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Storia di un inizio

Una premessa

Come e quando comincia il teatro del Novecento? È possibile individuare


un momento particolare, un evento da cui far partire il racconto della sua
storia? E ha senso fare questo tentativo?
Quella dell'inizio è una questione storiografica affascinante. Lo è quan-
do si tratta di andare alla ricerca dell'elemento mancante, del dato assente
(come accade, ad esempio, nel caso della tragedia greca), non lo è di meno
quando, viceversa, i dati li abbiamo tutti a disposizione e allora il problema
non è affrontare una ricostruzione degli avvenimenti ma proporre un' i-
potesi per leggerli secondo una linea prospettica che cerca di cogliere l' i-
dentità culturale di una certa stagione storica. È questo il caso del teatro
del Novecento. È possibile individuarne una "data di inizio" e se sì quale e
con quale obiettivo storiografico? In altri termini con quale utilità, salvo il
fatto che da qualche parte bisogna pur cominciare? Se cerchiamo una data
simbolica, questa potrebbe essere fatta coincidere con il debutto dell'~
~di Alfred Jarry presso il Théatre de l'Oeuvre di Aurélien Lugné-Poe a
arigi il IO dicembre 1896, ma di per sé non è sufficiente, dobbiamo consi-
derare altri due fattori fondamentali: la transizione al nuovo secolo come
approdo di motivi e tem_,:tiche emerse n el precedente e la messa a fuoco
dei fondamenti teorici attraverso cui viene ripensato in una chiave moder-
na il teatro eìl suo lìnguaggio.

Un'anteprima simbolica

Al suo debutto parigino l' Ubu re ebbe un impatto dirompente. Il poeta


irlandese William Bud er Yeats, commentando tra lo stupore e l'ammira-
zione quanto aveva visto, annunciò l'avvento di un «Dio selvaggio» che
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di Antoine, realizzando una caricat ura dell'eroe che esaltava la mancanza


veniva a sconvolgere il panorama culturale, azzerandolo e spiazzandolo
di spessore psicologico del personaggio.
(Yeats, 1994, p. 337) . Che cosa lo aveva così colpito nell'opera di Jarry?
Non meno rivoluzionaria apparve la messa in scena realizzata dai pitto-
Quali elementi di frattura violenti e radicali vi aveva visto?
ri Nabis Sérusier e Bonnard. Arthur Symons (1913, p . 373) la ricorda così:
Alfred Jarry era un giovane scrittore la cui vicenda artistica è legata in
gran parte proprio al personaggio di Ubu. La sua fu una parabola artistica
La scena dipinta rappresentava, secondo una concezione volutamente infantile,
brevissima, incandescente quanto marginale, che incise, però, in manie- l'interno e l'esterno, contemporaneamente zone torride, temperate e artiche. Di
ra profonda sull' immaginario artistico novecentesco e, in particolare, su fronte, dietro al palcoscenico, si scorgevano meli in fiore, sotto un cielo blu e con-
quello delle avanguardie. tro il cielo una piccola finestra chiusa e un camino [... ]. A sinistra c'era un letto
La dimensione insurrezionale, selvaggia, di quella serata del dicembre dipinto e ai suoi piedi un albero spoglio e neve che cadeva. A destra c'erano delle
1896 si espresse su due piani: la COJ!lf!Osizione letteraria del testo e la sua palme, una porta aperta contro il cielo e vicino alla porta penzolava un cadavere.
resa scenica. Su entrambi i piani gli spettatori furono posti di fronte a qual-
cosa che non avevano mai visto prima, neanche al Théatre de l'Oeuvre, Ciò detto, perché questo spettacolo e questo testo così anomali ossono
che pure era un luogo di sperimentazioni ardite. Metterlo in scena fu, per es~re considerati una possibile data di inizio e ovecento teatrale? Eb-
Lugné-Poe, una sfida lanciata in primo luogo a sé stesso: rompere con tutti bero così grande riscontro da modihcare lo stato delle cose del teatro di
i modelli, compreso quello stilizzato e simbolico che lui stesso aveva con- fine Ottocento? No, anzi si tratta di un episodio marginale che fece scal-
corso a creare. pore ma non fece scuola, ep.e.ure porta in sé racchiusi i germi oiuna novità
L'opera ha i tratti di una farsa g_E9ttesca, assurda e irrispettosa che, al ·sconvolgente, la stagione delle avanguardie. Ubu re ne anticipa la carica
d i là della leggenda che la vuole un testo liceale scritto per irridere un trasgressiva, la volontà 1rndente, la ten~one al grado zero. Leggere in Ubu
professore, appare una rielaborazione parodica del Macbeth in cui il tema re una sorta di anteprima del Novecento significa, a sua · ·
dçj[a.ridirà di p~re, della congmra, della guerra sono esp~i in modo Novecento come il secolo della reinvenzione dei codici. Non necessana-
paradossale e grottesco fiellafigma der-PaciretJDii. La sua vestizione mente nei termini della dissacraz10ne e della provocazfone ma sicuramen-
per la battaglia è un vero e proprio numero clownesco; la battuta finale te come azzeramento e ripartenza.
è l' apoteosi del nonsense, « Se non ci fosse la Polonia, non ci sarebbero i
Polacchi! » (Jarry, 1977, p. 66); poter mangiare sempre del salame è la mo-
tivazione che spinge Ubu al tradimento del suo re. La struttura narrativa L'inizio come processo storico
è frammentaria e i passaggi da una situazione ali' altrat5ruschttos1 da sot-
t~erenza a un racconto già di per sé illçgico e i~ale. Jarry, inoltre, fa Se Ubu re rappresenta l'anteprima simbolica del Novecento, l'inizio del
un uso provocatorio del linguaggio. La prima parola del testo, « Merdre», secolo è caratterizzato da un rapporto più articolato, dialettic~
è~ciata lì a gettare scompiglio nel pubblico. Più volte, a n tolO di im- so rispetto ai modelli teatrali precedenti: da un lato un ripensamenro--
properio, Ubu esclama «per la mia candela verde » ; le sue armi sono «la scrittura letteraria per la scena e dall'altro la2 rogressiva affermazione
sciabola da finanze » , il « coltello da faccia », la « forbice da onecchie » o regia.
anche un semplicissimo « pezzetto di legno » ; le sue guardie sono i «palo-
tini » ; la pena capitale la « decervellazione». È un modo di giocare con le
parole per sottrarle ali' obbligo del senso. Quella cli Jarry è un' invenzione Il dramma come crisi del dramma
carnevalesca che aggredisce il senso comune las ciandolo disorientato. J__a_r_r.___
In un libro della metà degli anni Cinquanta, Peter Szondi (1962) ricostrui-
a~ immaginato il suo personaggio come una maschera se non una ma-
sce le dinamiche che caratterizzano il dramma moderno tra la fine dell' Ot-
~a: un ventre smisurato, u_n cappuccio, la voce ~cia~e- tocento e la prima metà del Novecento. La sua tesi, che ha fatto scuola, è
tò Firmin Gémier, che veniya dall'ambiente naturalista del Théitre Libre
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che la modernità si presenta, nella letteratura teatrale, come messa in crisi Più tecnica la messa in crisi della forma dramma in Maurice Maeter-
della.; ;;;one di@.;_amm) , il ~rattere principale è di essere «assolu- linck. Non tanto nei testi più ricchi di suggestioni liriche e di evocazio-
to » : è .e_osto, non prevede cioè la presenza narrativa dell'aut9 re; accade ni simboliche, come Pelléas e Mélisande (1892), quanto in alcuni piccoli

~
}JPresente, passato e futuro intervenendo solo come cause e consegllcriZe drammi come L'intrusa (1890 ), I ciechi (1890 ), Interno (1894). In Interno
dell'azione agita e si compie nel dialogo, espressione della dialettica tra
personaggi che si declinano come soggetti psicologici e si relazionano tra
--- la scena è sdoppiata. Sullo sfondo una casa, dentro cui si guarda attraverso
una finestra chiusa, spiando i gesti quotidiani di una famiglia modesta. In
loro attraverso la parola. primo piano, fuori dalla casa, un vecchio (il suo nome è Vecchio, senza
Il Novecento è caratterizzato dal rifiuto di questo modello: il dramma ulteriori specificazioni) racconta alle nipoti della disgrazia che ha appena
,?iventa una forma aperta che comporta la frattura della coesion~ colpito la famiglia e che essa ancora ignora. Nel finale il Vecchio entra nel-
tiva dell'azione. Szondi individua l'inizio di tale processo nella stagìane la casa per annunciare l'accaduto e noi vediamo la tragica reazione muta
a cavallo tra Otto ~ ovecento m cm s1 ev1denz1ano le rime ere e n i- su cui si chiude il dramma. Azione e racconto sono scissi tra loro. La scena
l; struttura e nell' idea di d ramma. De nisce tale passaggio storico «crisi muta della casa è lo scenario, destinato a tradursi in evento tragico solo nel
del d ramma», crisi come inizio di una-Crasfo rmazione, i cui protagonisti finale, quasi come un epilogo, mentre l'azione narrativa è contenuta nel
sono: Ibsen, Cechov, M aeted inck, Stnndberg e H auptmann. Szondi ra- racconto del Vecchio.
~ al hluori delle partizioni di stile (Naturalismo e S~bolismo~ La "riprogrammazione" della forma drammatica in una chiave moder-
tendo in luce un terreno comune in cui cercare i segni di quel "relativismo na è più sistematica in August Strindberg e Anton Cechov.
della scrittura" che caratterizza il Moderno. Di volta in volta questo può
tradursi nella crisi del resente come tempo teatrale d'elezione (Ibsen), d~
August Strindberg

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dialogo come contatto intersoggettivo Cechov), nella manifestazione di
una drammaturgia non più oggettiva (Strindberg), di un dramma statico «Con Strindberg ha inizio quella che più tardi prenderà il nome di "dram-
di situazione (Maeterlinck). Nella scrittura di questi autori si erce isce maturgia deij'io"», così Szondi (1962, p. 31) introduce il suo discorso sul
la tensione a destabilizzare l'asso mezza della tenuta narrativa e la consi- drammaturgo svedese, facendo riferimento alla svolta che ne caratterizza
S! enza rammarica del personaggio. Vi~espira un "disagio del tempo", '
la scrittura proprio a ridosso del Novecento. Fino a quella data Strindberg
tipico di tutte le arn d1 c h e O ttocento (specie quelle vlSlve), che hanno aveva sperimentato generi e forme diversi con un'adesione al Naturalismo
una posizione critica nei confronti dei propri statuti linguistici, mettendo particolarmente radicale (IJ padre, 1887; La signorina Giulia, 1888; Cre-
in discussione il concetto di rappresentazione. ditori, 1889). Tra il 1893 e il 1897 c'era stata, poi, una crisi che lo aveva
Pur con tutte le prudenze del caso, è possibile riscontrare qualcosa di allontanato dal teatro a cui torna' nel 1898 con le prime due parti di Verso
simile negli scrittori teatrali a cavallo del secolo, meno in Ibsen, probabil- Damasco a cui seguono, nel 1901, la terza parte di questo strano testo/
mente, in cui i giusti equilibri narrativi, lo spazio affidato al colpo di scena, trilogia e Un sogno. Quando parla di una "drammaturgia dell'io" è proprio
il dialogo come dialettica interpersonale danno l'impressione di una scrit- a queste opere che fa riferimento Szondi intendendo la decostruzione del-
tura legata alla "forma dramma", con rimandi anche alla struttura a effetto la dimensione oggettiva e chiusa della forma drammatica convenzionale.
della piece bien jàite. All'interno di tale struttura, il cui impianto realistico Il mondo rappresentato non esiste come cosa in sé ma in relazione all' e-
si apre a suggestioni di natura simbolica e si carica di motivazioni ideolo- sperienza del protagonista che vi viaggia attraverso come in un percorso
gicamente trasgressive (come per il protofemminismo di Casa di bambola, iniziatico.
1879 ), la tenuta drammatica è messa alla prova soprattutto dal fatto che la Diverse come impianto - dilatata fino all'estremo VersoDamasco, più
tragedia è presentata come "postumà': esito, cioè, di un atto mancato del concentrata e sintetica Un sogno-, le due opere hanno però mòlti elementi
passato i cui riflessi ricadono sul presente, determinando l'impossibilità comuni. In primo luogo la destrutturazione logica del racconto, che pro-
di una scelta libeLatoria che giunge inevitabilmente sempre troppo tardi. cede a sbalzi, a scarti, più per analogie e opposizioni che secondo uno sche-
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ma di causa-effetto. In secondo luogo la rinuncia al realismo, in nome di luzione ck{la tenuta logica, infatti, non si manifesta attraverso una subli-
una scrittura ricca di suggestioni simboliche che lasciano aperta e irrisolta mazione sim_bolica della realtà ma grazie a un processo di straniamento:
la sfera del significato, quindi la messa in crisi del personaggio come sog- in una delle sòene l'Ufficiale aspetta l'amata, che non arriverà mai, nella
getto psicologico definito e infine la messa in crisi della coerenza e unita- portineria del te'atro e improvvisamente invecchia mentre i fiori che ha in
rietà dello spazio-tempo. mano appassiscono; subito dopo però, altrettanto arbitrariamente, torna
Nella Nota a Un sogno Strindberg (2008, p. 2) scrive: «Tempo e spazio a essere qual era. La novità della struttura del Sogno è espressa dallo stesso
non esistono; su un insignificante fondo di realtà la fantasia fila e tesse Strindberg: «Non c'è nessun assolo con accompagnamento: niente ruoli,
nuovi motivi. [.. .]I personaggi si fondono, si sdoppiano, si moltiplicano, niente caratteri o caricature di sorta, nessun intrigo, o nessuna fine d'atto
svaporano, si condensano, si sciolgono, si raccolgono». predisposta per gli applausi» (ivi, p. xm).
Il dramma è costruito sul modello del linguaggio onirico che, secondo Verso Damasco presenta analoghe implicazioni oniriche. Anche questo
le indicazioni di Freud, procede per condensazione e spostamento, defor- dramma ha la struttura di un itinerario iniziatico. Protagonista è lo Scono-
sciuto, nome emblematico, che compie un viaggio dentro di sé attraverso
mando la percezione della realtà. La Figlia di Indra, divinità induista del
l'incontro con una serie di figure che riflettono alcuni dei motivi ricorren-
cielo e della folgore, decide di scendere sulla Terra per sperimentare l'espe-
ti di Strindberg: la claustrofobia matrimoniale, gli echi di colpe lontane e
rienza della sofferenza umana. Qui incontra un'umanità prigioniera dei
dimenticate che tornano a manifestarsi, l'impossibilità di trovare un senso
suoi riti sociali (il matrimonio in testa), fonte di un inevitabile reciproco
all'esperienza del vivere. Queste indicazioni tematiche si esprimono in si-
tormento; ne vive in prima persona la condizione claustrofobica prima di
tuazioni drammatiche staccate tra loro e disposte, alla maniera dei Misteri
risalire, in una morte non catartica, verso il suo cielo, sporca, come il me-
medievali, in maniera paratattica, come un "dramma a stazioni': in un per-
taforico scialle indossato da uno dei personaggi, di tutti i mali e di tutte le
corso che non conduce a soluzione, non scioglie gli enigmi, non produce
angosce degli uomini.
catarsi: «Le singole scene non hanno qui alcun nesso causale tra loro, non
I personaggi che la Figlia incontra in questo suo viaggio iniziatico non
scaturiscono l'una dall'altra come nel dra~a vero e proprio. Appaiono
hanno nome ma si identificano con il loro ruolo: l'Ufficiale, l'Avvocato,
piuttosto come una serie di pietre isolate, tenute assieme, come da un filo,
la Portinaia. Sono delle funzioni drammatiche, dei soggetti indefiniti più
dal cammino dell'io» (Szondi, 1962, p. 37 ).
che delle persone. Altrettanto ambigue le ambientazioni. La portineria del
Tra il 1907 e il 1910 Strindberg proverà, con !a collaborazione di Au-
teatro, lo studio dell'Avvocato, l'isola termale, la grotta di Finga! sono luo-
gust Falk, a dare un corpo scenico alle sue visioni drammatiche nell'Inti-
ghi riconoscibili, descritti nelle didascalie come reali ma hanno evidenti
ma Teatern ("Teatro intimo") aperto a Stoccolma. Per esso scrive alcuni
tratti simbolici. La portineria, ad esempio, è il luogo d'accesso a un teatro,
drammi da camera (tra cui Sonata di fantasmi, l 9 07) in cui sperimenta
figurazione simbolica della vita, dentro cui non si può entrare, ed è carat-
le soluzioni di una forma drammatica aperta e contraddittoria. Scenica-
terizzata da una piccola porta oltre la quale si immagina celata chissà quale
mente abbraccia l'ipotesi di una scena spoglia, guardal,ldo alle proposte
verità che, una volta che la porta verrà aperta, si rivelerà nulla.
di grandi riformatori della scena come Craig e Fuchs. Poc~i elementi figu-
Un terzo elemento è la disposizione della narrazione che trascorre da
rativi, ambientati in una cornice di tendaggi animati dal còlore delle pro-
una situazione a un'altra in una maniera illogica e arbitraria, in un pro-
iezioni luminose, in grado di suggerire più che rappresentare il dramma.
cesso di metamorfosi in cui gli oggetti si trasformano, come nel sogno,
in altro da sé : il cancello della portineria diventa la sbarra che separa in
due l'ufficio dell'Avvocato, la porta l'anta di un armadio, il tiglio un at- Anton Cechov
taccapanni. È una struttura a compartimenti che nega la logìca unitaria
del dramma. Perrelli (2008, p. xn) ne parla come di «microdrammi di La destrutturazione della forma dramma è presente in Anton Cechov,
drammaturgo russo degli ultimi anni dell'Ottocento e dei primi del No-

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vita quotidiani [ ...] tagliati o dissolti nella scrittura [... ] caratterizzati da
un dialogo aggrega1}te di un tono di norma piuttosto comune» . La disso- vecento, in una maniera meno appariscente ma non meno sostanziale. La
i.6 IL NOVECENTO DEL TEATRO STORIA DI UN INIZIO

veste esteriore del testo resta apparentemente inte ra er quanto riguar- Stanislavskij e Nemirovic-Dancencko dando vita a un sod alizio in ' ''
da il racconto, l'identità psicologica ei personaggi, il dialogo. nziché una nuova e eraria si coniu ava con la nascente regia. Tuu~ ·1 ,
essere sottoposta a un attacco frontale, come abbiamo visto accadere in produzione "maggiore" di Cechov, a parte Il gabbiano c e pure in q111 I
Strindberg, l'identità drammatica del testo è corrosa dall'interno toccan- teatro trovò la sua casa e con cui quel teatro si identificò, fu scritta pc1 1I
do in primo luog~ « è echov disegna una schiera di personaggi Teatro d'Arte.
avvizziti e rattrattinela condizione feriale, dall'andamento vischioso di Ma in che cosa Il gabbiano infrangeva le convenzioni sceniche ? N el bi
un'esistenza inautentica: figure dai gesti legati, dalla volontà paralitica, glietto da visita con cui presenta il suo lavoro Cechov sottolinea la non
fluttuanti come alghe dentro uno stagno» (Ripellino, 1991, p. VI). convenzionalità della struttura e l'assenza di un centro drammatico for-
Il dramma fotografa i personaggi bloccati in una condizione da cui non te. Il gabbiano è un testo corale che racconta di un gruppo di personaggi,
riescono a evadere. N@ c'è spazio per trasformazioni, evoluzioni, meta- una microsocietà chiusa in sé stessa e incapace di evolversi. Treplev è un
~osi. Più che agire, i personaggi cechoviani si agitano sperando cosi di giovane scrittore che aspira a riformare la scena, ma sia le sue aspirazioni
vivere, ma restano impantanati in loro stessi. Potremmo definire questo artistiche sia il suo sogno d'amore per Nina saranno destinati al naufra-
procedimento una "drammaturgia del ribadire", nel senso che Cechov ri- gio. Naufraga, a suo modo, è anche Nina, la cui passione romantica per lo
badisce la stessa situazione in momenti diversi di una vicenda che sembra scrittore Trigorin sfocia in tragedia. Diventata attrice, lo è senza luccican-
muoversi ma in realtà resta ferma. Ali' interno di questa "d~rgia za, schiacciata dal mestiere. Mafa sogna Treplev ma sposerà senza amore
del ribad ire" una funzione particolare la hanno i finali: cancellare i barlu- Medvedenko. Arkadina, attrice e madre di Treplev, e il suo amante Tri-
mi di speranza, le possibili aperture al futuro. Il gabbiano (1886), Zio Vtmja gorin replicano all'infinito una vita senza vocazione. Alla fine Treplev si
(1889 ), Le tre sorelle (1901) e Il giardino dei ciliegi (1904) sono le opere con suicida, ma è un suicidio fuori scena di cui è dato un rapidissimo cenno in
cui Cechov si fa protagonista della transizione al Novecento. In preceden- una battuta che lascia tutto e tutti in sospeso.
za, negli anni Ottanta, aveva scritto degli atti unici (Il tabacco, 1886; L'orso, Al di là dell'intreccio e dei personaggi è la costruzione dell'azione a
1888; Una proposta di matrimonio, 1888) costruiti sul modello del vaude- rappresentare la novità del testo. Riassunto come abbiamo tentato di fare,
ville, in cui però la dimensione comica si caricava di tinte di grottesco e di sembra un dramma ricco di avvenimenti e invece non vi accade quasi nulla
amara ironia. Negli stessi anni inizia anche a sperimentare soluzioni più e quel poco in una maniera quasi inavvertita. L'innamoramento di Nina
articolate e complesse (Ivanov, Platonov, 1887) che oltre a indirizzare la sua per Trigorin sembra quasi rimasto nella penna di Cechov. Si percepisce
scrittura verso un impianto realista cominciano ad avere come oggetto il dai riflessi, dal non detto, dal parlare d'altro. Così come "depistante" è il
tema dell'inerzia e dell'inazione. dialogo tra Arkadina e Treplev nel terzo atto, dopo che questi, nell' inter-
Tra questa produzione e Il gabbiano vi è una pausa teatrale di qualche vallo che lo separa dal precedente, ha tentato il suicidio. Madre e figlio
anno. Quando torna a interessarsi alla scena il suo atteggiamento è cam- cominciano parlando d'altro, bamboleggiano sull'infanzia mentre lei gli
biato. Scrive al suo editore Aleksej Suvorin nell'ottobre 1895, a proposito benda la ferita, poi sul nome di Trigorin si scatena una lite furiosa che è
del Gabbiano che ha in gestazione: «Lo scrivo non senza piacere, sebbene come una bufera istantanea : come si accende così finisce. È un litigio, non
pecchi terribilmente contro le convenzioni sceniche. È una commedia, ci un conflitto drammatico.
sono tre parti femminili, sei maschili, quattro atti, un paesaggio (la veduta In Zio "Vanja l'inanità della ribellione si concretizza nel colpo di pi-
sul lago), molti discorsi sulla letteratura, poca azione, tonnellate d'amo- stola sparato a vuoto dal protagonista contro il cognato. Non c'è spazio
re» (Cechov, 1960, p. 93). per la tragedia, Vanja e Sonia resteranno lì, nella loro casa, sconfitti, a la-
Da queste parole, che ricordano quelle di Strindberg citate in pre- vorare, lasciando che la loro vita trascorra nella sua immobile piattezza.
cedenza, emerge la consapevolezza di essersi avviato in un territorio Azione, in Cechov, è negazione dell 'azione, inerzia, sospensione della tra-
al di fuori dai parametri della scrittura teatrale, incerto ma stimolan- gedia. «Ciascuno ha il tema costante, un suo chiodo, che a tratti diventa
te. In questo territorio Cechov incontrò il Teatro d'Arte di Mosca di ossessivo come una monomania» (Ripellino, 1991, p. x). Le tre sorelle,
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rn o a Lorn arc a M osca dall.i. pt ovi nda in cui u,rndo comincia t uLto q ucsto? E., im: u1 1.1 d,tL\ e.li nasc ita della regia?
vivono relegate. Pcnsano q:i el viaggio co me un a liberazio ne.:, ma restano lì, 'i \0 11 0 dt~H otes i sto riografiche: una cbc tende a considerare la..!!gia
inchi odate ~uJ..e.osto. D el loro des id erio non resta che un Leitmo tiv iterato 1 c11m· un fe nomeno solo noveccnt_c;_sco e una seconda, invece, che..tende
all' infinito : « A Mosca! A Mosca!» . 1 ll' lrodatad a almeno fino agli anni Trenta dell' Ottocento. Nel primo

Ali' inazione corrisponde la crisi del dialogo. I personag~ '·'"'si v'"àlorizza la dimensione di autonoma invenzione linguistica (la re-
ciò che dicono ha poco peso, ben ma iore è il piano emotivo mai espres- 'I,\ rnme creazione indipendente), nel secondo la sua qualità di organiz-
so compiutamente in parole. Nel finale del Gabbiano Treplev e ina si .111<>ne e coesione progettuale dello spettacolo (la regia come creazione
rincontrano, la ragazza è un turbine di sentimenti, parla per frammenti, di pe ndente). La nascita della regia è, dunque, una questione più di storio-
ripetizioni, divagazioni. La scrittura è costellata di puntini di sospensione gr.tli,1 (la metodologia attraverso cui si costruisce il racconto storico) che
che esprimono un disagio del dire che confina con l'afasia. Adesso Treplev di 'roria. Un dato di fatto è che negli anni Trenta dell'Ottocento si conia
è solo. Prende i suoi manoscritti e in due minuti di silenzio comincia a 111 Francia un termine nuovo per indicare l'allestimento scenico, mise en
strapparli. Ha appena confessato la sua insoddisfazione per sé stesso come 11hu (con relativo metteur en scene), che va a integrare e per molti versi
scrittore, ha appena perduto Nina per sempre. Non dice nulla ma in questa \11\l iLU ire l'espressione che si usava abitualmente, régie. Ogni qual volta
1 't l'esigenza di introdurre una nuova parola per nominare qualcosa, si
sorta di monologo muto c'è tutta la dichiarazione di disperazione che si
lt ,1 L\ chiara percezione che la stessa "cosa" sia diventata diversa. Allora
concluderà con il suicidio. Cechov, dunque, disarticola la dimensione rap-
presentativa del dramma dall'interno, lo essicca, ne inibisce lo sviluppo. l.1 mise en scene non è la régie. Se quest'ultima consisteva in un lavoro di
Riduce, toglie, elimina, "evita". rnordinamento e direzione materiale, come lo stesso etimo della parola
dimostra, la mise en scene indica un processo di messa in relazione dialet-
l tLa tra p agina e scena. Il termine comincia a essere utilizzato in maniera
La nascita della regia ,i,tcmatica a proposito di alcuni spettacoli di autori romantici (Dumas,
dc Vigny, Hugo) alla Comédie Française, per i quali si pubblicano dei li-
Nella ridefinizione degli statuti linguistici della fase iniziale del Novecen- hrctti di mise en scene che danno conto delle soluzioni adottate in vista di
to, in maniera complementare alla messa in discussione della forma dram- possibili nuove edizioni dello spettacolo. Marie-Antoinette Allévy, intro-
ma agisce la nascita prima e laffermazione poi della regia. La regia non è ducendone uno, quello di Albertin per lEnrico III e la sua corte di Dumas
sempre esistita, è un fenome po che sj manifestajn un momentos t01:ico e dcl 1829, parla di nuove pratiche sceniche che « dimostrano a che punto
secondo delle caratteristiche precise che ne fanno un elemento nuovo nel- ominci ad assumere importanza l'esecuzione materiale dello spettacolo »
la configurazione linguistica del teatro. N 2,_n c'è r~gia nella Grecia classica, (Allévy, 1938, p. 9).
nell'epoca elisabettiana o nel Seicento francese . Non che allora mancasse- Questa novità, però, è il momento inaugurale di un percorso ancora
rÒ modalità d1organizzazion~ dello spettacolo, ma ciò che definiamo re 1a tutto da compiersi. È verso la fine dell' Ottocento che queste istanze, che
-
è altro : non solo un 'attività di coordinamento m;Ùma orma di creazione
- --..
che utilizza come materiali gli elementi della scena (lattore in testa non
possiamo definire preregistiche comprendendovi anche esperienze come
quella di Montigny che sperimentò una nuova disposizione degli attori
più lasciato alla sua indipendenza espressiva), ha una propria visione del su l palcoscenico, cominciano ad assumere una veste più strutturata e or-
teatro e una sua autonomia espressiva, anche quando lavora su di un te- ganica. Tra gli anni Settanta e Ottanta in Germania~ la com-
sto d i cui elabora almeno una interpretazione se non una vera e propria pagnia del duca di Saxe-Meiningen, introducono un modo & 'impostare
riscrittura. Se la regia è una creazione il regista è un autore, trasmette il la costruzione scenica dello spettacolo e di organizzare il lavoro che su-
testo attraverso la sua lettura personale ma lo utilizza anche per veicolare scita stupore e interesse nelle città europee toccate dalla loro tournée. Il
una propria intenzione poetica. Esiste poi tutta una pratica della regia al di sistema convenzionale dei · e vedettes era abolito; la direzio;;-

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scenica era saldamente nelle mani di una figura sola; e prov~~ano curlte-
fuori del testo o che ne forza la struttura.

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30 IL NOVECENTO DEL TEATRO STORIA DI UN INIZIO
31

e gestite come un processo organico e non solo come concertazione del toine. Teli di fondo, invece, affidati ai giovani pittori Nabis, con immagini
lavoro individualè degli atton. 3u tutto primeggiava-il senso del collettivo, stilizzate o araldiche. Sul piano della recitazione, invece, il rifiuto di ogni
f!ninger realizzavano dei quadri visivi in cui attori, scene, oggèm ' si espressività marcata giocando sulla stilizzazione del gesto e la melopea del-
a~avano in un tutto unico. la dizione. Per raggiungere l'effetto sperato era necessaria non solo una
Dette cosi, le cose appaiono probabilmente più moderne e "registiche" guida organizzativa ma anche creativa, un regista. Così, pur se su due fron -
di quanto non fossero in realtà, ma è interessante ricordare quanto notò ti estetici diametralmente opposti, si manifesta l'esigenza di una regia che
l'autorevole critico inglese William Archer (in Fazio, 2.006, p. 31) quando affronti il problema della messa in scena come scrittura e non solo come
vide il loro ~es3re a Londra. Nella sua orazione al popolo romano, elemento di coesione e armonizzazione tra le parti.
scrive, il Mar~nio dei Meininger si rivolgeva alla folla che lo circon- Questa nuova prospettiva si esprime chiaramente nel 1903, quando
dava, diversamente da quanto avrebbe fatto su un palcoscenico inglese in Antoine (1999) scrive un testo in cui esprime in maniera organica la sua
· vrebbe arlato al ubblico in sala con il o olo alle spalle. Può sem- concezione della regia. È in questa occasione che per la prima volta si
brare una cosa da poco ma indica un profondo processo !trasformazione parla della regia come di un'arte e del regista come di un artista. Se, a
nella concezione della messa in scena. una prima lettura, quel testo può apparire un riepilogo dell'esperienza
La svolta decisiva nella direzione della regia modernamente intesa si del Théatre Libre, in realtà è qualcosa di più. Antoine individua, infatti,
ha, però, a Parigi tra li anni Ottanta e Novanta dell'Ottocento ad opera nella regia un nuovo modello di teatro, al cui interno opera una distinzio-
di due figure, An ré Antoine e Aurélien Lugné-Poe, che, pur schierate su ne fondamentale tra componente materiale e componente immateriale,
fronti opposti, il Natura ismo e il Simbolismo, agiscono oramai esplicita- tra lavoro sulla materialità della scena e lavoro sull'identità del personag-
mente in una direzione registica. gio. Siamo oramai pienamente nel Novecento, la transizione può dirsi
Nel suo Théatre Libre, fondato nel 1887, e poi negli altri teatri che diri- compiuta.
gerà fino al 1914, fra cui l'Odeon, Antoine mise a punto una metodologia
di lavoro che ha i tratti di un vero e pro rio sistema roduttivo e creativo.
Era lui a m ere e 1verse asi e avoro, a impostare la recitazione aegli come fondamento teorico
~ttori, a realizzare una scena ricca di dettagli che oveva creare illusione
di realtà, a dettare l'interpretazione del testo e, a scegliere un repertorio
~to alle sue concezioni teatrali. Il suo obiettivo era deteatralizzar~J
sulla scia di quanto teorizzato da Zola, il teatro, evitare le soluzioni acca- i concetto stesso di teatro. Sono ipotesi
demiche, abolire formalismi e convenzionalismi. Il palcoscenico era pen- on attve nel senso che individuano i parametri entro cui - con tutte
sato come uno spazio chiuso, sel?arato dal-pubblico da quella che Jean le distinzioni, le differenze e le contraddizioni del caso - andrà a dispor-
Jullien, uno dei giovani autori a lui vicini, aveva definito quarta parete. si il discorso teatrale del Novecento. Gli autori a cui possiamo assegnare
Agli attori era richiesta una recjtazionel<Lpiù..naturale possi].likclie-<love- un simile ruolo strategico sono uno svi,zzero, Adolphe Appia, un inglese,
va aggirare i toni retorici e utilizzare gli o etti come facciamo nella vita Edward Gordon Craig, e un tedesco, Georg Fuchs.
quoti iana. A monte c'è la nozione di opera d'arte totale elaborata da Richard Wa-
- Ben diversa la visione teatrale di Lugné-Poe. Ispirato dal purismo ver- gner alla metà dell'Ottocento. Per Wagner l 'o er.a d'arte teatrale era com-
bale della parola poetica di Mallarmé, Lugné-Poe, con il suo Théatre de posta da tre dementi convergenti: a musica_(manifestazione ell'espres-
l'Oeuvre (1893), cercava una soluzione scenica che interferisse il meno sione più profonda e universale), l poesia concretizzazione sul piano del
possibile con l'ascolto. Il testo era concepito come uno strumento di evo- racconto della dimensione espressiva , anza, ma più complessivamen-
cazione lirica che sfuggiva, per sua stessa natura, alla materialità della mes- te la dimensione scenica, chiamata ad agire sul piano della sensorialità.
sa in scena. Niente scenari figurativi dipinti ma neanche spazi veri all'An- Il teatro è il risultato di una sintesi di arti diverse operata da un creatore
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