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Vajont
Ria unto
Durante gli studi preliminari, i geologi avevano rilevato il pericolo di fra- ne dai pendii del Monte Toc, sul
versante sud della vallata. La sera del 9 ottobre 1963 una gigantesca frana del volume di circa 250 milioni di
m3 si staccò dal monte Toc, in sponda sinistra del torrente Vajont (Piave-Belluno), sul quale era stata da poco
completata la diga ad arco più alta del mondo. L’onda provocata dall’ingresso della frana nel lago, stimata di
250 m di altezza e con un volume di circa 50·106 m3, investì, distruggendole, alcune frazioni di Erto e Casso
(allora Udine, ora Pordenone), una parte (25·106 m3) sormontò quindi il coronamento della diga ed investì
Longarone (Belluno) distruggendolo quasi completamente; la stima più accreditata fissa il numero delle
vittime a 1909. Le cause della tragedia, dopo numerosi dibattiti, processi e opere di letteratura, furono
ricondotte ai progettisti e dirigenti della SADE, ente gestore dell'opera fino alla nazionalizzazione, i quali
occultarono la non idoneità dei versanti del bacino, a rischio idrogeologico. Dopo la costruzione della diga si
scoprì infatti che i versanti avevano caratteristiche morfologiche (incoerenza e fragilità) tali da non renderli
adatti ad essere lambiti da un serbatoio idroelettrico. Nel corso degli anni l'ente gestore e i suoi dirigenti, pur
essendo a conoscenza della pericolosità, anche se supposta inferiore a quella effettivamente rivelatasi,
coprirono con dolosità i dati a loro disposizione, con beneplacito di vari enti a carattere locale e nazionale, dai
piccoli comuni interessati fino al Ministero dei lavori pubblici.
Spiegazione
Alle 22:39 del 9 ottobre 1963, circa 270 milioni di m³ di roccia(un volume più che doppio rispetto a quello
dell'acqua contenuta nell'invaso) scivolarono, alla velocità di 30 m/s (110 km/h), nel bacino artificiale
sottostante (che conteneva circa 115 milioni di m³ d'acqua al momento del disastro) creato dalla diga del
Vajont, provocando un'onda di piena tricuspide che superò di 250 m in altezza il coronamento della diga e che
in parte risalì il versante opposto distruggendo tutti gli abitati lungo le sponde del lago nel comune di Erto e
Casso, in parte (circa 25-30 milioni di m³) scavalcò il manufatto (che rimase sostanzialmente intatto, pur
avendo subito forze 20 volte superiori a quelle per cui era stato progettato, seppur privato della strada
carrozzabile posta nella parte sommitale) e si riversò nella valle del Piave, distruggendo quasi completamente
il paese di Longarone e i comuni limitrofi, e in parte ricadde sulla frana stessa (creando un laghetto). Vi furono
2 018 vittime di cui 1 450 a Longarone, 109 a Codissago e Castellavazzo, 158 a Erto e Casso e 200 originarie
di altri comuni.Lungo le sponde del lago del Vajont vennero distrutti i borghi di Frasègn, Le Spesse, Il Cristo,
Pineda, Ceva, Prada, Marzana, San Martino, e la parte bassa dell'abitato di Erto. Nella valle del Piave vennero
rasi al suolo i paesi di Longarone, Pirago, Faè, Villanova, Rivalta, e risultarono profondamente danneggiati gli
abitati di Codissago, Castellavazzo, Fortogna, Dogna e Provagna. Vi furono danni anche nei comuni di
Soverzene, Ponte nelle Alpi, nella città di Belluno a Borgo Piave, nel comune di Quero Vas, e nella borgata di
Caorera dove il Piave, ingrossato dall'onda, allagò il paese e raggiunse il presbiterio della chiesa.
L'evento fu dovuto a una serie di cause, di cui l'ultima in ordine cronologico fu l'innalzamento delle acque del
lago artificiale oltre la quota di sicurezza di 700 metri voluto dall'ente gestore, operazione effettuata
ufficialmente per il collaudo dell'impianto, ma con il plausibile fine di compiere la caduta della frana
nell'invaso in maniera controllata, in modo che non costituisse più pericolo. Questo, combinato a una
situazione di abbondanti precipitazioni meteorologiche e a forti negligenze nella gestione dei possibili pericoli
dovuti al particolare assetto idrogeologico del versante del monte Toc, accelerò il movimento della antica
frana presente sul versante settentrionale del monte Toc, situato sul confine tra le province di Belluno (Veneto)
e Pordenone (Friuli-Venezia Giulia). I modelli usati per prevedere le modalità dell'evento si rivelarono
comunque errati, in quanto si basarono su una velocità di scivolamento della frana nell'invaso fortemente
sottostimata, pari a un terzo di quella effettiva.
Nel febbraio 2008, durante l'Anno internazionale del pianeta Terra dichiarato dall'Assemblea generale delle
Nazioni Unite, in una sessione dedicata all'importanza della corretta comprensione delle Scienze della Terra, il
disastro del Vajont è stato citato, assieme ad altri quattro eventi, come un caso esemplare di "disastro
evitabile" causato dal «fallimento di ingegneri e geologi nel comprendere la natura del problema che stavano
cercando di affrontare»Questo disastro non fu un evento naturale: fu causato dall'avidità dell'uomo, che volle
costruire la diga ad arco più alta del mondo, ben 262 metri, in un luogo morfologicamente inadatto. Per anni
gli abitanti del territorio dissero di udire strani rumori provenienti dalle montagne, ma anche in questo caso
vennero ignorati. Questo dramma ci dice che l'uomo non può pretendere di imbrigliare la natura perché la
natura è più forte e, prima o poi, si riprende i propri spazi.
ss

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Vittime
Ricorre oggi il 58esimo anniversario della tragedia del Vajont, in cui morirono 1.917 persone, tra cui 470
bambini. Erano le 22.39 del 9 ottobre 1963, quando dalle pendici settentrionali del monte Toc si staccò una
frana che crollò sul bacino artificiale sottostante, provocando un'onda che portò morte e silenzio nella valle.
270 milioni di metri cubi di rocce e detriti sommersero Erto e Casso e poi Longarone, radendolo al suolo,
così come le frazioni di Pirago, Rivalta, Villanova e, parzialmente, Faé. Il numero delle vittime di questa
tragedia è approssimativo, poiché molti corpi non vennero mai ritrovati
Proce o di c cerazione
Il 10 ottobre, il Corriere della Sera, apre il giornale con il titolo "L'onda della morte" e invia sul posto Giorgio
Bocca e il bellunese Dino Buzzati.La commissione d'inchiesta ministeriale scattò subito. Il presidente della
Repubblica Antonio Segni accorse nella valle del Piave e, vedendo il
disastro dall'alto di un elicottero, pianse
L'iter processuale fu lunghissimo. Nel 1968, il giudice istruttore di
Belluno, Mario Fabbri, depositò la sentenza contro il direttore
costruzioni della SADE Biadene, l'unico che farà un periodo in
carcere, ed altre 10 persone di cui due nel frattempo decedute
Il processo di primo grado si tenne nel tribunale dell'Aquila con le
prime tre condanne, nel 1969, a sei anni di reclusione di cui due
condonati. Nel 1970, sempre all'Aquila, si tenne l'Appello e ad essere
condannati, qui, furono sempre Biadene e una seconda personaNegli
anni Settanta iniziò invece la battaglia per i danni, in sede civile, con
un travagliato percorso: la sentenza di primo grado del Tribunale di
Belluno arrivò nel febbraio del 1997. La Corte d'Appello di Venezia
confermò la condanna per la Montedison (società all'interno della
quale era entrata nel frattempo SADE) a risarcire il Comune di
Longarone per i danni materiali e morali
L'ultimo atto del percorso si chiuse con l'Enel, attuale roprietaria della diga, che pagò penali ai comuni di Erto
e Casso. Le polemiche sulla prevedibilità del disastro e sull'iter processuale però non si sono mai placate
Cause
I fattori naturali e antropici che hanno caratterizzato la frana sono i seguenti: 1. Assetto strutturale
2. Presenza di un’estesa paleofrana
3. Presenza di una falda in pressione sotto la superficie di rottura
4. Realizzazione dell’invaso e variazioni del suo livello 5. Precipitazioni
6. Sismicit dell’area

1.Il principale fattore predisponente della frana rappresentato dall’assetto strutturale del versante
settentrionale del Monte Toc, che presenta un andamento ’a franapoggio’, cio con gli strati rocciosi che
hanno lo stesso verso di inclinazione del versante.
2.L’esistenza di una paleofrana implicava che la pre-esistente superficie di rottura aveva dei valori di
resistenza a taglio molto bassi. La superficie di contatto tra la massa sottostante che non si mossa e il corpo
di frana sovrastante possedeva una certa resistenza, detta resistenza residua, ma essa aveva valori ovviamente
molto minori rispetto a quelli che aveva prima della paleofrana.
3. Presenza di una falda in pressione sotto la superficie di rottura I livelli argillosi lungo la superficie di
rottura, oltre a possedere una bassa resistenza residua a taglio, costituivano un livello impermeabile che
divideva due falde sovrapposte; quella superiore era libera di oscillare il proprio livello, mentre quella
inferiore era “imprigionata”, ed alimentata dall’infiltrazione di acque meteoriche sul Monte Toc, da una certa
quota in su (fig. 9). Tale assetto comportava che in seguito a periodi di intense precipitazioni l’acqua della
falda inferiore potesse causare un notevole incremento di pressione verso l’alto sulla superficie di rottura
(quando si perfora una falda imprigionata l’acqua risale anche fino in superficie, perch il suo livello
rappresentato all’incirca dalla quota pi bassa del settore libero della falda).
4.Il continuo susseguirsi di svasi ed invasi in un primo momento si ritenevano importanti per regolare il
comportamento della frana, in quanto portavano ad una diminuzione del movimento franoso, ma in realt non
fecero che aggravare la situazione sottoponendo il versante a ripetuti regimi di flusso transitori che ne
minarono ulteriormente la stabilit .
Inoltre la condizione di svaso rapido la peggiore situazione che si possa verificare per l’equilibrio di un
versante.
ss


ar










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Semplificando, un versante sommerso in equilibrio perch la spinta dell’acqua dell’invaso preme contro di
esso bilanciando le forze di taglio agenti, ma quando viene abbassato rapidamente il livello dell’invaso,
l’acqua all’interno del versante non diminuisce di pari passo, ma a seconda della permeabilit dei litotipi
impiega un tempo pi o meno lungo per abbassarsi (flusso transitorio, cio variabile nel tempo) e raggiungere
l’equilibrio con l’invaso (flusso stazionario, cio costante nel tempo).
Ci comporta che la presenza di acqua nel versante ad un livello non pi in equilibrio con l’esterno fa
aumentare notevolmente l’entit delle forze di taglio agenti; se le forze agenti sono maggiori della resistenza
disponibile nel versante si innesca un movimento franoso.
5.L’entit delle precipitazioni incideva direttamente sulla quantit d’acqua che si infiltrava nel versante,
andando ad aumentare il livello nella falda superiore e la pressione nella falda imprigionata. E’ interessante
porre l’attenzione sulla correlazione eseguita tra gli eventi deformativi e di rottura con le precipitazioni
(oscillazioni falda profonda) e la quota d’invaso
Prima e dopo di Long one

Fonti
- https://online.scuola.zanichelli.it/distefano-pederzoli-pianeta-files/approfondimenti/
DiStefano_approfondimenti_35744_Cap_7c.pdf

- https://www.idrotecnicaitaliana.it/wp-content/uploads/2018/05/Da-Deppo-LAcqua-n.-2-2014.pdf
- https://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_del_Vajont
- https://www.focusjunior.it/scuola/storia/diga-del-vajont-9-ottobre-la-notte-che-sconvolse-litalia/
- https://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_del_Vajont#Descrizione
- https://tg24.sky.it/cronaca/approfondimenti/diga-vajont-disastro#17




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