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Nel nostro paese sarebbe giustificabile una riconsiderazione dell’opzione nucleare nell’ambito di una più
efficace politica energetica.
Le fonti rinnovabili sarebbero comunque incluse nel mix energetico per ridurre la dipendenza dall’estero e
dai combustibili fossili, oltre che per ridurre l’inquinamento energetico.
D’altra parte, il nucleare non può essere considerato la soluzione unica per risanare in tempi brevi il sistema
elettrico nazionale, ma va visto come parte di un investimento strategico i cui benefici si misureranno nel
medio-lungo periodo.
Nel dopoguerra, quando si delineavano i primi programmi nucleari mondiali, l’Italia si era proposta un
ambizioso piano di sviluppo nucleare e il nostro paese deteneva la leadership europea del settore, subendo
però una grave battuta d’arresto dopo il disastro di Chernobyl e il referendum del 1987.
E’ necessario ricordare che nel settore nucleare alcune industrie italiane come APAT, ENEL, SOGIN, ENEA
e numerosi Centri di Ricerca Universitari, hanno ottenuto notevoli successi in ambito internazionale,
dimostrando di saper gestire sistemi complessi, come appunto quelli nucleari; dunque le capacità non
mancano e sarebbe vantaggioso salvaguardare le conoscenze acquisite, non solo per mantenere aperta
un’opzione che tutti i paesi industriali avanzati hanno deciso di conservare, ma anche per condurre le attività
correlate alla chiusura dei programmi nucleari pregressi.
La sistemazione dei rifiuti radioattivi e lo smantellamento degli impianti dismessi, infatti, hanno un orizzonte
temporale che si protrarrà in un lungo futuro e che verrà in ogni caso alimentato dalla continua produzione di
rifiuti radioattivi provenienti dalle applicazioni mediche, industriali e di ricerca.
L’8 e il 9 novembre 1987 il popolo italiano si recò alle urne per votare 5 referendum abrogativi.
La centrale di Latina, da 210 MWe con reattore Magnox, attiva commercialmente dal 1964;
La centrale Garigliano di Sessa Aurunca, da 160 MWe con reattore nucleare ad acqua bollente
(BWR). Attiva commercialmente dal 1964, è l’unica tra queste che era già stata spenta prima del
referendum. Fermata per manutenzione nel 1978, si optò per la disattivazione nel 1982;
La centrale Enrico Fermi di Trino, da 270 MWe con reattore nucleare ad acqua pressurizzata
(PWR). Attiva commercialmente dal 1965;
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La centrale di Caorso, da 860 MWe con reattore BWR, attiva commercialmente dal 1981. È l’unica
delle quattro ad essere di seconda generazione.
A causarla fu il repentino aumento dei prezzi di importazione dei prodotti petroliferi, dovuti alla questione
arabo-israeliana.
Il primo Piano Energetico Nazionale (PEN), stilato nel 1975, “prevedeva la realizzazione di ulteriori otto unità
nucleari su quattro nuovi siti”.
Il punto da chiarire in partenza è che nessuno dei quesiti aveva direttamente come oggetto l’abbandono del
nucleare in Italia:
Il quesito #4 chiese l’abrogazione dei contributi agli enti locali che ospitassero sul proprio territorio
centrali nucleari o a carbone. Il sì vinse con il 79,71%.
Il quorum fu raggiunto con un’affluenza alle urne del 65,1% sui circa 45,8 milioni di aventi diritto al voto.
I dati sul referendum possono essere consultati alle storiche elezioni del Dipartimento per gli Affari Interni e il
Territorio.
A segnare l’inizio del declino del nucleare in Italia furono due infausti eventi. Il 28 marzo 1979
avvenne l’incidente di Three Miles Island.
Il numero di vittime e feriti fu zero, ma piccole quantità di gas radioattivo furono rilasciate nell’ambiente.
Tanto bastò per incrinare l’immagine del nucleare in molte nazioni.
In Italia, la popolazione locale già stava protestando contro la costruzione della futura centrale di Montalto
(che sarebbe iniziata nel 1982).
Appena due mesi dopo l’incidente, le proteste sfociarono in una manifestazione a Roma, cui presero parte
circa 20’000 persone.
Su questa scia, il numero di iniziative antinucleari aumentò. Nel 1980, Maurizio Sacchi (PSI) e Chicco Testa
fondarono Lega per l’Ambiente (oggi Legambiente).
L’incidente influì inoltre sulla decisione di non riaccendere la centrale di Garigliano e di posticipare l’inizio
dell’esercizio commerciale per quella di Caorso.
Malgrado ciò, il nucleare trovò ampio spazio anche nel PEN del 1985.
L’effetto negativo sull’opinione verso il nucleare fu esponenzialmente maggiore rispetto a quello che ebbe
l’incidente di Three Miles Island.
Il partito Radicale promosse i referendum, e coi movimenti antinucleari raccolse un milione di firme in meno
di quattro mesi.
Sempre nello stesso anno, a novembre, i movimenti ambientalisti si concretizzano in un soggetto politico, la
Federazione delle liste Verdi.
Il simbolo da loro adottato, il sole che ride, deriva non a caso dal movimento antinucleare danese.
I professori Massimo Scalia, Gianni Mattioli, (dei Verdi) e Carlo Guerci non approvarono le conclusioni
presentate dal coordinatore Paolo Baffi.
In generale, da una parte i fautori temevano le ripercussioni economiche, industriali e sociali che
l’abbandono del nucleare avrebbe comportato.
Dall’altra, gli antinuclearisti sostenevano che politiche di risparmio energetico e sviluppo delle rinnovabili
avrebbero costituito un’alternativa sufficiente.
ll comitato promotore del referendum riteneva inoltre che la CNEA e il dibattito pubblico fossero veicolati
verso posizioni filonucleari.
Il contesto politico
Per comprendere perché il referendum non si svolse prima della fine del 1987, bisogna inquadrare gli eventi
alla luce della situazione politica.
Nello stesso anno si stava verificando una crisi di governo interna al Pentapartito. Le divergenze tra la DC
guidata da Ciriaco De Mita e il PSI di Bettino Craxi culminarono, il 28 febbraio 1987, nelle dimissioni del
secondo da capo di governo.
Alla fine, la data del referendum fu fissata per novembre, mentre le elezioni si tennero a giugno.
Tuttora si dibatte sul ruolo avuto dai media sul clima di preoccupazione che pervase la società dopo
l’incidente di Chernobyl.
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Inoltre, dopo le elezioni, la DC e il PCI assunsero posizioni a favore del sì, temendo un calo di consensi.
Infine, è da notare che i quesiti #1 e #2 vinsero con percentuali uguali ai quesiti antinucleari.
Essi riguardavano rispettivamente la responsabilità civile per i magistrati e il trattamento dei reati ministeriali.
Sebbene non fosse esplicitamente richiesta, la dismissione delle centrali nucleari fu la conseguenza naturale
che seguì il referendum.
I lavori avviati per la centrale di Montalto vennero invece riconvertiti per la realizzazione della centrale a
policombustibile Alessandro Volta.
Nel 1999 la Società Gestione Impianti Nucleari (SOGIN) acquistò la proprietà delle quattro ex-centrali, col
compito di occuparsi del decommissioning.
Il dibattito politico si è riaperto dopo l’impennata dei prezzi del gas naturale e del petrolio tra il 2005 e il 2008
e ha condotto il quarto governo Berlusconi a ripristinare in Italia una capacità nucleare a fini di generazione
di energia elettrica.
La proposta dell’allora Ministro dello Sviluppo Scajola era quella di costruire una decina di nuovi reattori con
l’obiettivo di arrivare ad una produzione di energia elettrica da nucleare in Italia pari al 25% del totale.
Lo scopo era quello di ridurre le emissioni di gas serra, diminuire la dipendenza energetica dall’estero e
abbassare il costo dell’energia elettrica all’utente finale.
Nell’aprile del 2010 l’Italia dei Valori presenta una proposta di referendum sul nuovo programma
elettronucleare italiano.
La Corte Suprema di Cassazione prima e la Corte costituzionale poi, danno il via libera per il referendum,
che si svolge regolarmente nei giorni del 12 e 13 giugno 2011.
Il quesito propone dunque l’abrogazione delle nuove norme che consentono di adottare una strategia
energetica nazionale che non escluda espressamente la produzione nel territorio italiano di energia elettrica
nucleare.
Alle urne il quesito viene validamente approvato con una larga maggioranza, determinando così la chiusura
definitiva del programma nucleare italiano.
Le centrali nucleari nel mondo producono complessivamente 370 gigawatt, pari al 16% della produzione
mondiale d'energia elettrica.
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Un dato consistente ma ben lontano dai 1000 gigawatt stimato negli anni '70 per i nostri anni.
I paesi che soddisfano il proprio fabbisogno energetico interno tramite l'energia nucleare sono i seguenti:
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