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DOTTRINA

SVILUPPI E PROBLEMI NUOVI IN MATERIA DI ORDINANZE DI NECESSITÀ E


URGENZA E ALTRE QUESTIONI IN MATERIA DI PROTEZIONE CIVILE ALLA
LUCE DELLA SENTENZA N. 127 DEL 1995 DELLA CORTE COSTITUZIONALE

Fonte: Giur. cost., fasc.3, 1995, pag. 2185


Autori: Giuseppe Ugo Rescigno

Sommario: 1. Premessa. - 2. Il giudizio della Corte sulla l. n. 225 del 1992. - 3. Alcune
caratteristiche essenziali della l. n. 225. - 4. Le ordinanze di necessità e urgenza previste
dalla l. n. 225. - 5. L. n. 225 e decreto-legge. - 6. Sull'emanazione della dichiarazione dello
stato di emergenza. - 7. La separazione tra la dichiarazione dello stato di emergenza e le
misure conseguenti. - 8. Durata ed estensione territoriale della dichiarazione dello stato di
emergenza. - 9. Ordinanze che derogano a disposizioni vigenti ed ordinanze che elencano
gli atti normativi derogabili. - 10. Indicazione espressa delle norme a cui si sta derogando
secondo l'art. 5 comma 5 l. n. 225. - 11. Princìpi ricavabili dall'art. 5 comma 5 relativamente
a tutte le ordinanze. - 12. Sulla motivazione delle ordinanze ex art. 5 comma 5. - 13. Sulla
pubblicazione delle ordinanze ex art. 5 comma 6. - 14. Il rispetto dei princìpi generali
dell'ordinamento giuridico. - 15. La necessaria intesa tra Autorità statali e Regioni anche in
casi di emergenza. - 16. Sulle ordinanze che elencano gli atti normativi derogabili. - 17.
Conclusione.

1. La Regione Puglia aveva sollevato conflitto di attribuzioni nei confronti del Presidente del
Consiglio dei Ministri in relazione ad un decreto che dichiarava lo stato di emergenza ed
alla conseguente ordinanza, ambedue emanati dal Presidente del Consiglio in applicazione
della l. 24 febbraio 1992 n. 225, istitutiva del Servizio nazionale di protezione civile (1).

In subordine la Regione Puglia chiedeva che la Corte sollevasse questione di legittimità


relativamente ad alcuni articoli di tale legge (seguendo saggiamente la strategia di
aggredire la legge se a questa andava fatto risalire la ragione e il fondamento degli atti
impugnati direttamente) (2).

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2. La Corte, raccogliendo la sollecitazione implicita nel ricorso, prima ha valutato
direttamente la costituzionalità della l. n. 225, cit. (n. 2 della motivazione in diritto), e poi,
stabilito che essa non è incostituzionale per gli aspetti esaminati, ha giudicato gli atti causa
del conflitto. Se ne dovrebbe concludere che se, nel corso di questo esame, la Corte fosse
giunta a dubitare della costituzionalità della l. n. 225, essa avrebbe sollevato davanti a sé
la relativa questione, come ipotizzato nel ricorso.

Nell'esporre i motivi in base ai quali - confermando la precedente decisione sulla stessa l.


n. 225 (sent. n. 418 del 1992) (3) e ribadendo più in generale i princìpi enunciati in tema di
ordinanze di necessità e urgenza (sentt. nn. 201 del 1987, 4 del 1977, 26 del 1961, 8 del
1959) - la Corte ha concluso che la legge in questione non è contraria a Costituzione, non
sempre è chiaro quanta parte della motivazione serva a giustificare la specifica l. n. 225 e
quanta parte invece vada intesa come enunciazione di regole e princìpi validi per tutte le
ordinanze di necessità e urgenza.

Conviene dunque anzitutto ricostruire nell'essenziale il meccanismo della l. n. 225, e poi


distinguere quegli aspetti di tale legge che in relazione alle ordinanze sono necessitati (non
possono non esserci, pena l'incostituzionalità delle leggi che prevedono tali atti), e quegli
aspetti che, presenti nella l. n. 225, potrebbero essere assenti in altri casi di ordinanze di
necessità e urgenza, senza determinarne l'incostituzionalità.

3. La l. n. 225, tra i molti motivi di interesse, presenta anche quello di essere, in base a
decennale esperienza, il tentativo probabilmente più ambizioso (anche se, come vedremo,
ancora pieno di incertezze e ambiguità) per razionalizzare le procedure di intervento in casi
di eventi eccezionali che hanno leso o mettono in pericolo la sicurezza e l'incolumità di
persone e cose (4), tenendo conto nello stesso tempo dei princìpi e criteri enunciati in
materia di ordinanze di necessità e urgenza dalla Corte costituzionale e dai giudici comuni.

Anzitutto vengono sufficientemente tipizzati gli eventi che costituiscono il presupposto


oggettivo delle ordinanze di necessità e urgenza previsti in questa legge. Se mettiamo a
confronto l'art. 2 t.u.p.s. (che rappresenta nel nostro ordinamento il massimo di
indeterminatezza sotto gli aspetti: presupposti, contenuto, effetti, limiti, ecc.) con l'art. 2
della legge n. 225, appare evidente la differenza: in questo secondo art. 2 vengono distinti
tre tipi di situazioni che impongono l'attivazione del servizio di protezione civile, e solo il
terzo tipo di evento comporta la possibilità delle ordinanze di necessità e urgenza:
«calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbono essere
fronteggiati con mezzi e poteri straordinari» (5).

In un caso del genere, l'art. 5 della legge n. 225 prevede nel comma 1 che il Consiglio dei
Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio o del Ministro per il coordinamento della
protezione civile da lui delegato (da ora in poi chiamato Ministro), «delibera lo stato di
emergenza, determinandone durata ed estensione territoriale in stretto riferimento alla

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qualità ed alla natura degli eventi. Con le medesime modalità si procede all'eventuale
revoca dello stato di emergenza al venir meno dei relativi presupposti».

Data questa dichiarazione, l'art. 5 comma 2 prevede che, tra le altre cose, possano essere
emanate ordinanze «in deroga ad ogni disposizione vigente, e nel rispetto dei princìpi
generali dell'ordinamento giuridico» (6).

Il comma 4 prevede che il Presidente del Consiglio o, su sua delega, il Ministro per la
protezione civile possa avvalersi di commissari delegati.

Il comma 5 stabilisce la regola fondamentale per cui «Le ordinanze emanate in deroga alle
leggi vigenti devono contenere l'indicazione delle principali norme a cui si intende derogare
e devono essere motivate» (7).

Infine il comma 6 stabilisce che «Le ordinanze emanate ai sensi del presente articolo sono
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, nonché trasmesse ai sindaci
interessati affinché vengano pubblicate ai sensi dell'art. 47 comma 1 l. 8 giugno 1990 n.
142» (8).

Per comprendere le osservazioni che seguono bisogna tenere distinti da un lato


l'interpretazione dell'art. 5 che evidenzia e sonda le principali possibilità e le maggiori
incertezze contenute nella lettera di questo articolo (possibilità e incertezze che sono più
numerose di quanto appaia, anche se per necessità ne vengono segnalate solo alcune), e
dall'altro lato la sequenza effettivamente seguita dalle autorità nel caso esaminato dalla
Corte, sequenza che rappresenta una delle possibili realizzazioni contenute astrattamente
nella l. n. 225, cit. e che presenta aspetti peculiari.

Cominciamo con l'esaminare l'art. 5 in generale, per quello che esso dice.

4. Ai nostri fini il punto cruciale è dato dal potere, mediante ordinanza, di derogare «ad ogni
disposizione vigente, nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento giuridico». È questa
la previsione che obbliga a parlare di ordinanze di necessità ed urgenza, in quanto è tale
potere derogatorio generale e generico a caratterizzare alcuni atti previsti da alcune leggi,
atti che portano il nome comune di ordinanze di necessità e urgenza (distinte dalle
ordinanze ordinarie e dagli atti necessitati) (9): il fatto che, eccezionalmente, atti
provenienti da autorità amministrative, e comunque non legislative, sono autorizzati a
derogare anche a disposizioni di legge (prescindendo per ora dai limiti e vincoli imposti ad
atti del genere dalla Costituzione e dalle leggi).

La l. n. 225, cit. non si occupa solo di questo aspetto, ed anzi configura un meccanismo
generale (10) che comprende anche l'esercizio, oltre che di attività puramente materiali, di
comuni poteri amministrativi, privi per se stessi di ogni eccezionalità (l'eccezionalità sta
nell'evento che essi debbono fronteggiare, ma non nello strumento usato). Però a noi, in

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questa sede, della l. n. 225 interessa solo la parte che prevede l'emanazione di ordinanze
in deroga a qualsiasi disposizione, e quindi anche a disposizioni di legge.

5. Per arrivare al cuore del problema conviene prima liberarsi di alcuni problemi collaterali
sollevati dalla l. n. 225 e che in qualche modo toccano il nostro tema.

Anzitutto dovrebbe suscitare qualche domanda il fatto che la dichiarazione dello stato di
emergenza provenga dal Consiglio dei Ministri. Non pare dubbio che il Governo, in un caso
del genere, se così sceglie, può adottare un decreto-legge, e, per questa via, sostituire al
posto della l. n. 225 la disciplina del decreto-legge, in tutto o in parte (salva ovviamente la
conversione del Parlamento). D'altra parte l'evento classico e incontestato che un tempo
veniva indicato come causa giustificativa del decreto-legge era proprio la calamità naturale
(terremoto, alluvione, ecc.). In molti casi negli anni passati ed ancora oggi si è provveduto
con decreto-legge (11). Mi pare evidente allora che la l. n. 225, quale che sia il giudizio
sull'opportunità e l'efficacia del meccanismo disegnato, è un modo per eludere l'art. 77
Cost. In questo modo si ottengono almeno quattro risultati sul piano giuridico-istituzionale,
tutti elusivi rispetto alla Costituzione: a) il Consiglio dei Ministri si limita a dichiarare lo stato
di emergenza, ma si libera (o viene «liberato») dalla necessità di decidere come tale
emergenza va fronteggiata: questa parte viene demandata ad altra autorità e ad altri atti,
tra i quali le ordinanze; b) la disciplina sostanziale per l'emergenza, venendo posta con
ordinanze, e non con decreto-legge da convertire in legge, sfugge al controllo di
costituzionalità (a cui sarebbe sottoposta se adottata con decreto-legge convertito), una
volta stabilito, come ha detto e ribadito la Corte, che l'ordinanza di necessità e urgenza non
ha forza di legge (12); c) il Parlamento, sul piano istituzionale, viene escluso dalla vicenda
(esso può recuperare il suo ruolo, ma solo sul piano politico, mediante interrogazioni,
mozioni e simili: è evidente dal punto di vista istituzionale la diversità rispetto al potere
parlamentare in sede di conversione del decreto-legge); d) anche il Presidente della
Repubblica, che non emana la dichiarazione di emergenza e meno che mai le ordinanze, è
tagliato fuori dalla cosa (13).

La vicenda è in qualche modo emblematica e testimonia del fatto che il decreto-legge ha


ormai ben poco a che fare con la necessità e urgenza, tanto è vero che nel caso tipico
della necessità e urgenza non si provvede con decreto-legge (stando alle intenzioni del
legislatore della l. n. 225).

6. In secondo luogo non mi è chiaro in base a quale norma la dichiarazione dello stato di
emergenza deliberata dal Consiglio dei Ministri non sia emanata con decreto del
Presidente della Repubblica (come vuole l'art. 1 comma 1 lett. ii) della legge 12 gennaio
1991 n. 13), per tutte le deliberazioni del Consiglio dei Ministri) e venga invece emanata
con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (come è avvenuto nel caso sottoposto
all'esame della Corte). Le leggi successive possono bensì derogare alla l. n. 13, cit., ma
appunto, se ho letto bene, la l. n. 225, cit. non dice nulla sul punto dell'emanazione della

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dichiarazione dello stato di emergenza (14). A mio avviso i decreti previsti dall'art. 5
comma 1 vanno emanati con decreto del Presidente della Repubblica.

7. Prescindiamo dalle osservazioni sopra esposte, e, per amore di argomentazione, diamo


per dimostrata la legittimità della l. n. 225 (e della prassi applicativa per quanto riguarda
l'emanazione della dichiarazione dello stato di emergenza). Vediamo ora, alla luce della
sentenza della Corte, quali regole e princìpi sono propri solo di tale legge, e quali altri
invece riguardano tutte le ordinanze di necessità e urgenza.

La separazione, sul piano anche esteriore e giuridico, tra dichiarazione del presupposto e
ordinanze che, a causa del presupposto, fronteggiano la situazione di emergenza (notare il
parallelo con la distinzione tra dichiarazione di pubblica utilità e provvedimento di
espropriazione) è tipica della l. n. 225. Verosimilmente si tratta di prescrizione opportuna
(15), perché anzitutto impone all'autorità di esaminare separatamente i due momenti,
quello dell'accertamento dello stato di emergenza e quello dell'adozione delle misure
necessarie per fronteggiare tale stato una volta accertato; poi consente agli interessati di
difendersi più ordinatamente, ora aggredendo la dichiarazione (perché ad es. non
conforme ai fatti), ora le ordinanze conseguenti; in terzo luogo la distinzione aiuta anche i
giudici nella loro opera di controllo.

Però non si tratta di uno schema obbligato, per cui sempre, per qualunque ordinanza di
necessità e urgenza, vi debbono essere due autorità e due atti distinti, l'uno dichiarativo del
presupposto e l'altro contenente il provvedimento.

8. L'art. 5 comma 1 esige che la dichiarazione dello stato di emergenza determini «durata
ed estensione territoriale in stretto riferimento alla qualità ed alla natura degli eventi» e che
con le stesse modalità sia possibile una revoca dello stato di emergenza (visto che vi è
obbligatoriamente un termine finale, si deve intendere che si tratti di revoca prima dello
scadere di tale termine; naturalmente, se lo stato di emergenza perdura, niente impedisce,
ed anzi la cosa obbliga il Governo a prorogare con nuova deliberazione lo stato di
emergenza, sempre indicando la data finale ed il territorio).

In questa disposizione sono contenuti due princìpi, da sempre applicati dai giudici e dalla
Corte costituzionale (e ribaditi nella sentenza che si commenta): a) il principio per cui le
ordinanze sono costitutivamente temporanee, legate ad avvenimenti specifici, cosicché,
cessata l'emergenza, deve cessare l'efficacia delle relative ordinanze di necessità ed
urgenza; b) il principio per cui tali ordinanze sono subordinate al criterio della
proporzionalità tra evento e misura (per riprendere la terminologa della Corte usata nella
sentenza de qua), e cioè vi deve essere un nesso ragionevole e controllabile tra le misure
adottate e l'evento da fronteggiare (cosicché, nel caso opposto, l'ordinanza è in tutto o in
parte illegittima).

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Nell'art. 5 comma 1 però, accanto all'esplicitazione di tali princìpi, vi sono alcune regole più
specifiche, che è da dubitare siano necessariamente estendibili a tutte le ordinanze di
necessità e urgenza. Si prescrive che la dichiarazione di emergenza indichi durata ed
estensione territoriale; che si tratti di data certa è confermato dal fatto che subito dopo si
prevede la possibilità di revoca, che è ovviamente anticipata rispetto alla data
originariamente fissata e va fatta con le stesse modalità della dichiarazione iniziale
(mentre, come detto, è implicito che la data finale possa essere prorogata con una nuova
dichiarazione, se l'emergenza perdura: di nuovo però la legge esige che venga stabilita
comunque una data finale). Dunque la l. n. 225 non ammette né che la dichiarazione di
emergenza ometta la data finale (salva la revoca anticipata, come la legge prevede), né
che non delimiti esattamente il territorio (la dichiarazione del Consiglio dei Ministri dell'8
novembre 1995 nel suo articolo unico si conforma a tali prescrizioni, indicando la durata,
dal 27 ottobre 1994 al 31 dicembre 1995, e il territorio, la Regione Puglia). Si tratta di
regole più stringenti rispetto ai princìpi prima enunciati: la domanda è se tali regole,
imposte dalla l. n. 225, debbono essere considerate princìpi impliciti validi per qualsiasi
ordinanza di necessità e urgenza.

A me pare conclusione eccessiva, non suffragata da alcuna argomentazione né di ordine


giuridico né di ordine di merito. Forse il meccanismo disegnato sul punto dalla l. n. 225 è il
migliore, ma non vedo perché, una volta ammesse le ordinanze di necessità e urgenza
(compresi i molti vincoli che esse incontrano, alcuni dei quali sono stati già esaminati,
mentre altri verranno detti tra poco, ed altri ancora si ritrovano nella Costituzione, nelle
leggi, e nei princìpi), la legge specifica che prevede uno specifico tipo di ordinanza di
necessità e urgenza, diversa per qualche aspetto dalle altre, non possa limitarsi a
prevedere genericamente che essa è temporanea (senza indicare una data precisa), e
localmente efficace secondo necessità, senza delimitare esattamente il territorio, o
addirittura non dire nulla su tali questioni rimettendosi implicitamente alle regole generali
(salvo ovviamente il potere del giudice di dichiarare illegittima una concreta ordinanza
perché applicata dopo che lo stato di emergenza è terminato o in un territorio che non
rientra nella situazione di emergenza).

9. Il punto nuovo, e quindi più interessante, su cui la Corte è stata chiamata a pronunciarsi
riguarda la prescrizione contenuta nell'art. 5 comma 5 per cui «Le ordinanze emanate in
deroga alle leggi vigenti devono contenere l'indicazione delle principali norme a cui si
intende derogare».

Per proseguire l'indagine, è indispensabile mettere a nudo l'ambiguità contenuta nel


comma e resa evidente dall'effettiva sequenza su cui si è pronunciata la Corte.

Notiamo anzitutto la strana formulazione sul piano logico-linguistico del comma: esso
comincia dicendo «le ordinanze emanate in deroga alla legge», e quindi fa pensare che si
tratti di ordinanze che contengono effettivamente contenuti prescrittivi che derogano ad

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una o più leggi; poi però esso prosegue dicendo «devono contenere l'indicazione delle
principali norme a cui si intende derogare», e questo fa pensare a un atto che non contiene
ancora disposizioni deroganti, ma che dichiara l'intenzione di derogare, e dunque indica
quali leggi sono derogabili, anche se non ancora derogate. In sintesi nel comma si fa
confusione tra deroga (in atto) e derogabilità (e cioè possibilità di deroga).

L'effettiva sequenza su cui la Corte si è pronunciata, e che, senza essere contraria alla l. n.
225, non è però neppure espressamente prevista da essa, chiarisce molto bene il punto.
Tale sequenza ha questo andamento:

1) dichiarazione da parte del Consiglio dei Ministri dello stato di emergenza (ed
emanazione di essa da parte del Presidente del Consiglio con decreto);

2) ordinanza in pari data del Presidente del Consiglio con la quale, per dire solo
l'essenziale che ci interessa, viene nominato un Commissario delegato ed a questo
vengono affidati svariati compiti e poteri, tra i quali quello (che a noi interessa) di adottare
«provvedimenti» (notare la parola usata, su cui tornerò) in deroga se necessario alle
norme che vengono di seguito elencate (e infatti nell'art. 2 dell'ordinanza figura un lungo
elenco) (16).

Ne consegue che, data questa ordinanza-base (ed altre eventuali ordinanze del Presidente
del Consiglio che integrano o modificano la prima, come infatti è accaduto nel caso di
specie: ord. 4 gennaio 1995, in G.U., serie gen., 25 gennaio 1995 n. 20, p. 8), i concreti
provvedimenti, deroganti se necessario a diritto, e che dovranno fronteggiare l'emergenza,
saranno emanati via via dal Commissario delegato; ma allora l'ordinanza del Presidente
del Consiglio non deroga a nessuna norma e si limita ad indicare le norme derogabili,
mentre la deroga vera e propria verrà via via disposta, se del caso, dal Commissario
delegato.

Così ricostruita la vicenda, bisogna concludere: a) che l'art. 5 l. n. 225, cit. nella parte in cui
prevede ordinanze di necessità e urgenza non è la sola norma sulla produzione (17), ma
può essere norma sulla produzione anche l'ordinanza del Presidente del Consiglio, se
essa diventa la base, insieme all'art. 5, dei successivi provvedimenti del Commissario
delegato (questi provvedimenti a loro volta, se e in quanto derogatori rispetto al diritto
vigente, sono anch'essi, per il contenuto, ordinanze di necessità e urgenza: la parola
«provvedimenti» quindi contenuta nell'art. 2 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio è
ingannevole, perché ricomprende sia comuni provvedimenti amministrativi sia vere e
proprie ordinanze di necessità e urgenza del Commissario delegato); b) che tra le
ordinanze del Presidente del Consiglio e quelle, eventuali, del Commissario straordinario,
si può creare un rapporto di gerarchia, per cui in principio (18) gli atti del Commissario

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delegato non possono derogare ad atti normativi diversi da quelli elencati nell'ordinanza-
base del Presidente del Consiglio.

La sequenza ora descritta, e che è quella seguita nel caso di specie, non sembra contraria
alla l. n. 225 (e comunque non l'ha ritenuta contraria la Corte, che neppure si è posta il
problema), ma non è neppure prevista espressamente, e dunque non è l'unica
ammissibile. In altre parole la l. n. 225 non prescrive che sempre ci deve essere
un'ordinanza-base del Presidente del Consiglio e poi atti successivi di altre autorità
subordinati alla prima, e neppure prescrive che, prima di emanare i provvedimenti in
deroga alle leggi, deve esserci una previa ordinanza che elenca le leggi derogabili.

L'art. 5 comma 5, mettendo insieme la sua lettera e il caso applicativo che stiamo
commentando, mescola confusamente due ipotesi diverse: quella delle ordinanze che
derogano e quella delle ordinanze che elencano gli atti derogabili.

È chiaro ora che le affermazioni della Corte intorno alla non congruità e proporzionalità
dell'elenco contenuto nell'ordinanza impugnata riguardano il caso in cui un'ordinanza non
sta derogando a disposizioni vigenti, ma elenca gli atti normativi derogabili.

Diventa necessario trattare separatamente i due casi, cercando di far dire all'art. 5 comma
5 il massimo possibile di cose, purché coerenti: esamino per primo il caso delle ordinanze
che derogano (caso su cui non si è pronunciata la Corte, correttamente perché esso non
rientrava nel thema decidendum); successivamente (nel § n. 16) esaminerò il caso
dell'ordinanza che elenca gli atti derogabili (caso su cui si è pronunciata la Corte).

10. Se le ordinanze di necessità e urgenza vanno motivate (come vanno motivate: vedi
dopo il § n. 12), qualunque ordinanza, e quindi anche quella prevista dalla l. n. 225, deve in
linea di massima indicare espressamente le norme a cui sta derogando, siano esse
legislative siano invece contenute in atti non legislativi. A questo principio generale valido
per tutte le ordinanze di necessità e urgenza l'art. 5 comma 5 appone due particolarità, una
di dubbia costituzionalità, e l'altra invece estendibile a tutte le ordinanze di necessità e
urgenza: la prima consiste nella prescrizione per cui vanno indicate le norme di legge, e
quindi non quelle prive di forza di legge a cui l'ordinanza sta derogando (e questa mi pare
eccezione irragionevole, giacché non trovo valido motivo perché l'ordinanza possa non dire
a quali norme di diritto prive di forza di legge essa sta derogando: bisognerebbe
immaginare lo strano argomento per cui l'emergenza produce il curioso effetto di rendere
difficile l'individuazione delle norme senza forza di legge a cui si sta derogando, mentre
tale ignoranza non viene ammessa per quelle con forza di legge); la seconda particolarità
del comma 5 sta nel fatto che l'ordinanza non deve indicare tutte le norme a cui sta
derogando, ma solo «le principali», e questa mi pare invece previsione ragionevole,
giacché davvero l'emergenza in linea di massima non consente uno studio così accurato
dello stato di diritto da potere indicare, una volta stabilito che cosa appare adeguato per

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fronteggiare l'emergenza, tutte le norme previgenti che per conseguenza risultano
derogate.

11. Tutto ciò chiarito rispetto all'art. 5 comma 5 l. n. 225, quante delle regole e princìpi ora
enunciati in riferimento a tale comma diventano princìpi generali applicabili a tutte le
ordinanze di necessità e urgenza?

Se, come detto, la distinzione tra ordinanza che elenca le leggi derogabili e ordinanza che
deroga alla legge è evenienza possibile ma non necessaria in base alla l. n. 225, a
maggior ragione si tratta di evenienza possibile ma non necessaria nei casi previsti da altre
leggi, se esse prevedono un potere di ordinanza senza però imporre esplicitamente la
distinzione tra due fasi, una in cui si elencano le leggi derogabili e la seconda in cui si
emanano le ordinanze derogatrici (distinzione d'altra parte che, data l'emergenza, potrebbe
essere impraticabile, almeno nelle prime fasi dell'emergenza).

Nello stesso tempo però niente vieta di costruire, entro l'emergenza, un minisistema
gerarchico, per cui alcune ordinanze sono subordinate ad altre, salvo il potere dell'autorità
inferiore di disattendere, se l'emergenza lo impone, le prescrizioni di quella superiore (19):
naturalmente dovrà essere l'autorità inferiore a giustificare tale specifica deroga, e il
giudice a controllare proporzionalità e congruenza dell'atto derogatorio.

L'indicazione delle principali norme (non solo legislative) a cui l'ordinanza sta derogando mi
pare invece principio inderogabile per tutte le ordinanze di necessità e urgenza: chi le
adotta sta derogando al diritto (perciò le adotta), dunque, sa e può indicare almeno le
principali norme a cui sta derogando, e, dovendo motivare l'ordinanza, deve anche
espressamente indicare le norme a cui sta derogando. Se poi l'emergenza è tale che non
c'è neppure il tempo di scrivere l'atto, e tanto meno di motivarlo, allora, cessato questo
momento di emergenza così acuto, l'autorità scriverà l'atto che giustifica e fonda il già
compiuto a causa dello stato acuto di emergenza (20).

Se però un'ordinanza (non deroga ma) elenca gli atti normativi derogabili da parte di altra
autorità, così come ha fatto il Presidente del Consiglio nel caso qui commentato, allora,
seguendo l'insegnamento della Corte, i princìpi da seguire mutano sensibilmente, come
vedremo in un prossimo paragrafo (n. 16).

12. L'art. 5 comma 5 esige anche che le ordinanze in deroga alle leggi vigenti siano
motivate (l'obbligo di motivare si trova anche nell'art. 38 l. n. 142 del 1990 per quanto
riguarda le ordinanze di necessità e urgenza del Sindaco).

Ci si può chiedere se tale disposizione sia ridondante perché già posta in via generale
dalla l. 7 agosto 1990 n. 241 (21). Ritengo di no per tre ragioni: a) anzitutto la l. n. 241, cit.
non impone la motivazione rispetto agli atti normativi, e poiché le ordinanze di necessità e

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urgenza, se generali e astratte, sono sul piano concettuale atti normativi, la l. n. 241, cit.
non garantisce affatto che esse vengano motivate; b) per altro verso l'art. 5 comma 5 l. n.
225, cit. è riduttivo rispetto alla l. n. 241, perché esso, stando alla lettera, obbliga a
motivare solo le ordinanze che derogano alle leggi vigenti (dunque, stando alla lettera della
disposizione, quelle che derogano ad atti senza forza di legge potrebbero essere non
motivate); c) infine e soprattutto la motivazione delle ordinanqe deve avere un contenuto
specifico che è quello di giustificare la proporzionalità tra situazione di emergenza e misure
adottate: una motivazione generica sarebbe insufficiente, non permetterebbe un adeguato
controllo, e renderebbe illegittima l'ordinanza (si tratta a mio parere di una necessaria
conseguenza di tutto ciò che la Corte ha detto sul punto della proporzionalità).

Il punto c) precedente rende a mio avviso incostituzionale la l. n. 225 per la parte in cui
sembra consentire all'ordinanza di necessità e urgenza di non motivare le deroghe a
disposizioni senza forza di legge (punto b) prima enunciato): tutte le ordinanze di necessità
e urgenza, qualunque sia il loro contenuto, vanno motivate.

Verosimilmente il comma 5 è il frutto di una cattiva tecnica redazionale: esso unisce due
aspetti separabili (e che nel caso di specie andavano scritti separatamente proprio per
evitare conclusioni non volute e a mio avviso incostituzionali): il legislatore voleva imporre
alle ordinanze di indicare le leggi derogabili o derogate (22); voleva poi imporre l'obbligo
della motivazione. Le due cose non sono coestensive: e infatti possiamo benissimo
prevedere ordinanze che derogano non a leggi ma a regolamenti, epperò vanno
ugualmente motivate. Avendo messo insieme le due prescrizioni, la lettera suggerisce di
concludere che vanno motivate solo le ordinanze che derogano o intendono derogare a
leggi: questa interpretazione, possibile secondo lettera, è incostituzionale (siccome però è
possibile, mediante argomentazione, combinare l'art. 5 comma 5 con i princìpi in materia di
ordinanze di necessità e urgenza, i giudici possono benissimo fornire una diversa e
corretta interpretazione: vanno motivate le ordinanze che indicano le leggi derogabili o
derogate, come dice l'art. 5 comma 5, ma vanno motivate tutte le ordinanze di necessità e
urgenza, come dicono i princìpi).

13. L'art. 5 comma 6 prevede la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e sugli albi pretori
delle ordinanze disciplinate nello stesso art. 5 (23): mi pare ovvio che si tratta di
prescrizione specifica che non riguarda tutte le ordinanze di necessità e urgenza (24), per
le quali dovrebbe valere il principio che esse vanno portate a conoscenza con i mezzi più
idonei secondo le circostanze ed i destinatari, salva la scusabilità dell'ignoranza
incolpevole.

14. Nell'art. 5 comma 2 viene prescritto che le ordinanze possono bensì derogare a
qualsiasi norma, ma nel rispetto dei «princìpi generali dell'ordinamento giuridico», e la
Corte sottolinea nella motivazione questo punto, come argomento a favore della
costituzionalità della l. n. 225. Anche l'art. 38 l. 8 giugno 1990 n. 142, che disciplina oggi le

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ordinanze di necessità ed urgenza del Sindaco, prescrive che esse vanno adottate «nel
rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento giuridico». È bene che le leggi ripetano
questa clausola, ma il rispetto dei princìpi dell'ordinamento giuridico vale per tutte le
ordinanze di necessità ed urgenza, che la legge lo dica o non lo dica (25). Ne consegue a
maggior ragione che le ordinanze di necessità e urgenza non possono violare disposizioni
della Costituzione.

15. Terminato l'esame della l. n. 225, cit. e delle argomentazioni della Corte sul punto, con
lo scopo di ricavare il massimo di princìpi estendibili a tutte le ordinanze di necessità e
urgenza e nello stesso tempo di indicare quelle regole specifiche che riguardano solo le
ordinanze previste dalla l. n. 225, vediamo ora come la Corte ha giudicato l'ordinanza del
Presidente del Consiglio in riferimento alla Regione Puglia (e, implicitamente, a tutte le
Regioni), e quali conseguenze di ordine generale si possono trarre in materia di ordinanze
di necessità e urgenza (del decreto invece col quale è stato dichiarato lo stato di
emergenza, e che la Corte ha giudicato non invasivo della competenza della Regione
Puglia, non ci occupiamo perché le argomentazioni della Corte sul punto sembrano
ineccepibili) (26).

La Corte anzitutto rileva che l'art. 1 dell'ordinanza «relega la Regione in un ruolo


secondario; richiede un mero parere, mentre ben diverso è quello assicurato ai Ministeri
dell'ambiente e del bilancio, di cui si prescrive l'intesa con il Commissario delegato». «Non
è dunque concepibile - conclude la Corte sul punto - che la Regione sia ridotta a mero
organo consultato»: se c'è tempo, nonostante l'emergenza, di stabilire un'intesa tra
Ministeri e Commissario delegato, vi è altrettanto tempo per stabilire un'intesa con la
Regione, che per Costituzione è la titolare delle competenze ordinarie. Coerente la
conclusione: «Il conflitto va quindi accolto in riferimento all'art. 1, nella parte in cui statuisce
solo il parere e non l'intesa con la Regione, per quanto attiene alla programmazione degli
interventi, fermo restando che in caso di mancato accordo entro un congruo lasso di tempo
vi potrà essere - assistita da adeguata motivazione - un'iniziativa risolutiva dell'organo
statuale, per evitare rischi di paralisi decisionale (sentt. nn. 116 del 1994 e 355 del 1993)».

Quale principio generale è ricavabile dal caso così deciso? Mi pare si possa ricavare il
principio per cui non è ammissibile, in nome dell'emergenza, comprimere il ruolo delle
Regioni togliendo loro anche il potere di codecidere con altre autorità, a meno che
l'emergenza sia talmente acuta da non consentire di attendere. Poiché la programmazione
degli interventi esclude per definizione (in quanto programmazione) che si versi in uno
stato di emergenza così acuto da non poter attendere l'intesa, la conclusione della Corte
rispetto al caso deciso va generalizzata a qualsiasi caso simile.

Dallo stesso criterio usato dalla Corte si dovrebbe dedurre che in altri casi, in cui
l'intervento emergenziale è così urgente da non sopportare alcuna dilazione, lo
scavalcamento anche delle autorità regionali sarebbe ammissibile.

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A ben vedere è sempre il principio della congruità e proporzionalità tra evento e misura che
ha guidato la Corte nel decidere il caso e che deve orientare le soluzioni in tutti gli altri: se
c'è tempo per programmare gli interventi, non si vede per quale motivo non c'è anche
tempo, in limiti ragionevoli e con il meccanismo di chiusura che la Corte ricorda, per
concordare con la Regione quegli interventi che, in caso di normalità, spetterebbero ad
essa.

Questa importante conclusione, tratta a favore delle Regioni dalla Corte, è applicabile a
favore anche di altri soggetti? La risposta mi pare positiva, sempre in applicazione del
principio di congruità e proporzionalità: qualunque giudice, di fronte ad alterazioni delle
competenze introdotte da ordinanze di necessità e urgenza, è obbligato a verificare se
l'emergenza aveva tale qualità e urgenza da legittimare l'alterazione introdotta, o viceversa
consentiva, e quindi obbligava, o a rispettare le norme di competenza o almeno a cercare
l'intesa con gli enti competenti in via ordinaria.

Se questa conclusione è corretta, la vicenda su cui la Corte ha giudicato costituisce una


delle tante esemplificazioni possibili del generale principio di congruità e proporzionalità.

16. L'art. 2 dell'ordinanza impugnata contiene un lungo elenco di atti derogabili; alcuni sono
leggi o atti con forza di legge, altri senza forza di legge; alcuni sono statali, altri sono
regionali (ovviamente della Regione Puglia); alcuni sono indicati con nome e cognome
(legge xy), altri genericamente attraverso l'indicazione della materia (normative statali e
regionali in materia di avviamento al lavoro); in alcuni, pochi casi vengono indicati articoli e
commi, nella gran maggioranza dei casi viene indicato solo l'atto nel suo insieme.

Poiché la Corte giudicava sopra un conflitto di attribuzioni, è ovvio che la Corte abbia preso
in esame solo quei casi di deroga che toccavano le attribuzioni della Regione Puglia, ed
abbia per ciò solo escluso dallo scrutinio quei casi di deroga che riguardavano atti
normativi che non incidevano sulle attribuzioni della Regione. In questo caso si vede
immediatamente come lo strumento usato condizioni l'oggetto e la portata del giudizio:
l'ordinanza potrebbe essere illegittima per altri aspetti, ma la Corte in sede di conflitto non
può esaminarli se tali aspetti non riguardano le attribuzioni su cui si controverte. È da
chiedersi se e come gli aspetti di probabile illegittimità pregiudizialmente esclusi dal suo
esame dalla Corte potrebbero essere giudicati in altra sede: la cosa è tanto più rilevante in
quanto la Corte trova il modo di dire che, se anche non esamina quegli atti normativi che
non toccano le attribuzioni regionali, l'ordinanza del Presidente del Consiglio non rispetta
pienamente la l. n. 225 giacché «in qualche caso sarebbe stata consigliabile un'indicazione
più precisa delle norme da derogare»: se ne deve concludere che probabilmente
l'ordinanza è illegittima per altri aspetti oltre quelli esaminati specificamente dalla Corte.

Vengono poi raggruppati dalla Corte quegli atti normativi la cui derogabilità in base
all'odinanza tocca bensì le attribuzioni della Regione ma che legittimamente in base alla l.

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n. 225 sono dichiarati derogabili, in quanto appare congruo il legame tra la loro derogabilità
e la specifica situazione di emergenza dichiarata. La Corte anche in questo caso fa notare
che l'indicazione delle norme passibili di deroga non è sempre sufficientemente dettagliata,
ma ritiene tale difetto superabile a causa di tale legame verificato tra atto normativo
indicato e situazione di emergenza a cui far fronte (per la verità nella motivazione la
verificazione sta solo nei titoli degli atti elencati dai quali si ricava che essi riguardano lo
stato di cose rispetto a cui è stata dichiarata l'emergenza).

Rispetto a tutti gli altri atti compresi nell'elenco dell'ordinanza e non rientranti nei due
gruppi sopra indicati la Corte ha deciso che la previsione della loro derogabilità lede le
attribuzioni della Regione Puglia e pertanto ha annullato per questa parte l'art. 2
dell'ordinanza impugnata.

Mentre per quanto riguarda il dispositivo la sentenza è chiarissima, in quanto elenca


nominativamente gli atti non più derogabili (come invece pretendeva l'ordinanza
impugnata), non è facile riassumere o semplicemente indicare le ragioni (che sembrano
diverse) per cui la Corte ha giudicato illegittima l'ordinanza nella parte in cui dichiarava
derogabili gli atti elencati.

La Corte dedica a questi atti due diversi paragrafi, e quindi sembra che vi siano almeno
due diversi ordini di motivi; però nello stesso paragrafo figurano più argomenti, e qualcuno
di essi figura in ambedue i paragrafi. Forse, anziché tentare una problematica ricostruzione
delle classi di motivi in base ai quali la Corte ha stabilito che certi atti non sono derogabili
(contro quanto pretendeva l'ordinanza impugnata), è più saggio richiamare il motivo
riassuntivo che figura nel par. 13: «La Corte dichiara quindi che non spetta allo Stato, e per
esso al Presidente del Consiglio dei Ministri, introdurre prescrizioni per fronteggiare lo stato
di emergenza che conferiscano ad organi amministrativi poteri d'ordinanza non
adeguatamente circoscritti nell'oggetto, tali da derogare a settori di normazione primaria
richiamati in termini assolutamente generici» (la frase prosegue indicando un diverso
motivo di illegittimità dell'ordinanza che riguarda però l'art. 1 già esaminato).

In sostanza la Corte sembra dare questa interpretazione dell'art. 5 comma 5 in riferimento


alle competenze garantite alla Regione dalla Costituzione (notare la limitazione): 1) se si
intende derogare a leggi (e non si sta derogando ancora a tali leggi), bisogna indicarle
espressamente (e cioè indicando per lo meno numero e data); 2) se queste leggi
riguardano uno stato di cose che rientra nella situazione per cui è stata dichiarata
l'emergenza, basta l'indicazione precedente (e cioè non c'è bisogno, come pure invece la l.
n. 225 sembra pretendere, di indicare le principali norme di tali leggi; qui ritorna la
distinzione tra ordinanze che derogano e ordinanze che prevedono la derogabilità: quelle
che derogano debbono indicare le principali norme a cui stanno derogando; quelle che
prevedono la derogabilità debbono indicare gli atti e/o le disposizioni derogabili, purché
siano collegate con lo stato di emergenza); c) se invece le leggi sono leggi di principio o

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leggi che riguardano stati di cose che solo occasionalmente e tangenzialmente possono
riguardare la situazione di emergenza, allora bisogna circoscrivere adeguatamente
l'oggetto di tali ordinanze che prevedono la derogabilità di leggi (e altri atti normativi), in
modo che sia possibile uno scrutinio di congruità tra evento e misura. Se non vengono
rispettati questi criteri, si ha un'indebita compressione dell'autonomia regionale garantita
dalla Costituzione.

17. Il caso esaminato fa emergere, mi pare per la prima volta, un'ipotesi nuova in tema di
ordinanze di necessità e urgenza: il caso in cui un'ordinanza non deroga ma elenca gli atti
normativi derogabili.

In riferimento alla l. n. 225 ciò che ha detto la Corte a tutela della Regione Puglia non solo
è estendibile a favore di tutte le Regioni (se e quando un'ordinanza, basata sulla l. n. 225,
pretende di comprimerne in modo non congruo né proporzioato le competenze), ma
dovrebbe potere essere utilizzato da qualunque giudice su ricorso di qualsiasi soggetto
legittimato a ricorrere.

Di fronte ad un'ordinanza di necessità e urgenza che elenca genericamente e


confusamente una serie di atti normativi derogabili da parte delle autorità, qualunque
soggetto legittimato può ricorrere al giudice competente per far dichiarare illegittima tale
previsione nella parte in cui appare non congrua e non proporzionata.

Ma se questo principio vale per le ordinanze che attuano la l. n. 225, non si vede perché
non debba applicarsi a qualsiasi ordinanza di necessità e urgenza prevista da una
qualsiasi legge.

In conclusione, la sentenza commentata fa emergere un ulteriore e nuovo principio in


materia di ordinanze di necessità e urgenza: quelle ordinanze che elencano gli atti
normativi derogabili da qualche autorità, debbono farlo in modo congruo e proporzionato,
cosicché qualunque giudice può annullare o disapplicare l'elenco nella parte in cui non
appare né congruo né proporzionato.

Note:
(1) La Corte costituzionale si è occupata più volte del rapporto tra ordinanze in maeria di
protezione civile e Regioni: v. le sentt. 22 maggio 1987 n. 201 (in Le Regioni 1987, 1571,
con nota di V. Angiolini, Urgente necessità ed emergenza: la Corte costituzionale ci
ripensa?); 10 maggio 1988 n. 533; 19 ottobre 1988 n. 977. Va da sé che il tema qui trattato
si intreccia ma è indipendente con altri casi di emergenza, ed in particolare quelli derivanti
da movimenti politici eversivi e quelli determinati da ragioni economiche.
(2) Peraltro la cosa è meno semplice di quanto appaia nel testo: infatti, se l'atto impugnato
è conforme alla legge, ed è la legge che incostituzionalmente consente la compressione
della competenza regionale, il conflitto diventa un modo per impugnare fuori termine le

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leggi statali o di altre Regioni. La Corte infatti ha stabilito fin dalla sent. n. 140 del 1970 che
è inammissibile quel ricorso che si esaurisce nell'impugnativa in via indiretta di una legge.
Sul punto v. G. Zagrebelsky, La giustizia costituzionale, Bologna, 1988, 348 (ed ivi citazioni
di Esposito 1960, Pizzorusso 1969, Crisafulli 1979 e G. Volpe 1979); A. Cerri, Corso di
giustizia costituzionale, Milano, 1994, 153.
(3) V. in questa Rivista 1992, 3944 ss., con nota redazionale di F. Politi.
(4) Nell'art. 1 comma 1 l. 24 febbraio 1992 n. 225 si trova l'indicazione del fine: «tutelare
l'integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l'ambiente dai danni o dal pericolo di danni
derivanti da calamità naturali, da catastrofi e da altri eventi calamitosi».È interessante
notare che la Corte, nel valutare se sussistessero i presupposti voluti dalla l. n. 225, cit. ha
fatto riferimento proprio all'inciso «altri eventi calamitosi», che nel caso di specie diventano
«gravi carenze strutturali relative al ciclo idrico e allo smaltimento dei rifiuti».Sulla legge si
può leggere Il nuovo sistema della protezione civile a cura di E. Petrocelli, Roma, 1992, e
ivi in particolare R. Di Passio, L'organizzazione centrale, i poteri di coordinamento e di
ordinanza, 33 ss.; L. Giampaolino, Il servizio nazionale di protezione civile: commento alla
l. 24 febbraio 1992 n. 225, Milano, 1993; La protezione civile a cura di F.S. Severi
(Consiglio nazionale delle ricerche-CNR, vol. XXVII della collana del progetto finalizzato
«pubblica amministrazione»), Roma, 1995 e ivi in particolare M. Malo, La nuova legge sul
servizio nazionale di protezione civile (l. 24 febbraio 1992 n. 225).Conviene poi ricordare
che la prima approvazione delle Camere fu oggetto di un rinvio da parte del Presidente
della Repubblica, e il testo vigente è il frutto di una nuova stesura a seguito di tale rinvio (il
testo del messaggio di rinvio del 15 agosto 1990 si può leggere a p. 113 del volume del
CNR, cit.).
(5) Qualcuno può sostenere che anche la descrizione del presupposto contenuta nella l. n.
225, cit. è troppo generica. La mia risposta è semplice: provate a scriverne una più
specifica; sono convinto che sarebbe sbagliato, dato il fine perseguito. Se poi teniamo
presenti tutti i princìpi che oggi circondano le ordinanze di necessità ed urgenza, ed in
particolare: il principio della proporzionalità, per cui vi deve essere congruenza tra evento e
misura; il principio della motivazione, per cui anche tale congruenza va motivata; il principio
del rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento giuridico (e quindi a maggior ragione delle
disposizioni della Costituzione), mi pare che anche il presupposto, ragionando a ritroso,
diventi, volta per volta, molto più circoscritto e determinato di quanto a prima vista potrebbe
sembrare in base alla nuda lettera della legge.
(6) Altre ordinanze sono previste nel successivo comma 3 (anche se trovo difficile indicare
la differenza tra le ordinanze del comma 2 e quelle del comma 3: così M. Malo, op. cit., 80-
82; sul punto v. anche R. Di Passio, op. cit., 46 s.), e nell'art. 14 in capo al Prefetto;
essendo prevista la figura del Commissario delegato, anche questo organo può diventare
titolare di poteri di ordinanza (come avviene in base all'art. 2 dell'ordinanza del Presidente
del Consiglio impugnata dalla Regione Puglia nel caso che stiamo esaminando, anche se
tali atti vengono genericamente chiamati provvedimenti). Più in generale ci si può chiedere
quanti tipi di ordinanze di necessità e urgenza sono espressamente o implicitamente

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previsti nella l. n. 225, e quali le differenze tra di essi. È un problema che mi limito a
ricordare: sul punto v. R. Di Passio, op. cit., 47; M. Malo, op. cit., 81.
(7) La formulazione del comma, come vedremo meglio tra breve, è molto ambigua, perché
non è chiaro se si riferisce solo alle ordinanze che prevedono la possibilità di deroga ma
che per se stesse non derogano ancora, o a quelle che col loro contenuto derogano a
diritto, o ad ambedue.
(8) Anche questa disposizione è molto più ambigua di quanto sembri, perché, proprio in
riferimento ai commi precedenti dello stesso articolo, non è affatto chiaro quali sono i
soggetti titolari dei poteri di ordinanza in essi previsti (e quindi sottoposti all'obbligo di
pubblicazione in Gazzetta Ufficiale) e quali soggetti, pur essendo coinvolti nel sistema della
protezione civile, o non sono titolari di poteri di ordinanza, o sono esclusi dall'obbligo della
pubblicazione in Gazzetta Ufficiale delle loro ordinanze.
(9) Le ordinanze ordinarie sono comuni provvedimenti amministrativi che portano questo
nome, per ragioni non sempre decifrabili o giustificabili; gli atti necessitati sono atti tipici,
niente affatto derogatori dunque rispetto al diritto vigente, che hanno come presupposto
uno stato di cose qualificabile come necessario e urgente. Il punto è stato da tempo
chiarito dalla dottrina ed è ormai pacifico: v. da ultimo Fr. Migliarese, Ordinanze di
necessità, in Enc. giur., XXII, 1990; F. Satta, Ordine e ordinanza amminstrativa, ivi.
(10) Per questo aspetto si rinvia agli scritti citati supra, nt. 2 ed a quelli ulteriori ricordati da
essi.
(11) Si è provveduto con decreto-legge nel caso delle inondazioni in Piemonte del
novembre 1994: v. il d.l. 24 novembre 1994 n. 646, conv. in l. 21 gennaio 1995 n. 22.È
verosimile che la necessità di ricorrere al decreto-legge, anche in presenza della l. n. 225,
cit. dipenda dal fatto che quasi sempre è necessario reperire fondi, ad es. mediante nuove
imposte, o variazioni nel bilancio dello Stato, cosicché provvedere con un atto senza forza
di legge sarebbe contrario a Costituzione.Per il passato riferimenti di M. Di Raimondo,
Protezione civile, in Enc. dir., XXXVII, 1988, 499, nt. 33.
(12) La ragione per cui l'ordinanza di necessità e urgenza non ha forza di legge sta nella
circostanza, ribadita dalla Corte, per cui essa può derogare ma non abrogare, e quindi
innovare stabilmente nell'ordine legislativo: si tratta di un argomento che avevo illustrato,
come ricorda Fr. Migliarese, op. cit., 2, nella mia voce Ordinanza e provvedimenti di
necessità e urgenza (diritto costituzionale e amministrativo), in Nss. D.I., XII, 1965, 94.
(13) Anche se si ammette, come sostengo nel testo, che la dichiarazione di emergenza va
emanata con decreto del Presidente della Repubblica, questo resterebbe escluso dalle
ordinanze successive ed in particolare, come è avvenuto nel caso di specie, da quelle
generali deliberate ed emanate o dal Presidente del Consiglio o dal Ministro per la
protezione civile.
(14) Che la dichiarazione dello stato di emergenza vada emanata con decreto del
Presidente del Consiglio potrebbe essere sostenuto in base a due argomenti, ambedue
però molto deboli, per non dire infondati: a) l'art. 1 comma 2 attribuisce al Presidente del
Consiglio il compito di promuovere e coordinare tutte le attività ricomprese nel Servizio

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della protezione civile, e quindi, si potrebbe concludere, anche il potere di emanare la
dichiarazione dello stato di emergenza prevista nell'art. 5 comma 1; b) le ordinanze
previste nello stesso art. 5 comma 3 sono emanate per espressa indicazione della legge
dal Presidente del Consiglio: quindi, si può concludere, anche la dichiarazione del comma
1, e le ordinanze del comma 2, vanno emanate con decreto del Presidente del Consiglio.
Gli argomenti sono debolissimi: il primo perché promuovere e coordinare non vuol dire
avere una competenza generale ovunque manchi una specifica disciplina, né implica
deroga a specifiche norme di legge (nel caso di specie a quella contenuta nella l. 12
gennaio 1991 n. 13); inoltre anche il Ministro per la protezione civile, su delega del
Presidente del Consiglio, promuove e coordina, ma sembra davvero troppo ammettere
che, su delega del Presidente del Consiglio, un Ministro emani una deliberazione del
Consiglio dei Ministri; il secondo argomento è debole perché si può anche sostenere,
esattamente al contrario, che proprio il fatto che nel comma 3 venga indicato come organo
emanante il Presidente del Consiglio prova che non spetta ad esso emanare nel caso del
comma 1, in cui la disposizione non viene ripetuta; vale poi anche il controargomento già
detto, per cui anche nel comma 3 si prevede la delega da parte del Presidente del
Consiglio al Ministro, mentre l'emanazione della dichiarazione dello stato di emergenza
deliberato dal Consiglio dei Ministri non sembra proprio delegabile.
(15) Non va dimenticato però: a) che nella stessa l. n. 225 è previsto un potere di
ordinanza esercitabile, a causa dell'urgenza, prima della dichiarazione dello stato di
emergenza (cosa che mi pare del tutto ragionevole): art. 14 (è da chiedersi poi se non
sono utilizzabili, come poteri indipendenti, da parte dei soggetti autorizzati, altre ordinanze
di necessità e urgenza: ad es. quelle previste dall'art. 2 t.u.p.s. o quelle previste dall'art. 38
l. 8 giugno 1990 n. 142); b) che sarebbe del tutto irragionevole, se veramente ricorre
un'emergenza acuta, pretendere sempre che prima venga dichiarato lo stato di emergenza
da parte di una specifica autorità (che magari ha bisogno di tempo, fossero pure ore, per
essere convocata e per deciderle), e solo dopo ammettere la possibilità di emanare
ordinanze che fronteggiano l'emergenza.
(16) Ricordo qui brevemente alcune questioni collaterali di un certo interesse.Anzitutto nel
preambolo dell'ordinanza del Presidente del Consiglio non viene indicata con precisione la
disposizione che la fonda: viene ricordato l'art. 5 l. n. 225, cit. ma si omette di indicare il
comma (e i commi che potrebbero essere indicati sono almeno due alternativamente: il
secondo o il terzo); in secondo luogo, stando al preambolo, il Consiglio dei Ministri «ha
approvato la presente ordinanza», con il che la distinzione prevista dalla l. n. 225 tra
dichiarazione del presupposto (attribuita al Consiglio dei Ministri) e provvedimenti
conseguenti (attribuiti ad altre autorità) svanisce; in terzo luogo nel preambolo si dice che il
Consiglio dei Ministri «ha approvato la presente ordinanza ed ha autorizzato il Presidente
del Consiglio ad intervenire ai sensi dell'art. 5», laddove in questa disposizione non c'è
alcuna traccia di un'autorizzazione del Consiglio dei Ministri al Presidente del
Consiglio.Sono tutte spie di un'incertezza o sciatteria di fondo in una materia che invece
esigerebbe, più di ogni altra, consapevolezza e precisione.

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(17) Che le disposizioni le quali prevedono ordinanze di necessità e urgenza siano norme
sulla produzione giuridica e non norme di produzione giuridica era tesi portante del mio
lavoro Ordinanza e provvedimenti di necessità e urgenza, cit., ripresa ora adesivamente da
F. Satta, op. cit., 3.Sottolineo qui quanto detto nel testo, e cioè che, nel caso di specie,
costituisce norma sulla produzione non solo la l. n. 225, ma anche la prima ordinanza del
Presidente del Consiglio, che fonda a sua volta, e limita, le ordinanze del Commissario
delegato.
(18) Vedremo nella nota 19 il perché di questa limitazione.
(19) Se l'emergenza è tale da esigere una deroga ulteriore rispetto a quelle espressamente
previste nell'ordinanza-base, non vedo, in base alla stessa l. n. 225 (che a rigore non
disegna alcuna gerarchia tra ordinanze) ed in base ai princìpi che regolano l'emergenza,
perché impedire all'autorità che ha il compito di intervenire di commisurare il suo intervento
al grado di emergenza e quindi, se è necessario e urgente, perché impedire ad essa di
derogare a qualsiasi disposizione, anche a quelle contenute nell'ordinanza-base
eventualmente emanata dal Presidente del Consiglio (salvo ovviamente il rischio che il
giudice non sia d'accordo e giudichi illegittima questa deroga perché non giustificata dallo
stato delle cose). Del resto l'art. 14 comma 3 attribuisce al Prefetto un autonomo potere di
ordinanza, il quale, attraverso il rinvio esplicito all'art. 5 comma 2 può derogare a qualsiasi
disposizione vigente, sempre che l'emergenza lo richieda e la misura adottata sia
proporzionata all'evento. Per la verità l'art. 14 comma 3 dice che il Prefetto agisce «quale
delegato del Presidente del Consiglio o del Ministro», ma dal tenore dell'articolo è evidente
che non c'è alcun bisogno di uno specifico atto di delegazione, e che in realtà il Prefetto
agisce iure proprio, se ricorrono i presupposti previsti dalla legge. In questo caso la parola
«delegato» vuole solo ricordare, usando un termine inappropriato, che il Prefetto è
subordinto al Presidente del Consiglio e al Ministro (cosa talmente ovvia, dato il sistema
costruito dalla l. n. 225 e dati i princìpi, che non c'era alcun bisogno di ricordarlo, per di più
usando un termine giuridicamente inappropriato).
(20) La giurisprudenza esige che l'ordinanza abbia forma scritta (indicazioni in Fr.
Migliarese, op. cit., 6): ritengo però che, a seguire coerentemente la logica dell'emergenza,
la forma scritta è la regola, che può essere derogata, in via provvisoria, se l'emergenza è
tale da giustificarla, e sempre che vi sia una regolarizzazione in forma scritta non appena è
possibile.
(21) Si pone il problema, e lo risolve in un senso vicino a quello del testo, L. Giampaolino,
op. cit., 100.
(22) Sull'ambiguità contenuta nel comma 5 per quanto riguarda questo punto v. supra, § n.
9.
(23) Sono escluse dunque dall'obbligo di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale le ordinanze
del Prefetto ex art. 14 comma 3 che ugualmente sono derogatorie rispetto al diritto vigente
in attesa della dichiarazione dello stato di emergenza e di altre eventuali ordinanze del
Presidente del Consiglio o del Ministro; è da chiedersi se sono da pubblicare in Gazzetta
Ufficiale anche le eventuali ordinanze del Commissario delegato previste dall'art. 5 comma

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4: secondo lettera sì, secondo ragione sembra disposizione eccessiva quando non
impraticabile.
(24) Come del resto prevede implicitamente la stessa l. n. 225.
(25) Principio oggi pacifico in dottrina e per la Corte, ma messo continuamente in pericolo
dall'esistenza di leggi che, per la loro lettera, prevedono ancora ordinanze di necessità e
urgenza dal contenuto totalmente indeterminato (per tutti v. l'art. 2 t.u.p.s.).Per la verità
avrei qualche dubbio sull'esattezza e praticabilità del rispetto, sempre e comunque, dei
princìpi generali dell'ordinamento. Mi pare che il principio di congruità e proporzionalità tra
evento e misura assorbe, e limita nello stesso tempo, il presunto principio del rispetto dei
princìpi generali dell'ordinamento, nel senso che, se l'ordinanza è congrua e proporzionata
alla necessità (ricordando che il giudice può annullarla o disapplicarla, se viziata), in
generale essa rispetterà anche i princìpi generali dell'ordinamento (il punto viene colto ed
illustrato con molta chiarezza e felice esemplificazione da F. Satta, op. cit.), ma è
ragionevole immaginare un'emergenza tale da esigere, in un caso specifico, la deroga
anche ad un principio generale dell'ordinamento (naturalmente la cosa andrà
adeguatamente motivata e resta sotto il controllo dei giudici).
(26) Per la verità tutta la vicenda, misurata secondo la nozione di emergenza, diventa
ambigua: il solo fatto che l'ordinanza del Presidente del Consiglio non adotti alcun
provvedimento concreto, ma costruisca e delimiti per un anno e mezzo i compiti del
Commissario delegato dimostra che si tratta di una strana emergenza, tanto poco
emergente che il problema principale diventa quello di programmare ed attuare interventi di
risanamento ambientale. Insomma, più che la lett. c) dell'art. 2 sembra che sarebbe stato
più aderente ai fatti usare la lett. b) (e cioè rispondere a «eventi naturali o connessi con
l'attività dell'uomo che per loro natura ed estensione comportano l'intervento coordinato di
più enti o amministrazioni competenti in via ordinaria»). Ma siccome era stata la stessa
Regione Puglia a chiedere la dichiarazione dello stato di emergenza ...

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15/05/2023
UNIV.EUROPEA 2023

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