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Il postulato di Max Weber sull’avalutatività (Wertfreiheit) della scienza è costan- Il postulato di Max Weber sull’avalutatività

temente oggetto di discussione scientifica. Ancora oggi, tuttavia, circolano su di (Wertfreiheit) della scienza è costantemente
esso numerosi malintesi e fraintendimenti, che Weber ha cercato di chiarire già oggetto di discussione scientifica. Ancora oggi,

Collana diretta da Aljs Vignudelli


nel suo saggio del 1917 sul «significato dell’avalutatività». In primo luogo, Weber
tuttavia, circolano su di esso numerosi malintesi e
non nega che la scelta dell’oggetto di indagine da parte dello scienziato si basi su
preferenze molto soggettive. In secondo luogo, non ha mai sostenuto che l’oggetto fraintendimenti, che Weber ha cercato di chiarire
di indagine delle scienze sociali (ad esempio il sistema economico o quello giuri- già nel suo saggio del 1917 sul «significato
dico) sia privo di valore. In terzo e ultimo luogo, il postulato dell’avalutatività non dell’avalutatività». In primo luogo, Weber non nega
implica il nichilismo dei valori. che la scelta dell'oggetto di indagine da parte dello
Avendo come sfondo il dualismo tra essere e dover-essere, Weber si preoccupa scienziato si basi su preferenze molto soggettive. In
più che altro di effettuare una netta e chiara distinzione tra valutazioni politiche, secondo luogo, non ha mai sostenuto che l'oggetto di
morali, religiose e di altro tipo da un lato e proposizioni scientifiche dall’altro. L’a- indagine delle scienze sociali (ad esempio il sistema
valutatività (Wertfreiheit, letteralmente «libertà dal valore») è quindi soprattutto la
economico o quello giuridico) sia privo di valore. In

Mucchi Editore  Horst Dreier - WERTFREIHEIT. Il postulato di Max Weber sull’avalutatività della scienza
libertà dalle valutazioni (Wertungsfreiheit).
terzo e ultimo luogo, il postulato dell’avalutatività
Discussioni razionali sui valori non sono affatto escluse e anzi Weber le considera
non implica il nichilismo dei valori.
espressamente possibili, ad esempio sotto forma di analisi del rapporto mezzi/ Horst Dreier
fini o del controllo di coerenza/consistenza nell’elaborazione di assiomi di valore. Avendo come sfondo il dualismo tra essere e
WERTFREIHEIT
Solo le ultime e più alte valutazioni, quelle in cima alla piramide, sfuggono al dover-essere, Weber si preoccupa più che altro
chiarimento scientifico e non possono rivendicare per se stesse una validità og- di effettuare una netta e chiara distinzione tra
gettiva. Weber prende le mosse dal «politeismo dei valori», dalla inconfutabile valutazioni politiche, morali, religiose e di altro
possibilità cioè che le valutazioni ultime divergano in modo fondamentale e incon-
tipo da un lato e proposizioni scientifiche dall'altro.
ciliabile. In definitiva, il postulato di Weber porta alla domanda circa il significato
della scienza in generale, la cui risposta è “far chiarezza”. L’avalutatività (Wertfreiheit, letteralmente «libertà
dal valore») è quindi soprattutto la libertà dalle
Horst Dreier (Hannover 1954) si laurea in giurisprudenza nel 1981 e si addottora nel 1985
con una tesi sull’opera complessiva di Kelsen. Già borsista del Collegio delle Scienze a
valutazioni (Wertungsfreiheit).
Berlino, del Collegio Max Weber a Erfurt e della Fondazione Carl Friedrich von Siemens Discussioni razionali sui valori non sono affatto
a Monaco, nonché assistente di Hasso Hofmann, consegue nel 1989 l’abilitazione in Di-
ritto pubblico, Teoria del diritto e Scienze amministrative presso l’università di Würzburg escluse e anzi Weber le considera espressamente
con uno studio sulla connessione fra il principio democratico e l’organizzazione gerar- possibili, ad esempio sotto forma di analisi del
chica dell’amministrazione. Dopo tappe a Heidelberg e ad Amburgo, nel 1995 ottiene rapporto mezzi/fini o del controllo di coerenza/
la cattedra di Filosofia del diritto, Diritto pubblico e Diritto amministrativo della Julius- consistenza nell'elaborazione di assiomi di valore.
Maximilians-Universität Würzburg. Dal 2001 al 2007 è membro del Consiglio Etico Nazio-
nale, dal 2004 al 2006 Presidente dell’Associazione dei Giuspubblicisti Tedeschi. È socio Solo le ultime e più alte valutazioni, quelle in cima
ordinario dell’Accademia bavarese delle scienze dal 2003 e dell’Accademia Leopoldina
alla piramide, sfuggono al chiarimento scientifico e
degli Studiosi Naturali (sezione Scienze sociali) dal 2007.
È curatore e coautore di un innovativo Commentario in tre volumi al Grundgesetz, giunto non possono rivendicare per se stesse una validità
alla terza edizione, nonché autore di numerose pubblicazioni in materia di diritto pubbli- oggettiva. Weber prende le mosse dal «politeismo
co, di storia costituzionale e delle idee, di filosofia del diritto e dello Stato e di bioetica. Tra dei valori», dalla inconfutabile possibilità cioè
i suoi lavori tradotti in italiano si segnalano nel 2011 Lo Stato costituzionale moderno. Pre-
che le valutazioni ultime divergano in modo
supposti e limiti della Legge Fondamentale e nel 2013 Lo Stato costituzionale delle libertà
come ordinamento costituzionale. Grande risonanza ha ottenuto la sua ultima monografia fondamentale e inconciliabile. In definitiva, il
Staat ohne Gott. Religion in der säkularen Moderne, II ed., München, 2018. postulato di Weber porta alla domanda circa il
significato della scienza in generale, la cui risposta
è “far chiarezza”.
isbn 978-88-7000-840-1

PICCOLE
9 788870 008401 CONFERENZE

€ 8,00 i.c. Mucchi Editore


41

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Seminari Mutinensi

piccole conferenze
Collana diretta da Aljs Vignudelli

41

PICCOLE
CONFERENZE
Horst Dreier

WERTFREIHEIT
IL POSTULATO DI MAX WEBER
SULL’AVALUTATIVITÀ DELLA SCIENZA

Traduzione di Federico Pedrini

Mucchi Editore
Stampato con il contributo di

La Pres Company S.r.l.

iSSn di collana 2532-4012

iSBn 978-88-7000-840-1

© STeM Mucchi editore - Società Tipografica editrice Modenese S.r.l.


Via emilia est, 1741 - 41122 Modena
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le riproduzioni per uso differente da quello personale potranno avvenire solo a seguito di
specifica autorizzazione rilasciata dall’editore o dagli aventi diritto.

redazione: federico pedrini; luca Vespignani.

Tipografia: STeM Mucchi editore (Mo); stampa: Geca (Mi).

ia edizione pubblicata in italia, Mucchi, Modena, aprile 2020.


Indice sommario
1. Il significato del postulato dell’avalutativi-
tà di Max Weber
2. I fraintendimenti sul postulato dell’avalu-
tatività
2.1. (Non) avalutatività nella scelta del tema
2.2. (Non) avalutatività dell’oggetto d’inda-
gine
2.3. Avalutatività (non) significa nichilismo
dei valori
3. Le coordinate fondamentali del postulato
dell’avalutatività
3.1. Il dualismo tra Sein e Sollen
3.2. L’evoluzionismo etico come contesto
della discussione
3.3. Pari dignità, ma differenza tra giudizio
di valore e accertamento dei fatti
3.4. Le valutazioni ex cathedra
4. Il senso della avalutatività, ovvero: la scien-
za come professione (Beruf)
4.1. Politeismo dei valori, lotta tra gli Dei
4.2. La possibilità di «discussioni sul valo-
re» razionali
4.2.1. Relazioni mezzi-fini
4.2.2. L’elaborazione degli assiomi di
valore
4.3. Il “significato” della scienza
4.3.1. La prospettiva sociale
4.3.2. La prospettiva individuale
4.4. Il riferimento alla «politica come pro-
fessione»

Riferimenti bibliografici
1. Il significato del postulato dell’a-
valutatività di Max Weber
È stato Wilhelm Hennis, grande
conoscitore di Weber, a puntualizzare
con la consueta precisione come nes-
sun altro tratto della dottrina weberia-
na fosse divenuto così dominante «per
lo spirito e l’autocomprensione della
scienza» nel XX Secolo, fino ad acqui-
sire «carattere di autoevidenza», al pa-
ri della pretesa elevata da Weber circa
l’avalutatività (Wertfreiheit) della scien-
za (Hennis 1992, 97). E sempre lui, rin-
carando la dose, ha poi aggiunto che
tale esigenza avrebbe acquisito nel cor-
so del tempo «lo status di un imperati-
vo scientifico» (Hennis 1992, 97 s.).
Per rendersi conto di quanto esat-
to sia tale rilievo basti pensare che non
capita spesso nel mondo scientifico di
organizzare un convegno di più gior-
nate – documentate ora nella raccolta
di volumi Werte in den Wissenschaften
apparsa nel 2006 (Zecha 2006a) – in
occasione del centesimo anniversario

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della pubblicazione d’un saggio spic-
catamente metodologico (ci si riferi-
sce al c.d. “saggio sull’oggettività”: We-
ber 1904a; al riguardo Keuth 1989, 12
ss.).
Naturalmente il postulato dell’a-
valutatività di Max Weber condivide il
destino di molti classici: spesso citati,
ma di rado esattamente compresi.
Nel caso di specie, però, a questa
considerazione generale si somma un
aspetto ulteriore e decisivo. Il postula-
to dell’avalutatività di Max Weber, in-
fatti, è stato oggetto di fraintendimen-
ti, distorsioni e gravi errori interpreta-
tivi in misura così incomparabilmente
elevata (§ 2) da rendere al tempo stes-
so necessaria e urgente una ricostru-
zione della effettiva posizione di We-
ber (§ 3). Solo in questo modo, inve-
ro, si può inquadrare in modo plausi-
bile la questione centrale dell’effettiva
“professione” dello scienziato e insie-
me quella del “significato” della stessa
scienza (§ 4).

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2. I fraintendimenti sul postulato
dell’avalutatività
Lo stesso Weber aveva puntual-
mente pronosticato che il suo postu-
lato sarebbe stato oggetto d’ogni sorta
di malintesi e anche in questo caso ha
avuto ragione, se è vero che le obiezio-
ni e gli attacchi rivolti contro tale ber-
saglio sono autentiche legioni. Gli è
stato imputato letteralmente tutto: di
essere inutile o, posto che sia cosa di-
versa, irrealizzabile; che la astensione
dalle valutazioni sarebbe cosa impossi-
bile e porterebbe direttamente al nichi-
lismo (Strauss 1956, 44; in senso criti-
co Keuth 1989, 56 ss.); che tale pretesa
deriverebbe dalla debolezza e dall’inca-
pacità di prendere decisioni da parte
dei suoi sostenitori; che Weber ridur-
rebbe la scienza a un insieme di do-
mande meramente tecniche, negando
l’esistenza di valori e valutazioni e tra-
scurando l’orientamento al valore del
soggetto agente (cfr. König 1964, 155
ss. con una panoramica “di fiore in fio-
re” sulle varie accuse; per una critica a
queste ultime v. Albert 1966, 200 ss.).
Forse il titolo del suo saggio sul
«significato dell’avalutatività» (Weber

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1917, 489-540) ha sortito un effet-
to un po’ fuorviante, giacché – richia-
mandoci nuovamente a Wilhelm Hen-
nis – in esso s’affronta ogni genere di
problema e non solo il significato della
Wertfreiheit: vengono piuttosto dibat-
tuti la necessità e il significato delle
discussioni scientifiche sui valori, da
intendere come “discussioni sul valo-
re” (Wertdiskussionen) svolte sulla ba-
se di un fondamento scientifico (Hen-
nis 1992, 104 ss., 112). Naturalmente
Weber stesso, proprio in questo con-
tributo, ha provato a chiarire e dissi-
pare i fraintendimenti più diffusi circa
il contenuto del suo pensiero (Weber
1917, 499 ss.), ma con ogni evidenza il
suo tentativo si è rivelato vano.
Valga ancora ciò che René König
osservava in un saggio degli anni Ses-
santa tutt’oggi meritevole di lettura:
«L’osservatore interessato e partecipe,
nel leggere le ultime riflessioni sul te-
ma, non può che deprimersi profonda-
mente, giacché sùbito ci si rende con-
to che, senza eccezioni, tutti i frainten-
dimenti menzionati da Max Weber so-
no vivi oggi così come lo erano più di
mezzo secolo fa» (König 1964, 152).

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Dal momento che la situazio-
ne sembrerebbe rimasta invariata, in
questa sede prima di tutto (§ 2) si pro-
verà a discutere alcuni tra i fraintendi-
menti e gli errori interpretativi più co-
muni circa il postulato della avalutati-
vità, poi si passerà alla tematizzazione
dei fondamenti teorici della posizione
di Weber (§ 3) e infine si affronteran-
no le questioni centrali riguardanti la
scienza come professione (§ 4).

2.1. (Non) avalutatività nella scelta del


tema

Anzitutto Weber non poteva e non


voleva mettere in discussione il fatto-
re soggettivo nel momento dell’acces-
so del ricercatore al “suo” tema. Ciò
in quanto, ovviamente, la selezione
dell’oggetto e quindi la scelta del tema
in generale e la determinazione dei re-
lativi percorsi di approfondimento in
particolare si basano su giudizi di va-
lore soggettivi dello scienziato.
Con una delle sue formulazioni ti-
picamente incisive e pregnanti, We-
ber parla quasi poeticamente del fat-
to che, rispetto alla selezione dei te-

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mi e dell’oggetto, si ha a che fare con
la «rifrazione cromatica dei valori nel-
lo specchio dell’anima del ricercato-
re» (Weber 1904a, 182). Con espres-
sione un po’ meno icastica del 1917,
ci sarebbero degli «interessi culturali
– cioè: di valore – che indicano la dire-
zione anche al lavoro puramente em-
pirico-scientifico» (Weber 1917, 512).
Quanto appena osservato, peral-
tro, non riguarda soltanto la selezio-
ne dell’oggetto della ricerca, ma anche
le tappe successive della sua analisi e
della sua rappresentazione, che sareb-
bero altrettanto influenzate da pun-
ti di vista di valore. Di conseguenza,
per Weber non esiste «nessuna analisi
scientifica assolutamente “oggettiva”
della vita culturale o […] dei “fenome-
ni sociali” indipendentemente dai pun-
ti di vista speciali e “unilaterali” in ba-
se ai quali tali fenomeni […] sono sele-
zionati, analizzati e strutturati nel det-
taglio come oggetto della ricerca» (We-
ber 1904a, 170).
In uno dei suoi brevi ma assai pro-
fondi contributi, Detlef J.K. Peukert
ha giustamente osservato che «non
soltanto la definizione dell’interesse

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di ricerca, ma anche l’analisi e la rap-
presentazione soggiacciono alla insor-
montabile concorrenza di rapporti di
valore. Vale a dire: nessun “tipo idea-
le” e nessuna “imputazione causale”
senza che entrino in gioco relazioni ul-
time di valori di carattere sostanziale e
volontaristico» (Peukert 1989, 20).
Sarebbe dunque, anzitutto, com-
pletamente fuori strada ogni critica
che imputasse a Weber di trascurare
il potere e la forza delle personali con-
vinzioni di valore per la costituzione e
la prassi della scienza così come an-
che l’accusa di accarezzare una pre-
sentazione asettica della scienza, che
pretenderebbe dal singolo ricercatore
un sovrumano eroismo della rinuncia.
Al contrario, Weber sottolinea con
forza instancabile che «relazioni di va-
lore» – questo (Wertbeziehungen) il ter-
mine tecnico ripreso da Rickert (cfr.
Weber 1903–1906, 51 ss., 91; v. anche
Schelting 1934, 220 ss.; Loos 1970, 13
ss.; Weiss 1975, 33 ss.) – sono costi-
tutive per l’elaborazione degli argo-
menti delle scienze (sociali).
È proprio con l’aiuto di tali relazio-
ni di valore che gli aspetti importan-

13
ti – dalla c.d. profezia ex cathedra al-
la questione della prostituzione (Weber
1904a, 171) – sono per così dire “fil-
trati” dal mare di infiniti fatti e singo-
li eventi storici, i quali non sempre ri-
mangono costanti.
«La domanda», ha detto Weber in
un discorso-dibattito del Verein für So-
zialpolitik, «circa quali problemi do-
vremmo porci, a cosa dovremmo essere
interessati, cosa valga la pena di sape-
re, è una questione di valore (Wertfra-
ge) e può essere decisa solo sulla base
di valutazioni soggettive» (Weber 1909,
420; 1904a, 183 s.).
Che lo storico si occupi dell’antichi-
tà o della prima età moderna, dei gran-
di governanti o della vita quotidiana
dei piccoli cittadini, dell’economia, del-
la costituzione o dell’arte di quelle epo-
che, che l’economista studi i cicli eco-
nomici a lungo termine del capitalismo
moderno o le decisioni statisticamente
verificabili degli operatori di mercato in
un determinato segmento, che il giuri-
sta si immerga nelle sottigliezze del di-
ritto processuale civile, nelle basi filo-
sofiche del diritto penale o nei dettagli
dell’organizzazione statale – tutto que-

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sto si basa su una decisione valutativa
(wertende Entscheidung).
In questo senso, una «selettività
specifica» (Albert 2006, 12) e una co-
lorazione soggettiva della scienza sono
assolutamente inevitabili, perché è lo
scienziato stesso che seleziona e trat-
ta il proprio tema di ricerca secondo le
sue preferenze. E spesso l’effettiva in-
novazione disciplinare risiede appun-
to nella scelta del tema (non di rado
determinata da valutazioni o preferen-
ze piuttosto inconsapevoli) e nello spe-
cifico approccio alla materia (cfr. Engi
2009, 27 s.). Rimane tuttavia da osser-
vare che relazione di valore (Wertbezie-
hung) non significa giudizio di valore
(Werturteil) su un oggetto, ma descrive
la particolare impostazione della pro-
blematica da parte dello scienziato, il
suo punto di vista di ricerca, cioè la
selezione, l’analisi e la rappresentazio-
ne dell’oggetto (Weber 1917, 511). È
quindi possibile «separare valutazio-
ne pratica (praktische Wertung) e re-
lazione di valore (Wertbeziehung) teo-
rica». (Loos 1970, 13; cfr. anche Weiss
1975, 37; Prewo 1979, 60, 63 ss.).

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2.2. (Non) avalutatività dell’oggetto d’in-
dagine

Una situazione molto simile vale


per l’oggetto stesso dell’indagine. In-
fatti, l’oggetto di trattazione scientifica
naturalmente può e viene a essere co-
stituito da fenomeni di valore, se e nel-
la misura in cui riguarda fenomeni cul-
turali in senso lato. Weber, con la sua
«pretesa di una sociologia avalutativa»,
non ha mai voluto «escludere l’area te-
matica dei valori dalla ricerca sociale
(Dahrendorf 1957, 39). Anch’essi sono
fenomeni che ricadono nell’«ambito og-
gettivo» delle scienze (fondamentale Al-
bert 1968, 76) e queste scienze tratta-
no le valutazioni soggettive come ogget-
ti. I valori e soprattutto le azioni orien-
tate ai valori possono essere oggetto di
descrizione, spiegazione e critica, sen-
za che sia necessario identificarsi con i
fenomeni di valore o fondarsi sulla lo-
ro validità oggettiva: «Se il normativa-
mente valido diventa oggetto di inda-
gine empirica, esso perde, come ogget-
to, il carattere normativo: viene trat-
tato come “qualcosa che è” e non co-
me “qualcosa che vale”» (Weber 1917,
531). Si potrebbe forse parlare, in mo-

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do ancor più chiaro e non fraintendi-
bile, di libertà dalle valutazioni (Wer-
tungsfreiheit) al posto che di avaluta-
tività (etimologicamente ‘libertà dal va-
lore’, Wertfreiheit) (Prewo 1979, 63; cfr.
Weber 1917, 515), atteso che gli ogget-
ti dell’indagine non sono, ovviamente,
privi di valori e di riferimenti ai valori;
eppure, al tempo stesso, le affermazio-
ni su questi oggetti non dovrebbero es-
sere influenzate da valutazioni sogget-
tive dello scienziato (con chiarezza We-
ber 1910-1912, 477).
Quindi non è affatto vero che i va-
lori non riguardino in alcun modo la
scienza e non abbiano alcun ruolo so-
stanziale al suo interno (König 1964,
184). Tuttavia, per la descrizione e
la spiegazione dei processi sociali, al
di là dei fenomeni di valore ineren-
ti all’oggetto stesso dell’indagine, non
sono necessari ulteriori giudizi di va-
lore pratico da parte dello scienziato.
Si devono valutare i processi solo nel
senso che li si comprende in qualità
di esperti della materia, in grado cioè
di interpretare correttamente l’oggetto
per il suo senso interno (Weber 1917,
524; Schluchter 2009, 58 s. ha sottoli-

17
neato questo in relazione allo scritto di
Weber sul protestantesimo).
Al di là di questo aspetto, tutta-
via, per Weber è certo che «ovunque
l’uomo di scienza arrivi con un proprio
giudizio di valore, la piena compren-
sione dei fatti cessa» (Weber 1917-
1919, 98). Weber esemplifica il proble-
ma tramite la storia dell’architettura e
dell’arte, che descrive e spiega i cam-
biamenti degli stili, astenendosi tutta-
via dal formulare semplicistici giudizi
sul progresso o presunte analisi sulla
decadenza da un punto di vista este-
tico. Ciò perché in ordine al progresso
o alla decadenza non esistono criteri
di valutazione oggettivi e generalmen-
te validi (Weber 1917, 519 ss.) – osser-
vazione questa che si ricollega diretta-
mente all’argomento del prossimo pa-
ragrafo.

2.3. Avalutatività (non) significa nichili-


smo dei valori

La mera esistenza di giudizi di va-


lore soggettivi, e quindi naturalmen-
te divergenti, è un fatto indiscutibile.
Per Weber, autorevole rappresentante

18
del relativismo dei valori (cfr. Brecht
1976, 252 ss., in particolare 261 ss.),
è certo tuttavia che non possano esi-
stere giudizi di valore oggettivamen-
te validi, dotati della stessa esattezza
delle scienze naturali. I giudizi di va-
lore si sottraggono alle prove raziona-
li e intersoggettive, per cui non pos-
sono reclamare per se stessi una vali-
dità oggettiva. Ne consegue l’impossi-
bilità di una determinazione scientifi-
ca degli scopi ultimi. Weber ha soste-
nuto questa tesi con capacità persua-
siva e stringenza logica impareggiabi-
li, ribadendola contro tutte le obiezio-
ni (per maggiori approfondimenti cfr.
§ 4.1). Tuttavia, questo non significa
in alcun modo che non vi sia la possi-
bilità di esprimere giudizi pratici o di
rappresentare con la massima convin-
zione possibile i relativi punti di vista
nelle questioni che riguardano la vita
pratica, la morale, la società nel suo
complesso o la politica. A colui che ne-
ga l’oggettiva dimostrabilità scientifica
di determinati giudizi di valore certo
non dev’essere impedito di conformar-
si con rigore ad essi (giudizi) nella pro-
pria esistenza o di sceglierli come mas-

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sime del proprio impegno sociale (cfr.
Kelsen 1929, 1724, per questo aspetto
“spiritualmente affine” a Weber). Il re-
lativismo, come Gustav Radbruch eb-
be una volta plasticamente ad affer-
mare, appartiene alla ragion teorica,
non alla ragion pratica: «Significa ri-
nunciare alla giustificazione scientifi-
ca delle posizioni ultime, non rinun-
ciare alla posizione stessa» (Radbruch
2003, 18). Lo stesso Weber, secondo
la testimonianza della moglie Marian-
ne, ha rigettato l’interpretazione della
propria posizione in termini di relativi-
smo (nel senso sopra precisato di arbi-
trio soggettivo) come «il più grossolano
degli equivoci» (Marianne Weber 1926,
339; Weber 1917, 508).
A suo avviso, piuttosto, la «digni-
tà della “personalità” è tutta racchiusa
nel fatto che per essa esistono valori
a cui la propria vita si riporta» (Weber
1904a, 152) – e questo segnatamente
nella piena consapevolezza della indi-
mostrabilità oggettiva di tali valori.
Non si può pertanto in alcun mo-
do affermare che il postulato di We-
ber sulla avalutatività porti al nichi-
lismo, al culto dell’indifferenza o al-

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la negazione dei valori. Di contro a ta-
le tesi, sostenuta per esempio da Leo
Strauss (per una critica breve e con-
cisa cfr. Loos 1970, 84; Albert 1966,
208 ss.), il postulato di Weber sull’ava-
lutatività non conduce all’indifferen-
za nei confronti del problema del va-
lore, ma piuttosto a un accrescimento
del suo significato, a cui naturalmen-
te bisogna rispondere assumendosi
individualmente la relativa responsa-
bilità: «Weber non colloca le decisioni
di valore che dobbiamo costantemen-
te assumere nella sfera dell’arbitrio, le
proietta bensì nella coscienza di tutti»
(Tenbruck 1995, 254).
Poiché tale questione di valori può
essere risolta solo soggettivamente,
essa non deve essere confusa con l’ac-
certamento oggettivo dei fatti. Nel sag-
gio sull’oggettività, Weber espone l’as-
sunto in modo inequivocabile: «La co-
stante commistione tra la discussione
scientifica dei fatti e i raisonnements
valutanti è una delle caratteristiche
ancora più diffuse, ma anche più dan-
nose, dei lavori della nostra disciplina.
Le osservazioni di cui sopra sono di-
rette contro questa mescolanza, non

21
contro la lotta per i propri ideali», ag-
giungendo in modo lapidario che «La
mancanza di opinioni e la “oggettivi-
tà” scientifica non hanno alcuna inti-
ma parentela» (Weber 1904a, 157; We-
ber 1917, 500; analogamente Weber
1917-1919, 97).

3. Le coordinate fondamentali del


postulato dell’avalutatività
Quanto osservato ci porta ai fon-
damenti metodologici di Weber, ai
punti di partenza più basilari e alle co-
ordinate che egli considera impossibi-
li da aggirare. Si osservi che, a tal ri-
guardo, Weber non annovera tra le evi-
denze il fatto che la scienza e le sue
scoperte abbiano un valore e un’uti-
lità di carattere oggettivo. Anche in
quest’àmbito, con riferimento ai va-
lori, egli rimane più scetticamente un
relativista e non considera ingenua-
mente le precomprensioni e le valuta-
zioni del suo tempo come un qualco-
sa di oggettivamente dato, né le qua-
lifica come qualcosa di universalmen-
te valido. Prendendo le distanze da ta-
li posizioni, egli ritiene che «la fede nel

22
valore della verità scientifica […] sia il
prodotto di certe culture e non sia nul-
la di naturalmente dato», e che, a chi
questa verità non appaia ricca di valo-
re (wertvoll), «nulla abbiamo da offrire
con i mezzi della nostra scienza» (We-
ber 1904a, 213; cfr. Löwith 1932, 9 ss.;
König 1964, 171). Ma se si fa scien-
za, allora si è vincolati alle sue interne
premesse.

3.1. Il dualismo tra Sein e Sollen

A tal riguardo, Weber accetta co-


me del tutto evidente e irrefutabile
il dualismo tra Sein e Sollen fondato
da Hume e Kant, considerando «fari-
na del diavolo la mescolanza tra esse-
re e dover-essere in questioni scientifi-
che» (Weber 1909, 417) – e questo non
già per la poca importanza del norma-
tivo, ma al contrario segnatamente per
il suo alto valore. Proprio il significato
dei «problemi pratici» dovrebbe porta-
re «a non trattarli come mere questio-
ni fattuali e quindi a non confonder-
li con i risultati fattuali strettamente e
freddamente oggettivi che stiamo trat-
tando qui, perché altrimenti entram-

23
bi i tipi di domande saranno deficita-
ri» (Weber 1910-1912, 450). Afferma-
zione che viene ampiamente chiarita
nel prosieguo della citazione, quand’e-
gli continua osservando che «Il moti-
vo per cui mi rivolgo in ogni occasione,
persino con una certa pedanteria, con-
tro l’amalgama tra l’essere e il dover-
essere non è la sottovalutazione del-
le questioni del dover-essere, ma esat-
tamente l’opposto: è perché non posso
sopportare che problemi d’importanza
mondiale e di grande significato idea-
le, in un certo senso i problemi più alti
che possono muovere il cuore dell’uo-
mo, si trasformino qui in una questio-
ne tecnico-economica di “produttivi-
tà” e divengano oggetto di discussio-
ne di una disciplina settoriale, come è
l’economia politica» (Weber 1909, 419;
sull’economia politica cfr. infra, § 3.2).
Nei suoi contributi alla discussione e
nelle sue pubblicazioni Weber insiste
sempre sull’aspetto per lui più impor-
tante, ossia «che la validità (Geltung) di
un imperativo pratico come norma di
condotta da un lato e dall’altro la ve-
rità (Wahrheitsgeltung) di un accerta-
mento empirico dei fatti sono collocati

24
a livelli assolutamente eterogenei della
problematica» (Weber 1917, 501).
Nel far ciò, come sarà più volte ri-
badito, è fondamentale distinguere la
determinazione di alcuni fatti e la lo-
ro valutazione – in termini di buono,
corretto, piacevole o corrispettivamen-
te cattivo, scorretto, sgradevole – non
già rinunciare alla valutazione. Criti-
care quindi Weber perché egli avrebbe
valutato «e neppure tanto poco» (Ho-
nigsheim 1959, 9) non costituisce di per
sé un’obiezione del tutto implausibile.
Se questo è vero, però, bisogna anche
dire che egli ha cercato, forse non sem-
pre con successo, di distinguere tra lo-
ro i relativi piani. Nei suoi dibattiti al
Verein für Sozialpolitik si possono tro-
vare esempi significativi dell’enfasi po-
sta su questa differenza (cfr. ad esem-
pio Weber 1905 ss., 394-430, in par-
ticolare 394, 398, 402 e passim; cfr.
Gerhardt 2006, 47 s.).
La convinzione fondamentale alla
base di questo ragionamento è il diva-
rio insormontabile tra le prese di po-
sizione sul versante pratico e i risul-
tati fattuali empiricamente raccolti:
un «dualismo di principio tra tratta-

25
zioni fattuali e affermazioni di valore,
tra “facts” e “standards”» (Kirchgässner
2006b, 143). Espresso in modo ancor
più sintetico: proposizioni normative
non si possono derivare da proposizio-
ni descrittive (Loos 1991, 70; cfr. We-
ber 1917, 509).

3.2. L’evoluzionismo etico come conte-


sto della discussione

Per una migliore comprensione, è


utile rivolgere lo sguardo al contesto
storico in cui si sviluppa la posizione
di Weber. Nella discussione concreta
di allora, gli oppositori che Weber av-
versava erano in particolare i rappre-
sentanti di un «evoluzionismo etico»
che gli si presentava nella forma della
Scuola storica dell’economia politica
(Weber 1917, 148; v. anche Loos 1970,
42 ss.; Homann 1989, 68 ss.). Alimen-
tandosi della metafisica della storia di
Hegel da un lato e degli insegnamen-
ti biologici evoluzionistici dall’altro, si
postulavano la capacità e l’obbligo di
agire in modo corrispondente ai trend
storici evolutivi.

26
L’economia politica credeva di po-
ter identificare principi evolutivi uni-
voci e riconoscibili, se non addirittura
strutturati secondo una legge sequen-
ziale, e per tal via arrivò a identifica-
re il dover-essere con l’«inevitabilmente
diveniente (unvermeidlich Werdended)»
(Keuth 1989, 15). L’idea era di potersi
«elevare alla dignità di una scienza “eti-
ca” su base empirica» (Weber 1904a,
148), soprattutto perché ci si aspettava
«un accordo sulle questioni di valore a
partire da una progressiva conoscenza
dell’esperienza» (Augsberg 2009, 159).
In una formulazione fortemente am-
pliata valeva in un certo senso il prin-
cipio secondo cui «dal divenire deriva
il dover-essere» (aus Werden folgt Sol-
len): una posizione per la quale anche
nella scienza del diritto esistono esem-
pi icastici (in generale cfr. Loos 1991,
69 ss.; Keuth 1989; sul c.d. dibattito
sul positivismo [Positivismusstreit] de-
gli anni Sessanta v. Homann 1989, 94
ss., 289 ss.; sulla giurisprudenza v. già
Liszt 1906, 556). Weber critica esausti-
vamente questa identificazione tra il
diveniente e il (normativamente) dovu-
to quale idea fallace e rappresentazio-

27
ne ingenua di un progresso dell’uma-
nità, il quale o non è affatto consape-
vole della sua dipendenza da certi giu-
dizi di valore o non riconosce che «uni-
voci imperativi di azione possano es-
sere ottenuti da univoche “tendenze di
sviluppo” […] solo per quanto riguar-
da i mezzi presumibilmente più adat-
ti rispetto a una determinata decisio-
ne, ma non per quanto riguarda quel-
la stessa decisione» (Weber 1917, 512;
Weber 1903–1906, 51 ss.).
Altrettanto poco la validità ogget-
tiva delle valutazioni pratiche deriva
dalla (ipoteticamente presunta o effet-
tivamente data) unanimità con cui es-
se possono essere di fatto rappresen-
tate. A parte il fatto che, secondo la
diagnosi che Weber formula per il suo
tempo, tale unanimità è da tempo per-
duta, comunque il giudizio etico una-
nime non può costituire una solida e
oggettiva base di valore per il sempli-
ce rilievo secondo cui la scienza «eleva
a problema ciò che convenzionalmente
si reputa autoevidente» (Weber 1917,
502) e non può accontentarsi delle opi-
nioni di fatto dominanti. Resta così fer-
mo che il giudizio di valore è una cosa,

28
l’acquisizione della conoscenza scienti-
fica dei fatti qualcosa di completamen-
te diverso (Hilgendorf 2000, 9 ss.).

3.3. Pari dignità, ma differenza tra giu-


dizio di valore e accertamento dei
fatti

Nello stesso contesto tematico We-


ber parla espressamente della «digni-
tà specifica» dell’accertamento empi-
rico dei fatti da un lato, della validi-
tà di un imperativo pratico dall’altro,
e del fatto che la dignità «di ciascuno
dei due è spezzata se si cerca […] di co-
artare la fusione di entrambe le sfere»
(Weber 1917, 501). Questo sottolinea
ancora una volta l’alta considerazio-
ne sia per la scienza fattuale avalutati-
va, sia per la valutazione pratica. Inol-
tre, è importante notare come la con-
fusione con i giudizi di valore sia dan-
nosa per la scienza. I giudizi di valore
ostacolano la ricerca libera da pregiu-
dizi e contaminano i risultati oggettivi.
Oltre a preservare l’integrità del ricer-
catore, infatti, il principio dell’avaluta-
tività dovrebbe anche garantire che la
ricerca scientifica «possa svilupparsi il

29
più possibile libera dalle influenze di
interessi politici e ideologie di ogni ti-
po» (Albert 2006, 11; cfr. Hennis 1992,
99). In questo senso, nell’ethos della
«rettitudine intellettuale» (ad es. Weber
1917-1919, 97, 110) dello scienziato,
che Weber ci ha ripetutamente ricorda-
to, alberga un momento oggettivo: «l’a-
valutatività è protezione dall’ideologia e
dalla Weltanschauung» (Ottmann 2010,
54). La logica intrinseca del sottosiste-
ma della scienza non è compatibile con
la strumentalizzazione politica diretta;
l’appropriazione ideologica o l’assogget-
tamento portano solo all’errore, e nello
specifico pure a risultati inutili o dan-
nosi. Chi sta sotto tutela, del resto, ra-
ramente pensa a qualcosa di originale.
Max Weber non dovette sperimen-
tare il caso estremo di una «fisica tede-
sca» come essa fu propagata nel siste-
ma nazista contro la presunta teoria
ebraica della relatività, e neppure la
non meno oscura «biologia» – dimenti-
ca di Mendel e Darwin e quindi scienti-
ficamente insostenibile – di Lyssenko,
fervente devoto di Stalin, secondo cui
sarebbero state influenze ambientali,
piuttosto che fattori genetici, a porta-

30
re a cambiamenti nel patrimonio gene-
tico (vedi i riferimenti in Kirchgässner
2006b, 144 s.). Weber tuttavia pro-
vava solo disprezzo e sdegno per una
scienza deliberatamente tendenziosa,
volutamente orientata verso dati inte-
ressi (cfr. ad es. Weber 1917, 494 s.).
Al di là di quelle evidenti ipotesi di su-
bordinazione della scienza ai deside-
ri della politica, del resto, ancora og-
gi non mancano esempi di come i giu-
dizi pratici di valore e le proprie con-
vinzioni vengano proposti come verità
scientifiche oggettive. Ecco allora, per
scomodare Schopenhauer, che l’inten-
zione (Absicht) parla sotto la masche-
ra della convinzione (Einsicht). Sembra
costituire «eterna lusinga» dello scien-
ziato quella di «camuffare» le proprie
opinioni politiche o altre convinzio-
ni forti «come assunti pseudo-scienti-
fici» (Kirchgässner 2006a, 128) al fine
di trasmettere loro maggiore credibili-
tà e potere di penetrazione, nonché –
al tempo stesso e soprattutto – per im-
munizzarsi contro le obiezioni e le idee
contrarie. Un’abitudine che merita co-
me reazione una critica ostinata. Oggi,
oltre alla giustificata richiesta di one-

31
stà intellettuale individuale, sono an-
che e soprattutto i meccanismi di criti-
ca scientifica interna istituzionalizza-
ta, gli expertise e le valutazioni basa-
te su determinati standard qualitati-
vi che possono fornire un antidoto ra-
gionevolmente efficace (Albert 2006,
11 in adesione a Popper; Kirchgässner
2006b, 159 ss.). Infatti, se la scienza
ai nostri giorni – come si potrebbe dire
con uno dei termini preferiti di Weber –
è diventata per certi versi un’«impresa»
(Betrieb), allora ciò ha anche la conse-
guenza che a venire in primo piano co-
me oggetto di possibile controllo non
sia la personalità del singolo ricercato-
re, ma il processo organizzato di divi-
sione del lavoro con i relativi standard
e le connesse verifiche di qualità.

3.4. Le valutazioni ex cathedra

Resta poi il problema delle valu-


tazioni ex cathedra, cioè la questio-
ne se il docente possa esporre in au-
la i propri giudizi di valore o se deb-
ba fare un passo indietro, limitando-
si unicamente alla trasmissione del-
la materia scientifica (v. in particola-

32
re Weber 1917, 489 ss.; 1917-1919,
95 ss., 101 ss.). Weber considera tale
questione scientificamente indecidibi-
le, perché la risposta stessa si basa su
un giudizio di valore: è «una questio-
ne che dipende interamente da valu-
tazioni pratiche e quindi non delega-
bile» (Weber 1917, 489). Nella valuta-
zione e nel bilanciamento dei pro e dei
contro, tuttavia, un’importanza deci-
siva è rivestita a suo parere dal requi-
sito (minimo) di separare chiaramente
l’una dall’altra cosa e di non lasciare
l’ascoltatore nel dubbio su cosa sia un
giudizio di valore e cosa invece un’af-
fermazione scientifica. La rappresen-
tazione dei propri valori è «accettabile
solo se il docente accademico si sot-
tomette al dovere incondizionato – in
ogni singolo caso, anche a rischio di
rendere meno attraente la sua lezione
– di chiarire inesorabilmente ai suoi
ascoltatori, e soprattutto a se stesso,
cosa delle sue rispettive affermazioni
sia dedotta in modo puramente logico
o puramente empirico e cosa sia in-
vece una valutazione pratica» (Weber
1917, 490, anche 497 s.; Weber 1917-
1919, 97).

33
Per quanto concerne se stesso,
tuttavia, Weber preferisce rinunciare
totalmente alle valutazioni ex cathe-
dra (Weber 1917, 491 ss.). La ragione
principale è il rifiuto di ciò che egli in-
dica con la beffarda espressione «pro-
fezia ex cathedra», o «profezia del pro-
fessore» (Weber 1917-1919, 106, 110
o Weber 1917, 492), che tra tutti i tipi
di profezie riteneva «le uniche comple-
tamente insopportabili» (Weber 1917,
492). Weber si oppone all’esternazione
dei giudizi di valore nell’insegnamen-
to accademico soprattutto perché ciò
mette in pericolo l’autonoma formazio-
ne del giudizio di ogni studente in au-
la – un obiettivo che Weber caldeggia –
allorché il docente cerchi «da parte sua
di imporre o di suggerire una posizio-
ne all’ascoltatore» (Weber 1917-1919,
104, 96 s.). Egli ha insomma presente
il rischio di un più o meno sottile in-
dottrinamento degli studenti, al qua-
le (indottrinamento) essi non posso-
no sottrarsi a causa di una certa qual
asimmetria strutturale. Weber è inol-
tre particolarmente turbato da quella
che egli chiama l’«atarassia della cat-
tedra» (Weber 1917, 493), definendo

34
con ciò la posizione privilegiata del do-
cente che non deve affrontare una di-
scussione aperta o magari addirittura
pubblica tra pari e può invece impri-
mere nei suoi ascoltatori «la sua per-
sonale opinione politica» (Weber 1917-
1919, 97). Egli vede lo spazio pubbli-
co, le associazioni, le riunioni e così
avanti come il luogo appropriato per
proclamare e rappresentare le proprie
convinzioni, mentre «il profeta e il de-
magogo non appartengono alla catte-
dra di un’aula universitaria»; né, d’al-
tro canto, il docente accademico do-
vrebbe proporsi come «guida sul terre-
no dell’orientamento alla vita pratica»
(Weber 1917-1919, 97, 102). Un ulte-
riore argomento di Weber è che una
rivendicazione del diritto di formula-
re giudizi di valore da parte dei catte-
dratici, per ragioni di parità di tratta-
mento, dovrebbe sostanzialmente ac-
compagnarsi alla garanzia di una rap-
presentanza pluralistica delle diverse
opinioni (anche e soprattutto di na-
tura politica), (rappresentanza) di cui
naturalmente poco si potrebbe parla-
re tanto allora quanto oggi. Il tutto col
risultato che per Weber l’unico atteg-

35
giamento che corrisponde alla «digni-
tà dei rappresentanti della scienza sia
quello di tacere anche su quei proble-
mi di valore che potrebbe esser gentil-
mente concesso loro di trattare» (We-
ber 1917, 497).

4. Il senso della avalutatività, ovve-


ro: la scienza come professione
(Beruf)
Questa avalutatività per così dire
“semplice” o metodologica – nel sen-
so di una non mescolanza del giudi-
zio di valore e dell’accertamento dei
fatti, di dover-essere e essere, di po-
sizione politica e conoscenza scientifi-
ca – è ritenuta fondamentalmente una
«banalità» da Weber stesso, come egli
più di una volta ha modo di sottolinea-
re (Hennis 1992, 99; cfr. Weber 1904a,
147; Weber 1917, 500; Weber 1917-
1919, 97). Ma da dove deriva allora
la «serietà nella vita pratica, tesa al-
la disciplina» (Hennis 1992, 99), da do-
ve provengono il pathos e la forza esi-
stenziale delle sue spiegazioni? Perché
Weber si sforza con studi approfonditi
– che tutto sono fuor che scritti occa-

36
sionali – di divenire padrone del pro-
blema con approcci sempre nuovi e di
formularli nel modo più penetrante e
chiaro possibile?
La vera questione è quella relativa
a ciò che Weber chiama la professio-
ne per la scienza (Beruf für die Wissen-
schaft) e la professione della scienza
(Beruf der Wissenschaft) (Weber 1917-
1919, 88) – scienza intesa individual-
mente non come professione lavorativa
(professio, profession) bensì come vo-
cazione (vocatio, vocation) (v. Tenbruck
1995, 244 ss.), e istituzionalmente co-
me il significato della scienza «nell’in-
tera vita dell’umanità» (Weber 1917-
1919, 88). Cosa può offrire essa a chi
le dedica la propria vita? E qual è in
assoluto il suo significato? Queste do-
mande rischiano di generare non poco
disturbo o delusione perché, secondo
Weber, la scienza non può (più) indi-
care nessuna verità oggettiva nel cam-
po delle domande pratiche e quindi
non può funzionare come istanza crea-
trice di significato (cfr. § 4.1).
Se, tuttavia, la scienza non è in
grado di fornire un orientamento o un
fondamento assoluto di valore, sorge
allora la questione del dove dovrebbe

37
rinvenirsi il suo proprio valore o senso
al di là della semplice raccolta di fatti
e dati (cfr. § 4.2 e 4.3).

4.1. Politeismo dei valori, lotta tra gli Dei

Il dualismo tra essere e dover-es-


sere, tra accertamento dei fatti e giu-
dizi di valore, di per sé ancora non di-
ce nulla circa l’oggettiva dimostrabilità
scientifica, nell’ambito del dover-esse-
re, della validità dei valori etici più al-
ti e “ultimi” (cfr. Loos 1991, 70). La dif-
ferenza tra essere e dover-essere non
esclude necessariamente e fin da prin-
cipio la conoscenza assoluta del dover-
essere. Nella forma di un diritto natu-
rale sovrapositivo o di un’etica cogniti-
vistica, per esempio, accanto alla «co-
noscenza dei fatti o dell’esperienza» po-
trebbe trovare spazio una «conoscenza
dei valori» altrettanto ben dimostrabi-
le, così come potrebbe essere possibi-
le mostrare la correttezza (Richtigkeit)
oggettiva dei valori ultimi.
Che «la deduzione dell’impossibi-
lità di una scienza sociale valutante
a partire dalla radicale disomogenei-
tà tra l’essere e il dover-essere chiara-

38
mente non sia necessitata dal punto di
vista logico» è stato puntualmente col-
to da Leo Strauss (Strauss 1956, 43).
Il sicuro ancoraggio e punto di orien-
tamento della nostra esistenza socia-
le, soggiunge tale dottrina, starebbe
in una filosofia sociale universalmente
valida o in una dottrina del diritto na-
turale ancorata nel sovrapositivo.
Questo pensiero vanta una lun-
ga tradizione, dal momento che per
millenni ci si era attesi dalla filoso-
fia e dalla scienza «sia il miglioramen-
to delle condizioni esterne dell’esisten-
za, sia un’affidabile visione del mon-
do che desse risposte vincolanti alle
questioni spirituali e morali» (Tenbruck
1995, 248; si distacca da tali idee We-
ber 1917-1919, 105). Come sappiamo,
tuttavia, Weber esclude categorica-
mente questa possibilità, ed è solo la
somma di entrambe le posizioni (duali-
smo essere-dover-essere; nessuna co-
noscenza obiettiva dei valori) che con-
ferisce al suo atteggiamento un enor-
me potere esplosivo e provocatorio, e
soprattutto l’attitudine tragica spes-
so osservata (Breuer 2006). Egli infatti
non solo rifiuta la commistione tra ac-

39
certamento dei fatti e giudizio di valo-
re, ma allo stesso tempo nega la possi-
bilità di raggiungere la «conoscenza dei
valori» in parallelo alla conoscenza dei
fatti (v. Albert 2006, 6; Strauss 1956,
43): i valori più alti e “ultimi” non so-
no a suo avviso scientificamente di-
mostrabili. Egli procede dall’inconte-
stabile «possibilità di valutazioni ulti-
me essenzialmente e inconciliabilmen-
te divergenti» (Weber 1917, 503): quel-
la «“inestricabilità” di certi valori ulti-
mi», per così dire un politeismo di va-
lori, che è stato per lui il passaggio de-
cisivo (Weber 1917, 499, nt. 1; v. per-
suasivamente Tyrell 1993, 121-138).
Anche se, come egli dice, i valori
sono percepiti dall’individuo come og-
gettivamente validi, «giudicare la va-
lidità di tali valori è questione di fe-
de, forse un compito di osservazione
e interpretazione speculativa della vi-
ta nel mondo» (Weber 1904a, 152). Il
suo convincimento trovò probabilmen-
te la sua espressione più concisa in
una frase che egli pronunciò esplici-
tamente contro Gustav Schmoller alla
conferenza del Verein für Sozialpolitik
di Vienna nel 1909: «Non conosciamo

40
ideali scientificamente dimostrabili»,
aggiungendo le famose parole: «Certo,
in un’epoca di cultura schiettamente
soggettivista il lavoro necessario per
toglierli dal proprio petto è più arduo»
(Weber 1909, 420).
A questo proposito Max Weber
prende sul serio come pochi altri l’evi-
denza di una intervenuta “pluralizza-
zione”; la diversità dei valori prende il
posto del lungo dominio del «grandio-
so pathos dell’etica cristiana» (Weber
1917-1919, 101; Weber 1917, 492).
Al problema di ciò che per l’individuo
dovrebbe essere l’ultimo e più alto va-
lore, l’ideale supremo, la stella polare
della sua vita consapevolmente e co-
erentemente vissuta, non si può da-
re una risposta obiettiva e uguale per
tutti: ci possono essere e ci sono rispo-
ste diverse.
Sebbene, soprattutto nella rifles-
sione filosofica, la negazione della pos-
sibilità di fondare oggettivamente le
norme non sia affatto nuova, corri-
spondendo in larga misura alle idee
contemporanee, Weber la porta in un
certo senso alle sue estreme conse-
guenze, mettendola in evidenza e ce-

41
sellandola con le formulazioni più in-
cisive e la massima verve immagina-
bile. Egli afferma «l’incompatibilità e
quindi l’insopportabilità della lotta tra
i possibili punti di vista ultimi sulla vi-
ta, e dunque la necessità di decidere
tra essi» (Weber 1917-1919, 104 s.).
Tale constatazione è quindi ulte-
riormente radicalizzata dal fatto che,
per Weber, la pluralità dei valori porta
inevitabilmente ad un conflitto di va-
lori all’ultimo e più elevato livello (We-
ber 1917-1919, 99 s.). Questa convin-
zione dell’esistenza di un’inconciliabile
«lotta tra gli dèi dei singoli ordinamen-
ti e valori» (Weber 1917-1919, 100) e
del conflitto – non più domato o guida-
to da alcuna razionalità intellettuale –
tra le diverse visioni dell’ultimo o mas-
simo bene è resa da Weber con imma-
gini particolarmente penetranti: «A se-
conda della decisione ultima, per l’in-
dividuo l’una cosa è il diavolo e l’altra
il dio, e l’individuo deve decidere chi
sia per lui il dio e chi il diavolo. E que-
sto capita per tutti gli ordinamenti del-
la vita. […] I molti dèi antichi, disin-
cantati e quindi nella forma di poteri
impersonali, sorgono dalle loro tombe,

42
lottano per la supremazia sulla nostra
vita e ricominciano la loro eterna reci-
proca lotta» (Weber 1917-1919, 101).
La scienza può solo constatare
questa pluralità e inconciliabilità dei
valori (ultimi), ma non può corregger-
li o fungere da istanza etica per la de-
cisione finale tra loro: non produce si-
gnificato, non sostituisce le certezze
religiose perdute o la scomparsa del di-
ritto naturale. «Una scienza empirica»,
dichiara Weber nel saggio sull’oggetti-
vità, «non può insegnare a nessuno ciò
che deve, ma solo ciò che può e – in
determinate circostanze – ciò che vuo-
le fare» (Weber 1904a, 151). La scien-
za, insomma, non può rispondere al-
la domanda di come dovremmo vive-
re e cosa dovremmo fare, a quali ulti-
mi e più alti valori dovremmo orientare
la nostra vita. Weber si riferisce qui a
Lev Tolstoj e al suo motto che la scien-
za è inutile perché non risponde alle
domande più importanti circa il “cosa
dobbiamo fare” e il “come dobbiamo vi-
vere”. Egli continua e scrive: «Il fatto
che essa [la scienza] non dia questa ri-
sposta è indiscutibile. La questione è
solo in che senso non dia “nessuna” ri-

43
sposta e se invece non potrebbe esse-
re in grado di fare qualcosa per coloro
che pongano la domanda correttamen-
te» (Weber 1917-1919, 93).
Le «discussioni sui valori» di We-
ber (v. § 4.2) vanno intese come un
tentativo di porre correttamente la do-
manda e a tal riguardo non è possibi-
le «dedurre il significato degli accadi-
menti del mondo dal risultato della ri-
cerca scientifica, per quanto perfezio-
nato esso possa essere» (Weber 1904a,
154; v. anche Schelting 1934, 4 s.).
Conseguentemente, Karl Löwith ha
osservato che ciò si risolverebbe nel-
la «fede della scienza nelle norme og-
gettive e nella possibilità di una loro
fondazione scientifica, fede che Weber
ha combattuto fin dalle fondamenta
con i mezzi della scienza e a vantaggio
della “imparzialità” scientifica» (Löwith
1932, 13).
Naturalmente – questo aspetto
dev’essere assolutamente posto in evi-
denza e non potrebbe mai essere sot-
tolineato abbastanza – tutto ciò vale
solo per le valutazioni ultime, nel sen-
so di decisioni assolutamente fonda-
mentali (Weber 1904a, 149, 193; We-

44
ber 1917, 508, 530; Weber 1917-1919,
93, 96, 101 etc.). Gli assiomi “ultimi”
sono significativamente riferiti agli or-
dinamenti della vita che Weber men-
ziona ripetutamente, come ad esempio
le sfere della politica, dell’economia o
della vita personale. Weber non si ac-
contenta affatto di giustapporre sem-
plicemente tutti gli “statements” pos-
sibili e immaginabili su tutte le possi-
bili questioni morali, politiche o sociali
nella loro specificità come ugualmente
validi e quindi come indifferenti, pro-
nunciando un rassegnato ignoramus.
È proprio perché non lo fa che la pre-
sentazione delle possibilità e dei limiti
delle discussioni sui valori riveste per
lui una così grande importanza (Hen-
nis 1992, 104).

4.2. La possibilità di «discussioni sul


valore» razionali

‘Discussioni sul valore’ (Wertdis-


kussionen), nel senso di ‘discussio-
ni valutative’ (Wertungsdiskussionen),
sono termini che Weber stesso intro-
duce (Weber 1917, 503, 503, 511 ss.;
Keuth 1991, 126 ss.). Questo può stu-

45
pire soltanto coloro che erroneamente
identificano il postulato sull’avalutati-
vità con l’assoluta astensione dalle va-
lutazioni. La scienza, infatti, per We-
ber può fare di più che produrre esclu-
sivamente conoscenze tecniche. Può –
seppur entro chiari limiti – condurre
e guidare le discussioni sui valori e,
soprattutto, esercitare una critica ra-
zionale sui giudizi di valore. Esistono
quindi un modo e una forma scientifi-
ca di trattare i giudizi di valore. Weber
riconosce assolutamente un «senso
delle discussioni sulle valutazioni pra-
tiche» (Weber 1917, 510) e, dopo aver
esaminato analiticamente una serie di
loro possibili varianti, riassume: «ben
lungi dall’essere “insensate”, discus-
sioni di questo tipo in ordine alle valu-
tazioni […] hanno il loro assai rilevan-
te significato» (Weber 1917, 511). Di
cosa stiamo parlando? Come e sotto
quale aspetto possono essere condot-
te discussioni valutative rispettando il
requisito dell’obiettività scientifica? A
tal proposito vengono in considerazio-
ne due fondamentali alternative.

46
4.2.1. Relazioni mezzi-fini

Un versante piuttosto «tecnico-


empirico» riguarda il rapporto tra mez-
zi e fini (Loos 1991, 67; similmente v.
Schelting 1934, 19 ss.; Prewo 1979,
72). Questa è la forma più sempli-
ce di discussione razionale dei giudi-
zi di valore. Nel senso dell’affermazio-
ne chiave di Weber dal saggio sull’og-
gettività sopra citato (cfr. in questo
volume § 4.1 ss.), si tratta qui di ciò
che si «può» fare, cioè, prima di tut-
to, di stabilire quali mezzi siano adat-
ti in linea di principio per raggiunge-
re un dato scopo. Weber scrive: «Prima
di tutto, la questione dell’idoneità dei
mezzi per un determinato scopo è ora
assolutamente aperta a considerazio-
ni scientifiche. Poiché noi (entro i ri-
spettivi limiti delle nostre conoscenze)
siamo in grado di determinare valida-
mente quali mezzi siano adatti o ina-
datti ad un determinato scopo, pos-
siamo in questo modo valutare le pos-
sibilità di raggiungere un determinato
scopo con determinati mezzi disponi-
bili, e quindi criticare indirettamente
lo scopo stesso, sulla base della rispet-

47
tiva situazione storica, come pratica-
mente sensato o, viceversa, come in-
sensato in ragione delle condizioni da-
te» (Weber 1904a, 149; cfr. anche We-
ber 1917, 508). Mentre prefiggersi uno
scopo, in quanto tale, è e rimane con-
tingente, l’indagine sui mezzi adatti al
suo raggiungimento non lo è. Natural-
mente, l’indagine può anche portare
alla conclusione che non ci siano mez-
zi disponibili per determinati scopi (o
che la loro idoneità sia molto limitata).
Tuttavia, se esistono, le affermazioni
sulla loro idoneità sono oggettive, per-
ché – prescindendo dalle possibili in-
certezze della prognosi – rappresenta-
no la mera inversione delle proposizio-
ni causali: se da x (e solo da x) segue
necessariamente y, allora devo fare x
per ottenere y (Weber 1917, 517, ma
cfr. anche ivi, 526, 529, 537 s.).
Per offrire esempi concreti e abba-
stanza semplici di politica, economia e
stile di vita: se la Germania riceve un
seggio nel Consiglio di sicurezza delle
Nazioni Unite a condizione di una mag-
giore partecipazione alle operazioni di
guerra internazionale, allora le trup-
pe tedesche, se proprio si vuole questo

48
seggio, devono partecipare in numero
maggiore a tali operazioni; se un tasso
di interesse più basso porta ad una ri-
presa economica con un prodotto na-
zionale più alto e un tasso di disoccu-
pazione più basso, allora, per realiz-
zare una tale ripresa, si deve applica-
re un tasso di interesse più basso; se,
da cattolico strettamente credente, si
vuole condurre una vita che piaccia a
Dio, allora si devono rispettare le rego-
le del catechismo cattolico. Qui sussi-
stono – daccapo: ignorando tutti i pro-
blemi relativi alla certezza della pro-
gnosi – prevedibilità e corrispondente
certezza di giudizio. Ma la cosa decisi-
va è e rimane che la correttezza tecnica
dei mezzi non dice nulla circa il valore
e il disvalore delle finalità (ultime) per
la realizzazione delle quali tali mezzi
vengono utilizzati, né tale correttezza
può eliminare l’«intreccio […] di possi-
bili valutazioni», perché «anche razio-
nalizzazioni economiche senza dubbio
“tecnicamente corrette” non sono in
alcun modo legittimate esclusivamen-
te da questa loro qualità davanti al fo-
ro della valutazione» (entrambe le cita-
zioni da Weber 1917, 530). Weber rias-

49
sume: «Ovunque e senza eccezioni nel-
le nostre discipline il legittimo concet-
to di progresso si aggrappa alla “tecni-
ca”, cioè qui, come si diceva, ai “mez-
zi” per uno scopo definito in modo uni-
voco. Non si eleva mai nella sfera delle
valutazioni ultime» (Weber 1927, 530;
adesivamente Albert 1968, 79). E cer-
tamente non si può dare una risposta
generalmente vincolante alla doman-
da se il fine giustifichi o meno ciascun
mezzo o uno specifico mezzo (Weber
1917, 508; 1919, 238, 240, ecc.).
Già nelle relazioni puramente tec-
nico-strumentali, tuttavia, Weber ri-
chiama l’attenzione su un profilo es-
senziale, vale a dire gli effetti collate-
rali (Nebenfolgen), siano essi chiara-
mente o probabilmente non conside-
rati e non voluti: «Se si configura la
possibilità di raggiungere uno scopo
prefissato, e naturalmente sempre en-
tro i limiti delle nostre rispettive cono-
scenze, possiamo inoltre determinare
le conseguenze che l’applicazione dei
mezzi necessari avrebbe in aggiunta
al possibile raggiungimento dello sco-
po previsto, come risultato del collega-
mento integrale di tutti gli eventi» (We-

50
ber 1904a, 149 s.; in séguito Weber
1917, 510 e passim). Si tratta quin-
di di una «reciproca ponderazione tra
scopo e conseguenze dell’azione» (We-
ber 1904a, 150).
Per tornare agli esempi preceden-
ti: la maggiore partecipazione dell’e-
sercito alle missioni belliche richiede
con probabilità statistica un più alto
tributo di sangue dei soldati tedeschi e
forse attirerà in Germania un più forte
terrorismo internazionale; la riduzio-
ne dei tassi di interesse porta presu-
mibilmente ad un tasso di risparmio
più basso e potrà indurre gli investito-
ri a ricorrere ad operazioni più specu-
lative, con tutte le conseguenze nega-
tive di natura individuale e macroeco-
nomica del caso; la fedele osservanza
del catechismo cattolico si oppone allo
scioglimento di un matrimonio andato
in pezzi, anche se i coniugi preferireb-
bero trascorrere la loro vita con un al-
tro partner (magari dello stesso sesso).
Se però si considerano queste con-
seguenze ed effetti collaterali, allora –
e questo va al di là della pura relazio-
ne mezzi-fini – diventa possibile una
ponderazione, che a sua volta in casi

51
estremi può portare ad una rinuncia
alla misura complessiva: si rinuncia
così al seggio del Consiglio di sicurez-
za, all’abbassamento dei tassi di inte-
resse o all’osservanza dei canoni 2351
e seguenti del catechismo della Chie-
sa cattolica. Va notato, naturalmen-
te, che anche in questo caso si trat-
ta di decisioni di valore (Wertentschei-
dungen) che sfuggono alla discussio-
ne scientifica, così come l’attribuzio-
ne di un peso ad alcuni effetti collate-
rali indesiderati o la soluzione di con-
flitti tra valori: ciò significa, come dice
Weber, «una scelta o un compromes-
so. Non c’è nessuna procedura scienti-
fica (razionale o empirica) di alcun tipo
che possa qui produrre una decisione»
(Weber 1917, 508).

4.2.2. L’elaborazione degli assiomi di va-


lore

La seconda variante da considera-


re della discussione razionale sui va-
lori, dal canto suo, non riguarda tan-
to le conseguenze di una determina-
ta ma contingente misura orientata a
uno scopo, quanto piuttosto l’inter-

52
na consequenzialità (Konsequenz) e
consistenza (Konsistenz) delle proprie
azioni, anche rispetto al risultato fi-
nale della condotta di vita nel suo in-
sieme (v. Schelting 1934, 21 ss.; Lo-
os 1970, 57 ss.; Prewo 1979, 73 ss.).
Mentre la funzione di razionalizzazio-
ne è in primo piano nella relazione
mezzi-fini (quali sono i mezzi migliori
per il fine desiderato?), nell’elaborazio-
ne degli assiomi di valore a prevalere è
la funzione di critica e di auto-analisi.
Si tratta dell’esame critico dei giudizi
di valore propri e altrui quanto alla ri-
spettiva coerenza interna e nello stes-
so tempo della progressiva valutazio-
ne delle disparate questioni relative a
questa o a quella domanda circa le mi-
sure da adottare o gli ideali decisivi per
le proprie determinazioni. Qui si trat-
ta, nel senso della già richiamata ci-
tazione dal saggio sull’oggettività (cfr.
daccapo, in questo scritto, §§ 4.1 ss.),
della questione di cosa effettivamente
si «voglia» o di cosa si dovrebbe volere
per essere conseguenti. Weber carat-
terizza tale «elaborazione degli ultimi
assiomi di valore internamente “con-
seguenti”» come «una operazione che

53
procede dalla valutazione individuale
e dalla sua analisi di senso e sale sem-
pre più in alto verso prese di posizio-
ni valutative sempre più di principio»
(Weber 1917, 510). Si presuppongono
quindi affermazioni diverse su fatti di-
versi («valutazioni individuali») colloca-
ti a livelli d’astrazione completamente
differenti, che vengono messe alla pro-
va rispetto alla loro coerenza interna:
un «esame degli ideali rispetto al po-
stulato dell’interna non contradditto-
rietà del voluto» (Weber 1904a, 151;
circa le difficoltà della corrispondente
[ri]costruzione v. Keuth 1991, 127 s.).
Questo controllo di coerenza in-
clude poi anche un confronto fattua-
le o ipotetico dei risultati che derive-
rebbero dall’applicazione del criterio
di giudizio più elevato così ottenuto ad
altri problemi di fatto. Si tratta della
«Deduzione delle “conseguenze” con-
nesse alla presa di posizione valutan-
te che deriverebbe da certi assiomi ul-
timi di valore se su di essi, e su di es-
si soltanto, si basasse la valutazione
pratica delle situazioni fattuali» (We-
ber 1917, 510). Weber ha ovviamen-
te in mente qualcosa come un test vir-

54
tuale di coerenza complessiva, una
«casistica il più esauriente possibile di
quegli elementi empirici che in qual-
siasi modo possano venire in conside-
razione per una valutazione pratica»
(Weber 1917, 510). Questo esame ver-
so l’alto e verso il basso ha una dop-
pia funzione: verso l’alto serve a sco-
prire quegli standard di valore che co-
stituiscono la base della maggioran-
za o anche solo di una pluralità di de-
terminate prese di posizione su varie
costellazioni problematiche (Augsberg
2009, 160); e verso il basso per esami-
nare il mantenimento di questo stan-
dard in altre e ulteriori costellazioni di
casi. Entrambi i passaggi concettuali,
se si riferiscono ai propri giudizi, ser-
vono all’autoriflessione. Possono «aiu-
tare chi è disposto a riflettere su que-
gli assiomi ultimi che sono alla base
del contenuto della sua volontà e sul-
le misure ultime di valore da cui egli
procede inconsciamente o – per esse-
re coerente – dovrebbe procedere» (We-
ber 1904a, 151). Con riferimento agli
altri, l’oppositore polemico per così di-
re, i suddetti passaggi consentono la
critica scientifica, a condizione che si

55
possano dimostrare aperte contraddi-
zioni o almeno incoerenze. Queste due
parole chiave centrali – autocoscienza
(Selbstbesinnung) e critica scientifica –
portano ancora una volta alla questio-
ne del significato residuo della scienza
nella modernità.

4.3. Il “significato” della scienza

Per chiarezza, la questione del si-


gnificato della scienza dovrebbe esse-
re distinta tra considerazione sociale e
considerazione individuale: nel primo
caso a essere centrale è la possibilità
di critica scientifica dei giudizi di valo-
re (§ 4.3.1), nel secondo l’auto-analisi
circa i propri standard di valore ultimi
(§ 4.3.2).

4.3.1. La prospettiva sociale

Dal punto di vista della società


nel suo complesso, si tratta di mettere
l’intera conoscenza tecnica supporta-
ta scientificamente al servizio delle re-
lazioni mezzi-scopo e della valutazione
circa l’idoneità dei primi al raggiungi-
mento del secondo. La scienza può so-

56
prattutto aumentare l’interna raziona-
lità tecnica delle decisioni o delle azio-
ni, cioè può svolgere una funzione di
razionalizzazione e orientamento, an-
che e proprio (sebbene assolutamen-
te non solo) per il tramite della valu-
tazione delle conseguenze. Con l’aiu-
to delle conoscenze scientifiche sul-
le relazioni di causa-effetto è possibi-
le individuare misure adeguate per il
raggiungimento di determinati obiet-
tivi e scartare quelle inadeguate. Ciò
evidenzia la loro funzione critica, giac-
ché infatti, accanto alla predisposizio-
ne degli strumenti adeguati, si rinvie-
ne sempre anche la critica, non meno
scientificamente fondata, all’inidonei-
tà di quelli inadeguati.
Per entrambi ci sarebbe sovrab-
bondanza di esempi che, ad esempio,
si possono trarre dal campo dell’eco-
nomia con i suoi problemi cronici di
politica finanziaria (quadrato magico),
ma anche dalla scienza giuridica nella
forma della sociologia del diritto (e più
specificamente delle indagini sull’ef-
fettività) con gli effetti attesi e control-
labili delle norme giuridiche nel cam-
po del diritto ambientale, così come

57
pure di quello penale o in altri campi
del diritto (cfr. anche solo Hof/Lübbe-
Wolff 1999). La questione di cosa sia
o potrebbe essere una legislazione solo
simbolica (o viceversa una legislazio-
ne efficace), ad esempio, potrebbe es-
sere valutata in modo sufficientemen-
te puntuale solo tramite l’aiuto di co-
noscenze e procedure scientifiche.
In tutti i settori della politica, da
quella scolastica a quella interna fino
a quella sanitaria, si prendono costan-
temente decisioni orientate allo scopo:
a tal fine sono utilizzati alcuni mezzi
(precetti e divieti, prestazioni, misure
strutturali), i cui effetti sono vantag-
giosi per alcuni e svantaggiosi per altri;
praticamente con ogni provvedimento
un valore è valutato più elevato di un
altro (l’integrazione più delle prestazio-
ni, la sicurezza più della libertà, la pre-
videnza più della concorrenza – o vice-
versa). Ogni ordine del giorno di una
qualunque sessione del Bundestag o
del Bundesrat offre un’ampia pano-
ramica su quali scopi siano persegui-
ti (senza contraddizioni?), e su qua-
li mezzi (adeguati o inadeguati?) siano
utilizzati per raggiungerli con (consa-

58
pevole o inconsapevole?) accettazione
di quali effetti collaterali.
Nessuno è stato più chiaro di We-
ber nell’indicare come la politica sia
il caso paradigmatico di compromes-
so, dove la coerenza e la congruenza
vengono necessariamente messe in se-
condo piano. Ma anche in questo caso
resta che la discussione scientifica dei
valori può rendere trasparente a di-
scapito o a favore di chi vengono con-
clusi i compromessi nei singoli casi.
Per essere ancora più sintetici, la di-
scussione scientifica può chiarire chi
siano i vincitori e chi i vinti, i quali ul-
timi spesso esistono anche quando un
provvedimento o una strategia parreb-
bero avere solo vincitori (vedi Kirch-
gässner 2006b, 152 ss.). E questo, a
sua volta, può riuscire solo se venga
rispettata la distinzione che Weber co-
stantemente rimarca tra la propria va-
lutazione politica e i risultati scientifi-
camente verificabili.
D’altra parte, però, ad un livello in
una certa misura più elevato e astrat-
to, ragionando per così dire in termi-
ni di “prestazione di servizio” scientifi-
ca, sarebbe possibile individuare que-

59
gli standard finali di valore che troppo
facilmente si perdono nel quotidiano
«labirinto di valutazioni» (Weber 1917).
Ciò che è chiaro è che la scienza ha
da offrire soltanto «un metodo, non un
significato» (Peukert 1989, 16) e non
è in grado di fornire gli standard ul-
timi. Tuttavia, essa può incrementare
la consapevolezza sugli standard ulti-
mi che si manifestano in un giudizio
di valore concreto, in questo modo non
rispondendo alla domanda sul signifi-
cato ma mettendola in luce più chiara-
mente. La scienza riesce così a garan-
tire la coerenza al relativo livello, rive-
lando altresì le eventuali incongruen-
ze. Per la maggior parte degli orien-
tamenti ultimi realisticamente ipotiz-
zabili, coi loro problemi di coerenza,
ciò significa che la scienza può porta-
re chiarezza nel labirinto delle valuta-
zioni nella misura in cui può insistere
sulla coerenza e la congruenza dei giu-
dizi di valore o almeno smascherarne
le incongruenze.
Il risultato più importante in que-
sto caso non è tanto quello di perse-
guire l’ideale senz’altro illusorio d’u-
na visione globale coerente del mondo
o di un sistema politico o economico

60
non contraddittorio, quanto piuttosto
di utilizzare i mezzi della scienza per
rivelare i conflitti di valore e presenta-
re le relative alternative. Lo stesso We-
ber lo ha dimostrato in modo estrema-
mente chiaro, soprattutto per quanto
riguarda la questione della produttivi-
tà dell’assetto dell’agricoltura dell’Eu-
ropa orientale, mostrando così soprat-
tutto che non esiste un valore massi-
mo di produttività, in ipotesi indiscus-
so, per la gestione delle relazioni agri-
cole, ma che l’interesse per la produ-
zione potrebbe collidere con gli inte-
ressi socio-politici. Si deve dunque de-
cidere: si vuol produrre più grano pos-
sibile (allora le grandi imprese sono il
mezzo della scelta) o si vuole assicura-
re l’esistenza del maggior numero pos-
sibile di agricoltori tedeschi (e allora
piccole e medie imprese)?
Chi nasconde questo conflitto di
valori «inganna se stesso e gli altri se
lo sottace» (sull’intera questione We-
ber 1904b, 323-393, spec. 333, dove
si trova la citazione). Wilhelm Hennis
vede giustamente in questo «la rappre-
sentazione di un problema di valuta-
zione che non può essere deciso dalla

61
scienza, ma da essa può essere chiari-
to» (Hennis 1992, 103 s.). Per dirla più
in generale: se il politeismo dei valori
e la lotta tra gli antichi dèi è inevitabi-
le, e se questa lotta deve quindi essere
combattuta, allora per Weber la scien-
za è «l’unico luogo di ragione discorsi-
va dove le visioni del mondo rivali e le
etiche incompatibili nei loro valori ul-
timi si incontrano e – nel rispetto del-
le regole logico-metodiche del gioco –
possono diventare ragionevolmente
chiare su comunanze e incompatibili-
tà» (Peukert 1989, 15). Essa definisce,
per così dire, l’«agone» (Peukert 1989,
15) nel quale valgono alcune regole
per la lotta spirituale. Nel migliore dei
casi, alla fine di questo agone virtuale
non c’è verità, bensì chiarezza.

4.3.2. La prospettiva individuale

‘Chiarezza’ è la parola chiave de-


cisiva per la questione individuale del
significato della scienza. La chiarezza
è il trait d’union tra la “utilità” collet-
tiva e quella individuale della scienza
libera e imparziale (cioè non asservi-
ta). Infatti, se il senso oggettivo dell’a-

62
zione dello scienziato non può esse-
re dimostrato, in fondo rimane solo
l’“autocoscienza” (Selbstbesinnung).
Si tratta di un concetto che non a ca-
so ricorre spesso in posizioni centra-
li della produzione weberiana (We-
ber 1904a, 150, 151, 216, 217; Weber
1917-1919, 105) e che rende possibi-
le ciò che in definitiva Weber nella sua
conferenza su «La scienza come pro-
fessione» offre ai suoi ascoltatori come
risposta alla domanda sul lavoro dello
scienziato. Non si tratta dell’aumento
delle conoscenze tecniche, né dei me-
todi scientifici con la corrispondente
formazione; infatti, «per fortuna le pre-
stazioni della scienza non sono anco-
ra finite, perché siamo in grado di aiu-
tarvi in un terzo modo: con la chiarez-
za» (Weber 1917-1919, 103). E l’ultima
istanza della chiarezza è l’elaborazio-
ne degli assiomi di valore, che possono
condurre ogni individuo alla sua «posi-
zione ultima ideologica di base» (Weber
1917-1919, 104). L’obiettivo è «render-
si conto del significato ultimo delle pro-
prie azioni» (Weber 1917-1919, 104).
Qui è necessario affrontare senza pau-
ra il pluralismo dei valori (la formu-
la chiave è: «politeismo dei valori») e

63
prendere una decisione per se stessi.
La scienza non può e non deve solle-
vare l’individuo da questa scelta (We-
ber 1917, 508). In tal modo la discus-
sione razionale dei valori, nella forma
della elaborazione degli assiomi di va-
lore, acquista per così dire forza mora-
le e Weber, in diretta connessione con
il passo appena citato, non a caso sa-
rebbe qui al servizio di poteri «mora-
li», e segnatamente del dovere «di crea-
re chiarezza e senso di responsabilità»
(Weber 1917-1919, 104; v. anche We-
ber 1917, 493).
Per Weber è decisivo che ogni in-
dividuo sia messo nelle condizioni di
assumere la propria autonoma «deci-
sione finale» (Tenbruck 1995, 257) – e
non soltanto un’unica volta, perché si
deve cogliere «che ogni singola azio-
ne importante e la vita nel suo insie-
me, per lo meno se non scivola via co-
me un evento naturale ma è condotta
consapevolmente, constano di una ca-
tena di decisioni finali» (Weber 1917,
507 s.). Ciò comporta un onere enor-
me, un sovraccarico di oneri decisio-
nali per l’individuo, privandolo altresì
della rassicurante possibilità di riferir-
si ad altre potenze superiori o a verità

64
apparentemente oggettive da ricono-
scere e seguire. Ognuno alla fine è, per
così dire, completamente solo; non da
ultimo a questo proposito sussiste un
chiaro parallelo con Hans Kelsen, che
ha elaborato tale condizione nel modo
più chiaro possibile con riferimento al
rapporto tra l’individuo e l’ordinamen-
to giuridico statale (cfr. Dreier 1986,
228 ss.). Anche da ciò si può spiegare
l’avversione di Weber rispetto alle va-
lutazioni ex cathedra, perché in que-
sto modo una decisione di alto valo-
re personale si mescolerebbe alla sem-
plice formazione disciplinare e, per co-
sì dire, perderebbe la sua speciale di-
gnità (cfr. Weber 1917, 491). Friedrich
Tenbruck coglie bene la quintessen-
za di questo discorso, quando affer-
ma che Weber si occupa proprio del-
la questione di «ciò che la scienza, non
potendo più dare risposte a domande
sul significato, almeno fa ancora per la
nostra stessa autocoscienza» (Tenbruck
1995, 254).

65
4.4. Il riferimento alla «politica come
professione»

Weber tenne la sua conferenza


su «La scienza come professione» nel
1917, seguita due anni dopo dall’al-
trettanto famoso discorso sulla «Poli-
tica come professione», che con la pri-
ma presenta un chiaro collegamento
tematico (Schluchter 1971). Un pas-
saggio del saggio sull’oggettività del
1904, in cui Weber si occupa ancora
una volta del rapporto tra mezzi e fi-
ni, riveste una funzione chiave. Do-
po tutto, non è solo in linea di princi-
pio che possiamo determinare l’idonei-
tà di alcuni mezzi per raggiungere un
certo scopo. Possiamo anche, si tor-
na a dire, determinare le conseguenze
dell’applicazione di questi mezzi, com-
presi gli effetti collaterali indesiderati
(naturalmente sempre da considerare
entro i limiti delle nostre rispettive co-
noscenze e possibilità), in particolare
a causa del «collegamento universale
di tutti gli eventi» (Weber 1904, 150).
Dopodiché sopraggiungono le seguen-
ti frasi, che sono del più alto interes-
se: «Offriamo poi al soggetto agente la
possibilità di ponderare le conseguen-

66
ze indesiderate della sua azione con
quelle desiderate, e così anche la ri-
sposta alla domanda su quanto “costi”
il raggiungimento dello scopo deside-
rato in termini di supposta violazione
di altri valori. Poiché, nella stragrande
maggioranza dei casi, ogni scopo desi-
derato “costa” o può costare qualcosa
in questo senso, la reciproca pondera-
zione dello scopo e delle conseguen-
ze di un’azione non può essere ignora-
ta da chi agisce in modo responsabile,
e render possibile tale ponderazione è
una delle funzioni più essenziali della
critica tecnica di cui abbiamo tratta-
to finora. Passare da quella pondera-
zione ad una decisione, tuttavia, è un
possibile compito non più della scien-
za, bensì della volontà della persona: è
questa che soppesa e sceglie secondo
la propria coscienza e la sua persona-
le visione del mondo tra i valori in gio-
co. La scienza può aiutarla a prende-
re coscienza che ogni azione, e natu-
ralmente anche, a seconda delle circo-
stanze, ogni in-azione, quanto alle sue
conseguenze, significa schierarsi a fa-
vore di certi valori, e quindi – come og-
gi così spesso erroneamente si nega –

67
regolarmente contro altri. La scelta sta
a lei» (Weber 1904, 150).
È stato René König ad osservare
acutamente che queste frasi del saggio
del 1904 sull’oggettività possono esse-
re trovate anche in «La politica come
professione» (König 1964, 181) e infatti
esse rinviano implicitamente al punto
centrale dove Weber introduce la dif-
ferenza, ancora oggi comune, tra etica
della convinzione (o dei principi, Gesin-
nungsethik) ed etica della responsabi-
lità (Verantwortungsethik). La persona
volente (der wollende Mensch), di cui
Weber parla nel 1904, non deve esse-
re considerata esclusivamente il priva-
to, ma può essere anche e soprattutto
il cittadino che vive e agisce nelle rela-
zioni sociali e politiche, fino a giunge-
re a colui che agisce nel suo ruolo di
politico professionista. E quando agi-
sce secondo la massima «che si debba
pagare per le prevedibili conseguen-
ze delle proprie azioni», allora secon-
do la decisiva distinzione di Weber tra
etica della responsabilità ed etica del-
la convinzione (Weber 1919, 237 ss.,
240, 248 ss.) egli agisce seguendo la
prima. È importante ricordare che per

68
Weber l’etica della convinzione non si-
gnifica affatto irresponsabilità ed etica
della responsabilità non significa as-
senza di convinzioni o di principi (We-
ber 1919, 237, 249). Weber, infatti, af-
ferma anche che nella vita reale en-
trambi gli atteggiamenti spesso si me-
scolano e che colui che agisce secon-
do l’etica della responsabilità può an-
che raggiungere un punto in cui al sa-
crificio di valori centrali si pongono li-
miti, a favore di un compromesso o di
un certo obiettivo. Ma la differenza si-
stematica decisiva è proprio se si con-
siderino o meno le conseguenze delle
proprie azioni o degli obiettivi politi-
ci. Si può quindi affermare con qual-
che buona ragione che l’atteggiamen-
to dell’etica della responsabilità «nel-
la sfera pratica rappresenti il pendant
della razionalità nella dimensione teo-
rica» (König 1964, 181; v. anche Schel-
ting 1934, 9).

69
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76
piccole conferenze
Collana diretta da Aljs Vignudelli

1. Giuseppe Ugo Rescigno, Diritto costituzionale. Approccio metodologico,


settembre 2011.
2. Giovanni Bognetti, Diritto costituzionale comparato. Approccio metodo-
logico, novembre 2011.
3. Riccardo Guastini, Teoria del diritto. Approccio metodologico, genna-
io 2012.
4. Mauro Barberis, Stato costituzionale. Sul nuovo costituzionalismo, mar-
zo 2012.
5. Lorenza Carlassare, Federico Sorrentino, Giuseppe Ugo Rescigno, La
dottrina di Sergio Fois, giugno 2012.
6. Pierre Brunet, Sulla rappresentanza, settembre 2012.
7. Horst Dreier, Lo Stato costituzionale delle libertà come ordinamento
azzardato, febbraio 2013.
8. Mauro Barberis e Aljs Vignudelli, “Nuovi” dialoghi sull’interpretazio-
ne, aprile 2013.
9. Hasso Hofmann, Il diritto del diritto, il diritto del potere e l’unità della
Costituzione, giugno 2013.
10. Pierluigi Chiassoni, Positivismo giuridico. Una investigazione analiti-
ca, giugno 2013.
11. Timothy Endicott, La generalità del diritto, ottobre 2013.

12. Agostino Carrino, La dottrina dello Stato e la sua crisi. Problemi e pro-
spettive, febbraio 2014.
13. Giorgio Pino, Interpretazione e “crisi” delle fonti, marzo 2014.

14. Massimo Donini, Il diritto penale come etica pubblica. Considerazioni sul
politico quale “tipo d’autore”, settembre 2014.
15. Emanuele Severino, Sul divenire. Dialogo con Biagio de Giovanni, ot-
tobre 2014.
16. Federico Sorrentino, Dell’eguaglianza, novembre 2014.

17. Gino Scaccia, Il Presidente della Repubblica fra evoluzione e trasforma-


zione, gennaio 2015.
18. Markus Heintzen, Il principio di proporzionalità. Un cosmopolita tede-
sco del diritto costituzionale, marzo 2015.
19. Vito Velluzzi, Interpretazione e tributi. Argomenti, analogia, abuso del
diritto, ottobre 2015.
20. Mario Jori, Pragmatica giuridica, febbraio 2016.

21. Aldo Schiavello, Ripensare l’età dei diritti, maggio 2016.


22. Vittorio Villa, Disaccordi interpretativi profondi, novembre 2016.

23. Fabio Merusi, L’“imbroglio” delle riforme amministrative, dicembre


2016.
24. Luigi Ferrajoli, Costituzionalismo oltre lo Stato, aprile 2017.

Alpa, Dal diritto pubblico al diritto privato. Parte prima - La


25. Guido
“grande dicotomia” e la revisione della concezione tradizionale, apri-
le 2017.
26. Guido Alpa, Dal diritto pubblico al diritto privato. Parte seconda - Il su-
peramento della dicotomia nel diritto post-moderno, maggio 2017.
27. Bruno Celano, Due problemi aperti della teoria dell’interpretazione giu-
ridica, novembre 2017.
28. Claudio Luzzati, La teoria del diritto attraverso lo specchio, dicembre
2017.
29. Sergio Bartole, La Repubblica italiana e la sua forma di governo, feb-
braio 2018.
30. Pierfrancesco Grossi, La toga e la tiara. Su alcuni problemi, antichi
e recenti, in tema di amministrazione della giustizia nell’ambito del-
la santa sede e nell’ordinamento dello Stato della Città del vaticano,
aprile 2018.
31. Luigi Ferrajoli, Contro il creazionismo giudiziario. In difesa del positi-
vismo giuridico, maggio 2018.
32. FrancescaPoggi, La medicina difensiva. Nozioni, problemi e possibili
rimedi, giugno 2018.
33. Pietro Costa, I diritti di tutti e i diritti di alcuni. Le ambivalnze del co-
stituzionalismo, novembre 2018.
34. Francesco Rimoli, Sulla retorica dei diritti, novembre 2018.

35. Riccardo Guastini, Prima lezione sull’interpretazione, marzo 2019.

36. Massimo Donini, Populismo e ragione pubblica. Il post-illuminismo pe-


nale tra lex e ius, aprile 2019.
Pino, Interpretazione costituzionale e teorie della costituzione,
37. Giorgio
giugno 2019.
38. Augusto Cerri, I paradossi nel diritto, ottobre 2019.

39. EmanueleRossi, Costituzione, pluralismo solidaristico e Terzo settore,


dicembre 2019.
40. Salvatore Patti, Tempo, prescrizione e Verwirkung, gennaio 2020.

41. Horst Dreier, Wertfreiheit. Il postulato di Max Weber sul-


l’avalutatività della scienza, aprile 2020.
Finito di stampare
nel mese di aprile del 2020
Il postulato di Max Weber sull’avalutatività (Wertfreiheit) della scienza è costan- Il postulato di Max Weber sull’avalutatività
temente oggetto di discussione scientifica. Ancora oggi, tuttavia, circolano su di (Wertfreiheit) della scienza è costantemente
esso numerosi malintesi e fraintendimenti, che Weber ha cercato di chiarire già oggetto di discussione scientifica. Ancora oggi,

Collana diretta da Aljs Vignudelli


nel suo saggio del 1917 sul «significato dell’avalutatività». In primo luogo, Weber
tuttavia, circolano su di esso numerosi malintesi e
non nega che la scelta dell’oggetto di indagine da parte dello scienziato si basi su
preferenze molto soggettive. In secondo luogo, non ha mai sostenuto che l’oggetto fraintendimenti, che Weber ha cercato di chiarire
di indagine delle scienze sociali (ad esempio il sistema economico o quello giuri- già nel suo saggio del 1917 sul «significato
dico) sia privo di valore. In terzo e ultimo luogo, il postulato dell’avalutatività non dell’avalutatività». In primo luogo, Weber non nega
implica il nichilismo dei valori. che la scelta dell'oggetto di indagine da parte dello
Avendo come sfondo il dualismo tra essere e dover-essere, Weber si preoccupa scienziato si basi su preferenze molto soggettive. In
più che altro di effettuare una netta e chiara distinzione tra valutazioni politiche, secondo luogo, non ha mai sostenuto che l'oggetto di
morali, religiose e di altro tipo da un lato e proposizioni scientifiche dall’altro. L’a- indagine delle scienze sociali (ad esempio il sistema
valutatività (Wertfreiheit, letteralmente «libertà dal valore») è quindi soprattutto la
economico o quello giuridico) sia privo di valore. In

Mucchi Editore  Horst Dreier - WERTFREIHEIT. Il postulato di Max Weber sull’avalutatività della scienza
libertà dalle valutazioni (Wertungsfreiheit).
terzo e ultimo luogo, il postulato dell’avalutatività
Discussioni razionali sui valori non sono affatto escluse e anzi Weber le considera
non implica il nichilismo dei valori.
espressamente possibili, ad esempio sotto forma di analisi del rapporto mezzi/ Horst Dreier
fini o del controllo di coerenza/consistenza nell’elaborazione di assiomi di valore. Avendo come sfondo il dualismo tra essere e
WERTFREIHEIT
Solo le ultime e più alte valutazioni, quelle in cima alla piramide, sfuggono al dover-essere, Weber si preoccupa più che altro
chiarimento scientifico e non possono rivendicare per se stesse una validità og- di effettuare una netta e chiara distinzione tra
gettiva. Weber prende le mosse dal «politeismo dei valori», dalla inconfutabile valutazioni politiche, morali, religiose e di altro
possibilità cioè che le valutazioni ultime divergano in modo fondamentale e incon-
tipo da un lato e proposizioni scientifiche dall'altro.
ciliabile. In definitiva, il postulato di Weber porta alla domanda circa il significato
della scienza in generale, la cui risposta è “far chiarezza”. L’avalutatività (Wertfreiheit, letteralmente «libertà
dal valore») è quindi soprattutto la libertà dalle
Horst Dreier (Hannover 1954) si laurea in giurisprudenza nel 1981 e si addottora nel 1985
con una tesi sull’opera complessiva di Kelsen. Già borsista del Collegio delle Scienze a
valutazioni (Wertungsfreiheit).
Berlino, del Collegio Max Weber a Erfurt e della Fondazione Carl Friedrich von Siemens Discussioni razionali sui valori non sono affatto
a Monaco, nonché assistente di Hasso Hofmann, consegue nel 1989 l’abilitazione in Di-
ritto pubblico, Teoria del diritto e Scienze amministrative presso l’università di Würzburg escluse e anzi Weber le considera espressamente
con uno studio sulla connessione fra il principio democratico e l’organizzazione gerar- possibili, ad esempio sotto forma di analisi del
chica dell’amministrazione. Dopo tappe a Heidelberg e ad Amburgo, nel 1995 ottiene rapporto mezzi/fini o del controllo di coerenza/
la cattedra di Filosofia del diritto, Diritto pubblico e Diritto amministrativo della Julius- consistenza nell'elaborazione di assiomi di valore.
Maximilians-Universität Würzburg. Dal 2001 al 2007 è membro del Consiglio Etico Nazio-
nale, dal 2004 al 2006 Presidente dell’Associazione dei Giuspubblicisti Tedeschi. È socio Solo le ultime e più alte valutazioni, quelle in cima
ordinario dell’Accademia bavarese delle scienze dal 2003 e dell’Accademia Leopoldina
alla piramide, sfuggono al chiarimento scientifico e
degli Studiosi Naturali (sezione Scienze sociali) dal 2007.
È curatore e coautore di un innovativo Commentario in tre volumi al Grundgesetz, giunto non possono rivendicare per se stesse una validità
alla terza edizione, nonché autore di numerose pubblicazioni in materia di diritto pubbli- oggettiva. Weber prende le mosse dal «politeismo
co, di storia costituzionale e delle idee, di filosofia del diritto e dello Stato e di bioetica. Tra dei valori», dalla inconfutabile possibilità cioè
i suoi lavori tradotti in italiano si segnalano nel 2011 Lo Stato costituzionale moderno. Pre-
che le valutazioni ultime divergano in modo
supposti e limiti della Legge Fondamentale e nel 2013 Lo Stato costituzionale delle libertà
come ordinamento costituzionale. Grande risonanza ha ottenuto la sua ultima monografia fondamentale e inconciliabile. In definitiva, il
Staat ohne Gott. Religion in der säkularen Moderne, II ed., München, 2018. postulato di Weber porta alla domanda circa il
significato della scienza in generale, la cui risposta
è “far chiarezza”.
isbn 978-88-7000-840-1

PICCOLE
9 788870 008401 CONFERENZE

€ 8,00 i.c. Mucchi Editore


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Copertina Dreier PC 41 per digver.indd 1 06/04/2020 15:30:12

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