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E FOL L IA
I GRANDI
SALVADOR DALÍ
È indubitabile che l’opera di Dalí coinvolga lo spettatore e ingeneri
in lui un forte disagio: è segno del livello profondo e persino inconscio
che le opere e il personaggio stesso attivano.
Vittorino Andreoli
ANALISI PSICOLOGICA DI
ALICE CHIRICO
GENIO E FOLLIA n. 8
Pubblicazione da vendersi esclusivamente
in abbinamento a MIND o a la Repubblica.
Supplemento al numero in edicola.
Euro 14,90 + MIND o la Repubblica.
T RA G E NIO E FOL L I A
I GRANDI DELLA PITTURA
COL L ANA DIRE TTA DA
VITTORINO AN DREOLI
Edizione speciale per GEDI News Network pubblicata su licenza Out of Nowhere S.r.l.
GEDI News Network è soggetta all’attività di coordinamento e direzione di GEDI Gruppo Editoriale S.p.A.
DALÍ LA VITA
Salvador Dalí
D
alí vide la luce al principio del Novecento nella piana dell’Am- Alle pagine 14-15:
La persistenza
purdán, la regione che salda la penisola iberica ai Pirenei me- della memoria
1931 (olio su tela)
ridionali. Più precisamente nacque a Figueres, poco distante The Museum
of Modern Art
dalla baia di Cadaqués e da Port Lligat. I riferimenti geografici New York
risultano importanti perché questi luoghi saranno essenziali nella Alla pagina precedente:
Pietà (Ascensione)
vita e nell’arte del pittore, che li elesse a teatro delle sue visioni. La 1958 (olio su tela)
Pérez Simón Collection
spiaggia e l’entroterra di Cadaqués, con le sue rocce erose dagli ele- Messico
menti o gli olivi ritorti, sono i protagonisti del suo lavoro e vi svol-
gono una funzione altrettanto importante di quella esercitata dalla
famiglia d’origine e di quella che costruì insieme a Gala. Gala, la
sua musa, è onnipresente nei suoi dipinti a partire dal 1929, ma la
prima a posare per lui fu la sorella minore: Ana María. Dalí avreb-
be avuto anche un fratello maggiore, ma era morto prima della sua
nascita: ciononostante, giocò un ruolo significativo nel suo immagi-
DALÍ LA VITA
La morte di mia madre mi colpì come un affronto personale del destino: non
era possibile che una cosa del genere toccasse a lei, toccasse a me! Sentivo nel
mio cuore il millenario cedro del Libano, il cedro della vendetta, allargare i suoi
rami giganteschi. Serrando i denti, giurai a me stesso che avrei saputo strappare
mia madre alla morte, al destino, con la spada di luce selvaggiamente splendente
sulla mia inevitabile gloria!
bre dello stesso anno si tenne la sua prima mostra personale, a Barcel-
lona, e in quell’occasione i suoi dipinti furono notati da Pablo Picasso.
Andaluso di nascita, Picasso era catalano d’adozione e tornava saltua-
riamente a Barcellona. Viveva però a Parigi, e fu proprio nella capitale
francese che i due artisti poterono finalmente conoscersi. Era la pri-
mavera del 1926 e Dalí diede di quell’incontro un celebre resoconto:
DALÍ LA VITA
1929-1939: il surrealismo
Sebbene avesse la testa a Parigi, Dalí continuava a vivere a Figue-
res, che cominciò a diventare una meta per i surrealisti. Tra i primi
DALÍ LA VITA
intellettuale del dopoguerra. L’arte astratta ci crollò davanti, per non rialzarsi
mai più, dopo aver visto “un occhio di fanciulla tagliato dalla lama di un rasoio”.
Era così che il film cominciava. E non ci sarebbe più stato spazio in Europa per
le piccole, maniacali losanghe di Monsieur Mondrian.
Il successo del film inserì a pieno titolo Dalí nel gruppo capeg-
giato da André Breton. Durante l’estate una piccola delegazione
surrealista composta da René Magritte, René Char e Paul Éluard,
andò a trovarlo in Spagna. Éluard era giunto a Cadaqués con la
moglie Elena Diakonova, nota come Gala, e la figlia Cécile. Veden-
do Gala in costume, Dalí ebbe un colpo di fulmine, riconoscendo
nella moglie di Éluard la realizzazione più alta della tipologia di
donna che aveva sempre amato. Tutta la sua esistenza fino a quel
momento non gli sembrò che un preambolo a quell’incontro, ma a
ogni tentativo di approccio cadeva in crisi di riso incontenibili. Era
un fenomeno nervoso che lo affliggeva da qualche tempo, e quando
DALÍ LA VITA
la ragione della mia ilarità, inesplicabile a tutti. Seppe, finalmente, che il mio di respingerle, come
riso differiva da ogni riso “gaio”: non era scetticismo, ma fanatismo. Non era qualunque altra donna
frivolezza, ma cataclisma, abisso, terrore. E quella mia crisi, quell’omaggio che le avrebbe fatto.
offriva, era la più catastrofica di tutte, era quella che mi squassava ai suoi piedi. Le strinse più forte!».
“Piccolo bambino mio!” mormorò. “Non ci lasceremo mai”.
DALÍ LA VITA
fronda sono chiaramente leggibili nell’intervento di Ray. Il fotografo
americano rivendicava il diritto alla libera sperimentazione della ri-
cerca artistica, completamente affrancata da istanze figlie della lotta
di classe o della razza. Georges Bataille aveva perfino immaginato un
movimento, detto “Surfascismo”, che avrebbe dirottato gli impulsi
primari evocati dal fascismo in direzione di esiti rivoluzionari. Tra
gli altri protagonisti del movimento anche Antonin Artaud aveva da
tempo preso le distanze da forme di impegno che non fossero cen-
trate sulla rivoluzione dello spirito.
Va dato atto a Dalí di non aver mai nascosto il suo punto di vi-
sta. Nella conclusione di L’âne pourri (“L’asino putrefatto”) espresse
con il massimo della chiarezza possibile il suo punto di vista e le sue
intenzioni:
DALÍ LA VITA
migliore amico, posso civile in Spagna, quelle dichiarazioni furono interpretate dai surre-
testimoniare davanti a alisti come insopportabili pagliacciate. Aragon era già stato allonta-
Dio e davanti alla Storia nato, quindi era il momento di riequilibrare il movimento prenden-
che Lorca, poeta puro do le distanze da Dalí.
al cento per cento, era Espulso in seguito a un grottesco processo nel quale inscenò uno
consustanzialmente spettacolo ridicolo a uso e consumo dei presenti e dei posteri, Sal-
l’essere più apolitico che vador continuò a proclamarsi l’unico vero surrealista e puntò il dito
abbia mai conosciuto». contro i tabù vigenti nel movimento. Fin dal principio Gala l’aveva
messo in guardia sulla natura borghese dei compagni, e in Diario di
un genio Dalí ripercorse la vicenda dal suo punto di vista:
Non ci volle più di una settimana trascorsa in seno al gruppo surrealista per
scoprire che Gala aveva ragione. Entro certi limiti, i miei elementi scatologici
vennero tollerati. In compenso una gran quantità d’altre cose furono dichiarate
“tabù”. Vi riconobbi le stesse proibizioni sperimentate nella mia famiglia. Il san-
gue mi era consentito. Potevo aggiungerci un po’ di cacca. Ma non avevo diritto
vate che presto lo avrebbero reso ricco. Nel 1935 rientrò in Europa e
DALÍ LA VITA
incontrò per l’ultima volta García Lorca; di lì a poco il poeta sareb-
be stato fucilato dai fascisti di Franco. Dalí avrebbe sempre negato
la natura politica di quell’esecuzione, la guerra civile spagnola per
lui fu sostanzialmente uno scontro fratricida e purificatorio: «I rossi,
i semi-rossi, i rosa e persino i malva pallidi, trassero profitto, a colpo
sicuro, da una vergognosa e demagogica propaganda sulla morte di
Lorca, esercitando un ignobile ricatto. Provarono e provano ancora
oggi a fare di lui un eroe politico. Ma io che sono stato il suo mi-
gliore amico, posso testimoniare davanti a Dio e davanti alla Storia
che Lorca, poeta puro al cento per cento, era consustanzialmente
l’essere più apolitico che abbia mai conosciuto».
Il mantenersi fieramente apolitico era più di un semplice atteg-
giamento: Dalí era persuaso che le bandiere e le ideologie fossero
mode transitorie assunte dall’umanità per dare espressione a desi-
deri primordiali, che nulla avevano di politico nella loro essenza. In
DALÍ LA VITA
europea piacevano al grande pubblico, soprattutto a quello statu- “avanguardia”. In quel
nitense, prontissimo ad accogliere l’innocuo prodotto “avanguar- momento Breton coniò
dia”. In quel momento Breton coniò per lui il soprannome “Avida per lui il soprannome
Dollars”, anagramma di Salvador Dalí. Il catalano era diventato una “Avida Dollars”,
macchina per fare soldi, ideava loghi per lecca-lecca, curava vetrine, anagramma di Salvador
disegnava abiti e progettava film. Dalí. Il catalano era
Tra il 1940 e il 1948 Dalí visse negli Stati Uniti: nel 1941 espose diventato una macchina
al Metropolitan di New York insieme a Miró e nel 1942 pubblicò per fare soldi, ideava loghi
La mia vita segreta, che Time definì «uno dei più irresistibili libri per lecca lecca, curava
dell’anno». Neppure l’impegno bellico degli Stati Uniti arrestò l’in- vetrine, disegnava abiti
tensa attività daliniana, che spaziò da una mostra nella galleria di e progettava film.
Peggy Guggenheim a disegni pubblicitari ideati per Vogue; l’artista
realizzò inoltre costumi e scenografie per balletti e fondali teatrali
Alla pagina precedente:
per l’opera wagneriana Tristano e Isotta. Madonna di Port Lligat
1949 (olio su tela)
Nel 1945 la distruzione di Hiroshima colpì profondamente Dalí Marquette University
Haggerty Museum of Art
e segnò l’avvio del cosiddetto “periodo atomico” o “nucleare”. Nel Milwaukee
della sua ipocrisia La rottura con quel che resta del surrealismo è ormai consuma-
spinta al parossismo ta e ufficializzata da Breton nella prefazione alla seconda edizione
che lo aveva indotto a dell’Antologia dello humour nero (1950): «Non occorre precisare che
lasciarsi ossessionare questa nota si riferisce esclusivamente al primo Dalí, scomparso ver-
esclusivamente so il 1935 per far posto alla personalità meglio conosciuta come
dai rinoceronti, ha Avida Dollars, ritrattista mondano da qualche tempo reintegrato
trovato la verità». alla fede cattolica e all’“ideale artistico del Rinascimento”, che oggi
fa sfoggio degli incoraggiamenti e dei rallegramenti del papa».
Intanto Dalí continuava a mietere successi di mercato, di pub-
blico e mondani. Celebre la partecipazione al ballo veneziano or-
ganizzato da Carlos de Beistegui, dove lui e Gala si presentarono
vestiti da giganti alti sei metri con abiti realizzati da Christian Dior;
altrettanto famosa fu la scenografia di una festa con duemila invitati
commissionatagli da George de Cuevas nel 1953. L’anno successivo
si tenne la sua prima personale italiana. La mostra fu presentata
a Roma e ottenne un notevole successo di pubblico, grazie anche
DALÍ LA VITA
che lo aveva indotto a lasciarsi ossessionare esclusivamente dai rino-
ceronti, ha trovato la verità».
A partire da allora, pose il corno di rinoceronte al servizio del meto-
do paranoico-critico e adottò quella forma biomorfica come elemento
costruttivo dei suoi lavori. Giovane vergine autosodomizzata dalle corna
della sua stessa castità (1954) riprende il giovanile Figura a una finestra
(1925) e salda i conti con Ana María. Dopo una breve riconciliazione
con la famiglia, Salvador aveva definitivamente interrotto i rapporti
con la sorella, colpevole di non aver mai accettato Gala.
Intanto proseguiva la polemica con chi accusava Dalí di esse-
re divenuto un pittore accademico. Ma secondo l’artista catalano
il vero accademismo risiedeva nell’adorazione acritica della novità
o nella smania dell’avanguardia. Contro l’abuso di droga e alcol,
esaltava la visione mistica, al mito della rivoluzione opponeva la
forza della tradizione e così scriveva: «A me l’estasi! L’estasi di Dio
e dell’uomo. Me la perfezione, la bellezza, che possa guardare negli
Sì, il divino Dalí è il porco che, con il muso, sbava e grugnisce di soddisfa-
zione, gastronomo inconfessabile, dalinise in catalano, che in francese vuol dire
possédé par le désir (“posseduto dal desiderio”), e che s’apre, breccia vischiosa e
DALÍ LA VITA
DALÍ LA VITA
La ristrutturazione del teatro di Figueres e del castello di Púbol, per meglio nascondere
principesca residenza donata a Gala, avrebbero impegnato Salvador la propria follia».
per l’intero decennio e ancora negli anni Ottanta quando acquistò,
e collegò al teatro-museo, la torre Gorgot di Figueres, che venne
ribattezzata “Torre Gala”.
Nel 1982 morì l’adorata moglie, e venne sepolta in una cripta
nel castello di Púbol. Dalí cadde in una profonda crisi depressiva e
a poco valse l’essere insignito della Gran Croce dell’Ordine di Carlo
III o l’essere nominato marchese di Púbol dal sovrano spagnolo.
Gli ultimi anni furono terribili: rifiutava di incontrare chiun-
que e aveva frequenti crisi psicotiche. Nel 1984 rimase gravemen-
te ustionato nell’incendio della sua camera da letto nel castello di
Púbol e si trasferì nella Torre Gala, dove morì il 23 gennaio 1989.
Le sue ultime volontà furono di lasciare l’insieme dei suoi beni allo
Stato spagnolo e di essere seppellito nella cripta del Teatre-Museu di
Figueres, lo spazio dove si era tenuta la sua prima mostra.
D
alí dipinse i suoi primi quadri che non aveva neppure dieci Alle pagine 106-107:
La vecchiaia
anni: si tratta di piccoli oli su cartone con paesaggi dell’Am- di Guglielmo Tell
1931 (olio su tela)
purdán. Veduta nei dintorni di Figueres (1912 circa) e Vilaber- Collezione privata
tran (1913) già annunciano quella che sarà la grande passione Alla pagina precedente:
Ritratto di mio padre
dell’artista per la sua terra, un paesaggio dal quale mai avrebbe po- 1925 (olio su tela)
Museu Nacional d’Art
tuto allontanarsi definitivamente. de Catalunya
Barcellona
Ritratto del padre (1920) e Autoritratto con collo di Raffaello (1920)
segnano le tappe attraverso le quali Salvador consumò la sua espe-
rienza impressionista; Autoritratto cubista (1923) e Natura morta
(1924-1925) sono invece traccia di una breve stagione cubista. Dalí
divorava i linguaggi e se ne impossessava nel processo di elaborazione
del proprio stile. Il primo capolavoro arrivò nel 1925: Figura a una
finestra è un ritratto della sorella Ana María vista di spalle, mentre
osserva la baia di Cadaqués. La giovane ha quattro anni meno di
Nel giugno del 1932 si presenta d’improvviso al mio spirito, senza che alcun
ricordo recente né associazione cosciente possa darne alcuna spiegazione, l’im-
magine dell’Angelus di Millet. Tale immagine costituisce una rappresentazione
nettissima e a colori. È pressoché istantanea e non dà seguito ad altre immagini.
Ne sono grandemente impressionato, grandemente turbato, poiché, nonostan-
te che nella mia visione di tale immagine tutto “corrisponda” esattamente alle
riproduzioni del quadro da me conosciute, essa “mi appare” nondimeno asso-
lutamente modificata e carica di una tale intenzionalità latente che l’Angelus di
Millet diventa “d’improvviso” per me l’opera più inquietante, più enigmatica,
più densa, più ricca di pensieri inconsci che sia mai esistita.
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DALÍ PRODUZIONE ARTISTICA
Il trionfo
Nel 1933 Dalí tornò sul confronto con la figura paterna con
L’enigma di Guglielmo Tell; l’eroe svizzero questa volta ha assunto
le fattezze di Lenin. Il leader bolscevico è rappresentato con enor-
mi natiche che devono essere sostenute da una forcella. Quella
caricatura, unita alle affermazioni sul fascino irresistibile di Hit-
ler, causò l’espulsione dell’artista catalano dal gruppo surrealista,
allontanamento che tuttavia non interruppe bruscamente il dia-
logo con i protagonisti dell’avanguardia parigina e con Lacan. In
particolare il dialogo con lo psichiatra proseguì almeno sino al
1937 quando, con Metamorfosi di Narciso, il pittore sembrò rie-
cheggiare il saggio Lo stadio dello specchio (1936). In Metamorfosi
di Narciso l’immagine doppia esalta la consustanzialità del delirio
Antonio Rocca, nato a Roma nel 1971, è uno storico dell’arte appassionato di patafisica
e del Sacro Bosco di Bomarzo, cui ha dedicato il volume Bomarzo. Guida al Sacro Bosco
(Gangemi, 2018). È docente di storia dell’arte contemporanea presso l’Accademia di
Belle Arti di Viterbo e collabora con il quotidiano la Repubblica scrivendo prevalente-
mente di iconologia. Ha partecipato a numerosi programmi di divulgazione artistica per
Rai, per Mediaset e per la rete franco-tedesca Arte.