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Figura è un saggio piuttosto lungo all’interno dei saggi danteschi di Auerbach: infatti occupa circa una

cinquantina di pagine ed è strutturato in quattro ampi paragrafi.

Il critico impiega tutta la prima parte per spiegare la storia del termine “figura” e l’interpretazione figurale
della Bibbia. Egli vuole dimostrare che tale interpretazione ebbe una grande fortuna e diffusione nel corso
del medioevo, rivestendo un ruolo predominante nella Divina Commedia di Dante Alighieri, l’opera che
secondo lui «conclude e riassume la civiltà medievale».
Come spiega Auerbach, il concetto di “figura” indica un elemento reale e storico, che però non annulla il
suo significato più profondo. Dunque, l’interpretazione figurale ci fornisce un’ottima chiave di lettura che
concilia l’aspetto allegorico con quello realistico.

La Commedia di Dante è un opera di argomento religioso.

La letteratura religiosa inizia con San Francesco D’Assisi con il Cantico delle creature, un testo isolato che
non ha una connotazione cronologica ben precisa. Francesco realizza una sorte di rivoluzione culturale e
religiosa con l’istituzione dell’ordine francescano, che combatte la corruzione della Chiesa attraverso
l’esaltazione delle virtù umili. Francesco non è un uomo colto, dunque saranno quelli che gli succederanno
a far sì che si possa passare da una poesia dell’immediatezza ad una poesia perfettamente studiata e che si
possa creare un genere anche per una produzione di carattere religioso.

Guittone D’Arezzo e Jacopone da Todi costituiscono un punto di svolta per la poesia religiosa.

Cantico delle creature di San Francesco d'Assisi

È probabilmente il primo testo poetico in volgare italiano giunto a noi e si presenta come una "lauda" in cui il santo scioglie un
commosso inno alla potenza di Dio, attraverso l'elenco degli elementi del creato che vengono quasi invitati a unirsi a lui in una
preghiera comune. Il componimento risale agli ultimi anni di vita di S. Francesco (1224-1226) e secondo un'ipotesi sarebbe
stato scritto in due momenti successivi, di cui il secondo nell'imminenza della morte (risalirebbero ad allora gli ultimi versi sulle
malattie e la morte, che stonano in parte con la serena contemplazione della prima parte). Non è certo che il testo fosse
accompagnato dalla musica e destinato così alla recitazione, oppure destinato alla lettura come preghiera, anche se
l'intonazione ricorda molto i cantici religiosi della tradizione biblica. La lingua è il volgare umbro con l'inserzione di molti
latinismi e una grafia latineggiante che in parte è ancora incerta, conformemente a molti testi poetici delle Origini.

Altissimu, onnipotente, bon Signore,


tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.

Ad te solo, Altissimo, se konfano,


et nullu homo ène dignu te mentovare.

Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature,


spetialmente messor lo frate sole,
lo qual’è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle:
in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento


et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le tue creature dài sustentamento.

Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua,


la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu,


per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra,


la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.

Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore
et sostengo infirmitate et tribulatione.

Beati quelli ke ’l sosterrano in pace,


ka da te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale,


da la quale nullu homo vivente pò skappare:
guai a·cquelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no ’l farrà male.

Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiate


e serviateli cum grande humilitate.

Interpretazione complessiva

 Il testo è diviso in dodici strofe formate da un numero variabile di versi non riconducibili a una precisa forma metrica,
per cui si parla di "prosa ritmica". Non c'è un vero e proprio schema della rima e accanto a rime perfette (vv. 10-11,
12-14, 31-32) vi sono numerose assonanze (vv. 1-2 ore/-one e 5-9 ure/-ore, ole/-one). L'andamento ritmico ricorda
quello dei cantici biblici e ciò avvalora l'ipotesi che il testo fosse destinato alla lettura come momento liturgico e di
preghiera.

 La lingua è il volgare umbro parlato da Francesco, testimoniato dalle molte terminazioni in -u, ma molte parole
hanno una grafia latineggiante, come honore e benedictione, tucte e cum, et, pretiose. È molto discusso il significato
della preposizione per ripetuta varie volte nel Cantico, anche se probabilmente significa "per mezzo di", "grazie a"
(Dio è lodato attraverso tutti gli elementi del creato).

 La lauda è perfettamente equilibrata: dopo un primo inno alla potenza del Signore (vv. 1-4) segue l'elenco degli
elementi del creato che devono concorrere alla lode di Dio, a cominciare dagli astri (sole, luna e stelle vv. 5-11) per
poi citare i quattro elementi naturali, ovvero l'aria come vento (vv. 12-14) l'acqua (vv. 15-16), il fuoco (vv. 17-19),
la terra (vv. 20-22); ciascuno dei quali è visto come qualcosa che fornisce agli uomini ciò di cui hanno bisogno per
vivere (l'acqua dà sustentamento alle creature, il fuoco illumina la notte, la terra ci sustenta et governa). L'ultima
parte sposta l'attenzione sull'uomo e sulla sua natura mortale, per cui sono benedetti coloro che sopportano con
pazienza le infermità fisiche e muoiono in grazia di Dio, poiché la morte secunda (la morte dell'anima) non potrà
danneggiarli. I versi finali sembrano dissonanti col resto del componimento, poiché la gioiosa contemplazione del
creato non può andare disgiunta dal timore del giudizio divino e dal rischio della dannazione eterna.
Il Cantico delle creature si diffuse intorno al 1220, gli anni in cui nasce Dante. Il testo è di destinazione
popolare e deve essere cantato dai fedeli: per questo c’è la ripetizione di alcuni sintagmi che diventano una
sorta di ritornello. Il testo è inoltre destinato all’oralità e dovrà essere imparato a memoria dai fedeli.
Francesco esalta tutte le creature viventi allo scopo di laudare il signore. Il testo è semplice e ha una lingua
altrettanto semplice, dipesa dal livello socio culturale di Francesco. Se Francesco vuole parlare ai cristiani,
deve dunque parlare una lingua culturalmente chiara ai cristiani stessi, riferendosi alle scritture sacre.

Il suo ordine religioso subirà una trasformazione dopo la sua morte, con una scissione tra conventuali e
spirituali. Questa suddivisione è importante perché la poesia religiosa si sviluppa nell’ordine degli spirituali,
poiché collegati ad una concezione itinerante del cristianesimo e legati alla necessità di attraversare il paese
e portare con sé i canti religiosi per diffonderli.

Jacopone da Todi è della generazione successiva a San Francesco D’Assisi. Egli vive nel borgo di Todi e fa
l’amministratore, dunque è interessato solo alla vita mondana e al denaro. In seguito ad un incidente, che
porterà alla morte di sua moglie, Jacopone scopre che essa era profondamente religiosa. Egli la costringeva
ad una vita mondana e peccaminosa, e dunque la donna si auto puniva con il cilicio per tentare di
raggiungere il paradiso. Jacopone decide così di entrare a far parte degli spirituali, differenziandosi da
quest’ultimi proprio a causa della sua vita passata. Alcune delle sue laudi più famose sono dedicate a se
stesso e a Papa Celestino V, il quale sarà incapace di proseguire le sue cariche e trasferirà il potere papale a
Bonifacio VIII, papa che sarà definito sia da Dante che dallo stesso Jacopone come un diavolo piuttosto che
un papa.

Jacopone realizza una serie di laude, definendolo per la prima volta un genere letterario.

La lauda è una ballata, la quale somiglia molto alla canzone con la differenza che la ballata ha un ritornello
chiamato “ripresa”. Esiste dunque una strofa ed una ripresa di quest’ultima che fa da chiosa e da cenno di
comprensione delle strofe precedenti (esempio: l’amen).

“Donna de Paradiso” di Jacopone da Todi

È il più celebre testo di Jacopone e uno dei primi esempi di "lauda drammatica" in quanto propone un dialogo tra più
personaggi sulla crocifissione di Cristo. Essi sono: Maria, addolorata per il martirio del proprio figlio; Gesù stesso; la folla degli
ebrei e un fedele che descrive le fasi del supplizio, probabilmente l'apostolo Giovanni. Il mistero dell'incarnazione di Cristo è
espresso attraverso la pena della madre per le sofferenze a Lui inflitte, per cui il racconto della Passione diventa un dramma
concreto e naturalissimo accentuato dal movimento drammatico delle voci che si susseguono.
«Donna de Paradiso, Fedele: «Donna del cielo, tuo figlio, Gesù Cristo beato, è catturato.
lo tuo figliolo è preso
Iesù Cristo beato.

Accurre, donna e vide Accorri, donna e vedi che la gente lo colpisce; credo che lo stiano
5 che la gente l’allide; uccidendo, tanto lo hanno flagellato.»
credo che lo s’occide,
tanto l’ò flagellato».

«Come essere porria, Maria: «E come potrebbe essere che abbiano catturato Cristo, la mia
che non fece follia, speranza, visto che non ha commesso peccato?»
10 Cristo, la spene mia,
om l’avesse pigliato?».
Fedele: «Madonna, egli è stato tradito; Giuda l'ha venduto, avendone
«Madonna, ello è traduto, in cambio trenta denari; ne ha tratto un gran guadagno».
Iuda sì ll’à venduto;
trenta denar’ n’à auto,
15 fatto n’à gran mercato».
Maria: «Aiutami, Maddalena, mi è arrivata addosso la pena! Mio figlio
«Soccurri, Madalena, Cristo è portato via, come è stato annunciato».
ionta m’è adosso piena!
Cristo figlio se mena,
como è annunzïato».
Fedele: «Soccorrilo, donna, aiutalo, poiché sputano addosso a tuo
20 «Soccurre, donna, adiuta, figlio e la gente lo sta portando via; lo hanno consegnato a Pilato».
cà ’l tuo figlio se sputa
e la gente lo muta;
òlo dato a Pilato».
Maria: «O Pilato, non fare torturare mio figlio, poiché io ti posso
«O Pilato, non fare dimostrare che è accusato a torto».
25 el figlio meo tormentare,
ch’eo te pòzzo mustrare
como a ttorto è accusato». Folla: «Crocifiggilo, crocifiggilo! Un uomo che si proclama re, secondo
la nostra legge, contravviene ai decreti del senato».
«Crucifige, crucifige!
Omo che se fa rege,
30 secondo la nostra lege
contradice al senato». Maria: «Vi prego di ascoltarmi, pensate al mio dolore! Forse ora
cambiate idea rispetto a ciò che avete pensato».
«Prego che mm’entennate,
nel meo dolor pensate!
Forsa mo vo mutate
35 de que avete pensato». Folla: «Tiriamo fuori [liberiamo] i ladroni, che siano suoi compagni di
pena; lo si incoroni di spine, visto che si è proclamato re!».
«Traiàn for li latruni,
che sian soi compagnuni;
de spine s’encoroni, Maria: «O figlio, figlio, figlio, figlio, giglio amoroso! Figlio, chi dà
ché rege ss’è clamato!». conforto al mio cuore angosciato?

40 «O figlio, figlio, figlio,


figlio, amoroso giglio!
Figlio, chi dà consiglio Figlio dagli occhi che danno gioia, figlio, perché non mi rispondi? Figlio,
al cor me’ angustïato? perché ti nascondi dal petto dove sei stato allattato?».

Figlio occhi iocundi,


45 figlio, co’ non respundi?
Figlio, perché t’ascundi Fedele: «Madonna, ecco la croce che è portata dalla folla, ove Cristo
al petto o’ si lattato?». (la vera luce) dovrà essere sollevato».

«Madonna, ecco la croce,


che la gente l’aduce,
50 ove la vera luce Maria: «Croce, cosa farai? Prenderai mio figlio? E di cosa lo accuserai,
déi essere levato». visto che non ha commesso alcun peccato?».

«O croce, e que farai?


El figlio meo torrai?
E que ci aponerai, Fedele: «Soccorrilo, o tu che sei piena di dolore, poiché il tuo figliolo è
55 che no n’à en sé peccato?». spogliato; sembra che la folla voglia che sia martirizzato».

«Soccurri, plena de doglia,


cà ’l tuo figliol se spoglia; Maria: «Se gli togliete i vestiti, lasciatemi vedere come lo hanno tutto
la gente par che voglia insanguinato, infliggendogli crudeli ferite».
che sia martirizzato».

60 «Se i tollit’el vestire,


lassatelme vedere, Fedele: «Donna, gli hanno preso una mano e l'hanno stesa su un
com’en crudel firire braccio della croce; l'hanno spaccata con un chiodo, tanto gliel'hanno
tutto l’ò ensanguenato». conficcato.

«Donna, la man li è presa,


65 ennella croc’è stesa; Gli prendono l'altra mano e la stendono sull'altro braccio della croce, e
con un bollon l’ò fesa, il dolore brucia, ancora più accresciuto.
tanto lo ’n cci ò ficcato.

L’altra mano se prende, Donna, gli prendono i piedi e li inchiodano al legno; aprendogli ogni
ennella croce se stende giuntura, lo hanno tutto slogato».
70 e lo dolor s’accende,
ch’è plu multiplicato.

Donna, li pè se prènno Maria: «E io inizio il lamento funebre; figlio, mia gioia, figlio, chi ti ha
e clavellanse al lenno; ucciso [togliendoti a me], figlio mio delicato?
onne iontur’aprenno,
75 tutto l’ò sdenodato».

«Et eo comenzo el corrotto; Avrebbero fatto meglio a strapparmi il cuore, visto che è posto
figlio, lo meo deporto, anch'esso in croce e sta lì straziato!».
figlio, chi me tt’à morto,
figlio meo dilicato?

80 Meglio aviriano fatto Cristo: «Mamma, dove sei venuta? Mi infliggi una ferita mortale,
ch’el cor m’avesser tratto, poiché il tuo pianto, che vedo così angosciato, mi uccide».
ch’ennella croce è tratto,
stace descilïato!».
Maria: «Figlio, io ne ho ben ragione, figlio, padre e marito! Figlio, chi ti
«O mamma, o’ n’èi venuta? ha ferito? Figlio, chi ti ha spogliato?».
85 Mortal me dà’ feruta,
cà ’l tuo plagner me stuta,
ch’el veio sì afferato».
Cristo: «Mamma, perché ti lamenti? Voglio che tu rimanga qui, che
«Figlio, ch’eo m’aio anvito, assisti i miei compagni che ho acquistato nel mondo».
figlio, pat’e mmarito!
90 Figlio, chi tt’à firito?
Figlio, chi tt’à spogliato?».
Maria: «Figlio, non dire questo! Voglio morire con te, non voglio
«Mamma, perché te lagni? andarmene finché mi esce ancora voce.
Voglio che tu remagni,
che serve mei compagni,
95 ch’êl mondo aio aquistato». Possiamo noi avere un'unica sepoltura, figlio di mamma infelice,
trovandoci nella stessa sofferenza, madre e figlio ucciso!».
«Figlio, questo non dire!
Voglio teco morire,
non me voglio partire
fin che mo ’n m’esc’ el fiato. Cristo: «Mamma col cuore afflitto, ti affido nelle mani di Giovanni, il
mio discepolo prediletto; sia tuo figlio acquisito.
100 C’una aiàn sepultura,
figlio de mamma scura,
trovarse en afrantura
mat’e figlio affocato!». Giovanni, ecco mia madre: prendila con affetto, abbine pietà, poiché
ha il cuore così trafitto».
«Mamma col core afflitto,
105 entro ’n le man’ te metto
de Ioanni, meo eletto;
sia to figlio appellato. Maria: «Figlio, l'anima ti è uscita dal corpo, figlio della smarrita, figlio
della disperata, figlio avvelenato [ucciso]!
Ioanni, èsto mea mate:
tollila en caritate,
110 àginne pietate,
cà ’l core si à furato». Figlio bianco e rosso, figlio senza pari, figlio, a chi mi rivolgo? Mi hai
davvero abbandonata!
«Figlio, l’alma t’è ’scita,
figlio de la smarrita,
figlio de la sparita, Figlio bianco e biondo, figlio dal volto gioioso, figlio, perché il mondo ti
115 figlio attossecato! ha così disprezzato?

Figlio bianco e vermiglio,


figlio senza simiglio,
figlio, e a ccui m’apiglio? Figlio dolce e bello, figlio di una donna addolorata, figlio, la gente ti ha
Figlio, pur m’ài lassato! trattato in malo modo.

120 Figlio bianco e biondo,


figlio volto iocondo,
figlio, perché t’à el mondo, Giovanni, figlio acquisito, tuo fratello è morto. Ora sento il coltello [la
figlio, cusì sprezzato? pena del martirio] che fu profetizzato.

Figlio dolc’e placente,


125 figlio de la dolente,
figlio àte la gente Che la madre muoia insieme al figlio, afferrati dalla stessa morte,
mala mente trattato. trovandosi abbracciati, madre e figlio entrambi crocifissi!»

Ioanni, figlio novello,


morto s’è ’l tuo fratello.
130 Ora sento ’l coltello
che fo profitizzato.

Che moga figlio e mate


d’una morte afferrate,
trovarse abraccecate
135 mat’e figlio impiccato!».

Interpretazione complessiva

 Il testo ha la forma metrica di una ballata di versi settenari. Sono presenti rime siciliane : vv. 1-2 (Paradiso/preso),
vv. 28-29 (crucifige/rege), vv. 37-38 (compagnuni /encoroni), vv. 48-49 (croce/aduce), vv. 60-61 (vestire/vedere),
vv. 104-105 (afflitto/metto). Una rima imperfetta è ai vv. 76-77 corrotto/deporto.

 La passione di Cristo è rappresentata nella sua crudezza e nella sua umanità, poiché Gesù è mostrato come un uomo
che soffre e il cui corpo è flagellato e sottoposto a crudeli ferite. Altrettanto umana la figura della Madonna, il cui
dolore è quello di una madre che soffre a vedere il figlio torturato senza colpa. Nelle prime strofe la sua voce si
alterna a quella di un fedele (forse San Giovanni, a cui Cristo affida la madre alla fine del testo) che descrive i
momenti più strazianti del martirio e invita Maria a soccorrere il figlio. Interviene poi la voce della folla che incita alla
crocifissione, secondo lo stereotipo medievale del popolo ebreo.

 Il testo si compone di 33 quartine che corrispondono agli anni di Cristo quando venne crocifisso, mentre la
descrizione del suo corpo inchiodato alla croce si concentra nelle tre strofe centrali del componimento (vv. 64-75).

 La prima parte della lauda contiene soprattutto la descrizione della Via crucis con le urla della folla e gli oltraggi al
corpo di Gesù, mentre la seconda parte contiene il dolore di Maria, che si abbandona a un lamento commovente e
straziante: la Vergine si rivolge direttamente al figlio, sottolinea la sua innocenza e ne fa l'elogio con una serie di
epiteti esornativi ("figlio", "bianco e vermiglio", "bianco e biondo", "volto iocondo"). Il suo dolore è quello di una
donna che vede il figlio morire e vorrebbe essere uccisa insieme a lui, mente alla fine resta piangente ai piedi della
croce.

La lauda è diventata famosa perché racconta un tema caro agli spirituali: l’adorazione di Cristo e della
Madonna. La “donna de paradiso” è chiaramente la Madonna, che si trova al cospetto del figlio sulla croce
e che prova a consolarsi per la morte del figlio. La cosa singolare è che la lauda è drammatizzata e
drammatizzabile: costruisce il racconto della crocifissione e della validità di questo processo in quanto
liberazione dai peccati.

Al tempo di Jacopone si aveva difficoltà nella scelta di una lingua e nella scelta delle parole: infatti ci sono
parole latine particolarmente note al pubblico volgare, ma che non hanno corrispondenza nel parlato
volgare. Siamo infatti in un momento in cui non abbiamo una produzione drammatica volgare, ma essa
nascerà successivamente proprio prendendo quest’ultima come esempio.

Il testo è un dialogo condotto sulla base del climax ascendente: parte da una vicenda sentimentalmente
contenuta e controllata e arriverà alla disperazione della donna. Dopo la disperazione la donna diventerà
interprete del messaggio di suo figlio e farà di Giovanni suo protetto. Jacopone fa ricorso alla poesia
dell’innografia e delle visioni, ed elabora uno stile di scrittura drammatico soprattutto nel dialogo tra i
personaggi.

Dante risente dell’influenza della poesia sacra che l’ha preceduto. Egli vuole scrivere un poema sacro, infatti
la lauda jacoponica deve aver contribuito anche soltanto all’attribuzione del titolo dell’opera. Il riferimento
al testo stesso sarà sempre quello di Testo Sacro, con l’accezione di commedia solo all’interno dei canti
dell’Inferno.

- Un poema sacro non può essere scritto in latino, e dunque sarà necessario utilizzare un volgare degno
come lo è l’argomento trattato.

- Il poema sacro non deve risultare frammentario, e dunque Dante ha bisogno di un genere da usare in
lunga percorrenza.

- Non può usare uno stile aulico e di conseguenza non può usare uno stile tragico perché per Aristotele lo
stile tragico è equiparato allo stile sublime, ossia quello più alto.

- Non può usare un registro elevato perché è destinato ad un pubblico di fedeli.

- Non può usare nemmeno un linguaggio rozzo e colloquiale perché il poema è sacro.

Secondo Aristotele lo stile che va meglio è quello della commedia, in quanto ha una metrica piana e un
linguaggio medio. Fu per questo che Dante decise di parlare del suo testo come commedia.

Per quanto riguarda il titolo subentra il primo lettore dell’opera, Boccaccio. Egli copiò l’opera tre volte e
inaugurò la lettura delle poesie di Dante in Chiesa, citando proprio all’interno di una di queste letture
l’aggettivo “Divina”: “Divina” perché l’argomento era divino e perché l’opera aveva delle caratteristiche
“divine e soprannaturali” rispetto alle altre opere.

Dante inizia a scrivere l’Inferno tra il 1304 e il 1305, gli anni dell’esilio. Prosegue a scrivere il Purgatorio
intorno al 1316 e termina scrivendo il Paradiso intorno al 1317 fino agli ultimi anni di vita. L’esilio fa sentire
Dante un uomo inutile, e ciò porta ad un cambiamento biografico che Dante immagina essere avvenuto a
metà della sua vita, ossia intorno ai 35 anni.

Quando parliamo di commedia dobbiamo fare una distinzione tra autobiografia e autobiografismo.

Dante ci vuole far credere di star scrivendo un’autobiografia allegorica, impostando se stesso come primo
personaggio tramite l’utilizzo dell’io. Ma in realtà, egli fa scivolare l’autobiografia nell’autobiografismo: i
riferimenti che troviamo di lui vanno a costruire il personaggio Dante e l’immagine che si vuole dare ai
lettori.

Il primo personaggio di questo viaggio ultraterreno iniziato nel 1300 è dunque Dante.

Il viaggio inizia l’8 aprile del 1300, va avanti per tre settimane e si estende in tre luoghi.
- Il 1300 è l’anno del primo giubileo della Chiesa Cattolica e l’anno in cui Dante compie 35 anni, considerati
la metà della vita.

- L’8 aprile del 1300 è un venerdì santo.

- I tre luoghi sono Inferno, Purgatorio e Paradiso.

Egli compie questo viaggio da vivo così come fecero Ulisse ed Enea. Il lettore che pensa a questo
comprende che tramite il viaggio ultraterreno di Dante imparerà qualcosa, così come ha imparato qualcosa
dai viaggi dei due eroi precedentemente citati.

Il testo è suddiviso in 3 cantici: ogni cantica ha 33 cantiche, ad eccezione dell’Inferno che è composto da 34
canti in quanto il primo è un’introduzione a tutte le cantiche. La commedia è dunque costituita da 100
canti.

Se il 3 è un numero importante nella simbologia cristiana, lo sarà anche il 10: Dio per Aristotele è il primo
motore immobile, l’uno da cui si muove il tutto. Dall’uno si fa molteplice.

L’idea che emerge da questo viaggio di Dante è che l’uomo è imperfetto e può trovare la sua perfezione
soltanto nella religione.

L’uomo è imperfetto in quanto essere finito, e nella sua finitezza cerca di somigliare quanto più possibile
all’essere infinito quale è Dio. Egli sa già a cosa siamo destinati, ma ci lascia la possibilità di scegliere il
nostro cammino attraverso il libero arbitrio: sulla base delle strade scelte ci si può avvicinare o allontanare
al disegno di Dio.

- Avvicinamento a Dio = Paradiso.

- Strada di mezzo tra l’avvicinamento e l’allontanamento a Dio = Purgatorio.

- Allontanamento irreversibile da Dio = Inferno.

La vita rappresenta essa stessa un viaggio di purificazione ed un viaggio di esercitazione del libero arbitrio.

Quando Dante decide di raccontare questo viaggio pecca di presunzione, in quanto si pone al livello di Dio
descrivendo i tre regni e presentando una serie di personaggi che colloca in uno dei tre luoghi a seconda
delle loro colpe.Tuttavia, questo viaggio gli è concesso da Dio per l’eccessiva benevolenza nei suoi
confronti.
Comprenderemo successivamente che è grazie all’amore che Dante prova per Beatrice, la quale
rappresentala fede e la teologia. Però Beatrice verrà collocata tra i beati, non potendo guidare Dante
nell’Inferno. Interverrà dunque un’altra figura, Virgilio, che rappresenta la sapienza e la scienza.

L’uomo può essere ragionevole e sapiente ma ha comunque bisogno della fede per comprendere ciò che lo
circonda e che non può comprendere con la ragione, ossia la morte).

Secondo Dante, l’Inferno è una cavità sotterranea la cui porta si trova nei pressi di Gerusalemme. Esso si
sviluppa verticalmente fino al centro della Terra, dove Lucifero è stato “conficcato” da Dio stesso in seguito
alla sua ribellione. Il Purgatorio è invece suddiviso in sette cornici, nelle quali si espiano i sette peccati
capitali: superbia, invidia, ira, accidia, avarizia, gola e lussuria.

Il fine di questo viaggio è la purificazione tramite il passaggio da Beatrice a San Bernardo, avvicinandosi
ancora di più a Dio. Solo attraverso l’esperienza del peccato e l’allontanamento da esso si raggiunge la
purificazione.

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