Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Storie Mohammad
Tolouei
presenta
Zoya Pirzad
Ali Khodai
Hamed Esmaeilion
Mahsa Mohebali
Bita Malakuti
Peyman Esmaeili
Alieh Atai
Arash Sadeghbeigi
Razieh Mehdizadeh
D 10,00 € • PTE CONT 7,00 € • E 7,00 €
C H 8 , 2 0 C H F • C H C T 7, 7 0 C H F
ART 1, 1 DCB VR • AUT 8,80 € • BE 7,50 €
SETTIMANALE • PI, SPED IN APDL 353/03
Un’illustrazione
di Lorenzo
Mattotti
canon.it/canon-stories/inspiring-a-world-of-change
Giochiamo un ruolo fondamentale per ridurre l’impatto
ambientale sulle preziose risorse naturali del nostro pianeta.
Dal 2008 abbiamo riciclato 40.220 tonnellate di plastica
da prodotti usati trasformandole in materie prime.
We are Canon
Scopri come
Canon sta
ispirando
il cambiamento
nel mondo
23 dicembre 2021/5 gennaio 2022 • Numero 1441 • Anno 29
L’amore è un segreto divino
La settimana
Buon anno
Giovanni De Mauro
Tornare a viaggiare
LORENZO MATTOTTI
Un’illustrazione
di Lorenzo
Mattotti
mo i conti e a cui sopravviviamo: persone che hanno lasciato il paese Registrazione tribunale di Roma
n. 433 del 4 ottobre 1993
ma continuano a vivere nella sua cultura. Potrei dire che l’Iran è un Iscrizione al Roc n. 3280
Direttore responsabile Giovanni De Mauro
Chiuso in redazione alle 19 di venerdì
luogo immaginario, una terra che esiste solo nella fantasia, dove gli 17 dicembre 2021
Pubblicazione a stampa ISSN 1122-2832
Pubblicazione online ISSN 2499-1600
opposti si scontrano e coesistono. PER ABBONARSI E PER
INFORMAZIONI SUL PROPRIO
In questo numero ho voluto farvi conoscere ciò che mi piace legge- ABBONAMENTO
Numero verde 800 111 103
(lun-ven 9.00-19.00),
re senza la pretesa di dare un quadro esaustivo. Vorrei comunicare la dall’estero +39 02 8689 6172
Fax 030 777 23 87
Email abbonamenti@internazionale.it
complessità di noi iraniani, ma vorrei anche dire che siamo più sem- Online internazionale.it/abbonati
plici di come ci rappresentano. Siamo persone che hanno sete di liber- LO SHOP DI INTERNAZIONALE
Numero verde 800 321 717
(lun-ven 9.00-18.00)
tà, ma che lungo la loro storia sono ripetutamente scivolate nelle ma- Online shop.internazionale.it
Fax 06 442 52718
Noi iraniani viviamo nelle contraddizioni, divisi tra ciò che siamo e
ciò che vorremmo essere, e questo ci ha resi più forti e resilienti di
quanto si possa pensare. u Traduzione di Federica Ponzo
12 Internazionale 1441 | 23 dicembre 2021
Zoya Pirzad Disegni di Anna Parini
Macchia
di luce
a donna posò il lavoro a maglia sulle gi- Nel vicolo i rumori del giorno e la quiete della
L nocchia, reclinò la testa e la ruotò lenta- notte ricoprivano quel mondo familiare come una
mente, prima da una parte e poi dall’al- sottile foglia d’oro. Erano trent’anni che la sua vita,
tra. Si massaggiò la spalla destra con la come una riga netta, come una matassa di lana or-
mano opposta. Da dove
era seduta osservava il vi- Trent’anni prima
za non risvegliava nella donna nessun sentimento. cuscino e ascoltava i rumori della strada. Poco prima
Tanto la vita prima del matrimonio le era lontana, delle sette, perlustrava con lo sguardo la strada in at-
vaga e sconosciuta, quanto facilmente e chiaramente tesa del ritorno del marito. La loro casa era in fondo al
ricordava il periodo successivo. Era come se tutti i vicolo e dalla finestra era possibile vederlo tutto, fino
suoi anni fossero durati un anno e tutti i mesi di all’incrocio con la strada principale. Di solito, alle set-
quell’anno non fossero durati che un mese, e così tut- te di sera, era buio e silenzioso. Solo quella parte di
ti i giorni di quel mese non fossero che un giorno, un strada che si riusciva a vedere dalla sua finestra era
giorno che le era noto, caro e familiare, istante dopo sempre illuminata e da lontano, dal punto in cui lei si
istante. sedeva, i neon delle insegne, le luci dei negozi e i fari
La mattina, una volta sveglia, per prima cosa ac- delle macchine si rincorrevano mescolandosi tra loro.
cendeva la radio. Poi preparava l’occorrente per la Formavano una grande macchia luminosa intorno
colazione. Il conduttore radiofonico annunciava le alla quale vorticava, come un alone, tutto il frastuono
notizie. La donna non le ascoltava mai, ma la voce della strada. Alla donna quella macchia non piaceva.
dell’annunciatore era familiare e confortante. Men- Se la fissava a lungo, assumeva strane e spaventose
tre il marito andava in ufficio, lei lavava le stoviglie. figure e un astruso frastuono le risuonava nelle orec-
Poi si versava del tè e camminava per la casa con la chie. A volte aveva l’impressione che la macchia si
tazza in mano. Ispezionava le stanze, si affacciava in facesse sempre più vicina e più grande al punto che
cortile e sorseggiando il tè passava in rassegna le co- sembrava volesse inghiottirla e in quei momenti l’in-
se da fare quel giorno. Poi si vestiva e usciva a fare la decifrabile frastuono si trasformava in una successio-
spesa. Una volta tornata, rassettava la casa, faceva il ne di risate malefiche. Ma la donna era obbligata a
bucato e stirava. Il marito non tornava mai per pran- guardare la macchia, da cui prima o poi si sarebbe
zo. Il più delle volte la donna mangiava gli avanzi staccato un punto scuro che si sarebbe diretto verso di
della sera prima. A volte, di pomeriggio, andava a far lei. Più il punto si avvicinava, più la sua paura si atte-
visita a vicine e conoscenti, come Soraya a cui era nuava. Il punto s’ingrandiva gradualmente, cambiava
morta la madre e Mahin Khanom che aveva da poco forma e la donna vedeva il marito dirigersi a piccoli
avuto un bambino. passi verso casa. Quello era il momento più bello del-
Loro non ne avevano avuti, ma la donna non si la giornata. Il momento in cui un piccolo punto nero
commiserava per questo. Forse ne era perfino con- completava il suo piccolo universo familiare. Allora la
tenta. Per lei era difficile immaginare in casa un altro grande macchia di luce non le faceva più paura.
essere vivente. Per un figlio avrebbe dovuto ango- La donna aprì gli occhi. Si era fatto buio. Dal vicolo
sciarsi o essere felice e a lei non piaceva né l’una né non proveniva nessun rumore. Guardò l’orologio.
l’altra cosa. Un figlio sconvolge la quiete della vita e lei Erano le sette di sera. Guardò la strada. Il piccolo pun-
amava quella quiete più di tutto. Il pomeriggio, dopo to nero era arrivato a metà del vicolo. La donna fece
aver preparato la cena, si accomodava su un grande un lungo respiro e si alzò. Doveva servire la cena. u
La storia
di Nina
e domeniche pomeriggio ero ospite di “Nessun problema, giovanotto! Non è facile per
l’inquilino del piano superiore, ero appena arrivato a gio quando tornavo a casa. Il modo di Madame Anna
Teheran. La casa era in un vicolo di via Qavam ol- per ringraziarmi di quei piccoli favori – all’inizio era-
Soltaneh. Lei occupava il piano inferiore. Leggeva i no solo delle commissioni a cui, a poco a poco, si so-
fondi di caffè e teneva corsi di danza, di francese, di no aggiunte delle piccole riparazioni, fino a spostare
russo ma negli ultimi tempi, in cui si era ammalata, uno scatolone da una parte all’altra della stanza –
li aveva sospesi tutti. Viveva del mio esiguo affitto e erano le domeniche pomeriggio.
probabilmente anche del denaro di un paio di perso- Con il tè dovevo assolutamente mangiare la com-
ne che ogni tanto andavano a imparare il francese o posta e assaggiare le varie marmellatine. Lei mi fis-
a farsi leggere il futuro. sava finché non esclamavo: “No, ottima davvero, è
Suonavo il suo campanello ogni mattina. Non perfetta”. Sollevava le sopracciglia disegnate con la
apriva. matita. Le rughe accanto agli occhi e sulle tempie si
“Non ho un bell’aspetto”, diceva. distendevano, la chiostra della protesi dentaria ap-
“Non serve niente?”, domandavo. pariva tra il rosso delle labbra mentre diceva: “Oh”.
Se voleva qualcosa, gliela compravo nel pomerig- Dopo di che, intingendo il cucchiaino da tè in argen-
Comprò un
samovar, un
braciere, un paio
di bellissimi
niente?”.
“Niente. Quando arrivò in Iran trovò lavoro a
Teheran. Era giovane e bella. Lavorava in via Lalezar
dalla mattina fino alle cinque del pomeriggio come
assistente del dottor Mammadov, che era arrivato da
Badkhubeh. Lavava i malati con il permanganato o
sterilizzava gli aghi. Faceva i massaggi ad alcuni pa-
zienti, poi andava al caffè Jaleh. Là era pieno di stra-
nieri, di persiani ce n’erano pochi. C’erano bulgari,
N “Per arrivare alla piana di
Mughan la strada era lunga. Nina
appoggiava la testa sulle spalle di
Mila e si addormentava. Quando si
svegliava diceva: ‘Non siamo anco-
ra arrivati?’. Attraversarono Qazvin, Zanjan, Tabriz
e Mianeh dormendo a tratti, finché non raggiunsero
la piana di Mughan. Mila disse: ‘Siamo arrivati’. E
Nina: ‘Dove?’. Mila: ‘Dove dovevamo arrivare’. E Ni-
arazzi provenienti ungheresi e russi. Fu lì che conobbe Mila. Era un gio- na: ‘E quindi, dov’è casa nostra?’. Mila: ‘Non lo so
da Alessandria. vane ingegnere. Non gli importava di niente, si face- ancora nemmeno io’. L’auto si fermò davanti a un
Erano molto va i fatti suoi. Si era trasferito a Teheran per l’azienda edificio di legno. Mila disse: ‘Sta’ seduta qui che arri-
morbidi. “Come Škoda e non si sapeva dove dovesse andare a lavora- vo’. Scese dall’auto e s’incamminò verso la casa di
la seta”, diceva re. Nina raccontava alle amiche che si sedeva sem- legno. Dopo qualche istante un gruppetto di giovani
Nina. Avevano lo pre in fondo al caffè. Spingeva lo schienale della se- donne e bambini che ridevano, con tutto un seguito
sfondo rosso, con dia così indietro che solo le gambe posteriori poggia- di anatre, tacchini, galline e galli, si diresse verso Ni-
vano a terra. Le altre due gambe della sedia e le sue na. Le domandarono: ‘Sei tu la moglie del signor
personaggi che
restavano sospese a mezz’aria. Si accendeva una si- Nikolovski? Scendi, fatti vedere!’. Nina non sapeva
indossavano garetta e dispensava sorrisi a tutti. Specialmente a cosa fare: sistemarsi i capelli o coprirsi il volto con la
lunghe vesti Nina, che capiva la sua lingua. A poco a poco, Nina mano? Semplicemente, sorrise. Aprì la portiera e do-
bianche e fez verdi aveva cominciato a servirgli la cena. Finché una se- mandò alle donne: ‘Qui dove siamo?’. Li sistemaro-
e rossi. ra, dopo avergli appoggiato il piatto sul tavolo e chie- no in una stanza dell’edificio di legno che scricchio-
Squisitamente sto: ‘Vuole altro?’, lei stava per girarsi, ma lui le affer- lava quando camminavi e appoggiarono il baule in
orientali rò il polso. Mila si sbilanciò e le gambe anteriori della mezzo a una stanza. Una signora disse: ‘Piccioncini,
sedia picchiarono forte contro il pavimento. Un paio voi avete da fare, eh?!’, chiuse la porta e se ne andò.
di avventori seduti ai tavoli vicini si voltarono a guar- La stanza era piccola. Nina disse: ‘Ma non c’è il let-
darli. Mila le domandò: ‘Vieni con me nella piana di to!’. Mila rispose: ‘Lo farò preparare’. Nina aprì il
Mughan, Nina?’. ‘E perché dovrei?’, ribatté lei. Mila baule e tirò fuori gli arazzi dicendo: ‘Non abbiamo
le rispose: ‘Perché mi piaci’. E Nina accettò: ‘D’ac- nemmeno una credenza dove riporre i piatti, i bic-
cordo, vengo con te’. Ciò che accadde quella notte chieri e la scatola da cucito’. Richiuse il baule, ci si
fino al mattino dopo non te lo racconto perché sei sedette sopra e disse a Mila: ‘Se solo non fossimo
troppo stanco, giovanotto. I piroshki si sono pure raf- mai venuti qui’. E scoppiò a piangere a dirotto. Lui
freddati. Comunque per quella sventurata di Nina, rispose: ‘Almeno appendi gli arazzi’, e le si avvicinò.
fuggita dal suo paese, fu una grande opportunità. Le accarezzò i capelli, le prese di mano gli arazzi e li
Disse al dottore di trovare una sostituta e passò il po- stese sul pavimento. I due ci dormirono sopra ab-
meriggio a cercare le cose per il corredo tra i negozi bracciati. Furono svegliati dal cigolio della porta.
di via Naderi e via Ala od-Dowleh o – come la chia- Erano le vicine che chiedevano: ‘Nina, tesoro, anco-
mano oggi? – via Ferdowsi. E anche su viale Eslam- ra non hai visto dove sono la cucina, il lavabo e la toi-
bol. Comprò un samovar, un braciere, un paio di lette? Quando esci, colombella?’. Quando fu sera gli
bellissimi arazzi provenienti da Alessandria. Erano uomini tornarono dal lavoro. Si sedettero tutti a un
molto morbidi. ‘Come la seta’, diceva Nina. Avevano lungo tavolo di legno con le panche all’esterno dell’e-
lo sfondo rosso, con personaggi che indossavano dificio, e mangiarono e bevvero in onore dei giovani
lunghe vesti bianche e fez verdi e rossi. Squisitamen- piccioncini. Gli animi si scaldarono e così si dimen-
le, alcuni fazzoletti con gelsomini, sei tovagliette con sbattendo le ali. Fino a Mianeh la strada non era
fiori rosa a cinque petali, altri fazzolettini con le ini- brutta, non incontrarono grandi difficoltà. Ma Mila
ziali dei loro nomi. Non c’era più cotone. Nina disse: aveva la febbre. Nina gli bagnava continuamente il
‘Mila, fa’ qualcosa, non ne posso più’. Mentre Nina viso con un panno e gli pettinava i capelli. Si portava
ricamava sui fez degli arazzi per disperazione, a Mila al volto le mani bollenti di Mila per rinfrescarle.
venne la febbre. Adottarono tutti i rimedi di cui le Chiedeva in continuazione: ‘Stai bene, Mila? Stai
donne erano a conoscenza. Vennero persino i conta- bene, Mila?’, e premeva le sue guance bollenti contro
dini a bruciare i sali d’ammonio. Non funzionò. Mila il finestrino ghiacciato dell’auto. A Mianeh non c’era
non respirava bene. L’affanno, la tosse e la febbre un dottore. Fino a Tabriz nevicò costantemente, ri-
aumentarono. Bisognava portarlo in città”. masero in strada un giorno intero prima di arrivare.
“Dove?”. Quel giorno armeggiò con le unghie di Mila fino a
“A Teheran”. mezzogiorno: gliele tagliò, gli rimosse le cuticole.
“Sarebbe sicuramente morto prima di arrivare, in Gli massaggiò le dita delle mani. Gli disegnò occhi e
quelle condizioni”. sopracciglia con la matita. Mila sorrise, Nina do-
“Ascolta, giovanotto. Andarono a Teheran con mandò: ‘Stai bene, Mila?’, lui rispose: ‘Sto bene’. I
un’auto che un’altra coppia gli aveva messo a dispo- medici di Tabriz dissero che il posto migliore era l’o-
sizione. Se non ci fosse stata un’auto, avrebbero usa- spedale Shoravi di Teheran, lei assicurò che lo avreb-
to il camion. Lungo il percorso rimasero bloccati al be portato là e si misero nuovamente in marcia in
valico per qualche giorno. Nina disse: ‘Mila, ce ne direzione di Zanjan. Preparò il tè sul braciere. Rin-
andiamo e non torneremo più, o meglio, io non tor- graziava continuamente l’autista”.
nerò più’. Regalò i piatti, i bicchieri e il baule alle vi- “Mila morì, Madame? Sicuramente anche Nina”.
cine, il letto a una coppia. Prese gli arazzi, i ricami, “Porta pazienza. Non si sa. Vuoi che ti prepari un
alcuni effetti personali e i vestiti, e li infilò in una va- altro caffè? Vuoi che ti racconti il resto della storia
ligia. Sistemarono Mila sull’auto. Accesero un bra- un’altra domenica?”.
ciere ai suoi piedi in modo che si riscaldasse. Nina si “Porterò pazienza, Madame. Ma ho freddo, an-
sedette vicino al finestrino. L’autista mise in moto. che noi siamo in mezzo alla neve. Lo bevo volentieri,
Nina si affacciò dal finestrino e salutò con la mano le Madame”.
vicine. I bambini corsero dietro l’auto, mentre le gal- Mi scaldai.
line e i galli, i tacchini e le oche correvano qua e là “Ogni giorno Nina bagnava un panno con l’acqua
M dio lo scialle tessuto a mano e cava qualcosa di non meglio definito nel flauto. Il fi- tavolo con lo
se lo gettò sulle spalle dicen- sarmonicista si era addormentato. Il violinista, inve- strumento sulle
do: “L’autista andò ad aiutare ce, continuava a suonare e Nina sulla sedia a dondo- sue gambe. Il
Nina, i due fecero scendere lo di fronte a lui, con le gambe accavallate e senza flautista cercava
Mila che batteva i denti, stan- scarpe, faceva oscillare lentamente la testa. Il violi- qualcosa di non
do attenti a non farlo scivolare. Diceva in continua- nista disse: ‘Madame, non è stanca? Noi siamo esau- meglio definito nel
zione: ‘Ni-ni-ni-na, tesoro’. Finché non raggiunsero sti. Fuori dalla porta è mattina’. Nina esclamò: ‘Eh?!’, flauto. Il
l’ingresso dell’edificio si sentiva solo il battere di e guardò dietro di sé. Le sedie erano accatastate sui fisarmonicista
denti di Mila. Aperta la porta, c’era un grande abete tavoli, un cameriere si era addormentato su un tavo- si era
addobbato con lucine intermittenti rosse, gialle e lo in fondo alla sala e solo due luci erano ancora ac-
addormentato.
verdi. Sotto c’erano Gesù, gli angeli e in cima una cese. Il violinista disse: ‘Suono ancora, madame?’, e
stella sfolgorante. Arrivarono due infermiere in loro Nina rispose: ‘Mi chiami pure Nina. Sono appena
Il violinista invece
soccorso. Dopo qualche istante immersero Mila in arrivata, sto fuggendo dal gelo’”. continuava a
una vasca d’acqua bollente di colore verde per scal- Madame si strinse nello scialle. suonare
darlo e disinfettarlo. Poi lo asciugarono, gli fecero “Il musicista disse: ‘Suono ancora, madame Ni-
indossare un pigiama e lo fecero sdraiare sul letto na?’. Nina rispose: ‘Come vuole. È da tanto che non
numero 22. Disse: ‘Farò una bella dormita. Vai pure, sento suonare il violino. Stavo quasi per dimenticare
Nina mia’, e chiuse gli occhi. E Nina cosa fece, giova- com’è fatto. Meno male che l’ho visto di nuovo’. E il
notto? Prese la valigia e andò dritta al caffè Jaleh, musicista: ‘Allora suonerò per lei. Una melodia che
quello dove aveva conosciuto Mila. Si pulì i piedi sul- amo tantissimo. A volte, quando mi torna in mente
la soglia del locale. Quando aprì la porta, i tavoli ton- la mia infanzia, la fischietto sottovoce’. Nina chiese:
di del caffè erano pieni di clienti, sempre quelli. ‘Conosce la melodia del Certeza?’. E lui rispose: ‘For-
Un’orchestra ungherese suonava la ciarda. Nina se. La fischietti!’. Nina fischiettò, prima piano, poi
sentì di avere le calze bagnate per la neve e i capelli disse di aver fatto un errore e ricominciò. Due, tre
appiccicaticci e umidi. Gli uomini non la guardaro- note, una dopo l’altra. Poi arrivò il suono del violino.
no. Si rallegrò: era a Teheran e aveva portato Mila in Nina disse: ‘Adesso così’, e con le dita gesticolava
ospedale. Dio l’aveva assistita. La camera al piano di nell’aria. Il musicista domandò: ‘Ora va meglio?’.
sopra era vuota. Non appena prese la chiave corse su Nina rispose: ‘Non la conosciamo bene, né io né lei’.
per le scale. Aprì la porta, accese la luce e posò la va- Il musicista ribatté: ‘Balla, madame?’. E Nina: ‘Sono
ligia al centro della stanza. Vide un letto, un tavolino, stanca’. ‘È sola?’. ‘Sì’. Avrebbe voluto dire di Mila,
uno specchio dietro alla porta, un armadio e una fi- che le aveva parlato della piana di Mughan, di Mia-
nestra. Andò verso quest’ultima, aveva le tende neh, di Tabriz e di… ma poi si accorse che il musicista
bianche e azzurre. Dietro il vetro si vedeva la strada, stava suonando la melodia del Certeza. ‘È stanco?’.
di tanto in tanto le auto o le carrozze lasciavano sol- ‘No, madame. Le facevo compagnia. Alla fine ognu-
chi sul bianco uniforme. Si avvicinò allo specchio. no ha una storia, e l’importante è non raccontarla.
Udì un vociare e un tintinnare di bicchieri. Tirò un Mi concede un ballo, madame?’. Il musicista e Nina
sospiro di sollievo. Aprì la valigia ed estrasse gli araz- ballarono fischiettando il Certeza. ‘Mi chiamo Luca,
“Quanto
desideravo
raccontare questa
storia, la storia di
se: ‘Ho freddo’. Nina rispose: ‘Fa freddo dappertut
to’, e sorrise. ‘Dell’acqua, dammi da bere piano, che
sto bruciando’. Nina chiese dell’acqua e con il cuc
chiaio gli diede da bere lentamente. Lui le prese la
mano, scottava. Chiuse gli occhi. Entrò l’infermiera.
Nina disse: ‘Mi ha preso la mano e ha chiuso gli oc
chi’. L’infermiera le disse di uscire. Sistemò un para
vento intorno al letto di Mila. Quando l’infermiera
uscì dalla stanza diede a Nina l’anello di suo marito:
E to.
Madame disse: “Vedi, caro ragaz
zo, cos’è successo alla fine? I due se ne
sono andati”.
Guardavo le fotografie di Nina.
Madame disse: “Quanto desideravo raccontare
questa storia, la storia di Nina. Solo tu ti sei accorto
dei fiori ricamati sulla tovaglia. La sera, quando fu
mo e penso a Nina, chiudo gli occhi e la brace della
Nina. Solo tu ti sei ‘Questo è suo. È morto sereno, senza strepiti’. Nina sigaretta cade sulla tovaglia bucandola. Ma passia
accorto dei fiori guardò la stanza, il paravento bianco: ‘Non ha nean mo oltre, caro, prendi del tè o un delizioso pesciolino
ricamati sulla che mangiato il pesciolino di cioccolato’. Avrebbe di cioccolato?”.
tovaglia. La sera, voluto piangere. L’infermiera le disse: ‘Non qui, non “Sì, Madame”.
quando fumo e turbi gli altri malati, non turbi se stessa. Sapeva che Madame portò il tè. Insieme ai pesciolini di cioc
penso a Nina, sarebbe morto’. Uscì dall’ospedale, raggiunse il caffè colato ricoperti di stagnola colorata.
chiudo gli occhi e e la sua stanza. Chiuse la valigia e si lasciò cadere sul “Che bello, Madame! Come nella storia che ha
letto”. raccontato!”.
la brace della
“Ma questa storia non è ancora finita, caro”.
sigaretta cade “Quindi lei non voleva Mila?”. “Certamente, Madame”.
sulla tovaglia “Certo. Nina avrebbe voluto che Mila ci fosse. E bevvi il mio tè.
bucandola” Non aveva fatto altro che sperare che guarisse men Madame si aggiustò lo scialle che le era scivolato
tre andava da lui. Aveva perfino scaldato l’acqua. Gli dalle spalle.
aveva insaponato il viso con il pennello da barba e lo “No, ragazzo mio. Quando me ne andai via con
aveva rasato. Gli aveva messo lo specchio davanti Luca, vidi che nessun luogo era come quello in cui mi
dicendo: ‘Vedi, stai meglio’. Gli aveva spruzzato ero innamorata. Nessuno mi conosceva, Luca era
dell’acqua di Colonia, ma Mila era bollente. Gli ave uno zingaro… Prendeva il violino e se ne andava a
va premuto il volto contro il finestrino ghiacciato, ma zonzo, vicino al Volga o al Danubio. Nel bel mezzo
il suo calore scioglieva il ghiaccio. Si scioglieva. Era del viaggio, tornai indietro. Misi gli arazzi in valigia
il rumore della sedia di Mila, erano le sue mani che e sparii. Finché non divenni Madame Anna. Nessu
avevano lasciato il polso di Nina: ‘Vieni con me nella no conosceva Nina. Allo stesso modo, nessuno co
piana di Mughan?’. Oh, se solo non avesse detto di sì! nosce Madame Anna. Tranne te. Io questa storia non
Quando Nina riaprì gli occhi, era sera. Nella sua l’ho mai raccontata a nessuno, ragazzo mio. Mi pia
stanza arrivavano di nuovo suoni di risate e un bru cerebbe, prima che tu te ne vada…”.
sio. Aprì la finestra, l’aria fredda entrò nella camera. Si alzò. Caricò il grammofono, prese un disco e ce
La musica dell’orchestra, il suono degli applausi ave lo sistemò sopra.
vano riempito lo spazio. Nina uscì, prima di chiudere “Alzati, balliamo”.
la porta guardò nello specchio. Chi sa che Mila è Spense la luce. Fuori nevicava.
morto? Scese le scale, si sedette sul gradino. Ordinò “Luca, dove ce ne andremo?”.
da bere. Quando glielo servirono e bevve, si scaldò. I “Ovunque tu vorrai, Nina”.
suoi occhi stavano per inumidirsi, quando una mano “Mila, dove ce ne andremo?”.
afferrò la sua dicendo: ‘Sola la notte di capodanno, “Ovunque tu vorrai, Nina”.
madame?’. Ballavano tutti. Anche Nina. Prima la La musica del grammofono risuonava dapper
ciarda, poi tutti i balli che conosceva o non conosce tutto. u
Amici
per la pelle
uei due non li ho mai visti, ma conosco Certo, dirà qualcuno, un ragazzo come Yasser sa-
Q i loro nomi. So che si chiamano Ali e rebbe potuto andare all’università. Sicuro! Come
Yasser. E questo aiuta molto. Sì, è vero, dicevo, la storia risale a vent’anni fa, e all’epoca an-
Ali è il protagonista, ma se ascolterete dare all’università era complicato. L’esplosione de-
questa storia fino in fondo capirete che mografica cominciata con la rivoluzione del 1979 era
anche Yasser è pienamente coinvolto. andata avanti per diciotto anni, e ora lo stato doveva
Su questioni del genere è difficile giudicare. Ma cer- gestire milioni di ragazzi con i baffi fulvi e i pantaloni
to la presenza di Yasser ha avuto il suo peso, soprat- cadenti, e di ragazze con la coda di cavallo che spun-
tutto se si considera fino a che punto lui ha permesso tava da sotto il velo nero a caschetto come l’eruzione
che la cosa andasse avanti. di un vulcano. Alcuni potevano essere
Yasser era alto, muscoloso e con le Si dice che fosse piazzati sul mercato del lavoro, altri in-
spalle larghe. Forse non tanto grosso originario di vece (altre, in realtà) potevano essere
da non passare da quella porta, ma da quell’altra grande destinati al matrimonio. Alcuni li si po-
adolescente di tanto in tanto avrà sol- città, e quando teva mandare al fronte, in sartoria o
levato pesi, o fatto un po’ di flessioni cominciò a venire in negli stanzini di una moschea. Comun-
sul suo copriletto di lana grezza. Oppu- questa più modesta que, c’era qualcuno che voleva andare
re lui e i suoi amici avranno avuto l’abi- città ancora non all’università, e Yasser non faceva ec-
tudine di andare al lago dietro la diga sapeva cosa fossero cezione.
della città per tuffarsi in acqua da una Yasser avrà avuto i baffi sottili. Ma-
sigarette, spipettate
collinetta alta tre o quattro metri. E poi gari, il primo giorno all’università cal-
nuotare una decina di metri sott’ac-
d’oppio e cicchetti zava delle scarpe di cuoio che gli aveva
qua, risalire e mettersi un asciugama- passato il papà e lucidate per l’occasio-
HAMED
no sfilacciato intorno alle spalle: quanto bastava ne, o forse indossava pantaloni beige a zampa d’ele-
ESMAEILION perché sentissero di avere i muscoli più torniti del fante arrotolati tre volte alle caviglie. Insomma, sì,
è nato a Kermanshah mondo o perché i loro ricci perfetti tormentassero il Yasser andava all’università e studiava psicologia,
nel 1977. È autore di sonno di centinaia di ragazze belle come la luna. un indirizzo che gli piaceva molto.
due romanzi e due Sono quasi sicuro che Yasser andasse in palestra, Si dice che fosse originario di quell’altra grande
raccolte di racconti forse perché quando era in strada e le macchine suo- città, e quando cominciò a venire in questa più mo-
che hanno vinto navano il clacson, lui si girava per vedere se erano i desta città ancora non sapeva cosa fossero sigarette,
importanti premi suoi amici della palestra o altra gente. spipettate d’oppio e cicchetti. Non sapeva neanche a
letterari in Iran. Vive
Se non era stata la borsa della palestra che gli cosa si riferissero espressioni come “cioccolato buo-
in Canada, dove
pendeva dalle spalle ad attirare l’attenzione, allora no” e “candeggina superiore”. Ma all’epoca in cui
lavora come dentista.
Il titolo originale di
di solito era una povera ragazza ferma sul ciglio della sono successi questi fatti era già adulto e vaccinato,
questo racconto è Ali strada in attesa di un taxi per andare a casa della e conosceva nome e indirizzo di tutti gli spacciatori
va Yaser. Traduzione nonna, e gli automobilisti, lupi che spogliavano con di grappa, vino e oppio.
di Domenico Arturo gli occhi ogni donna, litigavano tra loro per caricarla Ma perché parlo di questa o di quella città senza
Ingenito. in macchina a tutti i costi. dirne il nome?
Ovviamente so bene come si chiamano, ma per- mente veritiera? Se poi vi dirò che anche nella vostra
ché dovrei rivelarlo? Devo proprio confessare che, città un uomo può andare sia a vela sia a motore, che
anche se voi avete fiducia in me, io non mi fido trop- tutto il mondo è paese e che di donne non tanto sante
po di voi? Per esempio, se dicessi Ahvaz o Isfahan al se ne trovano ovunque, cosa risponderete? Non lo
posto di questa o quella città cambierebbe qualcosa? so. Non ho voglia di perdermi in queste discussioni.
In questa storia Se scrivessi Teheran o Tabriz si risolverebbe tutto? Scegliete voi il nome delle città.
Ali è il personaggio Oppure Mashhad o Shiraz? Hamedan o Zahedan?
principale: un Non credo proprio. Perché il racconto finisca e pos- In questa storia Ali è il personaggio principale: un
siate conoscere l’intera vicenda, per poi riprendervi giovanotto piccolino che sosteneva di venire dal ca-
giovanotto
dallo shock, sentirete la necessità di rovistare tra le poluogo di una regione nel sud dell’Iran. Eppure gli
piccolino che
mie pagine virtuali. Non proprio tutti, ma almeno amici che l’avevano visto più volte sull’autobus in
sosteneva di venire qualcuno. Se non mi incontrerete per strada, andrete partenza da quel capoluogo verso un paesino sper-
dal capoluogo di a cercarmi tra quelle pagine. Mi manderete a quel duto hanno detto spesso che aveva un accento stra-
una regione nel paese e mi coprirete d’insulti, di quelle offese a sfon- niero. “Ali mente”, sostenevano. Ora vai a sapere chi
sud dell’Iran. do sessuale o di carattere religioso che puntano drit- tra tutti noi che siamo finiti ai quattro angoli del pia-
Eppure gli amici to al cuore. Io all’inizio non me la prenderò, mi farà neta si era ritrovato su quell’autobus che porta in cu-
che l’avevano visto piacere sapere che qualcuno ha letto il racconto, e il lo al mondo. Ricordatevi che, tra l’altro, tutti questi
più volte numero di lettori alla fine s’impennerà. Alle offese dettagli non hanno nulla a che fare con la nostra sto-
sull’autobus in poi non do molto credito, perché lasciano il tempo ria. Che Ali fosse di carnagione chiara oppure oliva-
partenza da quel che trovano. Poi ci sarà una seconda ondata. stra non fa alcuna differenza. Non importa che lui
La seconda ondata sarà fatta di quelli che mi at- studiasse geografia o che Yasser fosse iscritto a psi-
capoluogo verso
taccheranno senza aver neanche letto il racconto. cologia. La muscolatura di Yasser è solo un dettaglio,
un paesino
Nonostante io dica che questa è solo una storia, e sapere da dove venissero di preciso quei due non ci è
sperduto hanno non importa di dove siano Yasser, Ali o Behjet, voi di nessun aiuto, ma è il pretesto per presentarci il si-
detto spesso che non mi crederete, e alla fine mi rimprovererete: ma gnor Jahan e sua moglie Behjet. O forse solo la signo-
aveva un accento non avevi detto che il racconto corrisponde a realtà? ra Behjet. Ma sì, parliamo di lei!
straniero Non avevi forse detto che è una storia svergognata- Behjet era una donna non particolarmente attra-
S E A R C H I N G A N E W W A Y
Mahsa Mohebali Disegni di Davide Bonazzi
Il signor
Barati
essuno di noi conosceva il motivo lui ce l’aveva, era evidente. Solo che era in tasca. La
N per cui il signor Barati teneva sem- mano sinistra del signor Barati esisteva. Era lì, davan-
pre la mano sinistra nella tasca dei ti agli occhi di tutti, era solo nascosta nella tasca dei
pantaloni. Tiravamo tutti a indovi- pantaloni. E a volte in quella dell’impermeabile.
nare. Secondo le ragazze era perché Mash Karim, il custode della scuola, diceva di
sapeva che quel gesto gli conferiva averla vista e di conoscere il motivo per cui la nascon-
un fascino irresistibile. Nelle foto di gruppo d’inizio e deva. Ma teneva la bocca cucita e non sputò il rospo
fine anno scolastico il signor Barati aveva sempre la finché uno di noi non mise mano al portafoglio.
mano sinistra in tasca e un misterioso sorriso gli in-
curvava appena le labbra. Era il sosia di
Un giorno, raccontò Mash Karim, era prevista
una visita di controllo del dipartimento
Clark Gable. Il signor Barati dell’istruzione e il signor Barati aveva
Alcuni di noi vedevano in quella po- aveva sempre deciso di non tornare a casa per pran-
sa altezzosa un modo di fare per sedur- la mano sinistra zo, fosse mai che il sovrintendente ar-
re le donne. Ma non era da lui, dicevano in tasca e un rivasse proprio mentre lui non c’era.
altri. Il signor Barati non aveva bisogno misterioso Allora Mash Karim lo invitò a mangiare
di assumere certi atteggiamenti, davve- sorriso gli un piatto di kale jush e il signor Barati
ro. Con quelle spalle larghe e l’alta sta- incurvava appena accettò di buon grado. Mash Karim gli
tura, i baffi folti, gli occhiali di tartaru- le labbra. offrì addirittura un pigiama da indos-
ga, i capelli lisci e impomatati pettinati sare, sicuro del fatto che il signor Barati
Era il sosia
all’indietro e quegli abiti sartoriali blu non si sarebbe mai seduto sul suo tap-
MAHSA
scuro o grigio tortora che abbinava a
di Clark Gable petaccio da quattro soldi con i suoi
MOHEBALI
cravatte alla moda, non aveva proprio pantaloni blu di lana pettinata. Mash
è una scrittrice
iraniana nata nel
bisogno di darsi delle arie per rubare il cuore delle Karim aveva già calcolato che se il signor Barati si
1972. Vive a Teheran. maestre che lavoravano nella sua scuola. fosse tolto i pantaloni per indossare quelli del pigia-
Il suo ultimo Qualcun altro ipotizzava che un giorno il signor ma non avrebbe potuto tenere nascosta la sua mano.
romanzo pubblicato Barati avesse scommesso con se stesso di riuscire a Ma prese un granchio. Il signor Barati se li infilò fa-
in Italia è Tehran girl fare tutto con una mano sola e che si fosse poi abitua- cendoli passare sotto quelli di lana e il caso volle che
(Bompiani 2020). Il to così. Portava sempre le scarpe con le stringhe e, anche il pigiama fosse dotato di tasche. Quando mai
titolo originale di insomma, vederlo mettere prima un piede e poi l’altro i pigiami hanno le tasche?
questo racconto è sul gradino per allacciarle solo con la destra, oppure Mentre il signor Barati schiacciava un pisolino do-
Dast-e morde-ye Aqa
farsi il doppio nodo alla cravatta sempre senza usare po pranzo, Mash Karim, dispiaciuto per l’occasione
Barati, è stato scritto
la sinistra, cose che noi facevamo normalmente con perduta, gridò a tradimento che era arrivato il sovrin-
tra la fine del 2020 e
l’inizio del 2021 e la
due mani e per giunta a fatica, solleticava la nostra tendente e fece finta di guardare da uno spiraglio del-
sua versione in lingua immaginazione. la tenda. Il signor Barati si precipitò ad afferrare i pan-
originale è inedita. C’era chi diceva che il signor Barati aveva perso la taloni e a infilarli sopra il pigiama. Il tempo di un bat-
Traduzione di mano in guerra. Ma quale guerra? Erano cent’anni tito di ciglia, la mano uscì da una tasca ed entrò
Giacomo Longhi. che non ne scoppiava una. Oltre a ciò, la mano sinistra nell’altra. Era stata una frazione di secondo, eppure
Mash Karim giurava e spergiurava di aver visto che la parte e ognuno di noi cominciò a uscirsene con qual-
mano sinistra del signor Barati era paralizzata, inerte, che buffonata.
come morta. Nessuno di noi credeva a quelle parole. Uno imitava il verso delle cornacchie, un altro can-
È mai possibile che la mano di un uomo vivo sia mor- tava le canzoni di Susan e un altro ancora si metteva a
ta? Mash Karim diceva che di morti ne aveva visti tan- ballare come Nematollah Aghasi. Il signor Barati li
ti in vita sua. Sì sentì addirittura in dovere di confessa- accompagnava canticchiando e storpiando le parole.
“Avevo cinque
re che da ragazzo aiutava suo padre a lavare i corpi Poi, a poco a poco, passammo a raccontarci vecchie
anni quando salii all’obitorio. Mash Karim diceva: “La sinistra del si- storie.
sul gelso di mio gnor Barati è morta e defunta. L’ho vista con i miei Il signor Barati, ormai più che brillo, tenne banco
nonno per occhi. È pallida, con le vene secche e bluastre. Pare con la storia del ventennale litigio tra i suoi genitori.
raccogliere le quella di un cadavere”. Sua madre e suo padre avevano passato gli ultimi anni
more. Scivolai con La maggior parte di noi non ci credeva. Però Mash senza parlarsi ed erano morti senza aver fatto pace. Il
il piede, cascai a Karim speculava alla grande su questo racconto. Gli tutto per una questione ridicola.
terra e, non so alunni della scuola gli davano la mancia per sentirlo. “Avevo cinque anni quando salii sul gelso di mio
come, mi ruppi La storia aveva avuto un merito: i ragazzi, adesso, te- nonno per raccogliere le more. Scivolai con il piede,
la mano” mevano il signor Barati ancora più di prima. cascai a terra e, non so come, mi ruppi la mano. Il me-
Già senza quella mano cadaverica, il signor Barati dico del paese me la ingessò e quando un mese dopo
faceva tremare di paura. Insegnava matematica ed mi tolsero il gesso si accorsero che era storta e non si
era anche il preside. Tra una lezione e l’altra prendeva muoveva.
la riga e passeggiava per il cortile della scuola batten- Mio padre mi portò dal medico di un paese vicino.
dosela lungo la gamba. Bastava che passasse per far Quello mi fece tener fermo da tre tizi che erano lì e mi
tacere di colpo schiamazzi e risate. Adesso che aveva saltò a piè pari sulla mano. La mano si ruppe di nuovo,
la mano di un morto, la sua autorità si elevava a quella lui la sistemò, ci spalmò una pomata e la ingessò. Do-
dell’angelo Azrael e nessun alunno in un raggio di po un mese, quando riaprirono il gesso, la mano era
venti metri da lui osava fiatare. sempre storta e ancora non si muoveva.
Il mistero durò finché, una sera, uscimmo in grup- Il medico del nostro paese mi ruppe la mano e la
po per festeggiare il compleanno di un collega e ci sistemò per una terza volta. Solo che non ci fu verso di
imbattemmo nella taverna dell’oste Avanes. Pian pia- raddrizzarla. Ci dissero che il mausoleo dell’imamza-
no l’alcol ci riscaldò, le formalità furono messe da deh Davud era il rimedio per tutti i mali. Donne steri-
S
lor carne, sgualcite qua e là, le arrivavano sotto le gi- enza ammettere discussioni, il signor Ba-
color carne, nocchia pelose, che lei lasciava impudicamente in rati ci appoggiava la mano dietro la schie-
sgualcite qua e là, bella vista ogni volta che si sedeva. na e ci spingeva dentro casa. Una casa di
le arrivavano sotto Ma agli occhi del signor Barati, tutto ciò era un in- cui ciascuno di noi aveva un’opinione,
le ginocchia pelose, canto. Era la somma della dignità, dell’onore e della ma su cui tutti concordavano nel dire che
che lei lasciava sobrietà. Nella testa infarcita d’ideali del signor Bara- non era adatta ad accogliere ospiti e da
ti, una ragazza che non si curava dell’aspetto fisico, cui volevamo uscire tutti il prima possibile. I materas-
impudicamente in
ma si dimostrava tanto audace e consapevole da fon- si della notte, non ancora arrotolati, giacevano ab-
bella vista ogni dare una scuola nazionale in un quartiere disagiato, bandonati sul tappeto. In un angolo c’era una macchi-
volta che si sedeva. era come un angelo. na da cucire con dentro le braghe del signor Barati.
Ma agli occhi del La signora Shiyani fu assunta come professoressa L’asse da stiro era aperta con sopra una camicia mez-
signor Barati, in prima media. Con quello sguardo minaccioso en- za stirata e mezza bruciacchiata. In un angolo del cor-
tutto ciò era un fatizzato dalle sopracciglia nere e dai baffi che le tile giacevano in disuso una scopa, una paletta e una
incanto. Era la spuntavano sopra il labbro, teneva così bene a bada bacinella dentro cui ammuffivano dei vestiti bagnati.
somma della quel branco di scapestrati che il signor Barati finì per Ruhi se ne stava seduta davanti al televisore, la cor-
dignità, dell’onore innamorarsene ancora di più. netta del telefono all’orecchio. Puliva il riso e sgra-
e della sobrietà Il primo anno di apertura dell’istituto non aveva nocchiava semini tostati mentre la pargoletta strilla-
portato chissà quali guadagni, ma abbastanza perché va a più non posso.
il signor Barati restituisse il prestito al fratello e tor- Non appena entravamo in casa, il signor Barati si
nasse, poco dopo, a richiedergli la stessa somma. scusava per il disordine. Noi tentavamo di aggrappar-
Questa volta era per le spese del suo matrimonio con ci a un pretesto per scappare via, ma lui era gentilissi-
la signora Shiyani, che nel frattempo aveva preso a mo. Non poteva assolutamente permettere che un
chiamare “mia dolce Ruhi”. ospite girasse i tacchi sulla soglia di casa sua. Dunque
Nessuno di noi riusciva a credere che il signor Ba- lo tirava dentro con insistenza e, mentre gli ripeteva
rati sposasse davvero la signora Shiyani. C’era chi di- di mettersi comodo, lanciava un grido alla moglie ac-
ceva che di sicuro, prima delle nozze, sarebbe succes- compagnato da occhiate minacciose. Ruhi, allora,
so qualcosa che gli avrebbe aperto gli occhi. Un altro metteva giù il telefono e con una risata allegra ci rivol-
diceva che il signor Barati non era tipo da sposarsi e geva il benvenuto.
che prima di finire in trappola se ne sarebbe tirato fuo- Il signor Barati offriva un pigiama all’ospite e s’in-
ri in qualche modo. Secondo le ragazze non appena il filava il suo con le tasche, abbracciava la sua Negin di
signor Barati avesse mandato la madre e la sorella a pochi mesi e chiedeva brontolando a Ruhi come mai
chiedere la mano della sposa, il matrimonio sarebbe non avesse cambiato la bambina. Poi apriva le fasce
andato a monte. Tuttavia, non si sa se per le trame del della piccola e la portava alla vasca in cortile. Appog-
Barati non mancava niente, era perfetto. All’inizio, perché teneva la mano in tasca sia perché Negin, che
almeno, alcuni la pensavano così, ma dopo un po’ do- aveva tre anni, gli spuntava dal gomito. Ruhi, invece,
vettero ricredersi e si unirono al nostro parere. “Ma posava a braccia aperte, come se ballasse o accoglies-
guarda che moglie si è preso il signor Barati”, escla- se un ospite, e sorrideva sguaiata. Nella foto avevano
mavamo, “contento lui!”. tutti la bocca spalancata. Negin strillava per attirare
Nelle foto del compleanno della prima figlia, Ruhi l’attenzione. Ruhi sghignazzava. Le gemelle urlavano
indossava un bel vestito ed era truccata e pettinata a squarciagola. E il signor Barati gridava ancora più
come Brigitte Bardot. Era davvero in forma. Ma dopo forte nel vano tentativo di zittirle tutte.
la nascita delle gemelle, Zarrin e Simin, quel barlume Le gemelle, stufe di stare appiccicate, si dimena-
di buon gusto era di nuovo sparito e nelle foto di com- vano così tanto che sembravano un budda dalle mille
pleanno dei tre anni di Negin, Ruhi era tornata la braccia, mentre il signor Barati sembrava un acrobata
sciattona di prima. A quanto pare il signor Barati non pronto a esibirsi in un numero mozzafiato. Dalla foto
riusciva più a mandarla dalla parrucchiera. In quelle veniva spontaneo immaginarsi una delle bambine
foto Ruhi compariva con una camiciona di cotone che scivolava per terra subito dopo lo scatto, mentre
stampato e i capelli che sparavano in tutte le direzio- un vaso si rompeva, la tovaglia veniva tirata via con
ni, le sopracciglia le erano cresciute fino a sembrare violenza e l’alzata per i dolci e la frutta finiva per aria.
un paio di zampe di capra e fissava l’obiettivo con il Ma non succedeva mai niente del genere, almeno
suo solito sorriso ebete sulle labbra. finché Ruhi non toccava qualcosa. Sotto il controllo
La nascita delle gemelle, per il signor Barati, fu del signor Barati nessun piatto si rompeva, nessuna
una vera catastrofe. Se prima riusciva a raccapezzarsi bambina scivolava e l’alzata dei dolci rimaneva stabi-
di tutto quello che aveva da fare, il loro arrivo lo man- le al suo posto. Ma non appena Ruhi metteva piede in
dò totalmente nel pallone. Da solo non ce la faceva a cucina, si scatenava l’inferno. Il signor Barati la rag-
dondolarle per fare il ruttino e a metterle a nanna tut- giungeva sgomento e lei, con quell’assurdo sorriso,
te e due insieme. Nelle foto del loro primo complean- raccontava sghignazzando cos’era successo. Aveva
no, si può ammirare l’originale metodo con cui il si- servito il riso sul vassoio, ma quando aveva provato a
gnor Barati tentava di tenerle in braccio. Con una sollevarlo scottava troppo e l’aveva lasciato cadere,
gamba alzata e il piede puntato sull’altra, le faceva oppure quando stava per versare il sugo nelle zuppie-
sedere una dietro l’altra sul ginocchio piegato e le re, le grida del marito che chiamava le figlie l’avevano
stringeva a sé precariamente sbilanciato a sinistra, sia fatta sussultare e la pentola le era sfuggita di mano.
O
Ma due settimane tole non appena arrivate a casa. rmai la scuola non era più la nostra.
dopo nessuno Cos’avevamo in meno del nostro amico? Mica era- Un giovane direttore a cui era appena
si ricordava più vamo degli imbranati! Era la metà degli anni settanta spuntata la barba aveva preso il posto
e gli insegnanti se la cavavano piuttosto bene. Molti di del signor Barati, che per via delle sue
di lui
noi avevano scelto la moglie tra le colleghe, come il tendenze politiche era stato mandato
signor Barati, dunque con due stipendi da insegnante a insegnare matematica nel distretto
potevamo chiedere un grosso prestito in banca e tra- rurale di Sulqan. Per molti il signor Barati era già stato
slocare dal vecchio quartiere a quello nuovo senza fortunato a non essere licenziato come era capitato a
sentirci in colpa per esserci imborghesiti. tanti di noi.
Il signor Barati, però, era così fissato su questo Adesso al signor Barati toccava fare tutti i giorni il
punto che aveva preferito evitare di unirsi a noi nella pendolare dal quartiere di Anbar Naft fino all’estrema
nostra piccola scalata sociale. Seguendo ancora i suoi periferia della città. E siccome i brontolii di Ruhi met-
ideali comprava solo prodotti made in Iran e ogni apri- tevano ulteriormente a dura prova il suo cuore già
le ci chiamava tutti per andare insieme ad Ahmad spezzato, si risolse a lasciare il suo vecchio quartiere
Abad, dove il dottor Mossadeq aveva finito i suoi gior- per trasferirsi vicino al lavoro.
ni in esilio, e riflettere su cosa sarebbe potuto diventa- Con l’aiuto degli amici, anche il signor Barati ot-
re l’Iran se quel maledetto scià non l’avesse tradito. tenne un prestito e diventò proprietario di una casa
L’aria della rivoluzione cominciava a sentirsi. Era- in una zona di recente costruzione. L’affare immobi-
no giorni strani. Giorni di entusiasmo e di allegria, di liare del signor Barati coincise, però, con il repentino
sommosse, grida e sangue. Tutti noi, dall’estrema si- impoverimento del ceto medio. Aveva sbagliato tut-
nistra alla destra radicale, o dalla sinistra moderata ti i calcoli. Ora era costretto a improvvisarsi tassista
alla destra intellettuale, andavamo mano nella mano per sbarcare il lunario. A volte qualcuno di noi lo ve-
alle manifestazioni insieme al signor Barati, che sim- deva che caricava i passeggeri e li portava dal quar-
patizzava per il Fronte nazionale. tiere di Shahr-e Ziba a piazza Ariashahr o da piazza
Il signor Barati era il più emozionato di tutti. Se- Ariashahr a viale Enqelab. A tutti noi veniva un nodo
guiva con attenzione le notizie della Bbc e al minimo alla gola nel vedere il signor Barati che, nonostante il
fattarello chiudeva la scuola e andava a manifestare suo portamento fiero, era costretto a fare un lavoro
facendosi seguire dagli allievi in file ordinate. tanto umile.
Il signor Barati si ricordava benissimo del colpo di Neanche noi ce la passavamo bene. Vivevamo tut-
stato del ’53 e della repressione del ’63. Allora era un ti schiacciati dai debiti con la banca. Quando aveva-
giovane irruento, ma adesso era un uomo alla soglia mo chiesto il prestito, contavamo sull’aumento dello
dei cinquant’anni e sentiva che le sue lotte venivano stipendio. Ma quello era rimasto lo stesso, mentre
finalmente ripagate. Cosa c’è di più bello che assiste- l’inflazione cresceva a dismisura. Quelli che erano
re alla caduta del dittatore del proprio tempo e veder- stati licenziati facevano gli autisti per un’agenzia di
lo sostituire dal partito che sosteniamo? Ma la sua taxi o i commessi nel negozio di un fratello o di un co-
gioia non durò a lungo. Il primo ministro Bazargan si gnato nel bazar. C’era il razionamento dei beni di pri-
dimise e pian piano la nave del signor Barati affondò. ma necessità. Ormai c’incontravamo per lo più alla
Il governo dichiarò tutte le scuole nazionali proprietà cooperativa degli insegnanti, a fare la fila per il riso,
dello stato. Per il signor Barati, che si era fatto in quat- l’olio o il pollo. Il signor Barati era ancora la nostra gui-
tro per il suo istituto, era come se gli avessero strappa- da. Appena veniva annunciato il numero di un cou-
to un pezzo di cuore. pon, ci telefonava per dircelo. Quando la cooperativa
Per un periodo provò a scrivere delle petizioni e a offriva merce di qualità a buon prezzo, si faceva tene-
raccogliere le firme dei colleghi, e quando capì che re il posto in fila e correva alla cabina telefonica più
non c’era niente da fare continuò a insistere con il mi- vicina per avvertirci.
nistero della pubblica istruzione perché mantenesse Il signor Barati pensava che la causa di tutte le sue
tutti i suoi insegnanti e il personale nella stessa scuo- disgrazie fosse aver lasciato il vecchio quartiere per
la, ma invano. I professori furono disseminati ai quat- trasferirsi in quello nuovo. Ogni tanto faceva una ca-
Tutti noi, almeno una volta, avevamo provato a saliva sopra le ginocchia facendo vedere tutto, ecco
portare un pretendente in casa sua, ma ne uscivamo che una goccia di vergogna cominciava a scivolarci
sempre così imbarazzati da non poter nemmeno più sulla fronte.
guardare negli occhi il ragazzo e la sua famiglia. Se Non ancora terminati i saluti, gli insulti triviali di
conoscevamo un giovanotto, provavamo subito a Simin e Zarrin che si prendevano a botte per una calza
convincere i suoi genitori a seguirci a casa del signor attiravano l’attenzione. Ruhi si faceva una grassa risa-
Barati. Gli telefonavamo fiduciosi e organizzavamo la ta e commentava: “Ma guarda un po’ queste ragaz-
cerimonia per la proposta di matrimonio senza pre- ze!”. Il signor Barati spariva all’improvviso e poco
stare il minimo ascolto alle nostre mogli, che bronto- dopo lo si sentiva gridare alle gemelle di smetterla,
lavano: “Te ne pentirai!”. E così, la settimana succes- mentre sulla nostra fronte una seconda goccia di su-
siva, ci presentavamo a casa del signor Barati con un dore si aggiungeva alla prima.
enorme mazzo di fiori, il giovanotto e i suoi genitori, Il signor Barati entrava con il vassoio del tè. Negin
tutti a chiedere la mano di Negin. era troppo altezzosa per portarlo lei. Il signor Barati
Già all’arrivo, il patio pieno di foglie secche, le versava il tè nelle tazzine scheggiate appoggiate sui
aiuole con le erbacce e i cespugli di rose appassiti piattini dal bordo d’oro scrostato, offriva le meda-
smorzavano le aspettative. A Ruhi sarebbe anche gliette di zucchero e subito dopo passava con la
piaciuto passare i pomeriggi fuori a giocare con la fruttiera infilando a forza qualcosa nel piatto di
canna dell’acqua e a innaffiare le piante, ma poi chi ogni ospite.
pagava le bollette? Allora, finalmente, Negin faceva il suo ingresso in
Entrando in casa, venivamo investiti da una zaffa- soggiorno. Era alta, magra e chiara come il padre.
ta rancida. Noi lo sapevamo, quell’odore l’avevamo Tutto sommato non era brutta, ma camminava come
già sentito prima, ma che potevamo farci? Facevamo Pinocchio, quasi non sapesse bene che fare con le
finta di non vedere lo sporco sugli scaffali della cre- braccia e le gambe. Nel vederla apparire, tiravamo un
denza che separava l’androne dal soggiorno, i vasi sospiro di sollievo sperando che la sua bellezza faces-
con i fiori di plastica impolverati, i mobili mezzi sfa- se un po’ di effetto sul ragazzo e facesse passare in
sciati, i tavolini di vetro macchiati e sporchi, e quando secondo piano i modi poco raffinati della suocera e la
Ruhi ci dava il benvenuto con il suo sorriso spalanca- miseria di quella casa mezza distrutta.
to, quasi sentivamo di poter tirare un sospiro di sollie- Dopo che Negin si era seduta, qualche istante tra-
vo. Ma non appena si sedeva in poltrona e la gonna le scorreva in pace. Il signor Barati, tuttavia, era costret-
Questa
valigia
“Questa valigia è la mia patria”
ovunque la apro
si sparge il profumo dei tulipani appassiti al confine
l’odore della secca dello stagno di Anzali
l’odore dei sali vaganti
l’odore delle nevi impallidite di Dena
l’odore tuo che scivola via
Ovunque vado
dalla valigia torna la voce cantilenante
di mia madre
la voce dei suoi lunghi capelli sciolti nella notte
la voce livida del vento
la voce ripida del ghiaccio
la voce delle mie vene danzanti
Il pane
o la libertà?
Io chiedevo alla mia patria quelle piogge equatoriali nascoste tra i tuoi capelli
non queste palme mozzate
e le fredde suole degli stivali dei soldati
Quella sincerità ondeggiante nella ripetuta battaglia
col pesce della tua bocca
che sapeva di pane fresco
e fu inghiottito dalla rivolta degli affamati
In ogni aeroporto
cercate l’orma rossa della polvere da sparo
Ovunque vado
la costellazione del sangue
è il mio indirizzo
o all’Essenziale.
Seguendo le istruzioni puoi
far diventare questa copia
un anticipo del tuo regalo.
Fino al
12 gennaio
un anno di
Internazionale
99 euro
invece di 109
Elefanti
nella neve
ina staccò la mano dalla mia e te. Avrei voluto che dicesse qualcosa, ma mi fissava e
M salì le scale strisciando il lem- basta. Sapevo che era triste. Quando era triste abbas-
bo della sciarpa sulla neve. sava leggermente la testa come se stesse cercando
Lassù, attraverso la porta soc- per terra qualcosa che aveva perso.
chiusa, vidi passare veloce la
soldati e le ragazze che uscivano da scuola e qualche se Leila. Poi alzò il barattolo e continuò: “Vieni a
turista cinese. Non l’avevo più vista. Katayun, attira- sentire. Questo aroma ti farà pensare a me”.
ta dalle bancarelle, era presa dalle borse, dalle bam- Mi alzai fissando il biancore oltre la finestra, an-
bole e dagli abiti contraffatti. Avevo cercato con gli dai incontro a lei, presi il barattolo e lo posai sul tavo-
occhi tra la folla. Più lontano un soldato parlava in lo. Afferrai le sue dita lunghe e sottili e sussurrai:
inglese con dei turisti cinesi. Coglievo giusto qual- “Non ti angosciare, non è per sempre”. Lasciò le ma-
che parola persa nel vento. Mina non c’era e i fioc- ni tra le mie e mi fissò negli occhi, mi piegai in avanti
chi di neve volteggiavano lenti fino a posarsi sulla e l’abbracciai stringendola forte. Sentivo i suoi picco-
mia faccia. li seni stretti contro di me.
Bisbigliò: “E io? Mi abbandoni così?”.
Leila sussurrò: “Ti faccio il caffè, caffè arabo”. E Qualcuno bussò alla porta diverse volte. Leila si
sorrise. allontanò e si coprì la testa con la sciarpa. Una donna
Risposi: “Mi mancherai anche tu. Non è solo la diceva: “Mahdieh non sta bene, è peggiorata ancora,
nostalgia, è molto di più”. bisogna portarla in ospedale”.
Sorrise ancora. Tirò fuori il barattolo del caffè dal Tornai al pallore bianco della finestra, lei uscì dal-
cassetto della scrivania, l’aroma intenso riempì la la stanza in punta di piedi, ma nell’aria si sentiva an-
stanza, ondeggiò nel tepore dell’aria e si unì al profu- cora l’aroma del caffè. Sentii Leila che bisbigliava
mo delicato del riso appena cotto che arrivava da insieme a qualcuno dietro la porta. Anche la settima-
non so dove. na prima faceva molto freddo, ma non nevicava. Io e
“Il mio uomo di latta ha parlato, finalmente”, dis- lei eravamo seduti proprio qui. Mi aveva detto: “Non
M
polvere d’argento
tutto, sarei voluto tornare dall’uomo in macchina e in cortile, aveva affondato nel-
nell’aria. Disse:
sedermi al calduccio con il riscaldamento acceso. la neve le braccia fino ai gomiti
“Non chiamare, L’edicola era chiusa, le finestre erano coperte con e non si muoveva. La signora
né scrivere, niente. pannelli arrugginiti di lamiera azzurra. La neve si Salami chiuse la porta del Cen-
Se voglio, ti staccò d’improvviso da un albero del marciapiede e tro da sopra e salutò Mina con
scrivo io” cadde giù. Dovevamo partire per la Norvegia e fer- una mano. Scendendo le scale mi guardò di sottecchi
marci da Mahya, la sorella di Katayun, in una città vi- e disse: “Ripari la bambina con un ombrello, così
cina al polo nord, con il freddo, il ghiaccio e un cielo prende freddo, è pericoloso”. Scuotendo la testa, le
scuro per dodici mesi all’anno. Mahya aveva descritto risposi: “Non ce l’ho, adesso andiamo subito a casa”.
dettagliatamente le condizioni di Mina ai medici, Ka- Non commentò, andò verso la ruota vicino a Mina, le
tayun le aveva inviato tutti i documenti delle terapie sue gambe corte sprofondavano nella neve e sembra-
fatte in questi due anni. Perché continuavo a restare va ancora più bassa del solito. Si abbassò e baciò la
insieme a lei? Per quanti anni ancora potevo conti- guancia di Mina.
nuare così? Toccai i miei capelli e dei pulviscoli d’ar- Uscii dalla porta del Centro e aspettai che Mina si
gento caddero nell’aria. Lì i medici dicevano che accorgesse di me e mi venisse dietro. Lei alzò la testa
avrebbero potuto rallentare la malattia. Solo questo. e non vedendomi si spaventò. Si tirò su a fatica e tra-
A Katayun bastava. In lontananza, in piazza Haft-e scinò le gambe in avanti verso di me. Sembrava che
Tir, si sentiva il rombo del motore di un’automobile. zoppicasse. Quando era piccola, Katayun le faceva
Mi alzai per vedere meglio. Non si vedeva nulla. Il due codine ai lati della testa che parevano un paio di
suono si alzava e si abbassava e ogni volta sembrava antenne. Ma ora le era rimasto in testa solo il cappello
più vicino. di lana che incorniciava il suo piccolo viso. Avrei volu-
to vedere ancora i suoi capelli, le ciglia e le sopracci-
Nel corridoio del Centro faceva freddo. Non c’era più glia nere che non c’erano più. D’un tratto odiai la neve
il tepore di prima, non si sentiva il chiasso dei bambi- che continuava a cadere sui rami degli alberi, il fred-
ni e, in fondo, una finestra aperta sbatteva. Mi sem- do, la signora Salami con le sue gambe corte, il vec-
brava che fossero andati via tutti lasciandomi solo, in chio con il pullover bianco seduto serafico e spensie-
un edificio fatiscente che presto sarebbe stato sepolto rato nell’auto in attesa di essere sepolto dalla neve,
C È l’ambiente a definire le
persone o l’identità pre-
scinde dal luogo in cui si
trovano? È la domanda da
cui è partita l’artista ira-
niana Mozhde Nourmohammadi per rea-
lizzare il suo progetto We… Others, in cui
ha provato a indagare sul rapporto tra l’in-
dividuo e il suo luogo d’origine.
Teheran. Le fotografie li ritraggono in un
breve momento di tregua dal caos della
città, come se si fossero fermati vicino a
un lampione e stessero aspettando il ver-
de del semaforo.
Ma Teheran è solo immaginata, è nella
testa dell’artista e delle persone ritratte
(tutte iraniane tranne due), che in quel
momento si trovavano a Bologna, dove
re l’attenzione sull’espressione dei corpi e
dei volti. E provare a capire cosa rimane di
noi lontano dall’ambiente che ha contri-
buito a definire chi siamo. u
Mozhde Nourmohammadi è
un’artista visiva nata a Teheran nel 1982.
Vive e lavora tra la Spagna e l’Italia.
Laureata in regia cinematografica
Per farlo Nourmohammadi ha chiesto sono stati scattati questi ritratti. Niente all’università Soureh di Teheran, si è poi
a un gruppo di dodici donne e uomini auto né lampioni, nessun passante né specializzata in fotografia all’Accademia
d’interpretare dei personaggi, invitandoli mercato né negozio, il contesto è tutto im- di belle arti di Bologna.
Trenta
chilometri
autobus si ferma. Apro gli occhi a fati- se si sono complicate. Yasser Samavat veniva da Karaj
L’ ca. C’è scritto: “Stop. Punto di control- e, tutto sommato, poteva essere considerato un ra-
lo Sharif Abad”. Posso dormire ancora gazzo della capitale: viziato e caciarone. Ho pensato:
una mezz’ora prima di arrivare. Mi ri- “Ora che l’ha scoperto, lo saprà tutta l’università!”. Mi
giro sul sedile e chiudo gli occhi, ma la aspettavo che il giorno dopo avrebbe spifferato a qual-
passeggera di fianco mi dà un colpet- cuno la notizia e che tutti i ragazzi sarebbero venuti a
to. Alzo lo sguardo e vedo un vigile che sta dicendo saperlo nel giro di poco tempo. Tre giorni dopo mi ha
qualcosa. Non sento. Scosto il velo dall’orecchio. Fa chiesto: “Marjan, ti va di andare al cinema? Al
un cenno indicando l’uscita dell’autobus. Avevo mes- Farhang fanno un film di Tarkovskij, cavolo!”.
so gli apparecchi acustici in valigia per Scendo dall’autobus. Accanto al vi-
dormire senza farmi disturbare dai ru- Andavo al secondo gile c’è anche un ragazzo afgano. Non lo
mori. Papà aveva una strana fissazione anno di università vedo bene in faccia, ma sta parlando.
riguardo agli apparecchi acustici. Mi e nessuno si era Che sia afgano lo capisco dal taglio de-
aveva comprato un modello tedesco, ancora accorto che gli occhi. Se vivi a Birjand ci metti un
trecentomila toman più caro di quello non ci sento. Con attimo a distinguere un afgano da un
cinese, ma continuava a ripetere: “Mi l’apparecchio iraniano. Penso tra me e me: “Non è che
raccomando, usali solo quando sono percepisco i suoni pensano che sia afgana anch’io?”.
indispensabili, e solo sotto il maghnae”. ma, senza, il mio Il vigile indica il cancello del com-
Andavo al secondo anno di universi- missariato di Sharif Abad. È verde e ab-
orecchio sinistro
tà e nessuno si era ancora accorto che bastanza ampio da far passare un ca-
non ci sento. In realtà con l’apparecchio
è sordo mion. Lì mi riceve una donna che m’in-
percepisco i suoni, anche se con qual- dica l’ingresso dell’edificio. Sono as-
che difficoltà, ma – senza – il mio orecchio sinistro è sonnata e confusa. Dev’essere quasi l’ora della pre-
completamente sordo. Quando sono stata ammessa ghiera del pomeriggio, o forse hanno già recitato l’a-
all’università, ho scoperto che il signor Abtahi, l’auti- zan mentre dormivo. All’interno dell’edificio c’è un
sta dell’autobus, era un conoscente di mio padre, al- corridoio su cui affacciano diverse stanze con porte
lora ci siamo messi d’accordo che una volta al mese color crema. La prima a destra è aperta.
ALIEH ATAI avremmo fatto insieme il viaggio da Teheran a La donna mi tiene una mano sulla spalla. Un’altra,
è nata nel 1981 a Birjand, così mi avrebbe dato una mano. Tenendo seduta lì con una fascia colorata sul braccio, dice:
Zahedan da una conto delle soste per il pranzo, la cena e le preghiere, “Entra”. La prima donna mi toglie la sciarpa dalla te-
famiglia afgana. Vive
ci volevano ventidue ore per coprire quel tratto. sta, mi tasta il collo e mi fruga tra i capelli, poi mi muo-
e lavora a Teheran.
Erano passate due settimane dall’inizio del seme- ve i lobi delle orecchie a destra e a sinistra. Quel mo-
Questo racconto è
uscito sulla rivista
stre. Stavo riempiendo un bicchiere d’acqua, quando vimento produce un ronzio tanto forte da togliermi
Dastan con il titolo Yasser Samavat ha notato l’apparecchio. Il mio orec- l’udito anche all’orecchio destro. Le si muovono le
Si kilometr. La chio sinistro spuntava dalla sciarpa. L’università non labbra. Sta parlando anche la donna seduta dietro la
traduzione è di Harir obbligava le studentesse di arte a portare il maghnae. scrivania. Sento solo il ronzio.
Sherkat. Una semplice sciarpa bastava per coprirsi. Da lì le co- “Mi scusi, come? Non sento!”. Non risponde. La
La sera in cui donna di fronte a me mi apre i bottoni a pressione del posto più bello di Teheran. Mi era piaciuto fin dalla
siamo andati a manteau e mi perquisisce frettolosa. La donna con la prima volta che ero andata a casa di zia Jari. Yasser
vedere Tarkovskij, fascia colorata si alza in piedi e questa volta mi chie- Samavat si girava ogni tanto verso di me e probabil-
Yasser Samavat de: “Che sostanze hai assunto?”. mente mi sbirciava l’orecchio sinistro. Avevo la sciar-
Non fumavo sigarette. La sera in cui siamo andati pa ben stretta intorno alla testa, ma l’apparecchio era
mi ha passato il
a vedere Tarkovskij, Yasser Samavat mi ha passato il acceso. Papà diceva: “Se qualcuno lo scoprisse, ti
suo pacchetto, ma
suo pacchetto, ma ho rifiutato. Lui si è fatto una grassa prenderebbero in giro. Non è bene per il tuo futuro”.
ho rifiutato. Lui si risata e ha detto: “Una studente di teatro che non fu- Il problema, però, non era solo essere presa in giro.
è fatto una grassa ma? Non c’è più religione!”. Mi ero sentita costretta Non c’era posto per parcheggiare di fronte al cinema
risata e ha detto: ad accettare l’invito per il cinema perché avevo paura. e abbiamo girato a vuoto per mezz’ora. Oltre ad aver
“Una studente di Avevo pensato che se non ci fossi andata avrebbe rac- vinto le olimpiadi letterarie, Yasser Samavat era an-
teatro che non contato a tutti dell’apparecchio acustico. Lui stava che bravo a guidare. Andava forte ma padroneggiava
fuma? Non c’è più studiando per una doppia laurea. Era stato ammesso la macchina. Gli è suonato il cellulare e ha risposto.
religione!” alla facoltà di letteratura persiana perché aveva vinto Ha detto due carinerie a qualcuno e ha riattaccato, poi
le olimpiadi letterarie e in più studiava teatro. Il suo ha commentato: “Queste ragazze hanno fiuto! Conti-
dipartimento non era tanto lontano da quello di belle nuano a chiamarmi come se avessero scoperto che
arti, solo trecento metri, e a uno come Yasser Samavat sto uscendo con una!”. E ha aggiunto: “Non sanno
non ci voleva niente per raccontarlo a tutti. Quando che possono stare tranquille, tanto è solo la nostra
sono uscita dal dormitorio, lui era seduto in macchina Marjan, la tontolona”.
dall’altra parte della strada. “Ehi, Marjan!”, ha grida-
to, “Marjan tontolona! Da questa parte!”. Ho fatto Mi portano la valigia con un po’ di ritardo. Rispondo
finta di niente. Tanto avrebbe pensato che era perché alla vigilessa: “Niente, non assumo niente”. Dice, in
non ci sentivo. Però, “Marjan tontolona”, che uscita… modo che sentano tutti: “Ora lo scopriremo!”. Un
Ha fatto inversione e ha accostato. Sono salita in mac- soldato annoiato lancia la valigia sul tavolo. Le due
china. Mi ha chiesto: “Come stai?”. “Bene, grazie”. donne cominciano a perquisirla. Tirano fuori il ba-
Ha tirato fuori dal cruscotto una merendina Ranga- rattolo di sottaceti di stagione. Lo aprono. L’odore
rang e ha detto: “Mangia che ti fa bene!”. Mi ha strap- dell’aglio pervade la stanza e mi riaccende un po’ i
pato la carta della merenda dalle mani, l’ha lanciata sensi, ma ho ancora sonno. A Birjand ho preso tre
dal finestrino e ha riso senza un motivo. Siamo partiti compresse di diazepam per non svegliarmi fino a
diretti al cinema Farhang. Per me viale Shariati è il Teheran. Dico: “Ho preso del diazepam”. Tirano
L
sopportavo la sua
fia nera. Non sapevo da dove cominciare ma dovevo fine. Un corridoio di cemento si affaccia
pietà. Già basta e dirglielo. Ero agitata. Ho pensato: “Avremmo dovuto su qualche squallida cella, spoglia e po-
avanza essere comprare almeno qualche striscia di pelle di frutta”. co illuminata. Ne superiamo sei ed en-
sordi, ci manca Tutto d’un tratto ho cominciato a parlare del kashk, triamo nella settima. L’agente mi fa
solo che qualcuno della pelle di frutta e della nonna. Del fatto che si è svestire, mi lascia una coperta sottile
ti compatisca sposata quattro volte, che adora i figli del primo mari- sopra il letto di ferro ed esce senza dire una parola. È
to e non si ricorda mai la mia data di nascita né è mai una cella d’isolamento. La porta si chiude. Non provo
stata a una mia festa di compleanno. Non ho mai visto niente, penso solo a quanto sia assurda questa situa-
un’altra donna così impassibile e risoluta. Ogni anno, zione. “Che figata!”, mi dico, “sarebbe una scena per-
alle feste di Nowruz, ribadisce: “Se devo voler bene a fetta per il palcoscenico! Potrei passare la notte ad
tutti, come faccio a prendermi cura di me? L’amore va analizzare Il processo di Kafka e domani sarò giustizia-
dosato e misurato”. ta per aver assunto del diazepam”. Sento dei rumori
Sorrideva e mi ascoltava. Non so cosa pensasse di confusi. Schiaccio forte l’apparecchio. Sono le risate
me. Forse diceva tra sé e sé: “E allora tu perché sei dei vigili che chiacchierano. Non capisco niente di
così fifona?”. Oppure si stava immaginando il volto cosa dicono. Mi avvolgo nella coperta e mi sdraio sul
della nonna, assai più bella e forte di me. Non so. Non letto di ferro. Come diavolo fanno a pensare che io sia
avevo idea di come apparivo agli altri, tantomeno co- una drogata? Proprio io, una studente di teatro dell’u-
me mi vedesse lui. La nonna non si sarebbe mai trova- niversità di Teheran, la trentaquattresima classificata
ta in una situazione simile, lei era molto forte e so- al concorso nazionale di ammissione. Cosa dirò a pa-
prattutto non era sorda. pà? Qui siamo in mezzo al deserto. Davvero non ho
Ero arrivata a raccontare della mia adolescenza nessuno che può venire a liberarmi da questo inferno.
quando, di colpo, è scoppiato a ridere. Si è indicato le Qualcuno bussa alla cella. Dallo spioncino vedo Man-
orecchie: “Perché gridi? Il tuo aggeggio è a posto?”. Sì, sur Behmanesh. Mi porge un bicchiere di tè.
lo era. Dovevo andare dritta al sodo. Mi vergognavo “Ti va?”.
come una ladra per aver mentito, ma avevo i miei Incorniciato così, in questo riquadro buio di me-
buoni motivi. Essere cacciata dall’università ed esse- tallo, m’inquieta ancora di più.
bia. Cosa c’entravo io? Non mi piaceva nemmeno! me che sono il più sbruffone di tutti? Non avevo una
Ancora una volta avevo reagito d’impulso. Nireh ave- risposta, ma un dubbio mi stringeva la gola. Non sa-
va detto una fesseria. Yasser Samavat non era mai pevo se fosse il momento giusto per chiedergli di
stato la persona giusta per me. A fine lezione il profes- quella ragazza alta e bella. E lui ha continuato: “Hai
sore ha detto qualcosa che non ho sentito, ma tutti capito cosa ti ho detto? Non farti intimidire!”. Poi ha
hanno cominciato a lamentarsi. Mi sono girata verso acceso una sigaretta e si è allontanato veloce. Avevo
Samavat e gli ho chiesto: “Cos’ha detto?”. La sua un nodo in gola. Una sensazione sconosciuta, che non
espressione apatica piano piano si è trasformata in un dipendeva dalla mia volontà. Quel giorno, per la pri-
sorriso. ma volta durante quei semestri, ho avuto la netta sen-
“Signorina partigiana! Hai l’apparecchio sazione che Yasser Samavat fosse una persona di cui
spento?”. ci si può fidare. Anche se aveva preferito quella ragaz-
“Smettila di prendermi in giro. Sì, sono una fifona. za alta e bella a me.
Lasciami stare, fa’ come ti pare!”.
Lui è arrossito e si è rabbuiato. Ha raccolto le sue a guardia donna mi porta in una stanza
cose dal tavolo ed è sgusciato fuori dall’aula di fretta.
Qualche minuto dopo ho sceso le scale e lui, lì in fon-
do, mi ha tirato per un braccio e mi ha spinto sotto la
rampa.
“Ricordati Marjan, io non andrò mai in giro a dire
che porti l’apparecchio. Anche se non importa a nes-
suno. Comunque c’è una sola ragione se non lo dico,
una ragione che per te non è importante”.
Quella sua reazione improvvisa mi aveva spiazza-
L che sembra un laboratorio. Il medico
mi controlla gli occhi. Mi prende un
campione di sangue e ci dice che l’esito
sarà pronto in una mezz’ora. Usciamo
dal laboratorio e ci sediamo sulla prima
panchina in giardino. Mansur Behmanesh ci sta
aspettando. Da ieri gli è già cresciuta la barba e sem-
bra un po’ più vecchio. La donna mi porge il telefono.
“Chiama qualcuno e digli di venire. Il risultato
ta, ero rimasta ammutolita. Mi sono liberata il braccio dell’esame sarà pronto tra mezz’ora”.
e, con un filo di voce, gli ho detto: “Grazie”. Lui, inve- Mio fratello ha lasciato l’Iran sei mesi fa. Sembra
ce, ha alzato il tono: “Senti, ragazzina, non frega nien- che Abtahi mi abbia dato retta, infatti papà non si ve-
te a nessuno se non ci senti, nemmeno a me. Devi es- de. Non ho altre soluzioni. Ho pensato a Yasser Sa-
sere sicura di te stessa, non sentirti in difetto e non mavat tutta la notte. Da quel giorno ho capito che è il
farti intimidire da nessuno, manco da me che…”. più affidabile di tutti. Magari non è innamorato come
Ha lasciato la frase a metà. Da me che ti amo? Da il marito di Rojan, o non vuole sposarmi, oppure una
VORREI
UNA CAMERA PER
QUATTRO O CINQUE
NOTTI.
UN ATTIMO
DI PAZIENZA, CARO.
QUANTA FRETTA!
È UN BEL PO’
CHE NESSUNO
METTE PIEDE
OLTRE A NOI DUE QUI.
E AL PADRONE
DI QUESTA CASA NON
C’È NESSUN ALTRO.
PER ME
È MOLTO MEGLIO COSÌ.
SONO UN INCANTATORE DI
SERPENTI. QUI CON ME
HO SOLO QUALCHE VESTITO
E UN SERPENTE.
QUINDI NON
CI SONO ALTRI
OSPITI?
SIGNORE! SIGNORE!
NON APRITE GLI OCCHI,
POTRESTE SPAVENTARVI!
LE SI È ATTORCIGLIATO
AL BRACCIO UN SERPENTE.
MA QUESTO
È LO STESSO SERPENTE
CHE STAVO SOGNANDO.
È STATO UN ERRORE.
È DA TANTO CHE NON ABBIAMO
CLIENTI, HO AFFITTATO
UNA STANZA PER GUADAGNARE
QUALCOSA. MA ORA LI SBATTO
FUORI SUBITO, LUI E IL SUO
SERPENTE.
AL MOMENTO
GIUSTO CI
PENSERÒ IO
A FARLO
USCIRE.
SE MI FOSSI
TROVATO AL POSTO SUO,
MI SAREBBE VENUTO UN INFARTO. UNA LOTTA DI
MA SE IL PADRONE NON HA PAURA, SERPENTI?!
PERCHÉ NON ORGANIZZATE UNA
LOTTA DI SERPENTI?
CERTO,
CI SI PUÒ FARE
UN SACCO DI
SOLDI.
SIGNORE, A PATTO
QUEST’UOMO DICE CHE IL SERPENTE
CHE SE LEI ORGANIZZASSE DIVENTI MIO.
UNA LOTTA DI SERPENTI
NELLA FONTANA POTREBBE
GUADAGNARCI
BENE.
PER LA LOTTA
DEI SERPENTI IL PADRONE
È D’ACCORDO, A PATTO
CHE IL SERPENTE
DIVENTI SUO.
SIGNORE,
COS’HA DI SPECIALE
QUEL SERPENTE CHE
VI CI SIETE COSÌ
AFFEZIONATO?
NON LO SO,
SO SOLO CHE DEV’ESSERE
MIO, È COME SE LO
CONOSCESSI DA SEMPRE.
AL MIO TRE,
CHE LA LOTTA
DEI SERPENTI ABBIA
INIZIO: UNO…
DUE…
ADESSO
QUESTA LA FACCIAMO
MALEDETTA GUERRA
NON È ANCORA FINIRE.
FINITA?
MIO SIGNORE,
MI CERCAVATE?
PER LA GARA
DI OGGI HO UN BRUTTO
PRESENTIMENTO. VOGLIO CHE
IL SERPENTE DIVENTI MIO
PRIMA CHE COMINCI.
NON SI PUÒ.
ABBIAMO FATTO UN PATTO:
VIVO O MORTO, IL SERPENTE
SARÀ TUO ALLA FINE DELLA
GARA DI OGGI.
AL TRAMONTO,
QUEL SERPENTE AVRÀ
UNA PROVA MOLTO
IMPORTANTE DA
AFFRONTARE.
MANGIA,
DEVI VINCERE
QUESTA GARA.
COSÌ CI APPARTERREMO
PER SEMPRE.
SIGNORE,
È ARRIVATO IL SE GLI SUCCEDE
MOMENTO DELLA QUALCOSA, SARANNO
GARA. AFFARI VOSTRI.
Maysam Barza è nato nel 1984 a Teheran. Lavora in Iran e all’estero, in particolare con IDW negli Stati Uniti. Il titolo di
questo fumetto è Pelle di serpente, estratto dal libro Gorbezad. Il testo è di Rambod Khanlari, nato a Teheran nel 1983,
vincitore del premio Mehregan per la migliore raccolta di racconti. Traduzione di Federica Ponzo.
Correre
nel sogno
arà assurdo, ma quando il figlio di Panahi se del giorno dopo. M’illudevo. Non erano cose da
S ha chiamato per dirmi che casa nostra papà. Nel corso degli anni si era sempre tenuto alla
aveva preso fuoco, non ho battuto ciglio. larga da qualsiasi tipo di dipendenza.
Quando i brutti pensieri diventano croni- Tornavo a trovarlo dopo tanto tempo e non avevo
ci, tutto ti scivola addosso. E in questi due voglia di sorbirmi le sue lamentele, se no sarebbe sta-
anni a Teheran non c’è stata mattina che to senz’altro più semplice comprare una lastra da due
io non abbia aperto gli occhi senza che i brutti pensie- metri direttamente a Isfahan. Ho preso un taxi e sono
ri mi facessero compagnia. Che io vada a letto tardi o andato fino all’incrocio Sabalan. Papà aveva già avvi-
che crolli dal sonno, mi tornano comunque in mente sato la zia. Loro vivevano ancora a casa del nonno.
i guai in cui si caccia mio padre ed ecco Sono sceso in cantina e ho portato su la
che mi viene lo sconforto. È peggio di Quando i brutti lastra. Avevo dovuto posarla più volte
mille sveglie del cellulare di primo mat- pensieri diventano sui gradini e riprendere fiato sul piane-
tino. Erano anni che papà si era trasfor- cronici, tutto rottolo. Era una lastra di granito scuro
mato in una carcassa imputridita e non ti scivola addosso. di un metro per un metro e cinquanta.
mi aspettavo più niente da lui. In questi due anni Sempre a fatica l’ho infilata nel taxi e
Non gli parlavo da tre mesi. Quando a Teheran non poi l’ho caricata sull’autobus quando
ha alzato la cornetta, gli ho detto che c’è stata mattina siamo arrivati al terminal, ignorando i
stavo venendo a Isfahan e lui: “Ti han- senza che brontolii degli autisti.
no avvisato troppo presto! Volevo im- Sono arrivato al tramonto. Avevo la
mi facessero
biancare casa domani”. Ho tirato un fronte sudata. L’ingresso del vicolo era
sospiro di sollievo. Non mi ci vedevo a
compagnia pieno di macchine. Avevo trasportato la
preparargli le medicine e cambiargli le lastra fino al cancello trascinando un
ARASH
lenzuola. “L’avresti già fatto in questi quindici anni, piede dopo l’altro a gambe divaricate e con fare peri-
SADEGHBEIGI se ci tenevi tanto”, l’ho rimbrottato. Lui ha risposto: colante, come un vecchio con i reumatismi. L’ho ap-
è nato a Isfahan nel “Va’ a recuperare quel piano cucina di pietra che c’è poggiata al muro. Ho tirato fuori la chiave dallo zaino
1982 e vive a Teheran. da tuo zio e portalo qui”, e sbam!, ha buttato giù il te- bianco e ho aperto il cancello. La Renault 21 di papà
Giornalista e lefono. Mi sono detto: “Qualsiasi pasticcio abbia stazionava nel parcheggio impiastrata di fango come
scrittore, ha combinato sarà stato in cucina. Si sarà dato all’oppio. al solito. Ho fatto le scale abbracciato alla lastra.
pubblicato libri per Avrà tolto le pinze per il carbone dai fornelli e, com- Quando ho aperto la porta, nell’aria si sentiva ancora
ragazzi e due raccolte pletamente fatto, si sarà dimenticato di riappoggiarle l’odore acre e penetrante del fumo. A sorpresa la cu-
di racconti. Questo
sul piano cottura. Poi, mentre si faceva una fumatina, cina era rimasta indenne, invece il resto della casa era
racconto è uscito
gli sarà caduto per terra un pezzetto di carbone che ha coperto da una coltre di fuliggine. I muri e le chinca-
sulla rivista Dastan,
con il titolo Dovidan
dato fuoco al tavolo e a tutta la casa”. L’idea non mi glierie in disordine sugli scaffali erano anneriti. Si
dar khab. La dispiaceva. Dopotutto, un vecchio oppiomane non capiva che le fiamme erano state più alte in prossimità
traduzione è di Harir avrà chissà quale obiettivo nella vita, ma almeno a fi- della finestra. Una pallida luce filtrava tra le persiane
Sherkat e Giacomo ne giornata una piccola speranza quotidiana ce l’ha. abbassate e creava un’atmosfera soffocante. Ho ap-
Longhi. La mattina, quando fa il primo tiro, pensa già alla do- poggiato la lastra per terra.
Gli utensili che usavamo da piccoli per fare i suffu- do sorriso, ma con la faccia gonfia che aveva anche
migi giacevano in mezzo al salotto. Ho dato un calcio quel tentativo era fallito. Ho cominciato a riordinare
al bollitore carbonizzato e sono andato avanti. La sua la casa senza salutarlo. Sentivo che mi fissava, con
resistenza elettrica aveva la forma di due nove allo quei suoi occhi senza ciglia. Gli ho chiesto: “La lastra
specchio, la sommità era collegata a un cavo che si a che ti serviva? Non ci sono danni in cucina”. Ha ba-
attaccava alla presa. Il cavo si era sciolto e dalla presa gnato un pezzo di carta vetrata, si è messo a levigare
partiva un alone nero che saliva lungo la parete. La la lastra e ha detto: “Questa ha un bel taglio. Sai quan-
pelliccia di zibellino appesa al muro era bruciacchiata to costa adesso se ne vuoi comprare una così al cimi-
qua e là e da marroncina era diventata nera come la tero?”. Le sue uscite le conoscevo a memoria, ma
pece. Ho posato lo zaino accanto alla porta e ho chia- questa volta ci ho messo un po’ a capire cosa gli pas-
mato papà. Nessuna risposta. Sono entrato nella stan- sava per la testa. Mi è salito il sangue al cervello. Non
za. L’ho trovato raggomitolato sul letto, in canottiera. ci potevo credere. Gli ho detto: “Cosa? Mi hai chiesto
Si era buttato sulla testa i suoi due pesanti cuscini. Le di trascinare fin qui ’sto catafalco per farci una lapi-
mani e le piante dei piedi erano esangui. Le braccia de?!”. Avevo la schiena a pezzi. “Era per farti rispar-
rinsecchite lasciavano intendere che negli ultimi due miare”, ha replicato lui. Non ci vedevo più dalla rab-
anni era molto dimagrito. Sono sceso. Ho misurato il bia. Volevo strapparmi i capelli. Dall’ultima volta che
montante rotto della porta e sono andato dal vetraio l’avevo visto era regredito. Gli ho detto: “Come lar-
all’inizio della via. Sono tornato che ormai era buio. ghezza ci entri, ma di lunghezza spunti fuori di venti
Ho acceso la luce dell’ingresso e sono entrato. centimetri”. Ha continuato a guardarmi senza dire
Aveva appeso il mio zaino sull’attaccapanni niente. Poi si è alzato, ha infilato la mano tra le persia-
dell’ingresso. Aveva appoggiato la lastra al muro e la ne e ha aperto un po’ la finestra. Stava per dire ancora
stava pulendo con uno straccio e una bacinella d’ac- qualcosa, ma non gli ho più dato retta. Sono andato a
qua. Neanche i capelli lunghi e disordinati riuscivano prendere la sedia, i resti bruciati del kilim e altre cian-
a camuffare la magrezza del suo viso. La pelle sotto il frusaglie annerite e ho buttato fuori tutto. Poi sono
mento gli pendeva come il bargiglio di un gallo e gli si passato al bollitore con la resistenza elettrica e ho
potevano contare le costole sotto la canottiera. vendicato la mia infanzia. L’ho preso e l’ho lanciato
Quando mi ha visto ha cercato di abbozzare un timi- con rabbia. Era con simili aggeggi che ci faceva fare i
La sua fermezza non ammetteva repliche. Lo zio, hanno aspettato mezz’ora sotto le telecamere, hanno
amareggiato, ha posato le pinze e la pipa e gli ha rispo- assistito alla parata e ascoltato i discorsi, prima del
sto: “Però, fratello mio, tu sei un maestro, sei un si- sindaco e poi di questo e quell’altro, ma poi, quando il
gnore, hai studiato. Ti rendi conto che hanno ritrova- gelo si è sommato alla tensione dell’attesa, hanno
to la salma, lo capisci?”. Papà ha preso il pacchetto di perso la pazienza. In due o tre si sono precipitati a
sigarette e lo ha appoggiato davanti a lui fissandolo rompere la serratura del portone di ferro e il resto del-
negli occhi. “Senti, questo è un pacchetto di Winston, la folla si è riversato nel salone con l’impeto di un get-
questo ti do e questo rivoglio, punto”. Quindi, senza to d’acqua quando aprono una diga. Il pianto e i gemi-
averla fumata, ha spento la sigaretta nella cenere del ti riecheggiavano nel salone. Tutti correvano alla
braciere e si è alzato. È stata l’ultima sigaretta che pa- cieca. Calpestavamo terra battuta, ma la ressa aveva
pà si è acceso. Da allora non ha più fumato. alzato un polverone che arrivava fino al tetto. Era il
La maggior parte dei soldati della quattordicesima finimondo. Le bare avvolte nelle bandiere erano im-
divisione Imam Hossein era di Isfahan e le loro salme pilate a gruppi di sei. Tre in basso, due sopra e un’altra
erano state distribuite tra i cimiteri nei dintorni della in cima. Ma il disastro era appena cominciato. I nomi
città. L’appuntamento era per le undici. Ciò nono- sulle bare non erano in ordine alfabetico. Le persone
stante, io, la mamma, gli zii, i vari parenti e più di altre erano costrette a fare avanti e indietro in un salone di
mille persone eravamo arrivati lì per dare l’addio agli tremila metri quadrati per trovare la bara dei loro cari.
ottanta dispersi già dalle dieci di mattina e aspettava- Decidere di non cercare la salma di mio fratello è sta-
mo dietro al cancello di un capannone all’estremità ta l’unica cosa saggia che ho fatto in quel momento.
del cimitero, ai piedi del monte Seyyed Mamad. Sof- Prima o poi ogni famiglia avrebbe trovato il proprio
fiava un vento gelido che ci penetrava nelle ossa dopo caro e piano piano la folla si sarebbe placata. Dovevo
aver girato intorno all’altura. Ai tempi non si usava badare alla mamma.
caricare le bare dei caduti su dei camion e portarle in In quel via vai ho visto arrivare mio cugino, ma con
processione per le strade della città. Avevano allestito quel rumore non riuscivamo a parlarci. Ci ha preso
una struttura temporanea all’entrata del cimitero e per mano e ci ha portato da Hamid. Gli uomini di fa-
abbiamo scoperto che i corpi erano lì dentro dalla miglia hanno tirato fuori la sua bara dalla seconda fila
notte prima. Solo che non aprivano il portone. Tutti e l’hanno trasportata fino a un angolo meno affollato
Piccola
morte
o letto il suo messaggio nel dormi- za, ricadeva sui suoi grandi occhi color miele, che si
H veglia. Era scritto metà in persiano diceva cambiassero colore all’alba e al tramonto. Ma
e metà in arabo. Nel crepuscolo si diceva anche che non possedevano un millesimo
mattutino ho teso l’orecchio al della bellezza e dell’intensità dello sguardo di una
suono della chiamata alla preghie- nostra antenata di cui in famiglia si tramandavano
ra. Quando è stata intonata la for- leggende e racconti.
mula “Ashhadu anna Aliyyan waliu Allah” (testimo- Mi sono allontanata di un passo dalla cornice. Ri-
nio che Ali è il vicario di Dio) mi sono guardata intor- cordavo poco la bisnonna. Quando era morta ero una
no e mi sono ricordata dov’ero. Ero in Iran, a Isfahan, bambina. Era la nonna di mia madre. Tutte le volte
in quella vecchia casa di cui mia madre che venivamo a Isfahan ci raccontava
non aveva mai amato molto parlare. Un fascio di luce delle città in cui aveva viaggiato. Rac-
Ho risposto a Mazen. Gli ho risposto ricadeva sulla foto contava le sue avventure all’università
perché mi sentivo in dovere di ricam- impolverata di Al Azhar in Egitto, dove aveva stu-
biare la sua gentilezza. Annegavo nel della bisnonna, diato, ma non appena arrivava il mo-
suo affetto, che per me era quasi un ricadeva sui suoi mento di parlare della sua antenata,
ostacolo. grandi occhi color mia madre mi allontanava dalla stanza
Ho scritto una sola frase: “Mi sento miele, che si diceva con una scusa. Non voleva che cono-
smarrita”. cambiassero scessi le misteriose leggende della no-
Non ho aggiunto che quel senso di stra discendenza.
colore all’alba
smarrimento scorreva nel nostro san- Anche se dopo la morte della nonna
gue da generazioni. Almeno sette, se-
e al tramonto mia madre aveva ereditato questa ca-
condo la mia bisnonna. Sosteneva che sa, nei nostri viaggi a Isfahan non ci
RAZIEH
già da allora i confini della nostra vita si estendevano stavamo mai. Eravamo sempre ospiti di questo o
MEHDIZADEH ben oltre Isfahan, per arrivare fino alla Mecca, a quel parente.
è nata nel 1988. Si è Baghdad e all’Andalusia. Diceva che era stata una Mi sono allontanata dalla fotografia, dallo sguar-
laureata in filosofia nostra antenata, la cui bellezza instillava la follia ne- do e dalla bellezza abbacinante della bisnonna. Ho
all’Università di gli occhi e nei cuori di chiunque, a spargere per la pri- attraversato la stanza diretta verso una grande fine-
Teheran e vive a New ma volta il seme dello smarrimento dentro di noi. stra che occupava una parete intera. Ho scostato la
York. Ha pubblicato Mi sono guardata intorno, fino a quando non ho tenda di pizzo. La stanza si è illuminata. Sono apparsi
due raccolte di messo a fuoco la stanza dove mi ero addormentata. un portapenne e un quadro smaltato in minakari.
racconti e collabora
La risposta di Mazen è stata: Tuba liman hara, beato Quando ero arrivata la sera precedente, tutto era av-
regolarmente con le
chi si smarrisce. volto nell’oscurità. Ero partita dall’aeroporto di Bei-
riviste iraniane Saan
e Nadastan. Il titolo
Gli ho scritto: “Mazen, sapevi che qui la chiamata rut, avevo fatto scalo a Doha e poi ero atterrata a Isfa-
originale di questo alla preghiera è diversa da quella di Baalbek?”. han. Avevo aperto la porta di casa al buio, avevo salito
racconto è Marg-e Mi sono alzata e ho fatto qualche passo. Un fascio tre piani di scale ed ero crollata sul letto. Avevo detto
kuchak. La traduzione di luce ricadeva sulla foto impolverata della bisnonna a mia madre che mi sarei fermata a Isfahan solo un
è di Veronica Turrini. che qualcuno aveva incorniciato e appeso nella stan- giorno, perché non c’era un volo diretto per Teheran.
Anche la mia
bisnonna era
sepolta in quel
cimitero. Aveva
vissuto fino a
novantanove anni
e i suoi occhi
avevano brillato Non aveva detto nulla, sapeva che la casa di Teheran schiarata. La grande finestra è rimasta nuda e il cimi-
fino all’ultimo. non era la stessa senza di loro, che sarebbero dovuti tero, come un mare infinito, ha occupato l’intero ri-
Il suo volto aveva rimanere in Canada per altre tre settimane, nell’atte- quadro. Le cupole azzurre e i minareti grandi e picco-
sa che mio padre firmasse dei contratti per alcuni la- li di alcuni mausolei sono apparsi tra i rettangoli
conservato i suoi
vori di oreficeria. bianchi e lisci.
tratti delicati e
Prima di mettermi in viaggio, Mazen mi aveva po- Ho provato una grande serenità. Dalla finestra si
gentili fino alla sato una mano sul cuore e aveva detto: “Sapevi che poteva scorgere un lato del cimitero di Takht-e Fulad,
vecchiaia queste due città sono gemellate? Perfino le nostre la ragione del mio viaggio.
città sono sorelle, e chi è più affidabile di una sorella Mentre osservavo assorta il panorama, mi sono
per custodire vita e segreti?”. Aveva pronunciato tut- ricordata che non avevo ancora risposto al suggeri-
to in arabo, senza una parola di persiano. mento di Mazen. Non gli avevo detto che non m’inte-
Gli avevo chiesto: “Perché mi ami?”. ressava lavorare su Ibn Arabi. Non avevo letto molto
Il suo volto si era rabbuiato. Era perché avevo par- su di lui. Aspettavo solo di raggiungere questa casa e
lato in arabo, lo sapevo. Fin dall’inizio, eravamo questa finestra per cominciare la ricerca per la mia
d’accordo che gli avrei sempre parlato in persiano, tesi. Dovevo realizzare un repertorio delle lastre fu-
poiché desiderava molto impararlo. Per me, tuttavia, nerarie del cimitero di Takht-e Fulad per fare uno
parlare arabo o persiano non faceva nessuna diffe- studio approfondito delle epigrafi tombali, dei mau-
renza. Così come la bellezza e il senso di smarrimen- solei di famiglia e dei monasteri dei dervisci, i
to, anche questa lingua scorreva nel nostro sangue khanqah. Avrei studiato incisioni i cui primi esempla-
da generazioni. ri risalivano all’epoca preislamica e alla tomba del
Aveva risposto: “Perché ti amo? Come afferma il profeta Giosuè, fino al periodo dei saggi sufi.
custode dell’amore, al-hubb sirr ilahi, l’amore è un Anche la mia bisnonna era sepolta in quel cimite-
segreto divino. Per questo semplice, banale motivo”. ro. Aveva vissuto fino a novantanove anni e i suoi
Ho scostato la tenda della finestra per metà. L’al- occhi avevano brillato fino all’ultimo. Il suo volto
tro lembo era rimasto incastrato. Ho tirato di nuovo aveva conservato i suoi tratti delicati e gentili fino
la tenda con fatica, finché tutta la stanza non si è ri- alla vecchiaia.
Ho preso il telefono e ho sceso le scale, su cui cor- hanno cambiato l’umore. Quanto avrei desiderato
reva un tappeto di seta fatto a mano. Mi sono fermata rispondere a Mazen con entusiasmo: “Anch’io”.
sul pianerottolo del secondo piano e ho ripulito dalla Sul frigorifero era stato appeso il volantino di una
polvere le foglie di una pianta in un vaso. Al centro gastronomia da asporto. Ho telefonato e ho ordinato
del salotto c’era un grande tavolo intarsiato, su cui da mangiare a sufficienza per qualche giorno. Riso
erano stati disposti dei contenitori grandi e piccoli, beriyani, stufato allo yogurt, halim di melanzane e
d’argento e di rame. Al loro interno, medagliette di una zuppa kale jush.
zucchero incollate tra loro erano diventate preda del- Ho vagato tra il salotto e il lungo corridoio. Sono
le formiche. Ho aperto una scatolina placcata d’ar- arrivata a una stanza più piccola delle altre. Sulla pa-
gento piena di torroncini ormai rinsecchiti. Non c’era rete era appeso un quadro con un ritratto a grandezza
niente di commestibile. naturale della bisnonna, della nonna e di mia madre.
Mi aggiravo tra le stanze, quando Mazen mi ha Tre generazioni in piedi di fronte al fiume Zayande-
mandato un messaggio: Ana uhibbuki. Anche se era rud. Ho alitato sul vetro e l’ho strofinato con la mani-
innamorato della lingua persiana, non la usava mai ca. I loro occhi rilucevano sotto il chiaroscuro delle
né per scrivere né per pronunciare questa frase. Era luci del ponte Khaju. C’era uno specchio d’argento a
convinto che dire “ti amo” avesse valore solo nella figura intera posizionato in un angolo. Mi ci sono
sua lingua madre, l’arabo. messa di fronte. Mi sono legata i capelli in uno chi-
Come d’abitudine, gli ho risposto: “Perché?”. gnon alto e ho fatto ricadere la frangia sul viso. Ho
Dopo tre anni vissuti in un paese lontano, dopo modellato le ciglia con la mano. Erano più belli i miei
aver studiato nella stessa facoltà ed essere stata sua occhi o quelli della bisnonna?
compagna di corso, non era mai successo che gli ri- In quello stesso istante, Mazen ha risposto al mio
spondessi: “Ti amo anch’io”. Gli chiedevo sempre “perché”: “Per le tue languide palpebre”. Era come
“perché?” e lui, ogni volta, mi rispondeva con una se fosse costantemente presente nel mio spirito e nel-
nuova ragione. la mia anima. La volta precedente, quando avevo ri-
Sono entrata nella cucina che era invasa da piatti sposto “perché?” al suo “ti amo”, aveva dichiarato:
impolverati. I loro motivi a goccia e ad arabeschi mi “È prerogativa dell’amore che l’amore stesso ne sia la
sola ragione”. In un’altra occasione mi aveva detto: meh broccato d’oro. Ho scostato la spessa tenda per
“Qualsiasi devozione di cui sia noto il movente pro- far entrare la luce. Mi sono seduta sul baule. Il legno
voca sfiducia e separazione”. ha cigolato. Mi sono alzata e ho spalancato del tutto
E io? Io amavo Mazen? Non lo sapevo. E cos’era la tenda. Al centro del cortile su cui affacciava la fine-
questo viaggio? Forse stavo solo scappando dal suo stra si ergeva un albero imponente. Le radici spesse,
amore, da Mazen stesso, dal Libano. Una fuga simile intrecciate le une alle altre, avevano spaccato il mo-
a quella di una storia che aveva raccontato una volta saico. Fiori freschi appena sbocciati nascondevano
la mia bisnonna. Una storia misteriosa sulla nostra tutta la superficie del cortile e il muro del vicino. At-
antenata, che un tempo aveva vissuto alla Mecca con traverso il telaio della finestra chiusa, penetrava nella
suo padre. Era impegnata a studiare la mistica e la stanza un delicato profumo.
religione, quando un illustre erudito della città rima- Stavo ammirando la maestosità di quella pianta,
se colpito dalla sua bellezza ammaliante e dalla vasti- quando mia madre ha telefonato. Mi consigliava,
tà del suo sapere. Il colto mistico compose delle poe- come sempre, di non trattenermi troppo a Isfahan e
sie per lei e le trascrisse in un libro. Tuttavia, quando di andare a Teheran il prima possibile. Insisteva par-
le dichiarò il suo amore, lei scappò dalla città, in fuga ticolarmente che non uscissi di casa e non entrassi in
da quel sentimento. Andò di città in città finché non cortile finché la questione della casa non fosse stata
fece ritorno a quella dov’era nata, Isfahan, e lì visse risolta. Ha detto che avrebbero potuto sorgere dei
fino alla fine dei suoi giorni. problemi se si fossero accorti che ci abitava qualcu-
Non ero mai riuscita a capire se questo racconto no. Era stato infatti stabilito che l’edificio fosse regi-
fosse vero o fosse una semplice leggenda per anima- strato presso l’indice dei monumenti nazionali per
re le feste di famiglia. Inoltre, mia madre evitava a tal via del suo interesse storico e architettonico.
punto di parlarne che non conoscevo neppure il no- Dopo aver rassicurato mia madre che avrei fatto
me della mia antenata. come diceva lei, sono salita al piano superiore. Mi
Ho fatto un giro per la stanza. In un angolo c’era sono fermata davanti al panorama del mio adorato
un baule di legno con una decorazione a fiori e uccel- cimitero. Mia madre non immaginava che sarei ri-
li cesellati, sul quale avevano steso un drappo in ter- masta a Isfahan a lungo né che avevo intenzione di
Come sarà
il nuovo anno
secondo
Rob Brezsny
ARIETE sono riuniti in un unico intenso / momento di crescita,
Nel 2022 potresti diventare un narratore più audace, come una pianta”. Nel 2022 t’invito ad adottare la poe-
rafforzando la tua capacità di esprimere le verità fon- sia di Sarton come fonte primaria d’ispirazione. Usala
damentali della tua vita con racconti divertenti. Inol- come guida per diventare pienamente te stesso.
tre, vivrai esperienze che ti forniranno la materia pri-
ma per diventare ancora più interessante di quanto tu GEMELLI
non sia già. Ti offro una riflessione della scrittrice Lo scrittore Gore Vidal è morto nel 2012, il giorno do-
Ruth Sawyer: “Per essere buoni narratori bisogna es- po della scrittrice Maeve Binchy, dei Gemelli. Erano
sere gloriosamente vivi, non è possibile accendere un entrambi famosi, anche se Binchy vendeva più libri.
fuoco da braci spente. I narratori migliori sono quelli Considero Vidal interessante ma problematico. Dice-
che vivono nel cuore delle cose: vicino alla terra, al va che non gli bastava avere successo, voleva che gli
mare, al vento e ai fenomeni atmosferici. Hanno co- altri fallissero. L’infelicità dei suoi colleghi lo rendeva
nosciuto la solitudine e il silenzio, hanno avuto il tem- più soddisfatto dei propri successi. Binchy, invece, vo-
po di sentire profondamente e cercare di capire”. leva che tutti avessero successo. Pensava che la sua
grandezza fosse amplificata da quella degli altri. Nel
ILLUSTRAZIONI DI FRANCESCA GHERMANDI
Rob Brezsny
ca e vinse il premio Nobel per la pace. A proposito del- giudicare dai presagi astrali per il 2022, penso che vi-
la sua liberazione, avvenuta nel 1990, scrisse: “Uscen- vrai lunghe fasi in cui l’amore corrisponderà a questa
do dal cancello che mi avrebbe portato alla libertà mi definizione. Per un risultato migliore, impegnati a di-
sono reso conto che se non mi fossi lasciato alle spalle ventare più generoso e creativo nell’esprimere amore.
l’amarezza e l’odio, sarebbe stato come rimanere in
prigione”. Anche se non hai subìto privazioni parago- SAGITTARIO
nabili a quelle di Mandela, sono lieto di annunciarti “È tutta la vita che cerco di tornare a casa”, scrive la
che nel 2022 potrai liberarti da situazioni che ti limita- poeta Chelsea Dingman. Spesso voi Sagittari siete re-
no. T’invito ad adottare l’atteggiamento di Mandela e stii ad atteggiamenti simili. Pensate che sia possibile
a fare un uso creativo della tua nuova libertà. evitare di cercare una vera casa. Forse considerate ca-
sa il mondo intero o molti posti diversi, e preferite non
LEONE limitare questo concetto a un luogo, un edificio o una
Il poeta francese André Breton scriveva: “Je vous comunità. Che tu sia o no un centauro di questo tipo,
souhaite d’être follement aimée”. La frase, che può es- sospetto che il 2022 ti porterà una nuova, inaspettata
sere tradotta con “ti auguro di essere amato alla fol- comprensione del significato di casa. Forse ti porterà
lia”, è romantica, ma in realtà è una maledizione. Per- anche la sensazione di essere finalmente arrivato nel
ché dovremmo voler essere amati alla follia? Una per- tuo santuario definitivo.
sona che ti “ama” in questo modo sarebbe divertente
per un po’, ma alla lunga diventerebbe una terribile CAPRICORNO
seccatura e un problema continuo. Quindi, caro Leo- Per assicurarti che il 2022 ti porti i progressi più inte-
ne, nel 2022 non ti auguro di essere amato alla follia, ressanti e utili, prenditi cura delle tue amicizie e alle-
anche se penso che per te i prossimi mesi saranno un anze chiave, senza rinunciare a cercarne di nuove. Ti
periodo interessante in materia d’amore. Ti auguro offro per ispirazione questa riflessione della scrittrice
qualcosa di più gestibile e piacevole: di essere amato Hanya Yanagihara: “Trova persone migliori di te –
con rispetto, sensibilità, attenzione e intelligenza. non più belle e intelligenti, ma più gentili, generose e
tolleranti – e apprezzale per ciò che possono inse-
VERGINE gnarti. Ascoltale quando ti dicono qualcosa di te, che
Molte persone sono intelligenti intellettualmente, ma sia una cosa brutta o bella”.
non emotivamente. La saggezza dei sentimenti è sot-
tovalutata. Una delle mie grandi crociate è difendere ACQUARIO
questa trascurata fonte di conoscenza. Nel 2022 conto Durante la dinastia dei Song del nord che regnò in Ci-
su di te perché, secondo la mia lettura dei presagi na dal 960 al 1127, un artigiano realizzò una ciotola di
astrali, avrai la possibilità di rafforzare la tua intelli- ceramica bianca con diametro di dodici centimetri.
genza emotiva. Cosa puoi fare per sfruttare al meglio Circa mille anni dopo, una famiglia di New York l’ha
quest’opportunità? Ecco il mio consiglio: ogni volta comprata a una rivendita di oggetti usati per tre dolla-
che devi prendere una decisione, sintonizzati su ciò ri. L’ha tenuta sopra il camino per qualche anno, poi ha
che dicono il tuo corpo e il tuo cuore, non solo su ciò deciso di farla valutare da un collezionista d’arte. Poco
che dice la tua mente. dopo la ciotola è stata venduta all’asta per 2,2 milioni
di dollari. Non sto dicendo che nel 2022 ti succederà
BILANCIA qualcosa di simile. Ma prevedo che sarai molto fortu-
Lo psichiatra e filosofo Viktor Frankl, sopravvissuto nato con i soldi.
all’olocausto, diceva che è fondamentale avere il sen-
so della vita. A sostenere le persone nel corso degli an- PESCI
ni è la consapevolezza che la loro vita e le esperienze Nella lingua quechua usata in alcune zone del Perù,
fatte abbiano un senso. Ti consiglio di farne il tuo te- la parola takanakuy significa “quando il sangue bol-
ma per il 2022. La domanda “sei felice?” sarà una sot- le”. Ogni anno, in questo periodo, la provincia di
tocategoria della domanda più ampia “stai perseguen- Chumbivilcas organizza una festa chiamata Takana-
internazionale.it/oroscopo
do un destino che ti sembra significativo?”. Ecco un’al- kuy. Gli abitanti si radunano in piazza per scontrarsi e
tra grande domanda: “Se quello che stai facendo non poi risolvere le loro divergenze, con l’obiettivo di di-
ti sembra significativo, cosa puoi fare per rimediare?”. menticarle e ricominciare da capo. Se io e un amico
avessimo avuto un conflitto personale nel corso
SCORPIONE dell’anno, ci prenderemmo a calci e pugni, senza esa-
Il chitarrista Rowland S. Howard, dello Scorpione, gerare, fino a eliminare il rancore e il risentimento.
parlava dei “momenti straordinari in cui l’amore si Faremmo tabula rasa. C’è una versione divertente di
trasforma in qualcosa di molto più grande di quanto tu questo rituale che potresti mettere in atto evitando
abbia mai sognato, qualcosa di autoluminescente”. A calci e pugni? Ti consiglio d’idearne una!
MCPHAIL
HWANG
“Ho messo in valigia solo l’essenziale”. “Ho detto ‘chissà cosa vuol dire’, non ‘spiegami cosa vuol dire’”.
ELLIS
ADAMS
Cosa vuoi per cena? “E ancora una volta la risposta esatta è:
‘Non lo so’”. “Buongiorno a tutti, ho portato le ciambelle”.
LEIGHTON
MCPHAIL