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9.

Sicurezza nei Reattori


Tutti i processi industriali, compreso l’esercizio di centrali elettriche di potenza, hanno in sé dei rischi e perciò
necessitano di misure di sicurezza.

I reattori contengono materiali radioattivi che potrebbero essere rilasciati nell’ambiente se le barriere di
sicurezza cedessero.

La sicurezza deve essere prevista nel progetto degli impianti e nel loro esercizio.

Essa richiede schermaggi contro le radiazioni ionizzanti, chiusura ermetica dei prodotti di fissione altamente
radioattivi nel reattore, controllo effettivo dei processi dinamici e della capacità di raffreddamento che deve
sempre essere adeguata all’asporto del calore generato.

I requisiti di sicurezza differiscono per i diversi tipi di reattori, ma i principi fondamentali sono gli stessi per
tutti i reattori di potenza.

Difatti, ciascuna installazione nucleare deve dimostrare che nessun limite permesso di rilascio radioattivo
sarà superato non solo il normale esercizio ma anche in caso di comportamenti anomali o addirittura
incidentali.

La priorità è dedicata a prevenire guasti, piuttosto che a mitigare le loro conseguenze, ed il progetto deve
anche considerare il caso in cui l’incidente dovesse accadere.

Ciò richiede il più alto grado possibile di garanzia di qualità applicato ad ogni sistema e componente, dal
montaggio dell’impianto al suo normale funzionamento.

Caratteristiche di sicurezza intrinseca e misure di sicurezza sono adottate per prevenire e controllare ogni
concepibile incidente e assicurare il contenimento, o quanto meno minimizzare il rilascio, dei materiali
radioattivi.

Contrariamente alla generazione di potenza con combustibili fossili, non occorre aumentare la quantità di
combustibile per crescere il livello di potenza prodotta da una reazione a catena di fissione.

Una volta che si è innescato un aumento di potenza, esso continua finché non è fermato da un’appropriata
inserzione di reattività negativa, condizione che porta a una diminuzione di potenza.

Tale livello di potenza per fissioni può crescere in maniera rapida ed esponenziale:

infatti, se non si fa nulla per bloccarla, questa crescita può portare ad una rapida distruzione del reattore,
come accadde il 26 aprile 1986 a Chernobyl, in Ucraina.

I principi di sicurezza nucleare, dunque, richiedono un accurato esame di tutte le circostanze che potrebbero
portare al surriscaldamento del combustibile, al suo danneggiamento e al rilascio di materiale radioattivo.

8.1 Caratteristiche di Sicurezza dei Reattori

Per proteggere un impianto nucleare vi sono tre generi di sicurezza:

- Sistemi a sicurezza intrinseca:


- Sistemi passivi;
- Sistemi attivi.

Questi possono essere impiagati in varie combinazioni fra loro, con grande prevalenza, nel passato, dei
sistemi attivi.

Le caratteristiche di sicurezza intrinseca, che differiscono fra loro per adattarsi a diversi tipi di reattore,
impiegano leggi di natura per mantenere l’impianto in condizioni sicure:

cioè questi sistemi lavorano da soli anche per fronteggiare certi transitori e situazioni incidentali.

Ad esempio, molti reattori hanno un coefficiente di reattività di temperatura negativo, cioè ogni aumento di
temperatura causato da un eccesso di potenza innesca una riduzione di potenza almeno equivalente.

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Questa controreazione naturale automaticamente limita l’escursione di potenza, e può perfino provocare uno
spegnimento del reattore (la mancanza della controreazione naturale a bassi livelli di potenza e l’assenza di
un sistema di spegnimento rapido è stata una delle cause principali dell’incidente di Chernobyl).

Altri esempi sono la caduta delle barre di controllo per spegnere il reattore sotto l’effetto della gravità o
l’impiego dell’energia di pressione accumulata in serbatoi pressurizzati di emergenza, per refrigerare il
nocciolo.

Nessun reattore di potenza commerciale, finora costruito, impiega solo sistemi di sicurezza intrinseci e
passivi per controllare ogni tipo di incidente.

Tutti richiedono anche sistemi attivi.

Questi necessitano di segnali per essere attivati e di potenza per agire, funzioni che richiedono entrambe
generalmente l’alimentazione di energia elettrica.

I sistemi intrinsechi e passivi non sono necessariamente superiori ai sistemi attivi.

Ciò vuol dire che la sicurezza degli impianti nucleari sinora costituiti è generalmente assicurata da una
buona combinazione di questi tre tipi di sistemi, piuttosto che da una scelta unica fra essi.

In ogni attività tecnica, ovviamente, esistono fattori umani che possono agire in maniera negativa, compresi
errori involontari e deliberate azioni di sabotaggio.

8.2 Struttura della sicurezza dei reattori

Scopo fondamentale nella sicurezza degli impianti nucleari è quello di mantenere l’integrità delle barriere
multiple.

Questo è possibile attraverso l’approccio cosiddetto di ‘’difesa in profondità’’, che è caratterizzato da tre livelli
di misure di sicurezza:

- Primo livello: misure preventive –


Queste sono organizzate per prevenire ogni evento che possa portare a incidenti:
 Caratteristiche di sicurezza intrinseca, fondate su leggi di natura per entrare in azione, che
sono incluse nel progetto per stabilizzare e limitare la potenza del reattore;
 Componenti e strutture realizzati con materiali le cui proprietà fisiche ben note e comprovate
da esperienza pratica;
 Margini di sicurezza già compresi nel progetto di sistemi e componenti;
 Sistemi e componenti verificati e ispezionati durante la costruzione a regolari intervalli,
nonché conveniente mantenuti durante l’esercizio dell’impianto;
 Strumentazione e controlli tali da garantire che gli operatori abbiano costantemente
cognizione e controllo dello stato operativo dell’impianto e dei suoi sistemi.
Vi sono altre misure preventive di carattere istituzionale, piuttosto che fisico:
 Un’approfondita valutazione di sicurezza viene eseguita per ogni impianto nucleare;
 Deficienze e rotture riscontrate durante la costruzione e l’esercizio dell’impianto sono
registrate, analizzate e comunicate a progettisti e operatori di altri impianti, così che queste
possano essere evitate in futuro;
 Gli operatori sono addestrati ed esaminati prima di ricevere le loro licenze e quindi
regolarmente riaddestrati;
 Una metodologia di garanzia di qualità è seguita attraverso il progetto, la costruzione e
l’esercizio dell’impianto.
Questo significa che una procedura di ispezione indipendente, di prove e contro-prove e
relativa documentazione, è impiegata per assicurare che tutti i sistemi e componenti
entreranno soddisfacentemente in servizio.

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- Secondo livello: misure protettive –
Per fermare e fronteggiare gli incidenti.
Nonostante la cura presa nel primo livello per evitare guasti o errori operativi che potrebbero creare
problemi di sicurezza, si accetta che possano verificarsi imprevisti durante la vita dell’impianto.
Pertanto, tutti i guasti immaginabili sono ipotizzati ed un secondo livello di difesa è organizzato con
misure protettive, progettate per bloccare le catene incidentali prima di arrivare a guai seri.
Alcune misure protettive sono:

 Un sistema di spegnimento del reattore (scram) molto rapido, pe fermare la reazione a


catena se i criteri di sicurezza non sono soddisfatti;
 I sistemi generatori di vapore (NSSS, Nuclear Steam Supply System) devono essere protetti
contro eccessi di pressione dovuti al malfunzionamento di valvole di sfioro-sicurezza;
circuiti di blocco devono essere inseriti per fermare le conseguenze di errori dell’operatore;
 Le funzioni vitali di sicurezza devono essere monitorate e avviate in maniera completamente
automatica per minimizzare la possibilità di errore umano;
livelli di radiazione, e rilasci di radioattività sono continuamente misurati e controllati in modo
tale da non superare i relativi limiti ammissibili.

- Terzo livello: misure mitigative –


Queste sono progettate per limitare le conseguenze di incidenti, qualora questi si verificassero
nonostante le misure preventive e protettive.
Esse includono sistemi che possono anche operare al secondo livello.
Alcuni esempi sono:

 I sistemi di refrigerazione di emergenza del nocciolo sono progettati per fronteggiare gli
effetti di inadeguatezza della normale refrigerazione, per esempio in seguito a una perdita di
refrigerante;
 Sistemi di emergenza molto affidabili per il circuito acqua di alimento sono inseriti per
garantire l’asporto di calore dall’impianto e refrigerarlo per un tempo adeguato;
 Se i sistemi ausiliari di alimentazione elettrica dovessero fallire vi sarebbero altri sistemi
ridondanti e diversificati che garantiscono l’alimentazione elettrica ai sistemi di sicurezza;
 Il sistema di contenimento esterno per prevenire ogni rilascio di radioattività in seguito ad un
incidente;
 Pianificazione delle emergenze interne ed esterne alla centrale, per salvaguardare operatori
e popolazione.

La sicurezza nucleare dipende quindi, non solo da fattori scientifici e tecnici;

in una comunità scientificamente aperta, con uno scambio libero e internazionale di conoscenze, esperienze
e ritorni di informazioni, dopo ogni malfunzionamento o incidente.

Inoltre, la sicurezza nucleare è primariamente assicurata non da leggi e regolamenti, ma da un responsabile


progetto ed esercizio dell’impianto.

Il lavoro deve essere pianificato e controllato sistematicamente, con revisioni e approvazioni apposite da
parte della gerarchia responsabile.

8.3 Decommissioning

Gli impianti nucleari, al termine del periodo di esercizio programmato, oppure a seguito di incidenti che ne
precludono l’ulteriore esercizio, debbono essere ‘’chiusi’’, ‘’disattivati’’, ‘’smantellati’’ in forma più o meno
completa.

Il decommissioning di un impianto nucleare può essere definito come l’insieme delle azioni intraprese al
termine dell’esercizio di un impianto nucleare.

Essa costituisce la fase di declassamento, decontaminazione e smantellamento dell’impianto nucleare e


l’obiettivo di giungere alla demolizione dello stesso, nonché alla rimozione di ogni vincolo dovuto alla
presenza di materiali radioattivi nel sito.

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Per poter raggiungere tale obiettivo occorre procedere attraverso le seguenti fasi:

- Sistemazione del combustibile nucleare esaurito presente sull’impianto;


- Trattamento, condizionamento ed avvio al deposito dei rifiuti radioattivi precedentemente accumulati
in fase di esercizio;
- Decontaminazione e smantellamento delle apparecchiature, degli impianti e degli edifici;
- Trattamento, condizionamento ed avvio al deposito (se radioattivi) o allo smaltimento per via
ordinaria dei materiali derivanti dalle operazioni di smantellamento;
- Caratterizzazione, riqualificazione e rilascio del sito per altri usi.

Le attività di decommissioning sono finalizzate a porre l’impianto di una condizione tale da salvaguardare la
salute e la sicurezza della popolazione e dell’ambiente, nonché quella dei lavoratori che effettuano
materialmente il decommissioning.

Non solo, altre finalità del decommissioning sono:

- Ottenere la disponibilità del sito per altre finalità;


- Effettuare l’eventuale recupero dei componenti;
- Attuare il riciclaggio e il riutilizzo dei materiali;
- Consentire la rimozione di alcuni o di tutti i controlli normativi applicati al sito nucleare.

Ovviamente, l’obiettivo principale è il raggiungimento di una situazione finale stabile dal punto di vista
tecnico, sociale e finanziario, caratterizzata dal massimo grado di protezione dei lavoratori, della popolazione
e dell’ambiente.

Il fine ultimo delle attività di decommissioning è il ripristino del sito in condizioni tali da consentire il rilascio
per l’eventuale riutilizzo senza restrizioni.

8.3.1 Il ciclo di vita di un impianto nucleare

Ai fini del decommissioning, le installazioni nucleari possono essere così classificate:

- Impianti nucleari per la produzione di energia elettrica;


- Reattori di ricerca, sperimentali o per la produzione di radioisotopi;
- Impianti di fabbricazione del combustibile;
- Impianti di riprocessamento del combustibile esaurito;
- Laboratori sperimentali connessi al ciclo del combustibile;
- Celle calde per attività su materiali attivati, contaminati o radioisotopi.

Il decommissioning costituisce la fase finale del ciclo di vita di un impianto nucleare.

Tale ciclo di vita è schematizzabile nelle seguenti fasi:

- Progettazione e procedura di autorizzazione;


- Costruzione;
- Collaudo degli impianti;
- Esercizio;
- Decommissioning;
- Gestione dei rifiuti radioattivi del decommissioning.

La prima di queste fasi, quella progettuale, si articola in tre stadi successivi:

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- Progetto concettuale o di massima;
- Preparazione del rapporto preliminare di sicurezza – ottenuto del nulla-osta;
- Progetti particolareggiati.

Il primo stadio riguarda il progetto concettuale o progetto di massima dell’impianto.

In essi sono definiti:

- I criteri generali di progetto che si intendono adottare, specialmente per le parti di impianto rilevanti
dal punto di vista della sicurezza;
- La normativa che si intende seguire nel progetto delle varie parti di impianto;
- Le caratteristiche generali del sito, dal punto di vista geotecnico, sismico e dello smaltimento del
calore del condensatore;
- Le scelte fondamentali sul lay-out degli edifici, gli accessi ed i percorsi, in relazione sia ad esigenze
di sicurezza che di esercizio e manutenzione.

Il secondo stadio inizia con la preparazione del rapporto preliminare di sicurezza.

Questo stadio richiede principalmente:

- La caratterizzazione del sito dal punto di vista geotecnico, sismico, idrologico, meteorologico,
consentendo di definire gli eventi naturali avversi da prendere in considerazione nel progetto
dell’impianto;
- La valutazione dell’impatto dell’impianto sull’ambiente circostante in condizioni di normale esercizio
e la verifica del rispetto degli obiettivi prefissati;
- Di stabilire i requisiti ed i criteri base di progetto per le strutture, i sistemi ed i principali componenti
dell’impianto;
- Di eseguire un’analisi della risposta dell’impianto a fronte di possibili malfunzionamenti e verificare,
nell’ipotesi di un danno al combustibile.

Al termine di tale stadio, ottenuto il parere dell’autorità di controllo, con le relative prescrizioni, è rilasciato il
nulla-osta alla costruzione.

Il terzo stadio inizia con la preparazione dei singoli progetti particolareggiati dei sistemi e delle strutture
rilevanti ai fini della sicurezza e della radioprotezione, da sottoporre all’autorità di controllo.

Si tratta dello stadio in cui il progetto concettuale dei suddetti sistemi viene ‘’congelato’’, in cui cioè per questi
sistemi sono concretamente definiti:

- Le finalità, i requisiti, i criteri di progetto e la normativa adottata;


- La collocazione fisica e funzionale nel complesso dell’impianto;
- Gli obiettivi di affidabilità;
- I metodi di calcolo e verifica;
- I requisiti di accessibilità e manutenzione;
- Il programma di garanzia della qualità.

Al termine della fase progettuale inizia la fase di costruzione.

Essa si articola nei seguenti stadi:

- Approvvigionamento;
- Fabbricazione in officina;
- Costruzione in sito delle opere e degli edifici che ospiteranno i sistemi di impianto;
- Montaggi in sito.

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L’approvvigionamento è una fase molto importante nella realizzazione dell’impianto sotto il profilo tecnico-
economico.

Essa comprende una serie di attività che riguardano le ordinazioni dei macchinari e delle apparecchiature,
nonché gli appalti dei lavori, quelle opere civili ed idrauliche, montaggi meccanici ed elettrici.

Dopodiché di ha la fase di fabbricazione in officina:

la fabbricazione dei principali componenti di un impianto nucleare richiede spesso attrezzature tecniche non
comuni in ambito industriale.

Le tecniche di fabbricazione non sono usuali, visto che vanno dall’impiego di acciai speciali, alla sagomatura
di lamiere di notevole spessore, alle lavorazioni su torni verticali giganti e sono spesso richiesti mezzi
industriali notevoli e un elevato grado di precisione nelle lavorazioni.

Lo stadio successivo è quello della costruzione in sito delle opere e degli edifici.

L’ultimo stadio è costituito dai montaggi in sito.

Con tale termine si indica l’insieme delle operazioni necessarie per la messa in opera dei componenti
meccanici ed elettrici.

Mentre l’installazione dei componenti della parte più convenzionale della centrale nucleare come la turbina,
l’alternatore, gli scambiatori di calore, le pompe, le tubazioni, i motori, i trasformatori, non pone particolari
problemi di messa in opera.

L’edificio reattore presenta dei problemi per quanto concerne il peso unitario e le dimensioni di alcuni
componenti.

La fase successiva a quella di costruzione è rappresentata dalla fase di collaudo dell’impianto.

Tale fase si estrinseca nelle attività di prove di avviamento all’esercizio dell’impianto.

Tali prove rappresentano la verifica sperimentale delle prestazioni di ciascun componente e sistema e quindi
dell’intero impianto.

Le prove che vengono effettuate sull’impianto si distinguono in prove non nucleari e prove nucleari.

L’ultima fase, che precede l’entrata in servizio dell’impianto, è quella delle prove nucleare, appena citata,
cioè delle prove effettuate con il combustibile nel reattore in condizioni praticamente simili a quelle effettive di
esercizio.

Durante tali prove, si arriva a una fermata programmata, al fine di effettuare messe a punto rilevatesi
necessarie durante le prove, l’impianto verrà riavviato per raggiungere gradualmente la piena potenza.

L’esito soddisfacente delle prove nucleari, i cui risultati consentono di estrapolare il comportamento
dell’impianto anche in condizioni fortemente critiche, rappresenta l’ultimo presupposto per l’ottenimento della
licenza di esercizio.

Al termine delle prove nucleari (in caso di esito favorevole) è approvato il regolamento di esercizio.

Alla fase di collaudo segue la fase di esercizio.

È questa la fase che costituisce la vera e propria vita operativa dell’impianto.

Gli impianti nucleari sono progettati per operare per un certo periodo di tempo, solitamente 40 anni (che può
arrivare fino a 60 anni nel caso dei nuovi reattori di III generazione).

Al fine della fase di esercizio si posiziona la fase di decommissioning che prevede la decontaminazione e lo
smantellamento finale dell’impianto.

La IAEA (Agenzia internazionale per l'energia atomica) ha individuato e definito tre stadi di
decommissioning:

- Stadio 1: conservazione con sorveglianza dell’impianto (storage with surveillance);


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- Stadio 2: rilascio condizionato del sito (restricted site use);
- Stadio 3: rilascio incondizionato del sito (unrestricted site use).

Le definizioni IAEA, appena citate, dei tre stadi sono alquanto generiche e flessibili, in modo da consentire la
massima libertà di scelte tecniche ai responsabili delle operazioni del decommissioning.

Lo stadio 1 è noto anche col nome di ‘’custodia sorvegliata’’ 1.

L’impianto in tale stadio è mantenuto in condizioni sostanzialmente simili a quelle nelle quali si ritrova al
termine della sua vita utile.

In particolare, tale stadio presuppone una custodia in sicurezza dell’impianto per alcuni decenni, al fine di
consentire il decadimento naturale della radioattività.

I requisiti e le caratteristiche che un impianto deve avere per poter essere considerato nello stadio 1 sono i
seguenti:

1) Il combustibile è stato rimosso dal reattore e possibilmente dall’impianto;


2) Nell’impianto non sono presenti fluidi radioattivi di processo;
3) Nell’impianto operano sistemi atti a rendere minimi i rilasci incontrollati di radioattività verso l’esterno;
4) Sono stabilite le modalità di accesso alle varie zone dell’impianto ed è stata adottata la segnaletica
pertinente;
5) Sono attuate le modalità le modalità per conservare l’integrità nel tempo delle strutture e dei sistemi
utilizzati e/o utilizzabili durante il periodo di conservazione o che devono essere utilizzati per lo
smantellamento alla fine di tale periodo;
6) Sono attuati i piani di sorveglianza dell’impianto, del sito e dell’ambiente circostante;

Praticamente, dopo l’ultimo funzionamento dell’impianto si provvede ad un certo numero di azioni tra le quali:

- L’allontanamento del combustibile dal nocciolo del reattore o dall’impianto o se possibile, dal sito,
ottenendo così l’allontanamento del 99% circa della radioattività;
- L’allontanamento dei fluidi di processo e dei componenti e materiali contaminati di più facile
rimozione, compresi i rifiuti solidi.

L’allontanamento del combustibile esaurito dall’impianto è considerata un’azione preliminare all’inizio delle
attività di decommissioning.

Tale stadio dura di solito circa 5 anni.

Lo stadio 2 indentificato col nome ‘’rilascio parziale del sito’’.

In questo stadio intere parti di impianto sono state decontaminate ed eventualmente smantellate e rimosse.

L’edificio di contenimento potrebbe essere rimosso se non sono più ritenuti necessari per ragioni di
sicurezza oppure potrebbero essere decontaminati in modo da consentirne l’accesso per altri scopi.

Altre aree, caratterizzate invece da livelli più elevati di contaminazione o attivazione, sono sigillate
fisicamente, per prevenire il rilascio di radioattività e l’accesso di persone non autorizzate.

La sorveglianza avviene con le medesime modalità dello stadio 1, ma risulta di fatto ridotta.

I requisiti e le caratteristiche che un impianto deve avere per poter essere considerato nello Stadio 2 sono i
seguenti:

1) Il combustibile è stato rimosso dal reattore e possibilmente dall’impianto;


2) Nell’impianto non sono presenti fluidi radioattivi di processo;
3) Dalle zone da rilasciare sono stati rimossi tutti i materiali che presentavano un livello di radioattività
maggiore dei limiti per uso incondizionato;

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4) Per le zone non rilasciate sono operanti sistemi atti a rendere minimi i rilasci incontrollati di
radioattività verso l’esterno;
5) Per le zone non rilasciate sono stabilite le modalità di accesso alle varie zone dell’impianto ed è
stata adottata la segnaletica pertinente;
6) Per le zone non rilasciate sono attuate le modalità per conservare l’integrità nel tempo delle strutture
e dei sistemi utilizzati durante il periodo di conservazione o che devono essere utilizzati per lo
smantellamento alla fine di tale periodo;
7) Sono attuati i piani di sorveglianza dell’impianto, del sito e dell’ambiente circostante;
8) È stato costituito un archivio informazioni sullo stato dell’impianto contenente l’inventario della
radioattività e tutte le altre informazioni utili allo smantellamento dell’impianto.

Lo stadio 3 è noto col nome di ‘’rilascio totale del sito ’’.

Per raggiungere questo ultimo stadio del decommissioning è necessario che tutti i materiali, i componenti, le
strutture ancora presenti sul sito stesso siano decontaminati sino a raggiungere livelli di radioattività residua
inferiori ai valori autorizzati per il loro rilascio incondizionato o siano allontanati dal sito come rifiuti radioattivi.

Deve inoltre essere effettuato un controllo radiologico finale ed il sito è infine rilasciato;

conseguentemente cessa ogni attività di sorveglianza.

8.3.2 Articolazione delle attività di decommissioning

Nei paesi membri dell’OCSE (organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) l’obiettivo finale
del decommissioning è il ripristino del sito in condizioni tali da consentirne il rilascio per un eventuale
riutilizzo senza alcuna restrizione.

Ogni Paese membro ha la propria posizione circa l’uso futuro dell’energia nucleare, i possibili altri utilizzi
degli impianti nucleari, la gestione dei rifiuti radioattivi e la valutazione dei costi del decommissioning.

Le attività del decommissioning sono di seguito elencate:

- Pianificazione del decommissioning;


- Post-esercizio;
- Caratterizzazione radiologica;
- Decontaminazione;
- Smantellamento;
- Conservazione in sicurezza.

L’attività di pianificazione ha origine mentre l’impianto è ancora in fase di esercizio, o meglio inizia ancora
prima, nel corso del progetto iniziale dell’impianto tramite l’inserimento di alcuni elementi in fase progettuale
che faciliteranno le successive attività di smantellamento e di decontaminazione.

I piani di decommissioning dovrebbero essere revisionati periodicamente nel corso della vita nell’impiego e,
in ogni caso qualora si verifichino modifiche sostanziali dell’impianto stesso, eventi incidentali o
miglioramenti tecnologici.

Per quanto riguarda il post-esercizio è l’insieme delle attività necessarie per mantenere l’impianto in
sicurezza, dopo che si è conclusa la fase di esercizio e l’impianto è stato posto in shut-down.

Tali attività risultano più impegnative quando il combustibile irraggiato è ancora presente all’interno
dell’impianto.

La caratterizzazione radiologica delle strutture e dei componenti presenti nell’impianto deve essere attuata
prima possibile, dopo la decisione di interrompere l’esercizio dell’impianto in via definitiva.

La caratterizzazione è importante anche durante lo smantellamento, al fine di conoscere esattamente il


contenuto radioattivo dei rifiuti prodotti e lo stato delle strutture decontaminate.

Infine, la caratterizzazione rappresenta un’attività complessa ed essenziale per dimostrare che le strutture ed
i sistemi, che non sono stati smantellati in quanto non radioattivi, lo siano effettivamente.

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La decontaminazione è l’attività volta a rimuovere la radioattività da sistemi e strutture al fine di poter
rilasciare i componenti, diminuire le dosi ai lavoratori e ridurre il volume dei rifiuti caratterizzati da valori
elevati di attività.

Si effettua su pavimenti, pareti, tubazioni, ecc. e può essere realizzata prevalentemente mediante metodi
chimici e meccanici.

I principali obiettivi della decontaminazione sono sostanzialmente due:

- Ridurre la contaminazione esistente in modo da facilitare le operazioni di decommissioning;


- Consentire il rilascio per uso condizionato o incondizionato di materiali, componenti e strutture.

L’attività di smantellamento è la vera e propria attività di smontaggio e/o demolizione.

Lo smantellamento è un insieme di attività pianificate comprendenti lo smontaggio, la rimozione, la


segmentazione ed il trasporto di sistemi, di strutture e componenti di un impianto nucleare ai fini del loro:

- Rilascio incondizionato;
- Rilascio condizionato;
- Immagazzinamento di un deposito temporaneo;
- Immagazzinamento nel deposito definitivo.

Lo smantellamento è un’attività relativamente semplice e rapida di norma:

diventa invece alquanto complessa nel caso di parti di impianto fortemente radioattive che richiedono tagli
nonché l’impiego di attrezzature sofisticate.

Infine, l’attività di conservazione in sicurezza si riferisce al periodo in cui l’impianto è mantenuto in condizioni
di sicurezza, in attesa del decadimento dei radionuclidi in esso presenti.

Durante tale periodo continuano ad essere effettuati i controlli sull’impianto e si svolgono varie attività di
manutenzione.

Sono inoltre ripristinati alcuni sistemi e servizi essenziali per mantenere un adeguato livello di sicurezza, sia
per i lavoratori che per la popolazione, nel momento in cui inizieranno le attività di smantellamento.

8.3.3 Attività di decommissioning nel mondo

I più recenti dati disponibili, risalenti alla fine di marzo 2011, consentono di affermare che dei 568 reattori
nucleari di potenza costruiti nel mondo, 125 sono in shut-down e si trovano in uno degli stadi del
decommissioning, mentre 443 sono in ancora in esercizio fonte [fonte:IAEA].

8.3.3.1 Commissione Europea

Sin dal 1979, la commissione europea ha finanziato 4 successivi programmi sul decommissioning, ciascuno
di durata pari a 5 anni.

L’obiettivo principale di questi programmi consisteva nello stabilire le basi scientifiche e tecnologiche per un
decommissioning degli impianti nucleari che fosse sicuro, accettabile socialmente e conveniente dal punto di
vista economico.

I principali obiettivi erano:

- Il rafforzamento delle conoscenze scientifiche e tecniche nel settore;


- La minimizzazione dell’esposizione professionale;
- La riduzione dei costi di smantellamento;
- La riduzione del quantitativo di rifiuti prodotto.

Dal 1979 sono stati spesi 60 milioni di euro per:

- Lo sviluppo di tecniche di decontaminazione e di smantellamento di varie tipologie di impianti


nucleari;
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- Tecnologie per la minimizzazione dei rifiuti;
- Lo studio di strategie di decommissioning e di strumenti per la sua gestione;
- Lo sviluppo di sistemi remotizzati per componenti altamente attivati.

All’inizio degli anni Novanta furono selezionati 4 progetti pilota per un’analisi comparata, che riguardavano:

1) Un reattore raffreddato a gas (WAGR a Windscale nel Regno Unito);


2) Un reattore PWR (BR-3 a Mol in Belgio);
3) Un reattore BWR (KRB-A a Gundremmingen in Germania);
4) Un impianto per il riprocessamento del combustibile irraggiato (AT1 a La Hague in Francia).

8.3.3.2 Italia

Verso la metà degli anni Sessanta l’Italia si trovava al terzo posto nel mondo, dopo USA e Regno Unito,
nella classifica dei produttori di energia elettronucleare.

Gli impianti presenti in Italia erano:

- Centrale di Latina (1963);


- Centrale di Trino e del Garigliano (1964);
- La centrale di Caorso (1978);
- La centrale di Trino Vercellese 2 (sospesa la costruzione a seguito del referendum 1987);
- La centrale dell’Alto Lazio (sospesa la costruzione a seguito del referendum 1987).

Con la scelta di fermare la produzione di energia da fonte nucleare, a valle del referendum, l’Italia è stata tra
i primi Paesi al mondo a confrontarsi con le attività industriali che concludono il ciclo di vita di un impianto
nucleare.

Per il decommissioning dei 4 impianti nucleari si decise di adottare le strategie della custodia protettiva
passiva (safe storage), che non richiede sistemi ‘’attivi’’, integrata dallo smaltimento di alcuni sistemi e
componenti convenzionali o debolmente contaminati.

Il piano globale di disattivazione (o piano di decommissioning) prevedeva tre fasi:

1) Messa in custodia protettiva passiva.


Nell’ambito di essa venivano effettuati interventi per rilasciare una parte degli edifici o dei sistemi e
per portare in condizioni di assoluta sicurezza le rimanenti parti dell’impianto, quindi: drenaggio,
decontaminazione per quanto necessario, sigillatura ed isolamento.
Allontanamento o sistemazione provvisoria sul sito del combustibile irraggiato e condizionamento dei
rifiuti radioattivi.

2) Custodia protettiva passiva dell’impianto.


In tale fase vengono mantenute le condizioni di sicurezza per alcuni decenni.
Viene effettuata la sorveglianza nonché limitati interventi di manutenzione o ripristino.
Nel corso di questa fase l’impatto ambientale e la dose al personale sono del tutto trascurabili.

3) Rilascio incondizionato del sito.


Viene effettuato lo smantellamento di sistemi, strutture ed edifici, l’allontanamento dei rifiuti ed infine
il rilascio del sito senza vincoli radiologici.

Le ragioni che hanno suggerito la scelta di tale strategia sono essenzialmente legate alle particolari
condizioni al contorno presenti nella realtà italiana e dovute e sostanzialmente alla:

- Assenza di un deposito definitivo nazionale per i rifiuti radioattivi;


- Assenza di standard nazionali per il riciclo e/o il rilascio incondizionato dei materiali non radioattivi.

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Nello stesso tempo l’ENEA iniziò a condizionare i rifiuti presenti nei propri impianti del ciclo del combustibile
tormentata da problemi finanziari, visto che non era stati accumulati in precedenza fondi per il
decommissioning.

Il 1°Luglio 1999 il CdA dell’ENEA ha deliberato la costituzione della società ed il 1° Novembre 199 Sogin è
stata resa operativa con le seguenti missioni:

- Gestione post operativa delle quattro centrali nucleari in Italia;


- Decommissioning e chiusura del ciclo del combustibile delle centrali nucleari in Italia;
- Attività per terzi sui mercati internazionali.

A Sogin furono conferiti tutti i beni ed i rapporti giuridici relativi all’oggetto delle sue attività.

Ha, inoltre, rilevato nel 2004 da Ambiente Spa (gruppo ENI) l’intera partecipazione azionaria, pari al 60%,
nella società Nucleo Spa, specializzata nella gestione dei rifiuti radioattivi e titolare, dal 1985, su incarico
ENEA, del servizio nazionale di ritiro e gestione dei rifiuti radioattivi provenienti dal settore industriale, dalla
ricerca specifica e sanitaria, dagli ospedali e dai laboratori di analisi.

Fino alla costituzione della Sogin le centrali italiane sono state mantenute in custodia protettiva.

Con l’istituzione della Sogin si posero le basi per la nuova strategia di decommissioning accelerato, nel
2001, e si decise di stoccare a secco il combustibile irraggiato presso i siti.

Per poter procedere allo smantellamento di una centrale nucleare occorre infatti provvedere in primis alla
sistemazione del combustibile nucleare irraggiato, eventualmente presente nell’impianto.

Alla fine del 2004 fu deciso di riprocessare il combustibile irraggiato.

In seguito ad un accordo sottoscritto nel 2006 tra governo italiano e francese, Sogin ha stipulato un contratto
di riprocessamento con la società francese Areva.

Le attività di decommissioning in Italia sono state pesantemente condizionate dall’assenza del deposito
nazionale.

Tale mancanza costituisce una criticità che il Paese deve superare in tempi rapidi, ma non può costituire il
pretesto per rallentare le attività di smantellamento.

Il piano industriale di Sogin 2007-2011 ebbe come obiettivo principale l’accelerazione delle attività di
decommissioning, in particolare nei siti di Trino, Caorso e Bosco Marengo.

Per quest’ultimo impianto nel 2009 è stato completato lo smantellamento del ciclo produttivo.

L’attuale programma di attività predisposto da Sogin è basato su una strategia, anche in assenza di un
deposito nazionale, lo smantellamento degli impianti, con stoccaggio temporaneo sui siti stessi dei rifiuti di
prodotti ed il loro successivo condizionamento entro la fine del prossimo decennio.

8.3.3.3 Il decommissioning nei Paesi extraeuropei

Circa il 30% attualmente in shutdown è localizzato in Paesi extraeuropei, con gli USA che recitano la parte
del leone con i loro 28 reattori.

Di seguito sono descritte le strategie di decommissioning adottate in Giappone e negli Stati Uniti:

- Giappone:
sono in funzione 54 reattori di potenza e 15 reattori di ricerca.
Molti impianti nucleari sperimentali sono già sottoposti a decommissioning o sono in procinto di
esserlo.
La politica nazionale giapponese in merito al decommissioning, descritta nel ‘’Framework of Nuclear
Energy Policy’’ comprende:
 Il titolare della licenza di esercizio dell’impianto è responsabile del decommissioning;

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 Il titolare della licenza di esercizio deve essere responsabile del riprocessamento e dello
stoccaggio dei rifiuti radioattivi derivanti dal decommissioning, tramite l’istituzione di appositi
programmi di gestione dei rifiuti e sopportando l’onere dei costi ad essi associato;
 Il decommissioning dovrebbe essere basato principalmente sulla sicurezza e
sull’ottenimento del consenso e della cooperazione delle comunità locali;
 È ragionevole il riutilizzo del materiale derivante dal decommissioning, che non deve essere
trattato come materiale radioattivo;
 I reattori di potenza dovrebbero essere smantellati prima possibile, subito dopo la loro
chiusura definitiva.

- Stati Uniti
Per quanto concerne l’esperienza negli USA in merito alle strategie di decommissioning si può
affermare che essa è piuttosto variegata.
Attualmente sono due le strategie che vengono considerate: lo smantellamento immediato ed il safe
storage.
Sebbene queste due strategie siano a disposizione sia degli esercenti pubblici che di quelli privati,
esse sono talvolta adottate in modo differente, a seconda delle circostanze.
Il DOE (Department of Energy) spesso rimanda la decontaminazione ed il successivo
smantellamento a causa di fondi limitati, intraprendendo opportune azioni per porre l’impianto in
condizioni sicurezza per un lungo periodo di tempo, finché non viene effettuato il suo
decommissioning.
Attualmente 14 impianti di nucleari di potenza stanno utilizzando la strategia safe storage, mentre 10
ricorrono o hanno fatto ricorso alla strategia immediata.
Le procedure sono fissata dalla Nuclear Regolutary Commission (NRC) ed è stata acquisita ad oggi
una notevole esperienza nel Settore.

8.4 Incidenti Nucleari

8.4.1 Three Mile Island

Il primo grave incidente ad una centrale elettronucleare accadde il 28 marzo 1979 a Three Mile Island negli
Stati Uniti.

L’impianto è localizzato in Pennsylvania, sull’isola di Three Mile Island a ridosso del fiume Susquehanna, ed
è costituito da due unità indipendenti denominate TMI-1 e TMI-2, entrambe del tipo ad acqua leggera in
pressione (PWR) per una potenza complessiva di 1700 MW.

Un malfunzionamento della valvola di sfioro del pressurizzatore è stata la causa principale dell’incidente di
TMI-2.

8.4.1.1 Eventi

L’incidente inizia alle ore 4:30 del 28 marzo 1979.

L’unità TMI-1 è ferma per il normale ricambio di combustibile mentre l’unità TMI-2 funziona al 97% della
potenza nominale.

Il circuito dell’aria compressa per la rimozione dei filtri è lo stesso utilizzato per l’azionamento delle valvole
sulle condotte di alimentazione secondaria dei generatori di vapore.
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A causa del malfunzionamento di una valvola nel circuito dell’aria compressa, l’acqua di lavaggio penetra in
tale circuito, provocando automaticamente la chiusura delle valvole di alimentazione secondarie dei
generatori di vapore.

Si arrestano così i turboalternatori ormai privi di vapore, l’acqua del circuito primario non viene più refrigerata
e continuando a circolare nel nocciolo, ne aumenta la temperatura e il volume.

Dopo qualche secondo, la pressione raggiunge il valore di soglia, così viene attivato il sistema per lo
spegnimento rapido del nocciolo e si apre la valvola di sfioro del pressurizzatore per evacuare vapore dal
circuito primario in modo tale da far tornare la pressione a livelli normali.

Successivamente la valvola dovrebbe chiudersi, invece per un malfunzionamento meccanico rimane aperta
e il refrigerante continua ad uscire;

gli operatori sono indotti in errore dall’accensione della spia luminosa che segnala l’attivazione del comando
di chiusura della valvola.

Poco dopo vengono attivate le pompe del sistema ausiliario di refrigerazione del generatore di vapore, per
asportare calore all’acqua del circuito primario;

il personale però si accorge solo dopo qualche minuto che due valvole erano chiuse e l’acqua così non
poteva circolare.

Nel frattempo, il nocciolo continua a generare potenza senza essere refrigerato e perdendo acqua dal
pressurizzatore, fino ad essere allagato dai sistemi di emergenza di raffreddamento, in seguito anche ad un
abbassamento repentino della pressione.

Gli operatori si trovano in grande difficoltà poiché non era mai accaduto che la pressione diminuisse e il
livello dell’acqua fosse così alto; in realtà la pressione diminuisce per la fuga dal pressurizzatore ed il
nocciolo resta sempre meno refrigerato.

Solo dopo ore viene segnalata l’emergenza generale, grazie al suono degli allarmi di radioattività e ad
un’esplosione del contenitore primario che ha fatto temere il peggio.

8.4.1.2 Considerazioni e Conseguenze

Le cause principali dell’incidente sono il guasto di una valvola, il cattivo stato di manutenzione e alcuni errori
umani.

L’incidente ha preoccupato tutto il mondo e ha causato un danno economico che si aggira intorno ai 2
miliardi di dollari, ma non ha avuto conseguenze sull’ambiente esterno, se non il disagio e l’apprensione
delle popolazioni vicine.

La dose massima misurata all’esterno della centrale è stata di 0,8 mSv e per confronto basta pensare che la
dose annuale media causata dal fondo naturale, per un italiano, oscilla tra i 0,5 e i 2,4 mSv.

Per fronteggiare l’emergenza il Governatore della Pennsylvania ha invitato la popolazione entro 16 km da


Three Mile Island a non uscire di casa per ripararsi da eventuali nubi radioattive, ha fatto chiudere le scuole
per 10 giorni e ha invitato le donne in attesa e i bambini ad allontanarsi dalla zona colpita.

Sono state fornite inoltre delle fiale di ioduro di potassio stabile, il quale permette di non assimilare la
radioattività. In ogni caso tutte queste iniziative prudenziali si dimostrarono poi eccessive.

8.4.2 Chernobyl

Il 26 aprile 1986 la centrale ucraina di Chernobyl subì il più grave disastro dell’era dell’utilizzazione pacifica
dell’energia nucleare a causa di carenze tecnologiche e di inammissibili errori umani.

Oltre ai notevolissimi danni alle persone e all’ambiente, l’incidente ha provocato un radicale mutamento nella
filosofia della progettazione e della sicurezza nei reattori nucleari.

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La centrale sorge vicino alle città di Pryat e Chernobyl, a circa 130 km dalla capitale Kiev e dista 16 km dal
confine con la Bielorussia.

L’impianto è costituito da 4 reattori RBMK da 1000 MW ciascuno.

8.4.2.1 Eventi

Quel tragico giorno era programmato uno spegnimento della quarta unità per la normale manutenzione.

In concomitanza i tecnici avevano deciso di condurre un esperimento per studiare il comportamento di un


turboalternatore, con lo scopo di verificare se in mancanza di alimentazione di vapore alla turbina, il moto
inerziale di arresto del turboalternatore fosse in grado di produrre potenza elettrica sufficiente per il
funzionamento dei sistemi di emergenza.

Il programma di lavoro non aveva ricevuto le approvazioni richieste e l’esperimento era affidato alle
responsabilità di un tecnico non specializzato nella conduzione di impianti nucleari.

Dopo aver spento il reattore e aver diminuito la potenza con la disattivazione del turboalternatore, in
violazione alle norme di sicurezza, viene isolato il sistema di refrigerazione di emergenza, per evitare che
possa intervenire automaticamente durante l’esperimento, e viene disattivato il sistema di regolazione,
provocando così uno sbilanciamento del reattore.

Come se non bastasse i tecnici disinseriscono più barre di controllo del previsto all’interno del nocciolo e
mettono il reattore in condizioni tali per cui non si spenga automaticamente vista l’emergenza.

Successivamente il computer avvisa che il reattore non è più controllabile, ma, nonostante ciò, gli operatori
iniziano l’esperimento chiudendo la valvola di ammissione del vapore al turboalternatore.

Il nocciolo non è più raffreddato e si ha una produzione di vapore con rarefazione dell’acqua e aumento del
flusso neutronico e della potenza.

Solo in questo momento i tecnici si rendono conto dello stato di pericolo e azionano il sistema di emergenza
che inserisce le barre di controllo, precedentemente disattivate, nel nocciolo.

Dopo pochi secondi, si avvertono forti urti, le barre non riescono a penetrare nel nocciolo, la potenza diverge
e due esplosioni, dovute all’eccessiva pressione del vapore e alla reazione tra idrogeno e ossigeno,
demoliscono l’edificio e scoperchiano il nocciolo esponendolo all’atmosfera.

Vengono così proiettati nell’ambiente vapori, gas e frammenti incandescenti di combustibile, i quali sono
trasportati dal vento.

La grafite brucia con l’aria raggiungendo temperature elevatissime e l’effetto camino dell’incendio solleva fino
a qualche chilometro di polveri e ceneri radioattive.

Nei giorni successivi furono scaricati nel nocciolo migliaia di tonnellata di carburo di boro, dolomite, sabbia,
argilla e piombo per cercare di assorbire neutroni e calore e per schermare le radiazioni; il fuoco fu spento
ma nel nocciolo, ricoperto da una coltre isolante, aumentò la temperatura e conseguentemente il rilascio
radioattivo.

Inoltre, 400 operai lavorarono per oltre 15 giorni per costruire un basamento di rinforzo in calcestruzzo con
un sistema di refrigerazione che limitava i danni nel sottosuolo e nelle falde.

8.4.2.2 Considerazioni e conseguenze

Le cause del disastro sono da imputare sia ad errori umani, sia a cause tecniche.

Le principali carenze progettuali riguardano l’instabilità del reattore a potenza contenuta, la bassa velocità di
inserimento delle barre nello spegnimento, la mancanza di un’adeguata struttura di contenimento del
nocciolo e la presenza di grafite che brucia in aria.

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Il particolato pesante dispersosi nell’aria dopo l’incidente si è depositato entro un raggio di 100 km dalla
centrale, mentre quello più leggero è stato trasportato per un raggio più ampio ed ha interessato tutto
l’emisfero settentrionale.

I paesi più contaminati furono la Scandinavia, l’Austria, la Svizzera e la Germania meridionale, dove il
passaggio della nube radioattiva coincise con precipitazioni atmosferiche.

La radioattività in Italia raddoppiò in quei giorni e la popolazione fu invitata a lavare accuratamente frutta e
verdura, a non bere acque piovane, ad evitare verdure a foglia larga, ad utilizzare latte in polvere o a lunga
conservazione e a non nutrire il bestiame con il foraggio fresco.

Oltre a 3 operatori morti immediatamente nell’esplosione per traumi e ustioni, nei giorni seguenti all’incidente
28 di 237 operatori ricoverati per sintomi da radiazione acuta morirono entro tre mesi, per un totale di 31
morti.

Le operazioni di evacuazione procedettero fino al 1991, mentre del personale tecnico e militare decontaminò
la regione circostante la centrale con operazioni di lavaggio e rimozione di suolo irradiato.

Il reattore necessitava di essere isolato al più presto possibile assieme ai detriti dell’esplosione, così fu
progettata la realizzazione di un sarcofago di contenimento (fig. 13) per far fronte all’emergenza (metodo di
decomissioning dell’incapsulamento).

Alla popolazione fu somministrato iodio stabile, fu concesso un compenso in denaro ed il controllo medico
periodico gratuito:

gli effetti sanitari tardivi consistono ancora oggi, nei paesi di Ucraina e Bielorussia, nella comparsa di
leucemie e tumori alla tiroide e nella nascita di esseri viventi con malformazioni congenite provocate appunto
dalle radiazioni.

8.4.3 Fukushima

Il disastro di Fukushima comprende una serie di quattro distinti incidenti occorsi presso la centrale nucleare
omonima a seguito del terremoto e del maremoto del Tohoku dell’11 marzo 2011.

Le maggiori preoccupazioni riguardano quattro dei sei reattori dell'impianto di Fukushima Dai-ichi, in
particolare il quarto reattore, il cui edificio è stato quello maggiormente danneggiato dalle esplosioni di
idrogeno e nel quale le barre di combustibile a rischio fusione non sono quelle in uso all'interno del recipiente
in pressione, detto anche vessel, ma quelle stoccate nelle vasche del combustibile esausto, che si trovano
quindi al di fuori della struttura di contenimento primaria del reattore.

Allo stato attuale sembra che il danno maggiore all’impianto nucleare sia stato inflitto dallo tsunami che ha
succeduto il terremoto: l'acqua dell'onda anomala avrebbe infatti messo fuori uso i sistemi elettrici che
governano i sistemi di raffreddamento dei reattori della centrale, innescando così la crisi e gli eventi occorsi.

8.4.3.1 Eventi

Nella giornata dell’11 marzo, dopo il terremoto e il conseguente tsunami, emerse una situazione molto grave
entro le zone nucleari dei primi tre reattori di Fukushima, gli unici in funzione, nei quali il reattore era stato
fermato automaticamente con successo, ma i generatori diesel avevano subito numerosi danni, lasciando
quindi i tre reattori senza energia elettrica per alimentare il sistema di refrigerazione utile a dissipare il calore
residuo.

Ciò portò la Tepco, società che gestiva l’impianto, a comunicare immediatamente la situazione di emergenza
per permettere alle autorità di far evacuare la popolazione residente nelle zone limitrofe.

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Dopo alcune ore, i reattori furono provvisti di generatori mobili in sostituzione di quelli danneggiati e il giorno
dopo, a causa del malfunzionamento del sistema di refrigerazione, si constatò all’interno del primo reattore,
una pressione interna troppo elevata che provocò una forte esplosione.

Nei primi momenti dell’incidente il secondo reattore non risultava in stato di serio danneggiamento.

Dopo tre giorni, però, fallito l’intervento di pompaggio di acqua marina e acido borico per raffreddare il
reattore e bloccare la reazione a catena, le barre di combustibile si trovarono completamente scoperte e
molto probabilmente per questa mancanza di refrigerante si riscontrarono gravi danni al nocciolo e un livello
di pressione in aumento.

Il 15 marzo si registrò un’altra esplosione.

Per quanto riguarda il terzo reattore dell’impianto di Fukushima, destava particolare preoccupazione il fatto
che in esso veniva usato anche del plutonio come combustibile nucleare.

In questo reattore, fallita l’operazione di pompaggio d’acqua marina, per alleviare la pressione interna si
sono eseguiti degli interventi di rilascio del gas;

il 14 marzo, tuttavia, la situazione diventò incontrollabile e portò ad una terza esplosione dovuta alla fuga di
idrogeno, seguita dallo sprigionarsi di fumo bianco: una larga sezione del tetto dell’edificio del reattore venne
scagliata verso l’alto e ricadde su altre strutture della centrale.

L’area fu evacuata a causa dell’aumento della radioattività misurata. La quarta ed ultima esplosione avvenne
nel reattore quattro, con un conseguente danneggiamento dell’edificio contenente il nocciolo e un incendio
nella vasca del combustibile esausto.

8.4.3.2 Considerazioni e conseguenze

Immediatamente dopo le quattro esplosioni verificatesi la Tepco comunicò l’esistenza di una piccola, ma non
nulla, probabilità che la massa di carburante esposto potesse raggiungere la criticità, con potenziali
conseguenze disastrose dovute al rilascio prolungato di materiale radioattivo nell’ambiente.

Nei giorni successivi all’evento, in seguito alle difficoltà nel ripristino dei sistemi di raffreddamento dei reattori
coinvolti e nell’urgenza di doverli refrigerare, viene presa la decisione di inondare d’acqua marina l’esterno
dei reattori stessi tramite idranti ed elicotteri.

La centrale non rientrerà più in funzione.

Le conseguenze principali dell’incidente alla centrale giapponese riguardano l’ambiente con la rilevazione di
sostanze radioattive nel latte e negli spinaci, con la presenza di iodio, cesio e cobalto nei canali di scarico dei
primi quattro reattori e con i livelli di radioattività raggiunti in mare, 4400 volte superiori ai limiti ammessi.

Inoltre, il totale della popolazione evacuata fu di oltre 180.000 persone e si prevede che solo nel 2016 i livelli
di radioattività presenti nelle zone vicine alla centrale scenderanno al di sotto della soglia di sicurezza.

L’incidente di Fukushima ha sollevato discussioni in vari stati del mondo inerenti al proseguo o meno
dell’utilizzo dell’energia nucleare o della continuazione dei suoi programmi di sviluppo: a metà maggio 2011 il
primo ministro giapponese decise di abbandonare i piani per la costruzione di 14 nuovi reattori a fissione.

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