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Anita Trivelli, Un profilo della Neue Welle.

L’atto di fondazione del movimento è il Manifesto di Oberhausen (28 febbraio 1962), sottoscritto da


ventisei cineasti, in occasione dell’ottava edizione del Festival internazionale del cortometraggio di
Oberhausen.  

Analogamente a quanto avviene nelle diverse declinazioni del Nuovo Cinema Internazionale - in
primis nell’«ammirata» Nouvelle Vague - l’eterogenea Neue Welle mira a rifondare la cinematografia
nazionale e rifiuta il cinema commerciale con la sua industria in piena crisi.1 Al conservatorismo e alla
stagnazione del panorama cinematografico tedesco-occidentale, nonché all'invadenza dei
prodotti americani, i giovani registi oppongono un cinema della libera espressione individuale,
improntato all'autorialità, e non sottomesso alle logiche del mercato.  

E’ la rottura dichiarata col cinema nazionale post-1945, prodotto dall'UFA e veicolo di un'immagine
edulcorata e falsata della Germania del secondo dopoguerra. Rottura che avviene all'insegna di una
programmatica combinazione di istanze autobiografiche e sociali, nonché di una predilezione per il
cinema contemporaneo francese e per quello tedesco degli anni ‘20, con i registi esuli come Fritz Lang e
Max Ophüls.2  

A questo «Autorenkino» (cinema degli autori), che mutua dalla Nouvelle Vague slogan come «Papas Kino
ist tot» (il cinema di papà è morto), la Neue Welle affida un compito impegnativo e inedito: mostrare
l'immagine di una Germania consapevole delle proprie responsabilità storiche e sulla via di un
radicale rinnovamento.  

I principali fattori che sostanziano la Neue Welle sono: i legami con la letteratura tedesca classica
(Goethe, Kleist, Musil) e postbellica (Gruppe 47: Böll, Grass, in seguito l’austriaco Handke); le suggestioni
della «musica nuova» (atonale e dodecafonica); e gli influssi della filosofia esistenzialista, del marxismo
brechtiano, degli insegnamenti della Scuola di Francoforte.3 A questi si aggiungono un sistema di
1 La major storica del cinema tedesco, l'UFA (Universum Film Aktiengesellschaft), nata nel 1917, crolla
nel gennaio 1962, un mese prima della proclamazione del Manifesto di Oberhausen.

2 Su questa stagione cinematografica della Germania si veda L. Quaresima, Cinema tedesco: gli anni di


Weimar. Dal film espressionista al Tonfilmoperette e modernizzazione, in G. P. Brunetta (a cura di), Storia
del cinema mondiale (L’Europa. Le cinematografie nazionali), vol. III*, Einaudi, Torino 2000. Sulla storia e
gli sviluppi della Neue Welle (nuova onda) tedesco-occidentale si rimanda a G. Spagnoletti, Da
Oberhausen a Berlino: la lunga marcia del cinema tedesco, in Storia del cinema mondiale (L’Europa. Le
cinematografie nazionali), a cura di G. P. Brunetta, vol. III**, Einaudi, Torino 2000.

3 Allievo di Theodor W. Adorno è stato peraltro Alexander Kluge, portavoce e “ideologo” dello JDF col
quale Edgar Reitz, uno dei nomi di punta del movimento, ha condiviso un sodalizio artistico quasi
ventennale, sin dalla nascita della Neue Welle: in occasione dello stesso esordio nel lungometraggio di
Kluge, Abschied von Gestern (La ragazza senza storia, noto anche come Addio al passato o Anita G.),
Leone d’argento alla Mostra del cinema di Venezia 1966 e riconosciuto debutto internazionale della
Neue Welle, Reitz fu direttore della fotografia e collaboratore alla regia. Ulteriori apporti di Reitz
all’affermazione della Neue Welle sono la conquista del Leone d’argento alla Mostra del cinema di
Venezia 1967 con Mahlzeiten (Pasti, noto anche come L’insaziabile), il suo esordio nel lungometraggio a
soggetto.

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finanziamento pubblico del cinema (in primis il Kuratorium Junger Deutscher Film, 1965) e le nuove
possibilità produttive e distributive dovute alla nascita di cooperative e associazioni di cineasti (come il
Filmverlag der Autoren, 1971), di case di produzione indipendenti (per esempio, la Edgar Reitz
Filmproduktion) e del movimento dei Kommunale Kino (cinema comunali: l’Arsenal a Berlino
ovest, l’Abaton ad Amburgo, il Kommunales Kino a Francoforte, per citarne qualcuno). Non va
dimenticato infine che il sostegno al cinema viene attuato anche tramite accordi produttivi e distributivi
con le reti televisive, confluiti nel 1974 nel patto di doppio passaggio su piccolo e grande schermo.  

Questo complesso di misure istituzionali e iniziative dei professionisti favorisce lo sviluppo di quello che
ormai viene chiamato Neuer Deutscher Film (Nuovo Cinema Tedesco, 1968-1982), la seconda “ondata”
del movimento, che accentua la predilezione per i Maestri del cinema classico americano
(Ford, Hitchkock, Hawks, Walsh, Ray, Sirk, Fuller) e conquista, nel 1976, la copertina del “Newsweek” (col
titolo German Film Boom). Nella moltiplicazione di esordi nella regia, tra il 1968 e il 1975, si delinea
inoltre, in una posizione dichiaratamente autonoma, una notevole partecipazione di giovani registe di
talento, tra le quali citiamo: Jutta Brückner, Ulrike Ottinger, Helke Sander, Helma Sanders-Brahms,
Ula Stöckl, Margarethe von Trotta.

Rilevante è il concorso del citato Reitz all’esperienza inaugurata con la proclamazione del Manifesto di
Oberhausen, a cominciare dalla fondazione, insieme con Kluge e Detten Schleiermacher, dell’Institut für
Filmgestaltung di Ulm (1963), la prima scuola di cinema della Repubblica Federale Tedesca, che presto
diventa il luogo di formazione di diversi cineasti ed è seguita, di lì a poco, dalla nascita della Deutsche
Film und Fernsehakademie di Berlino (DFFA, 1965) e dalla Hochschule für Film und Fernsehen di Monaco
(HFF, 1966).4 La scuola di Ulm riserva una particolare attenzione al cinema delle origini e a cineasti quali
Murnau, Lang, Richter, Ejženstejn, Vertov, Dovženko5; e l’attività di Reitz prestata al suo interno,

4 Sull’iter costitutivo della scuola di Ulm cfr. Galli, Edgar Reitz, cit., p. 55. Per la nascita e le riflessioni sul
nuovo cinema della RFT, anche in virtù del modello esemplare della Nouvelle Vague, è significativo il
ruolo svolto dalla critica sulle riviste: alla monacense “Filmkritik” (con l’importante precursore
“Filmforum”, negli anni ‘50) si deve l’introduzione nel Paese della letteratura cinematografica francese
(grazie a Frieda Grafe e a Enno Patalas, cofondatore della rivista con Wilfried Berghahn, nel 1957); altre
due riviste di riferimento sono “Film” e “Filmstudio”. Nel 1974 viene inoltre fondata la prima rivista
cinematografica femminista europea, “Frauen und Film”, ad opera delle registe Claudia von Alemann e
Helke Sander. Per un resoconto sul suo ruolo e la sua storia si rimanda a J. Knight, Women and the New
German Cinema, Verso, London-New York 1992 (in particolare il capitolo Institutional Initiatives).

5 Il “Remigrant” Lang l’aveva del resto patrocinata e doveva assumerne la direzione, ma fu impedito da
ragioni di salute: cfr. Eder (Alla ricerca delle radici cit., p. 31), che riferisce anche della lungimirante
"missione" pedagogica e di politica culturale di Reitz, attivamente impegnato per l'inserimento del
cinema come materia d'insegnamento nelle scuole (ib., p. 32). Il documentario Filmstunde (1968), girato
al Luisen-Gymnasium di Monaco, è un suo esperimento didattico in questa direzione.

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fino al 1968, coincide anche con un certo sviluppo della sua elaborazione teorica e delle sue idee
sperimentali sul cinema.6

Sulla storia e gli sviluppi della Neue Welle (nuova onda) tedesco-occidentale si rimanda a
Giovanni Spagnoletti, Da Oberhausen a Berlino: la lunga marcia del cinema tedesco, in Gian Piero
Brunetta (a cura di), Storia del cinema mondiale (L’Europa. Le cinematografie nazionali), vol.
III**, Einaudi, Torino 2000. Testi monografici di riferimento sono: Junger Deutscher Film 1960/1970,
a cura di Giovanni Spagnoletti (Ubulibri, Milano 1985); Il Nuovo Cinema Tedesco, a cura di Paolo Taggi,
Joe Hembus, Robert Fischer (Gremese, Roma 1987); Thomas Elsaesser, New German Cinema. A
History (BFI Cinema Series, London 1989); Anton Kaes, From Hitler to Heimat. The Return of History as
Film (Harvard University Press, Cambridge MA 1989). I principali sviluppi della cultura tedesco-
occidentale a partire dagli anni ‘60 del Novecento, registrati attraverso cinema e letteratura, sono
articolati in Richard W.McCormick, Politics of the Self. Feminism and the Postmodern in West German
Literature and Film (Princeton University Press, Princeton NJ 1991). Inoltre, per una breve ricognizione
del contesto storico-culturale in cui vengono realizzati gli Heimat reitziani, si veda Barnaba Maj, Heimat.
La cultura tedesca contemporanea (Carocci, Roma 2001).

Tra alcuni titoli di riferimento sul cinema delle registe tedesche citiamo: Daniela Trastulli, Germania
pallida madre. La ricostruzione di una memoria storica nel cinema di Jutta Brückner, Helke Sander, Helma
Sanders-Brahms, Ula Stöckl e Margarethe von Trotta (la casa Usher, Firenze, 1982); Il Granito e
l'Arcobaleno, a cura del Laboratorio Immagine Donna di Firenze (Morgana Edizione, Firenze 1996); Julia
Knight, Women and the New German Cinema (Verso, London-New York, 1992); Sandra Frieden, Richard
W. McCormick, Vibeke R. Petersen, Laurie Melissa Vogelsang (a cura di), Gender and German Cinema.
Feminist Interventions: German Film History/German History on Film (Berg Publishers, Providence,
Oxford 1993); Barbara Kosta, Recasting Autobiography. Women’s Counterfictions in Contemporary
German Literature and Film (Cornell University Press, Ithaca and London 1994).

6 Ne è prova il saggio Utopie Kino (1963-1965), inserito nella citata raccolta di suoi scritti Liebe zum


Kino (pp. 12-31). L’impegno teorico del cineasta si era peraltro già manifestato con la partecipazione al
gruppo “Doc 59”, dove figuravano, tra gli altri, Ferdinand Khittl, Haro Senft, Raimond Rühl, Franz Josef
Spieker, Detten Schleiermacher. Tutti, come Reitz, saranno futuri elaboratori e firmatari del Manifesto di
Oberhausen.

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