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Capitolo 2

Segnali

2.1 Definizione di segnale


In termini generali si può definire segnale qualunque entità o fenomeno al quale sia associata un’informazione.
Non è però semplice dare una definizione rigorosa ed esaustiva di informazione. Possiamo accontentarci di
dire che informazione è tutto ciò che aggiunge conoscenza, dove aggiungere conoscenza, a sua volta, significa
modificare può essere definito come una modifica dello stato di un sistema (esempi di stato di un sistema po-
trebbero essere: l’insieme di conoscenze di una persona, il contenuto della memoria di un dispositivo elettronico,
la posizione delle lancette di un orologio, . . . ).
Restringendo il campo a una definizione più particolare e legata ai segnali che saranno oggetto di questa
trattazione, possiamo dare la seguente definizione di segnale:
Si definisce segnale una grandezza fisica (ad esempio tensione, pressione, temperatura, energia) che
varia in funzione di un’altra grandezza, che funge da variabile indipendente (ad esempio il tempo,
una coordinata spaziale, un numero intero).
Un segnale si presta quindi bene a essere modellizzato matematicamente come una funzione:
f :A !B ) segnale: y = f (x) (2.1)
dove:
• y 2 B è la variabile che descrive la grandezza fisica del segnale,
• f : A ! B è la funzione che descrive il segnale y,
• x 2 A è la variabile indipendente su cui è definito il segnale y.
Esempi di segnale sono:
Suono: un suono può essere descritto come la grandezza pressione dell’aria (o del mezzo in cui si propaga
l’onda sonora) in un determinato punto, in funzione del tempo:
Suono: [P ressione acustica] = f ( [tempo] )
Un segnale sonoro può quindi essere descritto matematicamente come la funzione p = f (t), dove p è la
pressione e t il tempo. Sia p che t sono descrivibili matematicamente come numeri reali (t, p 2 R), per
cui, in questo caso, la funzione f : R ! R.
Immagine: un’immagine può essere descritta come la grandezza luminanza (o colore, nel caso di un’immagine
a colori), in un determinato istante, in funzione di una posizione spaziale all’interno di un dominio spaziale
bidimensionale (il piano dell’immagine):
Immagine: [Luminanza / Colore] = f ( [posizione spaziale 2D] )
Un’immagine in bianco e nero quindi può essere descritta matematicamente come una funzione L = I(x, y)
dove L è la luminanza e (x, y) la coppia di coordinate sul piano immagine. Poiché L, x, y 2 R, la funzione
I : R2 ! R. Un’immagine a colori, invece, può essere descritta come C = IC (x, y) dove C = hr, g, bi è il
colore del punto (x, y) sul piano immagine. Poiché r, g, b, x, y 2 R, la funzione IC : R2 ! R3 .

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12 CAPITOLO 2. SEGNALI

2.2 Classificazione dei segnali


Esistono molti differenti criteri per la classificazione della vastissima classe dei segnali. Considerando la generica
definizione di segnale:

Segnale: y = f (x) dove: f : A ! B (x 2 A, y 2 B); A, B ✓ Rn , n finito (2.2)

esso può essere classificato secondo i seguenti criteri:

2.2.1 Dimensionalità di un segnale


Un segnale viene classificato in base alla dimensionalità dell’insieme dominio della variabile indipendente, A o
dell’insieme codominio, B. In particolare:

• Un segnale y = f (x) è detto monodimensionale se il dominio A della variabile indipendente x è uno


spazio monodimensionale, cioè se x 2 A ✓ R.

• viceversa, y = f (x) è detto n-dimensionale se il dominio A della variabile indipendente x è uno spazio
n-dimensionale, cioè se x = {x1 , x2 , · · · , xn } 2 A ✓ Rn , n > 1.

Alcuni esempi:

• Suono: p = f (t): t 2 R ! segnale monodimensionale;

• Immagine: I = f (x, y): (x, y) 2 R2 ! segnale bi-dimensionale;

• Video: V = f (x, y, t): (x, y, t) 2 R3 ! segnale tri-dimensionale;

Considerando invece la dimensionalità dell’insieme co-dominio B, cioè l’insieme dei valori assumibili dal segnale,
si ha che:

• Un segnale y = f (x) è detto scalare se il codominio B del segnale y è uno spazio monodimensionale, cioè
se y 2 B ✓ R.

• viceversa, il segnale y = f (x) è detto vettoriale se il codominio B del segnale y è uno spazio n-
dimensionale, cioè se y = {y1 , y2 , · · · , yn } 2 B ✓ Rn , n > 1.

Alcuni esempi:

• Immagine in bianco/nero:
I = f (x, y): (x, y) 2 R2 ! segnale bi-dimensionale e scalare;

• Immagine a colori:
IC = hr, g, bi = f (x, y): (x, y) 2 R2 , hr, g, bi 2 R3 , ! segnale bi-dimensionale e vettoriale;

• Accelerazione:
a = hax , ay , az i = f (t): t 2 R, hax , ay , az i 2 R3 , ! segnale monodimensionale e vettoriale;

2.2.2 Segnali continui e discreti


Un segnale può venire classificato in base alle caratteristiche di continuità degli insiemi dominio A e codominio B.
Relativamente alle caratteristiche di continuità dell’insieme A dei valori assumibili dalla variabile indipendente
(il dominio della funzione):

• Un segnale y = f (x) è detto continuo se il dominio A della variabile indipendente x è un insieme continuo
(ad esempio, x 2 A ✓ R).

• viceversa, un segnale y = f (x) è detto discreto se il dominio A della variabile indipendente x è un insieme
discreto (ad esempio, x = nT , con n 2 Z e T 2 R).

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2.2. CLASSIFICAZIONE DEI SEGNALI 13

Alcuni esempi:
• Suono: pressione acustica in funzione del tempo p = f (t): t, f 2 R ! segnale continuo.
Se la variabile indipendente continua è il tempo, i segnali vengono detti tempo-continui.
• Temperatura minima giornaliera: si tratta di un segnale di temperatura che viene generato una volta
al giorno: Tmin (n) = f (nT ), con n 2 Z, T = 24h e f 2 R ! si tratta di un segnale tempo-discreto.
Considerando invece le caratteristiche di continuità dell’insieme B dei valori assumibili dal segnale (il codominio
della funzione):

• Un segnale y = f (x) è detto ad ampiezze continue se il codominio B del segnale y è un insieme continuo
(ad esempio, y 2 B ✓ R).
• viceversa, un segnale y = f (x) è detto ad ampiezze discrete se il codominio B di y è un insieme discreto
(ad esempio, y 2 B ✓ Z). In genere, per i segnali di nostro interesse, l’insieme B dei valori di segnale
possibili ha cardinalità finita, cioè contiene un numero finito di elementi: |B| < 1.

Alcuni esempi:
• Suono: nel suono, definito come pressione acustica in funzione del tempo, p = f (t): p 2 B ✓ R, quindi
si tratta di un segnale ad ampiezze continue.
• Segnale logico: un segnale logico y, cioè quello prodotto da un circuito digitale, può assumere solo due
valori: y 2 {0; 1}. Si tratta pertanto di un segnale ad ampiezze discrete.
• Estrazione di numeri del lotto: l’estrazione di un numero del lotto corrisponde alla selezione di un
numero y dall’intervallo 1  y  90. Il codominio B è quindi l’insieme dei numeri interi da 1 a 90. Si
tratta pertanto di un segnale ad ampiezze discrete e finite.
Combinando le proprietà sopra descritte degli insiemi dominio e codominio, si ottengono quattro casi differenti,
che corrispondono alle classi di segnale rappresentati in Tabella 4.1:

Tabella 2.1: Classificazione di segnali, in funzione della continuità degli insiemi dominio e codominio.

Dominio continuo Dominio discreto

Codominio continuo segnale analogico segnale campionato

Codominio discreto segnale quantizzato segnale digitale

Alcuni esempi relativi a questa classificazione:

• Segnale da CD audio: il segnale nel formato standard CD audio R è costituito da sequenze di numeri
interi appartenenti all’intervallo [ 32768; +32767] (codificati quindi mediante 16 bit) detti campioni, che
rappresentano l’ampiezza del segnale. I campioni si succedono al ritmo di 44100 al secondo. Si tratta
quindi di un segnale tempo-discreto e discreto nelle ampiezze: un segnale digitale. Matematicamente lo
si può rappresentare come: y(n) = f (t = nT ), con n 2 Z e T = 441001
s ⇡ 22, 7 µs.

2.2.3 Grado di conoscenza di un segnale


Un segnale può anche venire classificato in base al grado di conoscenza del segnale stesso. In alcune situazioni,
infatti, può essere che la funzione che descrive il segnale non sia conosciuta, ma sia, ad esempio, conosciuta solo
in parte, o a meno di un certo grado di approssimazione, oppure, ancora, di essa siano note soltanto alcune
caratteristiche, ad esempio i valori minimo e massimo, oppure parametri statistici come la media o la varianza.

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14 CAPITOLO 2. SEGNALI

• Un segnale y = f (x) viene detto deterministico se è completamente definito, cioè se la funzione f (x) è
nota. Immaginando il fenomeno di generazione del segnale y, in questo caso si può dire che ogni evento
di generazione, o di realizzazione del segnale y, produrrà sempre la stessa funzione.
Esempi di segnali deterministici sono tutti quelli matematicamente descrivibili mediante una funzione. Ad
esempio, un segnale sinusoidale come s(t) = A cos (2⇡f0 t).
• Viceversa, se il processo di generazione del segnale y = f (x) non è completamente noto, il segnale viene
detto non deterministico (o anche probabilistico, casuale, o aleatorio). In questo caso, ogni evento
di realizzazione del segnale y produrrà ogni volta una funzione non nota a priori. Matematicamente,
quindi, un segnale non deterministico viene descritto mediante una funzione del tipo: y = f (x, r), dove r
rappresenta il particolare evento di realizzazione del segnale.
Segnali non deterministici sono, ad esempio, tutti i segnali affetti da rumore. Il rumore è, per definizione,
un segnale casuale, quindi non noto a priori (se lo si conoscesse a priori, infatti, lo si potrebbe sottrarre e
semplicemente eliminare). Una tipologia di rumore molto comunemente sovrapposta a segnali, ad esempio
nel campo dell’elettronica, è il cosiddetto rumore additivo gaussiano bianco (o Additive White Gaussian
Noise – AWGN). Un sistema in grado di generare rumore AWGN ideale produrrà, ad ogni generazione, un
segnale n(t, r) di cui sono note, al più, la media e la varianza. Il rumore AWGN rappresenta l’idealizzazione
del segnale ’perfettamente casuale’, nel senso che, per ogni realizzazione r, la conoscenza del valore di tale
segnale a un certo istante t0 , n(t0 , r), non permette di fare alcun tipo di previsione su quale sarà il valore
di n all’istante immediatamente successivo, n(t0 + t, r).

Lo studio di segnali casuali richiede l’utilizzo, tra l’altro, di complessi strumenti statistici. Nella presente
trattazione, quindi, per esigenze di semplicità, ci occuperemo soltanto di segnali deterministici.

2.3 Segnali continui


2.3.1 Definizione di segnale continuo
Ricordando le definizioni di segnale date al Paragrafo 2.1, un segnale continuo si presta ad essere descritto
matematicamente come una funzione y = f (x), f : A ! B, nel quale l’insieme A del dominio, per segnali
continui, è un insieme continuo (mentre B è il codominio, cioè l’insieme dei valori assumibili dal segnale). Nei
casi più comuni che considereremo, A ✓ R: la variabile x sarà cioè rappresentata da un numero reale o da un
intervallo (continuo) di numeri reali. Se la variabile indipendente x rappresenta il tempo, si parla di segnale
tempo-continuo; in tal caso, si utilizza come simbolo della variabile la lettera t.

2.3.2 Operazioni sui segnali


Trattando quindi i segnali come funzioni, possiamo definire alcune operazioni sui segnali in termini matematici,
come operazioni sulla funzione che li descrive. Di seguito vediamo alcuni operatori molto comuni:

Traslazione
Dato un segnale monodimensionale e continuo: y = f (x), x 2 R, allora il segnale y 0 = f (x x0 ) è detto
traslazione in avanti di x0 del segnale originario y. Effettivamente, da un punto di vista grafico, il segnale
y 0 appare sul piano cartesiano come uno spostamento, della quantità x0 , ‘in avanti’, cioè nel verso positivo
delle ascisse, come rappresentato in Figura 2.1. Analogamente, il segnale y 00 = f (x + x0 ) corrisponde a una
traslazione di x0 del segnale originario y, quindi una traslazione ‘all’indietro’, in verso opposto all’asse delle
ascisse, della quantità x0 .
Se la variabile indipendente è il tempo, la traslazione in avanti del segnale y = f (t), cioè y 0 = f (t t0 ) corrisponde
a una replica ritardata del tempo t0 del segnale originario y, mentre y 0 = f (t + t0 ) corrisponde a una replica
anticipata di t0 del segnale originario.

Scalatura (della variabile indipendente)


Dato un segnale monodimensionale e continuo: y = f (x), x 2 R, si dice scalatura della variabile indipendente la
trasformazione y 0 = f (a x), nel quale la variabile indipendente è scalata di un fattore costante a (vedi Figura 2.2).
Da un punto di vista grafico, il segnale y 0 appare sul piano cartesiano come un ‘restringimento’ orizzontale del

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2.3. SEGNALI CONTINUI 15

Figura 2.1: Traslazione di un segnale continuo.

segnale originario y del fattore a (quindi un allargamento, se |a| < 1). Se a è negativo, inoltre, graficamente
il segnale scalato appare invertito sull’asse delle ascisse. Un esempio di combinazione delle due trasformazioni
descritte è rappresentato in Figura 2.3.
Se la variabile indipendente è il tempo, la scalatura del dominio corrisponde a una ‘velocizzazione’ del segnale
se |a| > 1, a un rallentamento se |a| < 1. Se a < 0 il segnale risultante risulta invertito nel tempo.

Figura 2.2: Scalatura della variabile indipendente di un segnale continuo.

2.3.3 Segnali notevoli

Si presentano di seguito alcune funzioni utilizzate spesso come esempi di segnale, anche perché risultano molto
comodi nella trattazione di alcuni aspetti della teoria dei segnali.

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16 CAPITOLO 2. SEGNALI

Figura 2.3: Esempio di traslazione e scalatura di un segnale continuo.

Funzione rettangolo, o impulso rettangolare

La funzione impulso rettangolare o rettangolo è così definita1 :

8 1
>
< 1 |t| 
2
rect(t) = (2.4)
>
: 0 1
|t| >
2

ed è rappresentata in Figura 2.4a.


In generale, l’espressione
✓ di un◆impulso rettangolare di ampiezza A e durata T centrato intorno all’ascissa t0
t t0
risulterà: s(t) = A rect , come rappresentato in Figura 2.4b.
T

Figura 2.4: a) Rettangolo unitario. b) Rettangolo generico di ampiezza A, durata T e centrato in t0 .

1 Talvolta si preferisce definirla attribuendo valore 1/2 alla funzione in corrispondenza delle frontiere:

8 1
>
> 1 |t| < 2
>
< 1
1
rect(t) = |t| = 2 . (2.3)
>
> 2
>
: 1
0 |t| > 2

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2.3. SEGNALI CONTINUI 17

Gradino
La funzione gradino unitario è così definita2 : :
(
1 t 0
u(t) = . (2.6)
0 t<0

ed è rappresentata in Figura 2.5a. In generale, un impulso di ampiezza A e con transizione in corrispondenza


dell’ascissa t0 avrà come espressione: s(t) = A u (t t0 ), come rappresentato in Figura 2.5b.

Figura 2.5: a) Gradino unitario. b) Gradino di ampiezza A e traslato in t0 .

Impulso di Dirac
La funzione impulso unitario o delta di Dirac rappresenta l’idealizzazione matematica del concetto di funzione
impulsiva. Per queste sue caratteristiche ‘ideali’, l’impulso di Dirac non è una funzione, ma una distribuzione.
Intuitivamente lo si può immaginare, e lo si può anche definire, come il limite, per T ! 0, di un impulso
rettangolare di durata T e ampiezza 1/T centrato nell’origine:
✓ ◆
1 t
(t) = lim rect (2.7)
T !0 T T
Al tendere di T ! 0, quindi, l’impulso tenderà ad avere una durata T infinitesima e un’ampiezza 1/T tendente
a infinito. Ne consegue che l’area sottesa dall’impulso, invece, è indipendente da T e vale 1 (Figura 2.6a).
L’impulso unitario viene rappresentato sugli assi cartesiani come un impulso a freccia (Figura 2.6b) situato
nell’origine e con ampiezza corrispondente alla sua area (quindi 1, nel caso di impulso unitario) e non la sua
effettiva ampiezza che sarebbe infinita. In generale, un impulso di ampiezza A e con transizione in corrispondenza
dell’ascissa t0 avrà come espressione: s(t) = A (t t0 ) e sarà rappresentato come in Figura 2.6c.
Esprimendo l’area sottesa della funzione come il suo integrale definito su tutto il dominio, possiamo quindi
esprimere la proprietà di area unitaria della funzione impulso come:
Z +1
(t)dt = 1. (area unitaria dell0 impulso di Dirac) (2.8)
1

L’area unitaria della funzione impulso di Dirac rappresenta una delle sue proprietà fondamentali. Da tale
proprietà si deduce il valore del prodotto scalare tra una generica funzione e l’impulso di Dirac:
Z +1
hf, i = f (t) (t)dt = f (0). (proprieta0 di campionamento dell0 impulso di Dirac) (2.9)
1

Il prodotto scalare di una funzione per l’impulso di Dirac ha quindi l’effetto di “estrarre” il valore di f (t)
in corrispondenza dell’impulso; per questo viene chiamata proprietà di campionamento dell’impulso. Nella
Tabella 2.3 sono riportate le principali proprietà della funzione impulso.
2 Talvolta si preferisce definirla attribuendo valore 1/2 alla funzione in corrispondenza della transizione. In tal modo la funzione

può essere definita a partire dalla funzione segno, sign(t):


8
>
> 1 t>0
>
< 1
1
rect(t) = [1 + sign(t)] = t=0 (2.5)
2 >
> 2
>
:
0 t<0

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18 CAPITOLO 2. SEGNALI

Figura 2.6: a) L’impulso di Dirac si può immaginare come il limite, per T ! 0, di un impulso rettangolare di
base T e altezza 1/T . L’area sottesa dall’impulso è sempre 1, indipendentemente da T . b) Rappresentazione
dell’impulso unitario (t). c) Impulso di area A situato in t = t0 : A (t t0 ).

Tabella 2.2: Proprietà della funzione impulso (delta di Dirac)

Z +1
Area unitaria: (t)dt = 1
1
Z +1
Campionamento: hf (t), (t t0 )i = f (t) (t t0 )dt = f (t0 )
1

Prodotto: f (t) (t t0 ) = f (t0 ) (t t0 )

Parità: (t) = ( t)

1
Cambiamento di scala: (a t) = (t)
|a|
Z +t
Integrazione: (⌧ )d⌧ = u(t) (gradino unitario)
1

Segnali periodici
Un segnale è detto periodico (o funzione periodica) se si ripete ciclicamente dopo un intervallo finito, detto
periodo, della variabile indipendente. Tale proprietà può essere espressa matematicamente su un segnale s(t)
come:
s(t) = s(t + T ), 8t 2 R ) s(t) = s(t + kT ), 8t 2 R, 8k 2 Z , (2.10)
dove T è il periodo del segnale. Si definisce f = 1/T frequenza del segnale periodico; la frequenza indica il
numero di cicli compiuti dal segnale nell’intervallo unitario della variabile indipendente. Nel caso più comune
in cui la variabile di dominio t è il tempo, allora T indica la durata, in secondi, di un ciclo del segnale, mentre
f indica il numero di cicli compiuti in un secondo. In questo caso, l’unità di misura della frequenza f è l’Hertz
(simbolo: Hz = s 1 ).
I segnali periodici hanno un ruolo particolarmente importante nell’ambito dell’elaborazione di molti segna-
li, come ad esempio quelli acustici, i quali sono, per loro natura, generati attraverso fenomeni oscillatori.
Un’oscillazione è, per definizione, un fenomeno ripetitivo, quindi descrivibile come una funzione periodica.

Esponenziale complesso, o fasore


Un segnale periodico particolarmente utile nella teoria dei segnali è l’esponenziale complesso o fasore, definito
dalla funzione:
s(t) = A e j2⇡f0 t , t 2 R, s 2 C, (2.11)
funzione già definita al Capitolo 1 (1.16) e rappresentata graficamente nelle Figure 1.4 e 1.5. Come visto in
precedenza, il modulo e la fase dell’esponenziale complesso s(t) sono, rispettivamente, |s(t)| = A e \s(t) = 2⇡f0 t,

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2.3. SEGNALI CONTINUI 19

dove f0 è la frequenza del segnale, chiaramente periodico (infatti, detto T0 = 1/f0 il periodo del segnale, ogni
t = T0 , la fase: 2⇡f0 t = 2⇡, cioè il segnale compie un ciclo completo).
Ricordando che ej# = cos # + j sin # (formula di Eulero), l’esponenziale complesso può essere anche espresso
separando le parti reale e immaginaria:

s(t) = A e j2⇡f0 t = A cos (2⇡f0 t) + jA sin (2⇡f0 t) , t 2 R, s 2 C. (2.12)

2.3.4 Attributi di segnali


Diamo nel seguito alcune definizioni comunemente utilizzate di proprietà che caratterizzano ogni segnale.

Durata
Si definisce durata di un segnale l’estensione dell’intervallo più piccolo che contiene la parte di funzione con
valore diverso da zero. Nell’esempio in figura 2.7, la durata del segnale s(t) è uguale a D = t2 t1 . Nel caso di
segnali tempo-continui, la durata D è effettivamente la durata dell’intervallo temporale in cui il segnale è non
nullo.

Figura 2.7: Definizione di durata di un segnale tempo-continuo.

Area
Per area di un segnale si intende l’area sottesa dalla funzione che lo descrive. Dato quindi un segnale s(t), si
può quindi esprimere semplicemente la sua area come:
Z +1
Area = s(t) dt (2.13)
1

Valor medio
Il valor medio, anche detto media temporale nel caso di segnali tempo-continui, è il valore s che la funzione
costante s0 (t) = s dovrebbe assumere per avere la stessa area del segnale dato s(t). Si può quindi esprimere
come: Z +T
1
s = lim s(t) dt (2.14)
T !1 2T T

Energia e Potenza
Per analogia con le definizioni di energia e potenza in fisica, si definisce potenza istantanea di un segnale s(t) il
valore3 P (t) = s(t) · s(t) = |s(t)|2 se s(t) è un numero complesso, che coincide con P (t) = s2 (t) se s(t) è reale.
In base a ciò, si può definire l’energia di un segnale s(t) come integrale nel tempo della potenza istantanea:
Z +1
Es = |s(t)|2 dt (2.15)
1

3 si ricorda che s è il complesso coniugato di s.

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e la potenza media come il valor medio della potenza istantanea:

Z +T
1
Ps = lim |s(t)|2 dt. (2.16)
T !1 2T T

✓ ◆
t
Esempio: si calcolino energia e potenza media del segnale: s(t) = A rect .
D
Z +1 Z +D/2
2
Es = |s(t)| dt = A2 dt = A2 D.
1 D/2
Z +T
1 1 2
Ps = lim |s(t)|2 dt = lim A D = 0.
T !1 2T T T !1 2T

Confrontando le due espressioni e osservando l’esempio, si può notare che se un segnale presenta un valore
finito di energia, allora esso sarà necessariamente caratterizzato da una potenza media nulla. Viceversa, un
segnale caratterizzato da un valore finito (e non nullo) di potenza media risulterà avere energia infinita. Non è
possibile che un segnale abbia contemporaneamente energia e potenza media finite (e diverse da zero). I segnali
si possono quindi suddividere in segnali caratterizzati da energia finita (e quindi potenza media nulla), detti
segnali energia, e segnali caratterizzati da potenza media finita (e quindi energia infinita), detti segnali potenza.

2.4 Segnali discreti


Ricordando la definizione di segnale data al paragrafo 2.1, definiamo un segnale discreto come un segnale la
cui variabile indipendente sia discreta. Un segnale discreto può essere descritto matematicamente come una
funzione y = f (x), f : A ! B, dove A è un dominio discreto; ad esempio, A ⌘ Z. Di seguito, per comodità,
consideriamo segnali discreti in cui A ⌘ Z, genericamente rappresentabili con la relazione y = f (n), n 2 Z

2.4.1 Operazioni sui segnali


Al pari dei segnali continui, si possono definire segnali discreti:

Traslazione

Dato un segnale discreto: y = f (n), n 2 Z, il segnale y 0 = f (n n0 ), n0 2 Z è detto traslazione in avanti di


n0 del segnale originario. Analogamente, il segnale y 00 = f (n + n0 ) corrisponde a una traslazione di n0 del
segnale originario y, quindi una traslazione ‘all’indietro’, in verso opposto all’asse delle ascisse, della quantità
n0 . Se la variabile indipendente è il tempo discreto, come in un segnale campionato, la traslazione in avanti
y 0 = f (n n0 ) corrisponde a una replica ritardata del tempo t0 = n0 · Ts (Ts è il periodo di campionamento),
mentre y 0 = f (n + n0 ) corrisponde a una replica anticipata di n0 .

Decimazione e Interpolazione

Dato un segnale discreto: y = f (n), n 2 Z, la scalatura della variabile indipendente è detta decimazione (o
downsampling), ed è la trasformazione y 0 = f (a n), a 2 Z, |a| 1, nel quale la variabile indipendente è scalata
di un fattore costante a (vedi Figura 2.8). Da un punto di vista grafico, il segnale y 0 appare sul piano cartesiano
come un sotto-campionamento del segnale originario (nel quale viene mantenuto un campione ogni a campioni
del segnale originario). Se a è negativo, il segnale scalato appare invertito sull’asse delle ascisse.
⇣n⌘
È una scalatura anche la la trasformazione y 0 = f , a 2 Z, |a| 1, e corrisponde quindi a un segnale in
a
cui i campioni originari sono distanti a e i campioni nelle posizioni intermedie hanno convenzionalmente valore
0. Questa trasformazione è detta interpolazione (o upsampling).

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2.4. SEGNALI DISCRETI 21

Figura 2.8: Decimazione di un segnale discreto.

2.4.2 Segnali notevoli


Funzione rettangolo, o impulso rettangolare
La funzione impulso rettangolare discreto è così definita:
8
⇣n⌘ < 1 n 1

rect = D 2 , n2Z (2.17)
D :
0 altrove

ed è rappresentata in Figura 2.9.

⇣n⌘
Figura 2.9: a) Rettangolo discreto di durata D = 5: y(n) = rect .
5

Gradino unitario discreto


La funzione gradino unitario discreta, generalmente denominata u(n), è così definita:
(
1 n 0
u(n) = , n2Z (2.18)
0 n<0

ed è rappresentata in Figura 2.10.

Figura 2.10: Gradino unitario discreto.

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22 CAPITOLO 2. SEGNALI

Impulso discreto

La funzione impulso discreto rappresenta la versione discreta dell’impulso di Dirac continuo ed è così definito:
(
1 n=0
(n) = , n2Z (2.19)
6 0
0 n=

ed è rappresentato in Figura 2.11. Come si intuisce dalla definizione, nel caso discreto non c’è bisogno di definire
l’impulso come una distribuzione, come necessario nel caso continuo; l’impulso discreto è una comune funzione
discreta che vale 1 in corrispondenza dell’impulso stesso e 0 altrove.

Figura 2.11: Impulso unitario discreto.

L’impulso discreto gode delle proprietà analoghe a quelle dell’impulso di Dirac, in versione discreta. Ad esempio,
la proprietà di area unitaria, per l’impulso discreto diviene:

+1
X
(n) = 1. (area unitaria dell0 impulso discreto) (2.20)
n= 1

Analogamente possiamo definire il prodotto scalare tra una generica funzione e l’impulso:

+1
X
hf, i = f (n) (n) = f (0) (proprieta0 di campionamento dell0 impulso discreto) (2.21)
n= 1

che, come per il caso continuo, corrisponde alla proprietà di campionamento dell’impulso discreto: il prodotto
scalare di una funzione per l’impulso discreto estrae il valore di f (n) in corrispondenza dell’impulso stesso.
Nella Tabella 2.3 sono riportate le principali proprietà della funzione impulso discreto.

Tabella 2.3: Proprietà della funzione impulso discreta.

+1
X
Area unitaria: (n) = 1
n= 1
+1
X
Campionamento: hf, i = f (n) (n) = f (0)
n= 1

Prodotto: f (n) (n n0 ) = f (n0 ) (n n0 )

Parità: (n) = ( n)
n
X
Integrazione discreta: (i) = u(n) (gradino unitario)
i= 1

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2.4. SEGNALI DISCRETI 23

Segnali periodici discreti


Un segnale discreto s(n), n 2 Z è detto periodico se si ripete ciclicamente dopo un intervallo di N campioni, con
N (il periodo), finito:

s(n) = s(n + N ), 8n 2 Z ) s(n) = s(n + kN ), 8n, k 2 Z (2.22)

Si definisce f = 1/N la frequenza del segnale periodico; essendo N intero e diverso da zero (un periodo nullo
non ha significato per noi), allora |N | 1, quindi la frequenza |f | = |1/N |  1 per segnali discreti periodici.
Effettivamente, una frequenza maggiore di 1 significherebbe un numero di cicli maggiore di 1 tra un campione
e il successivo, e il concetto di periodicità perderebbe di significato in questo caso, dato che sarebbe ‘nascosta’
dalla discreticità del dominio.
Inoltre, essendo N intero, f = 1/N è necessariamente un numero razionale. Ne consegue che la razionalità di f
è una condizione necessaria affinché un segnale discreto sia periodico, a differenza dei segnali periodici continui,
per i quali la frequenza può assumere qualunque valore reale. Ad esempio, la sinusoide discreta:

s(n) = A sin(2⇡f n), n 2 Z (2.23)

è periodico soltanto se f è razionale; per valori irrazionali di f , s(n) non è più periodico, come la Figura 2.12
mette in evidenza.

Figura 2.12: La sinusoide discreta si (n)


p = sin(2⇡fi n), n 2 Z è periodica soltanto se la sua frequenza f è
1 3
razionale. Sopra: f1 = ; sotto: f2 = .
16 16

Esponenziale complesso (fasore) discreto


Anche nella sua versione discreta, l’esponenziale complesso o fasore è un segnale periodico importante in teoria
dei segnali:
s(n) = A e j2⇡f0 n , n 2 Z (2.24)
Analogamente al caso continuo (equazione 1.16), il modulo e la fase dell’esponenziale complesso sono, rispetti-
vamente:
|s(n)| = A
(2.25)
\s(n) = 2⇡f0 n
dove f0 è la frequenza del segnale. Oppure, ricordando la formula di Eulero (ej# = cos #+j sin #), l’esponenziale
complesso può essere anche espresso separando le parti reale e immaginaria:

s(n) = A e j2⇡f0 n = A cos (2⇡f0 n) + jA sin (2⇡f0 n) , n 2 Z (2.26)

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24 CAPITOLO 2. SEGNALI

Dall’espressione della fase in (2.25) è facile intuire che l’esponenziale complesso discreto è periodico, con periodo
N , se f0 = 1/N , con N intero. Incontreremo esponenziali complessi di questo tipo nello studio delle trasformate
di Fourier per segnali discreti.

2.4.3 Attributi di segnali


Durata
Si definisce durata di un segnale discreto l’estensione dell’intervallo più piccolo che contiene la parte di funzione
con valore diverso da zero. Nell’esempio in figura 2.13, la durata del segnale s(t) è uguale a D = n2 n1 + 1.

Figura 2.13: Durata di un segnale discreto.

Area
Per area di un segnale si intende l’area sottesa dalla funzione che lo descrive. Nel caso discreto, dato un segnale
s(n), n 2 Z, la sua area è data da:
+1
X
Area[ s(n) ] = s(n) (2.27)
n= 1

Valor medio
Il valor medio di un segnale discreto s(n) è il valore s che la funzione costante s0 (n) = s dovrebbe assumere per
avere la stessa area del segnale dato s(n). Si può quindi esprimere come:
+N
X
1
s = lim s(n) (2.28)
N !1 2N + 1
n= N

Energia e Potenza
Come nel caso di segnali continui, si definisce potenza istantanea di un segnale tempo-discreto s(n) il valore
Ps (n) = s(n) · s(n) = |s(n)|2 se s(n) è un numero complesso4 , che coincide con Ps (n) = s2 (n) se s(n) è reale.
In base a ciò, si può definire l’energia di un segnale tempo-discreto s(n) come la sommatoria nel tempo della
potenza istantanea:
+1
X
Es = |s(n)|2 (2.29)
n= 1

e la potenza media come il valor medio della potenza istantanea:


+N
X
1
Ps = lim |s(n)|2 . (2.30)
N !1 2N + 1
N
4 si ricorda che s denota il complesso coniugato di s.

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2.4. SEGNALI DISCRETI 25

Vediamo un semplice esempio di calcolo dell’energia e della potenza:


⇣n⌘
Esempio: si calcolino energia e potenza media del segnale: s(n) = A rect .
D
+1
X X
Es = |s(n)|2 = |A|2 = A2 D.
n= 1 D D
2 n< 2

+N
X X
1 1 A2 D
Ps = lim |s(n)|2 = lim |A|2 = lim = 0.
N !1 2N + 1 N !1 2N + 1 N !1 2N + 1
N D D
2 n< 2

Analogamente al caso continuo, i segnali discreti si possono suddividere in segnali caratterizzati da energia
finita, e di conseguenza con potenza media nulla, che vengono chiamati segnali energia, e segnali caratterizzati
da potenza media finita e quindi energia infinita, detti segnali potenza.

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26 CAPITOLO 2. SEGNALI

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