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534
Viktor Borisovič Šklovskij
A cura di
Maria Zalambani
Note di
Aleksandr Galuškin e Vladimir Nechotin
Sellerio editore
Palermo
2002 © Sellerio editore via Enzo ed Elvira Sellerio 50 Palermo
2021 Quarta edizione
e-mail: info@sellerio.it
www.sellerio.it
Titolo originale: Zoo ili pis’ma ne o ljubvi
Traduzione di Maria Zalambani
Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.
È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
EAN 9788838942761
Ambiguità di un discorso amoroso
di
Maria Zalambani
Il linguaggio è una pelle: io sfrego il mio linguaggio
contro l’altro. È come se avessi delle
parole a mo’ di dita, o delle dita sulla punta
delle mie parole. Il mio linguaggio freme di
desiderio.
R. BARTHES, Frammenti di un discorso amoroso
Sapere che non si scrive per l’altro, sapere che le cose che sto per
scrivere non mi faranno mai amare da chi io amo, sapere che la scriura
non compensa niente, non sublima niente, che è precisamente là dove tu
non sei: è l’inizio della scriura (Barthes 1979: 185).
Non va da nessuna parte la Berlino russa. Non ha destino.
Nessuna trazione.
Zoo, 1923, leera 17
Anche lui sente che la Berlino russa non ha destino, che l’emigrazione
uccide l’animo russo.
A Berlino si trova anche Belyj, il famoso scriore simbolista, uomo dal
«metodo solido», colui che all’inizio del secolo, assieme a Remizov e
Rozanov, aveva inaugurato una nuova prosa «emotiva», spesso orientata
sulla lingua orale, quella prosa ornamentale di cui si stava appassionando
Šklovskij in quegli anni, intravvedendovi la possibilità di uscire dagli
schemi classici di una tradizione ormai obsoleta. Sulla scia del formalismo,
Šklovskij cerca ovunque elementi innovativi, che sconvolgano l’ordine
costituito, che sconfessino la tradizione, per meere alla prova esperimenti
sempre nuovi. Ecco perché i suoi interessi si rivolgono ad un autore come
Chlebnikov (poeta sperimentatore per eccellenza, inventore della lingua
transmentale), o a quei prosatori che perpetuano nel nuovo secolo il filone
della prosa emotiva inaugurato da Gogol’ nel secolo precedente.
Molti degli incontri di Šklovskij con l’intelligencija russa avvengono a
Berlino, altri nel piano dell’irrealtà, in quello della memoria, in un altrove
così lontano e, contemporaneamente, vicino quale la Russia, la sua Russia,
assente, ma sempre presente nei suoi pensieri. È su questo piano che
avviene l’incontro con Chlebnikov, il poeta da lui più amato e ormai
scomparso, la cui presenza aleggia lungo tue le pagine di Zoo. Con un
salto indietro della memoria viene dipinto anche Remizov, intento a fare i
conti con i problemi di tui i giorni in una Pietroburgo aanagliata dal
morso della fame e del freddo nel 1919, e contemporaneamente
menzionato come inventore di quell’ideale Ordine delle Scimmie (una
sorta di società massonica, in odore swiiano, di cui fa parte anche
Šklovskij) che, un po’ sprezzante della banalità umana, si erge al di sopra
di essa per qualità sia morali che intelleuali. Con l’occhio rivolto al
passato, Šklovskij ricorda e rimpiange Roman Jakobson, l’amico, il fratello,
il collega con il quale ha posto le basi del formalismo in patria e che ha
scelto una diversa via d’emigrazione, quella della Cecoslovacchia.
Nonostante le richieste insistenti di Šklovskij, Jakobson non farà più
ritorno in Russia e in esilio fonderà la sua famosa scuola struuralista, il
Circolo linguistico di Praga.
L’unico che, afferma Šklovskij un po’ ironicamente, sembra trovarsi
perfeamente a suo agio a Berlino è Il’ja Erenburg, perché possiede il
passaporto, è fornito di visti, e viaggia tranquillamente fra l’Unione
Sovietica e l’Europa: dono raro, fortuna inconsueta per il popolo degli
emigrati!
Pezzi di vita russa si compongono con quadrei di vita berlinese, i
personaggi vi si confondono, scivolando da uno sfondo all’altro. Scorrendo
questa folta galleria di volti famosi, ci sembra di percorrere un viaggio che
da Pietroburgo e Mosca ci porta a Berlino. E la via del ritorno?
Zoo di Šklovskij è un’opera «al limite».
JU. TYNJANOV, Literaturnoe segodnja, 1924
MARIA ZALAMBANI
* Cfr. n. 85 di Zoo.
* È l’epiteto che l’autore utilizza per la prosa di Rozanov (Šklovskij 1925: 163 [Trad. it.: 273]).
Zoo o leere non d’amore
Dedico «Zoo» a Elsa Triolet e
aribuisco al libro il nome di
«Terza Eloisa»1
Prefazione dell’autore
esto libro è stato scrio nel modo seguente. Inizialmente avevo pensato
di fornire una serie di schizzi della Berlino russa, poi mi è parso interessante
collegarli con una sorta di tema comune. Come tema ho preso Il serraglio
(zoo), il titolo del libro era già nato, ma i pezzi non erano collegati. Mi è
venuta l’idea di farne qualcosa di simile a un romanzo in leere.
Per un romanzo in leere è indispensabile una motivazione: per quale
motivo delle persone dovrebbero scriversi? La motivazione solita è data
dall’amore e dalla separazione. Ho preso questa motivazione in un suo caso
particolare: le leere vengono scrie da un uomo innamorato ad una donna
che non ha tempo per lui. A questo punto si rendeva necessario un nuovo
deaglio: dal momento che la maggior parte del materiale del libro non
riguardava l’amore, ho introdoo il divieto di scrivere d’amore. Il risultato è
stato ciò che ho espresso nel sootitolo: Leere non d’amore.
A questo punto il libro ha cominciato a scriversi da solo; richiedeva di
collegare il materiale, esigeva cioè una linea lirico-amorosa e una linea
descriiva. Docile al volere del materiale, ho collegato questi elementi
comparandoli: così tue le descrizioni si sono rivelate metafore amorose.
La donna a cui sono indirizzate le leere ha assunto una fisionomia, la
fisionomia di una persona di diversa cultura, in quanto non c’è motivo di
inviare leere descriive ad una persona della tua cultura. Avrei potuto
introdurre un intreccio, per esempio: alcune descrizioni del destino dell’eroe.
Ma nessuno rende omaggio agli idoli che lui stesso ha creato. Verso un
intreccio di tipo comune ho lo stesso aeggiamento che un dentista ha verso i
denti.
Ho costruito questo libro sulla disputa fra popoli di due diverse culture; gli
eventi citati nel testo hanno solo la funzione di materiale metaforico.
esto è il consueto procedimento delle opere erotiche, in cui si nega la
serie reale e si afferma quella metaforica. Confrontate con le Fiabe russe
proibite.*
V.B.Š.
O Giardino, Giardino!
Dove il ferro è simile a un padre, il quale rammenti ai fratelli che sono
fratelli e interrompa una mischia cruenta.
Dove i tedeschi vanno a bere birra.
E le cocoes a vendere il corpo.
Dove le aquile seggono simili a un’eternità conclusa da un oggi ancor
privo di sera.
Dove il cammello conosce la soluzione del Buddismo e ha celato la
smorfia della Cina.
Dove il cervo è soltanto tremore fiorente come una pietra spaziosa.
Dove i panni degli uomini sono sgargianti. E i tedeschi crepano di
salute.
Dove il nero sguardo del cigno, che è tuo simile a un inverno, ma ha il
becco come un boscheo autunnale, è alquanto cauto per lui stesso.
Dove un turchino ganimede lascia cader giù la coda, simile ad una
Siberia vista dal sasso di Pavda, quando sull’oro del rogo e sul verde del
bosco è geata una rete turchina di nubi, e tuo questo variamente
sfumato dalle disuguaglianze del suolo.
Dove le scimmie variamente si indispeiscono e mostrano le estremità
del torso.
Dove gli elefanti, aggrinzandosi come si aggrinzano durante un
terremoto le montagne, chiedono cibo a un bambino, immeendo un
vetusto significato nella verità: – Da mangiare, houua! Da mangiare! – e si
accovacciano, come se chiedessero l’elemosina.
Dove gli orsi agilmente si arrampicano e guardano in basso, aspeando
gli ordini del guardiano.
Dove i pipistrelli pendono allo stesso modo che il cuore d’un russo
contemporaneo.
Dove il peo del falco rammenta i cirri prima dell’uragano.
Dove un uccello, volando basso, si trae dietro un tramonto con tui i
carboni del suo incendio.
Dove nel volto d’una tigre, incorniciato da bianca barba e con gli occhi
d’un musulmano aempato, onoriamo il primo maomeano e leggiamo
l’essenza dell’Islam.
Dove noi cominciamo a pensare che le fedi siano fioi spegnentisi di
onde, il cui impeto sono le specie.
E che al mondo sono così numerose le bestie, perché in modi diversi
esse sanno vedere Dio…
Dove lo sparo di cannone del mezzogiorno costringe le aquile a
guardare il cielo in aesa dell’uragano.
Dove le aquile cadono dagli alti staggi, come idoli durante il terremoto
dai templi e dai tei degli edifici…
Dove le anatre d’una stessa razza levano un urlo unanime dopo una
breve pioggia, come officiando un Te Deum di ringraziamento a una
divinità – se ha gambe e becco – anatresca.
Dove le faraone argento-cenere hanno l’aspeo delle orfane di Kazan!
Dove nell’orso malese rifiuto di conoscere un conterraneo del Nord e
smaschero un mongolo dissimulato.
Dove i lupi esprimono zelo e devozione.
Dove, entrando nell’eremo afoso dei pappagalli, sono assalito
dall’unanime saluto «grruullo!»
Dove il grasso lucente tricheco scrolla, come una stanca bellezza, la
sdrucciolevole nera gamba ventagliforme e poi salta in acqua, e quando
ritorna a rotolarsi sul palco, sul suo pingue corpo massiccio appare la testa
di Nietzsche coi pungenti capelli a spazzola e la liscia fronte.
Dove la mandibola d’un bianco lama slanciato dagli occhi neri e quella
di un bufalo di piae corna si muovono regolarmente a destra e a sinistra,
come la vita d’un paese con una rappresentanza popolare e un governo
responsabile verso di essa – sospirato eden di tanti!
Dove il rinoceronte porta negli occhi biancorossi l’inestinguibile furia
d’uno zar deposto, e unica fra tue le bestie, non nasconde il proprio
disprezzo per gli uomini, come per una sommossa di schiavi. E in lui s’è
celato Ivan il Terribile.
Dove i gabbiani dal lungo becco e il freddo occhio azzurro, come orlato
da occhiali, hanno l’aspeo di affaristi internazionali, del che troviamo
conferma nell’arte con cui essi afferrano al volo il cibo geato alle foche.
Dove, ricordando che i russi celebravano i loro condoieri sagaci col
nome di falco, e ricordando che è identico l’occhio del cosacco e di questo
uccello, noi cominciamo a sapere chi fossero i maestri dei russi nell’arte
bellica.
Dove gli elefanti hanno obliato i loro urli di tromba ed emeono un
urlo, come se si lagnassero del mal di pancia. Forse, vedendoci troppo
meschini, cominciano a ritenere un indizio di buon gusto l’emeere suoni
meschini? Non so.
Dove nelle bestie periscono splendide possibilità, come un Canto della
schiera di Igor inscrio in un Libro d’Ore.
VELEMIR CHLEBNIKOV
Scria a Berlino, da una donna alla sorella che vive a Mosca.3 La sorella è
molto bella, con gli occhi che brillano. La leera serve da introduzione.
Ascoltate questa voce tranquilla!
7 febbraio
Leera seconda
Cara Alja,
non ti vedo già da due giorni.
Telefono. L’apparecchio geme, come se avessi calpestato qualcuno.
Riesco a trovarti; tu sei impegnata di giorno e di sera.
Scrivo di nuovo. Ti amo molto.
Tu sei la cià nella quale vivo, tu sei il nome del mese e del giorno.
Nuoto, salato e appesantito dalle lacrime, quasi senza emergere
dall’acqua.
Sembra che presto annegherò, ma anche là, so’acqua, dove il telefono
non suona e non giungono le voci, dove è impossibile incontrarti, io ti
amerò.
Io ti amo, Alja, e tu mi costringi a restare appeso sul predellino della tua
vita.
Mi si gelano le mani.
Non sono geloso della gente, sono geloso del tuo tempo. Non posso
stare senza vederti. Ma che ci posso fare, dal momento che nulla può
sostituire l’amore?
Tu non conosci il peso delle cose. Tui gli uomini sono uguali davanti a
te, come davanti a Dio. Ma che ci posso fare? Io ti amo tanto.
All’inizio mi piegavo verso di te come sul vagone, per il sonno, si ripiega
il capo di un passeggero sulla spalla del vicino.
Poi non ho più potuto staccare gli occhi da te.
Conosco la tua bocca, le tue labbra.
Ho avvolto tua la mia vita aorno al pensiero di te. Non credo che tu
sia una persona estranea, dunque, guarda verso di me.
Ti ho spaventata con il mio amore; all’inizio, quando ero ancora allegro,
ti piacevo di più. È colpa della Russia, mia cara. Noi abbiamo un’andatura
pesante. Ma in Russia io ero forte, mentre qui ho cominciato a piangere.
4 febbraio
Leera terza
Mio caro, mio amato. Non scrivermi d’amore. Non devi. Io sono molto
stanca. Io, come tu stesso hai deo, ho la schiena a pezzi. Ciò che ci divide
è la vita quotidiana. Io non ti amo e non ti amerò. Ho paura del tuo amore;
prima o poi mi offenderai, per il fao che adesso mi ami tanto. Non
lamentarti così spaventosamente, tu mi sei comunque caro. Non
spaventarmi. Mi conosci così bene, eppure fai di tuo per spaventarmi, per
allontanarmi da te. Forse il tuo amore è grande, ma non è gioioso.
Tu mi sei necessario, tu sai tirar fuori il mio vero io.
Non scrivermi soltanto del tuo amore. Non farmi scenate tremende al
telefono. Non infuriarti. Tu riesci ad avvelenare le mie giornate. Io ho
bisogno della libertà, non voglio che nessuno osi chiedermi nulla.
E tu esigi da me tuo il mio tempo. Sii leggero, diversamente fallirai in
amore. Ma tu, di giorno in giorno, diventi sempre più triste. Mio caro, devi
prenderti un periodo di riposo.
Scrivo a leo, perché ieri sera ho ballato. Ora vado a fare un bagno.
Forse oggi ci vedremo.
ALJA
5 febbraio
Leera quarta
VELEMIR CHLEBNIKOV,
PRESIDENTE DEL GLOBO TERRESTRE.14
Gli animali nelle gabbie dello Zoo non hanno un aspeo troppo infelice.
Danno persino alla luce dei piccoli.
Dei cani hanno fao da balia a dei leoncini, ed i leoncini ignoravano la
loro nobile origine.
Giorno e noe, nelle gabbie, le iene correvano da una parte all’altra
come i trafficanti del mercato nero.39
Le quaro zampe della iena sono collocate molto vicino al bacino.
I leoni adulti si annoiavano.
Le tigri si muovevano avanti e indietro, lungo le inferriate della gabbia.
Gli elefanti emeevano un fruscio con la loro pelle.
I lama erano molto belli. Con un abito caldo, di lana ed il capo leggero.
Ti somigliano.
In inverno, è tuo chiuso.
Dal punto di vista degli animali, la differenza non è considerevole.
È rimasto l’acquario.
I pesci nuotano nell’acqua azzurra, illuminata dalla luce elerica e
simile ad una limonata.
Ma, da dietro ai vetri, è davvero orribile. C’è un alberello dai rami
bianchi, che li muove silenziosamente. Che bisogno c’era di creare una tale
noia sulla terra? Non hanno venduto la scimmia antropomorfa, ma
l’hanno collocata al piano superiore dell’acquario. Tu sei molto occupata,
talmente occupata, che io ho a disposizione tuo il mio tempo. Vado
all’acquario.
Non ne ho bisogno. Lo Zoo mi potrebbe servire per dei parallelismi.
La scimmia, Alja, più o meno è della mia statura, ma più larga di spalle,
gobba e ha le braccia lunghe. Non ha l’aria di essere in gabbia.
Nonostante il pelo ed il naso, che sembra roo, mi ricorda un detenuto.
E la gabbia non è una gabbia, ma una prigione.
La gabbia è doppia, ma non ricordo se fra le inferriate passi o meno una
sentinella. L’antropoide (è un maschio) si annoia tuo il giorno. Alle tre
gli portano il cibo. Lui mangia dal piao. Alle volte, dopo mangiato, si
occupa di noiosi affari scimmieschi. È un oltraggio e una vergogna.
Lo trai come una persona e lui è uno svergognato.
Il resto del tempo la scimmia si arrampica per la gabbia guardando il
pubblico di sbieco. Non sono sicuro che abbiamo il dirio di tenere questo
nostro lontano parente in prigione senza giudizio.
E dov’è il suo console?
Probabilmente si annoia, la scimmia, lontano dalla foresta. Gli uomini le
sembrano spiriti maligni. E tuo il giorno prova nostalgia questo povero
straniero nello Zoo interno.
Per lui non pubblicano neppure un giornale.
Leera seima
Di cosa posso scrivere! Tua la mia vita è una leera indirizzata a te.
Gli incontri sono sempre più rari. ante parole semplici ho compreso:
mi struggo, ardo, perisco, ma MI STRUGGO sono le parole che comprendo
meglio.
D’amore non posso scrivere. Scriverò di Zinovij Gržebin, l’editore. Mi
sembra che il tema sia abbastanza estraneo.
Nel ritrao di Jurij Annenkov,41 Zinovij Isaevič Gržebin ha il viso di un
rosa delicato, un colore molto commestibile.
In realtà Gržebin è più pallido.
Nel ritrao il viso ricorda la carne; o piuosto fa venire in mente degli
intestini pieni di cibo. In realtà Gržebin è più sodo, più forte e lo si
potrebbe paragonare ad un aerostato a struura semirigida. ando non
avevo ancora trent’anni e non conoscevo ancora la solitudine, e non
sapevo di quanto la Sprea fosse più strea della Neva, e non stavo alla
pensione Marzahn, la cui proprietaria non mi permee di cantare mentre
lavoro di noe, e non tremavo quando suonava il telefono, quando la vita
non mi aveva ancora chiuso in faccia la porta della Russia, quando
pensavo che la storia si sarebbe spezzata contro il mio ginocchio, quando
mi piaceva correre dietro al tram,
Così, ti scrivo una leera. Caro, piccolo tartaro, grazie per i fiori.
La stanza è tua profumata, odorosa; non sono andata a dormire, tanto
mi spiaceva abbandonarli.
In questa assurda stanza con le colonne, le armi, la civea, mi sento a
casa.
Sento miei il tepore, l’odore e il silenzio.
Li porto con me, come il riflesso nello specchio: esci, e svaniscono, torni,
dai un’occhiata ed eccoli lì, di nuovo.
E non riesci a credere che solo grazie a te vivano nello specchio.
Ciò che ora desidero più di ogni cosa è che sia estate, che tuo ciò che è
stato, non sia mai esistito.
Che io sia giovane e forte.
Allora di questo incrocio fra un coccodrillo e un bambino resterebbe
solo il bambino, ed io sarei felice.
Non sono una donna fatale; sono Alja, rosea e paffuta.
Ecco tuo.
ALJA
Ti bacio, dormo
Leera nona
Su tre occupazioni che mi sono state affidate, sulla domanda «mi ami?»,
sul mio capoguardia, su come è fao il Don Chiscioe.47 Poi la leera parla
di un grande scriore russo e termina con un pensiero sulla durata del
servizio.
In cui si parla di una donna che sceglie un abito e di oggei dotati di mani.
Vi si annota un equivoco riguardo ai frac. Ma il contenuto principale della
leera consiste nel raccontare come una volta, nel cappello di Pëtr
Bogatyrëv,55 sia comparsa una banconota, come lui riuscisse a non piangere a
Mosca e come sia scoppiato in pianto in un ristorante di Praga.
Caro, sono seduta sul divano che tu non ami e capisco quanto sia bello
stare al caldo, comodi e senza provare alcun dolore fisico.
Tue le cose hanno l’aspeo silenzioso e reticente delle persone ben
educate.
I fiori dicono apertamente: «Noi sappiamo, ma non parleremo»; ma che
cosa loro sappiano, non si sa!
Una montagna di libri, che potrei leggere e non leggo; il telefono, col
quale potrei telefonare e non telefono; il pianoforte, che potrei suonare e
non suono; le persone, che potrei vedere e non vedo e te, che dovrei amare
e non amo.
Ma senza libri, senza fiori, senza pianoforte, senza te, mio caro, quanto
piangerei.
Mi sono appena acciambellata e, come una vera donna orientale,
medito:
Osservo aentamente il disegno sciocco e ripetitivo della stufa;
assurdamente imito una teiera: un braccio sul fianco, l’altro piegato, come
il becco della teiera, e mi rallegro di questa somiglianza, stringo gli occhi
guardando un arbusto di azalee bianche che, per qualche ragione, sta
tremando.
Non sogno e non penso a nulla.
Caro, io non ti faccio del male, ti prego, non pensare che ti voglia far del
male. Capisco che comincio a sembrarti presuntuosa; no, io so che non
valgo nulla, non vale la pena di insistere su questo.
Gli acquisti giacciono impaccheati sul tavolo.
Non molto tempo fa sarei arrivata a casa e mi sarei svestita per provare
la nuova camicia da noe; adesso, invece, resta lì, avvolta nella carta.
ALJA
Leera diciasseesima
Caro,
mi piace ricordare Tahiti, ma ne parlo malvolentieri. Mia madre diceva
sempre che io ho un aeggiamento poco intelligente verso gli eventi del
mondo circostante: io non so quanti abitanti ha Tahiti, bianchi o neri,
quanti chilometri ha di circonferenza, non conosco l’altezza delle sue
montagne. Semplicemente sogno di tornare su quell’isola amata, al suo
mare fantastico. L’acqua è azzurra, sembra inchiostro colorato, la barriera
corallina circonda l’isola, le onde si infrangono con un rumore familiare e
la schiuma forma un’enorme ghirlanda bianca, mai avvizzita; un fiore
bianco (il tiare)96 dietro l’orecchio di un viso scuro e sorridente, e la
vaniglia emanano un odore continuo; i granchi vanno su e giù, di traverso,
lungo la riva; il sole tramonta dietro Moorea. Conosco, vedo, sento tuo
ciò.
Tra l’altro, questo non c’entra; io ti volevo raccontare di Tanjuša.
Andrej97 mi aveva regalato una minuscola cavallina. A dispeo
dell’equatore, della temperatura e delle noci di cocco, l’avevo chiamata
Tanjuša. Fui molto felice quando il vecchio, nero Tapu la chiamò
«Tanjusa». Mi occupavo io stessa di lei, la pulivo, le davo da mangiare e da
bere. Anche lei provava simpatia per me. Veniva alla terrazza in cerca di
banane e nitriva delicatamente. ando Tanjuša si mise in carne e divenne
lucida e bella, il suo caraere mutò bruscamente: non voleva che la
montassero e non appena lo facevi, cominciava a rigirarsi da tue le parti,
a indietreggiare, senza fare caso a cosa si trovasse dietro di lei: acqua, uno
steccato pungente o delle persone. Alla fine fuggì nel cuore dell’isola; valla
a trovare! Andrej, per l’appunto, non c’era; andava spesso a visitare le
altre isole e nella mia stanza da leo c’erano cinque porte e una finestra!
Tuo spalancato! Le noi a Tahiti sono così silenziose, intense, così vivide
che persino i neri, di noe, non si allontanano di casa per nessuna ragione.
Ero istupidita dalla paura, fino alle lacrime. Infine, mi venne in mente di
meere Tapu davanti alla porta. Subito dopo la fuga di Tanjuša, piansi
tua la noe. Piangevo spesso a quel tempo. Tapu mi udì e pensò che
avessi paura; mio marito sarebbe tornato e mi avrebbe picchiato perché la
cavalla era scomparsa. Il maino mi dice: «Non piangere, io troverò
Tanjuša e il tuo tane (marito) non ne saprà nulla». Spedì degli allegri
negrei in tue le direzioni e Tanjuša ritornò al suo posto.
ando Andrej tornò e seppe della fuga, la vendee immediatamente.
Lui si comportava con gli animali come con gli uomini e trovava che
l’ingratitudine che lei aveva mostrato fosse così profonda, da non poter
essere tollerata. Caricarono Tanjuša sul vaporeo e la portarono da un
inglese, sull’isola di Moorea. Poverina, come deve essere stata sballoata!
Tu scrivi di me per te stesso; io scrivo di me per te.
ALJA
Leera ventiduesima
È la risposta alla leera su Tahiti. Inizia con dei ricordi. Ricordi che
riguardano gennaio, in quanto la leera è scria a metà febbraio. Ma i
ricordi sembrano già inaendibili. Un secolo fa l’elericità e lo shimmy
accelerarono il ritmo della vita. La leera termina con un tentativo di
scrivere una dedica; gli ultimi paragrafi della leera, vengono forniti come
un tentativo di stile patetico. Considerateli così.
(La seconda leera nello stesso giorno)
Sulla maschera, sui motori a baeria, sulla lunghezza del cofano del
motore della Hispano-Suiza, sui motori a combustione interna in generale e
sul fao che l’automobile Hispano-Suiza, se fosse un essere umano,
porterebbe anelli alle orecchie. Come automobilista dirò: la leera è piena di
una furia silente e di calunnie.
Oggi mi sono svegliato nel pieno della noe. Mi ha svegliato il fao che
non capivo cosa fosse l’oggeo che tenevo in mano.
L’oggeo si è rivelato essere una maschera nera di carta, ed io ero in
mezzo alla stanza.
È evidente che farei bene a prendere un periodo di riposo per curarmi.
Parlare d’amore mi fa male. Parleremo di automobili.
È triste andare in taxi!
La cosa più triste è viaggiare con un motore elerico. Il suo cuore non
bae, è carico, pieno di pesanti accumulatori, ma se si scaricano le baerie,
lui si ferma. In vita mia, ho messo in moto molte auto; alle volte mi hanno
colpito col contraccolpo; ho chiamato al lavoro molte persone.
Alle volte, anche a Berlino, si ha voglia di meere in moto un motore
sul quale l’autista non riesce ad avere la meglio; un paio di volte l’ho fao,
ma alla terza ho sbagliato nel modo più vergognoso.
Mi ero avvicinato per meerlo in moto, ma il motore era elerico, aveva
il radiatore contraffao e, naturalmente, era senza manovella. Come
meere in moto una macchina che non ha cuore, che non si mee in
moto? Il suo aspeo era falso, come un peino o dei polsini applicati;
davanti è posto il cofano, che sembra essere lì per il motore, e che invece,
magari, contiene degli stracci.
Fingono di essere motori a combustione interna.
Poveri emigranti russi!
Il loro cuore non bae.
A Berlino non si può, è maleducato parlare a voce alta in russo, per
strada. I tedeschi quasi bisbigliano. Vivi pure, ma taci.
Come un’automobile dall’accumulatore scarico, trascinati per la cià,
senza rumore e senza speranza. Sfrua, traenendo il respiro, tuo quello
che hai e, dopo averlo sfruato, muori.
Le nostre baerie sono state caricate in Russia, qui giriamo, giriamo, ma
presto ci fermeremo. Le piastre di piombo degli accumulatori
diventeranno un semplice peso.
L’acido si inacidirà.
I giornali russi di Berlino emanano un’acre pesantezza.
Ho scrio parole acri e pesanti.
Meglio parlare di marche di automobili.
A te piace la Hispano-Suiza?
Sbagli! Non tradirti.
A te piacciono le cose care e in un negozio troveresti ciò che vi è di più
caro, anche se di noe fossero stati mischiati tui i cartellini dei prezzi. La
Hispano-Suiza? Non è una buona macchina.
Auto oneste, generose, con un’andatura sicura, sulle quali l’autista siede
di fianco, fiero della sua impotenza, sono la Mercedes, la Benz, la Fiat, la
Delaunay-Belleville, la Packard, la Renault, la Delage e la costosissima, ma
formidabile Rolls-Royce, che ha un’andatura straordinariamente agile. In
tue queste auto, la faura del telaio estrinseca la struura del motore e
della trasmissione e, inoltre, è concepita per una minore resistenza all’aria.
In genere, le macchine da corsa hanno il muso lungo e sono alte davanti;
questo si spiega col fao che, proprio una tale forma, ad alta velocità,
oppone meno resistenza all’aria. Hai notato, Alja, che un uccello vola
meendo avanti il suo largo peo e non la coda appuntita?
La lunghezza del cofano del motore è data, naturalmente, dalla quantità
dei cilindri del motore (quaro, sei, raramente oo, dodici) e dal loro
diametro. La gente è abituata alle auto col muso lungo. La Hispano-Suiza è
un’auto a corsa lunga, cioè ha un’ampia distanza fra il punto morto
inferiore e quello superiore. esta macchina ha un alto numero di giri, è
forzata, per così dire, è una macchina che annusa cocaina. Il suo motore è
alto e affusolato.
Sono fai suoi.
Comunque, il cofano della macchina è lungo.
In questo modo la Hispano-Suiza si maschera dietro al suo cofano; ci
sono quasi seanta centimetri di distanza fra il radiatore ed il motore.
esti seanta centimetri di menzogna, messi lì per gli snob, violano la
faura e mi mandano su tue le furie.
Se mai ti odierò, se mai potrò cantare:
Scomparite o sentieri,
Per i quali passeggiavo!
Davvero può essere esotico un uomo che porta anelli alle orecchie?
Secondo me, solo alle mascherate.
E con pantaloni chic, «ma troppo ampi per un uomo che si rispei». Un
uomo che porta in strada un copricapo di castoro.
E tu hai perso la testa per lui!
Che fare, Alja, da te imparo il principio della relatività.
D’altronde, ecco una fiaba.
Un eremita trasformò un topolino di cui si era innamorato (strano
amore, ma cosa non si farebbe a Berlino per solitudine) in una fanciulla.
La fanciulla non amava l’eremita. Lui era geloso di lei. Lei gli diceva:
«Ma che razza d’amore è il tuo?». La fanciulla diceva anche: «Prima di
tuo, voglio la libertà. È meglio che tu te ne vada».
L’eremita la chiamò al telefono e le disse: «Oggi, è un bel giorno!».
La fanciulla disse: «Non sono ancora vestita».
L’eremita disse: «Aspeerò. Andiamo, ti porterò per negozi».
La fanciulla fece acquisti.
Poi, l’eremita la portò fuori cià, sul Wannsee.116
Il sole era ancora alto.
Tuavia, i negozi erano molti.
Lui disse: «Vuoi essere la moglie del sole?».
In quel mentre una nuvola oscurò il sole.
La fanciulla disse: «La nuvola è più potente».
L’eremita era arrendevole, soprauo con la fanciulla.
Disse: «Se vuoi, la nuvola sarà il tuo sposo!».
In quel momento il vento scacciò la nuvola.
La fanciulla disse: «Il vento è più potente».
L’eremita cominciò ad irritarsi.
Il telefono gli aveva rovinato i nervi.
Urlò: «Ti darò in sposa al vento!».
La fanciulla, offesa, rispose: «Non ho bisogno del vento, fa caldo e non
fa corrente. esta montagna mi ripara dal vento. La montagna è più
forte».
L’eremita capì che le donne nei negozi scelgono sempre a lungo e la
fanciulla credeva di essere al negozio Marbach. Rispose pazientemente,
come un commesso: «E sia la montagna!».
A quel punto il viso della fanciulla si illuminò. Si rallegrò tua.
L’eremita credee quasi di essere felice. Lei puntò il dito verso i piedi
della montagna, e disse: «Guarda!».
L’eremita non vedeva nulla.
«Com’è bello, com’è possente, è più forte della montagna, ecco un
essere come me, e com’è vestito!».
«Ma chi?» chiese l’eremita.
«Il topolino, caro eremita!» disse la fanciulla. «Guarda, ha rosicchiato la
montagna; è già innamorato di me».
«Va bene» disse l’eremita «lui, almeno, lo amerai per davvero, e meno
male che non ti sei innamorata di un uomo uscito da un’operea».
E baciò la fanciulla-topo sulle orecchie rosee e la lasciò andare, dandole
un passaporto sorcino. Fra l’altro, con questo passaporto, si oiene la
residenza in qualunque paese.
Leera ventoesima
ALJA
Leera ventinovesima
RICHIESTA INDIRIZZATA AL
COMITATO CENTRALE ESECUTIVO PANRUSSO
Sul giapponese Taracuki e sul suo amore per Maša. Sulla triste somiglianza
degli uomini di tui i colori. Sul Fujiyama. La leera termina con un
rimprovero.
27 luglio 1928
P.S.Mi rigiro fra le introduzioni di questo libro, come un uomo che non
riesce a dormire.
Edizione del 1929
Leera ventunesima, breve
ALJA136
Edizione del 1964
Prefazione 137
Un uomo, solo, cammina sul ghiaccio,138 avvolto nella nebbia. Gli sembra
di camminare dirio. Il vento porta via la nebbia: l’uomo vede la sua meta,
le sue tracce.
Risulta che il blocco di ghiaccio, galleggiando, ha cambiato direzione: la
traccia si è aggrovigliata in un nodo; l’uomo si è perso.
Volevo vivere e decidere onestamente, senza schivare le difficoltà, ma ho
perduto la strada. Sbagliando e smarrendomi mi sono ritrovato emigrato, a
Berlino.
esta storia è narrata da me nel libro Viaggio sentimentale, che è già
stato pubblicato qui da noi due volte; non lo pubblicherò di nuovo ora.
Tuo questo è accaduto nel 1922. All’estero provavo nostalgia; dopo un
anno, grazie all’impegno di Gor’kij e di Majakovskij sono riuscito a
tornare in patria.
Il libro che ora leggerete è stato scrio a Berlino; viene pubblicato in
patria per la terza volta.
1963
Edizione del 1964
Terza introduzione
1
Il sootitolo, che si basa su un calembour anagrammatico, rimanda allo scambio epistolare fra
il filosofo e scriore medievale Pierre Abélard e la donna da lui amata, Eloisa (1132-35), nonché al
romanzo in leere di Jean-Jacques Rousseau Giulia, o La nuova Eloisa (1761).
2
Citazione quasi integrale dal poema del poeta futurista Velemir Chlebnikov (1855-1922)
Zverinec (Il serraglio), comparso nella raccolta Sadok sudej (Il vivaio dei giudici). Šklovskij commee
un’imprecisione, in quanto la raccolta uscì nell’aprile del 1910. [La traduzione qui riportata è di
A.M. Ripellino].
3
La sorella è Lili Brik (1891-1978), la donna amata dal poeta V. Majakovskij.
4
Una delle strade più alla moda di Berlino, nei pressi della quale si trova anche la Kleistraße
dove, al n. 11, visse Šklovskij appena arrivato a Berlino.
5
A quel tempo, fra i corteggiatori di Elsa Triolet (oltre a Šklovskij) si annoverava Roman
Jakobson (1896-1982). Linguista e critico russo-americano, fu amico di Elsa Triolet e di Šklovskij.
6
Roman Jakobson.
7
In questa pensione, al n. 207 della Kaiserallee, visse per qualche tempo Šklovskij.
8
Julij Isaevič Ajchenval’d (1872-1928), critico. Nel 1922 fu espulso dall’URSS.
9
[Maeo 26, 69-75; Marco 14, 66-72; Luca 22, 54-62; Giovanni 18, 15-18, 25-27].
10
Šklovskij allude qui alla rivista «Beseda» (Colloquio) (Berlino 1923-25), fondata per iniziativa
di M. Gor’kij e che in seguito divenne causa di contrasto fra i due scriori.
11
Le Proposte (Predloženija) di Chlebnikov apparvero sulla rivista pietroburghese «Vzjal» nel
1915.
12
Il critico è Arkadij Gornfel’d (1867-1941) che pubblicò un necrologio di Chlebnikov sulla
rivista pietroburghese «Literaturnye zapiski» (Annali leerari), 1922, n. 3.
13
Pëtr Miturič (1887-1956), artista avanguardista, marito della sorella di Chlebnikov.
14
L’utopica Società dei presidenti del Globo Terrestre fu fondata da Chlebnikov negli anni Dieci;
suoi membri divennero alcuni artisti e leerati futuristi e molti filosofi e uomini politici stranieri
furono invitati ad aderirvi.
15
Chlebnikov, sofferta la fame e da poco riavutosi dal tifo, il 19 aprile del 1920 a Char’kov, ad
una solenne serata leeraria di poeti immaginisti, per iniziativa di Sergej Esenin, fu nominato
«Presidente del Globo Terrestre».
16
Kuokkala (oggi Repino) è una località di villeggiatura nei dintorni di San Pietroburgo;
all’epoca era luogo di ritrovo di famosi uomini di cultura.
17
Si allude ad Aleksandr Lišnevskij (1868-1942), della cui figlia Nadežda era innamorato
Chlebnikov.
18
Devij Bog opera teatrale di Chlebnikov, apparsa nella raccolta Poščëčina obščestvennomu vkusu
(Schiaffo al gusto del pubblico) (Mosca 1912).
19
Nikolaj Kul’bin (1866-1917), medico e artista dell’avanguardia, organizzò molte mostre
futuriste.
20
Ivan Puni (1894-1956), artista avanguardista russo-francese.
21
Soprannome della prima moglie di Šklovskij, Vasilisa Kordi-Šklovskij (1890-1977). ando
Šklovskij fuggì dalla Russia per evitare l’arresto, lei fu costrea a restare a Pietrogrado.
22
Aleksej Remizov (1877-1957), scriore affine al simbolismo emigrò nel 1921. All’epoca viveva a
Berlino.
23
Soprannome di Remizov, creato per lo scherzoso Grande e libero Palazzo delle scimmie
(Obezvelvolpal) da lui inventato.
24
Michail Kuzmin (1872-1936), scriore, critico e musicista.
25
Nell’estate del 1920 Šklovskij fu richiamato nell’Armata Rossa per combaere le truppe del
generale P. Vrangel’.
26
[Diminutivo di Stepanida].
27
(1876- 1943), tradurice e paleografa.
28
Lo zar Aleksej Michajlovič Romanov (1629-76) regnò dal 1645 al 1676.
29
Immagine estrapolata da una fiaba di Rudyard Kipling, e cat that walked by himself del 1902
[in Just so stories, Moskow 1968, pp. 179-200].
30
Rossija v pis’menach, opera di Remizov nella quale rientravano epistole private risalenti ai
secc. XVII–XVIII (integralmente fu pubblicata nel 1922 a Berlino). Le leere del filosofo e critico
Vasilij Rozanov (1856-1919) rientrarono nel libro di Remizov Kukcha. Rozanovy pis’ma (Kukcha.
Leere di Rozanov), pubblicato a Berlino nel 1923.
31
Andrej Belyj (pseudonimo di Boris Bugaev, 1880-1934), scriore simbolista.
32
E. Steinach (1861-1944), fisiologo austriaco che studiava le mutazioni di sesso e il
«ringiovanimento» umano. Di queste teorie si interessava Gor’kij negli anni Venti.
33
Solomon Kaplun (Sumskij; 1891-1940), operava nell’editoria; è introdoo da Remizov nel suo
libro Achru.Povest’ peterburgskaja (Achru. Racconto pietroburghese) (Berlino-Pietroburgo-Mosca
1922).
34
Marija Andreeva (1868-1953), arice e donna amata da Gor’kij prima della rivoluzione; viene
citata nel necrologio di Blok scrio da Remizov dal titolo Iz ognennoj Rossii (Dall’ardente Russia) nel
1921 (incluso nel libro omonimo).
35
Aleksandr Blok (1880-1921), scriore simbolista.
36
L’espressione russa qui usata, chodom konja, riecheggia l’opera omonima di Šklovskij Chod
konja, Berlin 1923 [Trad. it. La mossa del cavallo: libro di articoli, Bari 1967] nella cui introduzione si
spiega: «Il cavallo procede di traverso… il motivo risiede nel fao che il cavallo non è libero;
procede in diagonale perché la via diria gli è preclusa».
37
Vezzeggiativo di Alja.
38
«Non ti chiamerai più Abram/ma ti chiamerai Abraham/perché padre di una moltitudine/di
popoli ti renderò» (Genesi 17, 5).
39
Il termine impiegato da Šklovskij, Šiber’, deriva da un’espressione colloquiale tedesca, Schieber,
speculatore.
40
Zinovij Gržebin (1877-1929), editore e caricaturista.
41
Jurij Annenkov (1889-1976), artista e memorialista russo-francese.
42
Citazione, non del tuo esaa, dalle bozze della prima strofa del cap. VIII dell’Evgenij Onegin di
Puškin. Invece di «quando» (kogda) nelle bozze leggiamo: «in quei giorni in cui» (V te dni, kak).
43
Nel 1907-16 a San Pietroburgo uscirono 26 numeri della rivista «Šipovnik» (Rosa canina).
«Panteon» fu la casa editrice che Gržebin diresse a Pietroburgo fra il 1907 e il 1912.
44
ando Gržebin trasferì la sua casa editrice da Pietrogrado a Berlino stipulò un accordo con lo
stato sovietico, in base al quale i libri pubblicati dovevano essere distribuiti anche in Russia, ma i
sovietici non rispearono l’accordo e Gržebin fallì.
45
Complessivamente Gržebin pubblicò 218 titoli.
46
Allusione al radicale piano di ricostruzione dell’economia russa, basato sull’elerificazione del
paese, promosso da Lenin nel 1920.
47
Kak sdelan ‘Don Kichot’ (Com’è fao il «Don Chiscioe»), articolo di Šklovskij del 1921; rientrò
in O teorii prozy, 1925 [Trad. it. Teoria della prosa, Torino 1976, pp. 101-141].
48
Riferimento all’opera omonima di H. Wells e food of the gods, 1904 [Trad. it. L’alimento degli
Dei, Torino 1949].
49
Si traa della prima opera pubblicata da Belyj: Simfonija (2-ja, dramatičeskaja) [Sinfonia (II,
drammatica)] del 1902.
50
Dorina filosofico-religiosa, elaborata da Rudolf Steiner, di cui fu fervente seguace Belyj fra il
1921 e il 1922.
51
La costruzione del terzo edificio della caedrale di Sant’Isacco a San Pietroburgo fu iniziata ai
tempi dell’imperatrice Caterina la Grande e continuata soo l’imperatore Paolo I (fu a quel tempo
che il progeo venne semplificato ed il marmo fu sostituito da semplici maoni); più tardi al suo
posto fu costruita una nuova caedrale, conservatasi fino al giorno d’oggi.
52
Sia Zapiski čudaka (Memorie di un bislacco) che Kotik Letaev [Trad. it. Kotik Letaev, Milano
1973] sono romanzi autobiografici di Belyj, accomunati dal tema del «divenire dell’anima
autocosciente».
53
Opojaz, Obščestvo izučenija (teorii) poetičeskogo jazyka (Società per lo studio (della teoria) della
lingua poetica). Si traava di un’organizzazione pietroburghese, costituita da critici formalisti, a
capo della quale negli anni ’10 si trovava Šklovskij.
54
[Genesi 9, 8-16].
55
Pëtr Bogatyrëv (1893-1971), studioso di folklore e di teatro, teorico della leeratura. Fra il 1921
e il 1940 operò in Cecoslovacchia.
56
Elena Grekova (1875-1937), scririce. Ivan Grekov (1867-1934), chirurgo.
57
Michail Slonimskij (1897-1972), scriore.
58
Voenspec, voennyj specialist (militare specialista), ex militare dell’esercito zarista, entrato a far
parte dell’Armata Rossa.
59
Roman Jakobson nel 1921, recatosi in Cecoslovacchia in qualità di interprete del
rappresentante della Repubblica Federale Socialista Sovietica Russa, non rientrò in patria.
Bogatyrëv lo raggiunse nel dicembre 1921.
60
esti lager sorsero al termine della prima guerra mondiale per i prigionieri di guerra russi.
61
Češskij kukol’nyj i ruskij narodnyj teatr, Berlin 1923 [Trad. it. Il teatro ceco delle marionee ed il
teatro popolare russo in Id., Il teatro delle marionee, Brescia 1980, pp. 43-92].
62
Ristorante berlinese, luogo di ritrovo del «Club degli scriori» russo.
63
Allusione al gruppo leerario «I fratelli di Serapione», sorto a Pietrogrado nel febbraio 1921.
Membri del gruppo erano Michail Zoščenko, Il’ja Gruzdev, Elizaveta Polonskaja, Veniamin Kaverin,
Nikolaj Tichonov, Konstantin Fedin, Vsevolod Ivanov, Lev Lunc, Nikolaj Nikitin.
64
Aleksandr Kuprin (1870-1938), scriore.
65
Giudici 7, 5-7.
66
Giudici 12, 6. La parola shibbolet significa spiga di frumento.
67
Citazione non del tuo esaa di una poesia del poeta e critico Apollon Grigor’ev [Cfr.
traduzione con testo originale a fronte in W. Giusti (a cura di), Il secolo d’oro della poesia russa,
Napoli 1961, pp. 175-176]. Fu in seguito messa in musica e divenne una famosissima romanza
gitana.
68
Nel 1923 Šklovskij lavorò nell’ufficio berlinese della «Russtorgfil’m», dove sceglieva i film da
esportare sul mercato russo e faceva filmati pubblicitari.
69
Molto probabilmente, Šklovskij allude a Benedikt Livšic (1886-1938), poeta che negli anni ’10
era vicino ai futuristi. Non conosciamo la canzone malavitosa odessita di cui parla Šklovskij,
tuavia bisogna tener conto del fao che in Russia, la tradizione orale ascrive a Livšic testi non
apparsi col suo nome (come la versione parodica non censurata del poema puškiniano Evgenij
Onegin).
70
Šklovskij terminò il liceo privato «N. Šepoval’nikov» che si trovava al n. 24 del corso
Kamennoostrovskij.
71
«Ave, Imperator, morituri te salutant» (Salve, Imperatore, ti salutano quelli che vanno a
morire), era il saluto che i gladiatori rivolgevano all’imperatore (Svetonio, Claudio, 21, 6).
72
Inno ufficiale della Russia prima della rivoluzione del 1917.
73
I bogomili erano un movimento ereticale (in seguito, una sea) diffusosi nei Balcani.
74
Il «Dom iskusstv» (Casa delle Arti) era un’organizzazione pietroburghese di uomini di cultura
(1919-22). La vita e l’atmosfera di questo luogo sono descrii in una copiosa leeratura
memorialistica ed anche in numerosi romanzi. La «Casa delle Arti» si trovava nella cosiddea
«Casa di Čičerin» (Corso della Neva, 15).
75
Ksana Boguslavskaja Puni (1892-1972), artista avanguardista russo-francese.
76
«Tram V», mostra futurista che ebbe luogo a Pietrogrado nel marzo 1915.
77
Carl Einstein (1885-1940), scriore e drammaturgo tedesco, storico dell’arte, vicino
all’espressionismo e al dadaismo.
78
Maeo 2, 13-15.
79
Ernst Fritsch (1892-1962) (Šklovskij lo trascrive erroneamente «Frig» anziché «Frič»), artista
espressionista tedesco.
80
Karlis Zalit (Zale; 1888-1942) e Arnold Dzerkal (1896-?), artisti leoni.
81
Rudolf Belling (1886-1972), scultore tedesco.
82
Il «Dom pečati» (Casa della Stampa) fu organizzato nel marzo del 1920 e durante gli anni ’20
accolse numerose serate leerarie.
83
esta dichiarazione di Marina Cvetaeva fu faa a Šklovskij durante un loro colloquio e solo
in seguito fu riportata nell’articolo Epos i lirika sovremennoj Rossii, 1932 [Trad. it. L’epos e la lirica
della Russia contemporanea, in Id., Il poeta e il tempo, Milano, Adelphi 1984, pp. 117-150].
84
Evgenija Pasternak (1898-1965), artista, prima moglie di Boris Pasternak.
85
Shimmy, ballo simile al fox-trot, in voga negli anni ’20.
86
[Revolver che prendeva il nome dal belga Nagant, suo inventore. Fu in uso presso le truppe
russe fino alla seconda guerra mondiale. La giata era di circa 100 metri].
87
La Gedächtniskirche (alla leera «chiesa commemorativa») fu costruita nel Kurürstendamm
nel 1891-95 in memoria del primo kaiser tedesco Guglielmo I e rimase a lungo l’edificio più alto
della cià. Distrua dai bombardamenti nell’autunno del 1943, fu restaurata dopo la guerra e
divenne il simbolo di Berlino ovest (nota come «e Blue Church»). Non lontano, nella
Budapesterstrasse, si trova l’ingresso allo zoo di Berlino.
88
Elena Ferrari (Ol’ga Golubeva; 1899-1939), leerata.
89
Nodo ferroviario non lontano dalla Kleiststraße, dove si intersecavano le linee della
metropolitana e della ferrovia; rappresentata nella poesia di Pasternak Gleisdreieck (1923).
90
Canzone popolare tedesca.
91
Parole dell’inno nazionale tedesco.
92
[Sulla soluzione (razgadka) cfr. V. Šklovskij, Teorija prozy, Moskva-Leningrad 1925, pp. 104
sgg.; p. 115; pp. 130 sgg.; p. 141. Trad. it., Teoria della prosa, cit., pp. 154, 168, 176-177, 197, 211].
93
Wertheim, grande negozio berlinese.
94
Il Vospitatel’nyj dom, nella Russia pre-rivoluzionaria era un’istituzione che raccoglieva
trovatelli e figli illegiimi.
95
Elsa Triolet visse a Tahiti dal 1919 al 1920. La leera della Triolet dedicata a Tahiti, ancora
prima di essere pubblicata in Zoo, fu lea da Gor’kij che ne rilevò le qualità artistiche. Gor’kij, e
qualche tempo dopo anche Šklovskij, convinsero Elsa Triolet a cimentarsi in leeratura. Il suo
primo libro Na Taiti (A Tahiti) (in lingua russa) fu pubblicato a Mosca nel 1925.
96
[È il termine francese che, a Tahiti, indica tui i tipi di gardenie bianche profumate].
97
André Triolet (1889-1969), primo marito di Elsa Triolet. Si conobbero nel 1918, quando Triolet,
in qualità di ufficiale dell’esercito francese, si trovava in missione a Mosca.
98
Il teatro berlinese «Scala», dove spesso avevano luogo manifestazioni culturali russe, si
trovava al n. 21 della Lutherstraße.
99
In italiano nel testo.
100
Citazione del racconto di N. Gogol’, La tremenda vendea, in Id., Le veglie alla faoria di
Dikanka, Torino 1978, p. 203.
101
Con questo gioco di parole Šklovskij richiama il nome di una popolare icona russa
«Neuvjadaemyj cvet» (Il fiore imperituro).
102
Lo studio di I. Puni si trovava al n. 11.
103
Costantinopoli (oggi Istanbul) al termine della guerra civile russa divenne, per qualche tempo,
uno dei principali centri dell’emigrazione russa.
104
Nikolaj Evreinov (1879-1953), regista, aore, esperto di teatro; fu continuo oggeo di critiche
da parte di Šklovskij negli anni 1920-21.
105
Nel 1919 a Vitebsk, oltre a Chagall lavoravano altri famosi artisti quali Mstislav Dobužinskij,
Ivan Puni, El’ Lisickij e Kazimir Malevič.
106
La ciadina di Marksštadt, ex Ekaterinenštadt, ora Marx, è situata sulla parte centrale della
Volga.
107
Teatri dell’emigrazione russa a Berlino.
108
Il’ja Erenburg (1891-1967), scriore e pubblicista.
109
La rivista «Vešč» (La cosa) fu pubblicata a Berlino nel 1922 da Erenburg e Lisickij e
propugnava le idee del costruivismo.
110
Neobyčajnye pochoždenija Chulio Churenito i ego učenikov, romanzo di I. Erenburg apparso a
Berlino nel 1922 [Trad. it. Le staordinarie avventure di Julio Jurenito, Torino 1968].
111
Trest D.E. Istorija gibeli Evropy (Trust D.E. Storia della fine dell’Europa), romanzo di I. Erenburg
pubblicato a Berlino nel 1923.
112
Si traa della VII novella del II giorno del Decamerone. [«Bocca baciata non perde ventura, anzi
rinnuova come fa la luna» (Boccaccio, Decameron, Torino 1991, p. 257)].
113
[In seguito ad una crisi religiosa Erenburg, ebreo di origine, stava per convertirsi al
caolicesimo, da cui però in seguito si allontanò. Da qui il riferimento biblico; cfr. Ai 13, 9. Sulla
conversione di Saulo cfr. Ai 9, 1-30].
114
Lo stesso Erenburg nelle sue tarde memorie spiegò così questo paragone: «In ogni libro mi
‘dissociavo’ da me stesso. Fu proprio allora che Šklovskij mi chiamò Pavel Savlovič (cioè Paolo
figlio di Saulo). Sulle sue labbra non poteva suonare offensivo. Durante la sua vita lui fece quello
che facevano i suoi coetanei, cioè non cambiò mai parere, né punto di vista; lo faceva senza
amarezza, persino con un certo entusiasmo».
115
Zverinoe teplo (Calore animale), libro di versi di Erenburg, pubblicato a Berlino nel 1923.
116
Nome di un lago e di una località vicino a Potsdam, a sud-ovest di Berlino.
117
Il più grande centro dell’Armenia turca, fu conquistato dalle truppe russe nel gennaio 1916.
118
Il’ja Zdanevič (1894- 1975), artista e leerato russo-francese. Lavorò a lungo in Georgia.
119
[V. Šklovskij, Zoo ili pis’ma ne o ljubvi, Leningrad, Atenej 1924].
120
Cfr. nota 100.
121
I formalisti Boris Ejchenbaum (1886-1959) e Jurij Tynjanov (1894-1943) erano amici di
Šklovskij e avevano lavorato con lui all’Opojaz.
122
Roman Jakobson.
123
[L. Tolstoj, Guerra e pace, Firenze 1970, pp. 293-294].
124
Nel febbraio 1917 a Pietrogrado il distaccamento della guardia imperiale del reggimento
Volynskij fu il primo a insorgere.
125
Ufficiali della guardia imperiale russa che nel dicembre 1825 insorsero contro il regime zarista.
126
[Svista di Šklovskij che forse intendeva parlare di creosoto, al tempo usato anche come
lubrificante].
127
Baku, capitale dell’Azerbajdžan, era all’epoca la maggior regione fornitrice di petrolio della
Russia. Dall’agosto 1918 era occupata dalle truppe inglesi.
128
Šklovskij allude alla monografia del critico liberale D. Ovsjaniko-Kulikovskij Istorija russkoj
intelligencii: Itogi russkoj chudožestvennoj literatury XIX veka (Storia dell’intelligencija russa:
conclusioni sulla leeratura russa del XIX secolo) (1903-07).
129
Si allude ad una rissa realmente accaduta, ad opera di Šklovskij, in un caè di Berlino.
130
Protagonisti del poema di A. Puškin Evgenij Onegin (1823-31) [Trad. it. Evgenij Onegin,
Venezia, Marsilio 1996].
131
Protagonisti del romanzo di M. Lermontov Geroj našego vremeni (1840) [Trad. it. Un eroe del
nostro tempo, Milano 1992].
132
Rimando ad un aneddoto citato nel XII capitolo del saggio di L. Tolstoj Tak čto že nam delat’
(1886) [Trad. it. Che fare?, Milano 1979].
133
Cfr. Il guardiano di porci di Andersen.
134
[V. Šklovskij, Zoo ili pis’ma ne o ljubvi, Leningrad, Izdatel’stvo pisatelej v Leningrade 1929].
135
Una delle principali strade di Berlino.
136
[Nell’edizione del 1964 il testo cambia significativamente, in quanto è l’autore che scrive:
«Anche se tu scrivi le tue leere azzurre ad altri, io ti amo, Alja!» (Zoo, 1964, p. 181)]. La menzione
deriva dal fao che alcune leere della Triolet (in particolare quelle diree a Šklovskij) erano scrie
su carta di questo colore.
137
[V. Šklovskij, Zoo ili pis’ma ne o ljubvi, in Id., Žili-byli, Moskva 1964, pp. 120-208].
138
Šklovskij chiaramente allude alla sua fuga dall’URSS, araverso i ghiacci del golfo di Finlandia,
nel marzo 1922.
139
Šklovskij si riferisce alla casa fuori cià della Triolet e di Luis Aragon, costruita nell’edificio di
un vecchio mulino.
140
i e oltre si richiamano motivi di alcune fiabe russe.
M.Z.
Riferimenti bibliografici
M.Z.
Indice
Dedica
Prefazione dell’autore
Epigrafe. Il serraglio
Leera prima
Leera seconda
Leera terza
Leera quarta
Leera quinta
Leera sesta
Leera seima
Leera oava
Leera nona
Leera decima
Leera undicesima
Leera dodicesima
Leera tredicesima
Leera quaordicesima
Leera quindicesima
Leera sedicesima
Leera diciasseesima
Leera dicioesima
Introduzione alla leera diciannovesima
Leera diciannovesima
Leera ventesima
Leera ventunesima
Leera ventiduesima
Leera ventitreesima
Leera ventiquaresima
Leera venticinquesima
Leera ventiseiesima
Leera ventiseesima
Leera ventoesima
Leera ventinovesima
Note
Scheda biografica
Riferimenti bibliografici