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LA locandiera

Struttura:
La commedia La Locandiera è stata scritta nel 1752 ed è considerata una delle più felici ed equilibrate
commedie di Goldoni, esemplare per la giustezza del ritmo, la precisione e l’acutezza con cui sono Ritratti
ambiente e personaggi.
Inoltre lo stesso Goldoni dichiara di ritenere La Locandiera la più morale, utile ed istruttiva tra le proprie
commedie scritte fino a quel momento. Le ragioni dell’utilità e delle moralità stanno per il Goldoni nella
denuncia dell’ipocrisia femminile e della sua pericolosità.
Con quest’opera egli ebbe dunque una duplice intenzione: quella di denunciare un aspetto del
comportamento femminile senza negarne il fascino, ma senza per questo approvarlo. La dimensione
descritta in quest’opera è quella tipica del 1700: si osserva una crisi profonda della vecchia nobiltà, che
continua a pensare che nulla sia cambiato e che il mondo debba prostrarsi ai suoi piedi in quanto erede e
tenutaria di dignità nobiliari. Questa posizione mal si concilia in un tempo in cui allo statico potere della
nobiltà sta subentrando il ben più concreto potere del denaro, nuovo valore prettamente borghese. A livello
strutturale si differenzia dalle rappresentazioni classiche formate da cinque atti, essendo composta di tre
atti. Gli atti sono divisi in scene; all’inizio di ogni atto e di ogni scena sono indicati il luogo e la situazione. La
scena è ambientata a Firenze.

Trama:
I. Primo atto
Mirandolina gestisce a Firenze la locanda dove viene costantemente corteggiata da ogni cliente, in modo
particolare dal Marchese di Forlipopoli, aristocratico decaduto che ha venduto il prestigioso titolo nobiliare,
e dal Conte di Albafiorita, un giovane mercante che, arricchitosi, è entrato a far parte della
nuova nobiltà comprando il titolo.
I due personaggi rappresentano gli estremi dell'alta società veneziana del tempo. Il Marchese, avvalendosi
esclusivamente del suo onore, è convinto che basti la sua protezione per conquistare il cuore della donna.
Al contrario, il Conte crede di poter procurarsi l'amore di Mirandolina così come ha acquisito il titolo (le fa
infatti molti e costosi regali). Questo ribadisce le differenze tra la nobiltà di spada e la nobiltà di toga, cioè
quella dei discendenti dei nobili medievali e quella di coloro che hanno comprato il titolo nobiliare.
L'astuta locandiera non si concede a nessuno dei due uomini, lasciando a entrambi intatta l'illusione di una
possibile conquista.
Il fragile equilibrio instauratosi nella locanda è sconvolto dall'arrivo del Cavaliere di Ripafratta, aristocratico
altezzoso e misogino incallito ispirato al patrizio fiorentino Giulio Rucellai, a cui la commedia è dedicata. Il
Cavaliere, ancorato alle sue nobili origini e lamentandosi del servizio scadente, detta ordini a Mirandolina.
Egli cerca inoltre di mettere in ridicolo il conte e il marchese accusandoli di essersi abbassati a corteggiare
una donna.
Per ripicca Mirandolina, non abituata a essere trattata come una serva e ferita nel suo orgoglio femminile,
si ripromette di far innamorare il Cavaliere.
II. Secondo atto
Per fare innamorare il Cavaliere, Mirandolina si mostra sempre più gentile e piena di riguardi nei suoi
confronti, finché quest'ultimo inizia a mostrare i primi segni di cedimento. Dichiara inoltre di disprezzare le
donne che mirano esclusivamente al matrimonio, destando immediatamente una certa ammirazione da
parte della sua vittima. Egli non riesce a difendersi come vorrebbe: Mirandolina usa a proprio favore la
misoginia del Cavaliere mostrando con falsa sincerità di disprezzare anch'ella le donne e di pensare
proprio come un uomo.
Inoltre, Mirandolina mostra ostentatamente di non voler fare complimenti falsi al Marchese.
In una famosa scena, lo squattrinato Marchese vuole pavoneggiarsi con la presunta bontà di un vino
di Cipro che in realtà ha un sapore disgustoso; mentre il Cavaliere non riesce a dire in faccia al suo
avversario la verità, Mirandolina non esita ad affermare davanti a tutti che il vino è davvero imbevibile;
dicendo la verità, porta in avanti la sua maliziosa strategia di seduzione.
Inizia così il crollo del Cavaliere: pur conoscendo le armi nemiche, decide troppo tardi di lasciare la locanda
per porsi in salvo. Mirandolina passa all'ultimo attacco e finge di svenire quando egli sta per andarsene. In
tal modo, il Cavaliere cede e decide di non partire più.

III. Terzo atto


Il cameriere Fabrizio, da sempre di servizio nella locanda, è molto geloso di Mirandolina, la quale riceve
addirittura in dono dal Cavaliere una boccetta d'oro che però getta con disprezzo in un cesto. Infatti, ora è
la locandiera a mostrarsi ostile nei confronti del Cavaliere, dicendogli di non credere alla sue dichiarazioni
d'amore. Il Cavaliere, dilaniato da sentimenti contrastanti, non vuole far sapere di essere oggetto dei raggiri
di una donna, ma allo stesso tempo spera di poterla avere per sé. Quando Conte e Marchese lo accusano
di essersi innamorato della donna, l'orgoglio ferito del Cavaliere esplode in una disputa che rischia di
culminare in tragedia. Ma l'intervento della stessa locandiera impedisce che si venga alle spade. Il
Marchese, accortosi della boccetta nel cesto e credendola di scarso valore, se ne appropria e la regala poi
a Dejanira, una delle commedianti arrivate alla locanda.
Dato che l'innamoramento del Cavaliere è diventato cosa pubblica proprio come si era riproposta la
locandiera, la vendetta di Mirandolina è finalmente compiuta, ma ciò comporta il risentimento sia del Conte
sia del Marchese.
Arriva inoltre il momento in cui il Cavaliere dà in escandescenze e inizia a mostrarsi pericoloso, per cui
Mirandolina riconosce di essersi spinta troppo in là.
Decide quindi di risolvere la questione sposando il cameriere Fabrizio, come le aveva consigliato il padre
in punto di morte. Mirandolina non lo ama veramente, ma sceglie di approfittare delle circostanze sapendo
che il matrimonio non sarà un vero ostacolo per la sua libertà. La scena finale si conclude quando lei,
rientrata in possesso della boccetta donatale dal Cavaliere, si rivolge al pubblico maschile e lo esorta a non
lasciarsi ingannare.

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