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La solitudine non è mai con voi; è sempre senza di voi, e soltanto possibil
con un estraneo attorno: luogo o persona che sia, che del tutto vi ignorano,
che del tutto voi ignoriate, cosi che la vostra volontà e il vostro sentimento
restino sospesi e smarriti in un'incertezza angosciosa e, cessando ogni afferm
zione di voi, cessi l'intimità stessa della vostra coscienza. La vera solitudi
è in un luogo che vive per sé e che per voi non ha traccia nè voce, e do
dunque l'estraneo siete voi. (p. 784).
Ci fosse fuori di noi, per voi e per me, - dice Vitangelo Moscarda -
ci fosse una signora realtà mia e una signora realtà vostra, dico per se stesse
e uguali, immutabili. Non c'è. C'è in me e per me una realtà mia: quell
che io mi dò; una realtà vostra, in voi e per voi: quella che voi vi date .
(pp. 769-770).
case, vie, chiese, piazze; non per questo soltanto, però, costruito, ma anc
perché non ci si vive più cosi per vivere, come queste piante, senza saper di
vivere; bensì per qualche cosa che non c'è e che vi mettiamo noi; per qualche
cosa che dia senso e valore alla vita [...]» un mondo «dove tutto è finto e
meccanico, riduzione e costruzione: un altro mondo nel mondo: mondo mani
fatturato, combinato, congegnato; mondo d'artificio, di stortura, d'adattamento,
di finzione, di vanità; mondo che ha senso e valore soltanto per l'uomo che
ne è l'artefice (pp. 774 e 776).
E subito dopo:
dovetti riconoscere che nei miei occhi non c'era veramente una vista per me,
da poter dire in qualche modo come mi vedevo senza la vista degli altri [...];
e che dunque i miei occhi per sé, fuori di questa vista degli altri, non avrebbe
ro più saputo veramente quello che vedevano (p. 844).
sto del tempo e della vita, come se il nostro silenzio interiore si sprofondasse
negli abissi del mistero. Con uno sforzo supremo cerchiamo allora di riacqui
star la coscienza normale delle cose, di riallacciar con esse le consuete relazioni,
di riconnetter le idee, di risentirci vivi come per l'innanzi, al modo solito.
Ma a questa coscienza normale, a queste idee riconnesse, a questo sentimento
solito della vita non possiamo più prestar fede, perché sappiamo ormai che
sono un nostro inganno per vivere e che sotto c'è qualcos'altro, a cui l'uomo
non può affacciarsi, se non a costo di morire o d'impazzire (pp. 152-153).
so sociale, l'occhio degli altri, può tentare un recupero d'identità solo att
verso la negazione e la distruzione di quelle rappresentazioni nelle qua
il proprio essere socialmente si identifica e costituisce.
E poiché quelle rappresentazioni hanno natura e consistenza sociale,
formano cioè sul terreno delle relazioni fondamentali che l'io intrattiene
col mondo in cui è immerso, la loro distruzione chiama in causa e coinvol
ge il sistema di relazioni che le fonda. La messa in questione e la negazione
delle rappresentazioni sociali dell'io deietto si converte insomma, immedia
tamente, in negazione e rifiuto dell'ordine sociale che le ha prodotte: delle
sue strutture fondamentali, del suo sistema di valori, dei suoi modelli esi
stenziali e comportamentali.
Strumento fondamentale e «strada maestra» per quest'opera di distru
zione, la pazzia, che si istituisce, in modo del tutto esplicito, come inusita
ta potenzialità gnoseologica, ossia coscienza lucida e conseguente della con
dizione scissa e alienata dell'essere, in virtù della propria alterità rispetto
alle certezze banali del senso comune che si ammanta di assennatezza: in
uno scambio di ruoli e inversione di valori tra follia e ragionevolezza (bor
ghese), che da Dostoevskij a Nietzsche a Svevo a Musil (per indicare solo
alcuni picchi rappresentativi del diagramma) contrassegnano un'epoca della
letteratura europea.
- Tu, non io, capisci? davanti a tua moglie, capisci? dovresti star cosi!
Ed io, e lui, e tutti quanti, davanti ai così detti pazzi, così!