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Il DSD suona meglio del PCM? - AudioReview

Redazione

Negli ultimi tempi il formato DSD, finalmente disponibile anche al di fuori del supporto SACD, ha
preso piede come formato preferito dagli audiofili più raffinati. Mi sono posto il problema di quali
fondamenti teorici abbia questa presunta superiorità rispetto al PCM classico. In questo articolo cerco
di condividere con lettori le mie personali considerazioni, in attesa di andare più in profondità
insieme a Fabrizio Montanucci e allo staff di AUDIOreview.

Formati digitali

Un segnale digitale PCM (Pulse Code Modulation) lineare consiste in un campionamento del segnale
analogico originario, effettuato a una frequenza Fc e con una profondità di quantizzazione di b bit. Per
esempio il formato del CD 16/44 audio prevede Fc = 44.100 Hz e b = 16; un altro formato molto
comune è il 24/96 ovvero Fc = 96 kHz e b = 24.

Una famiglia alternativa di formati digitali (che in teoria possono comunque essere considerati PCM)
è quella dei formati DSD (Direct Stream Digital) introdotti dapprima per digitalizzare lo sterminato
archivio analogico Sony-CBS e poi come formato per il supporto SACD. Questi formati usano b = 1
ovvero siamo in presenza di uno Stream di bit (da punto di vista matematico ai bit nulli viene
attribuito il valore -1). La frequenza di campionamento Fc è almeno 64 x 44,1 kHz.

La Teoria dei Segnali garantisce che con una frequenza di campionamento molto elevata e un
opportuno uso del Noise Shaping è possibile ottenere un’ottima risoluzione in banda audio. Si è
sviluppato un vivace dibattito sulla bontà di questo formato, forse alimentato anche dalla
appartenenza dei vari ingegneri alle cordate del SACD e del DVD-Audio. Curiosa è la presentazione,
alla stessa conferenza AES 2001, di due articoli che affermavano tesi diametralmente opposte: Why
1-Bit Sigma-Delta Conversion is Unsuitable for High-Quality Applications [3] e Why Direct Stream
Digital is the best choice as a digital audio format [5]. Per chi volesse farsi un’opinione di prima
mano i due articoli sono facilmente reperibili in rete. Per una completa ma facilmente leggibile
introduzione al formato DSD suggerisco l’articolo di Fabrizio Montanucci apparso sul numero 351 di
AR [4]. Interessante è anche questa intervista ad un (sedicente) capo ingegnere della Philips [7].

Una stima piuttosto grezza del contenuto informativo di un formato è il data-rate ovvero il numero
totale di bit al secondo che devono essere memorizzati. Nella Tabella 1 vediamo il data-rate di alcuni
formati tipici calcolato per due canali.

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Tabella 1

Attenzione: non è però corretto affermare tout court che ad un maggior data-rate corrisponda sempre
una maggiore qualità audio, i 24 bit di risoluzione teorica dei formati PCM sono in pratica impossibili
da raggiungere (a causa del rumore elettrico) e sarebbe più equo fare i conti con 20 bit; d’altra parte, a
detta di alcuni la mancanza del dither penalizza i formati con un solo bit. Nello scrivere il rapporto
segnale/rumore teorico del DSD si è tenuta in considerazione la parte di rumore che interessa solo la
banda audio, che ovviamente è minore dell’intera potenza di rumore. Non si è invece considerata la
riduzione di rumore dovuta al noise shaping (che rende veramente competitivi questi formati) in
quanto dipendente dalle scelte implementative. Un altro problema dei formati ad un bit è
l’impossibilità (o perlomeno l’estrema difficoltà) di fare missaggi ed editing. Nel caso della
digitalizzazione di nastri master di archivi esistenti, questo problema non si poneva, ma per realizzare
registrazioni native fu introdotto il DXD come formato intermedio.

Prima di cominciare a discutere della qualità audio vediamo alcuni fatti incontrovertibili.

Non è possibile in alcun modo aggiungere informazione a un file audio preesistente (non si può
cavare sangue da una rapa). Ogni operazione reversibile (per esempio il passaggio da WAV a FLAC e
viceversa) lascia inalterata la quantità di informazione. Ogni operazione irreversibile (per esempio un
filtraggio passa-basso o un passaggio da 16/44 a 24/96) causa perdita o alterazione di informazione.
Non è detto che ogni operazione irreversibile peggiori la qualità audio, la ripulitura di vecchie
registrazioni può migliorarne la fruibilità ma deve essere chiaro che ogni operazione di questo genere
altera l’informazione originaria. È ovvio che se si inserisce un ulteriore strumento musicale o un
commento parlato si aggiunge informazione, ma questo esula dal nostro ambito di interesse.

Un file audio digitale è composto di soli numeri e un insieme di numeri non suona, non è possibile
associarvi in alcun modo caratteristiche di ascolto senza almeno ipotizzare una conversione D/A. In
altre parole la qualità di ascolto dipende sì dal formato ma anche in modo imprescindibile
dall’algoritmo di conversione D/A.

Vi sono praticamente infiniti modi diversi di effettuare una conversione D/A, e dato che la qualità
musicale può essere attribuita solo alla accoppiata (file digitale, processo di conversione), un

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processo di conversione di formato può essere considerato parte del processo di


conversione D/A.

La conversione Digitale-Analogico

Consideriamo una funzione s(t) limitata in banda tra 0 e f0; in Figura 1 vediamo un esempio nel
dominio della frequenza.

Figura 1. Una funzione limitata in banda rappresentata nel dominio della frequenza.

Sia ora sc(t) la funzione campionata con frequenza Fc = 2 f0, la sua trasformata Sc(2p f) è periodica e
consiste nella ripetizione infinita della parte di trasformata compresa tra le linee rosse. Il fatto che s(t)
sia limitato in banda garantisce che non si presenti il fenomeno dell’aliasing (comparsa di frequenze
fantasma).

Si noti che, come detto sopra, la funzione campionata è un insieme infinito di numeri reali, il suo
spettro di frequenza viene calcolato con le tecniche dell’analisi matematica (si possono usare le Delta
di Dirac o le serie di Fourier) e quello che si ottiene è un risultato esatto, a questo livello non si
effettua alcuna approssimazione. I problemi saltano fuori nel mondo reale quando ai numeri reali si
sostituiscono parole di lunghezza finita (errori di quantizzazione) e il campionamento non ha durata
infinita (dispersioni dello spettro dovuti all’uso di finestre).

Una conversione D/A ideale avrebbe bisogno in un filtro passa-basso perfetto che, eliminando le
frequenze immagine, ottenga esattamente la trasformata S(2pf) della funzione di partenza.

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Figura 2. Lo spettro della funzione campionata rappresentato nel dominio della frequenza; si notano
le infinite copie dello spettro del segnale di partenza (frequenze immagine).

Figura 3. L’interpolatore ideale rappresentato nel dominio della frequenza.

Tale operazione non è possibile in pratica: richiederebbe di operare a precisione infinita su dati di
lunghezza infinita e la storica balla che tutte le macchine digitali avrebbero suonato nello stesso modo
aveva la sua origine nel considerare solo il Teorema del Campionamento, che è un risultato teorico di
Analisi Matematica, ignorando invece i problemi ingegneristici e numerici sottostanti.

Ogni implementazione della conversione D/A è un tentativo di approssimare il filtro passa-basso


perfetto. Vediamo le alternative principali.

Sample and Hold

Il primo passo della conversione D/A è la trasformazione dei numeri in un segnale elettrico. Una
possibilità è mantenere costante un valore di tensione (o corrente) pari all’ultimo campione
analizzato, in attesa del successivo.

Come primo passo questa operazione va benissimo. Stranamente alcuni autocostruttori superpuristi e

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perfino una rinomata azienda hi-end hanno utilizzato questo tipo di conversione mandando
direttamente l’uscita del Sample and Hold all’amplificatore e poi alle casse. La presenza di una
quantità inaccettabile di spurie a frequenza ultrasonica rende questo procedimento a dir poco
discutibile, anche se talvolta questa soluzione viene abbinata a trasduttori monovia sfruttando il loro
naturale passa-basso meccanico. NB: l’inevitabile colorazione dovuta alle spurie, e alla distorsione in
gamma audio da loro causata, può certamente “arricchire” un programma musicale particolarmente
freddo e piatto, ma siamo certamente molto lontani dal concetto di “Alta Fedeltà”.

Figura 4. Conversione Sample and Hold, rappresentata nel dominio del tempo.

Filtraggio analogico

I primi lettori CD (specie di scuola giapponese) effettuavano il filtraggio anti-immagine per via
analogica con filtri ad alta pendenza. La vicinanza tra la banda audio (0-20 kHz) e la banda da tagliare
(>22.050 kHz) causava distorsioni di fase e perdite ad alta frequenza ed era probabilmente causa
della pessima accoglienza che il CD audio ebbe tra gli audiofili più raffinati, che tuttora gli
preferiscono i nastri magnetici e i vinili.

Oversampling

Supponiamo di introdurre tra due campioni numerici un certo numero di zeri (1, 3, 7, …): la nuova
frequenza di campionamento viene corrispondentemente moltiplicata (x2, x4, x8, …) mentre lo
spettro di frequenza resta inalterato (la cosa è ovvia se si pensa che si aggiunge al segnale una
funzione con spettro nullo). L’operazione è perfettamente reversibile e quindi non si ha alcuna perdita

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di informazione. A questo punto si può applicare un filtraggio passa-basso digitale con i seguenti
vantaggi:

se si usa un FIR simmetrico non si ha distorsione di fase;

il filtro digitale può essere ottimizzato per migliorare la risposta all’impulso o la risposta in frequenza,
più alternative possono essere selezionate in tempo reale semplicemente cambiando i coefficienti;

all’uscita del FIR si può applicare un blando filtraggio analogico con bassa pendenza e frequenza di
taglio elevata.

Questo processo fu introdotto dalla Philips e rivoluzionò la tecnologia CD audio migliorando


notevolmente il risultato e da sempre, anche a detta di fonti autorevoli come Mark Levinson, questa è
considerata la migliore tecnica di conversione.

Conversione di frequenza

Un’alternativa economica per i dispositivi che devono lavorare con diversi formati è ridurre tutti i
segnali ad un formato unico ad alta frequenza (per esempio 24/192). Questo si può fare con chip
molto economici che inseguono in tempo reale la frequenza di ingresso convertendola nella frequenza
di uscita. Si nota che:

il cambiamento di frequenza è un processo irreversibile che altera il segnale originario;

a prima vista potrebbe sembrare che il jitter venga ridotto ma un’analisi più accurata mostra che si
tratta di un’affermazione errata.

L’unico vantaggio di questo sistema è la notevole semplificazione progettuale e il notevole risparmio


per il produttore (è la soluzione principe per i lettori audio/video da 40 euro dei supermercati, che
infatti talvolta la sbandierano sulla scatola come fosse un pregio).

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Figura 5. Conversione Sample and Hold, rappresentata nel dominio della frequenza.

Figura 6. Oversampling 2x rappresentato nel dominio della frequenza.

Conversione D/A nel caso del DSD

Dalla Figura 7 si nota come il segnale DSD vale sempre +1 o -1 e non si azzera mai. In pratica ci
troviamo alla presenza di un oversampling estremo (almeno 64x) e la conversione D/A diviene
estremamente semplice, basta applicare un passa-basso che sia compatibile con il noise shaping
proprio del formato. NB: a seconda dei gusti matematici del lettore il passa-basso può essere visto
come una media mobile pesata o come un integratore ma la sostanza non cambia. Su questo punto
torneremo nei prossimi articoli.

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Figura 7. Una sinusoide e il corrispondente segnale DSD.

Conversione a DSD e successiva conversione D/A

Eccoci giunti all’argomento che ci interessa. Prendere un formato PCM e trasformarlo in DSD prima
di passarlo ad un convertitore fisico può essere visto come un processo di conversione che usa un
oversampling molto spinto (64x, 128x o addirittura 512x) e che quindi gode di tutte le buone
caratteristiche di tale approccio. La conversione finale in analogico risulta “buona” in quanto
particolarmente semplice ed è davvero impegnativo sbagliare qualcosa. Se questo procedimento viene
confrontato con quello della conversione di frequenza è come uccidere un verme a cannonate (almeno
da un punto di vista teorico).

Prima di concludere è però necessario analizzare in maggiore dettaglio come si passa da PCM multi-
bit a DSD, visto che il problema non è banale.

La conversione PCM-DSD

Bisogna innanzitutto distinguere se si deve implementare la soluzione ad hardware, in tempo reale,


con un DSP, un chip dedicato o un PLA o se si può procedere fuori linea, operando tra file con un
potente computer (oggi tutti i computer sono abbastanza potenti).

Nel primo caso bisogna fare i conti con la potenza di calcolo disponibile sulla macchina fisica usando
tecniche sigma-delta più o meno raffinate. Vi sono in letteratura alcuni (oscuri) algoritmi che
ottimizzano il numero di operazioni necessarie [2, 6].

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Nel secondo caso se la potenza di calcolo e la memoria non sono un problema si può fare un
oversampling classico (64x nel caso del CD, 8x se si parte dal DXD) e alimentare un FIR passa-basso
(senza implementare la moltiplicazione per gli zeri), troncare il risultato ad un bit, non dimenticando
di inserire un loop di noise-shaping o sigma-delta. Detto così sembra semplicissimo (!) ma vi sono
molte decisioni da prendere e i risultati possono essere molto diversi. Un’accurata analisi del
comportamento dei principali software di conversione PCM-DSD sta rivelando verità inaspettate e
sarà oggetto dei prossimi articoli.

Un ulteriore problema è che non esiste un modo univoco di valutare la bontà del file DSD risultante,
ripeto ancora una volta che quando si lavora nel digitale si ha a che fare solo con sequenze di numeri.
Dal punto di vista teorico si possono introdurre opportune funzioni matematiche che definiscono una
distanza tra segnali nei due formati. In pratica, convertendo opportuni file di test e analizzando lo
spettro del segnale nascosto nel file DSD si può radiografare il risultato e anche indovinare qualcosa
delle tecniche usate per la conversione.

Infine, visto che siamo pur sempre in ambito audio è fondamentale e ragionevole affiancare alle
analisi tecniche opportune sedute di ascolto.

Qual è il formato migliore?

Ovviamente la domanda è retorica, non sono certo io a poter stabilire questo. Bisogna inoltre
considerare che qualunque confronto si faccia tra due scelte implementative o tipologie di prodotti in
pratica vi sono molti altri fattori che intervengono. Anche chi crede nella netta superiorità del LP
rispetto al CD non pensa certo che qualunque giradischi suoni meglio di qualunque lettore CD e
analogamente non si può dire che qualunque amplificatore a valvole suoni meglio di qualunque
amplificatore a stato solido. Per valutare le tecniche di conversione D/A oltre alla metodologia
utilizzata si deve tenere conto di tutti gli altri fattori contingenti, legati alla serietà del costruttore e
alla fascia di prezzo dell’apparecchio. Per esempio, la qualità dell’alimentazione, l’ingegnerizzazione
del layout, la scelta di componenti selezionati hanno certamente una decisa influenza sulla qualità di
ascolto.

Per quanto riguarda l’uso del DSD bisogna distinguere alcuni casi estremamente diversi tra loro.

Conversione senza editing. Se si è in presenza di materiale analogico di archivio (già editato) si


può convertire in DSD e distribuire direttamente questo formato (su SACD o come file).

Conversione con editing in DXD. Se si deve registrare un evento, l’editing è quasi sempre
indispensabile ma il passaggio ad un formato multibit come il DXD introduce certamente un paio di
conversioni inutili, ed è fondamentale che il rapporto tra la frequenza finale del DSD e quella del DXD
sia un numero intero.

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Conversione da formati PCM ad alta risoluzione. Passare da un formato multibit ad alta


risoluzione (per esempio 24/192) al DSD presenta gli stessi problemi del punto precedente (doppia
conversione), con l’aggravante che se si usa un DSD standard il rapporto di conversione non può
essere intero e il segnale deve essere interpolato.

Conversione da formati PCM a bassa risoluzione. Sembrerebbe soffrire degli stessi problemi
dei punti precedenti, ma il rapporto di conversione è sempre intero e i problemi della conversione
diretta di un formato 16/44 (l’estrema vicinanza tra la fine della banda audio e l’inizio della banda da
tagliare) lo rendono interessante. Forse permette finalmente di ottenere il suono migliore possibile
dallo smisurato archivio di rape esistente (i nostri CD).

DSD-wide. Considerando che la stragrande maggioranza dei convertitori A/D lavora ad alta
frequenza con pochi bit, converrebbe evitare sia il passaggio a frequenze più basse con aumento dei
bit, sia la riduzione ad un solo bit e conservare la massima informazione possibile con un formato
DSD-wide (64x, 8 bit) che sulla carta sembra il migliore possibile, visto che permette la applicazione
del dither ed è pure editabile.

Infine, a mio personalissimo avviso, il vantaggio principale della soluzione DSD è che rende
definitivamente obsoleta la catena di frequenze (48, 96, 192, 384 …) che ha creato tanti problemi di
conversione e di adattamento.

di Francesco Romani

Bibliografia

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D. Birru, E. Roza, Recursive Bitstream Conversion: Third-Order Structures, IEEE Transactions on


Circuits and Systems-I: Fundamental Theory and Applications, vol. 49, n. 5, pp. 591-601, 2002

S.P. Lipshitz, J. Vanderkooy, Why 1-Bit Sigma-Delta Conversion is Unsuitable for High-Quality
Applications, 110th Convention Audio Engineering Society, Amsterdam, 2001

F. Montanucci, Le misure sui DAC-DSD, AUDIOreview, n. 351, pp. 75-80, maggio 2014

D. Reefman, P. Nuijten, Why Direct Stream Digital is the best choice as a digital audio format, 110th
Convention Audio Engineering Society, Amsterdam, 2001

E. Roza, Recursive Bitstream Conversion: the Reverse Mode, IEEE Transactions on Circuits and
Systems-11: Analog and Digital Signal Processing, vol. 41, n. 5, pp. 329-336, 1994
http://homerecording.com/bbs/equipment-forums/other-equipment-reviews/dsd-vs-pcm-head-
engineer-phillips-179930/

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da AUDIOREVIEW n. 357 novembre 2014

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