Sei sulla pagina 1di 29

Fondazione Istituto Gramsci

IL CASO HOCHHUTH
Author(s): Giorgio Fabre
Source: Studi Storici, Anno 55, No. 3 (LUGLIO-SETTEMBRE 2014), pp. 671-698
Published by: Fondazione Istituto Gramsci
Stable URL: https://www.jstor.org/stable/43592847
Accessed: 23-05-2020 11:25 UTC

JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide
range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and
facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact support@jstor.org.

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at
https://about.jstor.org/terms

Fondazione Istituto Gramsci is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend
access to Studi Storici

This content downloaded from 151.63.100.80 on Sat, 23 May 2020 11:25:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
Opinioni e dibattiti

IL CASO HOCHHUTH*

Giorgio Fabre

Dura, difficile, satura di realtà . Rolf Hochhuth non è stato né attore né re


e ha fatto politica solo in maniera indiretta. Ma i suoi testi teatrali sono en
nel dibattito politico tedesco - e di altri paesi - e hanno inciso, in partico
Il Vicario , di cui principalmente qui si parlerà1. Di certo è stato un innov
e ha costituito un punto di passaggio comunicativo molto importante per
cultura europea. Il Vicario è forse il testo teatrale di cui si è più parlato n
mondo nella seconda metà del Novecento. E i suoi effetti arrivano fino a
Ma, intanto, chi è Rolf Hochhuth. Il drammaturgo è nato a Eschwege, in
sia, il Io aprile 1931, e aveva 32 anni quanto fu rappresentato II Vicario .
di anni ne ha 83. Alla fine della guerra, ne aveva 14. Non aveva combattu
ma era stato nella Deutsches Jungvolk2. Il padre, antihitleriano e luteran
un piccolo produttore di scarpe che dopo la grande crisi si dovette adatta
fare l'operaio. Nel 1955, Rolf lasciò l'università, che non terminò, per and
lavorare nella casa editrice Bertelsmann, dove curò il primo volume della n
fortunatissima edizione dei racconti di Wilhelm Busch, un classico te
per bambini dell'Ottocento che vendette un milione di copie3. Dopo c
settimanale cattolico americano, nel luglio 1963, sostenne che Busch era s
un antisemita, Hochhuth fu messo sulla graticola per questo motivo:
trattava di voci senza fondamento, presto cessate4.

* Il presente contributo costituisce il testo rivisto della lezione tenuta i giorni 25 e 26 g


2014, nel corso del seminario «Il teatro politico» organizzato dalla Scuola superiore di
storici dell'Università della Repubblica di San Marino.
1 Una ricostruzione delle vicende del Vicario , con molti dati, è in S.J. Whitfiel
Deputy. History, Morality, Arty in «Modern Judaism», vol. 30, n. 2, May 2010, pp. 153
2 Mein Vater heißt Hitler. Fritz J. Raddatz im Gespräch mit Rolf Hochhuth, in «Die
9. April 1976.
3 W. Busch, Sämtliche Werke und eine Auswahl der Skizzen und Gemälde in zwei Bänden,
hrsg. v. R. Hochhuth, Gütersloh, Bertelsman, 1959.
4 E. Alexander, Rolf Hochhuth. Equivocal 'Deputy, in «America», 12 October 1963. La
vicenda è ricostruita in Jacques Nobécourt, «Le Vicaire» et l'histoire, Paris, Seuil, 1964,

This content downloaded from 151.63.100.80 on Sat, 23 May 2020 11:25:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
672 Giorgio Fabre

A partire dal 1958, dopo la morte di Pio XII, Hochhuth iniziò le ricerche sto-
riche che confluirono nella sua prima opera teatrale, Il Vicario 5. Bertelsmann
non volle pubblicare il libro che ne scaturì. Ma il suo capo-ufficio in casa
editrice, Karl Ludwig Leonhardt, un uomo vicino ad Adenauer, lo passò a un
prestigioso editore di Amburgo, Heinrich Ledig-Rowohlt, il quale, per avere
un consiglio e decidere, nella primavera del 1962 lo girò a Erwin Piscator, ce-
lebre regista d'avanguardia negli anni Venti-Trenta. Piscator ha accennato alla
vicenda nella nota introduttiva al libro, datata 6 novembre 19626: il libro fu
infatti pubblicato da Rowohlt e usci in contemporanea con la messa in scena
del dramma.
Di Piscator sono note le vicende durante il periodo di Weimar e poi le sue pe-
regrinazioni dopo gli anni Trenta in Urss, a Parigi, negli Stati Uniti7. Nel 1952
tornò a Berlino, dove dieci anni dopo ebbe l'incarico di dirigere il celebre e
storico teatro pubblico Freie Volksbühne. All'epoca la città era ormai divisa dal
muro e amministrata dai socialdemocratici, e Willy Brandt era il borgomastro.
Piscator, appena nominato alla Freie Volksbühne, si era proposto, come scris-
se nel diario, di «trovare pezzi teatrali di un genere che non si sono mai visti
prima: duri, difficili, saturi di realtà. Indietro allo stile degli anni Venti»8. Per
questo motivo decise di mettere in scena subito il dramma inedito che gli era
stato appena sottoposto e che considerò eccezionale. Era, scrisse nel presen-
tarlo, un lavoro che, mirando a una «rappresentazione storica», esibiva «un
materiale trattato scientificamente in una forma artistica».
Nasceva cosi anche un nuovo genere a cui fu presto dato un nome, «dramma
documentario», «DokumentarischesTheater», e che ebbe un enorme successo.
Negli anni seguenti, i palcoscenici tedeschi si riempirono di messe in scena
che avevano come protagonisti dei personaggi e delle vicende storiche recenti9.
Del Vicario è inutile riassumere il testo, che è famosissimo. Nel dramma, che
si svolge tra il 1942 e il 1943, si susseguivano scene a Berlino, in Vaticano, a
Roma e poi ad Auschwitz. Si trattava, con ogni evidenza, di un attacco alla

pp. 32-33; per l'«antisemitismo» di Busch, cfr. M. Miller, The Judaization ofWiìhelm Busch ,
in «Monatshefte», vol. 99, f. 1, Spring 2007, pp. 52-62.
5 Si veda l'intervista a Hochhuth di M. von Matussek e A. Smoltczyk, Ein satanischer
Feigling, in «Der Spiegel», 26. Mai 2007.
6 E. Piscator, Nota al « Vicario », in R Hochhuth, Il Vicario , Milano, Feltrinelli, 1964, pp.
19-24.
7 Si veda di E. Piscator, Das politische Theater , trad. it. di A. Spaini, Il teatro politico , Torino,
Einaudi, 1960. Cfr. anche C.D. Innes, Erwin Piscator s Political Theater. The Development
of Modern German Drama , Cambridge, Cambridge University Press, 1972, pp. 219-226.
8 Innes, Erwin Piscatori Political Theater , cit., p. 175.
9 Cfr. T. Irmer, A Search for New Realities. Documentary Theater in Germany , in «The
Drama Review», vol. 50, n. 3, Summer 2006, pp. 16-28. Ma si veda anche il riassunto della
«poetica» di Hochhuth in R Hochhuth, Die Geburt der Tragödie aus dem Krieg. Frankfurter
Poetik-Vorlesungen , Frankfurt/Main, Suhrkamp/Insel, 2001.

This content downloaded from 151.63.100.80 on Sat, 23 May 2020 11:25:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
673 II caso Hochhuth

Chiesa, identificata nel suo capo, Pio XII, che non era intervenuto per evitare
lo sterminio degli ebrei durante la seconda guerra mondiale.
A parte l'attacco a Pio XII, il lavoro era abile, perché non dava addosso alla
Chiesa cattolica in sé. Anzi, ammetteva senza mezzi termini che alcuni vescovi
avevano aiutato i perseguitati. Il dramma era perfino dedicato a due sacerdoti
che, come il protagonista, Riccardo, erano morti in campo di concentramen-
to. Tutta la durezza si concentrava sulla figura del Papa, di cui veniva fatto un
ritratto impietoso.
Era proprio l'opera «dura, difficile, satura di realtà» che cercava Piscator. Che
fosse «materiale trattato scientificamente» lo dimostrò Hochhuth stesso in un
lunghissimo saggio in fondo al testo di Rowohlt. Non si sa bene perché abbia
messo in piedi questa forte struttura saggistica: se avesse imparato dall'alle-
namento di editor di libri, o per altri motivi. E se la decisione di pubblicare
quell'appendice fosse stata solo sua o anche di Piscator. Di certo, quel testo gli
aveva richiesto anni di lavoro ed era stato avviato molto prima della conoscenza
di Piscator.
Hochhuth, pubblicando il dramma in contemporanea con la prima teatrale a
Berlino il 20 febbraio 1963, inserì dunque questa novità: un intero capitolo
di quasi ottanta pagine di Historische Streiflichter , Delucidazioni storiche come
è stato tradotto in italiano, un capitolo storico-bibliografico e documentario
sul tema centrale del dramma10. Il capitolo si avvaleva anche di documenti
inediti o poco noti. In particolare, citava le inedite lettere di Kurt Gerstein,
un protestante testimone delle camere a gas e uno dei principali personaggi,
che compariva nel dramma col suo nome e cognome. Le lettere erano in pos-
sesso della vedova. L'intelaiatura storiografica sull'Olocausto veniva fornita dai
libri di Gerald Reitlinger, The Final Solution pubblicato nel 1953, da quelli
di Friedrich Heer, a partire da Die Deutschen , del 1960, da quelli di Poliakov,
dalle varie memorie e diari usciti nel frattempo, quelli che all'epoca erano i
libri cruciali della bibliografìa su un argomento in sostanza negletto. Mancava
solo il libro di Hilberg, La distruzione degli ebrei d'Europa > uscito in prima
edizione americana nel 1961, ma forse solo perché Hochhuth aveva preparato
la piattaforma documentaria prima delia sua uscita.
Hochhuth ha raccontato in seguito di aver preparato il suo lavoro perfino
andando a parlare, nel corso di due viaggi a Roma nel tardo autunno del 1958
e poi nel settembre 195911, con «guardie svizzere, romani ed ebrei che erano

10 R. Hochhuth, Historische Streiflichter , in Id., Der Stellvertreter. Schauspiel , Reinbek bei


Hamburg, Rowohlt, 1963, pp. 229-274; per la versione italiana, R. Hochhuth, Delucidazioni
storiche , in Id., Il Vicario , cit., pp. 409-487. Le citazioni dall'appendice di Hochhuth sono
distribuite un po' dappertutto in L.E. Hill III, The Vatican Embassy of Ernst von Weizsäcker,
1943-1945, in «The Journal of Modern History», vol. 39, n. 2, June 1967, pp. 138-159.
1 1 Von Matussek, Smoltczyk, Ein satanischer Feigling, cit.

This content downloaded from 151.63.100.80 on Sat, 23 May 2020 11:25:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
674 Giorgio Fabre

stati nascosti nei conventi italiani»12, e di avere avuto informazioni e scambia-


to idee con un «anziano vescovo che parlava tedesco e che aveva pratica della
questione»13; Hochhuth ammise anche di aver parlato con un membro della
Segreteria di Stato vaticana14. Di uno di questi personaggi si conosce il nome,
dell'altro lo si sospetta, probabilmente a ragione15.
Verosimilmente però in questi contatti non c'era stato nulla di improprio.
In realtà Hochhuth ammise di aver parlato con chi «sapeva», ma ha sempre
respinto il sospetto di aver ricevuto, all'epoca, documenti vaticani e di aver
disposto di «informatori»16. Del resto, come si è detto, Hochhuth, a parte il
caso delle lettere di Gerstein, non ha pubblicato «materiali» inediti. In questo
senso, le recenti «rivelazioni» di un defezionista dei servizi segreti romeni, che
Hochhuth sarebbe stato «foraggiato» di documenti dal Kgb e che avrebbe fatto
parte di un piano di Chruscëv per attaccare il Vaticano, si sono dimostrate
risibili17.

12 J. Stone, Hochhuth Interviewed , in E. Bentley, ed. by, The storm over the Deputy New
York, Grove Press, 1964, p. 51.
13 R. Becker, «Meine Pius ist keine Karikatur », in «Der Spiegel», 24. April 1 963, pp. 90-96.
14 Stone, Hochhuth Interviewed, cit., p. 51; Von Matussek, Smoltczyk, Ein satanischer
Feigling, cit.
15 II primo era Alois Hudal, vescovo austriaco dall'ambiguo passato filo-nazista e rettore
del Collegio tedesco di Santa Maria dell'Anima a Roma, citato anche nel Vicario (H. Stehle,
Geheimdiplomatie im Vatikan. Die Päpste und die Kommunisten, Zürich, Benziger, 1993,
pp. 203 e 420; ma si veda già H. Stehle, Des « braunen Bischofi» Abschied, in «Die Zeit», 24.
Dezember 1976). Secondo la badante di Pio XII, Hudal avrebbe parlato con Hochhuth per
vendicarsi di Pio XII, che lo mandò via dal Collegio tedesco (P. Lehnert, Pio XII. Il privilegio
di servirlo , Milano, Rusconi, 1985, pp. 160-161). Il secondo dovrebbe essere mons. Bruno
Wüstenberg, addetto alla sezione seconda della Segreteria di Stato (Affari ordinari). Nel
1957 aveva pubblicato a Friburgo un libro con gli scritti e gli interventi di Pacelli sui tede-
schi; si veda (con varie malignità), M.F. Feldkamp, Hochhuths Quellen , in http://vaticam.
vatican-magazin.de/archiv/2007/03-2007/deutschland.pdf (marzo 2007); tre anni dopo
l'avvio della vicenda Hochhuth, nel dicembre 1 966, Wìistenberg lasciò la Segreteria di Stato
e andò come pronunzio in Giappone; nel dicembre 1973, regnante Paolo VI, fu inviato in
Costa d'Avorio e nella Repubblica popolare del Benin e come delegato apostolico in Togo
e Guinea; terminò la carriera come nunzio in Olanda ( Annuario pontificio , 1977, pp. 815,
1108,1110,1113,1121).
16 In un intervista Hochhuth ha sostenuto di essersi documentato a Parigi e Londra, leggen-
do testi pubblicati e documenti d'archivio. Cfř. Stone, Hochhuth Interviewed, cit., pp. 50-5 1 .
17 I.M. Pacepa, Moscow's Assault on the Vatican. The KGB made corrupting the Church a
priority, in «National Review», 25 January 2007. Lo si può vedere riprodotto in http://
www.nationalreview.com/articles/2 1 9739/moscows-assault-vatican/ion-mihai-pacepa; poi
I.M. Pacepa, R.J. Rychlak, Disinformation , Washington, Wnd Books, 2013; per una prima
smentita di mons. Sergio Pagano, prefetto dell'Archivio Segreto, si veda la notizia data dal
relatore per la causa di beatificazione di Pio XII, padre Peter Gumpel {Il KGB complottò
contro Pio XII? Parla Padre Gumpel, http://www.zenit.org, notizia del 17 febbraio 2007).
Sulla base della smentita di Pagano, Pacepa in Disinformation ha cambiato la prima versione

This content downloaded from 151.63.100.80 on Sat, 23 May 2020 11:25:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
67 5 II caso Hochhuth

Hochhuth si era anche documentato in prima persona, parlando anche con


personaggi non proprio facili da raggiungere. Era stato meticoloso: non uno
storico professionista, ma all'altezza di un periodo (inizio anni Sessanta) in
cui le discussioni e i materiali sull'Olocausto erano ancora «merce rara». E fu
anche questo retroterra, a ben vedere, uno dei motivi del successo del dramma.
Quest'ultimo era costruito bene. Piscator, con la sua esperienza e le sue idee,
ebbe un ruolo importante: ridusse infatti la durata da sette od otto ore a tre-
quattro, cambiò la struttura del testo, spostando alcune scene, tolse diversi
personaggi (ad esempio Eichmann)18 e creò un'opera teatrale che alcuni con-
temporanei (ma non tutti) dicono aver avuto un forte impatto emotivo. Ma
il punto fondamentale era storico-politico: il dramma andava a colpire con
violenza la Chiesa cattolica in un nervo scoperto della sua storia. Lo faceva
attraverso uno spettacolo, ma esibendo anche una rispettabile documentazione
storica.
E difatti la stampa parlò si, un poco, della «potenza» dell'opera, ma soprattutto
della verità e realtà degli avvenimenti che trattava. Il vero pubblico non furono
gli spettatori a teatro. Tra l'altro le repliche non durarono a lungo: a Berlino
lo spettacolo fu tenuto in piedi due mesi, a Londra, in seguito, durò quattro
mesi, a Broadway, nel 1964, un anno. Relativamente poco.
L'«effetto Hochhuth» si sommò poi con l'«effetto Arendt». Il libro di Hannah
Arendt, Eichman in Jerusalem. A Report on the Banality of Evil fu annunciato il
17 maggio 1963, ma esso raccoglieva le impressioni della Arendt sul processo
Eichmann pubblicate sul «New Yorker» a partire dal 16 febbraio 196319, quat-
tro giorni prima dell'inaugurazione dello spettacolo a Berlino. Le discussioni
e il dibattito sulla «banalità del male» e sulle responsabilità dell'Olocausto fi-
nirono sulla scia di quelle su Hochhuth, poi deflagrarono con la pubblicazione

(pp. 1 18 e 374); il libro indica anche un altra smentita, della Segreteria di Stato, su un fi-
nanziamento del Kgb al Vaticano e Pacepa cambiò versione anche su questo punto (p. 373).
Del tutto ragionevole Th. Brechenmacher, Hochhuths Quellen. Warder 'Stellvertreter vom
KGB inspiriert ?, in «Frankfurter Allgemeine Zeitung», 26. April 2007, che sostiene che
Hochhuth non aveva bisogno di documenti; per l'immediata replica di Hochhuth stesso,
J. Follain, KGB and the plot to taint «Nazi pope», in «Sunday Times», 18 February 2007;
ma si veda la recente intervista di von Matussek e Smoltczyk, Ein satanischer Feigling, cit.
18 Un analisi delle modifiche dell'opera rispetto al testo a stampa si trova nel rapporto del
console italiano di Berlino del 24 aprile 1963. Cfr. Archivio centrale dello Stato (ACS),
Ministero delVInterno (MI), Gabinetto {Gab.), 1964-1966 , b. 431, f. 17082/95, «IlVicario».
Dramma di Hochhuth Rolf. Ma si veda anche S.F. Parham, Editing Hochhuth for the Stage:
a Look at the Major Productions of the Deputy, in «Educational Theater Journal», vol. 28,
October 1976, pp. 347-353.
19 Cfr. S.J. Whitfield, Hannah Arendt and the Banality of Evil , in «The History Teacher»,
vol. 14, n. 4, August 1981, pp. 476 sgg.

This content downloaded from 151.63.100.80 on Sat, 23 May 2020 11:25:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
676 Giorgio Fabre

di Eichmann a Gerusalemme in libro. In quel momento, pure le discussioni sul


Vicario ebbero una nuova impennata20. Ma si vedrà perché.
La stessa Arendt, che scrisse una bella recensione del Vicario 21 , in una succes-
siva edizione della Banalità del male ha commentato il parallelismo tra le due
opere22. Sostenne che, in entrambi i casi, era sorto un «bisogno di giustizia»:
collettivo per la Arendt, che aveva indicato la responsabilità, nei confronti
dell'Olocausto, di un intero popolo, quello tedesco (ma con un cenno anche
a quella degli Alleati); personale nel caso di Hochhuth, che si era concentrato
sul Papa.
Quel «bisogno di giustizia» aveva varie cause: una Germania, che, con la lenta
avanzata della Spd, incominciava timidamente a fare i conti col proprio passa-
to; a questo si aggiunge che erano in molti a volere che la Germania, in senso
punitivo, facesse quei conti e anche il processo ad Eichmann nel 1961 era stata
un'occasione preziosa. E poi erano alle porte, in tutto il mondo, i movimenti
del '68, e il teatro tedesco, com'è noto, se ne mise alla testa23. Inoltre era in piedi
(grazie anche al Concilio, indetto da tre anni) un impulso antiautoritario in
campo religioso, che colpi in particolare la religione maggiore, quella cattolica:
un protestante, Hochhuth ebbe buon gioco ad attaccare il capo cattolico che
più aveva incarnato il principio d'autorità, Pio XII24.
Il vero pubblico del Vicario fu quindi la platea più vasta dell'informazione
e della politica. A partire dal febbraio 1963, anche prima del pesantissimo e
poco avveduto intervento d'alto livello della Chiesa, in molti paesi di tutto il
mondo usci una valanga di articoli di giornali, seguiti da libri che raccolsero
gli articoli, che discussero, documentarono, attaccarono e difesero l'opera25.

20 Secondo Sauer, il dibattito sull'Olocausto nacque dal libro di Hannah Arendt sul processo
Eichmann, dal Vicario di Hochhuth e dal libro di Alan J. Taylor sulle origini della seconda
guerra mondiale del 1961, che allargò le responsabilità ai popoli e ai paesi democratici.
Cfr. W. Sauer, National Socialism: Totalitarianism or Fascism?, in «The American Historical
Review», vol. 73, n. 2, December 1967, p. 408.
21 H. Arendt, The Deputy: Guilt by Silence?, in «New York», 23 February 1964, poi in
Bendey, ed. by, The storm over the Deputy , cit., 95-84.
22 Si veda Le polemiche sul caso Eichmann, tradotto in H. Arendt, La banalità del male.
Eichmann a Gerusalemme , Milano, Feltrinelli, 1964, pp. 285-299, spec. pp. 297-299.
23 Politisches Theater nach 1968. Regie, Dramatik und Organisation , hrsg. v. I. Gilcher-
Holtey, D. Kraus, F. Schössler, Frankfurt/Main, Campus Verl., 2006, spec, (con l'inter-
vento di Hochhuth) il dibattito alle pp. 19-122.
24 S. Faber, Paul VI. in Wahrnehmung und Beurteilung der deutschen Presse ( 1963-1978 ),
in Paul VI. und Deutschland. Studientage. Bochum 24.-25 . Oktober 2003, hrsg. v. H.J.
Pottmeyer, Brescia-Roma, Istituto Paolo VI-Studium, 2006, pp. 225-240 e 244.
25 Tra gli altri, Summa iniuria oder Durfte der Papst schweigen? Hochhuths «SteUverteter» in
der öffentlichen Kritik, hrsg. v. F.J. Raddatz, Reinbek bei Hamburg, Rowohlt, 1963; J.L.
Lichten, A Question of Judgment. Pius XII and the Jews, Washington, National Catholic
Welfare Conference, 1963 (trad. it. Pio XII e gli ebrei, Bologna, Edizioni Dehoniane, 1988);

This content downloaded from 151.63.100.80 on Sat, 23 May 2020 11:25:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
677 II caso Hochhuth

In Germania il libro vendette 160 mila copie in poco meno di un anno26:


risultato buono, ma non straordinario. Invece, sempre per la sola Germania, è
stato fatto il conto che gli articoli sul Vicario e su Hochhuth, a settembre del
1963, sei mesi dopo la prima, e tre dopo l'ultima rappresentazione, furono più
di 300027. Per gli Usa, un libro americano ne ha indicati, usciti all'inizio del
1964, 50028. Furono articoli di tutti i tipi, pro, contro, di cattolici, protestanti,
ebrei. Susan Sontag osservò proprio questo29: «I drammaturghi non scrivono
più tragedie», scrisse. Perchè davanti ai loro occhi ora c'erano le grandi tragedie
storiche. In questo senso, «il supremo tragico avvenimento dei nostri tempi
è stata l'uccisione di sei milioni di ebrei europei e una delle più interessanti
e sconvolgenti opere d'arte in questo senso degli ultimi dieci anni è stato il
processo ad Adolf Eichmann a Gerusalemme nel 1961». Il Vicario , secondo la
Sontag, rientrava in questa forma di comunicazione e proprio perché cercava
di dire «la verità», come dimostrava, sempre parole della Sontag, «l'ampia
documentazione che Hochhuth ha fornito alla fine del dramma». La «verità»
- o comunque una verità diversa -, come voleva Piscator, cercava la via per
emergere. La Sontag notava, nella ricca America degli anni Sessanta, che tutto
veniva immesso nel frullatore della comunicazione e dell'informazione totale,
che aveva già fatto entrare nel 1961 in tutte le case le immagini del processo
Eichmann. E che II Vicario era un'opera perfetta per la nuova situazione.

Un Papa contro Hochhuth . E allora vediamo come è nato davvero il «caso


Hochhuth». Non affrontiamo la lunghissima querelle sui silenzi di Pio XII
e su tutto il dibattito storico che II Vicario mise in moto: sono discussioni
che termineranno (forse) solo quando si potranno analizzare tutti i relativi
documenti. Qui interessa capire come potè succedere che un semplice dram-
ma abbia messo in moto un ingranaggio infernale come quello che si avviò e
che continua a produrre a ripetizione articoli, saggi, libri, discussioni talvolta
violente anche sul web, e film, come una versione del Vicario di qualche anno
fa, di Costa Gavras, intitolata Amen (2002), che però non ha avuto molto
successo.

Bendey, ed. by, The storm over the Deputy , cit.; J. Günther, Der Streit um
vertreter », Basel, Basilius, 1963; R.F. Esposito, Processo al Vicario. Pio 12
la testimonianza della storia , Torino, Saie, 1963.
26 R. Gorham Davis, The Deputy. By RolfHochhuth. Foreword by Albert S
York Times», 1 March 1964. Il dato è grosso modo confermato da Whit
cit., p. 153 (ha parlato di 200 mila copie).
27 Summa iniuria , cit., p. 7.
28 Bendey, ed. by, The storm over the Deputy , cit., pp. 237-254.
29 S. Sontag, Reflections on « The Deputy », in «New York Herald Tribu
pp. 1 1-12, poi in Id., Essays of the 1960s & 70s , ed. by D. Rieff, New Yo
America, 2013, pp. 120-126.

This content downloaded from 151.63.100.80 on Sat, 23 May 2020 11:25:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
67 8 Giorgio Fabre

S'è accennato al poco avveduto intervento della Chiesa cattolica, che ottenne
come risultato di amplificare r«effetto Vicario ». Giovanni XXIII all'epoca delle
prima rappresentazione stava ancora abbastanza bene e lavorava. Mori quattro
mesi dopo, ma non risulta che se ne sia occupato. Le sue agende del periodo,
le ultime che scrisse, non fanno riferimento alla vicenda Hochhuth; né nessun
testimone ha riportato alcunché in proposito. In quel periodo, le sue preoccu-
pazioni erano ben altre: erano tutte dedicate all'organizzazione del Concilio e
ai problemi che incontrava.
A parte la tradizionale cautela vaticana, non è quindi strano che, mentre i
giornali di tutto il mondo parlavano del Vicario e delle discussioni che si erano
aperte in Germania, a Roma i toni fossero bassi e le reazioni deboli. «L'Osser-
vatore Romano» commentò la pièce per la prima volta pili di un mese dopo la
prima, il 30 marzo, in un pezzo siglato a pagina tre30. Nell'articolo, citò solo le
critiche dei giornali cattolici tedeschi e scrisse il falso, ovvero che in Germania
il pubblico si era schierato tutto contro Hochhuth: probabilmente era un com-
mento ispirato dalla Chiesa tedesca, che invece era intervenuta pesantemente.
Ma fu ritenuto un intervento insufficiente, perché sei giorni dopo il giornale
vaticano tornò sul Vicario . Il nuovo pezzo era un poco più autorevole, ma
sempre di basso profilo. Se ne occupò mons. Alberto Giovannetti31, autore del
libro sul Vaticano e la guerra pubblicato nel 1960, citato anche da Hochhuth
e addetto in Segreteria di Stato (e forse anche sospettato di aver avuto contatti
col drammaturgo).
Quanto alla «Civiltà cattolica», intervenne addirittura a metà maggio del 1963,
per la penna di Angelo Martini, un gesuita che all'epoca era lo storico della
Chiesa nell'epoca del fascismo32. A lui qualche tempo prima Giovanni XXIII
aveva permesso di pubblicare alcuni documenti inediti dell'epoca di Pio XI
e non è escluso che anche su Hochhuth il Papa sia stato il suo ispiratore. Ma
anche Martini sul Vicario scrisse un pezzo debole. Fini anzi per dare atto che
il lavoro teatrale aveva avuto un certo successo, e si limitò a far presenti alcune
«perplessità» (testuale) che il lavoro sollevava. Osservò infine che diversi mem-
bri della Chiesa protestante tedesca si erano dissociati dall'attacco a Pio XII,
cosi come alcuni ebrei. Quello portato dal Vicario , secondo Martini, era un
attacco comprensibile, perché veniva dalla Germania protestante. In pratica,
dava questa spiegazione: si trattava di un tradizionale attacco protestante alla
Chiesa cattolica.

30 P.V., Il pubblico tedesco deplora le infondate calunnie de «Il Vicario », in «L'Osservatore


Romano», 30 marzo 1963. L'occhiello era: Un assurdo lavoro teatrale contro Vopera di pace
di Pio XII
31 A. Giovannetti, Storia , teatro e storie, in «L'Osservatore Romano», 5 aprile 1963.
32 A. Martini, Il Vicario. Una tragedia cristiana ?, in «La Civiltà cattolica», 1 8 maggio 1 963,
pp. 313-325; sulle pubblicazioni dei testi del tempo di Pio XI avvenute nel 1959, cfr. G.
Fabre, Un «accordo felicemente conchiuso», in «Quaderni di storia», 2012, n. 76, pp. 145-147.

This content downloaded from 151.63.100.80 on Sat, 23 May 2020 11:25:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
679 II caso Hochhuth

La rivoluzione negli interventi della Chiesa avvenne solo un mese dopo, alla
fine di giugno del 1963. A quel punto, la situazione cambiò radicalmente e
l'effetto fu fragoroso. Il motivo era semplice: intervenne un papa, il nuovo
papa, Giovan Battista Montini, Paolo VI.
Si deve partire da un articolo sul dramma scritto da un giovane ma già quotato
George Steiner, in seguito celebre saggista e critico letterario. L'articolo, che
non pare Steiner abbia mai più ristampato, comparve il 5 maggio 1963 sul
«Sunday Times»33. Steiner fii violento a largo spettro: con la Germania che
non riconosceva il proprio passato, e con l'Urss che era stata antisemita; ma
violentissimo soprattutto con la Chiesa.
Steiner scrisse che l'atteggiamento della Chiesa verso gli ebrei durante della
seconda guerra mondiale era stato «uno degli episodi più abietti {abject) della
storia moderna», e prosegui con una serie di considerazioni su ciò che Pio XII
«sapeva» e sui «silenzi» della Chiesa, senza dimenticare di citare il cattolico
François Mauriac, che anni prima aveva aspramente criticato Pio XII nella
sua introduzione al libro di Poliakov, come lo stesso Hochhuth aveva ripetuto.
L'I 1 maggio l'articolo di Steiner fu ripreso e commentato in modo anonimo,
neanche tanto duramente vista la sua violenza, dal più prestigioso dei periodici
cattolici inglesi, il settimanale «The Tablet». Il direttore era Douglas Woodruff,
che il cardinal Giovan Battista Montini conosceva avendolo ricevuto in udien-
za nel gennaio 1957 a Milano dove era arcivescovo34.
E qui successe qualcosa. Anzi, parecchio. L'articolo dell' 11 maggio fu infatti
commentato proprio da Montini, il quale non lesse solo la risposta di «The
Tablet» ma prese visione senza dubbio anche dell'articolo di Steiner, perché
ne citò una frase35.
L'articolo di «The Tablet» su Steiner usci l'I 1 maggio: in quel momento, Gio-
vanni XXII era malato, sapeva di esserlo, ma ancora agiva. Il 1 5 maggio, quat-
tro giorni dopo, scese ancora in basilica e tenne un'udienza, l'ultima. Mori due
settimane dopo, il 3 giugno. Non è chiaro con precisione quando Montini
abbia steso la sua lettera. «The Tablet» scrisse, pubblicandola il 29 giugno, che
essa era giunta in redazione, a Londra, il 21 giugno, «un'ora prima che l'autore
fosse eletto Papa». «Questo tributo alla memoria del predecessore», aggiunse
«The Tablet», era «una delle ultime azioni di Papa Paolo VI come Cardinal
Montini, Arcivescovo di Milano». L'unica cosa certa sembra essere dunque che

33 G. Steiner, Papal Policy and Mass Murder, in «Sunday Times», 5 May 1963.
34 A. Tornielli, Paolo VI. L'audacia di un papa , Milano, Mondadori, 2009, p. 320. Per gli
articoli seguenti: Pius XII and the Jews , in «The Tablet», 1 1 May 1963 (che è anonimo, e non
firmato dal direttore, come scrive Tornielli); G.B. Cardinal Montini, Pius XII and the Jewsy
in «The Tablet», 29 June 1963; Un articolo scritto prima del Conclave dal Card. Montini su
Papa Pio XII difensore dei deboli e degli oppressi , in «L'Osservatore Romano», 29 giugno 1 963.
35 Citò, in inglese, l'ultima frase di Steiner («we are accomplices to that which leaves us
indifferent») che non era citata dalla recensione di «The Tablet».

This content downloaded from 151.63.100.80 on Sat, 23 May 2020 11:25:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
680 Giorgio Fabre

Montini la scrisse prima che si riunisse il conclave che elesse il nuovo papa, che
si apri il 19 giugno. È possibile però che sia stata scritta prima della morte di
Papa Giovanni, perché essa non fa nessun riferimento a questo avvenimento.
In ogni caso, non c'è dubbio che, quando la scrisse, Montini sapeva che il Papa
stava morendo.
Ma soprattutto, il destino della lettera fu un altro e rilevante. Lo stesso giorno
in cui la pubblicò «The Tablet», il 29 giugno - per il 30 era prevista l'incoro-
nazione papale - la lettera fu pubblicata in italiano sull'«Osservatore Romano»,
con la sottolineatura che era stata scritta da Paolo VI quando era ancora
cardinale. Questa volta, quindi, l'intervento non era più «locale», tedesco,
ma «centrale» e autorevole in massimo grado. Quel numero dell'«Osservatore
Romano», interamente dedicato a Paolo VI, presentava il nuovo papa e quel
testo era stato senza dubbio fornito e autorizzato dallo stesso Pontefice.
L'articolo in difesa di Pio XII divenne cosi anche il primo intervento pubblico
di Paolo VI e, in qualche modo, una sorta di meditato impegno program-
matico. Montini aveva affermato che la difesa di Pio XII era un compito del
successore di Papa Giovanni36. Inoltre, questione non secondaria, lasciava in
questa maniera intendere che, dopo il pontificato di Giovanni, si poteva tor-
nare a guardare e a confrontarsi anche con quello di Pacelli. E cosi in realtà fu.
Quanto al contenuto, intanto si può osservare che, con quella lettera, il cardi-
nale e futuro papa allontanò da sé una responsabilità diretta. Scrisse: «È vero
che le mie funzioni presso il Pontefice non riguardavano propriamente gli affari
politici», o «straordinari» come li chiamava il linguaggio della Curia romana,
«ma la bontà di Papa Pio XII e la natura stessa del mio servizio di Sostituto
della Segreteria di Stato, mi davano modo di conoscere quale fosse il pensiero,
anzi l'animo di quel grande Pontefice. La figura di Pio XII, quale sarebbe data
dallo Hockhut [sic] , è falsa».
Il condizionale - «quale sarebbe data dallo Hockhut» (col nome scritto
sbagliato) - lasciava intendere che Montini non aveva letto direttamente il
testo del drammaturgo, mentre, sappiamo, aveva letto Steiner.
L'articolo era un peana alle qualità personali di Pacelli e a quanto aveva fatto
durante la guerra. «Di animo finissimo e sensibilissimo», «ricchezza del suo
spirito» e «straordinaria capacità di pensiero e di lavoro», partecipava «fino
alla sofferenza interiore»: questi erano i termini che usava. Alla fine, però,
Montini imboccava la strada di un'asprezza del tutto insolita e perfino con
qualche ambiguità. Visto che possediamo sia il testo originale sia la traduzione
in inglese, si può affermare che si trattava senza dubbio di prosa (al solito, non
limpidissima) montiniana. Il passo è questo:

36 Montini veniva pubblicamente considerato tra i «papabili» già il 5 giugno. Si veda V.


Gorresio, I nomi dei probabili successori , in «La Stampa», 5 giugno 1963.

This content downloaded from 151.63.100.80 on Sat, 23 May 2020 11:25:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
68 1 II caso Hochhuth

Se, per ipotesi, Pio XII avesse fatto ciò che lo Hockhut [sic] gli rimprovera di non aver
fatto, sarebbero accadute tali rappresaglie e tali rovine, che, a guerra finita, lo stesso
Hockhut, con migliore valutazione storica, politica e morale, avrebbe potuto scrivere
un altro dramma, molto più realistico e interessante di quello che ha cosi bravamente,
ma cosi infelicemente messo in scena, il dramma cioè dello «Stellvertreter», che per
esibizionismo politico o per inavvedutezza psicologica, avrebbe la colpa di aver fatto
scatenare sul mondo, già tanto tormentato, una più vasta rovina a danno, non tanto
proprio, ma quanto a carico di innumerevoli vittime innocenti [«innocent victims»
su «The Tablet»].

Come si vede, in questo secondo passaggio, Montini non era più cauto su
quanto aveva detto davvero Hochhuth ed esprimeva dei pesanti giudizi diretti
(il «bravamente» è di certo ironico), oltre a continuare, a quanto pare, a sba-
gliarne il nome (corretto invece dai redattori inglesi).
Interpretando la prosa montiniana: se Pio XII all'epoca avesse parlato in pub-
blico dei massacri degli ebrei, ciò avrebbe creato «tali rappresaglie» e «una più
vasta rovina», che sarebbe andata a colpire non tanto il Papa, ma «innumerevoli
vittime innocenti». Montini metteva tra parentesi l'ipotesi che il Papa stesso
avrebbe potuto subire una rappresaglia diretta da parte dei tedeschi («a dan-
no, non tanto proprio»). Il punto era che se Pio XII avesse parlato, sarebbero
state colpite «innumerevoli vittime innocenti», e senza dubbio qui Montini
stava parlando di cattolici o di non ebrei. Quel termine «innocenti», riferito
a cattolici, è una frase infelice e in ogni caso rivelatrice di scarsa attenzione
(o peggio) per gli ebrei e l'Olocausto37. Che sia stata frase infelice (o peggio)
lo dimostra un preciso documento: una circolare ai vescovi della Conferenza
episcopale italiana datata 8 giugno 1964, che accompagnava una copia dell'ar-
ticolo dell'«Osservatore Romano» di Montini, che venne cosi distribuito nelle
diocesi italiane. Chiedendo di combattere il dramma «di certo Hochhuth», la
circolare spiegò che Pio XII non aveva «agito» perché cosi facendo «avrebbe
ancor più aggravato la sorte degli ebrei e di altri innocenti». La Cei dunque tro-
vò necessario aggiungere alla parola «innocenti» la parola «ebrei», che mancava
nella lettera di Montini. E ciò rende a noi ancor più evidente che le «vittime
innocenti» di cui aveva parlato Paolo VI erano appunto cattolici.
Ma ben più insultante - verso l'autore - era il paragrafo successivo dell'articolo:
Non si gioca con questi argomenti e con i personaggi storici che conosciamo con la
fantasia creatrice di artisti di teatro, non abbastanza dotati di discernimento storico,
e, Dio non voglia, di onestà umana. Perché altrimenti, nel caso presente, il dramma
vero sarebbe un altro: quello di colui che tenta di scaricare sopra un Papa, estrema-

37 La lettera è stata reperita nell'Archivio diocesano di Brescia, fondo del Vescovo Giacinto
Tredici, b. 82, f. Cei. Verbali - Documenti - Circolari. Era firmata dal segretario della Cei su
incarico del presidente, il cardinal Siri. Per il reperimento ringrazio il prof. Maurilio Lovatti,
il vescovo di Brescia, mons. Luciano Monari e la dott.ssa Lucia Signori.

This content downloaded from 151.63.100.80 on Sat, 23 May 2020 11:25:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
682 Giorgio Fabre

mente coscienzioso del proprio dovere e della realtà storica, e per di più d'un Amico
[A maiuscola nel testo] , imparziale si, ma fedelissimo del popolo germanico, gli orribili
crimini del Nazismo tedesco.

C'è davvero qualcosa, oltre che di oscuro, di assai stonato in questo passaggio
in cui Montini dà a Hochhuth, senza mezzi termini, del disonesto e dell'i-
gnorante. Un cardinale, ormai diventato papa, difendeva il papa precedente
con cui aveva lavorato, arrivando a sostenere che Pio XII non avrebbe potuto
denunciare i crimini nazisti perché era Amico (con la A maiuscola) del popo-
lo tedesco. Non è chiaro da questa frase quale sarebbe stato il danno che «il
popolo germanico» avrebbe potuto subire dalla denuncia di Pio XII. Resta il
fatto che Montini, parlando di un tedesco, si esprimeva in termini amichevoli
non verso il popolo ebraico, i «perseguitati», ma verso il popolo «persecutore»,
quello di Hochhuth.
Quali erano le intenzioni di Montini? È difficile dirlo. Di sicuro, dopo questa
sfuriata, accadde qualcosa che fino ad allora non era successo: attacchi cattolici
sempre più violenti per fermare lo spettacolo, mentre la lettera di Montini
veniva usata come deterrente. Tra luglio e ottobre intervenne la rivista gesuita
«America», che accusò Hochhuth di essere antisemita38. A Basilea scese in
piazza una dimostrazione cattolica molto accesa di 2.500 persone, tanto che
lo «Spiegel» titolò il pezzo in proposito addirittura Vietnam in Basefi' a marzo
dell'anno successivo il parlamento cantonale a Zurigo vietò la rappresentazione
del dramma, che però girò per il paese e si arrivò a temere un vero Kultur-
kampf*. All'inizio di gennaio, altri scontri si verificarono a Parigi, con bombe
carta, feriti e una ventina di arresti41. A Londra, con la polizia alle porte, alla
rappresentazione del Vicario , per ordine del Lord ciambellano, che decideva
della censura sullo spettacolo, la lettera di Montini ormai papa venne inserita
nel programma di sala42: fu questo il compromesso trovato con le organizza-
zioni cattoliche. A Vienna e in Belgio intervenne la polizia43.

38 S. Zolotow, Drama critical of Pope Scored: Jesuit Editor Says 'Deputy Is Unjust to Pius
XII , in «New York Times», 5 July 1963; Writer assailed over the « Deputy », in «New York
Times», 8 October 1963.
39 «Der Spiegel», 2. Oktober 1963; Swiss demonstrate at Play about Pope , in «New York
Times», 25 September 1963.
40 La notizia sulla «Stampa» del 6 marzo 1964. Su Hochhuth in Svizzera, si veda il ricco
N. Ritzer, Alles nur Theater? Zur Rezeption von Rolf Hochhuths « Der Stellvertreter» in der
Schweiz 1963/1964 , Freiburg, Academic Press, 2006.
41 http:/ /www. jta.org/ 1 963/ 1 2/ 1 7/archive/french-police-consider-closing-down-contro-
versial-play-the-deputy; Trenta feriti a Parigi per «Il Vicario», in «l'Unità», 2 gennaio 1964.
42 Paul criticized Play about Pius , in «New York Times», 27 September 1 963.
43 Viennese interrupt Play about Pius XII , in «New York Times», 25 January 1964;
per il Belgio nel febbraio 1966, http://www.jta.org/1966/02/25/archive/municipal
-college-at-antwerp-cancels-performance-of-the-deputy.

This content downloaded from 151.63.100.80 on Sat, 23 May 2020 11:25:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
683 II caso Hochhuth

In Israele . Eppure Montini continuò ad intervenire, anche davanti alla situa-


zione che via via si deteriorava. Le tappe complete di questi interventi e i
pensieri che li accompagnarono potranno essere ricostruiti in pieno - come
del resto tutta la vicenda - avendo a disposizione le carte e quindi tra molti
anni o decenni. Si conosce però quanto divenne pubblico e cioè che Paolo
VI andò avanti e fu ancora più spettacolare, determinato, se non addirittura
provocatorio che nel giugno 1963.
Nel settembre 196344, tre mesi dopo l'elezione, Montini mise allo studio un
suo prossimo viaggio in Israele, in Terra Santa, come la chiama la Chiesa.
Lo scopo era «eminentemente religioso», scrisse Montini in un promemoria
preparatorio, e tra i vari obiettivi c'era anche «un avvicinamento» all'ebraismo
e all'Islam, religioni cosi «fortemente attestate in Palestina». «Ogni altro mo-
tivo», aggiunse Montini, «anche buono e legittimo dovrebbe essere escluso».
Paolo VI non andò certo in Palestina per incontrare i leader ebrei o il popolo
ebraico; ma per visitare da pellegrino i Luoghi Santi. Vi andò inoltre per in-
contrare, nello spirito del Concilio, il patriarca ortodosso di Costantinopoli,
Atenagora.
In quel paese, Paolo VI tornò a parlare di Pio XII e, senza citarne il nome, ma
chiaramente, di Hochhuth. A quel punto, si sapeva per certo che II Vicario
sarebbe approdato negli Usa, a Broadway, nel tempio mondiale del teatro45.
Il discorso, in francese, fu tenuto la sera del 5 gennaio 1964, davanti al presi-
dente d'Israele Zalman Shazar e al primo ministro Levi Eshkol e fu pubblicato
il giorno dopo sull'«Osservatore romano»46. Non c'è certezza, come per quasi
tutti i discorsi papali, che sia stata tutta opera di Paolo VI. Ma il suo segretario,
mons. Pasquale Macchi, ha ricordato che il Papa «si senti in dovere, ovviamen-
te, di rivedere il testo»47; Giulio Andreotti ha invece scritto di sapere che Paolo
VI «riscrisse sul posto questa parte»48. Il ripetuto ricordo indica quanto quel
discorso sia stato considerato rilevante anche nel mondo cattolico.

44 Si veda il lungo promemoria del 21 settembre 1963 in II pellegrinaggio di Paolo VI in


Terra Santa 4-6 gennaio 1964 , Roma, Libreria editrice vaticana, 1964, pp. 9-10; poi Paolo
VI pellegrino apostolico. Discorsi e messaggi , a cura di R. Panciroli, Brescia-Roma, Istituto
Paolo VI-Studium, 2001, pp. 3-5.
45 A New York le date furono spostate: S. Zolotow, Billy Rose to produce « Deputy », German
Play critical of Pius XII, in «New York Times», 20 May 1 963; Billy Rose Drops two Plays Op-
tions , ivi, 4 October 1963; 2 new producers to back « Deputy », ivi, 6 November 1963; Poet is
adapting Play on Pius XII, ivi, 23 December 1963.
46 II ricordo di Pio XII , in «L'Osservatore Romano», 7-8 gennaio 1964.
47 P. Macchi, Paolo VI non andò sul Monte Herzl ma onorò le vittime della Shoah , in «Corriere
della Sera», 6 giugno 2000.
48 Da una lettera di Andreotti a Mario Agnes, del 2 1 marzo 1 998, in Istituto Luigi Sturzo,
Archivio Andreotti, b. 191. Ringrazio per la grande cortesia le dottoresse Serena Andreotti
e Luciana Devoti.

This content downloaded from 151.63.100.80 on Sat, 23 May 2020 11:25:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
684 Giorgio Fabre

Il discorso fu tenuto alla porta di Mandelbaum, che conduceva dalla nuova


Gerusalemme israeliana alla vecchia araba e giordana. Era un saluto e un rin-
graziamento per l'ospitalità, rivolto alle autorità israeliane. Ma in esso, fuori
protocollo e per tre minuti49, il Papa tornò a riferirsi al «grande Predecessore
Pio XII», di cui, disse,

tutti sanno ciò che ha fatto per la difesa e la salvezza di tutti coloro che erano alla
prova, senza alcuna distinzione. Eppure lo sapete che si sono voluti gettare sospetti e
anche accuse contro la memoria di questo grande Pontefice. Noi siamo lieti di avere
l'occasione d'affermare in questo giorno e in questo luogo: niente di più ingiusto che
questo oltraggio [atteinte] a una memoria cosi venerabile.

Alla fine, Paolo VI, nell'esaltare la «sensibilità, la compassione verso le soffe-


renze umane, il coraggio e la delicatezza di cuore» di papa Pacelli, sottolineò
di averlo «conosciuto da vicino».
Davanti alle autorità israeliane, Paolo VI fece quell'unico, inafferrabile riferi-
mento alla Shoah: parlò, in termini indistinti, di «tutti coloro che erano alla
prova» e non pronunziò la parola «ebrei». Non c'è da stupirsi se quelle parole,
ha ancora ricordato Macchi, «furono accolte con grande riserbo, vorrei dire
con ostilità»50: dagli israeliani, evidentemente. «Ostilità», aggiunse Macchi,
«che, a mio parere, si manifestò anche in seguito nei rapporti con le autorità
israeliane».
Macchi, in varie sedi, ha scritto e ripetuto che il discorso era stato provocato
dalla stampa israeliana che, «in quei giorni [...] s'era fatta eco di calunnie e
accuse contro Pio XII» suscitate dall'opera di Hochhuth51; un altro sacerdote
molto vicino al Papa, Carlo Cremona, ha parlato di «campagna stampa» israe-
liana contro Pio XII52.
Ci fu. davvero quella campagna stampa contro Pio XII? Un rapporto dell'am-
basciata italiana a Tel Aviv, che all'epoca ricostruì gli avvenimenti, ha sostenuto
che prima del viaggio di Paolo VI in Israele, sui giornali di quel paese si verificò
una larga discussione su Hochhuth; ma anche che la vera polemica si «riaccese»

49 I. Man, «Pegno di un futuro migliore» dicono i commenti in Israele , in «La Stampa», 7


gennaio 1964.
50 P. Macchi, Paolo VI nella srn parola , Brescia, Morcelliana, 2001 , p. 36
51 Si veda I viaggi apostolici di Paolo VI. Colloquio internazionale di studio. Brescia, 21-22-
23 settembre 2001 , a cura di R. Rossi, Brescia-Roma, Istituto Paolo VI-Studium, 2004, p.
40; identica espressione usò in Paolo VI nella sua parola (Brescia, Morcelliana, 2001; qui
si cita dalla II ed. ampliata, 2014, p. 36), ma si veda anche Tornielli, Paolo V7, cit., p. 378;
sulla rivista diretta da Andreotti, Pasquale Macchi aveva scritto invece che «in quei giorni la
stampa aveva accusato [Pio XII] di complicità con la persecuzione nazista contro gli ebrei»
(P. Macchi, Pietro ritorna , in «30 giorni», 2000, n. 2).
52 C. Cremona, Paolo VI , Milano, Rusconi, 1991, p. 189.

This content downloaded from 151.63.100.80 on Sat, 23 May 2020 11:25:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
685 II caso Hochhuth

solo dopo il discorso di Paolo VI53. Infine, cè stato chi ha analizzato proprio
la stampa israeliana e palestinese precedente e successiva a quel viaggio: il pa-
dre paolino Thomas F. Stránský, ex consulente di Augustin Bea al Pontifìcio
consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani, poi rettore dell'Istituto
ecumenico di Tantur, vicino a Gerusalemme54. Uno studioso di tutto rispetto.
Stránský conosceva perfettamente le parole di Macchi, ma non ha riferito
nulla su pezzi su Hochhuth che potessero creare qualche reazione. C'è da
aggiungere la generale sorpresa destata dal discorso, riferita da molti giornali
internazionali, compresi quelli cattolici55, che non lascia sospettare che ci fosse
stata qualche precedente provocazione.
Nell'insieme, il discorso di Paolo VI appare un colpo a freddo, estraneo a un
viaggio che avrebbe dovuto essere puramente «religioso»: anche se non si sa se
programmato fin dalla partenza da Roma56. Tra l'altro, subito dopo, l'incontro
col patriarca Atenagora attirò tutta l'attenzione dei media' per non parlare del
discorso sulla pace tra Israele e la Giordania tenuto la mattina. Era quindi
difficile controbattere. Le parole a sorpresa su Pio XII risultarono piazzate in
un angolo strategico del viaggio.
Poche ore prima del discorso alla porta di Mandelbaum, in un'occasione pen-
sata ad hoc , uno dei cardinali che pili si occupò di ebrei, Eugène Tisserant,
aveva compiuto un commovente gesto simbolico: aveva acceso, in quello che
era allora il memoriale della Shoah, la Camera dell'Olocausto, sei candele in
ricordo dei sei milioni di morti. Al Martef HaShoah, Tisserant disse: «Su inca-
rico del Papa vogliamo mostrare la nostra commiserazione alla vostra angoscia
per la terribile distruzione compiuta contro di voi»57. Le parole sull'Olocausto
e sugli ebrei (sostantivi che Paolo VI non usò mai in quei giorni)58, in semplici

53 Rapporto deir8 aprile 1964 in ACS, MI, Gab., 1964-1966 , b. 431, f. 17082/95, « II
Vicario». Dramma di Hochhuth Rolf.
54 T.F. Stránský, Paul Vis Religious Pilgrimage in the Holy Landy in I viaggi apostolici di Paolo
VI, cit., pp. 341-373, spec. pp. 352-359.
55 Paul Defends Courage of Predecessor, in «Los Angeles Times», 6 January 1 964; A. Scema-
ma, Le pape est le premier qui ait osé parler de paix des deux côtés de la frontière judéo-arabe,
in «Le Monde», 7 janvier 1964 («tra il grande pubblico la reazione è stata tanto più viva,
dal momento che la polemica intorno al Vicario fino ad oggi non ha avuto alcuna eco in
Israele, dove la pièce di Hochhuth non è stata ancora presentata»); il francescano Nazareno
Fabbretti su «Testimonianze» ricordò «un certo stupore negli occhi dei presenti» (si cita da
E. Mazzini, L'antiebraismo cattolico dopo la Shoah . Tradizioni e culture nell'Italia del secondo
dopoguerra (1945-1974), Roma, Viella, 2012, p. 106).
56 A. Latreille, L'Histoire de l'antisémitisme, in «Le Monde», 18 mai 1967.
57 Mount of Olives Meeting Shatters Tradition, in «The Washington Post», 6 January 1 964.
Il testo, identico, comparve anche sul «New York Times» lo stesso giorno ( Pope Lauds Pius
for Act in Wars): si doveva trattare di un lancio stampa.
58 Entrando in Israele, e rivolgendosi alle autorità israeliane, Paolo VI aveva parlato del
«peuple de l'Alliance» - «dont Nous ne saurions oublier le rôle dans l'histoire religieuse de

This content downloaded from 151.63.100.80 on Sat, 23 May 2020 11:25:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
686 Giorgio Fabre

termini di «commiserazione», non furono dette dunque dal Pontefice, ma dal


suo cardinale.
A quanto hanno sostenuto due studiosi59, la visita di Tisserant a Martef
HaShoah fu programmata in fretta e furia il giorno prima, quando Paolo VI
seppe che il rabbino capo d'Israele, Yitzan Nissim, aveva criticato il suo viaggio
perché non lo riteneva puramente «religioso»: egli era stato infatti accolto dalle
personalità politiche israeliane. La visita di Tisserant sarebbe stata quindi una
cortese risposta a quella critica. Se le cose stanno cosi, però, il discorso alla
porta di Mandelbaum fu un bilanciamento dell'intervento di Tisserant, questa
volta da parte del Papa in persona. E tale comunque apparve.
Non aver parlato, per tutto il viaggio, di «Israele» o di «Stato d'Israele» poteva
essere comprensibile, perché Paolo VI non parlò neanche di «Giordania» o di
«Regno di Giordania»: entrambi gli Stati infatti non erano stati riconosciuti
dalla Santa Sede60. Ma non parlare nemmeno di ebrei e delle persecuzioni su-
bite era davvero troppo, né lo poteva giustificare il timore della reazione degli
Stati arabi che non avevano riconosciuto Israele: se non altro, è stato notato,
i termini «Israele» e «popolo d'Israele» erano presentissimi nella Bibbia e nella
liturgia cattolica61.
A caldo, questa volta Shazar ebbe una reazione trattenuta ma aspra: «Sono
uscito dal mio incontro col Papa sentendomi un miglior Sionista e un mi-
glior Ebreo, ancor più profondamente radicato nel nostro retaggio»62. Ancora
quarant'anni dopo, in occasione di un nuovo viaggio pontificio, questa volta
di papa Wojtyla, Amos Oz ricordò appunto il viaggio di Paolo VI come una
sorta di incubo per gli israeliani, che si sentirono «esclusi dalla famiglia delle
nazioni»63.

Thumanitè» -, dando atto solo della «storia religiosa» degli ebrei (cfř. Per il «popolo dell'Al-
leanza», in «L'Osservatore Romano», 7-8 gennaio 1964).
59 A. Gilbert, The Vatican Council and the Jews , Cleveland, The World Publishing Co.,
1968, p. 1 16; Stránský, Paul VI's Religious Pilgrimage , cit., p. 361 .
60 Sul mancato riconoscimento d'Israele nel 1948, vedi M. Mendes, Le Vatican et Israeli
Paris, Editions du Cerf, 1990, pp. 101 e 1 14 sgg.; e A. Giovannelli, La Santa Sede e la Pa-
lestina. La Custodia di Terra Santa tra la fine deWimpero ottomano e la guerra dei sei giorni ,
Roma, Studium, 2000.
61 P. Stefani, L'antigiudaismo. Storia di un'idea, Roma-Bari, Laterza, 2004, pp. 229-230.
62 La dichiarazione è riferita in Mazzini, L'antiebraismo cattolico , cit., p. 111. Seguí un
mezzo scandalo diplomatico perché Paolo VI dall'aereo di ritorno indirizzò un telegramma
di ringraziamento al re Hussein «di Giordania», mentre al «Presidente» Shazar indirizzò un
telegramma segnando come destinazione solo «Tel Aviv», senza indicazione del paese (si
veda «L'Osservatore Romano», 7-8 gennaio 1964).
63 A. Oz, Il Papa non venga come pellegrino , in «Corriere della Sera», 18 marzo 2000. Le
reazioni israeliane dell'epoca e in seguito ricostruite in Gilbert, The Vatican Council and
the JewSy cit., pp. 1 12-1 18.

This content downloaded from 151.63.100.80 on Sat, 23 May 2020 11:25:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
687 II caso Hochhuth

Il colpo a Hochhuth, segnalato dai giornali di tutto il mondo, fu forte, anche


perchè il giorno dopo - Paolo VI ormai tornato a Roma - «L'Osservatore
Romano» riprese in modo anonimo quei passi e non lasciò margini d'inter-
pretazione: si riferivano proprio al Vicarici. Quanto all'Olocausto, il discorso
di Paolo VI, «là presso la porta di Mandelbaum», era stato a favore di Pio XII,
che aveva difeso l'uomo «da tutte le oppressioni, da tutte le discriminazioni,
da tutte le crudeltà che ne furono l'inevitabile conseguenza». Veniva ribadita
l'opposizione frontale al concetto dell'unicità della Shoah.
Questa volta Hochhuth reagì, ma dopo la prima del Vicario a Broadway. Lo
fece alla radio «La Voce d'Israele» e lo riferì la France Press all'inizio del marzo
196465. Fu una risposta severa:
Paolo VI non avrebbe dovuto prendere le difese di Pio XII. Comprendo i sentimenti
che lo ispirano riguardo l'uomo che è stato il suo capo, ma non è obiettivo. Dopo
tutto è stato il braccio destro del Papa Pio XII durante quegli anni tragici e lui stesso
ha negoziato con il sottosegretario tedesco Weiszäcker.

Qualcosa del genere, ma non in modo cosi diretto, il drammaturgo l'aveva già
scritto nel saggio storico che aveva accompagnato il lavoro, e aveva citato un
preciso testo66: una testimonianza al processo di Norimberga che riferiva di una
conversazione dell'ambasciatore tedesco in Vaticano, Weiszäcker, proprio con
Montini, a proposito della deportazione degli ebrei romani.
Non sarebbe stato neanche l'ultimo documento del genere. Più tardi, negli
Actes ed documents , ne sarebbe stato portato alla luce un paio di altri (tra cui
una lettera di Roncalli sulla persecuzione in Bulgaria e Romania). Sono testi, in
mancanza della documentazione completa, diffìcili da decifrare fino in fondo67.
Ma senza dubbio anche Montini era al corrente dei massacri.

64 Per la dignità dell uomo, in «L'Osservatore Romano», 9 gennaio 1964.


65 Rolf Hochhuth critique Paul VI ala radio d'Israël ' in «Le Monde», 3 mars 1964.
66 Hochhuth, Historische Streiflichter , cit., p. 256; poi Id., Delucidazioni storiche , cit., pp.
456-457. Hochhuth aveva citato, in maniera lieve, questo testo in una prima risposta a
Montini-Paolo VI, in Günther, Der Streit um Hochhuth's « Stellvertreter », cit., poi in Bendey,
ed. by, The Storm over the Deputy , cit., pp. 69-71 .
67 Si veda un appunto di Montini del 18 settembre 1942 dove riferisce un colloquio con
Malvezzi dell'In, che aveva raccontato i massacri degli ebrei in Polonia (Actes et documents du
Saint Siège relatifi à la Seconde Guerre mondiale , vol. VIII, Roma, Libreria editrice vaticana,
1974, pp. 665-666); e una lettera di Roncalli, allora nunzio apostolico in Turchia, che l'8
luglio 1943, due mesi prima delle deportazioni da Roma, scrisse appunto a Montini di un
suo colloquio con l'ambasciatore tedesco a Istanbul, von Papen. Roncalli riferì a Montini
dei «milioni di Ebrei inviati e soppressi in Polonia». Cfr. Actes et documents du Saint Siège
relatifi à la Seconde Guerre mondiale , voi. VII, Roma, Libreria editrice vaticana, 1973, p.
474. Per Roncalli e gli ebrei durante l'Olocausto, cfr. D. Bankier, Roncalli egli ebrei prima
di Israele , in L'ora che il mondo sta attraversando. Giovanni XXIII di fronte alla storia , a cura
di G.G. Merlo e F. Mores, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2009, pp. 263-273.

This content downloaded from 151.63.100.80 on Sat, 23 May 2020 11:25:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
688 Giorgio Fabre

Tenendo conto della vicenda Pio XII, è ancora più problematica un'altra te-
stimonianza, dell'agosto 1984 (Montini era morto da sei anni). Ci si riferisce
a Pinchas Lapide, teologo ebreo propugnatore di un avvicinamento delle due
religioni e dal 1955 al 1958 console israeliano a Milano68. Lapide in quell'e-
poca aveva incontrato «alcune volte» Montini che era arcivescovo nella stessa
città69. In un'occasione, a proposito del proprio passato in Vaticano durante
la seconda guerra mondiale, Montini gli avrebbe detto che «non lo lasciava
tranquillo il fatto che forse non aveva fatto abbastanza e che sentiva molto il
peso della colpa cristiana per le sofferenze del popolo ebraico».
In un'altra parte del racconto, lo stesso Lapide sottolineò che invece Roncalli (e
solo lui) in quello stesso periodo, «sfidando gli ordini del Vaticano» (e quindi
forse anche di Montini) aveva salvato migliaia di bambini ebrei, fornendo loro
certificati di battesimo in bianco. Lo stesso Lapide, nel suo libro sul papato e gli
ebrei del 1966-67, attribuì a Montini, per lo stesso periodo, una frase diversa.
Avvicinato a Milano in modo non ufficiale da una delegazione ebraica, che
voleva sapere se avrebbe accettato un'onorificenza per la sua opera di soccorso
degli ebrei durante la guerra, rifiutò, sostenendo di aver fatto solo il proprio
dovere: «Per di più ho agito solo secondo gli ordini di Sua Santità», Pio XII70.
Questo senza dubbio è un altro modo per inquadrare il caso Hochhuth e la
lunghissima querelle , che dura fino ad oggi e durerà fino all'apertura degli ar-
chivi di Pio XII (e forse anche quelli di Paolo VI, se pure), sui comportamenti
della Chiesa durante l'Olocausto. Fu un papa in persona a ergersi a difesa di Pio
XII; ma si trattava di un suo ex collaboratore diretto, che conosceva la questio-
ne delle persecuzioni, perché egli stesso, anche se in pubblico sfumava la cosa,
l'aveva trattata. Insomma, accanto a un «caso Hochhuth» e a un «caso Pacelli»,
affiorò un «caso Montini». Affiorò soltanto, ma d'altra parte gli elementi per
mettere sotto accusa un papa regnante erano pochi e la documentazione dispo-
nibile povera e parziale, mentre quella importante era in Vaticano, chiusa e ne-
gli anni seguenti a portata solo della pubblicazione officiata dallo stesso Papa.
Inoltre, negli anni Quaranta senza dubbio le decisioni erano state di Pio XII,
non dei sottoposti. È comprensibile che ci sia stata cautela. È quindi sorpren-
dente la testimonianza di uno dei membri della commissione che pubblicò gli
Actes et documents , qualcuno che sapeva molto. Si trattava di un altro gesuita,

68 V.E. Franki, P. Lapide, Ricerca di Dio e domanda di senso. Dialogo tra un teologo e uno
psicologo , ed. it. a cura di E. Fizzotti, Torino, Claudiana, 2006 (I ed. 2005), p. 86; per l'altra
citazione, p. 25. Il colloquio tra lo psicologo Franki e Lapide si svolse nell'agosto 1984 (vedi
p. 5) e rimase sconosciuto per venťanni.
69 Su questo periodo della vita di Montini si veda ora E. Versace, Montini , Pio XII e la
nomina ad arcivescovo di Milano. Un contributo alla luce della nuova documentazione , in
«Ricerche di storia sociale e religiosa», LXXXIII, 2013, n. 1, pp. 110-131.
70 P. Lapide, Roma egli ebrei. Lozione del Vaticano a favore delle vittime del nazismo , Milano,
Mondadori, 1967, p. 195.

This content downloaded from 151.63.100.80 on Sat, 23 May 2020 11:25:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
689 II caso Hochhuth

padre Robert Graham. Graham fu l'ultimo dei redattori chiamati a lavorare


per gli Actes et documents du Saint Siège che, come vedremo tra poco, furono
redatti per ordine di Paolo VI. Graham iniziò a lavorarci all'inizio del 1966.
Nel 1984, lo stesso anno della dichiarazione di Lapide, il gesuita americano
affermò:

Noi non siamo in possesso di alcun materiale documentario sulle considerazioni che
portarono alla decisione di Paolo VI [di redigere gli Actes]. Durante gli anni della guer-
ra il ruolo dell' allora monsignor Montini era quello di uno dei massimi collaboratori
di papa Pacelli, perciò senza dubbio la decisione aveva carattere personale, avendo egli
stesso redatto, firmato o presentato a Pio XII una gran parte dei documenti71.

A quel punto, padre Graham, che aveva visto una grande quantità di docu-
menti vaticani, smentì apertamente quanto Montini stesso aveva scritto nella
sua prima lettera a «The Tablet» del giugno 1963, e cioè che le sue «funzioni
presso il Pontefice non riguardavano propriamente gli affari politici».
Resta da capire che cosa volesse dire Graham con quel «aveva carattere perso-
nale» e se ci fosse una relazione con «il peso della colpa» di cui parlò Lapide. A
questo punto è più che una suggestione che il «caso Hochhuth» sia esploso - e
i suoi effetti siano durati decenni, fino ad oggi ed oltre - anche perché andava
a colpire un funzionario di Pio XII che a sua volta stava per diventare papa. Il
panorama si complica ancora, e assai, se è vero che questo papa, a sua volta,
aveva dei sensi di colpa, che peraltro non lasciò affiorare nella sua polemica
sul predecessore. Di nuovo, gli elementi che si possiedono sono troppo pochi
per fare qualsiasi affermazione su papa Montini e il suo rapporto con gli ebrei.
E dovevano esserci altri sviluppl. Paolo VI infatti tenne un ulteriore discorso su
Pio XII il 12 marzo 1964, a venticinque anni esatti dall'incoronazione di papa
Pacelli. L'occasione solenne fu l'inaugurazione di una statua in San Pietro72.
Paolo VI, a proposito dei «silenzi», sfumò il discorso. Parlò di «voci di critica e
perfino ingiusti e ingrati clamori di biasimo e di accusa» (chissà perché «ingra-
ti»). Su se stesso, un po' vago, disse invece di aver avuto «la fortuna e l'onore di
prestargli in intima e quotidiana conversazione i Nostri umili ma fedelissimi
servigi», e di aver potuto usare «di tanta sua confidenza, di tanta sua fiducia,
di tanta affabilità».
Quanto alla persecuzione contro gli ebrei, Paolo VI fu ancora più sfuggente:
Non si potrà imputare a viltà, a disinteresse, a egoismo del Papa se malanni senza nu-
mero e senza misura devastarono l'umanità. Chi sostenesse il contrario offenderebbe
la verità e la giustizia. Se i risultati degli studi, degli sforzi, dei tentativi, delle preghiere

71 RA. Graham, Alle origini degli «Actes et documents du Saint Siège », in Pio XII , a cura di
A. Riccardi, Roma-Bari, Laterza, 1984, p. 266.
72 II Santo Padre inaugurando nella Basilica Vaticana il monumento a gloria delVinclito an-
tecessore Pio XII rievoca l'imponente figura del grande ed invitto Pontefice, in «L'Osservatore
Romano», 13 marzo 1964.

This content downloaded from 151.63.100.80 on Sat, 23 May 2020 11:25:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
690 Giorgio Fabre

e dell'opera umanitaria e pacificatrice di Pio XII non furono pari ai suoi desideri ed
agli altrui bisogni, non mancò in lui il cuore per far suo il dramma d'iniquità di do-
lore e di sangue del mondo straziato in guerra e invaso dal furore del totalitarismo e
dell'oppressione.

Ancora una volta, niente ebrei ed Olocausto e stavolta niente (o quasi) Hoch-
huth, anche se qualche giornale non mancò di far notare che il riferimento era
inevitabilmente «la controversia sollevata dal lavoro di Hochhuth»73.
A quel punto, accadde qualcosa di rilevante in Israele. Il teatro nazionale israe-
liano, Habima74, subito dopo il viaggio di Paolo VI, il 10 gennaio 1964, aveva
ufficialmente rifiutato la rappresentazione del Vicario , che era stata offerta dalla
compagnia che lo rappresentò a New York a partire dal 26 febbraio75. Il «New
York Times» spiegò che era stato il ministero degli Esteri israeliano a opporsi,
«temendo che il dramma avrebbe rovinato gli sforzi per un avvicinamento tra la
Chiesa cattolica e lo Stato d'Israele».
Habima aveva come consigliere culturale Max Brod, l'amico e biografo di
Franz Kafka e vecchio nemico di Piscator con cui aveva litigato negli anni
Venti76. Nel 1963, come raccontò il «New York Times»77, Brod aveva accetta-
to subito di far rappresentare II Vicario a Tel Aviv (mentre Ingmar Bergman
lo volle a Stoccolma), probabilmente avendo letto il testo prima che venisse
pubblicato. In un primo tempo, a Tel Aviv volevano farlo dirigere allo stesso
Piscator78. Però le autorità israeliane, per cercare di allacciare rapporti diplo-
matici con la Santa Sede e poi in vista del viaggio di Paolo VI, ed essendo il
teatro semipubblico, si erano opposte79.
In seguito, la compagnia che doveva mettere in scena II Vicario a Broadway
avanzò una nuova proposta, ma, come s'è detto, anch'essa fu respinta. Però,

73 War II Role of Pius XII Defended by pope Paul, in «The Washington Post», 1 3 March 1 964.
74 Su Habima si veda E. Levy, The Habima. Israel's National Theater 1917-1977. A Study
of Cultural Nationalism, New York, Columbia University press, 1979; per II Vicario , pp.
203-204 e 303.
75 Habimah rejects offer of «Deputy», in «New York Times», 1 1 January 1 964.
76 Piscator, Il teatro politico , cit., pp. 186-196.
77 A.J. Olsen, Storm over Berlin, in «New York Times», 5 May 1 963. Quanto a Brod, si veda
il rapporto dell'ambasciata italiana a Tel Aviv del 24 giugno 1964, conservato in ACS, MI,
Gab., 1964-1966 ', b. 431, f. 17082/95, «Il Vicario». Dramma di Hochhuth Rolf
78 La notizia della direzione di Piscator fu data dalla «Jewish Telegraphic Agency» il
21 maggio 1963; cfr. http://www.jta.org/1963/05/21/archive/bishop-attacks-play
-on-late-popes-stand-toward-nazi-annihilation-of-jews.
79 R.L. Coe, Papal Silence Target of Play, in «The Washington Post», 26 September 1963.
Sulla corrispondenza (fine 1963) tra l'ambasciatore d'Israele in Italia e il suo ministero degli
Esteri sul Vicario, si veda A. Melloni, L'altra Roma. Politica e S. Sede durante il concilio Vati-
cano II (1959-1965), Bologna, il Mulino, 2000, p. 242. Per Habima, teatro semipubblico
dal 1948, si veda Levy, The Habima, cit., pp. 240-256.

This content downloaded from 151.63.100.80 on Sat, 23 May 2020 11:25:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
69 1 II caso Hochhuth

e di sicuro in seguito a qualche decisione politica che non si conosce (e dopo


l'ulteriore discorso pro Pio XII), l'opposizione alla rappresentazione del Vica-
rio in Israele cadde80. Il 16 giugno Habima lo rappresentò, come spiegò una
cronaca81, «davanti a membri del governo, scrittori, alti funzionari, intellettua-
li». L'unica accortezza fu che alla prima rimasero assenti i vertici dello Stato.
Seguirono 125 repliche.

I documenti della Chiesa. Ma in quel periodo Montini non aveva davanti a sé


solo i problemi dell'attacco a Pio XII da parte di un vasto fronte acattolico o
anticattolico (protestante, ebraico, comunista - e per quest'ultimo vedremo tra
poco). In proposito aveva anche qualche problema all'interno della sua Chiesa.
Ricordiamo solo quanto scrisse il 3 maggio 1964, sul proprio diario, un perso-
naggio rilevantissimo del Concilio, teologo di prima grandezza in varie com-
missioni conciliari e futuro cardinale, Yves Congar. Dalla prima prima del
Vicario, nel frattempo tradotto anche in francese, era passato un anno. Si stava
discutendo il testo di quello che poi sarebbe stata la Nostra aetate , la dichiara-
zione sul rapporto tra cattolici e non cristiani (e tra essi gli ebrei) che sarebbe
stata varata alla fine del 1965. Nel maggio 1964 i termini «popolo deicida»
ripiombarono nel testo preparatorio, dopo essere stati cancellati all'epoca di
Giovanni XXIII, che, com'è noto, li aveva eliminati dalla liturgia82. 1 termini
vennero reinseriti nel nuovo testo preparatorio per volontà di Amleto Cicogna-
ni, Segretario di Stato di Paolo VI. Congar scrisse nel diario una pagina esaspe-
rata e ricordò di essersi battuto («contro Cicognani») perché «venga mantenuto
tutto il testo sugli ebrei» (alludeva alla versione precedente) «e non ci si limiti
a poche e vaghe parole». A questo punto inserì la frase che interessa qui: «Al
riguardo, il peso delle accuse di Hochhut[h], ne il Vicario , è impressionante»83.
Nello stesso periodo (8 giugno) la Conferenza episcopale italiana mandò una
lettera circolare ai vescovi contro Hochhuth, dove chiese di diffondere il vec-
chio articolo di Paolo VI sull'«Osservatore Romano».

80 A. Scemama, «Le Vicaire» à Tel-Aviv , in «Le Monde», 26 juin 1964. L'annuncio della
rappresentazione fu dato un mese prima. Cfr. Debut of « Deputy » planned for Tel-Aviv in
Mid-June , in «New York Times», 12 May 1964.
81 L'agenzia «Jewish Telegraphic Agency» diede la notizia il 1 9 giugno: cfr. http://www.jta.
org/ 1 964/06/ 1 9/archive/habimah-starts-hebrew-performances-of-the-deputy-in-israel;
si veda anche Audience Sobs at the Premiere of the « Deputy », in «New York Umes», 1 9 June
1964, e Play Stuns Audience in Israel , in «Los Angeles Times», 22 June 1964. 1 giornali
italiani diedero la notizia il 20 giugno.
82 Si veda ora O. Pisano, A cinquantanni dalla soppressione del «perfìdis Judaeis ». Note sto-
riche alla luce di materiali d'archivio inediti , in «Rivista liturgica», III serie, XCVI, 2009,
n. 6, pp. 937-967. Per l'itinerario tu tt' altro che lineare di Roncalli nei suoi rapporti con gli
ebrei, il sionismo ed Israele, si veda I. Pavan, Roncalli egli Ebrei dalla Shoah alla «. Declaratio
nostra aetate ». Tracce di un percorso , in Lora che il mondo , cit., pp. 275-300.
83 Y. Congar, Diario del Concilio , Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 2005, p. 69.

This content downloaded from 151.63.100.80 on Sat, 23 May 2020 11:25:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
692 Giorgio Fabre

Come una buona storiografia ha raccontato84, da allora la strada per arrivare


alla dichiarazione conciliare Nostra aetate, promulgata il 28 ottobre 1965, fu
lunga e accidentata. Nella Nostra aetate , il Concilio condannò solennemente
l'antisemitismo. Ma non parlò di Israele né dell'Olocausto85. Affermò invece
che la Chiesa «deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell'an-
tisemitismo dirette contro gli Ebrei in ogni tempo e da chiunque». Spicca
naturalmente il verbo, debolissimo, «deplorare» Ç deplorai , in latino). Era lo
stesso atteggiamento di Montini, di ridurre la portata dell'Olocausto o proprio
di ignorarlo come fenomeno in sé.
Con la Nostra aetate siamo alla fine del 1965, e molte cose erano cambiate.
Torniamo invece all'anno prima, alla metà del 1964, quando la Chiesa di
Roma si trovò davanti un problema del tutto nuovo. Anzi, a distanza di qual-
che mese uno dall'altro, due problemi simili e ingombranti, e Hochhuth non
era loro estraneo.
Si trattava, in entrambi i casi, di due libri sulla Chiesa e il nazismo, entrambi
di professori ebrei: il primo uscito negli Usa, il secondo, molto più temibile,
«europeo». Il primo, The Catholic Church and Nazi Germany , di Guenter Lewy,
che insegnava all'Università del Massachusetts e aveva condotto una ricerca
finanziata dalla Fondazione Rockefeller86, fu annunciato sui giornali americani
a partire dalla fine di marzo 196487 e una copia fu inviata subito all'Arcidiocesi
di New York, che su due piedi non reagì88. Il secondo era di un professore di
origine cecoslovacca con doppia nazionalità, francese e israeliana, che inse-
gnava in un'università svizzera, gli Hautes Études Internationales di Ginevra.
Si chiamava Saul Friedländer e aveva trentatré anni. Il suo libro fu «lanciato»
a novembre da un impressionante schieramento internazionale di giornali: lo

84 Cfr. G. Miccoli, Due nodi: la libertà religiosa e le relazioni con gli ebrei , in Storia del Concilio
Vaticano II, vol. IV, Bologna, il Mulino, 1999, pp. 1 19-219; A. Melloni, « Nostra aetate » e la
scoperta del sacramento dell'alterità, in Chiesa ed ebraismo oggi. Percorsi fatti , questioni aperte ,
a cura N.J. Hofmann, J. Slevers, M. Mottolese, Roma, Edizioni Pontifìcia Università Gre-
goriana, 2005, pp. 153-179; D. Menozzi, « Giudaica perfidia ». Uno stereotipo antisemita tra
liturgia e storia, Bologna, il Mulino, 2014, pp. 188 sgg. Il testo della dichiarazione si trova
in Conciliorum oecumenicorum decreta, a cura dell'Istituto per le scienze religiose, Bologna,
Edb, 1991, pp. 968-971.
85 Stefani, L'antigiudaismo, cit., pp. 226 sgg.; si vedano anche le pp. 223-226, sul Concilio
e Auschwitz.
86 G. Lewy, The Catholic Church and Nazi Germany, New York-Toronto, Mac Graw Hill,
1 964 (nuova ed., 2000). Il libro fu tradotto in Francia lo stesso anno da Stock e in Italia Tanno
dopo. Cfr. Id., I nazisti e la Chiesa, Milano, Il Saggiatore, 1965 (il libro usci a dicembre).
87 Per il primo annuncio, L. Nichols, In and out of Books, in «New York Times», 29 March
1964; l'annuncio fu ribadito il 17 aprile (. Books and Authors). L'uscita era annunciata per
giugno.
88 F. Hailey, Dispute over Pius reopened bay Book, in «New York Times», 1 5 June 1 964.

This content downloaded from 151.63.100.80 on Sat, 23 May 2020 11:25:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
693 II caso Hochhuth

«Spiegel», «Le Monde» e il «New York Times»89. Entrambi i libri non lasciavano
dubbi sulla questione dei «silenzi» di Pio XII e allo stesso tempo accettavano
però la tesi di Hochhuth secondo la quale la Chiesa durante l'Olocausto aveva
aiutato gli ebrei.
E questa volta le reazioni vaticane arrivarono e furono più sofisticate. La prima,
al libro di Lewy, fu un intero, voluminoso numero del supplemento settima-
nale deir«Osservatore Romano», «L'Osservatore della Domenica». Usci con la
data del 28 giugno 1964 e fu realizzato in fretta, perchè il redattore incaricato
scrisse di aver avuto «pochi giorni a disposizione»90. Intitolato II papa ieri e
oggi, era quasi tutto occupato da articoli benevoli verso Pio XII. Se ne segna-
lava in particolare uno, di un personaggio già considerato, Pinchas Lapide,
«alto funzionario dello Stato israeliano», che difendeva l'azione della Chiesa
in Bulgaria durante la guerra91. Dopo essere stato console a Milano, dal 1962
al 1964 Lapide in Israele era stato coordinatore del comitato interministeriale
dei pellegrini e, in questa veste, aveva collaborato a preparare il viaggio di Paolo
VI; nel 1964 era diventato vicedirettore dell'ufficio stampa nazionale92. Il papa
ieri e oggi non fu un'operazione felice: in particolare, due noti storici italiani
presero seriamente le distanze da una pura assoluzione di Pio XII93. E infatti il
numero rapidamente scomparve anche dalle bibliografìe.
Quanto al secondo «colpo», era anche più pesante, perché questa volta la fonte
principale del libro di Friedländer era ragguardevole e fino ad allora inedita:
ovvero i documenti del ministero degli Esteri tedesco. Era inoltre un libro

89 Papst der Deutschen (siehe Titelbild), in «Der Spiegel», 18. November 1964 (l'articolo in
Italia fu descritto in L. Forni, Pio XII e il nazismo , in «il Resto del Carlino», 17 novembre
1964); Vatican «Disdainfully» Dismisses Attacks on Pius , in «New York Times», 20 November
1964; J. Nobécourt, «PieXII et le IIIe Reich» de Saul Friedlander , in «Le Monde», 21 novembre
1 964; ma il libro era stato annunciato in J.N., Un dossier concernant les déportations dejuifi de
Rome en 1943 aurait disparu des archives allemandes annonce le service de presse de la S.P.D. , in
«Le Monde», 8 octobre 1964. In Italia, «La Stampa», diretta allora da Giulio De Benedetti,
parlò di «immenso interesse dei documenti pubblicati da Friedländer» e di loro «eloquenza
schiacciante»: S. Volta, Pio XII e il terzo Reich , in «La Stampa», 25 novembre 1964.
90 «L'Osservatore della Domenica», 28 giugno 1964, p. 80.
91 P. Lapide, Non una protesta clamorosa e inutile ma unazione silenziosa di salvezza , in
«L'Osservatore della Domenica», 28 giugno 1964. P. Lapide aveva già pubblicato, qualche
mese prima, un articolo dello stesso genere: Ribalta dei fatti. Proteste di fonte ebraica , in
«L'Osservatore Romano», Io marzo 1964.
92 Ruth Lapide, Pinchas Lapide . Vita e opere , in Frankl-Lapide, Ricerca di Dio e domanda
di senso , cit., p. 100.
93 L. Salvatorelli, Il pontificato romano di fronte alle due guerre e ai regimi totalitari , in
«L'Osservatore della Domenica», 28 giugno 1964, p. 9; l'edizione tedesca del 1963 di Der
Stellvertreter e appartenuta a Salvatorelli si trova nel suo fondo librario in Biblioteca di storia
moderna e contemporanea (Roma), coli. 12.b.329; l'altro articolo era di M. Toscano, La
Santa Sede e le vittime del nazismo , in «L'Osservatore della Domenica», 28 giugno 1964,
pp. 62-63.

This content downloaded from 151.63.100.80 on Sat, 23 May 2020 11:25:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
694 Giorgio Fabre

pressoché impeccabile, tanto che quasi cinquanťanni dopo è stato riedito da


Seuil con pochi ritocchi rispetto alla vecchia edizione e con appena un'aggiunta
finale, un «riesame» di tutta la questione94.
Per di più, il caso di Friedländer per la Chiesa era complicato dal fatto che l'au-
tore era un ebreo che durante la guerra si era rifugiato in Francia con i genitori,
ma, a differenza di questi ultimi si era salvato dalla deportazione perché un
convento cattolico gli aveva dato asilo. E li era stato forzatamente battezzato95.
Friedländer, che aveva accennato alla sua vicenda, era stato cautissimo nei
giudizi, ma devastante nella documentazione.
Soprattutto, ebbe subito una platea internazionale. Lo «Spiegel», che presentò
per primo il libro e con grande cura (e relativa copertina), in quest'occasione
ripropose il nome di Hochhuth, a cui diede anche la parola, opportunità che
lui colse per esprimere un giudizio durissimo: «Forse mai prima nella storia
tanti uomini dovettero pagare con le loro vite la passività di un solo politico»,
Pio XII, che Hochhuth trattava appunto, con disprezzo, come un «politico»
(Politiker). Lo «Spiegel» non mancò di commentare: «A partire da questa set-
timana i sostenitori di Hochhuth hanno a disposizione una documentazione
che può sostenere le argomentazioni dei critici del Papa con abbondanza di atti
tratti dai ministeri tedeschi». Erano documenti, diceva Friedländer nell'inter-
vista, che il drammaturgo «non poteva né aver visto né sospettare che esistes-
sero perché gli erano del tutto sconosciuti - documenti che, secondo la mia
opinione rendono ancora più difficile la posizione del Papa».
La smentita «sdegnata» che arrivò dal Vaticano, ripresa dal «New York Times»,
fu a sua volta del tutto marginale. Si limitò a respingere (appunto, «con sde-
gno») solo un paio di particolari presentati dallo «Spiegel». Sull'argomento dei
«silenzi», invece, neppure una parola.
Ma una grande preoccupazione si era diffusa in Vaticano96. Ne segui infatti una
reazione. Paolo VI, subito dopo l'articolo dello «Spiegel» e l'uscita del libro di
Friedländer, varò una commissione di tre storici gesuiti per la pubblicazione
dei documenti vaticani sulla seconda guerra mondiale, quelli che poi vennero
intitolati Actes et documents du Saint Siège relatifi à la Seconde Guerre mondiale.

94 S. Friedländer, Pie XII et le IIIe Reich suivi par Pie XII et l'extermination des Juifi. Un
réexamen (2009), Paris, Seuil, 2010.
95 S. Friedländer, A poco a poco il ricordo , Torino, Einaudi, 1990 (ed. or. 1978), p. 97. Sui
battesimi forzati e sull'aspro dibattito in proposito che che ebbe luogo nel 2005, cfr. M.R.
Marrus, The Vatican and the Custody of Jewish Child Survivors after the Holocaust , in «Ho-
locaust and Genocide Studies», vol. 21, n. 3, Winter 2007, pp. 378-403.
96 Giulio Andreotti si fece tradurre il pezzo dello «Spiegel» e poi lo commentò minutamente
a margine. Cfř. Istituto Luigi Sturzo, Archivio Andreotti, b. 189.

This content downloaded from 151.63.100.80 on Sat, 23 May 2020 11:25:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
695 II caso Hochhuth

Si trattò di una reazione di Paolo VI al libro di Friedländer (e non al Vicario )97,


come ha confermato uno degli studiosi della commissione, padre Pierre Blet:
«Credo che sia stato questo ad impressionare il Vaticano», ha detto anni dopo,
in una sorta di intervista98. «Ho avuto personalmente l'impressione che a un
certo punto si dicesse nelle alte sfere: "Dobbiamo mostrare anche noi i nostri
documenti!"». La commissione, istituita alla fine del 1964, iniziò a lavorare nel
gennaio del 196599 e alla fine dell'anno le fu aggregato padre Graham. Il primo
volume usci alla fine del 1965 e la pubblicazione della serie durò fino al 1981,
tre anni dopo la morte di Paolo VI. Furono realizzati 1 1 volumi in 12 tomi.
Com'è noto, in anni recenti (ottobre 2000) una nuova commissione, di storici
cattolici ed ebrei, ha ridotto l'importanza di quest'opera, perché essa mostra
troppe lacune. E la stessa commissione ha anche fatto un appello all'apertura
degli archivi, del resto ripetuto di recente da papa Bergoglio100.
La notizia della pubblicazione fu data con grande anticipo101, quando la com-
missione di Blet aveva appena incominciato a lavorare e di sicuro non aveva
ancora prodotto nulla. Purtroppo per il Vaticano, l'annuncio incrociò un fra-
goroso episodio di censura all'opera di Hochhuth che avvenne proprio in quei
giorni in Italia e di cui parlarono tutti i giornali del mondo: il 15 febbraio il
governo italiano, con una dichiarazione in Parlamento del ministro dell'Inter-
no italiano Paolo Emilio Taviani, vietò la rappresentazione del Vicario a Roma
(ma permettendola in altre città italiane). La notizia oscurò istantaneamente
quella del «Libro bianco» vaticano.
Paolo VI fix un pontefice dalle motivazioni assai complesse. Ritornare a propor-
re, all'inizio del proprio papato, la figura di Pio XII, e dopo la fase rivoluziona-
ria e conciliare di Giovanni XXIII, doveva essere stato un atto ben meditato.
Paolo VI teneva conto del Concilio ormai avviato, ma aveva ben presente e

97 D.J. Goldhagen, Una questione morale. La Chiesa cattolica e l'Olocausto, Milano, Mon-
dadori, 2003, pp. 14 e 304.
98 M.L. Napolitano, Padre Blet e la collana degli Actes et Documents . Tra storia e memoria ,
in «Archivům Historiae Pontifìciae», XLVIII, 2010, pp. 95-96; ma si veda anche P. Blet, La
leggenda alla prova degli archivi. Le ricorrenti accuse contro Pio XII , in «La Civiltà cattolica»,
quad. 3546, 21 marzo 1998, pp. 531-541 (riprodotto sulP«Osservatore Romano» il 27
marzo 1998).
99 Blet, La leggenda , cit., p. 53 1 .
100 H. Cymerman, Descartamos a los jóvenes por un sistema che ya non se aguanta , in «La
Vanguardia», 13 junio 2014. Quanto alla Commissione che ha valutato gli Actes, si veda
International Catholic-Jewish Historical Commission, The Vatican and the Holocaust. A
Preliminary Report. 26 ottobre 2000. Cfr. http://www.bc.edu/dam/fìles/research_sites/cjl/
texts/ cj relations/news/ icjhc_preliminary_report.htm.
101 II Vaticano pubblicherà i documenti diplomatici con la Germania di Hitler , in «La Stampa»,
1 1 febbraio 1965; Vatican to Air Nazi Relations in White Paper, in «Los Angeles Times», 1 1
February 1965; Le Vatican annonce la publication dun Livre blanc sur les relations entre Pie
XII et le IIIe Reich , in «Le Monde», 12 février 1964.

This content downloaded from 151.63.100.80 on Sat, 23 May 2020 11:25:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
696 Giorgio Fabre

difendeva il papa politico (opposto allo «spirituale» Giovanni) che gli era stato
maestro, ribadendo cosi l'orgoglio di una Chiesa che egli considerava sotto
attacco. Si preparava a un papato molto diverso dal precedente, in cui sarebbe
stata di nuovo esaltata la maestà della Chiesa gerarchica e tradizionale. Solo
che Paolo VI sottovalutò in pieno l'effetto Piscator-Hochhuth, che pure ave-
vano consapevolmente impostato un solido lavoro, costruito per i mass media
e l'informazione. Montini fini per aizzare i mass media tanto che, dopo il suo
intervento, la querelle su Pio XII e gli ebrei e l'Olocausto non si è mai pili esau-
rita102. Da allora, Pacelli è diventato semplicemente un personaggio divisivo (e
diversi problemi ha anche la memoria dello stesso Paolo VI).
Oggi papa Francesco pare aver perfino congelato la beatificazione di Pio XII,
avviata da Paolo VI103: ha promesso l'apertura degli archivi, ma, per il resto, si
sta interrogando. In un'intervista a un giornale spagnolo, ha chiesto addirittura
di giudicare il suo predecessore almeno all'interno del «contesto dell'epoca»,
tenendo conto che anche gli Alleati evitarono di bombardare Auschwitz104.

« Concretezza ». Un ruolo non proprio marginale nelle vicende Hochhuth- Vati-


cano ebbe anche Giulio Andreotti, personaggio politico sempre attentissimo.
In Italia, la questione Hochhuth arrivò con enorme ritardo105, ma a suo modo
Andreotti, da decenni in contatto con Montini, fu invece molto veloce.
Il suo punto di partenza fu. il discorso di Paolo VI a San Pietro il 12 marzo
1964106. Dopo quel discorso, Andreotti tentò di avere un articolo su Pio XII,
per la sua rivista, «Concretezza», dal cardinale forse più vicino a Giovanni
XXIII, e grande difensore degli ebrei, Augustin Bea (lettera del 6 aprile 1964):
«per battere il ferro caldo», come gli scrisse. Bea era stato confessore di Pio XII,

102 Una bibliografìa di parte cattolica in W. Doino Jr ,,An Annotated Bibliography ofWorks
on Pius XII, the Second World War and the Holocausty in The Pius War. Responses to the critics
of Pius XII, ed. by J. Bottum, D.G. Dalin, Lahnam-Boulder-New York-Toronto-Oxford,
Lexington Books, 2004, pp. 158 sgg.
103 Paolo VI propose la beatificazione di Pio XII e Giovanni XXIII nell'ultima seduta del
Concilio, il 18 novembre 1965. Per papa Francesco, si veda l'intervista II corano di andare
avanti , in «L'Osservatore Romano», 28 maggio 2014.
104 Cymerman, Descartamos a los jóvenes por un sistema che ya non se aguanta , cit.; nel suo
dialogo col rabbino Skorka, Bergoglio aveva detto: «Alcuni storici seri, fra cui qualche
gesuita, hanno pubblicato studi esaustivi in cui si difende l'operato della Chiesa» (J. Ber-
goglio, A. Skorka, Il cielo e la Terra. Il pensiero di Papa Francesco sulla famiglia, la fede e la
missione della Chiesa nel XXI secolo, a cura di D.F. Rosemberg, Milano, Mondadori, 2013
[led. 2010], p. 165).
105 II giornale del Partito comunista iniziò a occuparsene, in maniera contraddittoria, dopo
la prima londinese. Si veda L. Vestri, Accusa tagliente ma fredda a Pio XII , in «l'Unità», 26
settembre 1963; l.v., Bene accolto il «Vicario», ivi, 27 settembre 1963.
106 Le lettere citate in seguito sono conservate in Istituto Luigi Sturzo, Archivio Andreotti,
b. 191.

This content downloaded from 151.63.100.80 on Sat, 23 May 2020 11:25:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
697 II caso Hochhuth

ma rappresentava allo stesso tempo l'ala più aperturista del Concilio: era lui
che stava elaborando, ed era noto, il rivoluzionario documento sugli ebrei. La
richiesta di Andreotti era oculatissima.
Non si conosce la risposta, ma Bea sulla rivista non scrisse nulla su Pio XII.
Allora Andreotti cercò di farsi dare dal Vaticano, ovvero da Paolo VI, dei
documenti originali di Pacelli che ne potessero difendere la memoria. Il sot-
tosegretario degli Affari straordinari, Angelo Felici, il 15 aprile 1964 accettò e
dagli archivi della Segreteria di Stato gli inviò copia di due pagine, con le anno-
tazioni autografe di Pacelli, dell'enciclica Mit brennender Sorge. Esse dovevano
dimostrare che il futuro Pio XII aveva collaborato all'enciclica anti-nazista del
predecessore. Solo Paolo VI poteva aver dato l'ordine di consegnare un docu-
mento cosi delicato; e forse solo lui poteva aver avuto quell'idea.
A quel punto, Andreotti mise mano a un numero di «Concretezza»107 dedicato
a Pio XII. Vi pubblicò la riproduzione della pagina dell'enciclica, che peral-
tro non dimostra molto, non essendoci nell'enciclica nessun riferimento alla
questione ebraica. Allo stesso tempo, rispose anche alla rivista comunista «Vie
nuove», che nel frattempo aveva dedicato tutto un numero (14 maggio) ad
attaccare la memoria di Pio XII. Quelle foto delle pagine di Mit brennender
Sorge tornarono poi ancora utili, perché tre mesi dopo vennero ripubblica-
te sull'«Osservatore della Domenica» uscito appositamente per difendere la
memoria del vecchio papa.
Fin qui, l'appoggio pubblicistico. Andreotti però forni un aiuto molto più
concreto: comprò i diritti di un libro. Per la precisione, «Concretezza» nel
luglio-agosto 1966 pagò ad Arnoldo Mondadori 3 milioni e 750 mila lire per
i diritti italiani del libro di Pinchas Lapide The Last three Popes and Jews . A quel
punto, del libro in preparazione (ma che fini per uscire dopo un anno) avevano
già parlato le agenzie108 e ormai conosciamo i rapporti di Lapide con la Chiesa.
Non si sa chi avesse dato il la all'esponente democristiano per la pubblicazione
del libro; era però un israeliano gradito al Papa.
Nel luglio 1966, Andreotti comunicò a mons. Felici, di aver definito l'acqui-
sto con Mondadori e mons. Felici a sua volta lo comunicò subito al Papa109.
«Concretezza» ne ricavò il diritto di pubblicare in anticipo estratti del libro.
Il contratto di Andreotti con Mondadori fu siglato tra luglio e agosto 1966 (i
soldi furono inviati il primo agosto 1966). Il libro fu poi annunciato dal «New

107 Si veda G. Andreotti, La verità su Pio XII, in «Concretezza», 16 maggio 1964, pp. 3-5
(e 6-7 per la foto della pagina dell'enciclica).
108 La Jewish Telegrafìe Agency ne aveva parlato il 25 aprile 1966, sostenendo che sa-
rebbe stato presto pubblicato in Olanda. Si veda http://www.jta.org/1966/04/25/archive/
israel-author-claims-pope-pius-xii-saved-860-000-jews-from-nazis.
109 Istituto Luigi Sturzo, Archivio Andreotti , b. 1 9 1 . La lettera di mons. Angelo Felici, poi
cardinale, era del 6 luglio 1966. La lettera di Andreotti a Mondadori era del Io agosto 1966
e si trova, insieme alla ricevuta del pagamento, nello stesso faldone.

This content downloaded from 151.63.100.80 on Sat, 23 May 2020 11:25:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
698 Giorgio Fabre

York Times» il 19 dicembre 1966 e pubblicato dalla casa editrice di New York,
Hawthorn, nel marzo 1967110. Nello stesso 1967, a maggio, fu tradotto da
Seuil in Francia e da Herder in Germania111. Solo nel settembre 1967 usci in
italiano da Mondadori, col titolo Roma e gli ebrei e il sottotitolo chiarissimo,
Lozione del Vaticano a favore delle vittime del nazismo 112. Puntuale, nel numero
del Io settembre, «Concretezza» ne anticipò numerose pagine. Vale la pena no-
tare, con amabile ironia, che un distico del giornale si dichiarò «grato all'autore
che ci ha consentito di riprodurre uno stralcio del volume»113.
L'esborso di Andreotti era avvenuto sette mesi prima dell'uscita della prima
edizione (in inglese) del libro. Fu un discreto finanziamento anticipato all'au-
tore e forse anche al libro. Roma e gli ebrei affermava con forza che la Chiesa
degli ultimi tre papi era stata dalla parte degli ebrei e che Pio XII ne aveva
salvato tra 700 e 860 mila114.

1 10 The Vatican and the Jews , in «New York Times», 1 9 December 1 966.
111 A. Latreille, L'Histoire del l'antisémitisme , in «Le Monde», 1 8 mai 1 967.
112 g.d.r., La morte di Hitler. Gli ebrei e la Chiesa , in «La Stampa», 20 settembre 1967.
113 Pio XII e l'antisemitismo nazista , in «Concretezza», Io settembre 1967, pp. 5-16, p. 5.
114 Lapide, Roma egli ebrei, cit., p. 287.

This content downloaded from 151.63.100.80 on Sat, 23 May 2020 11:25:02 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms

Potrebbero piacerti anche