiscano sulla spesa
complessiva del settore. Nella parte dedicata alle spese attribuibili, le voci vengono suddivise in
relazione ai diversi comparti modali di trasporto, individuando per ognuno di essi le differenti
tipologie di servizio svolto.
L’analisi della struttura della spesa per comparto di trasporto, evidenzia la netta prevalenza del
settore di trasporto ad impianti fissi, con una quota percentuale che nel 2001 supera il 63% delle
erogazioni complessive. Dai dati si evince l’intenzione dello Stato di destinare le risorse anche
verso quei comparti alternativi al trasporto su strada, quali il trasporto ferroviario e la navigazione
marittima, al fine di riequilibrare il traffico merci e passeggeri mediante l’aumento della loro
competitività. Sempre nel 2001 il comparto della strada ha ricevuto il 20,3% delle risorse,
percentuale comunque bassa se paragonata alle quote di traffico di merci e passeggeri su gomma.
Riguardo alla suddivisione della spesa totale per settori modali, le quote percentuali non sono
abbastanza stabili nel corso degli anni.
Dalle rilevazioni dei dati, si evince una certa frammentarietà dell’intervento statale: non esiste,
infatti, un unico centro di spesa per il settore dei trasporti (impianti fissi, strada, trasporto idrovia
rio, trasporto marittimo, trasporto aereo).
La partecipazione dello Stato, sottoforma di sussidi, alimenta i vari dibattiti sul tema dell’effettiva
liberalizzazione dei trasporti in Italia, liberalizzazione che, per esplicitare tutti i suoi benefici e
potenziali effetti, necessità di una realtà competitiva e concorrenziale non distorta dalla presenza
massiccia degli interventi pubblici nel settore dei trasporti.

Il trasporto ferroviario in Italia

Gli anni novanta comportano i cambiamenti più radicali nell’ambito del trasporto ferroviario
italiano. Infatti i nuovi indirizzi di politica economica orientati alla privatizzazione delle imprese
pubbliche, la spinta dei nuovi dettami dell’UE per la liberalizzazione del trasporto in generale, la
necessità di adeguamento del sistema infrastrutturale ferroviario italiano secondo gli standard
europei, coinvolgono anche lo sviluppo dell’intero sistema sul ferro italiano, oltre che in ambito
comunitario.
Il nuovo corso inizia dall’Ente ferrovie che si trasforma, nel 1992, in Società per azioni” il cui
pacchetto azionario è detenuto interamente dal Ministero del Tesoro. La trasformazione della forma
giuridica di FS, da pubblica a privata, costituisce solo l’inizio del processo di liberalizzazione e di
apertura alla competizione, auspicato dalle Direttive comunitarie per pervenire al miglioramento dei
servizi di trasporto nella loro interezza. Le FS, per rispondere meglio alle esigenze della clientela e
del Paese, pongono in essere un ampio processo di ristrutturazione, adeguando il modello
organizzativo ed imprenditoriale allo scenario dell’Europa. Il primo momento attuativo del processo
risale a luglio 1998 con la creazione della Divisione Infrestruttura, che si configura con il ruolo di
gestore dell’infrastruttura ferroviaria. Nel maggio 1999, segue la nascita delle tre Divisione di
trasporto (passeggeri, trasporto regionale e merci, che assicurano il trasporto di passeggeri sulla
media e lunga distanza, il trasporto in ambito locale, ed il trasporto delle merci), completando così
la separazione divisionale tra gestore dell’infrastruttura ed operatore del trasporto. Successivamente,
nel giugno 2000, viene costituita la Società Trenitalia, che ha consentito il raggruppamento delle tre
divisioni di trasporto più la divisione unità tecnologie materiale rotabile in un’unica azienda, con
l’obiettivo di migliorare i servizi di trasporto, portando al centro dell’attenzione il cliente. Infine,
del 2001, viene costituita la società RFI, preposta alla gestione dell’infrastruttura ferroviaria italiana
e dedicata a garantire efficienza, sicurezza e sviluppo tecnologico della rete.
Le FS, portando a compimento il proprio processo di riorganizzazione che ha determinato la nascita
di Trenitalia prima, e di RFI, dopo, segnano una tappa storica, come storici sono i profondi
mutamenti in corso nello scenario ferroviario europeo. I vecchi monopoli e le grandi azienda
monolitiche, presenti nel settore per decenni, si avviano a tramontare e le grandi società ferroviarie
si attrezzano per la grande sfida della concorrenza. Il completamento del processo di
societarizzazione rappresenta dunque la risposta delle FS al mutato scenario istituzionale, risposta
in linea con le direttive comunitarie e con l’accelerazione impressa dal Governo nazionale al
processo di apertura del mercato. Il superamento della vecchia architettura societaria monolitica,
con la liberalizzazione del mercato dei trasporti ferroviari, determina la fine del monopolio interno.
I risultati economici del gruppo FS tornano ad essere positivi, accompagnati da una rigorosa
gestione dei fattori produttivi e dalla razionalizzazione e riorganizzazione dei processi aziendali che
hanno permesso di migliorare le performances in termini di offerta, di puntualità di sicurezza del
servizio di trasporto, e di immagine percepita.

La politica dei trasporti italiana

L’Italia soffre di indubbie carenze infrastrutturali che, a seconda delle aree del Paese, si traducono
in un freno all’espansione od in un fattore di inibizione di processi di sviluppo indispensabili per
ridurre i persistenti e gravi squilibri territoriali. Al fine di assicurare un indirizzo unitario alla
politica dei trasporti nonché di coordinare ed armonizzare l’esercizio delle competenze e
l’attuazione degli interventi amministrativi dello Stato, delle Regioni e delle Province autonome, la
Legge 245/1984 istituisce il Piano generale dei trasporti (PGT). Il primo PGT è stato approvato nel
1986 ed aggiornato nel 1991. Il PGT attualmente in vigore è il PGT e della logistica approvato dal
Consiglio dei Ministri nel 2001 ed adottato con DPR 14 marzo 2001. La progettazione,
l’approvazione dei progetti e la realizzazione delle infrastrutture strategiche di preminente interesse
nazionale sono invece regolati dalla Legge 443/2001, la cosiddetta legge obiettivo e dal
conseguente D. Lgs. di attuazione del 20 agosto 2002.
Il PGT si propone di individuare un numero relativamente limitato di interventi prioritari, capaci
tuttavia di contribuire alla realizzazione di un sistema integrato di trasporto strategico di interesse
nazionale, punto di riferimento delle iniziative locali. La politica dei trasporti non può tuttavia
essere ristretta alle sole infrastrutture. Nell’ambito del PGT vengono individuati gli interventi volti
ad aumentare l’efficienza complessiva dell’offerta di servizi di trasporto, concentrando in
particolare l’attenzione sui processi di privatizzazione e liberalizzazione dei mercati. Tali processi
devono essere orientati al miglioramento della qualità dei servizi, alla riduzione dei costi e
contemplare un passaggio dalla logica della tariffa a quella del prezzo.
Il nuovo PGT, elaborato nel 2001, si prefigge i seguenti obiettivi:
a) il miglioramento dell’utilizzazione delle infrastrutture, dei servizi e dei mezzi;
b) la diminuzione dell’inquinamento atmosferico ed il miglioramento della qualità e della
vivibilità dell’ambiente urbana;
c) lo sviluppo dei traffici merci sulle medie – lunghe distanze con modalità di trasporto più
sostenibili rispetto a quella stradale;
d) la promozione e la crescita del trasporto combinato attraverso una ristrutturazione della
catena logistica che persegua obiettivi concreti di miglioramento ambientale;
e) l’adozione, per il trasporto merci su strada, di misure di contenimento dei costi;
f) lo sviluppo e la diffusione di tecnologie innovative volte al miglioramento dell’efficienza
del parco circolante;
g) la realizzazione del Piano Nazionale della Sicurezza Stradale (Legge 144/99).
Il PGT si propone, inoltre, per quanto riguarda la liberalizzazione del mercato dei trasporti, in linea
con le disposizioni europee, di:
a) individuare le misure per il superamento delle situazioni di monopolio e creare le condizioni
per lo sviluppo della concorrenza, per l’ingresso di nuovi operatori nei vari settore del
trasporto;
b) regolare le situazioni di monopolio naturale garantendo l’accesso alle infrastrutture a tutti i
soggetti capaci di offrire adeguati servizi;
c) utilizzare tutte le forme di concorrenza per comparazione, nonché delle gare ad evidenza
pubblica;
d) ridefinire gli assetti proprietari delle aziende produttrici e la promozione delle
privatizzazioni per dare spinta alla capacità innovativa delle imprese;
e) individuare i costi esterni delle singole attività di trasporto e le misure necessarie ad
armonizzare la loro progressiva internalizzazione con la regolamentazione del settore;
f) promuovere le politiche fiscali e tariffarie per l’uso delle infrastrutture, l’efficienza nell’uso
delle reti, l’integrazione tra i modi di trasporto e l’utilizzo dei prezzi come strumenti per la
regolazione della congestione e delle esternalità ambientali.
Per quanto riguarda le infrastrutture, il PGT si propone di dare priorità alle infrastrutture essenziali
per la crescita sostenibile del Paese, per la sua migliore integrazione con l’Europa e per il
rafforzamento della sua naturale posizione competitiva nel Mediterraneo. L’individuazione delle
priorità si basa sull’analisi della domanda (attuale e futura) di mobilità sia di merci che di
passeggeri, per arrivare all’individuazione dei servizi più idonei a soddisfarla e, quindi, identificare
gli interventi capaci di assicurare il livello di servizio desiderato. Per conseguire gli obiettivi in
questo ambito, il PGT definisce un Sistema Nazionale Integrato dei Trasporti (SNIT), inteso come
insieme integrato di infrastrutture sulle quali si effettuano servizi di interesse nazionale ed
internazione, costituenti la struttura portante del sistema italiano di offerta di mobilità delle persone
e delle merci.
Le strategie di carattere generale da perseguire nello sviluppo dello SNIT sono:
a) dare priorità alla soluzione dei problemi “di nodo”;
b) sviluppare il trasporto ferroviario merci attraverso l’arco alpino in collegamento con i
principali porti del Nord Italia;
c) creare itinerari con caratteristiche prestazionali omogenee e differenziate per i diversi
segmenti di traffico per massimizzare la capacità di trasporto delle diverse infrastrutture;
d) creare itinerari per lo sviluppo del trasporto merci Nord – Sud su ferro collegati con i porti
hub di Gioia Tauro e Taranto;
e) adeguare le caratteristiche geometriche e funzionali per la realizzazione dei due corridoi
longitudinali tirrenico ed adriatico;
f) rafforzare le maglie trasversali appeniniche;
g) concentrare ed integrare i terminali portuali ed aeroportuali di livello nazionale ed
internazionale.
Il PGT, nella consapevolezza che esistono in Italia una serie di ostacoli che spesso ritardano o
vanificano la realizzazione delle opere, prevede anche una serie di condizioni e/o presupposti di
successo per gli investimenti infrastrutturali nel settore dei trasporti. In particolare:
a) definire un chiaro processo che abbia per oggetto la necessità degli interventi, articolato
nella definizione degli indirizzi generali delle politiche per i trasporti, nella redazione degli
strumenti di piano e nella formulazione dei programmi di attuazione;
b) condurre la VAS, e fare in modo che essa accompagni l’intero processo di intervento;
c) perseguire la qualità della progettazione attraverso la definizione di uno studio di fattibilità,
del progetto preliminare, del progetto definitivo e del progetto esecutivo;
Dal punto di vista dell’iter formale, il PGT evidenzia la necessità di:
a) snellire le procedure di approvazione dei progetti; in particolare l’introduzione della VIA
condotta sul progetto preliminare, permette di ottimizzare sin dall’inizio la scelta tra le
possibili alternative progettuali;
b) attribuire ad un unico soggetto la responsabilità di portare a compimento nei tempi stabiliti
le opere approvate, soprattutto per la realizzazione dei progetti di nodo di interesse
nazionale.

Politiche di traffico urbano

L’attuale situazione di elevata congestione del traffico nelle aree urbane, pone una serie di problemi
alle pubbliche amministrazioni che devono fornire risposte concrete ad un problema orami non più
rimandabile nel tempo. Se, infatti, da un lato è ormai naturale definire i modelli di sviluppo urbano
perseguendo gli obiettivi di sostenibilità ambientale, sociale ed economica, dall’altro, i vincoli di
bilancio pubblico, imposti dalla normativa comunitaria, non permettono di attingere illimitatamente
ai fondi statali come avveniva in passato. Le risorse pubbliche sono da considerarsi effettivamente
scarse e quindi devono essere destinate alle attività economiche più efficienti ed in grado di
generare maggiore ricchezza per la collettività.
Accanto alla tradizionale politica dei trasporti basata sull’offerta, in ambito urbano si assiste, anche
in Italia, alla formulazione di nuove strategie che pongono al centro della loro logica la domanda di
mobilità. Tale evoluzione attiene ad un cambiamento culturale che non osserva più soltanto il
trasporto delle persone e delle cose, ma considera il complesso della mobilità con un approccio
interdisciplinare teso ad esplorare nuove forme di intervento. La nuova politica dei trasporti viene
dunque ad inquadrarsi in due filoni principali:
a) il Traffic System Management;
b) il Mobility Management.
La contrapposizione tra queste due scuole di politica dei trasporti si basa sulla loro differenziazione
sul piano degli strumenti che ne costituiscono i contenuti principali, nonché sul piano dell’orizzonte
temporale e delle risorse economiche necessarie.
Il Traffic System Management rappresenta il tradizionale approccio orientato all’offerta, mentre la
nuova filosofia di intervento, il cosiddetto Mobility Management è orientato alla domanda. Gli
strumenti che le due modalità utilizzano sono definiti Hard, per il primo approccio, e Soft per il
secondo approccio; tale distinzione non modifica, nella sostanza, la necessaria complementarità
delle due politiche.
Gli strumenti soft si contraddistinguono per:
a) una forte componente relazionale, diretta sia verso l’utenza, che verso gli attori istituzionali
a diverso titolo coinvolti;
b) un elevato grado di informalità, oltre che per una maggiore agilità e rapidità esecutiva
derivati da una prassi che è tipica delle aziende private concorrenziali;
c) per l’orizzonte temporale di breve e medio periodo, assumendo un ruolo prevalentemente di
natura tattica.
Gli strumenti hard si contraddistinguono per:
a) l’orizzonte temporale al medio e lungo periodo;
b) per una forte componente politico – burocratica che ne comporta la lentezza esecutiva, di
certo propria dello strumento, ma ereditata anche da una prassi tipica delle aziende
pubbliche e monopolistiche.
Gli strumenti soft includono:
a) il coordinamento delle azioni tra i diversi soggetti coinvolti, a diverso titoli, nella gestione
del sistema di mobilità locale;
b) la comunicazione, a tutti i potenziali portatori di interesse del contesto territoriale, degli
obiettivi di lungo periodo dell’area metropolitana e del suo sistema di mobilità, nonché degli
strumenti di intervento al fine di conseguire un ampio consenso collettivo;
c) l’organizzazione della modalità di erogazione del servizio nei suoi aspetti che esulano da
cambiamenti infrastrutturali;
d) l’’informazione, corretta e puntuale, sull’offerta di servizi di trasporto aggiornata in tempo
reale;
e) la pianificazione di land – use, sebbene in senso derivato e come punto di massima
integrazione con le politiche di Traffic System Management al fine di sfruttare al massimo
le sinergie tra nodi ad elevata accessibilità e funzioni primarie urbane secondo
un’organizzazione sul territorio gerarchica che contribuisca alla riduzione della domanda di
mobilità.
Gli strumenti hard includono:
a) le infrastrutture, il tradizionale strumento di politica dell’offerta di trasporto rivolto ad
aumentare la capacità della rete di trasporto stradale e di trasporto pubblico;
b) le politiche fiscali e di prezzo, attraverso le quali si vuole razionare od ampliare il consumo
di un bene per ragioni di scarsità o di presenza di esternalità:
c) le regolamentazioni, altro strumento tradizionale di Traffic Demand Management attraverso
il quale si conseguono obiettivi analoghi alle politiche fiscali e di pricing, utilizzando però
disposizioni di divieto e/o di concessione;
d) la telematica, strumento maggiormente innovativo nell’ambito del Traffic Demand
Management, ma pur sempre di carattere infrastrutturale e strettamente connesso alla
circolazione delle informazioni sia per l’utenza, sia per il regolatore;
e) il telelavoro, alla base del quale deve sottostare una riorganizzazione del lavoro aziendale
spesso non banale.
L’introduzione del Mobility Management, avvenuto nel 1998 con il Decreto Ronchi ed il rilancio
delle politiche temporali urbane a seguito della Legge 53/2000, costituiscono interessanti possibilità
per migliorare l’efficienza e l’efficacia del sistema di trasporto pubblico. Da un lato, gli esiti attesi
da una sempre maggiore diffusione del Mobility Management, sono un sostanziale aumento della
domanda di mobilità a favore del mezzo collettivo rispetto al veicolo privato; dall’altro, le politiche
temporali urbane, pur nascendo con finalità diverse dalla risoluzione del problema della congestione
del traffico, sono intimamente connesse alla mobilità urbana, come riconosciuto dalla stessa legge.
Il Mobility Management, se utilizzato in maniera integrata con le politiche di offerta, potrebbe
consentire di riconvertire la domanda di mobilità, dalla fascia oraria di punta alla fascia oraria di
morbida, riducendo la congestione ed ovviando alla rigidità della capacità di servizio offerta che ne
comporta il sovradimensionamento per la maggior parte della giornata.

La politica dei trasporti nell’UE

Negli ultimi anni, si è assistito ad una profonda modifica dei sistemi di generazione dei traffici e
dell’organizzazione dei sistemi produttivi che, come conseguenza diretta, hanno modificato
ulteriormente il sistema di trasporti europeo. Si sono finalmente concretizzati fenomeni di
liberalizzazione del commercio e globalizzazione dell’economia, processi paralleli ai processi di
integrazione sociale e politica cui abbiamo assistito nell’ultimo decennio. Hanno poi assunto un
ruolo determinante anche gli sviluppo tecnologici nel settore dei trasporti, siano essi nazionali che
internazionali, e comunque orami visti come l’anello di congiunzione tra sistemi produttivi settoriali
e sistemi politici territoriali, efficaci ed efficienti solo se operanti su una base comune di regole e di
principi, a garanzia di una libera mobilità, di libera concorrenza e di un sistema dei trasporti
generale eco – sostenibile. La realizzazione di un mercato interno che include i servizi di trasporto e
lo sviluppo di network di trasporti trans europei, ha avvicinato i diversi paesi, le diverse regioni
europee, rendendo quindi possibile un’ampia scelta tra modalità alternative integrabili in maniera
concorrenziale. Nel nuovo scenario, anche i porti diventano elementi di sviluppo della competitività
del commercio internazionale ed interno dell’UE che, in un’economica globale, dipende sempre più
in maniera crescente, dall’efficienza e dall’efficacia dei sistemi di trasporto, in generale, ed anche
dei sistemi portuali.

Le tappe della politica comunitaria dei trasporti

Il sistema dei trasporti è una leva competitiva determinante nel mercato mondiale. La crescita
esponenziale degli scambi internazionali negli ultimi decenni ha ulteriormente sottolineato questa
verità. Non è un caso, quindi, che le politiche dei trasporti siano state, siano ancora oggi e saranno
in futuro un tassello fondamentale delle relazioni internazionali, non soltanto sotto il profilo
economico, ma anche sotto quello sociale e culturale. Un’efficiente politica dei trasporti diventa,
quindi, uno dei fattori chiave del processo di integrazione e di allargamento messo in atto dall’UE,
processo che modifica gli equilibri territoriali, aggiungendo al progetto europeo una dimensione
centro – orientale ed una meridionale.
I trasporti, quale classico veicolo di integrazione ed interscambio, hanno costituito, fin dal Trattato
di Roma del 1957, una delle prime materia oggetto di politica comunitaria, anche se il conflitto tra
l’approccio interventista e la filosofia di libero mercato, in un settore di evidente rilevante
importanza politica e sociale, ha determinato la vaghezza delle norme del Trattato e l’inerzia, per un
lungo periodo, delle istituzioni comunitarie nel predisporre la normativa di settore. Ciò ha
pesantemente influito sullo sviluppo del mercato europeo dei trasporti e su ogni tentativo di
pianificare le infrastrutture. Infatti, per svariati anni, non si sono riscontrate iniziative di rilievo,
anche se la Commissione Europea, ha più volte sottolineato, tra gli anni ‘60 e ’70, la necessità di
creare le condizioni di un solo sistema di trasporti integrato e l’importanza ed i vantaggi di un
volontario coordinamento dei programmi di investimento nazionali, per creare reti di direttrici
principali stradali, ferroviarie e per vie navigabili.
Le direttive per una politica comunitaria dei trasporti erano contenute nel Trattato di Roma del
1957, nel quale si richiedevano regole comuni per i traffici transfrontalieri, veniva proibita la
discriminazione nelle tariffe dei servizi di trasporto e si sollecitava la riduzione dei costi di
attraversamento delle frontiere. Contemporaneamente, venivano proibiti sussidi agli imprenditori,
mentre si concedevano sussidi governativi al coordinamento dei trasporti od alla obbligatorietà
relativa al servizio pubblico. Esistevano dunque due approcci alla politica comunitaria europea:
a) quello di alcuni Stati che consideravano prioritaria la creazione di condizioni concorrenziali
non discriminanti nel mercato dei trasporti;
b) quello di altri Stati che preferivano percorrere, in materia di trasporti, la strada della
regolamentazione.
I principi e le direttive della politica comunitaria dei trasporti furono stabilite nel Memorandum
Schaus del 1961 ed in un successivo programma di azione del 1962. In particolare, le misure
proposte erano:
a) di anti – discriminazione, tra gli Stati membri e tra i diversi modi di trasporto;
b) di liberalizzazione, attraverso l’assegnazione ai trasportatori di opportunità per fornire
servizi nell’ambito dei Paese CEE;
c) di armonizzare, attraverso la standardizzazione delle direttive e norme comuni per i trasporti
internazionali per gli Stati membri.
I mercati dei trasporti erano, in realtà così regolamentati che, nei primi trent’anni di vita, la politica
comunitaria dei trasporti non ha comunque avuto grande successo soprattutto dovuto al fatto che si
contemplavano soltanto gli aspetti dell’armonizzazione e della riduzione delle pratiche
discriminatorie, lasciando la politica dei trasporti in una condizione di isolamento rispetto alle
direttive che regolamentavano altri settori. Nel 1973, con l’ingresso di altri Paesi nella CEE,
vennero ridefiniti gli obiettivi della politica dei trasporti con lo scopo principale di allineare i
sistemi di politica nazionale dei trasporti, sia merci che passeggeri, a livello comunitario. Il sistema
comunitario dei trasporti doveva quindi mirare ad avere una infrastruttura comune ed un comune
mercato dei trasporti, coinvolgendo l’area della pianificazione e del finanziamento di tutta la rete
dei trasporti, e l’area dell’organizzazione degli stessi tramite la politica comune di
regolamentazione. Veniva ancora sottolineato il diritto dei trasportatori di operare in tutta la CEE,
per la creazione di un mercato competitivo ed armonizzato. Il Piano di azione del 1973 considerava
le seguenti aree prioritarie:
a) la creazione di un piano di trasporti per la rete comunitaria;
b) la definizione di criteri per la distribuzione dei costi infrastrutturali tra le diverse modalità di
trasporto;
c) la definizione del ruolo prioritario della ferrovia nell’ambito del piano;
d) la progettazione per lo sviluppo e l’organizzazione del mercato dei trasporti interno.
Una serie di circostanze porta, nella metà degli anni ’80, ad un’accelerazione della politica
comunitaria dei trasporti, con i primi interventi normativi improntati alla liberalizzazione e
privatizzazione dei servizi di trasporti, sebbene in modo frammentario, tra le diverse modalità.
Quello che di certo era evidente a tutti gli Stati dell’Unione era che, l’abolizione delle frontiere e la
realizzazione della libertà di movimento di persone, merci e capitali, non potevano essere concepite
senza un mercato interno dei trasporti. Nel programma del 1992 dunque l’impegno verso la
creazione di un mercato unico europeo, da attuarsi entro il 1993, interruppe la stasi dello sviluppo
della politica. Il Consiglio dei Ministri elencò quattro principi per raggiungere la liberalizzazione
dei mercati di trasporto:
1. qualità del trattamento di, e tra, diverse forme di trasporto;
2. libertà di concorrenza;
3. libera scelta dell’uso e coordinamento delle infrastrutture;
4. esigenza di politiche ambientali basate sul principio che “chi inquina paga”.
Il Libro bianco della Commissione del 1992 sui trasporti, da ulteriore impulso all’azione
comunitaria, evidenziano le esigenze dell’intermodalità e di sviluppo “a rete” delle infrastrutture
che diventeranno poi oggetto di apposita politica comunitaria con il Trattato di Maastricht del 1992.
Quello del 1992 è il primo Libro Bianco della Commissione il cui concetto chiave era l’apertura del
mercato verso la liberalizzazione. Il Libro Bianco è un documento elaborato dalla Commissione
europea nel quale sono presentate proposte ufficiali in settori specifici ed individuate le azioni
necessarie per darvi seguito; spesso costituisce la fase successiva alla presentazione del Libro
Verde. Pertanto:
Lo “sviluppo futuro della politica comune dei trasporti” del 1992 prevedeva:
a) eliminazione di qualsiasi restante restrizione o distorsione del mercato unico;
b) giusto funzionamento dei sistemi di trasporto UE;
c) integrazione degli obiettivi ambientali nell’ambito della politica comunitaria dei trasporti.
Il Trattato di Maastricht del 1992 prevedeva:
a) istituzione del Mercato Unico Europeo;
b) principio di sussidiarietà: le autorità locali ed i governi nazionali devono intraprendere le
azioni e le misure necessarie per il raggiungimento degli obiettivi della politica comune.
Azioni a livello comunitario vengono intraprese solo se, e fino a quando gli obiettivi delle
azioni in oggetto non possono essere realizzate da livelli inferiori di amministrazione, e
quindi, per dimensione o scala di effetti, sono perseguiti al meglio da azioni comunitarie.
La politica comune in materia di infrastrutture diviene realtà quando, nel 1996, il Parlamento
europeo ed il Consiglio definiscono i primi orientamenti per lo sviluppo di una vasta rete europea di
trasporto, e creare una serie di itinerari diretti attraverso il continente collegando tutti i principali
modi di trasporto. Il disegno comunitario, delineato nel Libro Verde del 1997 e nel Libro Bianco del
1998, prevede la riduzione della sfera dell’intervento pubblico diretto e la promozione di una
maggiore presenza di privato, attraverso le Public Private Partnerships (PPP). Nel Libro Bianco, che
in parte corregge il Libro Verde, non viene preclusa ai governi la possibilità di finanziare
infrastrutture di trasporto, soprattutto se gestite dalle autorità pubbliche, con condizioni di
accessibilità uguali per tutti gli utenti, senza vantaggi particolari per nessuna impresa, senza
distorsioni della concorrenza e, soprattutto, se l’investimento possa essere considerato una misura
generale di politica economica. Il Libro Bianco prevede poi un sistema di vaglio preventivo dei
progetti di investimento nazionali che tenga conto anche degli effetti negativi transfrontalieri sui
flussi di traffico tra tutti gli Stati membri e tra questi ed i Paesi terzi.
La tappa decisiva per la reale affermazione di una politica comunitaria sui trasporti e su tutti i
diversi ambiti che li coinvolgono, è il Libro Bianco sulla politica europea dei trasporti del 2001 che
è un vero e proprio piano d’azione, volto a migliorare il livello delle prestazioni dei trasporti
europei in termini di qualità e di grado di sicurezza.

Il Libro Bianco “la politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte”
Il 12 settembre 2001, con la presentazione del Libro Bianco “la politica europea dei trasporti fino al
2010: il momento delle scelte”, la Commissione Europea ha offerto il primo contributo concreto
alla strategia di sviluppo sostenibile adottata dal Consiglio Europeo di Goteborg nel giugno del
2001, riconoscendo che, conciliare trasporti e protezione dell’ambiente, è una priorità a livello
europeo. Il Libro Bianco persegue tre obiettivi:
a) contrastare l’inesorabile crescita della domanda di trasporto;
b) slegare progressivamente l’aumento della domanda di mobilità dalla crescita economica,
così da ridurre le pressioni sull’ambiente e la congestione delle reti di trasporto pur
salvaguardando la competitività economica dell’UE;
c) assicurare che le modalità di trasporto meno utilizzate giochino un ruolo significativamente
più rilevante.
Propone tre strumenti per perseguirli:
a) modificare la ripartizione modale nel lungo termine;
b) eliminare i colli di bottiglia e combattere la congestione;
c) collocare gli utenti al centro della politica dei trasporti.
Strutturalmente esso è suddiviso in quattro parti:
a) riequilibrare i modi di trasporto: vengono trattati i temi del riequilibrio tra diversi modi di
trasporto e l’integrazione degli stessi; si parla di promozione del trasporto marittimo e
quindi di intermodalità, di autostrade del mare, del programma Marco Polo, di
standardizzazione delle unità di carico.
b) eliminare le strozzature: vengono analizzati i problemi di congestionamento dei grandi assi
europei di trasporto, indicando i grandi progetti infrastrutturali e le problematiche connesse
al finanziamento delle infrastrutture di trasporto.
c) Porre gli utenti al centro della politica dei trasporti: viene affrontato il problema della
tariffazione dell’uso delle infrastrutture e posto l’accento posto sulle questioni della
sicurezza stradale e della tutela ambientale;
d) Controllare la mondializzazione dei trasporti: vengono comprese le riflessioni
sull’allargamento e sul rapporto tra l’Unione e gli organismi internazionali e le altre potenze
mondiali, illustrando anche il programma di navigazione satellitare Galileo.
Le misure indicate nel Libro Bianco sono da intendersi come una prima fase di una più complessa
strategia di lungo termine. Questa la conclusione principale che si può trarre da quello che è stato
sicuramente il pilastro più concreto della nuova politica comunitaria dei trasporti. E le altre
conclusioni, quelle che permetteranno, nel corso dei prossimi 30 anni, di instaurare un sistema di
trasporti veramente sostenibile, attengono ad una serie di misure e strumenti politici da mettere in
atto. In particolare, risultano essenziali:
a) la presenza della concorrenza del mercato dei trasporti;
b) un adeguato finanziamento per le infrastrutture;
c) la volontà politica al rispetto degli intenti contenuti nel Libro Bianco;
d) un nuovo approccio al trasporto urbano da parte di tutti gli Stati;
e) il soddisfacimento delle esigenze degli utenti.
La politica comune dei trasporti deve inserirsi in una strategia generale che, integrando
l’irrinunciabile esigenza dello sviluppo sostenibile, comprende:
a) la politica economica ed i cambiamenti nel processo produttivo che influenzano la domanda
di trasporto;
b) la politica di assetto del territorio, in particolare la politica urbanistica, con una
pianificazione urbana non equilibrata;
c) la politica sociale e quella in materia di istruzione, modificando i ritmi di lavoro e gli orari
scolastici;
d) la politica di trasporto urbano a livello locale, in particolare i grandi agglomerati urbani;
e) la politica di bilancio e fiscale, per garantire l’internalizzazione dei costi esterni, soprattutto
quelli ambientali, ed il completamento della rete trans europea;
f) la politica di concorrenza, affinché, soprattutto nel settore ferroviario, l’apertura del mercato
non sia frenata dalle compagnie dominanti già presenti sul mercato, coerentemente con
l’obiettivo di servizi pubblici di qualità elevata;
g) la politica di ricerca sui trasporti in Europa, per rendere più coerenti le diverse iniziative
avviate a livello comunitario, nazionale e privato, in applicazione del concetto di spazio
europeo della ricerca.
La politica dei trasporti assurge finalmente a ruolo di politica comunitaria, con basi comuni, intenti
concreti e, soprattutto, conquista il ruolo di propulsore per tutte le altre politiche settoriali con le
quali sinergicamente operare e, inevitabilmente, progredire.
Reti transeuropee ed infrastrutture di trasporto

I sistemi di trasporto sempre più funzionali, grazie all’unitizzazione dei carichi che hanno
standardizzato ed automatizzato le operazioni, costituiscono un fattore tecnico fondamentale di
impulso e supporto ai processi di internalizzazione delle imprese e di globalizzazione dell’economia
oggi in atto. Gli effetti benefici che derivano dai trasporti non possono prescindere dall’esistenza di
una rete infrastrutturale efficiente, dotata cioè di assi e nodi di scambio intermodale, in grado di
smistare ed inoltrare volumi di traffico di proporzioni e complessità crescent.
Da questo punto di vista l’Europa, pur dotata del sistema di infrastrutture di trasporto più
concentrato del mondo, risulta fortemente penalizzata da un livello di integrazione delle reti
nazionali ancora troppo carente rispetto a quanto ci si aspetterebbe in un mercato unico. La
predisposizione di un programma di investimenti in infrastrutture, si configura come lo strumento
più adeguato per far fronte all’inesorabile crescita dei traffici e salvaguardare il livello di
competitività dell’Unione nell’ambito dei trasporti e nei settori contigui.
Le reti transeuropee costituiscono uno dei punti modali del programma comunitario di rilancio
economico dell’Europa nei settori dei trasporti, delle telecomunicazioni e dell’energia. L’idea di
costituire tali reti è sorta alla fine degli anni ’80 in concomitanza con la proposta di creare un
mercato unico: si intuì allora che la realizzazione di un grande mercato, al cui interno vigesse la
libertà di circolazione delle merci, delle persone e dei servizi, non sarebbe stata possibile se non
collegando tra loro in maniera adeguata le regioni e le diverse reti nazionali che lo costituivano,
dotandole di una rete di infrastrutture (di trasporto, di comunicazione e dell’energia) moderna ed
efficiente. Fin dal Trattato di Maastricht l’interconnessione e l’interoperabilità delle reti nazionali si
sono affermate al centro dell’azioni comunitaria, che è finalizzata a creare un collegamento fra le
regioni centrali della Comunità e quelle insulari e periferiche, nonché fra i paesi dell’UE ed i paesi
vicini. La realizzazione della rete transeuropea, oltre a contribuire allo sviluppo del mercato interno
ed a rinforzare la coesione economica e sociale dell’UE rappresenta un importante elemento alla
base della crescita economica ed occupazione della stessa. Per raggiungere tali obiettivi la
Comunità:
a) stabilisce orientamenti per l’individuazione dei progetti comuni;
b) appoggia finanziariamente gli Stati membri per la realizzazione di progetti di interesse
comune nel settore delle infrastrutture e dei trasporti;
c) intraprende tutte le azioni necessarie a promuovere l’interoperabilità delle reti;
d) collabora con i paesi terzi per il raggiungimento di obiettivi comuni nei coinvolti.
Le reti transeuropee sono presenti in tre settori di attività:
a) Le TEN trasporti (TEN – T): comprendono grandi progetti prioritari che concernono il
trasporto su strada e quello combinato, le vie navigabili ed i porti marittimi nonché la rete
europea dei treni a grande velocità. Anche i sistemi intelligenti di gestione dei trasporti
rientrano in questa categoria, tra cui il progetto Galileo di posizionamento geografico via
satellite.
b) Le TEN energia (TEN – E): riguardano i settori dell’elettricità e del gas naturale. Gli
obiettivi principali sono la realizzazione di un mercato unico dell’energia e la sicurezza
dell’approvigionamento.
c) Le TEN telecomunicazioni (eTen): mirano a sviluppare servizi elettronici basati sulle reti di
telecomunicazione.
Va considerata, in modo specifico, la particolare rilevanza che la realizzazione della rete
transeuropea riveste in relazione ai porti marittimi in virtù del ruolo fondamentale di questi
nell’economia dell’UE, per la quale rappresentano un anello vitale tra i trasporti marittimi a corto
raggio e le reti di trasporto terrestre, nonché naturalmente tra il continente e le regioni periferiche e
le isole. All’inizio degli anni ’90 il rilancio delle ferrovie si affermò come una delle chiavi di volta
nell’ambito della politica dei trasporti della Comunità Europea. Da questo punto nodale si è
sviluppato un iter legislativo, che è passato attraverso tappe fondamentali, il cui obiettivo cardine è
stato quello di armonizzare regole e componenti molto diversi presenti nei vari Stati membri, per
permettere la circolazione dei treni in tutto il territorio con un occhio particolarmente attento alla
sicurezza. Insomma, l’Europa si unisce, ma deve farlo anche nei trasporti su rotaia che vanno
incentivati e resi sicuri nel pieno rispetto dell’ambiente. La Rete Transeuropea di Trasporto (RTE –
T), è elemento fondamentale della competitività economica dell’Unione e presupposto
indispensabile di uno sviluppo equilibrato e durevole dell’Unione stessa.
Per questo nel settembre 2001 la Commissione europea ha consegnato agli Stati membri il Libro
Bianco sui trasporti, dove in particolare:
a) si chiedeva di completare i principi che facilitassero la circolazione transfrontaliera,
riducendo in tal modo i costi del materiale sulla rete ad alta velocità e
b) si proponeva di dotarsi di un’Agenzia preposta al pilotaggio dei pool di esperti nei campi
della sicurezza e dell’interoperabilità.
Il Libro Bianco per antonomasia è quello sul completamento del mercato interno del 1985 ma, nella
fattispecie del settore dei trasporti, quando si cita il Libro Bianco si intende il Libro Bianco sulla
politica dei trasporti del 2001.
Il progetto TEN –T è stato lanciato dal Consiglio Europeo di Essen del 1994, per rispondere alla
necessità di un sistema di trasporti e di una rete di infrastrutture plurimodali efficiente, tale da
facilitare la circolazione delle merci e delle persone nonché di ridurre la perifericità di alcune zone
dell’UE particolarmente svantaggiate. Nel 2004 le TEN – T sono state modificate per rispondere
alle difficoltà incontrate nel primo decennio e per aggiornare il piano alle nuove esigenze
dell’Europa allargata. All’interno delle TEN – T sono stati individuati 30 progetti prioritari, tra cui
la Genova – Rotterdam e le autostrade del mare, la cui data di completamento è prevista entro il
2020. Tali progetti prioritari sono stati dichiarati di interesse europeo rendendo così di primaria
importanza la loro realizzazione. Tre decisioni del Consiglio e del Parlamento europeo definiscono
le linee guida per lo sviluppo della rete trans europea dei trasporti:
1. la decisione 1692/96 costituisce un quadro generale di riferimento del settore della rete
transeuropea dei trasporti, delineando gli obiettivi, le priorità e le grandi linee d’azione della
politica seguita dall’UE in tema di infrastrutture di trasporto. Tali orientamenti sono
finalizzati ad attuare progetti di interesse comune, volti a garantire la coerenza,
l’interconnessione e l’interoperabilità della rete trans europea dei trasporti, nonché l’accesso
a tale rete. Gli Stati membri sono considerati i soggetti principali responsabili per la
realizzazione della rete, da completarsi con il supporto finanziario dell’UE solo nei casi
specificati. In tale decisione vengono individuati 14 progetti cui il Consiglio europeo di
Essen del 1994 aveva attribuito particolare importanza.
2. la decisione 1346/2001/CE apporta alcune modifiche riguardanti i porti marittimi, i porti di
navigazione interna ed i terminali intermodali. Tale decisione enfatizza la dimensione
multimodale della rete. L’orizzonte temporale previsto per portare a termine le opere di
infrastruttura programmate è fissato per il 2010 ma, nella realtà i lavori non sono avanzati
così rapidamente come previsto. La crisi dei progetti TEN è stata attribuita essenzialmente a
due fattori: il primo di natura finanziaria, legato ai limiti di bilancio imposti dal Trattato di
Maastricht; in tutti i paesi comunitari, si è passati da un ammontare di investimenti in
infrastrutture pari mediamente all’1,5% negli anni ’80 all’1% medio degli anni ’90. Il
secondo, è da attribuirsi ad una scarsa volontà politica dei diversi paesi membri ad
impegnarsi in progetti transfrontalieri, privilegiando l’utilizzo delle poche risorse disponibili
per progetti di carattere nazionale. La Commissione ha deciso, pertanto, di avviare una fase
di revisione della politica delle reti trans europee che avrebbe dovuto tenere conto anche
delle problematiche dell’allargamento e delle tendenze di cambiamento osservate nei flussi
di traffico internazione. Nel 2003, si è pertanto affidato ad un gruppo ad alto livello sulle reti
transeuropea di trasporti, l’incarico di formulare nuove proposte in linea con il Libro Bianco
sulla politica europea per i trasporti per il 2010.
3. La decisione n.884/2004/CE tiene conto quindi delle considerazioni dello studio del gruppo
ad alto livello, ed apporta una serie di variazioni/specificazione al Libro Bianco del 2001. In
particolare: il limite temporale entro il quale concludere i progetti è spostato dal 2010 al
2020; viene presentato un elenco di 30 progetti prioritari adattato alle dimensioni dell’UE
allargata che, oltre ad includere i 14 progetti individuati nella decisione 1692 comprende le
autostrade del mare ed il progetto Galileo; gli Stati membri dovranno attuare la valutazione
ambientale dei piani e dei programmi in conformità della direttiva 2001/42/CE concernente
la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente al fine di
garantire, tra l’altro, un coordinamento adeguato, di evitare la duplicazione degli sforzi e di
realizzare una semplificazione ed accelerazione dei processi di pianificazione per i progetti
ed i corridoi transfrontalieri; si crea una rete transeuropea delle autostrade del mare che
intende concentrare i flussi di merci su percorsi logistici basati sulla modalità marittima con
lo scopo di ridurre la congestione stradale e di migliorare l’accessibilità delle aree insulari e
periferiche. Le autostrade del mare potranno includere il trasporto combinato di merci e
persone, a condizione che le merci rivestano un ruolo predominante; la Commissione,
d’accordo con gli Stati membri e previa consultazione del Parlamento, designa un
coordinatore europeo al fine di facilitare l’attuazione di determinati progetti di interesse
europeo, ed in particolar modo dei progetti transfrontalieri o sezioni transfrontaliere degli
stessi; i progetti prioritari individuati vengono dichiarati di interesse europeo.
L’introduzione di tale concetto implica un trattamento prioritario per quanto concerne le
procedure finanziarie e di autorizzazione e concentra su tali progetti le risorse disponibili
tramite i diversi strumenti finanziari comunitari previsti per le reti; le sezioni transfrontaliere
sono considerate sezioni indivisibili dal punto di vista tecnico e finanziario nei confronti
delle quali gli Stati membri si impegnano congiuntamente e predispongono una struttura
comune.
Il costo stimato di realizzazione di tutti i progetti proposti dalla Commissione è di circa 220 miliari
di euro fino al 2020, 80 dei quali saranno spesi entro il 2006 per i progetti più maturi. Il 20%
dell’importo totale potrebbe essere finanziato dal settore privato, mentre il resto dovrà provenire dai
bilanci nazionali e da quello della Comunità, in particolare nel quadro delle prospettive finanziarie
dopo il 2006. Il costo totale di realizzazione della rete transeuropea di trasporto, compresi i progetti
di interesse comune non classificati come prioritari (ma escluso l’importo necessario per realizzare
le autostrade del mare, non ancora noto), corrisponde a 600 miliardi di euro. L’esecuzione dei
progetti prioritari dovrebbe consentire risparmi di tempo per un valore di 8 miliari di euro l’anno,
contribuire a ridurre l’aumento dell’inquinamento dovuto ai trasporti, favorire un assetto territoriale
equilibrato e migliorare il potenziale di crescita dell’UE.

Il Libro Verde sui porti e sulle infrastrutture marittime

Negli ultimi anni l’UE ha dedicato molta attenzione al sistema della mobilità di merci e passeggeri
sottolineando che i porti costituiscono i nodi cruciali di network complessivo. In particolare il Libro
Verde del 1997 colloca i porti e l’intero settore portuale al centro della politica europea dei
trasporti. La scelta di razionalizzare lo sviluppo dei porti, soprattutto di quelli definiti strategici, è
dovuta alla consapevolezza dell’importanza che essi hanno per lo sviluppo della rete transeuropea,
per il raggiungimento dell’obiettivo di maggiore e migliore accessibilità alle e dalle regioni
periferiche e, in un’ottica di economica globalizzata, per il mantenimento delle condizioni di
effettiva concorrenza nei mercati internazionali. Il Libro Verde è un documento elaborato dalla
Commissione allo scopo di avviare il processo di consultazione su specifici argomenti nell’ambito
della Comunità. Alla pubblicazione del Libro Verde segue spetto quella di un Libro Bianco in cui le
consultazioni effettuate si traducono in concrete proposte d’azione.
In passato i porti erano considerati come soggetti che offrivano servizi di interesse economico
generale di competenze del settore pubblico; nella nuova visione, i porti diventano operatori di
natura commerciale, che sottostanno alle regole del mercato, per operare efficientemente e
recuperare i propri costi dai beneficiari diretti delle infrastrutture. Il nuovo ruolo dei porti nella
visione europea, fa si che ogni disomogeneità nell’organizzazione e nella regolamentazione dei
porti dei paesi membri, costituisca un ostacolo all’inserimento del settore portuale nella logica del
mercato. Per contrastare ogni diversità organizzativa, la Commissione Europea evidenzia come
l’armonizzazione della gestione e delle tariffe dei porti europei, sia lo strumento a garanzia della
libera ed equa concorrenza, sia tra operatori portuali, sia nei confronti delle diverse modalità di
trasporto concorrenti.
Il disegno comunitario per i porti e le infrastrutture prevede l’uniformità dei mercati, la
concorrenza, le scelte di mercato ed onere del loro finanziamento. Tutto questo determina
l’applicazione del principio che “chi usa paga” e della tariffazione al costo sociale marginale.
Dai contenuti del Libro Verde, si possono individuare tra filoni principali:
a) il ruolo dei porti all’interno della politica comune dei trasporti;
b) i sistemi di finanziamento e metodi di tariffazione per i porti e le infrastrutture marittime;
c) organizzazione ed accesso al mercato dei servizi portuali.
Per quanto riguarda il ruolo dei porti all’interno della politica comune dei trasporti, il Libro Verde
riconosce che, nonostante per lungo tempo il settore portuale non sia stato al centro della politica
comune dei trasporti, il ruolo fondamentale svolto dai porti all’interno della rete transeuropea dei
trasporti è garanzia di integrazione dei diversi modi in un unico sistema, a condizione di garantire
l’interoperabilità e l’interconnessione tra i segmenti che lo compongono; è utile, quindi, un sistema
informativo comune, la riduzione delle procedure amministrative, la normalizzazione delle unità di
carico. Il Libro Verde evidenzia l’essenzialità dei trasporti intermodali per la politica comune dei
trasporti a favore della mobilità sostenibile, sottolinea l’importanza della sicurezza marittima,
propone soluzione per migliorare l’integrazione delle considerazioni di carattere ambientale nella
pianificazione dello sviluppo dei porti e sottolinea che, anche nell’ambito dei programmi di ricerca
e sviluppo, la Commissione sostiene progetti marittimi e progetti relativi ai porti.
In merito ai sistemi di finanziamento e di tariffazione per i porti e le infrastrutture marittime, il
Libro Verde sottolinea la necessità di riorientare la politica europea in materia di aiuti di Stato
applicabili al settore dei trasporti marittimi, e propone un sistema comunitario di tariffazione dei
servizi portuali. Il Libro Verde specifica, inoltre, che l’applicazione di un tale approccio dovrà
essere graduale ed essere inserito nell’ambito dell’elaborazione di un più ampio e generale
approccio alla tariffazione ed al finanziamento delle infrastrutture per tutti i modi di trasporto. Solo
in questo modo, si potrà arrivare all’adozione di un sistema dotato di una certa flessibilità, in modo
da soddisfare le esigenze specifiche dei diversi porti dell’UE.
Per ciò che attiene all’organizzazione ed accesso al mercato dei servizi portuali, a questo proposito
si ritrovano, nel Libro Verde, le considerazioni secondo le quali risulta auspicabile un quadro
normativo a livello comunitario inteso ad una liberalizzazione più sistematica del mercato dei
servizi portuali, al fine di istituire condizioni di concorrenza eque tra i porti della Comunità ed
all’interno dei porti stessi, garantendo il rispetto delle norme di sicurezza portuale e marittima.
Gli argomenti trattati dal Libro Verde fanno parte del generale risveglio di interesse sulle tematiche
portuali, sia in ambito politico, operativo e legislativo, e che vedono la portualità, tradizionalmente
condizionata da un carattere marcatamente pubblico, subire profonde trasformazioni collegate al più
ampio contesto di privatizzazione delle attività economiche, in un’ottica di riduzione dell’intervento
del settore pubblico nell’economia e di ritorno ai principi della libera concorrenza.
Nel 2001 il dibattito innescata dalla pubblicazione del Libro Verde del 1997, è sfociato in un
pacchetto di misure presentato dalla Commissione europea il 14 febbraio 2001, prima del Libro
Bianco, indicato come Port Package. In particolare tale pacchetto prevede:
a) una comunicazione intitolata “migliorare la qualità dei servizi nei porti marittimi: un
elemento determinante del sistema dei trasporti in Europa”, sul rafforzamento della qualità
dei servizi portuali;
b) una relazione sulle prassi di finanziamento dei porti e di riscossione dei diritti portuali
nell’Unione, nonché una breve rassegna delle regole comunitarie in materia di trasparenza
dei flussi finanziari pubblici e degli aiuti di Stato di cui beneficiano i porti;
c) una proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 2001, sull’accesso al
mercato dei servizi portuali, destinata ad influenzare pesantemente l’industria portuale e
provocare modifiche radicali nella quotidianità delle operazioni portuali.
Successivamente, sempre nel 2001, i contenuti del Libro Verde del 1997, hanno ritrovato la loro
affermazione nel Libro Bianco sulla politica dei trasporti, nel quale viene sottolineata la funzione
dei porti quali strumento fondamentale per realizzare l’auspicata traslazione tra modalità di
trasporto (modal shift), e in una proposta di modifica delle linee guida per la realizzazione della rete
transeuropea di trasporto che prevede l’inserimento dei porti secondo criteri obiettivi.

Le strategie UE di promozione del trasporto marittimo

Nel Libro Bianco sui trasporti del 2001, quale naturale prosecuzione del Libro Verde del 1997 in
materia di porti ed infrastrutture marittime, la Commissione europea propose lo sviluppo delle
autostrade del mare come una vera alternativa alla continua crescita del trasporto terrestre. Con
l’emanazione della decisione 884/2004 che modifica la 1692/1996, le autostrade del mare entrano a
far parte, a tutti gli effetti, delle Reti transeuropee di trasporto. Il progetto prioritario n.21, contenuto
nella decisione 884/2004, evidenzia quattro corridoi principali all’interno dei quali sviluppare le
proposte di autostrade del mare. Tali progetti rientrano nei cosiddetti “quick start project” e sono
destinati a ricevere particolari attenzioni da parte della Commissione e, di conseguenza, una linea
privilegiata per il loro funzionamento.
Il concetto di autostrade del mare introduce in Europa nuove catene logistiche basate sul trasporto
marittimo in grado di provocare cambiamenti strutturali nell’organizzazione dei trasporti. Il nuovo
sistema di trasporto basato sulle autostrade del mare è inteso come un sistema più sostenibile ed
efficiente dal punto di vista commerciale, rispetto al trasporto puramente stradale. La condizione
essenziale affinché le autostrade del mare accrescano le possibilità di accesso al mercato di tutta
l’Europa, portando sollievo ad un sistema stradale ormai al collasso, è sfruttare appieno le
potenzialità del settore marittimo ma anche quelle delle altre modalità di trasporto, realizzando così
un’efficiente catena logistica intermodale. Le principali rotte di autostrade del mare sono:
a) l’autostrada del Mar Baltico;
b) l’autostrada del Mare dell’Europa Occidentale;
c) l’autostrada del Mare dell’Europa Sud Orientale;
d) l’autostrada del Mare dell’Europa Sud Occidentale.
L’adozione dell’art.12 bis delle Linee guida per le TEN – T del 2004, individua tre obiettivi
principali per i progetti in questo settore:
a) la concentrazione dei flussi di traffico merci ed anche passeggeri sulla modalità di trasporto
marittima;
b) l’aumento della coesione tra gli Stati membri; nei progetti di autostrade del mare devono
essere coinvolti almeno due Stati europei;
c) la riduzione della congestione stradale, attraverso lo spostamento dei flussi di traffico verso
altre modalità di trasporto.
I presupposti per rendere le autostrade del mare un successo, sono, secondo la Commissione
Europea, i seguenti;
a) decidere a priori quali porti, quali corridoi intermodali e quali servizi rientrano nei progetti,
al fine di ottenere la necessaria concentrazione dei flussi di traffico;
b) tutti gli attori della catena logistica devono essere coinvolti ed impegnati in questi progetti;
c) nella realizzazione dei progetti devono essere utilizzate le migliori tecnologie nella catena
logistica, al fine di rendere le autostrade del mare attrattive per i possibili utilizzatori.
Un’altra delle strategie proposte dall’UE per il settore portuale è quella che fa riferimento al
trasporto marittimo a corto raggio. Stimolare la crescita del trasporto marittimo a corto raggio è uno
degli obiettivi della politica dei trasporti dell’Unione fin dal 1995, formalizzato dalla
comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e
sociale ed al Comitato delle regioni, con lo “sviluppo del trasporto marittimo a corto raggio in
Europa: sfide e prospettive”. Tale obiettivo costituisce un altro aspetto fondamentale della strategia
globale delineata dal Libro Bianco sulla politica dei trasporti del 2001 di creare un sistema di
trasporti sostenibile, sicuro ed efficiente. Il trasporto marittimo a corto raggio, il cosiddetto Short
Sea Shipping (SSS), è già una componente rilevante del trasporto intra – comunitario, essenziale per
i collegamenti con le isole e le regioni periferiche, e sarà sicuramente potenziato conseguentemente
alla realizzazione delle autostrade del mare, nell’ambito della rete di trasporto transeuropea. Lo SSS
può rappresentare la tratta principale di un traffico intermodali regionale, oppure può essere un
traffico feeder di un ciclo hub and spoke basato sul DSS (Deep Sea Shipping). Nel primo caso lo
SSS introduce un’opzione intermodali in competizione con il trasporto terrestre mentre, nel
secondo, il ciclo marittimo hub and spoke è una soluzione monomodale in cui lo SSS compete con
il trasporto terrestre nel tratto feeder.
La Commissione europea ha inoltre l’obiettivo di rimuovere gli ostacoli di ordine tecnico ed
amministrativo che ancora frenano il pieno sviluppo dello SSS. L’identificazione di tali ostacoli è
iniziata, già dal 1999, con un vasto censimento degli stessi a livello europeo, in collaborazione con
gli Short Sea Shipping Focal Points e con l’industria. Tale censimento ha anche lo scopo di studiare
le possibili soluzione ai diversi problemi riscontrati a livello commerciale, locale, regionale,
nazionale o comunitario. Le misure, specifiche per il settore dello SSS, mirano a semplificare le
procedure documentarie e quelle doganali. Più in generale, diversi aspetti della strategia dell’UE nel
settore dei trasporti, saranno di supporti allo sviluppo della navigazione marittima a corto raggio
accrescendo l’efficienza e la trasparenza delle procedure nei porti, migliorando i collegamenti
interni, favorendo lo sviluppo dei servizi intermodali ed un’appropriata ripartizione degli oneri per
l’uso delle infrastrutture.

Potrebbero piacerti anche