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TR A GE NIO

E FOL L IA
I GRANDI

I GRANDI DELLA PITTURA


DELLA PITTURA

TRA GENIO E FOLLIA


COLLANA DIRETTA DA
V I T TOR I NO A N DR EOL I

SALVADOR DALÍ
È indubitabile che l’opera di Dalí coinvolga lo spettatore e ingeneri
in lui un forte disagio: è segno del livello profondo e persino inconscio
che le opere e il personaggio stesso attivano.
Vittorino Andreoli

ANALISI PSICOLOGICA DI
ALICE CHIRICO

P ROF ILO A RT IST ICO DI


ANTONIO ROCCA

GENIO E FOLLIA n. 8
Pubblicazione da vendersi esclusivamente
in abbinamento a MIND o a la Repubblica.
Supplemento al numero in edicola.
Euro 14,90 + MIND o la Repubblica.
T RA G E NIO E FOL L I A
I GRANDI DELLA PITTURA
COL L ANA DIRE TTA DA
VITTORINO AN DREOLI

ALICE CHIRICO ANTONIO ROCCA

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TRA GENIO E FOLLIA - I GRANDI DELLA PITTURA
Collana diretta da Vittorino Andreoli
Volume 8 – Salvador Dalì

© 2022 GEDI News Network


via Ernesto Lugaro 15, Torino

© 2022 Out of Nowhere S.r.l. – Milano

Edizione speciale per GEDI News Network pubblicata su licenza Out of Nowhere S.r.l.
GEDI News Network è soggetta all’attività di coordinamento e direzione di GEDI Gruppo Editoriale S.p.A.

Progetto grafico e realizzazione editoriale: Out of Nowhere S.r.l.


Impaginazione: Marco Pennisi & C. S.r.l.
La vita e Produzione artistica: Antonio Rocca
Analisi psicologica e Libere associazioni: Alice Chirico
Coordinamento editoriale: Gabriele Dadati

Proprietà intellettuale delle Opere: © Salvador Dalí, Gala-Salvador Dalí Foundation

In copertina e a pagina 143: Vecchiaia, adolescenza, infanzia © Bridgeman Images


Fotografie © Bridgeman Images
A eccezione di:
pag. 59, 87 © Gordon Roberton Photography
pag. 51 © Index Fototeca / Bridgeman Images
pag. 16, 42, 62, 90, 124, 125, 134, 139 © Christie’s Images / Bridgeman Images
pag. 29, 106, 107 © Photo Josse / Bridgeman Images
pag. 103 © CSG CIC Glasgow Museums Collection / Bridgeman Images
pag. 21 © M.C.Esteban/Iberfoto / Bridgeman Images
pag. 131 © AISA / Bridgeman Images
pag. 126 © Philadelphia Museum of Art / The Louise and Walter Arensberg Collection, 1950 / Bridgeman Images
pag. 70 © Art Institute of Chicago / Through prior gift of Mrs. Gilbert W. Chapman / Bridgeman
pag. 95 © Luisa Ricciarini / Bridgeman Images
pag. 82 © Stefano Baldini / Bridgeman Images
pag. 108 © Iberfoto / Bridgeman Images
pag. 46 © Fine Art Images / Bridgeman Images
pag. 79 © Sergi Reboredo / Bridgeman Images

I diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o parziale


e con qualsiasi mezzo sono riservati in tutti i Paesi.

Questo volume è stato stampato presso Puntoweb – Ariccia (Roma)


e Petruzzi srl – Città di Castello (PG) nel mese di aprile 2021

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DALÍ IL TEATRO DELLA FOLLIA

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UN’ESISTENZA
FEBBRILE
di Antonio Rocca

La bellezza non è che la somma della coscienza


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delle nostre perversioni.

DALÍ LA VITA
Salvador Dalí

D
alí vide la luce al principio del Novecento nella piana dell’Am- Alle pagine 14-15:
La persistenza
purdán, la regione che salda la penisola iberica ai Pirenei me- della memoria
1931 (olio su tela)
ridionali. Più precisamente nacque a Figueres, poco distante The Museum
of Modern Art
dalla baia di Cadaqués e da Port Lligat. I riferimenti geografici New York

risultano importanti perché questi luoghi saranno essenziali nella Alla pagina precedente:
Pietà (Ascensione)
vita e nell’arte del pittore, che li elesse a teatro delle sue visioni. La 1958 (olio su tela)
Pérez Simón Collection
spiaggia e l’entroterra di Cadaqués, con le sue rocce erose dagli ele- Messico

menti o gli olivi ritorti, sono i protagonisti del suo lavoro e vi svol-
gono una funzione altrettanto importante di quella esercitata dalla
famiglia d’origine e di quella che costruì insieme a Gala. Gala, la
sua musa, è onnipresente nei suoi dipinti a partire dal 1929, ma la
prima a posare per lui fu la sorella minore: Ana María. Dalí avreb-
be avuto anche un fratello maggiore, ma era morto prima della sua
nascita: ciononostante, giocò un ruolo significativo nel suo immagi-

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«La morte di mia madre nario. Don Salvador Dalí i Cusí
mi colpì come un affronto e Felipa Domènech, i genitori,
personale del destino: si convinsero che il secondo fi-
non era possibile che glio fosse la reincarnazione del
una cosa del genere primo e anche per questa ragio-
toccasse a lei, toccasse ne gli attribuirono il nome del
a me! Sentivo nel mio fratellino scomparso. È un caso
cuore il millenario cedro singolare, che ricorda quello di
del Libano, il cedro della Vincent Van Gogh. Le analogie
vendetta, allargare i però si arrestano qui, è quasi im-
suoi rami giganteschi. possibile immaginare due profili
Serrando i denti, giurai più distanti di Dalí e Van Gogh.
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a me stesso che avrei Mentre Vincent percepì se stes-
DALÍ LA VITA

saputo strappare mia so come il sostituto di un fratel-


madre alla morte, al lo perfetto perché mai nato, lo
destino, con la spada spagnolo si vide come una rein-
di luce selvaggiamente carnazione, una seconda versio-
splendente sulla mia ne, il che accentuò le sue manie
inevitabile gloria!». di grandezza.
Salvador crebbe amatissimo
e viziato dai genitori, dalla ma-
dre in particolare. Era un piccolo despota, che amava vestirsi da re.
Il padre, notaio appartenente alla buona società catalana, era un
libero pensatore, mentre la madre una cattolica osservante. La casa
era piena di libri e don Salvador si interessava di musica e di pittura.
Il piccolo cominciò a disegnare molto presto e il suo talento era evi-
dente, specie se confrontato con gli scarsi risultati scolastici.
L’adolescenza fu per Salvador un periodo tranquillo: la Spagna
non aveva preso parte alla Prima guerra mondiale e il Paese aveva

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tratto beneficio dalla neutralità, foriera di un certo benessere tra
la borghesia e di un rinnovato fermento culturale. Salvador ebbe
l’occasione di partecipare a una mostra appena quindicenne, e due
anni dopo espose nel Teatro municipale di Figueres, un luogo che
non avrebbe mai dimenticato: al culmine della carriera, l’avrebbe
scelto come sede del proprio museo. Il Teatre-Museu testimonia il
radicamento dell’artista nella sua terra, ed è divenuto una sorta di
tempio e un mausoleo.
Il giovane Dalí aveva una spiccata predilezione per la scrittura
diaristica. Tema principale è ciò che accade nella sfera domestica:
conosciamo così il rapporto ambivalente con il padre, quello inten-
so con la sorella e l’amore profondo che nutriva per la madre, morta
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di cancro nel 1921.

DALÍ LA VITA
La morte di mia madre mi colpì come un affronto personale del destino: non
era possibile che una cosa del genere toccasse a lei, toccasse a me! Sentivo nel
mio cuore il millenario cedro del Libano, il cedro della vendetta, allargare i suoi
rami giganteschi. Serrando i denti, giurai a me stesso che avrei saputo strappare
mia madre alla morte, al destino, con la spada di luce selvaggiamente splendente
sulla mia inevitabile gloria!

Salvador reagì al dolore gettandosi nello studio: nel 1922 si di-


plomò con buoni voti ed espose in una galleria d’avanguardia bar-
cellonese. La mostra fu un successo, l’artista ottenne ottime recen-
sioni e un premio conferitogli dal rettore dell’università. La strada
per l’ammissione all’Accademia di Madrid era aperta e Dalí si tra-
sferì nella capitale all’apertura dell’anno scolastico, andando a vivere
nella Residenza degli studenti, dove strinse amicizia con Federico
García Lorca e Luis Buñuel.

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Alla pagina successiva: Il carattere eccentrico e l’insofferenza alle regole produsse i primi
Figura a una finestra
1925 (olio su tavola) guai, e nel 1923 Salvador venne sospeso per un anno, in quanto
Museo Nacional Centro
de Arte Reina Sofia giudicato ispiratore di una rivolta studentesca. Durante il periodo
Madrid
che trascorse a casa incappò in un altro incidente, che gli costò l’ar-
resto e la reclusione prima nel carcere di Figueres e poi in quello di
Gerona, ma questa volta è possibile che la responsabilità principale
fosse imputabile al padre. Si sarebbe trattato di una forma di intimi-
dazione delle autorità locali nei confronti del notaio, troppo esposto
sul fronte dei liberali.
Rientrato a Madrid, Salvador intensificò la frequentazione con Gar-
cía Lorca, che avrebbe trascorso l’estate del 1925 a Cadaqués. I due
erano legatissimi, ma il rapporto era conflittuale; al contrario di Lorca,
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infatti, Dalí non aveva accettato la propria omosessualità. Nel novem-
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bre dello stesso anno si tenne la sua prima mostra personale, a Barcel-
lona, e in quell’occasione i suoi dipinti furono notati da Pablo Picasso.
Andaluso di nascita, Picasso era catalano d’adozione e tornava saltua-
riamente a Barcellona. Viveva però a Parigi, e fu proprio nella capitale
francese che i due artisti poterono finalmente conoscersi. Era la pri-
mavera del 1926 e Dalí diede di quell’incontro un celebre resoconto:

“Sono venuto a trovare lei” dissi “prima ancora di visitare il Louvre”.


“Hai fatto benissimo” mi rispose lui.
Avevo portato con me un quadretto, La ragazza di Figueres. Picasso lo stu-
diò per un quarto d’ora, senza commenti. Poi mi condusse al piano superiore e
per due ore mi mostrò una gran quantità di quadri, posandoli uno dopo l’altro
sul suo cavalletto, dandosi enormemente da fare, spostando gigantesche pile di
quadri appoggiati ai muri. E ogni volta che mi presentava qualcosa di nuovo mi
lanciava un’occhiata così intelligente e così viva da farmi tremare, ma anch’io
non feci commenti.

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DALÍ LA VITA

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«Buñuel ha fatto una Sul pianerottolo, al momento del
merdina di pellicola congedo, ci scambiammo semplice-
[…] che si chiama mente un’occhiata, che significava:
Un cane andaluso e “Hai capito?”
il cane sono io». Nel “Ho capito!”.
film non c’è nessun
cane, in compenso Sempre nel 1926 García Lor-
ci sono riferimenti ca pubblicò Ode a Salvador Dalí.
all’omosessualità di In quei versi Lorca trasfigurò
Lorca e al suo disgusto liricamente l’intensa relazione
per il corpo femminile. con il compagno d’Accademia,
che a settembre si fece espelle-
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re dall’istituto per essersi rifiu-
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tato di farsi esaminare da professori che non riteneva all’altezza di


esprimersi sulla sua pittura. La bravata mandò il padre su tutte le
furie, ma il ragazzo era pienamente consapevole del proprio talento
e, imperturbabile, si dedicò a organizzare la sua seconda personale.
La mostra si tenne nuovamente a Barcellona, una piazza che comin-
ciava a prestare attenzione al pittore, che avrebbe voluto ripercorrere
la strada di Joan Miró. Miró si era trasferito a Parigi già nel 1920,
e in pochi anni si era fatto una posizione. Propiziato forse anche
dalla comune provenienza catalana, tra i due si instaurò subito un
certo legame e Miró si prodigò per aiutare il giovane collega, intro-
ducendolo nell’ambiente surrealista e facendo circolare il suo nome
tra mercanti e galleristi.

1929-1939: il surrealismo
Sebbene avesse la testa a Parigi, Dalí continuava a vivere a Figue-
res, che cominciò a diventare una meta per i surrealisti. Tra i primi

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ad andare a trovarlo ci fu appunto Miró, accompagnato dal galle-
rista Pierre Loeb. Nel 1929 arrivò Buñuel, con il quale Dalí scrisse
la sceneggiatura di Un chien andalou. Il film segnò una rottura con
Lorca, perché il poeta, essendo andaluso, si era sentito chiamato in
causa dai suoi due vecchi compagni d’Accademia: «Buñuel ha fatto
una merdina di pellicola […] che si chiama Un cane andaluso e il
cane sono io». Nel film non c’è nessun cane, in compenso ci sono
riferimenti all’omosessualità di Lorca e al suo disgusto per il corpo
femminile. Dalí non sembrò curarsi dei sentimenti dell’amico e ne
La mia vita segreta si soffermò solamente sull’esito dell’opera:

Il film produsse esattamente l’effetto che desideravo e affondò come una


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spada nel cuore di Parigi, uccidendo in una serata dieci anni di falsa avanguardia

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intellettuale del dopoguerra. L’arte astratta ci crollò davanti, per non rialzarsi
mai più, dopo aver visto “un occhio di fanciulla tagliato dalla lama di un rasoio”.
Era così che il film cominciava. E non ci sarebbe più stato spazio in Europa per
le piccole, maniacali losanghe di Monsieur Mondrian.

Il successo del film inserì a pieno titolo Dalí nel gruppo capeg-
giato da André Breton. Durante l’estate una piccola delegazione
surrealista composta da René Magritte, René Char e Paul Éluard,
andò a trovarlo in Spagna. Éluard era giunto a Cadaqués con la
moglie Elena Diakonova, nota come Gala, e la figlia Cécile. Veden-
do Gala in costume, Dalí ebbe un colpo di fulmine, riconoscendo
nella moglie di Éluard la realizzazione più alta della tipologia di
donna che aveva sempre amato. Tutta la sua esistenza fino a quel
momento non gli sembrò che un preambolo a quell’incontro, ma a
ogni tentativo di approccio cadeva in crisi di riso incontenibili. Era
un fenomeno nervoso che lo affliggeva da qualche tempo, e quando

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era in presenza di Gala questi episodi diventavano eclatanti. Invece «Gala mi strinse
di esserne respinta, inaspettatamente la donna riuscì a interpretarne una mano nella sua.
il significato profondo, avviando una storia che li avrebbe legati per Era il momento
tutta la vita. Quel momento fondamentale è descritto in una delle di ridere, e io risi,
pagine più belle di La mia vita segreta: con un nervosismo
acuito dal rimorso
La raggiunsi, ero sul punto di toccarla, di circondarle con un braccio l’esile che, lo sapevo, sarebbe
cintura, quando, con un piccolo gemito soffocato che le saliva direttamente poi rimasto in me.
dall’anima, Gala mi strinse una mano nella sua. Era il momento di ridere, e io Gala, invece di sentirsi
risi, con un nervosismo acuito dal rimorso che, lo sapevo, sarebbe poi rimasto ferita, ne fu alleviata:
in me. Gala, invece di sentirsi ferita, ne fu alleviata: con uno sforzo certamente con uno sforzo
atroce strinse le mie dita invece di respingerle, come qualunque altra donna certamente atroce
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avrebbe fatto. Le strinse più forte! Con l’intuizione di un medium comprese strinse le mie dita invece

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la ragione della mia ilarità, inesplicabile a tutti. Seppe, finalmente, che il mio di respingerle, come
riso differiva da ogni riso “gaio”: non era scetticismo, ma fanatismo. Non era qualunque altra donna
frivolezza, ma cataclisma, abisso, terrore. E quella mia crisi, quell’omaggio che le avrebbe fatto.
offriva, era la più catastrofica di tutte, era quella che mi squassava ai suoi piedi. Le strinse più forte!».
“Piccolo bambino mio!” mormorò. “Non ci lasceremo mai”.

Gala era considerata la musa surrealista per eccellenza. Prima di


essere la moglie di Éluard era stata la compagna del pittore Max Ernst.
Éluard aveva costruito con lei una relazione basata in parte sul libero
amore e in parte sul voyerismo del poeta. L’omosessualità latente di
Dalí e la potente carica sessuale della donna erano destinate a loro volta
a intrecciarsi in un legame tanto anomalo quanto solido. Per Salvador,
Gala fu una fonte d’ispirazione e una manager. In principio la situa-
Alla pagina precedente:
zione era tutt’altro che rosea: don Salvador aveva platealmente cacciato Ritratto di Gala con zanne
di rinoceronte
di casa il figlio, estromettendolo anche dal testamento, a causa della 1954 (olio su tela)
Fundació Gala-Salvador Dalí
relazione con una donna sposata che giudicava del tutto inadeguata. Figueres

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Nella galassia surrealista Il notaio sperava di piegare le resistenze del giovane pittore, ma fu un
erano in molti a nutrire errore grossolano. Sebbene afflitta da preoccupazioni economiche, la
resistenze nei confronti coppia riuscì a frequentare l’alta società parigina e in quell’ambiente
dell’impegno politico del conquistò i primi collezionisti. Il visconte Charles de Noailles acquistò
movimento. Nel primo per ventimila franchi La vecchiaia di Guglielmo Tell, e con quei soldi i
numero di Minotaure due comprarono una casetta di pescatori a Port Lligat, primo nucleo
(1933), la più importante di quella che sarebbe divenuta la loro residenza. Nuovi orizzonti si di-
rivista surrealista schiudevano di fronte all’artista. Nel 1930 ci fu la prima di L’âge d’or;
degli anni Trenta, echi la collaborazione con Buñuel in questo caso fu molto più difficile: il
di questa fronda sono regista non sopportava l’influenza di Gala, pertanto estromise Salva-
chiaramente leggibili dor dal progetto utilizzando, e modificando, solamente alcune idee
nell’intervento di Ray. dell’amico. Il film fece rumore, gruppi legati alla destra religiosa fecero
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Il fotografo americano irruzione in un cinema imbrattando con inchiostro la tela della proie-
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rivendicava il diritto alla zione. La pellicola fu censurata, ma lo scandalo aumentò la notorietà


libera sperimentazione degli autori: Buñuel si trasferì a Hollywood, mentre Dalí si impose
della ricerca artistica, come il più promettente pittore surrealista. Ruolo che conquistò grazie
completamente all’elaborazione del metodo paranoico-critico.
affrancata da istanze Nel 1931 Dalí realizzò La persistenza della memoria, forse il suo
figlie della lotta di dipinto più noto. Per la prima volta facevano la loro apparizione
classe o della razza. gli orologi molli. Il paesaggio era sempre quello natio, le terre aride
della piana dell’Ampurdán. L’opera, acquistata dal gallerista Julien
Levy, fu esposta a New York assieme a lavori di Picasso, Ernst, Mar-
cel Duchamp e Man Ray.
Nel 1932 René Crevel, figura storica del surrealismo, andò a vivere
per qualche mese a Cadaqués, dove scrisse Il clavicembalo di Diderot.
Al pari di Louis Aragon, Crevel era stato un surrealista della prima
ora ed era un convinto comunista. Non aveva però seguito Aragon
nel momento in cui questi aveva lasciato il movimento per contrasti
politici. Era stato Dalí a provocare lo scontro: il catalano stava descri-

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vendo il progetto per una “macchina per pensare”, composta da una
sedia a dondolo e bricchetti di latte caldo; irritato da quella proposta,
Aragon aveva affermato che il latte doveva essere dato ai figli dei pro-
letari. Lo scontro fra ortodossia comunista e avanguardia artistica era
aperto, e Crevel ne avrebbe pagato le conseguenze. Pur avendo tenta-
to in ogni modo di ricucire quello strappo, quando poi si trovò ad af-
frontare quello che gli sembrò il definitivo tramonto della possibilità
di legare rivoluzione sociale e rivoluzione artistica si sentì perduto in
un dedalo di vicoli ciechi e si suicidò. Dalí era incapace di compren-
dere le ragioni di quel dramma, e d’altra parte nella galassia surre-
alista erano in molti a nutrire resistenze nei confronti dell’impegno
politico del movimento. Nel primo numero di Minotaure (1933),
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la più importante rivista surrealista degli anni Trenta, echi di questa

DALÍ LA VITA
fronda sono chiaramente leggibili nell’intervento di Ray. Il fotografo
americano rivendicava il diritto alla libera sperimentazione della ri-
cerca artistica, completamente affrancata da istanze figlie della lotta
di classe o della razza. Georges Bataille aveva perfino immaginato un
movimento, detto “Surfascismo”, che avrebbe dirottato gli impulsi
primari evocati dal fascismo in direzione di esiti rivoluzionari. Tra
gli altri protagonisti del movimento anche Antonin Artaud aveva da
tempo preso le distanze da forme di impegno che non fossero cen-
trate sulla rivoluzione dello spirito.
Va dato atto a Dalí di non aver mai nascosto il suo punto di vi-
sta. Nella conclusione di L’âne pourri (“L’asino putrefatto”) espresse
con il massimo della chiarezza possibile il suo punto di vista e le sue
intenzioni:

L’attività mortale di queste nuove immagini può ancora, parallelamente ad


altre attività surrealiste, contribuire alla rovina della realtà, a profitto di tutto ciò

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Alla pagina successiva: che, attraverso gli infami e abominevoli ideali di ogni ordine, estetici, umanitari,
Allucinazione parziale.
Sei apparizioni di Lenin filosofici, etc., ci riconduce alle sorgenti chiare della masturbazione, dell’esibi-
su un pianoforte
1931 (olio su tela) zionismo, del crimine, dell’amore.
Musée National d’Art
Moderne, Centre Idealisti senza partecipare ad alcun ideale. Le immagini ideali del surrealismo
Pompidou
Parigi al servizio dell’imminente crisi della coscienza, al servizio della rivoluzione.

Apparse nel 1930 tra le pagine della rivista Le Surréalisme au ser-


vice de la révolution, queste parole non lasciano ombra di dubbio su
quale fosse l’accezione che l’autore conferiva al termine rivoluzione.
In fondo si può dire che Salvador rimase fedele a se stesso e che si
limitò a sfruttare al meglio il margine di manovra che gli fu conces-
so al suo ingresso nel movimento. Alla soglia dei trent’anni era in
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uno stato di grazia. Scrisse due articoli memorabili per Minotaure:
DALÍ LA VITA

l’Interpretazione Paranoico-critica dell’Immagine ossessionante “L’An-


gelus” di Millet e Della bellezza terrificante e commestibile del Modern
Style. In questo secondo intervento, corredato dalle fotografie di
Man Ray e di George Brassaï, difese Antoni Gaudí dall’austero ac-
cademismo delle avanguardie architettoniche.
Mentre Dalí consolidava la propria posizione nel panorama arti-
stico francese e internazionale, Breton guidava il gruppo a colpi di
processi ed espulsioni, giocando una partita difficilissima tra istanze
anarchiche e comuniste. Sul tavolo c’era il mito di Lenin, conteso
e rivendicato da stalinisti e trotzkisti; in quel contesto Dalí dipin-
se Allucinazione parziale. Sei apparizioni di Lenin su un pianoforte
(1931) e L’enigma di Guglielmo Tell (1933). Nella seconda opera il
leader bolscevico è raffigurato con una natica spropositata, sorretta
da una forcella. Nell’immaginario del catalano, il leader bolscevico
rappresentava l’ennesimo sostituto della figura paterna, contro la
quale sentiva di doversi sollevare opponendovi il diritto alla propria

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«I rossi, i semi-rossi, inestinguibile alterità. Breton osservava seccato gli sconfinamenti
i rosa e persino i politici di un artista che si autodefiniva orgogliosamente apoliti-
malva pallidi, trassero co, e il fastidio si tramutò in ira quando Dalí dichiarò la propria
profitto, a colpo sicuro, passione per Adolf Hitler: «Ero affascinato dalla schiena morbida e
da una vergognosa e paffuta di Hitler sempre così serrata nella sua uniforme. Ogni volta
demagogica propaganda che cominciavo a dipingere la bretella di cuoio che, partendo dalla
sulla morte di Lorca, cintura, passava sopra la spalla opposta, la mollezza di quella carne
esercitando un ignobile hitleriana compressa sotto la tunica militare mi creava uno stato di
ricatto. Provarono estasi gustativa, latteo, nutritivo e wagneriano che mi faceva battere
e provano ancora violentemente il cuore, emozione assai rara che non provavo nep-
oggi a fare di lui un pure facendo l’amore».
eroe politico. Ma io Forse in un altro momento le provocazioni daliniane sarebbero
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che sono stato il suo state accolte, ma in un clima che avrebbe presto portato alla guerra
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migliore amico, posso civile in Spagna, quelle dichiarazioni furono interpretate dai surre-
testimoniare davanti a alisti come insopportabili pagliacciate. Aragon era già stato allonta-
Dio e davanti alla Storia nato, quindi era il momento di riequilibrare il movimento prenden-
che Lorca, poeta puro do le distanze da Dalí.
al cento per cento, era Espulso in seguito a un grottesco processo nel quale inscenò uno
consustanzialmente spettacolo ridicolo a uso e consumo dei presenti e dei posteri, Sal-
l’essere più apolitico che vador continuò a proclamarsi l’unico vero surrealista e puntò il dito
abbia mai conosciuto». contro i tabù vigenti nel movimento. Fin dal principio Gala l’aveva
messo in guardia sulla natura borghese dei compagni, e in Diario di
un genio Dalí ripercorse la vicenda dal suo punto di vista:

Non ci volle più di una settimana trascorsa in seno al gruppo surrealista per
scoprire che Gala aveva ragione. Entro certi limiti, i miei elementi scatologici
vennero tollerati. In compenso una gran quantità d’altre cose furono dichiarate
“tabù”. Vi riconobbi le stesse proibizioni sperimentate nella mia famiglia. Il san-
gue mi era consentito. Potevo aggiungerci un po’ di cacca. Ma non avevo diritto

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alla sola cacca. Ero autorizzato alle rappresentazioni sessuali, ma non alle fantasie
anali. Qualsiasi ano era visto di cattivo occhio! Le lesbiche piacevano loro, ma non
i pederasti. Nei sogni si potevano utilizzare a volontà il sadismo, gli ombrelli e le
macchine per cucire, ma, salvo che per i profani, tutti gli elementi religiosi erano
banditi, anche quelli di carattere mistico. Se il sogno riguardava semplicemente
una madonna di Raffaello senza bestemmie evidenti, era proibito parlarne.

La rottura con Breton non significò un’estromissione dalle attivi-


tà del gruppo. Dalí continuò a scrivere per Minotaure e a partecipare
alle mostre surrealiste. Era difficile rinunciare alla sua collaborazio-
ne, il suo nome era trainante e la sua fama stava divenendo interna-
zionale. Alla fine del 1934 Dalí si recò per la prima volta negli Stati
Uniti; la permanenza a New York fu un’infilata di scandali e di tro- 31

vate che presto lo avrebbero reso ricco. Nel 1935 rientrò in Europa e

DALÍ LA VITA
incontrò per l’ultima volta García Lorca; di lì a poco il poeta sareb-
be stato fucilato dai fascisti di Franco. Dalí avrebbe sempre negato
la natura politica di quell’esecuzione, la guerra civile spagnola per
lui fu sostanzialmente uno scontro fratricida e purificatorio: «I rossi,
i semi-rossi, i rosa e persino i malva pallidi, trassero profitto, a colpo
sicuro, da una vergognosa e demagogica propaganda sulla morte di
Lorca, esercitando un ignobile ricatto. Provarono e provano ancora
oggi a fare di lui un eroe politico. Ma io che sono stato il suo mi-
gliore amico, posso testimoniare davanti a Dio e davanti alla Storia
che Lorca, poeta puro al cento per cento, era consustanzialmente
l’essere più apolitico che abbia mai conosciuto».
Il mantenersi fieramente apolitico era più di un semplice atteg-
giamento: Dalí era persuaso che le bandiere e le ideologie fossero
mode transitorie assunte dall’umanità per dare espressione a desi-
deri primordiali, che nulla avevano di politico nella loro essenza. In

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Premonizione della guerra civile (1936) è impossibile cogliere una La riduzione in caricatura
differenza tra le parti in conflitto. C’è spazio solamente per una cre- del ruolo dell’artista,
atura mostruosa che si autodistrugge in vista di una purificazione, la parificazione di destra
ciclica e rituale. e sinistra, il continuo
e rutilante elogio della
1940-1989: Avida Dollars democrazia americana
Le dichiarazioni di apoliticità avrebbero poi rivelato la loro radi- e della tradizione
ce, esplicitandosi in un appoggio formale e sostanziale alla monar- monarchica europea
chia, al franchismo e al Vaticano. Le scelte di Dalí lo condurranno a piacevano al grande
un isolamento intellettuale inversamente proporzionale al suo suc- pubblico, soprattutto
cesso nella cultura di massa. La riduzione in caricatura del ruolo a quello statunitense,
dell’artista, la parificazione di destra e sinistra, il continuo e rutilan- prontissimo ad accogliere
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te elogio della democrazia americana e della tradizione monarchica l’innocuo prodotto

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europea piacevano al grande pubblico, soprattutto a quello statu- “avanguardia”. In quel
nitense, prontissimo ad accogliere l’innocuo prodotto “avanguar- momento Breton coniò
dia”. In quel momento Breton coniò per lui il soprannome “Avida per lui il soprannome
Dollars”, anagramma di Salvador Dalí. Il catalano era diventato una “Avida Dollars”,
macchina per fare soldi, ideava loghi per lecca-lecca, curava vetrine, anagramma di Salvador
disegnava abiti e progettava film. Dalí. Il catalano era
Tra il 1940 e il 1948 Dalí visse negli Stati Uniti: nel 1941 espose diventato una macchina
al Metropolitan di New York insieme a Miró e nel 1942 pubblicò per fare soldi, ideava loghi
La mia vita segreta, che Time definì «uno dei più irresistibili libri per lecca lecca, curava
dell’anno». Neppure l’impegno bellico degli Stati Uniti arrestò l’in- vetrine, disegnava abiti
tensa attività daliniana, che spaziò da una mostra nella galleria di e progettava film.
Peggy Guggenheim a disegni pubblicitari ideati per Vogue; l’artista
realizzò inoltre costumi e scenografie per balletti e fondali teatrali
Alla pagina precedente:
per l’opera wagneriana Tristano e Isotta. Madonna di Port Lligat
1949 (olio su tela)
Nel 1945 la distruzione di Hiroshima colpì profondamente Dalí Marquette University
Haggerty Museum of Art
e segnò l’avvio del cosiddetto “periodo atomico” o “nucleare”. Nel Milwaukee

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«Da sempre, ci si affanna 1948 lui e Gala rientrarono in Europa e si stabilirono a Port Lligat.
per cogliere la forma e Da quel momento la produzione pittorica del catalano si caratteriz-
ridurla a elementari zò come un baluardo contro ogni forma di avanguardia, di astrazio-
volumi geometrici. ne e di ibridazione con influenze extraeuropee. Dalí si proclamò al-
Leonardo tendeva a fiere della classicità, del Rinascimento e del misticismo spagnolo: «Il
realizzare delle uova recupero dell’arte africana, lappone, bretone, lettone, maiorchina o
che, secondo Euclide, cretese, è soltanto una forma di cretinismo moderno! Non sono che
dovevano essere la cineserie, e Dio sa quanto poco io ami l’arte cinese!».
forma più perfetta. La sua conversione e il suo appoggio al regime di Franco erano
Ingres preferiva le sfere ben visti in Vaticano; nel 1949 Dalí fu ricevuto da Pio XII, cui
e Cézanne i cubi e i presentò la Madonna di Port Lligat (1949). Al di là delle apparenze,
cilindri. Ma soltanto Dalí, papa Pacelli non dovette però approvare che una donna divorziata
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attraverso le giravolte fosse stata scelta come modella per la Vergine.
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della sua ipocrisia La rottura con quel che resta del surrealismo è ormai consuma-
spinta al parossismo ta e ufficializzata da Breton nella prefazione alla seconda edizione
che lo aveva indotto a dell’Antologia dello humour nero (1950): «Non occorre precisare che
lasciarsi ossessionare questa nota si riferisce esclusivamente al primo Dalí, scomparso ver-
esclusivamente so il 1935 per far posto alla personalità meglio conosciuta come
dai rinoceronti, ha Avida Dollars, ritrattista mondano da qualche tempo reintegrato
trovato la verità». alla fede cattolica e all’“ideale artistico del Rinascimento”, che oggi
fa sfoggio degli incoraggiamenti e dei rallegramenti del papa».
Intanto Dalí continuava a mietere successi di mercato, di pub-
blico e mondani. Celebre la partecipazione al ballo veneziano or-
ganizzato da Carlos de Beistegui, dove lui e Gala si presentarono
vestiti da giganti alti sei metri con abiti realizzati da Christian Dior;
altrettanto famosa fu la scenografia di una festa con duemila invitati
commissionatagli da George de Cuevas nel 1953. L’anno successivo
si tenne la sua prima personale italiana. La mostra fu presentata
a Roma e ottenne un notevole successo di pubblico, grazie anche

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all’accorta campagna pubblicitaria. In una performance concepita
per i giornalisti, Dalí moriva e rinasceva in un cubo metafisico per
fornire un esempio concreto di “fenicologia”, l’arte propria della
fenice che, come la classicità, è destinata all’eternità.
Per raggiungere la classicità, l’arte doveva porsi al di sopra delle
mode ed essere rifondata sulla base di forme a priori, solidi geome-
trici elementari. Il 5 luglio 1952, mentre dipingeva il corpo del Cri-
sto crocifisso, il pittore fu colpito da un’intuizione che annotò nel
suo diario: «Da sempre, ci si affanna per cogliere la forma e ridurla
a elementari volumi geometrici. Leonardo tendeva a realizzare delle
uova che, secondo Euclide, dovevano essere la forma più perfetta.
Ingres preferiva le sfere e Cézanne i cubi e i cilindri. Ma soltanto
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Dalí, attraverso le giravolte della sua ipocrisia spinta al parossismo

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che lo aveva indotto a lasciarsi ossessionare esclusivamente dai rino-
ceronti, ha trovato la verità».
A partire da allora, pose il corno di rinoceronte al servizio del meto-
do paranoico-critico e adottò quella forma biomorfica come elemento
costruttivo dei suoi lavori. Giovane vergine autosodomizzata dalle corna
della sua stessa castità (1954) riprende il giovanile Figura a una finestra
(1925) e salda i conti con Ana María. Dopo una breve riconciliazione
con la famiglia, Salvador aveva definitivamente interrotto i rapporti
con la sorella, colpevole di non aver mai accettato Gala.
Intanto proseguiva la polemica con chi accusava Dalí di esse-
re divenuto un pittore accademico. Ma secondo l’artista catalano
il vero accademismo risiedeva nell’adorazione acritica della novità
o nella smania dell’avanguardia. Contro l’abuso di droga e alcol,
esaltava la visione mistica, al mito della rivoluzione opponeva la
forza della tradizione e così scriveva: «A me l’estasi! L’estasi di Dio
e dell’uomo. Me la perfezione, la bellezza, che possa guardare negli

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Alla pagina successiva: occhi. Morte all’accademismo, alle formule burocratiche dell’arte,
Giovane vergine
autosodomizzata al plagio decorativo, alle aberrazioni demenziali dell’arte africana.
dalla sua stessa castità
1954 (olio su tela) A me Santa Teresa d’Avila!».
Collezione privata
Dalí si era persuaso che la pretesa decadenza dell’arte moderna
derivasse dalla mancanza di fede. Per rendere onore al suo nome e
salvare la pittura, si propose di attraversare il misticismo spagno-
lo e rivelare l’essenza spirituale dell’arte. Ricchissimo, contestato e
sempre al centro della scena pubblica, si presentò nel 1955 a una
conferenza alla Sorbona con una Rolls-Royce colma di cavolfiori.
Nell’università parigina illustrò le relazioni tra il corno di rinoce-
ronte, Johannes Vermeer, il metodo paranoico-critico e la logica che
lega i cavolfiori, le nuvole e l’intero universo.
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L’artista era ormai una star: esponeva a New York, Parigi e Tokyo,
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e i maggiori musei d’arte moderna si contendevano le sue opere.


Nel flusso di informazioni che quotidianamente e per anni lo man-
tennero al centro dell’attenzione mediatica, si alternavano battute
brillanti, aforismi e note amarissime, per mezzo delle quali l’artista
tentava di tenere aperto un canale di comunicazione con il mondo
dell’avanguardia, un ambiente da cui proveniva e che guardava con
disprezzo all’universo dei media: «Reputo la televisione, il cinema,
la stampa e il giornalismo grandi mezzi moderni di avvilimento e
rimbecillimento delle masse. È per questo che, aristocraticamente,
adoro servirmene. Più imbecilli corrono dietro a Dalí, più sale il
prezzo dei miei quadri».
Concetti che avrebbe ribadito in modo ancora più crudo in seguito:

Sì, il divino Dalí è il porco che, con il muso, sbava e grugnisce di soddisfa-
zione, gastronomo inconfessabile, dalinise in catalano, che in francese vuol dire
possédé par le désir (“posseduto dal desiderio”), e che s’apre, breccia vischiosa e

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iperingorda, in mezzo al mucchio di spazzatura ammoniacale e tremenda della
nostra epoca, al fine d’avanzare lungo questo corridoio di budelli e di imbecillità
che sono la stampa, la radio, la Tv, i daliniani, gli antidaliniani, le daliniane, le
antidaliniane, più o meno canditi di ortolani cibernetici.

Preso nella sua totalizzante metafora culinaria, Dalí poteva tol-


lerare di essere associato a un porco, mentre rifiutava per sé il ruolo
del pagliaccio: «Non sono io il pagliaccio, ma lo è questa società
mostruosamente cinica e così ingenuamente incosciente che gioca a
fingere di essere seria per meglio nascondere la propria follia».
In fondo non rinunciò mai a coltivare un’idea di sé come di un
rivoluzionario e, tentando di mantenere una sua delirante coerenza,
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decise di rivolgersi agli studenti della Sorbona in rivolta nel maggio
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del 1968, facendo distribuire un suo scritto intitolato Ma révolution


culturelle. Il testo si apriva così: «Io, Salvador Dalí, cattolico, apo-
stolico e romano, apolitico per eccellenza e spiritualmente monar-
chico, constato con modestia e giubilo che tutte le offensive della
gioventù creativa vanno in un’unica direzione: l’opposizione alla
cultura borghese».
L’artista si considerava un aristocratico e poneva la sua esistenza e
quella di Gala al di là delle regole borghesi. La coppia aveva assunto
un tenore di vita fastoso, inoltre si serviva di un’agenzia di modelle
che le procurava personaggi sempre nuovi e disponibili a ogni sorta
di richieste. I due coniugi si contendevano i ragazzi più belli. Fiero
della sua corte dei miracoli, il catalano era infine giunto a ricono-
scere il suo interesse per gli uomini, purché androgini e imberbi.
Risale a questo periodo una sua affermazione nella quale è difficile
discernere tra ironia, amarezza e disprezzo: «Mi piace moltissimo
circondarmi di imbecilli mosci, con grosse teste idrocefale, vestiti di

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merletto, con la bocca che sembra non potersi chiudere, e dunque Preso nella sua
bavosi, perché questo genere di imbecilli è di gran lunga superiore totalizzante metafora
alla società di consumo e ai suoi adepti. Di tanto in tanto riescono a culinaria, Dalí poteva
dire cose sublimi, le loro teste hanno molto più liquido di quelle dei tollerare di essere
comuni mortali e, dunque, sono più correlate al cosmo». associato a un porco,
Per mantenere quello stile di vita da signore rinascimentale erano mentre rifiutava per sé
diventati insufficienti i pur notevoli profitti che derivavano dalla il ruolo del pagliaccio:
vendita di quadri, che Dalí rifiniva dopo una sostanziale prepara- «Non sono io il pagliaccio,
zione di Isidoro Bea. L’artista allora alimentò un remunerativo mer- ma lo è questa società
cato dei falsi, che avrebbe avuto importanti strascichi giudiziari: nel mostruosamente cinica
1974 furono infatti scoperti quarantamila fogli in bianco con la e così ingenuamente
sua firma. Lo scandalo conseguente, tuttavia, non lo abbatté e in incosciente che gioca
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settembre inaugurò il Teatre-Museu Dalí. a fingere di essere seria

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La ristrutturazione del teatro di Figueres e del castello di Púbol, per meglio nascondere
principesca residenza donata a Gala, avrebbero impegnato Salvador la propria follia».
per l’intero decennio e ancora negli anni Ottanta quando acquistò,
e collegò al teatro-museo, la torre Gorgot di Figueres, che venne
ribattezzata “Torre Gala”.
Nel 1982 morì l’adorata moglie, e venne sepolta in una cripta
nel castello di Púbol. Dalí cadde in una profonda crisi depressiva e
a poco valse l’essere insignito della Gran Croce dell’Ordine di Carlo
III o l’essere nominato marchese di Púbol dal sovrano spagnolo.
Gli ultimi anni furono terribili: rifiutava di incontrare chiun-
que e aveva frequenti crisi psicotiche. Nel 1984 rimase gravemen-
te ustionato nell’incendio della sua camera da letto nel castello di
Púbol e si trasferì nella Torre Gala, dove morì il 23 gennaio 1989.
Le sue ultime volontà furono di lasciare l’insieme dei suoi beni allo
Stato spagnolo e di essere seppellito nella cripta del Teatre-Museu di
Figueres, lo spazio dove si era tenuta la sua prima mostra.

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TRA AUTENTICITÀ
E IMITAZIONE DI SÉ
di Antonio Rocca

L’arte è una macchina da guerra al servizio del desiderio


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nella sua lotta contro la supremazia del principio di realtà.

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Salvador Dalí

D
alí dipinse i suoi primi quadri che non aveva neppure dieci Alle pagine 106-107:
La vecchiaia
anni: si tratta di piccoli oli su cartone con paesaggi dell’Am- di Guglielmo Tell
1931 (olio su tela)
purdán. Veduta nei dintorni di Figueres (1912 circa) e Vilaber- Collezione privata

tran (1913) già annunciano quella che sarà la grande passione Alla pagina precedente:
Ritratto di mio padre
dell’artista per la sua terra, un paesaggio dal quale mai avrebbe po- 1925 (olio su tela)
Museu Nacional d’Art
tuto allontanarsi definitivamente. de Catalunya
Barcellona
Ritratto del padre (1920) e Autoritratto con collo di Raffaello (1920)
segnano le tappe attraverso le quali Salvador consumò la sua espe-
rienza impressionista; Autoritratto cubista (1923) e Natura morta
(1924-1925) sono invece traccia di una breve stagione cubista. Dalí
divorava i linguaggi e se ne impossessava nel processo di elaborazione
del proprio stile. Il primo capolavoro arrivò nel 1925: Figura a una
finestra è un ritratto della sorella Ana María vista di spalle, mentre
osserva la baia di Cadaqués. La giovane ha quattro anni meno di

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Gala si prese cura di Dalí, Salvador, la medesima differen-
lo guidò nei meandri za d’età che aveva separato Egon
del milieu artistico Schiele dalla sorella Gerti, ed
e mondano parigino, esattamente come Schiele an-
ma la relazione con che il catalano definì un model-
una donna sposata ed lo estetico fondato sull’aspetto
estremamente libera era della consanguinea. Nel 1926,
inaccettabile per l’austero con Giovane donna dell’Ampur-
notaio don Salvador, dán, Dalí riprese ed esasperò il
che pose il figlio di canone fisico che l’avrebbe affa-
fronte a un bivio: doveva scinato per tutta la vita: schiena
scegliere tra lei e la maschile e bacino prominente.
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famiglia. Cacciato di casa Fu Il miele è più dolce del san-
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e diseredato, il giovane gue (1926) ad aprire il dialogo


operò una rilettura della con il mondo surrealista. La tela
propria storia, dei è caratterizzata da un ricordo de-
traumi e dei desideri. gli ambienti dechirichiani: sulla
spiaggia fa la sua comparsa un
asino putrefatto, uno degli ele-
menti che diventeranno ricorrenti nel linguaggio daliniano. Dalí è
entrato nella cerchia dei surrealisti, e con Un chien andalou si appre-
sta a divenirne parte. Ne Il gioco lugubre (1929) appaiono elementi
destinati a destare scandalo e altri ricorrenti, che faciliteranno la sua
riconoscibilità e quindi il suo successo. Nell’aria volteggiano volti
parziali, ci sono richiami alla masturbazione e compiacimenti sca-
tologici. Il dipinto, dispositivo perfetto per attirare l’attenzione dei
surrealisti, non può fallire.
Il volto del grande masturbatore (1929), con la sua dialettica di
forme dure e molli, tratta i temi dell’impotenza e dell’inadeguatez-

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za, che nella tela si accompagnano a un’enorme cavalletta, emblema
delle fobie dell’artista. Appaiono anche uova, formiche e forcelle,
elementi consueti del suo lavoro.
In L’enigma del desiderio (Mia madre, mia madre, mia madre)
(1929) protagonista della composizione è la morfologia delle rocce
di Cadaqués, materiale che in seguito all’erosione delle forze natu-
rali ha acquisito forme suggestive ed enigmatiche.
Il 1929 è anche l’anno dell’incontro con Gala Éluard, evento
decisivo per la vita e la carriera dell’artista. Gala si prese cura di
Dalí, lo guidò nei meandri del milieu artistico e mondano pari-
gino, ma la relazione con una donna sposata ed estremamente
libera era inaccettabile per l’austero notaio don Salvador, che pose
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il figlio di fronte a un bivio: doveva scegliere tra lei e la famiglia.

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Cacciato di casa e diseredato, il giovane operò una rilettura della
propria storia, dei traumi e dei desideri. Elesse Guglielmo Tell a fi-
gura paterna che gioca con la vita del figlio, e dipinse La vecchiaia
di Guglielmo Tell (1931).
Nell’immaginario daliniano l’associazione tra la mela e la testa
del bambino rivela una sorta di complesso di Saturno. Quel dio
è l’idealtipo del padre cannibale, un modello che Dalí ritrovò nel
biblico Abramo, pronto a sacrificare il figlio come fosse un ariete, e
poi in Guglielmo Tell. Don Salvador si prestava allora a incarnare
una variazione sul tema mitico: come Giove, Dalí doveva sconfigge-
re il genitore e dare nuova vita al fratello primogenito.
Il dipinto si pone in un clima di risonanze con le ricerche del
formalista russo Vladimir Propp, che aveva da poco pubblicato
Morfologia della fiaba (1928). Siamo nel momento della narrazio-
ne che precede la catastrofe: l’eroe ha infranto il divieto oppostogli
dal nemico ed è condannato all’esilio. La vicenda ha raggiunto il

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massimo della tensione drammatica, presto si assisterà alla svolta Ne La vecchiaia
finale: grazie all’aiuto del nuovo alleato, l’eroe prenderà consapevo- di Guglielmo Tell la spada
lezza dei propri poteri. dell’angelo è sostituita
Dalí si era tolto la mela dalla testa e l’aveva mangiata insieme a dal forcone dell’uomo,
Gala, entrambi dovevano quindi essere cacciati dall’Ampurdán-Ed- una monumentale
en. Assunsero così su di sé le sembianze di Adamo ed Eva ne La cac- forchetta complementare
ciata dal Paradiso terrestre di Masaccio. Nell’affresco fiorentino è un alla spada-coltello-fallo
angelo che allontana i progenitori, ed è forse anche per questa strada del padre. Il dipinto
che, di associazione in associazione, Dalí sarà condotto a ragionare è uno dei primi successi
su L’Angelus di Jean-François Millet. commerciali dell’artista
Ne La vecchiaia di Guglielmo Tell la spada dell’angelo è sostituita che, con i proventi
dal forcone dell’uomo, una monumentale forchetta complementare della vendita, acquistò
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alla spada-coltello-fallo del padre. Il dipinto è uno dei primi successi una piccola casa a

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commerciali dell’artista che, con i proventi della vendita, acquistò Port Lligat. Si trattava
una piccola casa a Port Lligat. Si trattava di una doppia vittoria: di una doppia vittoria:
Salvador aveva affrontato e utilizzato il veto paterno per insediarsi Salvador aveva affrontato
nella terra dalla quale il genitore avrebbe voluto cacciarlo. e utilizzato il veto paterno
Dalí era ormai un pittore affermato, e nello stesso 1931 realizzò per insediarsi nella terra
il suo lavoro più noto: La persistenza della memoria. Il paesaggio è dalla quale il genitore
quello consueto dell’Ampurdán, desolato e deserto. Sulla sinistra avrebbe voluto cacciarlo.
c’è un olivo secco e al centro della composizione una forma miste-
riosa che si rivela essere un volto, forse il volto del pittore stesso.
Fanno la loro comparsa i celebri orologi molli. L’aver incrociato
l’idea del molle con quella della linearità razionale del tempo co-
stituisce una delle invenzioni più riuscite del catalano. Agli orolo-
gi Dalí diede la consistenza del Camembert, nel contesto di una Alla pagina precedente:
La scoperta dell’America
universale metafora culinaria dominata dalla dialettica molle-duro. di Cristoforo Colombo
1958 (olio su tela)
All’orologio-Camembert s’approssima la fallica baguette, che l’ar- The Dalí Museum
St. Petersburg
tista vorrebbe realizzare in scala monumentale e che appare sovente Florida

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«Nel giugno del 1932 si sorretta da forcelle. La matrice sessuale dei simboli è scoperta e
presenta d’improvviso compiaciuta; Dalí offrì al mercato una versione iconica e accatti-
al mio spirito, senza che vante del pensiero freudiano. Un’altra trovata che ebbe molto suc-
alcun ricordo recente né cesso è quella dei cassetti, inseriti un po’ ovunque: nel Minotauro,
associazione cosciente nella Venere di Milo o in manichini disposti vicino a giraffe fiam-
possa darne alcuna meggianti. Il rimando ai cassetti dell’inconscio è talmente diretto
spiegazione, l’immagine da non accedere alla dimensione del simbolo, attestandosi invece
dell’Angelus di Millet. Tale sul piano della mera segnaletica.
immagine costituisce Con un aforisma divenuto celebre, Dalí chiarì che l’unica diffe-
una rappresentazione renza tra lui e un pazzo consisteva nel fatto che lui non era pazzo;
nettissima e a colori. È e in effetti, parafrasando William Shakespeare, nella sua follia c’era
pressoché istantanea del metodo.
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e non dà seguito ad
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altre immagini. Ne L’interpretazione paranoico-critica de L’Angelus di Millet


sono grandemente Il primo testo sul metodo critico-paranoico, L’âne pourri, fu
impressionato, pubblicato dalla rivista Le Surréalisme au service de la Révolution
grandemente turbato, nel 1930. Dalí si era interessato alla paranoia per la logica rigorosa
poiché, nonostante dimostrata da quel tipo di patologia, un delirio sistematizzante in
che nella mia visione grado di mettere in discussione il concetto stesso di realtà. Cos’altro
di tale immagine volevano i surrealisti se non raggiungere, o costruire loro stessi, un
tutto “corrisponda” livello di realtà più elevato rispetto a quella follia dei mediocri che
esattamente alle normalmente è definita realtà? A cos’altro serviva il sogno se non a
riproduzioni del quadro mostrare che ciascun essere umano ha accesso all’esperienza di una
da me conosciute, essa realtà altra da quella meramente razionale?
“mi appare” nondimeno «Tutto porta a credere», sentenziò Dalí, «che la realtà, in un
assolutamente prossimo futuro, sarà considerata unicamente come un semplice
modificata». stato di depressione e di inattività del pensiero». Il catalano rifor-
mulava e riproponeva in pittura quanto il surrealismo aveva defini-
to nel periodo compreso tra il primo Manifesto (1924) e la svolta fi-

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locomunista del 1927. A quel programma sarebbe rimasto sempre
fedele, sentendo in particolare l’influenza di testi come Lo spirito
contro la ragione (1926) di Réne Crevel, pubblicato l’anno della sua
prima visita a Parigi.
L’indagine sulla paranoia fu condotta dall’artista nello stesso pe-
riodo, o più probabilmente in anticipo, con Jacques Lacan. Patrice
Schmitt ha individuato i punti in comune tra L’âne pourri e la tesi
di dottorato di Lacan, Della psicosi paranoica nei suoi rapporti con
la personalità (1932). Entrambi gli autori tengono a precisare che il
modello di lettura proposto dal paranoico non è allucinatorio ed è
contemporaneo all’atto interpretativo, o meglio è l’interpretazione
che genera realtà, in una modalità che l’approssima al sogno.
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Ne Il mito tragico dell’“Angelus” di Millet, pubblicato nel 1963 ma

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redatto nel 1940, il pittore ha descritto la genesi della sua visione a
partire da quello che definì «il fenomeno delirante iniziale»:

Nel giugno del 1932 si presenta d’improvviso al mio spirito, senza che alcun
ricordo recente né associazione cosciente possa darne alcuna spiegazione, l’im-
magine dell’Angelus di Millet. Tale immagine costituisce una rappresentazione
nettissima e a colori. È pressoché istantanea e non dà seguito ad altre immagini.
Ne sono grandemente impressionato, grandemente turbato, poiché, nonostan-
te che nella mia visione di tale immagine tutto “corrisponda” esattamente alle
riproduzioni del quadro da me conosciute, essa “mi appare” nondimeno asso-
lutamente modificata e carica di una tale intenzionalità latente che l’Angelus di
Millet diventa “d’improvviso” per me l’opera più inquietante, più enigmatica,
più densa, più ricca di pensieri inconsci che sia mai esistita.

A questo primo fenomeno seguì la visione di due enigmatiche


rocce di Cadaqués e di una mantide religiosa che, mimeticamente,

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A fianco:
Bambino geopolitico
che osserva la nascita
dell’uomo nuovo
1943 (olio su tela)
The Dalí Museum
St. Petersburg
Florida

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Amore e morte, violenza si nascondeva in un prato. L’insieme di questi fenomeni condusse
e rinascita, preghiera e Dalí a intuire: «Il dramma insospettabile, nascosto sotto le apparen-
cannibalismo, dopo Dalí ze più ipocrite di questo mondo, nel simulacro ossessivo, enigmati-
sono entrati per sempre co e minaccioso della cosiddetta preghiera vespertina, crepuscolare
a far parte del dipinto e desertica che si richiama ancora ufficialmente a questo nome im-
di Millet, tanto che il preciso e occultatore: l’Angelus di Millet».
pittore potrà concludere Ci sono nell’interpretazione di Dalí il terrore e il desiderio nei
il suo saggio affermando: confronti del femminile. Il maschio che sta per essere divorato
«L’Angelus di Millet, bello pregusta la propria fine imminente e, con il cappello, tenta gof-
come l’incontro su un famente di celare l’erezione. L’uomo è regredito allo stadio del
tavolo anatomico di una bambino che si vergogna per il desiderio incestuoso, desiderio che
macchina da cucire con sarà gratificato con una punizione destinata a ricondurre il ma-
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un ombrello!». schio all’interno della quiete intrauterina, della terra fecondata dal
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cadavere. Ricollegandosi alla celebre immagine di Lautréamont,


eletta a paradigma del metodo surrealista, Dalí costruì un paralle-
lismo tra la terra arata e il tavolo operatorio, e tra il maschio-fal-
lo-ombrello e la donna-mantide-macchina da cucire. Con la logi-
ca macchinica di una serie di colpi d’ago-coltello-denti la donna,
al crepuscolo, svuota il cadavere del maschio figlio-compagno. Il
cadavere-letame è dolce come il miele e il miele, come recitava il
titolo di una tela del 1926, è più dolce del sangue.
Dalí descrisse il dramma nell’istante compreso tra la sepoltura
del figlio e la morte del padre. L’uomo ha ucciso il figlio, ma il vero
motore dell’azione è la donna-mantide religiosa, che dissimula nella
preghiera la preparazione dell’attacco. L’atto sessuale è compiuto, il
figlio è stato riconsegnato alla mater-materia e ora il maschio sta per
essere decapitato e divorato.
L’interpretazione paranoica non ha la pretesa di svelare alcuna
verità univoca, tuttavia si deve prendere atto del fatto che indagini

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diagnostiche hanno dimostrato che, tra i due personaggi, Millet
aveva effettivamente dipinto una piccola sepoltura che sarebbe
stata ricoperta in un secondo momento. Da tale rimozione del-
la morte deriverebbe il clima enigmatico e cupo che pervade la
composizione. Anche prescindendo da questa scoperta, si deve
riconoscere che, se non rivela significati occulti, l’indagine da-
liniana ha dischiuso vie d’accesso all’opera che ora appare più
ricca, disposta nel cuore di un labirinto ermeneutico popolato di
elementi resi misteriosi, come la carriola trasformata in un sim-
bolo sessuale, in una culla e in una bara. Amore e morte, violenza
e rinascita, preghiera e cannibalismo, dopo Dalí sono entrati per
sempre a far parte del dipinto di Millet, tanto che il pittore potrà 119

concludere il suo saggio affermando: «L’Angelus di Millet, bello

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come l’incontro su un tavolo anatomico di una macchina da cu-
cire con un ombrello!».

Il trionfo
Nel 1933 Dalí tornò sul confronto con la figura paterna con
L’enigma di Guglielmo Tell; l’eroe svizzero questa volta ha assunto
le fattezze di Lenin. Il leader bolscevico è rappresentato con enor-
mi natiche che devono essere sostenute da una forcella. Quella
caricatura, unita alle affermazioni sul fascino irresistibile di Hit-
ler, causò l’espulsione dell’artista catalano dal gruppo surrealista,
allontanamento che tuttavia non interruppe bruscamente il dia-
logo con i protagonisti dell’avanguardia parigina e con Lacan. In
particolare il dialogo con lo psichiatra proseguì almeno sino al
1937 quando, con Metamorfosi di Narciso, il pittore sembrò rie-
cheggiare il saggio Lo stadio dello specchio (1936). In Metamorfosi
di Narciso l’immagine doppia esalta la consustanzialità del delirio

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e dell’atto interpretativo. L’immagine anamorfica non era certa- L’immagine anamorfica
mente una novità, basti pensare ad Arcimboldo: il merito di Dalí non era certamente
fu di aver emancipato quel tipo di figurazione dal piano della di- una novità, basti
vertente curiosità, fino a insinuare il sospetto che quella seconda pensare ad Arcimboldo:
visione, suggerita dall’intuizione paranoica, potesse aprire a una il merito di Dalí
realtà dotata di altrettanta coerenza di quella convenzionale. fu di aver emancipato
Dal punto di vista surrealista, l’importanza del metodo paranoi- quel tipo di figurazione
co-critico consisteva proprio nella possibilità di far tremare dalle dal piano della divertente
fondamenta il pregiudizio dell’esistenza di un’unica realtà. Il mo- curiosità, fino a insinuare
vimento era erede del convenzionalismo di Henri Poincaré, e si il sospetto che quella
poneva al centro di un percorso che sarebbe sfociato nell’epistemo- seconda visione,
logia anarchica o dadaista di Paul Feyerabend. Muovendo dalla rot- suggerita dall’intuizione
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tura epistemica generata dalle geometrie non euclidee, Dada aveva paranoica, potesse aprire

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chiamato in causa il primato della razionalità, mentre il surreali- a una realtà dotata
smo si era lasciato ispirare dalla psicoanalisi per dare vita a un siste- di altrettanta coerenza
ma di vasi comunicanti che ignorava i confini tra immaginazione di quella convenzionale.
e realtà. Alla soglia degli anni Trenta, si apriva un nuovo orizzonte,
in cui i teoremi di incompletezza di Kurt Gödel dimostravano che
neppure la matematica poteva essere definita un sistema coerente
e completo. Se ne deduceva che a ciascun sistema coerente doveva
essere riconosciuta pari dignità.
Dalí non conosceva Gödel ma, di fatto, questo era l’orizzonte
epistemico all’interno del quale si tesseva un dibattito che tra-
valicava i confini tra le differenti discipline. L’artista si interrogò
sulla paranoia in perfetta contemporaneità con Lacan ed entran- Alla pagina precedente:
Mia moglie, nuda,
do in corrispondenza con le questioni sollevate da Gödel. Volen- guarda il suo corpo
diventare gradini,
te o nolente, si collocò sul fronte epistemico nel quale si giocava tre vertebre
di una colonna,
la battaglia di fondo tra avanguardia e movimento operaio. Le- cielo e architettura
1945 (olio su tavola)
nin aveva schierato il comunismo contro il relativismo in scienza Collezione privata

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Nei dipinti che e a favore della teoria dello specchio, ipotesi secondo la quale la
uscirono copiosi dal suo struttura ontologica del mondo corrisponde alla struttura gno-
studio, o nei falsi che seologica dell’uomo. In Materialismo ed empiriocriticismo (1909)
inondarono il mercato, aveva eretto una barriera per arginare il potenziale anarchico del
c’è una superfetazione convenzionalismo, ma l’elevazione del materialismo dialettico
di formiche, aragoste, al rango di scienza esatta era destinata a confliggere con una
pani o forcelle. La ricerca che affondava le sue origini nell’onirismo di Gérard de
riconoscibilità era Nerval, nelle visioni simboliste e nello scetticismo radicale di
assicurata e i milionari Alfred Jarry. Le visioni miroirique (“speculareggianti”) generate
si misero in fila per farsi dal metodo paranoico-critico erano l’antidoto alla teoria dello
ritrarre o per aggiudicarsi specchio. Durante gli anni Trenta, Dalí si mosse nello spazio
opere che il maestro aperto dalle contraddizioni insanabili che minavano l’alleanza
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aveva, il più delle volte, tra il movimento comunista e il surrealismo. L’espulsione dal
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solamente rifinito. Partito Comunista Francese dei bretoniani, l’assassinio di Lev


Trockij e il trionfo dello stalinismo avrebbero poi chiuso l’alle-
anza tra surrealisti e comunisti, rendendo inutile il ruolo di Dalí,
che da quel momento diventò Avida Dollars. A partire dagli anni
Quaranta avremo ancora dipinti riusciti, validi da un punto di
vista squisitamente estetico, ma una volta sganciato dal surreali-
smo l’artista catalano finì distante da quella faglia nella quale si
produce la logosfera.
Tra i più noti lavori del periodo bellico occorre ricordare alme-
no: Bambino geopolitico osserva la nascita dell’uomo nuovo (1943) e
Mia moglie, nuda, guarda il suo corpo diventare gradini, tre vertebre
di una colonna, cielo e architettura (1945). In queste tele, e in tutte
quelle che verranno, la costruzione razionale ha preso nettamente il
sopravvento sul delirio. Il pittore fa il verso a se stesso, e le citazioni
rinascimentali o le rivisitazioni dell’iconografia cristiana non riesco-
no a conferire originalità al suo lavoro.

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Nei dipinti che uscirono copiosi dal suo studio, o nei falsi che
inondarono il mercato, c’è una superfetazione di formiche, arago-
ste, pani o forcelle. La riconoscibilità era assicurata e i milionari si
misero in fila per farsi ritrarre o per aggiudicarsi opere che il maestro
aveva, il più delle volte, solamente rifinito. Ci si allontana così dalla
storia dell’arte per entrare nel più vasto campo della storia della cul-
tura e del costume, all’interno della quale il catalano ha lasciato un
segno importante, definendo il tipo del divo eccentrico.
Caratteristiche del cosiddetto “periodo atomico” sono Leda
atomica (1947-1949) e la Madonna di Port Lligat (1949). Un’altra
opera notevole è Cristo di san Giovanni della croce (1951), con il
crocifisso che domina la baia di Cadaqués, in una composizione
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nella quale è possibile individuare un riferimento a Diego Velázq-

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uez e a Louis Le Nain.
Nel 1958 con La scoperta dell’America di Cristoforo Colombo Dalí
ottenne un nuovo, clamoroso successo di pubblico. Sostiene la pro-
duzione degli anni Sessanta e Settanta l’intensità del legame con
Gala, una relazione che sostanzia Dalí di spalle dipinge Gala di spalle
eternizzata da sei cornee virtuali provvisoriamente riflesse da sei specchi
(1972-1973). A settantatré anni l’artista realizzò ancora una tela po-
etica e visionaria: Dalí solleva la pelle del Mediterraneo per mostrare a
Gala la nascita di Venere (1977).
Di questa fase della sua vita, però, più che i dipinti, le opera-
zioni maggiormente significative sono il Teatre-Museu di Figueres
e l’essere riuscito a condurre, con ossessiva coerenza, la sua stessa
vita come un’opera d’arte. In fondo, al di là dello straordinario e
intenso incontro con il surrealismo, il contributo di Dalí è stata la
realizzazione del mito dell’artista dandy, un obiettivo che Salvador
ha perseguito dall’adolescenza fino al termine dei suoi giorni.

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Gli autori

Vittorino Andreoli, psichiatra di fama internazionale, è stato direttore del Dipartimen-


to di Psichiatria di Verona-Soave ed è membro della New York Academy of Sciences.
Già dalla fine degli anni Cinquanta si è interessato al rapporto tra arte e disagio mentale,
occupandosi dell’atelier di pittura del manicomio di San Giacomo della Tomba. È stato
cofondatore della Société internationale de Psychopathologie de l’Expression e presiden-
te per dieci anni della Session on Psychopathology of Expression della World Psychiatric
Association. I suoi studi, in questo ambito, sono di fondamentale importanza.

Alice Chirico è Ricercatore presso la Facoltà di lettere e filosofia dell’Università Catto-


lica del Sacro Cuore di Milano, Docente di Psicotecnologie per il benessere, condiret-
tore dell’Experience Lab e Advanced research all’Istituto Auxologico Italiano. Autrice di
un centinaio di pubblicazioni internazionali su esperienze complesse progettate tramite
realtà virtuale e forme artistiche immersive, crede nel potenziale salutogenico delle tec-
nologie coniugate con formati artistici. La sua ricerca si sta orientando verso i disturbi
depressivi e la psicologia dell’esperienza estetica, arte inclusa.

Antonio Rocca, nato a Roma nel 1971, è uno storico dell’arte appassionato di patafisica
e del Sacro Bosco di Bomarzo, cui ha dedicato il volume Bomarzo. Guida al Sacro Bosco
(Gangemi, 2018). È docente di storia dell’arte contemporanea presso l’Accademia di
Belle Arti di Viterbo e collabora con il quotidiano la Repubblica scrivendo prevalente-
mente di iconologia. Ha partecipato a numerosi programmi di divulgazione artistica per
Rai, per Mediaset e per la rete franco-tedesca Arte.

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