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STORIA DELL’OCEANOGRAFIA

La prima parte del termine “oceanografia” deriva dalla parola greca Okeanos o Oceanus, il nome del figlio
degli dei Urano e Gea.
L’oceanografia non è una scienza a sé stante.
Molti oceanografi sono in effetti esperti di una delle 4 scienze tradizionali: fisica, chimica, geologia e
biologia.
Altri possono addirittura provenire da scienze vicine quali la meteorologia, l’ingegneria, la matematica, la
statistica o le scienze informatiche.

La storia delle scienze marine è associata con la storia dei viaggi, commerci e si divide in 4 fasi:
1. La conoscenza degli oceani comincia con i viaggi per il commercio e l’esplorazione: tentativi di
marinai di descrivere la geografia degli oceani e delle terre emerse;
2. Viaggi combinati con osservazioni scientifiche che portano ad avanzamenti nella conoscenza (primi
tentativi di utilizzare un approccio realmente scientifico all’investigazione delle maree);
3. Prime spedizioni scientifiche finanziate dai governi;
4. Sviluppo delle moderne tecnologie.

FASE 1 – Esplorazioni dei mari


I primi marinai, con scopi commerciali, iniziarono a registrare informazioni potenzialmente utili per i loro
successivi viaggi e per la loro sicurezza. Registrarono variazioni di correnti, accumuli di sedimenti, scogli…
Importante ruolo nella storia ebbero gli egizi, i fenici e altri popoli. Già del 450 a.C. venne stilata una mappa
(ovviamente poco precisa) con segnate le varie conoscenze marine.

Grecia
Durante la dominazione greca del mediterraneo avviene anche la formazione della prima istituzione che si
dedicò ai progressi delle scienze marine applicate: la biblioteca di Alessandria. Essa fu fondata nel IIIsec a.C.
e può essere paragonata ad un’università. Essa rappresentò anche la prima forma di collaborazione fra
un’università e il mondo commerciale: una collaborazione che da allora ha portato e continua a portare
grandi benefici ad entrambe le parti.
Veniva utilizzata inoltre l’astronomia geometrica e matematica per la navigazione celeste; inoltre venne
introdotto il concetto di latitudine e longitudine con Eratostene.
La cartografia ebbe un grande sviluppo. Furono elaborate le prime rappresentazioni cartografiche che
rappresentavano la superficie sferica terrestre su un foglio piano.
In seguito Ipparco (165-127) introdusse la spaziatura regolare: linee di latitudine e longitudine.

Intanto, all’altra estremità del globo, alcuni antropologi sospettarono che l’Australia (abitata già 40000-
60000 anni fa) fosse sopravvissuta ad una glaciazione e successiva deglaciazione studiando gli spostamenti
della linea di costa.

Polinesia
I popoli della Polinesia si muovevano normalmente tra le isole davanti alle coste dell’Asia sudorientale e
dell’Indonesia già dal 3000 a.C. e si instaurarono nelle isole del Pacifico. Per svolgere questi viaggi era
necessaria una profonda conoscenza
degli oceani: la storia della Polinesia è
un punto fondamentale nella cronologia
delle scienze marine applicate ai viaggi
per mare.
Le isole polinesiane sono disperse in
un’area di 26 milioni di km2. Dall’Asia si
spostarono in Nuova Guinea (30000) e
poi nelle Filippine (20000). Tra 900 ed
800 furono colonizzate le Tonga, Samoa,
Society, e Marchese. Tra il 300 e il 600
tutta l’area era colonizzata compresa
l’isola di Pasqua e le Hawaii.

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I polinesiani contavano sull’accurata conoscenza dei venti locali, delle correnti, delle onde e
dell’andamento del tempo e della posizione di stelle per effettuare sbarchi pianificati dopo attraversamenti di
aree di mare profondo vasti centinaia ed anche migliaia di chilometri.
Probabilmente avevano degli stick che riportavano la posizione delle isole, non in un grigliato geografico ma
in riferimento alle correnti e ai venti prevalenti.

Vichinghi
Lo sviluppo delle conoscenze nel mondo occidentale ebbe un periodo di arresto durante il medio evo fino al
Rinascimento (tra il 500 e il 1450). Questo periodo però fu caratterizzato dalle imprese dei vichinghi o
normanni che partendo dalla Scandinavia, principalmente tra l’800 e il 1100, estesero il loro dominio verso
sud ed ovest. I Normanni compivano prevalentemente viaggi per razzia per mare e per fiume.

Mondo occidentale
Nel Rinascimento, il mondo occidentale si accinse all’esplorazione sistematica degli oceani, anche in questo
caso sotto la spinta principale di motivi economici.
Un grande innovatore che riconobbe che l’esplorazione oceanica era la chiave per la ricchezza e il successo,
fu Enrico il Navigatore, terzo figlio della famiglia reale portoghese. Egli fondò un’istituzione a Sagres per lo
studio delle scienze marine e della navigazione.

Cina
Anche i cinesi fecero importanti contributi all’esplorazione degli oceani: tra il 1405 e il 1433 l’ammiraglio
Zheng He, comandò una flotta immensa con 317 navi e 27000 uomini. Lo scopo della flotta era quello di
mostrare alle regioni vicine la potenza del nuovo impero cinese sorto sotto la dinastia Ming. I cinesi avevano
inventato la bussola, le navi a compartimenti stagni, vele complicate su alberi multipli e il timone
centrale. Essi avevano anche la possibilità di stare in mare per molti mesi senza bisogno di rifornimenti.

Nel 1492 Colombo riconoscendo che la terra era sferica pensò di raggiungere le Indie navigando verso ovest.
Le Indie erano state descritte come una zona ricca e favolosa due secoli prima da Marco Polo nel suo libro il
Milione. Colombo però, basandosi sui calcoli di Tolomeo, aveva stimato la dimensione della terra come
troppo piccola (la metà della realtà). Egli fece altri tre viaggi ma sempre convinto di avere raggiunto le Indie
o il Giappone spiegando che l’assenza di città abitate fosse dovuto al fatto che era sbarcato o troppo a nord o
troppo a sud. Altri esploratori seguirono l’esempio di Colombo di navigare verso ovest. L’errore di Colombo
fu presto corretto.
Queste carte ispirarono Magellano che era sicuro di potere aprire una nuova via occidentale che
attraversando il nuovo continente potesse raggiungere l’oriente. Magellano salpò dalla Spagna nel 1519, con
5 navi.

FASE 2 - I viaggi vengono associati all’esplorazione scientifica per l’avanzamento degli studi
dell’oceano
Le navi richiedevano stazioni per le riparazioni e per l’approvvigionamento di acqua e viveri. A questo scopo
le grandi potenze europee inviarono spedizioni per colonizzare località adatte possibilmente abitate da
popolazioni amichevoli.
Un grave problema per le esplorazioni consisteva nell’assenza di una metodologia nella determinazione
della longitudine. Infatti, la latitudine poteva essere calcolata facilmente con un compasso misurando
l’angolo rispetto alla stella polare. La determinazione della longitudine poteva essere calcolata solo con un
esatto orologio (la posizione di mezzogiorno cambia di 1 ora ogni 15° di longitudine). A quel tempo però gli
orologi erano a pendolo ed erano inutilizzabili sulle navi. Solo nel 1728 John Harrison iniziò a lavorare alla
costruzione di un orologio accurato.
In questo contesto l’oceanografia scientifica ebbe inizio
nella seconda metà del XVIII secolo. Cook costruì carte
accurate delle coste e fece importanti osservazioni a
riguardo della geologia e biologia di aree fino allora
sconosciute e sulle usanze dei nativi di quelle regioni.
Assieme agli scienziati di bordo raccolse campioni di

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organismi marini, piante ed animali terrestri e dei fondali e delle formazioni geologiche riportandole
attentamente sui giornali di bordo.

FASE 3 - Le esplorazioni sono condotte dai governi statali


Una prima spedizione che combinò efficacemente l’osservazione scientifica all’esplorazione fu condotta
dagli Stati Uniti nel 1838. La spedizione era composta dalla nave USS Vincennes e da altre 5 navi. Il
comandante era Wilkes e gli scopi prevedevano la raccolta di minerali, la mappatura, l’osservazione e la
pura esplorazione.
Una delle più conosciute e famose spedizioni del periodo fu quella del HMS Beagle comandata da Robert
Fitzroy che aveva Darwin come naturalista di bordo. Darwin spese gran parte del suo tempo facendo
osservazioni sulla geologia e la biologia delle coste sudamericane. I risultati delle osservazioni contribuirono
in modo fondamentale alla elaborazione e alla pubblicazione delle teorie evoluzionistiche nel 1859.

Benjamin Franklin nel 1769 aveva pubblicato la


prima mappa che proponeva l’esistenza della
corrente del golfo: fu la prima mappa che diede
un’idea dei venti e delle correnti a scala planetaria.

La prima spedizione a scopi veramente solo


scientifiche fu quella della nave HMS Challenger
(1872-1876). Un primo aspetto che la spedizione
voleva verificare era l’affermazione di Forbes: al di
sotto di 549 m di profondità la vita era impossibile, a
causa della pressione e dell’assenza di luce. Furono
recuperati campioni dalla profondità di 8185 metri al
largo delle Filippine: si provò che Forbes aveva torto.
Ad ogni recupero furono portati a bordo nuove specie
e in totale ne furono scoperte 4717. La scoperta della
vita in profondità stimolò lo sviluppo della biologia
marina.
Durante i campionamenti furono anche misurate la salinità la temperatura e la densità dell’acqua. Furono
recuperate informazioni sulle correnti, la meteorologia, e sulla distribuzione dei sedimenti. Per la prima volta
furono ricostruite carte che delineavano la topografia e la distribuzione dei depositi sedimentari per gran
parte degli oceani.
A seguire vi furono sviluppi della scienza oceanografica e varie altre spedizioni.

FASE 4 - Lo sviluppo delle tecniche oceanografiche moderne


La nascita dell’oceanografia moderna è collocata circa all’inizio del XX con l’inizio di spedizioni
interdisciplinari che facevano uso di strumentazioni complesse e di sofisticati mezzi di campionatura. I
Governi iniziarono a finanziare crociere oceanografiche allo scopo di investigare i processi fisici. Vennero
introdotti moderni sistemi ottici ed elettronici per l’investigazione.
Una importante innovazione fu l’echo sounder, uno strumento che fa rimbalzare onde acustiche sul fondo del
mare per lo studio della profondità per la costruzione di carte batimetriche.
Durante una spedizione del 1951 venne individuata la fossa oceanica più profonda (poi chiamata Fossa delle
Marianne).
Un avanzamento tecnologico rivoluzionario è quello di un sistema di satelliti che può determinare la
posizione con un’accuratezza di pochi metri; in Giappone fu poi ideato (nel 1971) il sommergibile che può
raggiungere profondità elevate operato da remoto. Indubbiamente il più recente sviluppo tecnologica consiste
nell’uso sempre più frequente di tecniche di remote-sensing.
L’utilizzo dei computer con grande potenza di calcolo contribuiscono alla più facile acquisizione e
utilizzazione dei dati, assicurano la possibilità di costruire modelli dei processi oceanici ed effettuare
esperimenti sui possibili cambiamenti futuri.

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STRUMENTI DELLA GEOLOGIA MARINA
Vi sono metodi indiretti e metodi diretti.
Con i metodi indiretti abbiamo informazioni sui fondali marini senza bisogno di interagirci, sfruttano
meccanismi geofisici. Le tecniche sono:
- Batimetria,
- Sidescan sonar (riflettività del fondo),
- Subbottom profile (sottofondo).
Con i metodi diretti si parla di campionatura e sono comprese le seguenti tecniche:
- Carotiere a gravità,
- Box corer,
- Draga,
- AUV.

METODI INDIRETTI
BATIMETRIA
Si utilizzano carte batimetriche in cui vi sono linee isobate che uniscono punti che si trovano alla stessa
profondità: si riescono a riconoscere rilievi e zone più profonde. Talvolta si utilizzano anche dei colori.
Mano a mano che la distanza tra le isobate aumenta, diminuisce la pendenza.

In immagine per esempio si riconoscono le varie zone: a


partire dalla linea rossa vicino alla costa si va
scendendo fino alla zona piana. Più le linee sono vicine
più la discesa è rapida fino a giungere ad una zona
piana. La zona rosso/gialla è la piattaforma
continentale, segue la scarpata continentale per le zone
verde/blu e in ultimo la zona piana detta zona bacinale
bianca.

Prima del XX secolo la profondità veniva misurata con un peso attaccato ad una fune. Nel 1914 invece fu
sviluppata la tecnica dell’echo sounding: un trasmettitore attaccato alla nave invia un’onda acustica sul
fondo. Questa onda rimbalza sul fondo marino e torna alla superficie dove viene registrata da uno strumento
ricevitore. La profondità è uguale alla metà (siccome l’onda acustica percorre la profondità sia all’andata che
al ritorno) del tempo intercorso fra l’invio e il ritorno moltiplicato per la velocità dell’onda acustica in acqua
che è circa 1460 m/s. Si riesce quindi a delineare una mappa più precisa.

Con lo sviluppo di nuove tecnologie vennero creati nuovi sensori e le possibilità


di calcolo dei nuovi computer hanno permesso di perfezionare il metodo con
vantaggi sia di accuratezza che di velocità di acquisizione. Attualmente si
utilizzano sistemi multibeam: a differenze degli echo sounder a fascio singolo,
il multibeam può emettere fino a 120 raggi contemporaneamente. Ovviamente la
larghezza della zona in cui vengono raccolti i dati (area in cui giungono i raggi)
è proporzionale alla profondità.

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La nave si muove e invia un impulso in genere ogni 10s.
La larghezza dell’area investigata è funzione dell’angolo massimo del fascio (dipende dagli strumenti).
Chiaramente perciò dipende dalla profondità dell’acqua.
Anche la risoluzione è in funzione della profondità: più è profondo meno i dati registrati sono precisi.

I dati devono essere processati e poi plottati, possono essere restituiti come carte con linee isobate o come
rilievi ombreggiati (shaded relief).

Questa immagine, per esempio, rappresenta un cratere vulcanico: le zone


rosse sono quelle meno profonde, quelle blu le più profonde.

Quello che viene chiamato “passo di griglia” è dettato dalla distanza tra un
impulso e l’altro (che dipende dalla velocità della nave), dal numero di
fasci, dalla profondità. Viene quindi stilata una griglia.
La risoluzione quindi dipende anche dal passo di griglia che viene deciso in
funzione dell’accuratezza e del tempo macchina che si vuole utilizzare.
Si può grigliare con ordini di grandezza differenti: una stessa area può
essere grigliata con un passo di griglia più o meno largo, ma se è piccolo la
risoluzione è più dettagliata e precisa.
In immagine è rappresentato un canyon sottomarino.

Il multibeam può essere montato su un autonomous underwater vehicle (AUV),


strumento utilizzato in metodi diretti: la risoluzione aumenta notevolmente perché la
distanza dal fondo è diminuita. Si tratta di uno strumento che viene agganciato alla
base della nave e viene calato più a fondo.

Le caratteristiche del fondale ottenute tramite


la batimetria possono dare indicazioni su
variazioni ambientali e anche sulla
distribuzione di organismi sui fondali.
In immagine sono indicati i vari organismi
distribuiti nelle diverse zone, vi sono i coralli
scompaginati e pezzi di carbonato nelle zone
più profonde che stanno sotto la barriera
corallina (presente in zone meno profonde). Vi
sono poi zone più superficiali in cui vi sono sia

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coralli che sedimento dato che i sedimenti di carbonato dei coralli delle zone più profonde vengono trascinati
dalle correnti fino alle zone più in superfice.

È stata mappata, per esempio, la localizzazione della


posidonia oceanica che si localizza in zone poco
profonde. Nell’immagine sono visibili, inoltre, le onde
di sedimento dovute alle correnti sul fondo marino.
Ciò significa quindi che il sedimento sul fondo è
mobile.

Con i vari strumenti a nostra disposizione si possono ottenere ripetutamente acquisizioni di dati in momenti
successivi: possono darci informazioni su cambiamenti della profondità dei fondali, su variazioni
dell’ambiente, erosioni, nuove deposizioni.

SIDESCAN SONAR- riflettività del fondo


La tecnica sidescan utilizza sempre onde acustiche ma viene misurata
l’energia con la quale il segnale torna: la sua intensità dipende dalle
caratteristiche fisiche del fondo marino. Le regioni di incidenza delle onde
sono i punti di massio ritorno mentre le zone d’ombra non rinviano nulla.
I dati sono plottati come intensità del segnale di ritorno in scale di grigio. La
risoluzione dipende dalla spaziatura dei pixel. Le zone bianche son le più
superficiali, le grige più profonde.
Anche con questa tecnica si registrano le onde di sedimento, i relitti….

Il sidescan sonar ci dà informazioni sull’impedenza acustica delle rocce che affiorano sul fondo.
L’impedenza acustica è funzione principalmente della granulometria.
Il sidescan sonar ci dà informazioni sulla rugosità (granulometria e microtopografia). L’energia del segnale
di ritorno è controllata dalla densità delle rocce.

Si riesce a mappare meglio con il sidescan rispetto al multibeam (vedi immagine) dato che si riesce a
acquisire più dati ed informazioni: si riesce a registrare la tipologia del sedimento del fondale (più fine o più
grossolano). Quindi le informazioni sulla topografia del fondo possono avere maggiore risoluzione di quelle
ottenute con il multibeam.

Sul fondale sono presenti elementi rari come noduli ferro-manganesiferi che contengono litio ed altri
elementi che saranno utili in futuro per la transizione ecologica; grazie al sidescan si riescono ad acquisire
anche questi dati. La distribuzione dei sedimenti influenzerà anche la distribuzione dei microrganismi.

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La risoluzione dipende dalle frequenze utilizzate, più alta è la frequenza, migliore sarà la risoluzione.
Il sidescan è utilizzato anche per identificare i gasdotti sui fondali marini.

Nelle lagune strette e parallele alla costa


vi era poco sedimento durante la
trasgressione olocenica; il mare è risalito
lentamente e si sono create lagune con
sedimenti grossolani.

La carta bionomica (vedi immagine) è la


carta di distribuzione degli organismi e
sono mappati i vari organismi in funzione
del tipo di sedimento.

Il corallino, per esempio, è presente sulla barriera corallina con sedimento grossolano e sabbie cementate sul
fondale; non è presente invece dove il fondale ha sedimento fine.

SUBBOTTON PROFILES
Il principio è simile a quello dell’echo sounder: viene emessa
un’onda acustica. L’energia è maggiore, la frequenza minore, il
raggio penetra al di sotto del fondo marino. Il subbottom fornisce
immagini della stratigrafia fino a circa 100 metri al di sotto del
fondo marino. Bisogna utilizzare basse frequenze.

Gli attributi fondamentali del subbottom sono:


- Risoluzione verticale = il minimo spessore che viene
distinto nella immagine (può essere minore di 1 m);
- Penetrazione = massima profondità al di sotto del fondo
che viene restituita nell’immagine.

La risoluzione verticale (cioè lo spessore minimo che può essere identificato) aumenta utilizzando alte
frequenze dell’impulso acustico. La penetrazione è minore all’aumentare della frequenza e della risoluzione.
A parità di frequenza utilizzata la penetrazione ci dà indicazioni dell’impedenza acustica e quindi una prima
approssimazione della granulometria sul fondo marino.

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Il subbottom dà anche indicazioni sulle caratteristiche dei corpi deposizionali. Quindi può essere utilizzato
per risalire ai processi sul fondo marino. Può darci anche indicazioni sulla risalita di fluidi e sui loro punti di
emissione sul fondale. Ci da indicazione delle strutture tettoniche. Può darci indicazioni dirette sulla
presenza di organismi sul fondo ma anche nella colonna d’acqua (banchi di pesci, per esempio).

Con gli strumenti di nuova generazione sono possibili investigazioni con camere: avendo già tutte le
informazioni utili per mappare (grazie alle varie tecniche elencate) a questo punto, per sostanziare i dati
indiretti, è importante verificare tramite metodi diretti.

METODI DIRETTI

CAROTIERE A GRAVITA’
Si utilizza soprattutto per fondali soffici ed è
costituito da tubi (di lunghezze diverse) e da
un peso laterale: quando il peso tocca il fondo
il tubo viene rilasciato e penetra nel fondale
soffice.
Il carotiere da informazioni sulla stratigrafia
del sottofondo. Si possono fare dei campioni
del fondale per capire quali animali ci vivono
e vivevano per poi analizzare i dati. Si
possono ricavare numerosi parametri, le loro
variazioni in verticale corrispondono a
variazioni nel tempo dei caratteri della
sedimentazione.

BOX CORER
Si può effettuare una penetrazione di circa 50cm al di sotto del fondale e si può recuperare una sezione (dal
diametro variabile da 50cm a 1m); preserva l’interfaccia acqua-sedimento. Si possono fare
sottocampionamenti inserendo tubi di PVC a bordo.

DRAGA
È un cilindro con punte aguzze: viene trascinato dalla nave, abbassato poi trascinato sul fondo. Le punte
aguzze rompono ciò che incontra anche se è duro (a differenza del carotiere che viene utilizzato su fondi
soffici). Il dragaggio si usa in aree dove le precedenti indagini hanno indicato la presenza di fondali duri con
probabili affioramenti di roccia. È un sistema molto invasivo, si tende ad usare sempre meno.

AUV
Lo strumento, già accennato a pag 5, è chiamato autonomous underwater vehicle ed è uno strumento di
misura diretta utilizzabile anche con strumenti a misurazioni indirette.

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Con l’integrazione di tutti questi elementi e di tutte queste tecniche indirette e dirette si riescono a costruire
carte precise che registrano informazioni su fondali, organismi, reefs, eruttazioni ecc…
ESPANSIONE OCEANICA, TETTONICA DELLE PLACCHE
E BACINI OCEANICI
Già nel 1620 era stato evidenziato che spostando i continenti e avvicinandoli questi combaciavano
ragionevolmente (più di tutti l’Africa del nord e l’America settentrionale combaciano molto bene). Venne
avanzata quindi da Wegener la teoria della deriva dei continenti: inizialmente i continenti erano tutti
attaccati nel super continente Pangea contornata da un’unica grande massa oceanica chiamata Panthalassa,
fino a quando i continenti cominciarono a separarsi 200 milioni di anni fa.

Le varie ere sono suddivise in base a


completi cambiamenti di flora e fauna
dovute a estinzioni di massa (si parla di
microrganismi, non organismi grandi).
L’evoluzione dei microrganismi può
essere utilizzata per la datazione.

Prove a sostegno della teoria di Wegener


La teoria avanzata da Wegener si basava anche su evidenze paleontologiche, biologiche e geologiche.
- Prove paleontologiche: si trovano attualmente fossili in diversi continenti che una volta erano in
quell’ unico super continente Pangea;
- Prove biologiche: in continenti diversi attualmente abitano le stesse specie di animali (che
ovviamente hanno subìto diversi processi evolutivi);

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- Prove geologiche: in diversi continenti attuali si ritrovano rocce dello stesso tipo, età, corpi
magmatici, ghiacciai che, se venissero avvicinati, costituirebbero una stessa “cintura”.
Ad esempio: il mais è distribuito sia in Africa che in America alla stessa altezza costituendo una grande
fascia meridionale.
Wegener continuò nella trattazione della sua ipotesi affermando che i continenti si potevano muovere ma in
modo indipendente dagli oceani su un mantello fluido (l’oceano però non è fluido, il fondo è duro) e che le
catene montuose si formavano per l’effetto di corrugamento delle masse continentali al di sopra degli oceani.

L’ipotesi di Wegener non fu riconosciuta valida proprio perché l’oceano non è fluido. Pertanto la conoscenza
della struttura interna della terra era di fondamentale importanza per confermare o smentire la teoria di
Wegener.
Già nel 1700 gli studi sull’orbita terrestre avevano permesso di calcolare una massa approssimativa della
terra. Questi calcoli dimostravano che la parte interna della terra doveva contenere rocce con una densità
molto maggiore di quella delle rocce che affiorano sulla superficie terrestre. Questa struttura è in accordo con
la formazione della terra per accrezione da una nuvola di gas, polvere, ghiaccio e frammenti stellari .
La forza di gravità ha separato i componenti per densità formando una serie di livelli all’interno della
terra.
Un metodo efficace per determinare la struttura interna della terra sarebbe quello delle perforazioni.
Purtroppo le temperature e le pressioni che si incontrano all’interno della terra rendono questo approccio
impossibile.
Per investigare la struttura interna della terra sono pertanto necessari metodi indiretti.

ONDE E FREQUENZE
A partire dal 1800 gli scienziati avevano evidenziato che onde a bassa frequenza possono viaggiare
all’interno della terra.

È il caso dei terremoti: onde sismiche naturali che vengono riflesse e


rifratte, sono influenzate dalla densità e dalla massa all’interno delle
rocce in cui si propagano producendo come effetto un terremoto. Gli
studi sui loro tempi di arrivo alla superficie possono rivelare importanti
informazioni riguardo l’interno della terra.
Le onde sismiche sono di due tipi: onde di superficie ed onde interne.

Le onde interne sono di due tipi:


- onde P (o primarie) onde di compressione simili alle onde
acustiche.
- onde S (o secondarie) onde di taglio, non si propagano nei
liquidi.
Le onde P viaggiano a velocità doppia rispetto alle S, pertanto in seguito a
un terremoto le onde P sono le prime ad arrivare a un sismografo distante.
La velocità delle onde dipende dal tipo di mezzo attraversato.

Pertanto l’analisi di onde sismiche che ritornano alla superficie terrestre


dopo averne attraversato l’interno ci dà informazioni sullo stato delle rocce
attraversate (solide, allo stato liquido o parzialmente fuse).
Tramite l’analisi del comportamento delle onde sismiche è stato così
possibile determinare le variazioni della velocità delle onde nei vari strati
della terra.

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LA TERRA A STRATI
L’interno della terra è stato suddiviso in livelli in
funzione delle proprietà fisiche, che rappresentano il
primo fattore di controllo sul comportamento della
materia che costituisce il globo terrestre.
Le differenti condizioni di pressione e temperatura
all’interno della terra influenzano le proprietà fisiche e la
reologia dei materiali.

Litosfera: è lo strato esterno rigido della terra con


spessore di 100-200 km. La litosfera rigida galleggia sulla
più densa e deformabile astenosfera.
Astenosfera: al di sotto della litosfera, è lo strato caldo,
parzialmente fuso che ha la capacità di fluire lentamente e
si estende fino a profondità di circa 350-600 km. È uno
strato plastico.

L’astenosfera è parzialmente fusa perché in quell’intervallo di profondità la curva del gradiente geotermico
si avvicina a quella di fusione parziale delle rocce mantelliche. La percentuale di fuso è molto bassa ma è
sufficiente a variare la reologia delle rocce.

Anche le proprietà fisiche (che ci interessano) variano:

Il calore proviene dall’energia emessa dagli atomi radioattivi (i principali sono potassio, uranio e torio);
inoltre il calore proveniente dall’interno della terra è il motore che mantiene l’astenosfera deformabile e
quindi permette i movimenti della sovrastante litosfera.
La litosfera oceanica e quella continentale sono diverse. A causa della più bassa densità della litosfera
continentale, essa può risalire al di sopra del livello marino. Al contrario, la crosta oceanica più sottile e
densa è quasi sempre sommersa.
Il riconoscimento di un livello plastico all’interno della terra - l’astenosfera - era l’elemento mancante alla
teoria di Wegener. Le varie prove elencate andavano a sostenere quindi la teoria di Wegener della deriva
continentale poi a seguito sviluppata nella teoria della tettonica a placche.

La struttura interna della terra fa sì che la terra sia geologicamente attiva come ci è testimoniato in modo
evidente per esempio dai terremoti e dai vulcani, processi evidenti. Sono inoltre da considerare però anche i
processi meno evidenti che avvengono in larga scala, su tempi che l’uomo non può osservare: si tratta ad

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esempio della nascita delle catene orogeniche, lo spostamento dei continenti, la natura dei fondali marini e
tutte le strutture geologiche (in fondo controllate dalla struttura interna della terra e dalla distribuzione del
calore).

Nel 1935 si iniziò a pensare che la


distribuzione dei terremoti e dei
vulcani fosse in relazione con la
deriva continentale. I terremoti
marcano i confini delle placche (vedi
in immagine le zone rosse): le più
numerose misure misero in evidenza
che i terremoti profondi non erano
distribuiti casualmente sulla terra ma
erano concentrati in cinture lineari
lungo la superficie terrestre.

MARGINI (approfonditi a seguito)


Le placche interagiscono in margini divergenti, convergenti (o laterali) e trasformi (o trascorrenti).
- I margini divergenti corrispondono alle dorsali oceaniche, zona in cui si forma la nuova litosfera. In
alcuni casi ci si ritrova di fronte a pennacchi astenosferici e fenomeni di vulcanesimo;
- nei margini convergenti le placche collidono e una si immerge sotto l’altra (subduzione) e si formano
le catene montuose;
- nei margini trasformi una placca si muove lateralmente rispetto ad un’altra.
I margini divergenti sono detti costruttivi, i convergenti invece distruttivi mentre i margini trasformi sono
conservativi.

PROVE A SOSTEGNO DELLA TEORIA DELLE PLACCHE: rocce, sedimenti e paleomagnetismo


L’età delle rocce suggerisce che la teoria della tettonica a placche è vera. L’età dei sedimenti varia: le età
delle rocce più antiche sono sempre più lontane dal centro degli oceani, vicine ai continenti.
Nell’immagine sottostante il rosso indica le rocce più giovani e allontanandosi sono più vecchie.

Questa datazione spiega il perché del movimento delle placche, suggerisce che i continenti erano più vicini e
mano a mano si solo allontanati, lasciando tra loro dello spazio in cui sono venute a definirsi nuove rocce. Le
rocce più recenti corrispondono all’astenosfera che raggiunge la superfice.
Anche lo spessore dei sedimenti varia: lo spessore diminuisce andando verso il centro degli oceani, c’è stato
più tempo per accumulare sedimenti al di sopra della crosta oceanica.
Il magnetismo terreste, assieme a queste osservazioni, portò alla riconferma della teoria delle placche.
Il campo magnetico terreste è causato dal movimento di metalli fusi nel nucleo terrestre; nei magmi sono
contenuti piccoli minerali ferrosi magnetici. Quando questi magmi vengono in superficie i minerali agiscono
come aghi in miniatura della bussola. Quando si raffreddano sotto il loro punto di Curie essi si allineano col

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campo magnetico terrestre. Essi pertanto registrano la direzione del campo magnetico al momento della loro
solidificazione. Il paleomagnetismo è lo studio dell'orientamento e dell'intensità del campo magnetico
terrestre nel corso delle ere geologiche in base ai dati forniti dal magnetismo delle rocce vulcaniche.

Negli anni ‘50 intense ricerche con magnetometri rivelarono


che i fondali oceanici mostravano bande parallele alla
dorsale con valori alternati positivi e negativi di
paleomagnetismo.
Le bande erano simmetriche rispetto alla dorsale. Il campo
magnetico terrestre si inverte nel tempo ad intervalli
irregolari; le bande a polarità alterna sui fondali oceanici
rappresentavano rocce formatesi durante periodi di polarità
positiva o negativa.

Essi ipotizzarono che le rocce si formavano nelle aree


centrali degli oceani e successivamente venivano traslate.
Questa fu la prova definitiva che la teoria dell’espansione
oceanica era possibile (teoria discussa sotto).

Sulla base di tutte queste evidenze, nel 1960 Harry Hess e Robert Dietz proposero una nuova radicale idea
per spiegare la distribuzione dei continenti e degli oceani: la teoria dell’espansione oceanica. Essi
ipotizzarono che lungo le dorsali medio-oceaniche si formava continuamente nuova crosta oceanica che poi
si spostava lateralmente da questa linea di formazione, lasciando lo spazio per la formazione di nuova
litosfera oceanica.
Il motore fondamentale di questo processo sono i moti convettivi all’interno della terra. Quando
l’astenosfera viene riscaldata, si espande, diventa meno densa e sale. La risalita adiabatica provoca la
fusione parziale e la formazione di magma. Ogni tanto avvengono eruzioni di lava.

Quando il pennacchio di materiale caldo dovuto alla risalita di una cella convettiva di astenosfera raggiunge
la litosfera, la solleva e la frattura e avviene lungo le dorsali oceaniche che rappresentano il limite di due
placche che si allontanano.
Siccome la superficie della terra non aumenta, se nuova crosta viene creata ne deve essere distrutta altrettanta
(in altre parti del globo).
Venne così ipotizzato che lungo i margini del Pacifico e in generale in quelli convergenti, la litosfera
oceanica si immerge al di sotto di quella continentale. Questo processo è chiamato subduzione: la litosfera
oceanica, più densa, tende ad andare sotto alla litosfera continentale.
Andando in profondità si alza la temperatura, il meriale può andare in contro a fusione: si ottiene del magma
che risale e dà origine a lave e vulcani.

Lo svilippo delle tecniche della datazione assoluta tramite la radiometria permise di datare le rocce. Fu
stabilito che la parte di oceano più vecchia era solo 200 milioni di anni, mentre nei blocchi continentali si
avevano età di 4 miliardi di anni.

13
Finalmente nel 1965 la teoria della deriva continentale fu unificata a quella dell’espansione oceanica nella
formulazione della teoria della tettonica a placche da parte del geofisico John Tuzo Wilson.
In questa teoria la parte esterna della terra consiste di circa 12 placche litosferiche che galleggiano
sull’astenosfera.

APPROFONDIMENTO SUI MARGINI


1. Margini divergenti costruttivi
Un pennacchio astenosferico che risale causa
l’inarcamento e la fratturazione della litosfera
sovrastante.
Successivamente il magma può intrudersi lungo le
faglie e le fratture e può dare origine a colate
laviche basaltiche. Una valle di rift è generalmente
bordata da faglie.
Con il progredire del processo, l’estensione
litosferica è tale che si formano due placche
separate e viene prodotta nuova crosta oceanica tra
le due, al limite delle due placche.
Sono detti margini passivi perché non di placca:
sono il limite tra il continente e l’oceano.

La rift valley è così chiamata perché è ancora in un


processo di rift in cui le due placche stanno
iniziando a separarsi: è il processo embrionale che
porterà alla formazione di oceano che separerà
l’africa dalla solamia ecc.

Nelle dorsali oceaniche la risalita dell’astenosfera causa fenomeni vulcanici attraverso i quali si ha la
formazione di nuova crosta oceanica. Le due nuove placche si spostano lateralmente con una velocità che è
in media di 5 cm l’anno. Nelle dorsali oceaniche si hanno rocce di tipo effusivo ed intrusivo. Prevalgono i
basalti spesso con struttura a cuscino a causa del rapido raffreddamento.
Le rocce vulcaniche forniscono zone con substrato duro che costituiscono aree molto peculiari nelle regioni
oceaniche caratterizzate in genere da fondali morbidi.
Il fondale è accidentato e i terremoti sono frequenti. Si formano frane che danno origine ad accumuli di
detrito di rocce vulcaniche.

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Allontanandosi dalla zona di dorsale infatti la sedimentazione prevale e il fondo marino è costituito da
sedimenti che costituiscono un substrato soffice. L’ambiente diventa una monotona piana abissale
sedimentata.

Idrotermalismo
I processi vulcanici sono spesso associati ad
idrotermalismo: la risalita di fluidi caldi che
vengono emessi sul fondo marino. Dalla zona in
cui vi sono rocce calde o magma si ha acqua
marina che si infiltra all’interno e viene riscaldata
e diminuisce di densità; tende quindi a salire
dando origine a emissioni di acqua calde sul
fondo marino. L’ambiente è particolare e dà
origine anche a comunità: i fluidi caldi sono ricchi
di ferro, zolfo, solfato di calcio, solfato di bario…

Sono infatti presenti diversi organismi batterici in base ai diversi ambienti: la fauna è costituita da organismi
che vivono con chemiosintesi in zone caldissime.
I fluidi idrotermali sono ricchi di gas.
Vi sono comunità chemiosintetiche che portano alle varie sostante organiche.
Le oasi sono abbastanza piccole, si hanno organismi diversi anche a distanze di 100m, a mano a mano che ci
si allontana dai vulcani non si hanno tracce di idrotermalismo e chemiosintesi.

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2. Margini convergenti distruttivi
Lungo i margini convergenti viene distrutta la litosfera. A seconda dei tipi di placche la convergenza è di tre
tipi:
- Convergenza oceano-continente,
- Convergenza oceano-oceano,
- Convergenza continente-continente.
Al contrario dei margini divergenti, i margini convergenti sono detti margini attivi.

Nel caso della convergenza oceano-oceano una delle 2 sarà


più vecchia e pertanto più densa e fredda e si immergerà
sotto l’altra più giovane. Si può formare un arco vulcanico.
Tipicamente poi sono zone in cui si formano le fosse
oceaniche più profonde.
Parte della crosta oceanica e dei sedimenti fondono mentre
vengono riportati in profondità e la temperatura aumenta. I
componenti volatili, principalmente acqua e anidride
carbonica, salgono. La presenza di gas abbassa la temperatura
di fusione nel mantello della placca sovrastante e forma
magmi ricchi in gas disciolti. Questo magma può risalire alla
superficie e dare origine ad eruzioni vulcaniche che formano
archi vulcanici.
Si formano fosse oceaniche arcuate. I vulcani possono
crescere dai fondali fino ad emergere dando origine ad arcuate
catene di vulcani (archi vulcanici).
La crosta oceanica e sovrastanti sedimenti sono deformati ed
impilati in cunei di accrezione. Fra l’arco e il cuneo di
accrezione può formarsi un bacino di avanarco.

Nella convergenza oceano-continente si ha, anche in


questo caso, vulcanesimo e fossa oceanica (meno
sviluppato rispetto al primo caso). Il ring of fire che limita
l’oceano Pacifico marca la zona di subduzione di litosfera
oceanica della placca Pacifica. (una zona di subduzione è
presente anche nell’Italia meridionale: l’arco delle isole
Eolie si trova al di sopra della placca ionica in subduzione,
l’arco calabro è il cuneo di accrezione). Nelle zone di
subduzione, possono formarsi bacini di retroarco.

Nella convergenza continente-continente il processo di


subduzione può progredire fino alla totale consumazione
della crosta oceanica. A questo punto avviene la collisione
continentale. In questo caso, ambedue le placche sono poco
dense e leggere: esse non possono subdurre. Ambedue

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saranno soggette a forte compressione con pieghe, faglie e sollevamento. Questo è il processo che porta alla
formazione delle catene montuose collisionali.

Non tutta la crosta oceanica viene subdotta: una piccolissima quantità può essere accreta ai margini
continentali nel processo dell’obduzione durante la formazione delle catene montuose come le Ande.

Le Alpi e gli appennini sono formati dalla collisione fra placca africana ed europea. L’Himalaya è formata
dalla collisone fra placca indiana ed asiatica.

Da ricordare che la subduzione dà origine anche al metamorfismo: parte della crosta oceanica e dei sedimenti
fondono mentre vengono riportati in profondità e la temperatura aumenta e subiscono il processo del
metamorfismo.

3. Margini trasformi o trascorrenti


L’asse delle dorsali oceaniche non è una linea retta, ma è una traccia discontinua costituita da numerose
faglie. Queste faglie sono dette trasformi o trascorrenti.
Nelle faglie trasformi la crosta non è né creata né
distrutta.
Le faglie trascorrenti sono presenti anche a terra, la
più famosa e studiata è quella di san Andreas che
attraversa gran parte della California.
I movimenti trascorrenti sono associati a movimenti
verticali che in alcuni casi possono dare origine anche
a bacini marini.

Pennacchi di mantello e punti caldi


I pennacchi di mantello (mantle plume) sono zone verticali puntiformi di
risalita di materiale mantellico abnormalmente caldo. La differenza
rispetto alle dorsali oceaniche è che non costituiscono linee continue. La
sommità del pennacchio può fondere quando raggiunge basse profondità
e può dare origine a fusi che originano vulcani. Mentre il punto caldo è
fisso nell’astenosfera, sopra la litosfera si muove. Si passa da uno stadio
insulare attivo ad uno stadio di seamounts inattivo.
In genere si formano lontano dai limiti di placca. Formano catene lineari
di vulcani che costituiscono seamounts o isole vulcaniche.
L’allineamento dei vulcani corrisponde con la direzione di movimento
della placca. Se la linea prende un’altra direzione significa che le placche
hanno una variazione. Allontanandosi dal punto caldo i vulcani
diventano inattivi. Restano seamounts.

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I continenti sono trasportati dalle stesse forze che causano la crescita degli oceani.
In immagine sottostante si vede (da sinistra a destra):
- placca pacifica,
- margine convergente e subduzione (margine attivo, formazione della catena orogenica e
vulcanesimo per fusione);
- margine divergente a cui conseguono fenomeni di vulcanesimo per fusione e formazione della
dorsale medio oceanica (margine passivo);
- la litosfera oceanica dell’atlantico è solidale con quella continentale.

A partire dagli anni 70 la teoria trovò una piena affermazione anche tramite nuove spedizioni che ne
verificarono gli assunti.
Questa teoria rappresenta la più grande rivoluzione nella storia delle ricerche geologiche. Tutti i geologi in
ogni campo dovettero rivedere le loro idee alla luce di questa nuova teoria.
L’importanza e l’impatto della teoria della tettonica a placche ebbe lo stesso impatto che sui biologi ebbe la
teoria dell’evoluzione dei Darwin. In entrambi i casi una serie di fatti apparentemente non correlati furono
unificati da un’idea centrale.

La teoria della tettonica a placche (1965) spiegava:


- L’aumento di profondità dei bacini oceanici verso i continenti (aumento di densità dovuta al
raffreddamento della crosta oceanica);
- L’aumento di copertura sedimentaria verso i margini (età dei bacini oceanici);
- La mancanza di oceani antichi;
- Le bande paleomagnetiche;
- La presenza di catene di vulcani e i terremoti lungo le dorsali dovute alla risalita del materiale caldo
astenosferico e nelle zone di subduzione.

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Riassumendo:

I tempi corrispondono circa a 150-200 milioni di anni.

19
LA GENESI DEI SEDIMENTI E DELLE ROCCE SEDIMENTARIE
Le rocce sedimentarie e i sedimenti si formano attraverso un processo evolutivo che comprende i seguenti 4
stadi:
- erosione ed alterazione,
- trasporto,
- deposizione,
- diagenesi.

Erosione ed alterazione
L’erosione si associa al concetto di provenienza che comprende: la localizzazione, il clima, la composizione
litologica, il rilievo e l’ambiente tettonico dell’area da cui proviene il sedimento. È il fattore principale che
controlla la composizione dei sedimenti.

Trasporto
Si tratta della dispersione che aria, acqua, ghiaccio, vento (agenti esogeni) esercitano su residui che si sono
originanti dalla disgregazione di rocce preesistenti o da qualche altro materiale sciolto.

Deposizione
Si intendono i processi che caratterizzano la fase di deposizione del sedimento in un uno specifico ambiente
deposizionale.

Diagenesi
È costituita dai processi fisici e chimici che trasformano un sedimento sciolto in una roccia coerente. A mano
a mano che il sedimento nuovo si pone su quello vecchio quello sotto sprofonda sovrastato dal peso (il
processo continua per chilometri) e l’acqua che è presente tra i vari granuli si perde. Il sedimento a seguito di
vari processi chimici e fisici viene trasformato in roccia, durante la diagenesi avviene infatti la cementazione.

Questi quattro processi non rivestono la stessa importanza per tutti i sedimenti e le rocce. Nel caso di una
roccia evaporitica, come il gesso, formato nello stesso ambiente di deposizione, la provenienza e il trasporto
sono insignificanti. Lo stesso è valido per un
carbonato formato in ambiente di scogliera
corallina. Tutti e 4 i processi valgono in genere
solo per i cosiddetti sedimenti terrigeni.

TIPOLOGIE DI ROCCE
Le rocce sedimentarie e i sedimenti hanno tre
proprietà fondamentali: composizione, tessitura e
struttura. La classificazione generale è
rappresentata in immagine in base alle
caratteristiche genetico-tessiturali.
Si distinguono rocce residuali e rocce carbonatiche.
Tra le carbonatiche sono comprese le rocce:
1. particellari
2. biocostruite
3. cristalline

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Le rocce residuali si formano in situ per degradazione o decomposizione chimica e/o fisica di materiali
preesistenti.

ROCCE CARBONATICHE
1. Le rocce particellari (o granulari) sono costituite da elementi singoli e separati, detti clastici, la cui
deposizione è principalmente controllata dalla gravità e dalla meccanica dei fluidi. I processi sono dovuti al
vento (processi idrodinamici).
2. Le rocce biocostruite si accrescono in situ e sono fabbricate interamente da organismi. Esse non subiscono
trasporto. Un esempio sono le dolomiti con rocce molto antiche con antiche scogliere coralline formate
quando le zone erano vicine all’equatore. Nascono per secrezioni biochimiche.
3. Le rocce cristalline derivano essenzialmente da processi chimici con temperatura e concentrazione della
soluzione come fattori critici.

I sedimenti e le rocce carbonatiche sono costituiti per definizione da almeno il 50% di minerali carbonatici.
Le principali rocce sono i calcari e le dolomie. I carbonati si differenziano nettamente da altri sedimenti per:
- La loro stretta connessione con il mondo biologico sia vegetale che animale,
- La produzione e la deposizione locale,
- La diagenesi precoce, continua e penetrante.

La composizione delle rocce carbonatiche è piuttosto uniforme. I principali minerali che costituiscono i
sedimenti carbonatici attuali sono tre carbonati anidri di Ca e Mg:
- Calcite CaCO3
- Aragonite CaCO3
- Dolomite CaMg(CO3)2

Geneticamente le rocce carbonatiche comprendono, come già detto, un ampio spettro di processi. È
compreso il carbonato particellare (cementazione di sabbia originatesi per disgregazione di un massiccio
calcare preesistente o di granuli presenti nel bacino deposizionale), il carbonato biocostruito (secrezione
scheletrica come nelle scogliere coralline) e carbonato cristallino (precipitazione diretta in grotta, vicino a
una sorgente, in mare).

La distinzione e classificazione tessiturale dei carbonati è fatta sulla percentuale di granuli e matrice.

1. ROCCE PARTICELLARI (o granulari)


La degradazione delle rocce si attua attraverso processi di degradazione fisica (termoclastismo,
crioclastismo) e chimica (ossidazione, dissoluzione, idrolisi, idratazione).
Si parla di raggio idraulico (dimensione e forma della roccia o del granulo, dimensioni variabili). Il fluido e i
granuli si comportano come fasi distinte ed indipendenti. Il flusso è detto normale o tipico (idrico eolico
gassoso). In questo caso la deposizione avviene tramite la semplice separazione delle singole particelle.

Vi sono movimenti detti processi trattivi che modellano il fondo


marino creando delle forme di fondo; in questo caso i depositi sono
caratterizzati da laminazione o stratificazione incrociata. Queste
strutture trattive si originano da una corrente unidirezionale e si
classificano in base alla scala di rilievo. Le forme di fondo possono
essere di vario tipo.

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Un altro processo è relativo alle strutture da decantazione. La decantazione avviene da sospensioni diluite
quando la velocità della corrente scende e non è più in grado di sostenere le particelle.
Il deposito tende ad essere gradato (le particelle più grandi e/o pesanti sedimentano prima).

La granulometria è il fondamentale attributo tessiturale delle rocce granulari (clastiche o terrigene o


silicoclastiche). Rappresenta le dimensioni degli elementi (ciottoli, granuli, particelle) che compongono una
roccia sedimentaria a tessitura granulare. In campagna o durante una crociera oceanografica si misura con
comparatori mentre in laboratorio si utilizzano sedigrafi.

Da ricordare le suddivisioni tra sabbia, ghiaia ecc


(vedi foto a destra): in ordine di granulometria
decrescente abbiamo ghiaia, sabbia e argilla.

La granulometria è anche alla base della


principale classificazione.
Infatti, in molti casi un sedimento non è costituito
da una sola classe granulometrica ma da una
commistione di varie granulometrie.

Se c’è una corrente che oscilla, a volte più forte e


a volte più lenta, si avranno sedimenti misti: il
sedimento ci dà indicazioni sulla
costanza/variabilità di un ambiente.
In un ambiente non soggetto a variazioni
particolari si avrà uno stesso sedimento non
misto.

Sabbie e arenarie Esistono più di 50


classificazioni che sulla base di vari criteri
identificano le sabbie e le arenarie. I principali
elementi costituenti le arenarie sono i granuli di
quarzo di feldspato e i frammenti di roccia.

Conglomerato ghiaia cementata, accumulo di ciottoli arrotondati. I clasti possono essere a contatto
(ortoconglomerato) o circondati da matrice (paraconglomerato).
- Pietrisco, detrito o maceratoUn accumulo con clasti delle stesse dimensioni di un conglomerato,
ma con clasti angolosi sciolti.
- BrecciaNel caso il conglomerato sia litificato

Tipologie di granuli
La cementazione precoce avviene anche sul fondo marino, si tratta di fondale duro.

Grani di origine scheletrica


Sono rappresentati dagli scheletri interi o in frammenti di organismi marini. Generalmente alghe o
invertebrati. Il termine bioclasto si applica a un frammento di scheletro, il termine biosoma quando lo
scheletro è intero.

Grani di origine detritica


La disgregazione di rocce carbonatiche più antiche già da lungo tempo litificate dà origine a clasti
carbonatici che possono formare sedimenti esclusivamente carbonatici a tessitura particellare. Sono
frammenti derivanti da carbonati preesistenti. La rottura di sedimento penecontemporaneo spesso
debolmente cementato origina intraclasti carbonatici.

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Peloidi
Aggregati di origine fecale (di organismi che vivono dentro i sedimenti, comuni in ambienti con abbondante
fango come nelle lagune) o aggregati di matrice (si formano per alterazione di particelle scheletriche da parte
di alghe endolitiche o per cementazione di aggregati friabili). Sono granuli subsferici, elissoidali o cilindrici
privi di tessitura interna con dimensioni da qualche micron a qualche millimetro.

Ooidi
Granuletti ovoidali o sferici costituiti da un nucleo e da un inviluppo corticale di lamelle concentriche. Le
ooidi sono tipiche di ambienti marini tropicali con forti correnti marine specialmente tidali.

L’origine degli ooidi deriva da:


- Precipitazione organica (precipitazione da alghe calcaree);
- Precipitazione inorganica (fisica-chimica), turbolenza, riscaldamento, perdita CO 2 precipitazione
CaCO3;
- Meccanica (adesione di granuletti a un nucleo centrale).

Noduli algali
Sono entità individuali accresciutesi contemporaneamente alla deposizione dei sedimenti circostanti in cui
sono inglobate. Per la loro formazione è stata determinate l’attività delle alghe. Anch’esse sono caratterizzate
da una struttura concentrica.

Oncoliti
Si tratta di corpi rotondeggianti formati da alghe cianoficee. Mediante la mucillagine algale esse catturano le
particelle in sospensione.

Rodoliti
Sono alghe coralline, dette anche alghe rosse o Rodoficee, che secrezionano CaCO 3 attorno ai filamenti o tra
le celle del tessuto organico. Pertanto, costituiscono lo scheletro vero e proprio dell’alga.

Fango o matrice
I vari tipi di granuli di dimensioni della sabbia che compongono un sedimento carbonatico sono
generalmente immersi in un materiale più fine: il fango. Nelle rocce carbonatiche il fango è detto micrite
(calcite microcristallina).
Il limite fra fango e granuli corrisponde alla granulometria che separa le peliti e le sabbie nei sedimenti
terrigeni.
I fanghi possono precipitare inorganicamente e la precipitazione di carbonato spesso è causato dalla fioritura
di diatomee. I fanghi carbonatici possono anche derivare dalla riduzione granulometrica degli scheletri. La
disintegrazione della parte scheletrica può avvenire:
- per la semplice rimozione della parte organica (alghe verdi, molluschi, celenterati);
- a causa dell’attività di organismi perforanti (molluschi, alghe e spugne);
- per la rottura fisica ed abrasione in ambienti a forte energia;
- per la masticazione ed ingestione di scheletri di invertebrati da parte di organismi (i pesci
ingeriscono coralli ed alghe coralline, 0,2 mm per miglio quadrato).
Negli ambienti profondi il fango calcareo è prodotto dalla decantazione di piccoli organismi planctonici.

Peliti (fanghi) Quando i silicati di una roccia sono soggetti a degradazione possono produrre minerali
argillosi che possono venire trasportati ed accumulati come sedimenti. I principali gruppi mineralogici delle
argille sono quelli dell’illite, della montmorillonite, caolinite e clorite. Al momento della deposizione il
fango può contenere fino al 70-90% di acqua. Un organismo che deve muoversi all’interno della poltiglia
riesce facilmente perché è presente acqua e i vari granuli tutti assieme costituiscono un ambiente fluido
adatto. Il colore delle peliti dipende dallo stato di ossidazione del ferro e dal contenuto in carbonio libero.
Esso è un importante indicatore delle condizioni ambientali e in particolare della presenza di ossigeno
nell’ambiente deposizionale. Argille nere, deposte in ambienti euxinici, sono ricche in sostanza organica.
Possono essere rocce madri per idrocarburi.

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Il limite tra il fango e la sabbia fine avviene nel punto in cui iniziano a verificarsi le onde.

2. ROCCE BIOCOSTRUITE
I carbonati biocostruiti possono anche accrescersi in situ attraverso la diretta attività fisiologica di organismi
sedentari formando rocce chiamate biolititi (rocce biocostruite). Il più classico esempio sono le scogliere
coralline dei mari del sud.

Stromatoliti
Sono strutture accresciute in situ mediante l’azione indiretta di alghe cianoficee o batteri. Sono costituite da
sedimento carbonatico particellare catturato nella mucillaggine algale e catturato a formare accrescimenti.
Sono presenti in poche aree di ambiente intertidale.
ROCCE EVAPORITICHE
Le evaporiti sono depositi salini che si formano per precipitazione diretta da soluzioni concentrate dette
salamoie o brine. La concentrazione deriva in generale dall’evaporazione. Possono essere costituite da un
gran numero di minerali, ma soltanto
- il gesso CaSO4, 2H2O
- l’anidrite CaSO4
- il salgemma NaCl
sono comuni e geologicamente importanti. Con l’evaporazione dell’acqua marina i sali precipitano in ordine
inverso alla loro solubilità.
Geologicamente le rocce evaporitiche sono ristrette ad intervalli temporali ben specifici nei quali però
possono avere grandi estensioni areali. In Europa tre intervalli di deposizione evaporitica sono nel Permiano,

nel Triassico e nel Miocene. Depositi evaporitici si stanno formando anche attualmente, per la maggior
parte in aree marine marginali (golfi, lagune, piane tidali) e in depressioni continentali occupate da specchi
d’acqua perenni (laghi) o stagionali (playa). Tutte queste zone sono caratterizzate da climi aridi e semiaridi.
Durante il processo di evaporazione l’acqua è tossica perciò gli organismi sono in genere assenti. Ma alghe
cianoficee e cianobatteri possono resistere e possono costruire i tappeti stromatolitici.

ALTRI SEDIMENTI
1. I sedimenti silicei e le selci si formano per cavitazione di organismi carbonatici. Gli organismi
silicei hanno bisogno di condizioni particolari (ad esempio l’abbondanza di materiale organico).
Sono friabili ma quando vengono cementate danno origine a rocce silicee: si passa da sedimenti
molto friabili a rocce dure. Il tipo di ossidazione è riconoscibile dalla colorazione.
2. Sedimenti ferro-manganesiferi ambiente con poco sedimento in cui il ferro e il manganese
possono precipitare dalla colonna d’acqua. I noduli ferro-manganesiferi sono frequenti sui fondali
oceanici. Costituiscono fondali duri e possono essere incrostati da coralli, briozoi ecc
3. Depositi fosfatici Le attuali si depositano in aree con bassa sedimentazione le cui acque
superficiali hanno alta produttività.
4. Sedimenti anossici ed argille nere (Black shales) formati in ambienti privi di ossigeno. Il
sapropel è una fanghiglia nerastra che risulta dall’accumulo di organismi planctonici e materiali
argillosi. Contiene più del 10% di materia organica.

ENERGIA AMBIENTALE, SEDIMENTI ED ORGANISMI


Il sedimento, come già detto, dà indicazioni sull’eventuale movimento delle correnti che causano la
formazione di dune sul sedimento stesso (tramite ad esempio i movimenti trattivi). L’energia controlla la
distribuzione di sedimenti che a sua volta controlla la distribuzione degli organismi in funzione del
comportamento di nutrizione. L’energia ambientale sul fondale influenza il benthos in due modi.

1. In prima istanza la turbolenza sul fondo muove continuamente i sedimenti creando un substrato instabile
e rendendo difficile lo sviluppo di epifauna. In alcuni casi l’energia è però talmente elevata che non
possono depositarsi sedimenti e sul fondale affiora un substrato duro. In questo caso si sviluppano
organismi in grado di ancorarsi o cementarsi sulla roccia anche in regime di forti correnti (Kelp,
molluschi, ostriche coralli anemoni), comunità particolari.

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2. L’energia sul fondo controlla la granulometria dei sedimenti. Il tipo di sedimento a sua volta controlla in
modo determinante la costituzione delle comunità bentoniche. Il comportamento di nutrizione del benthos
si correla chiaramente con la granulometria dei sedimenti.
- Alta energiaI fondali con ghiaia e sabbia grossolana sono popolati per la maggior parte (più del
70%) da organismi filtratori di sospensione. Le forti correnti fanno si che i filtratori dispongano di un
continuo apporto di detrito organico e plankton in sospensione.
- Media energiaI fondali con sabbia fine e silt hanno una fauna mista composta principalmente da:
organismi che filtrano i sedimenti, scarsa infauna di filtratori di sospensione e pochi filtratori
epifaunali.
- Bassa energiaI fondali con fango sono quasi esclusivamente abitati da organismi che si alimentano
ingerendo i sedimenti e il detrito. Questo substrato tende infatti ad avere una grossa quantità di
particelle di sostanza organica. Tipiche comunità di substrato soffice in funzione della granulometria
sono presenti nella piattaforma continentale dell’Atlantico.

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PROPRIETA’ FISICHE E CHIMICHE DEGLI OCEANI
Le proprietà fisiche dell’acqua sono determinate dalle caratteristiche chimiche delle sue molecole; le più
importanti sono legate al suo comportamento quando assorbe o cede calore. Le varie caratteristiche
dell’acqua mitigano il clima e hanno conseguenze anche per la vita e gli ambienti terrestri.
La capacità del galleggiamento del ghiaccio e l’alta capacità termica dell’acqua sono vitali al mantenimento
di temperature sulla terra; anche i cambiamenti di stato dell’acqua moderano la temperatura.

TEMPERATURA
La capacità termica dell’acqua è molto diversa da quella di terra e continenti.

Le temperature terrestri hanno una escursione di 140°C al massimo (dai ghiacciai ai deserti); negli oceani si
passa da -2 a 32°C, l’escursione termica è ridotta e ovviamente è dovuta alla distribuzione disomogenea
dell’insolazione sulla terra. La latitudine esercita un forte controllo sulla temperatura della superfice degli
oceani però a causa delle correnti superficiali ci sono zone alla stessa latitudine che hanno temperature
diverse.
Inoltre, siccome la quantità di insolazione varia con le stagioni, anche le temperature superficiali cambiano
nel tempo. L’intensa insolazione ai tropici e all’equatore produce un’ampia fascia con temperature superiori
a 25°C che si muove verso sud o verso nord a seconda della stagione.
Ai poli l’acqua è sempre inferiore agli 0°C.

Alle zone superficiali segue poi una zona detta termoclino, in particolare si ha (in sequenza):
- Superfice  zona miscelata, la temperatura non diminuisce più di tanto,
- Termoclino la temperatura cala drasticamente con la profondità,
- Zone abissali l’acqua ha una temperatura bassa e stabile.

Il termoclino è una struttura fisiografica la cui profondità varia fra 200 e


1000 m.
Il termoclino è presente in zone tropicali ed equatoriali, ai poli è assente
perché l’acqua è già fredda anche in superfice; nelle regioni temperate è
poco sviluppato.

A causa del riscaldamento solare, durante l’estate negli oceani delle medie
latitudini si forma un termoclino stagionale: si trova a profondità tra 40 e
100 m. Il termoclino stagionale si forma e scompare gradualmente (non è
presente nei mesi invernali) lasciando il posto al termoclino permanente.

SALINITA’
Componente di salinità: 34gr/kg di acqua circa. Il cloruro di sodio è uno dei Sali più disciolti: c’è prevalenza
di cloro e sodio. Vi sono poi solfato, magnesio, potassio ecc…
Quali sono i processi che portano ad una condizione di salinità? Eruzioni e idrotermalismo producono ioni.

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Sebbene la quantità totale di solidi disciolti (la salinità) vari in base ai diversi oceani, il rapporto fra gli ioni
maggiori rimane costante (principio delle proporzioni costanti). Questa relazione è conosciuta come il
principio di Forchhammer o delle proporzioni costanti.

L’oceano è in equilibrio chimico: le proporzioni e la quantità di sali disciolti per unità di volume di acqua
marina è quasi costante ed è rimasta tale per milioni di anni. Gli ioni devono essere immessi negli oceani allo
stesso tasso con cui sono rimossi: oceano è all’equilibrio. I sali aggiunti dal mantello o dall’alterazione delle
rocce sono bilanciate dalla sottrazione di minerali che vengono inglobati nei sedimenti.
Grazie al principio delle proporzioni costanti possiamo determinare solo un costituente maggiore per ricavare
la salinità dell’acqua di mare. Lo ione del cloro è facile da misurare e rappresenta sempre il 55,04% dei solidi
dissolti.
Il tempo di residenza di un elemento corrisponde alla lunghezza media che un atomo di quell’elemento
spende nell’oceano. Il tempo di residenza dei vari elementi dipende dalla loro attività chimica. Gli atomi o
gli ioni di certi elementi come l’alluminio e il ferro rimangono nell’acqua per tempi limitati prima di essere
incorporati nei sedimenti. Altro come il cloro, il sodio e il magnesio rimangono nell’acqua per milioni di
anni.
I maggiori costituenti mantengono proporzioni costanti, mentre le quantità e le proporzioni di elementi in
traccia o minori possono cambiare perché gli organismi li assorbono o li emettono per fattori geologici locali.
Si distinguono perciò costituenti conservativi, la cui quantità non varia nel tempo, e non conservativi, la cui
quantità è variabile.
I costituenti non conservativi sono le sostanze disciolte nell’acqua legate a cicli biologici o stagionali o a
cicli geologici di breve durata. Hanno un basso tempo di residenza. Componenti non conservativi dal punto
di vista biologico comprendono l’ossigeno prodotto dalle piante, l’anidride carbonica prodotta dagli animali,
i composti della silice e del calcio utilizzati nella fissazione dei gusci degli animali e delle piante, i nitrati e i
fosfati necessari per la produzione delle proteine.

La salinità è controllata dai processi che:


- immettono molecole di H2O (precipitazioni influsso dei fiumi e fusione dei ghiacci),
- estraggono molecole di H2O (evaporazione e formazione di ghiaccio).

Le regioni temperate e i tropici sono caratterizzati da un eccesso di precipitazione su evaporazione. Mentre le


aree comprese fra 20° e 35° di latitudine, sono caratterizzate da un eccesso di evaporazione su precipitazione.
Pertanto è il clima che controlla la salinità. Fondamentalmente perciò la salinità varia in funzione
dell’evaporazione, delle precipitazioni, e dell’influsso di acqua continentale. I massimi valori di salinità si
registrano nelle regioni subtropicali e i minimi all’equatore e ai poli.

Il corrispettivo termoclino per la temperatura è detto aloclino per la salinità. Gli aloclini rappresentano i
limiti fra due masse d’acqua sovrastanti a caratteristiche distinte.
Le condizioni dell’Atlantico sono esemplicative della distribuzione della densità negli oceani. La
stratificazione della colonna d’acqua è evidente tra 40°N e S, dove è presente una lente ad alta salinità in
superficie separata da acque meno salata da un aloclino.
Sono visibili 2 lingue d’acqua con salinità minore di 34.74x1000: si estendono
- una verso nord dalla regione antartica a profondità di circa 1000m,
- e l’altra sul fondo.
Queste sono acque che si sono originate alla superficie nell’oceano nella zona antartica e sono separate da
una lingua che proviene dall’oceano Atlantico settentrionale. La salinità dell’acqua in profondità rimane
costante.

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Strumenti
C’è uno strumento, chiamato rosetta, costituito da bottiglie (che in realtà sono grossi tubi con 2 tappi) che
viene immerso ed è collegato ad un pc a bordo: lo strumento viene immerso e quando si vuole le bottiglie
vengono aperte per la raccolta di campioni. I campioni vengono raccolti in zone diverse per poi essere
analizzati chimicamente (per ossigeno, salinità, nutrienti ecc…).
Un altro strumento è il salinometro che misura la temperatura, pH, ossigeno disciolto e conduttività che varia
in funzione degli ioni disciolti e dalla temperatura; inoltre effettua le correzioni in funzione della temperatura
e converte i valori di conduttività in salinità.

DENSITA’
La densità dell’acqua è responsabile della struttura verticale della colonna d’acqua. Naturalmente, le acque
più dense si trovano al di sotto di quelle meno dense. L’acqua fredda salata è più densa dell’acqua calda
dolce.
É possibile avere acque molto salate al di sopra di acque meno salate solo se la temperature in superficie è
molto alta.

La densità dell’acqua è funzione principalmente della salinità e della temperatura. La densità dell’acqua
marina è 1.020-1.030 g/cm3. Fondamentalmente la densità dell’acqua aumenta all’aumentare della
salinità e al diminuire della temperatura.

Allo stesso modo, acque calde con alta salinità possono sovrastare acque fredde con bassa salinità.
Quest’ultimo assetto caratterizza gli oceani delle basse e medie latitudini dove l’evaporazione aumenta il
contenuto in sali delle acque superficiali rispetto quelle profonde.

Nel caso della densità di parla di picnoclino. Il picnoclino è la zona dove


la densità aumenta all’aumentare della profondità. Esso isola le acque
meno dense superficiali da quelle più dense profonde. Ammonta al 18%
delle acque degli oceani.
Alle basse latitudini il picnoclino corrisponde con il termoclino
permanente.
Lo strato più profondo del picnoclino raggiunge circa i 1000m, sotto i
quali sono contenute circa l’80% delle acque degli oceani. La maggior
parte di queste masse d’acqua è formata nelle regioni polari.

La zona superficiale, detto anche livello miscelato, è la parte superficiale


dell’oceano. In questa zona la densità è costante a causa dell’azione delle
onde e delle correnti. Nella zona superficiale l’acqua è a contatto con

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l’atmosfera e risente del clima con conseguenti variazioni giornaliere, stagionali e annuali della temperatura
e della salinità.
Contiene le acque meno dense e rappresenta il 2% delle acque degli oceani. La zona superficiale in genere
raggiunge una profondità di circa 150 m, ma localmente può raggiungere anche i 1000 m o essere assente. La
sua minore densità è in genere dovuta alla temperatura più calda.

Ai poli il raffreddamento dell’acqua superficiale impedisce la formazione del picnoclino e produce acque
dense che sprofondano. Queste masse d’acqua danno origine a quella che è la circolazione termoalina nelle
massa d’acqua oceaniche.

TEMPERATURA – SALINITA’ – DENSITA’

GAS NELL’ACQUA
Molti gas contenuti nell’aria si dissolvono facilmente nell’acqua marina alla superficie degli oceani. Gran
parte delle reazioni coinvolte avvengono in un sottile strato superficiale chiamato microlivello superficiale. Il
microlivello alla superficie è un livello spesso circa 3 mm e i biologi lo hanno denominato “livello neuston”
e gli organismi che lo abitano “organismi neuston”. Le piante e gli animali necessitano di questi gas per
sopravviver e si hanno organismi in grado di fare fotosintesi e non.

I gas si dissolvono più facilmente in acqua fredda che in acqua calda.

I processi che producono, consumano e regolano la quantità di gas disciolti nell’acqua marina sono
numerosi.
Di conseguenza, grandi quantità di gas vengono scambiati tra l’oceano e l’atmosfera alla superficie degli
oceani.

La quantità di gas che può essere disciolta in acqua dipende dal valore di saturazione (quantità di un gas
all’equilibrio che può essere disciolta in un volume di acqua ad una determinata temperatura, pressione e
salinità). Le correnti termoline fredde possono portare ossigeno sul fondo e conseguentemente cambiano gli
organismi (soprattutto quelli bentonici).

Piccole variazioni di saturazione possono portare alla precipitazione di diversi elementi; l’acqua sottosatura
può dissolvere ulteriori quantità di gas. L’acqua che è sovrasatura rilascia gas dalla soluzione.
Conseguentemente i microrganismi possono subire modificazioni nel loro sviluppo e nella loro crescita.

Normalmente l’acqua superficiale è vicina al valore di saturazione rispetto ai principali gas. Variazioni di
temperatura, salinità o della produzione o consumo di gas da parte di organismi possono attivare il processo
di diffusione attraverso l’interfaccia aria-acqua.

La quantità di gas è inoltre controllata da:


- Fotosintesi: aumenta O2 e diminuisce CO2,

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- Respirazione: aumenta CO2 e diminuisce O2,
- Decomposizione di materia organica.

Oltre all’O2 e alla CO2 , altri gas sono prodotti o assorbiti da processi fisici e biologici:
- Decadimento di elementi radioattivi He, Rn, Ar
- Emanazioni in vulcani He, CO2, CH4
- Acqua anossiche H2S prodotto da batteri anaerobici
Infatti alcuni gas sono emessi dai vulcani attivi e dalla circolazione idrotermale specialmente lungo le dorsali
oceaniche.

La distribuzione verticale dell’O2 negli oceani delle latitudini basse e intermedie mostra una stratificazione:
- livello superficiale acque calde ricche in ossigeno.
- livello intermedio con minimo contenuto di O2 e si sviluppa nell’intervallo di profondità da circa
150 a 1500 m
- livello profondo acque fredde con alte quantità di ossigeno.

Esistono due principali sorgenti di ossigeno negli oceani:


1. diffusione del gas attraverso l’interfaccia aria acqua;
2. fotosintesi.
Ambedue sono limitati al livello superiore degli oceani e sono responsabile del livello superficiale ad alta
concentrazione di ossigeno (generalmente più di 5 ml/L).
La CO2 è coinvolta attivamente nella fotosintesi e nella respirazione e funziona anche da regolatore del pH
degli oceani.

Il livello minimo di ossigeno è collegato al picnoclino e c’è un’ampia disponibilità di nutrienti, ci sono
quindi molti organismi che consumano una gran quantità di O 2. Inoltre c’è grande consumo da parte dei
batteri che decompongono la sostanza organica. Nel livello profondo la quantità di O 2 aumenta perché le
acque sono scarsamente popolate da organismi. Anche la produzione di O 2 è però scarsa. Pertanto l’O2 deve
essere immesso dalla superficie. In effetti le acque sono prodotte nelle regioni polari ed essendo fredde
hanno molto O2 in soluzione; a causa della loro alta densità sprofondano e raggiungono il livello profondo.

Acidificazione delle acque


Il pH dell’acqua marina è direttamente correlato al sistema CO 2: quando nell’acqua viene immessa CO 2 si
forma acido carbonico che poi si dissocia in ioni bicarbonato e carbonato con rilascio di ioni idrogeno. Si
parla di acidificazione dei mari a causa di questo abbassamento del pH (il pH è inversamente proporzionale
alla quantità di CO2 disciolta).
Le acque superficiali calde hanno la capacità di dissolvere meno CO 2 mentre le acque profonde possono
avere più CO2 perché sono fredde e perché hanno pressione maggiore.

LUCE NELL’ACQUA
La luce è una radiazione elettromagnetica che viaggia come un’onda nello spazio, nell’aria e nell’acqua.
La parte visibile all’occhio umano è solo una piccola parte dello spettro elettromagnetico che include anche
le onde radio, l’infrarosso, l’ultravioletto e i raggi x.
La lunghezza d’onda della luce ne determina il colore.
Ad eccezione delle onde radio, l’acqua assorbe rapidamente tutte le radiazioni elettromagnetiche e quindi la
luce.
L’assorbimento della luce visibile è comunque selettivo. Solo le lunghezze d’onda più corte (blu e verdi)
passano attraverso l’acqua in quantità e profondità apprezzabili.
Il sottile strato superficiale d’acqua illuminata è chiamata zona fotica.
Nelle acque chiare tropicali può arrivare anche a 600 m ma il valore più tipico degli oceani aperti è di circa
100 m. Nelle zone costiere la zona fotica è molto ridotta (fino a 40 m) a causa di un alto carico di particelle
sospese.

Non più dell’1% della luce riesce a penetrare al di sotto di 100 m. Questa è la profondità alla quale si può
spingere la fotosintesi.
Al di sotto della zona fotica il mare è immerso nella totale oscurità: questa zona è detta afotica.

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ONDE, MAREE e CORRENTI OCEANICHE
Onde, maree, correnti oceaniche e fiumi sono i 4 processi fondamentali che determinano la distribuzione dei
vari ecosistemi. Ora analizziamo le onde, le maree e le correnti.

ONDE
Le onde oceaniche sono uno di vari tipi di onde che rappresentano perturbazioni causate dal movimento di
una sorgente di energia attraverso un mezzo. Il movimento dell’energia comporta che il mezzo attraverso il
quale passa si muove in modo specifico.
Le onde oceaniche sono variamente classificate sulla base di:
- forza perturbatrice che le origina (vento, per esempio);
- il tasso in cui la forza perturbatrice continua ad influenzarle dopo che si sono formate;
- la forza che tende ad appiattirle riducendone la lunghezza d’onda.

Le onde oceaniche sono formate da parti distinte:


- Cresta: parte al di sopra del livello medio dell’acqua,
- Fossa: parte al di sotto del livello medio dell’acqua.
L’altezza d’onda è la distanza verticale fra la cresta e la fossa; la lunghezza d’onda è la distanza orizzontale
fra due creste vicine.
Il periodo d’onda è il tempo impiegato da una onda per muoversi di una lunghezza d’onda; la frequenza
d’onda è il numero di onde che passano per un punto fisso nell’unità di tempo.

Diverse tipologie di onde


- Onde capillari  causate dal vento.
- Onde di vento aumenta la lunghezza d’onda e l’altezza
delle onde stesse, aumenta la velocità e la loro capacità
erosiva sul fondo.

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- Seiche originate da cambiamenti di pressione atmosferica, dall’arrivo di una tempesta o da onde
sismiche. Tendono a riassestare la massa d’acqua che è in movimento.
- Onde di tsunamioriginate da faglie sul fondo marino, frane od eruzioni vulcaniche. Sono tra gli eventi
più distruttivi sulla faccia della terra, causano eventi catastrofici.
- Onde di marea di lunghezza d’onda maggiore, originate da variazioni della intensità delle forze di
attrazione gravitazionale fra la terra, luna e sole. Hanno cicli.

La maggior parte dell’energia delle onde oceaniche si concentra nelle onde di vento e la lunghezza d’onda è
il parametro più importante.

Si parla inoltre di una ulteriore suddivisione per l’ambiente costiero:


- Onde di mare a lungo periodo (swell) che possono essere originate a migliaia di km di distanza
nell’oceano.
- Onde di mare a corto periodo che sono generate localmente da venti e tempeste.

Si hanno quindi zone con onde di tipologie


diverse. In una stessa costa si possono avere
onde swell e onde di tempesta (mare confuso).
L’energia delle onde è il fattore più importante
che controlla lo sviluppo delle coste e
dell’ambiente costiero. Inoltre la variazione di
onde determina una variazione di substrato e
vegetazione.
Gli ambienti di passaggio sono i più difficili
per gli organismi che ci vivono.

Onde di vento
Nelle onde di vento le particelle d’acqua si
muovono in orbite. Col passaggio di una lunghezza
d’onda una particella di acqua alla superficie
descrive un’orbita con diametro uguale all’altezza
dell’onda. Il movimento orbitale che osserviamo in
superficie continua anche più in profondità. Il
diametro delle orbite però diminuisce rapidamente
con la profondità fino a che sul fondo non è risentita
l’azione del moto delle onde. La lunghezza d’onda
determina la grandezza delle orbite che comunque
diminuisce andando in profondità. Il movimento
dovuto alle onde è trascurabile al di sotto di una
profondità corrispondente a metà della lunghezza
d’onda dove le orbite hanno un diametro che è
ridotto a 1/23 del diametro di quelle alla superficie.
È importante sapere che sotto l/2 il fondo è stabile.
La vegetazione e gli organismi dipendono dai vari moti delle onde. Soltanto un livello sottile superficiale
delle acque oceaniche è pertanto interessato da perturbazioni associate alle onde di vento.

Le onde che si muovono in acque profonde fino alla metà della loro lunghezza
d’onda sono chiamate onde di mare profondo e sono caratterizzate da un
movimento delle particelle d’acqua che continua a descrivere orbite circolari.
Un’onda infatti non percepisce la presenza del fondo marino se questo è più
profondo di metà della lunghezza d’onda.
Quando l’onda raggiunge un’area dove la profondità è minore di 1/20 della
lunghezza d’onda, le orbite vicino al fondale assumono forma appiattita. Questo
tipo di onde sono chiamate onde di mare basso (vedi immagine a sinistra).

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Fra la zona delle onde di mare profondo e quelle di mare basso c’è la zona delle onde di transizione che si
muovono in fondali profondi fra ½ e 1/20 della originale lunghezza d’onda caratterizzate da orbite ellittiche. I
sedimenti cambiano in base ai moti: ne derivano erosioni. Quando le onde entrano nella zona dove si
comportano come onde di mare basso, diventano asimmetriche.

CONFORMAZIONE ZONA COSTIERA


Zona di battigia (swash) zona a fondo piatto con flussi sottili diretti verso terra; il flusso ha ritorno verso
il mare e penetra nella sabbia. Il sedimento immagazzina acqua. Molti organismi sfruttano questa condizione.
Zona di traslazione (surf) zona piatta, a volte ci sono conchiglie per esempio.
Segue uno scalino, una zona di transizione, che scende di profondità. Segue poi una zona di frangenza con
fondo piatto.
Frangenti zona in cui le onde si rompono e fanno la schiuma. Si rompono perché la velocità verso l’alto è
maggiore di quella verso il basso ed è causato dal progressivo aumento di pendenza dell’onda. Le onde
frangenti dipendono dal fondo marino e dalla sua pendenza.
Seguono onde non ancora fratte.

È marcato il passaggio dalla zona sabbiosa a fangosa in corrispondenza di L/2 e il regime ondoso è diverso.
Ovviamente varia anche la distribuzione degli organismi.
Il trend generale nei pressi della costa è pertanto quello di un flusso oscillatorio che viene rimpiazzato verso
riva da un flusso asimmetrico diretto verso terra con energia crescente.

L’erosione aumenta andando verso la costa perché le onde si muovono più velocemente. La relazione che
lega la velocità e la lunghezza d’onda nelle onde di mare profondo è: C=1,25 √ L .
La velocità delle onde di mare basso è invece determinata fondamentalmente dalla profondità del fondale:
C=3,1 √ d .
Nella transizione da onde di mare profondo a mare basso le onde comunque rallentano e le loro lunghezze
d’onda diminuiscono.

Le onde generate dal vento sono onde di gravità formate dal trasferimento di energia dal vento all’acqua.
Molte sono alte meno di 3 m e le loro lunghezze d’onda più comuni variano fra i 60 e i 150 m, quindi fino a
questo valore numerico diviso 2, riferito alla profondità, si percepisce il movimento e non oltre.
Le onde più elevate sono nel mare del nord, è un ambiente anche pericoloso.

Tre fattori sono i principali responsabili della formazione delle onde da vento:
- La velocità media del vento,
- Durata dell’attività del vento,
- Spazio ininterrotto nel quale il vento spira senza significative variazioni di direzione: fetch.
La formazione delle onde da vento progredisce da onde capillari a ripples e passa attraverso un mare
pienamente organizzato; infine si arriva ad avere onde swell.

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Con onde organizzate si intende una situazione di onde con le stesse lunghezze d’onda e che non si
muovono e frangono in maniera caotica. Il tempo necessario alla formazione di un mare pienamente
organizzato è molto variabile, a mano a mano che le onde si allontanano da una tempesta si riassestano piano
piano. Di conseguenza sono anche variabili le lunghezze ed altezza d’onda del mare tipico.
Le condizioni potenziali per la formazione di mari più mossi si riscontrano nella zona del west wind drift che
circonda l’Antartide.

Esistono quindi mari ben organizzati e altri non organizzati con treni d’onda diversi. Quando i treni d’onda
diversi si combinano si rinforzano o si contrastano.

Sulla superficie degli oceani esistono simultaneamente treni di onde indipendenti. Essi interferiscono
costruttivamente o distruttivamente.
Nel passaggio all’acqua bassa i treni di onde subiscono una trasformazione che comprende i fenomeni di
diffrazione, rifrazione e appiattimento. Spesso capita che l’energia delle onde converge e dà erosione;
quando le onde divergono si può accumulare sedimento.

Rifrazione
La rifrazione avviene perché nell’avvicinarsi alla costa, se
un’onda non è parallela ad essa, la parte dell’onda che
viaggia in acque basse rallenta mentre quella che è ancora
in acqua alta mantiene la velocità originale. Si avranno
quindi zone esposte e zone non esposte. Le zone in ombra
sono a bassa energia.

Diffrazione
La diffrazione avviene quando si hanno interazioni con
degli ostacoli. Gli ostacoli interrompono i treni d’onda e
forniscono un nuovo punto di generazione delle onde.
Questi processi possono dare intensificazioni locali che
possono originare aree erosive in zone che altrimenti
sono deposizionali.

Maremoti - tsunami
Possono essere causati dal movimento di grandi masse d’acque oceaniche, frane, eruzioni vulcaniche, faglie,
collasso di iceberg ecc…
Le onde di tsunami hanno grande lunghezza d’onda, sono a bassa altezza ma a mano a mano che si
avvicinano alla costa diminuisce la velocità e aumenta l’altezza.
Le onde associate ai maremoti si muovono molto velocemente con velocità anche di 212 m/s, o 800 km/h.
Attualmente ci sono sistemi per avvertire l’avvicinarsi del maremoto distruttivo.
Sono tra i processi che possono causare il più grande numero di vittime.

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CORRENTI COSTIERE GENERATE DA ONDE
Quando le onde si avvicinano alla costa e
si frangono avviene un lento trasporto
d’acqua verso terra. Ma se le onde non
sono parallele alla costa esiste anche una
componente di movimento parallelo alla
costa. Si produce una corrente che corre
praticamente parallela alla costa che è
chiamata “corrente lungo costa” o
“corrente litorale”.
La direzione della corrente lungo costa
dipende dall’orientazione del vento rispetto
a quella della linea di costa. Avviene più
spesso in zone dove i venti sono costanti.
Le correnti lungo costa, possono spostare grandi quantità di sedimento nella zona costiera.
Le correnti lungo costa sono confinate fra la zona dei frangenti e la linea di costa. Hanno velocità in genere
di pochi centimetri al secondo ma condizioni di tempeste anche moderate possono portare a velocità anche di
1m/s.
Durante le tempeste, il trasporto netto di acqua verso le zone costiere da parte delle onde provoca anche un
setup che consiste in un incremento del livello
dell’acqua nella regione costiera.
L’acqua che costituisce il setup è essenzialmente
impilata verso terra e dà origine ad una
superficie inclinata che genera una condizione
instabile. Il setup dovuto alle onde è
generalmente 20% dell’altezza delle onde, e
perciò varia comunemente fra 0.5 e 1.5 durante
le tempeste. Per riequilibrare la situazione si
forma un flusso verso mare.
Il flusso verso mare origina correnti strette
perpendicolari alla costa che sono chiamate rip
current. Alcune sono in grado di erodere canali
poco profondi perpendicolari alla costa. Hanno
velocità di pochi centimetri al secondo e sono in
grado di trasportare sedimenti.

MAREE
Le maree sono cambiamenti periodici dell’elevazione della superficie degli oceani causati dalla
combinazione della forza di attrazione di gravità della luna e del sole e dal movimento della terra. Le onde
(caratterizzate da grandissime lunghezze d’onda) non sono mai libere dalle forze che le formano e perciò
sono onde forzate.
Le forze che generano le maree variano inversamente con il cubo della distanza dal centro di massa della
terra dell’oggetto che genera la marea (sole o luna). Le creste delle onde che causano le maree sono in realtà
molto basse (2 m). La loro lunghezza d’onda è però di circa 20000 km.
La massa del sole è circa 27 milioni di volte quella della luna. La distanza del sole dalla terra è però 387
volte quella della luna. L’influenza del sole sulle maree è solo il 46% di quella della luna.

PROCESSO
Considerando solo la luna si ha che essa attrae la superfice dell’oceano: si crea un rialzo da un lato della terra
e dal lato opposto un altro rialzo per forza centripeta. Questi rialzi sono di pochi metri.
Siccome però la terra gira ogni punto è esposto all’attrazione della luna in tempi successivi.
Uno stesso punto della terra, quindi, subirà in periodi diversi un’attrazione più o meno forte: ci saranno
periodi con attrazione dalla luna massima e si avrà alta marea, al contrario nel momento in cui è più lontana e
l’attrazione è minima si avrà bassa marea.
Di conseguenza per effetto centripeto si avrà allo stesso modo alta/bassa marea.

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Il ciclo è giornaliero ma, siccome anche la luna si muove, per tornare sotto la luna occorre 1 giorno e 50
minuti, la durata di un giorno lunare.
La luna si muove anche rispetto all’equatore quindi si genera un ulteriore sfasamento.

Il sole, inoltre, ha anch’esso un effetto (non importante quanto la luna): a causa della attrazione del sole si
parla di maree solari. L’effetto del sole e della luna si interferiscono tra di loro in maniera distruttiva o
costruttiva.
Durante la luna piena e la luna nuova l’effetto del sole si somma a quello della luna. La luna piena e la luna
nuova si verificano ogni 2 settimane e risultano essere le maree ad escursione più elevata (sole e luna sono
allineati). Luna piena e luna nuova sono dette spring tide.
Durante le mezze lune invece la luna e il sole sono perpendicolari tra loro e gli effetti diminuiscono, le maree
hanno escursioni minime. Le mezze lune avvengono anch’esse ogni 15 giorni e sono dette neap tide.
Quando gli effetti si sommano si hanno maree elevate, quando gli effetti diminuiscono le maree sono basse.
Si hanno quindi variazioni giornaliere e mensili.

Gli ambienti che sono influenzati dalle correnti di marea sono caratterizzati da condizioni ambientali
variabili giornalmente e mensilmente; sono ambienti sommersi ed emersi continuamente e i valori energetici
possono variare di molto all’interno di questi cicli.
Un’ulteriore complicazione sorge dal fatto che le orbite della luna e della terra sono delle elissi e quindi la
loro distanza e quella con il sole è diversa in diversi periodi dell’anno.
Quindi sommando questa variante si hanno variazioni giornaliere, mensili e annuali.
A causa di tutti i fattori di controllo le maree possono avere vari andamenti:
- Semidiurne: due alte e due basse ogni giorno lunare,
- Diurne: un’alta e una bassa ogni giorno lunare,
- Miste: se le successive alte e basse hanno ampiezza molto diversa durante un ciclo.

Teoria dinamica delle maree


Essa tiene conto che le onde di marea sono a tutte gli effetti delle onde di mare basso e del fatto che esse non
sono libere di muoversi a causa degli impedimenti esercitati dalle masse continentali.
Essa tiene anche conto di un’altra perturbazione, quella associata all’effetto di Coriolis riguardante la
rotazione terrestre; essa produce forza apparente, detta forza di Coriolis, che agisce solo sui corpi in
movimento. Infatti, a causa della sua esistenza, ogni corpo sulla superficie terrestre che si muove dai poli
all'equatore subisce una deviazione rispetto alla sua direzione iniziale. Principalmente, la direzione delle
correnti marine è suggerita dalla Forza di Coriolis è legata alla rotazione del nostro pianeta. Questa forza
tende a far deviare la corrente verso destra (in senso orario) nell'emisfero Nord o verso sinistra (senso
antiorario) in quello meridionale.
Si forma una cresta d’onda che si muove in senso antiorario attorno a un nodo. Il nodo al centro di un bacino
oceanico è chiamato punto anfidromico.
Negli oceani i principali punti anfidromici sono 12. L’altezza delle maree aumenta con la distanza dal punto
anfidromico.

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L’escursione di marea varia con la configurazione del bacino. Le più alte escursioni di maree avvengono ai
margini dei grandi oceani specialmente in baie o fiordi che concentrano l’energia tidale a causa della loro
forma. In bacini ampi ed asimmetrici possono svilupparsi punti anfidromici locali. In bacini stretti l’onda si
muove più semplicemente avanti ed indietro.

CORRENTI OCEANICHE
Dato che c’è disequilibrio di temperatura (le aree polari ricevono meno radiazione solare per unità di area
rispetto a quelle equatoriali a causa dell’inclinazione dei raggi solari), nel globo viene innescata una
circolazione atmosferica (influenzata anche dalla forza di Coriolis) che ridistribuisce calore dall’equatore
verso i poli: il globo è diviso quindi in celle. Sono esistenti 6 celle complessivamente, 3 per ogni emisfero: 1
cella per ogni zona polare, 1 cella per ogni zona a media latitudine e 1 cella per zona tropica. Per ogni cella
le acque calde salgono in zone fredde in cui si raffreddano poi ritornano nella zona di partenza.
Sono fondamentali i venti, la forza di Coriolis e la distribuzione delle terre emerse.

I venti controllano la circolazione superficiale: le correnti superficiali sono movimenti di masse d’acqua
sulla superficie o direttamente sotto la superficie generate dai venti. Queste correnti sono sopra il picnoclino,
mentre invece la circolazione profonda sta sotto, è influenzata dalla distribuzione delle terre emerse ed è
detta termoalina (perché dipendono fondamentalmente da variazioni di temperatura ma anche di salinità e
quindi di densità).
Sia le correnti superficiali che termoaline hanno un impatto importante sulla temperatura della terra, sulla
produttività biologica e sul clima.

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CORRENTI SUPERFICIALI
Dipendono dal vento. Circa il 10% della massa dell’acqua degli oceani è coinvolto nelle correnti superficiali
che sono costituite da acque che si muovono orizzontalmente nei 400 m superficiali della colonna d’acqua.
Molte delle correnti superficiali muovono acque al di sopra del picnoclino. Esse sono principalmente
originate dalla frizione ad opera dei venti.

La causa principale della circolazione superficiale negli oceani è il vento. L’acqua, mossa dal vento si
accumula nella direzione verso la quale soffia il vento creando un gradiente di pressione. La forza di gravità
tende a riequilibrare questo disequilibrio di pressione respingendo l’acqua verso la direzione dalla quale è
venuta.
Ma questo movimento è influenzato dalla forza di Coriolis e dalla disposizione dei continenti che
impediscono un flusso continuo e causano la formazione di circuiti, cioè celle circolari di correnti che si
muovono lungo la periferia di un bacino oceanico. I circuiti che sono in equilibrio tra il gradiente di
pressione e la forza di Coriolis sono chiamate circuiti geostrofici e le loro correnti sono dette geostrofiche.
Esse sono in larga misura indipendenti in ogni emisfero e sono influenzate dalla distribuzione delle terre
emerse.
A causa della forza di Coriolis nei circuito di correnti superficiali, l’acqua si muove in senso orario
nell’emisfero settentrionale e in senso antiorario nell’emisfero meridionale. Il motivo è la differenza di
temperatura.
Le correnti calde raggiungono latitudini elevate, si raffreddano, fanno una parte di circuito trasverso,
incontrano il continente poi iniziano a circolare come correnti fredde. Il discorso vale per tutte le celle.
Esistono 6 circuiti di correnti, 2 nell’emisfero settentrionale e 4 in quello meridionale (vedi immagine sotto).
5 di questi sono circuiti geostrofici:
- Emisfero settentrionalecorrente Nord atlantica e nord pacifica,
- Emisfero meridionale  sud atlantica, sud pacifica, indiana.
La sesta, nonostante costituisca un circuito chiuso, non può esse classificata come un circuito perché non
scorre lungo la periferia di un bacino oceanico. Questa è la corrente circumpolare antartica e scorre senza
fine verso est attorno all’Antartide.

All’interno di un singolo circuito geostrofico, le singole correnti hanno caratteristiche diverse. Il circuito
atlantico per esempio è diviso in 4 correnti interconnesse e ciò implica una differenza di clima.
Esse pertanto sono classificate come correnti di margine occidentali, correnti di margine orientali e correnti
trasverse.
Le correnti geostrofiche di margine occidentale sono le più veloci e le più profonde, si trovano lungo il
margine occidentale degli oceani e dalle zone più a sud le acque calde vanno vanno verso i poli; le correnti di
margine orientale sono costituite da acque fredde che dai poli vanno verso l’equatore.

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Mano a mano che la corrente si allontana dalla sua zona di formazione si miscela ad altre acque e le
temperature sono intermedie tra le due. Le differenze tra le varie correnti variano in base a temperatura,
densità, salinità, gas disciolti ecc.
Le correnti possono anche avere un corso meandriforme e possono creare dei vortici che vanno ad isolare
aree di acqua più calda o più fredda all’interno di volumi di acqua di temperatura diversa, creando come
delle oasi che perdurano anche anni. In alcuni casi questi vortici possono essere associati ad alte percentuali
di nutrienti che vengono portati in superficie grazie alla turbolenza associata alla corrente e vengono
stimolate fioriture di organismi planctonici.

L’esempio della corrente del golfo


La corrente del golfo è la più importante delle correnti di margine occidentali e coinvolge un volume d’acqua
pari a 300 volte il flusso medio del Rio degli Amazzoni. Al largo di Miami ha una velocità media di 2m/s (5
miglia all’ora) e arriva ad una profondità di 450 m. La corrente ha una velocità che può arrivare a 160
km/giorno. La sua ampiezza media è di 70 km. Le correnti che vanno a sud sono molto meno definite e
potenti rispetto a quelle calde che vanno verso nord. I limiti della corrente del golfo sono netti: in acqua
calda mancano i nutrienti e perciò non può supportare la vita di molti organismi. Essa corre di fianco ad
acque fredde e ricche di nutrienti e con molta vita.

Altre correnti di margine occidentale sono: la corrente giapponese o Kuroshi, la corrente del Brasile, la
corrente di Agulhas, la corrente orientale australiana.
Naturalmente esistono anche 5 correnti di margine orientali:
- Corrente delle Canarie,
- Corrente del Benguela,
- Corrente della California,
- Corrente del Perù o di Humboldt,
- Corrente australiana occidentale.
e queste trasportano acqua fredda verso l’equatore, sono larghe e poco profonde. Possono essere larghe
anche 1000 km, non hanno limiti ben definiti e non formano vortici. Sono più lente e trasportano meno
masse d’acqua.

I trade winds (aisei), che soffiano nelle regioni tropicali e i westerlies (venti occidentali) sono responsabili
delle correnti trasverse:
- Correnti sud e nord equatoriale
- Corrente nord pacifica ed atlantica

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Al di sotto e lateralmente alle maggiori correnti possono formarsi rispettivamente sottocorrenti o
controcorrenti con direzione opposta. Le sottocorrenti, come quella equatoriale pacifica, possono
raggiungere una velocità di 5 km /ora e trasportare un volume che è circa la metà di quello trasportato dalla
corrente del golfo. Il loro volume può essere simile a quello delle correnti che le originano.

Movimenti verticali
I gradienti di pressione possono portare a movimenti verticali. Si
parla ad esempio di upwelling: si hanno acque ricche di nutrienti che
dalle zone profonde risalgono in zone superficiali all’equatore
rimpiazzando l’acqua superficiale che è stata spostata al largo grazie
alle forze di Coriolis che la trasporteranno verso i poli (con senso
orario o antiorario in base all’emisfero).
La risalita può dare origine a zone di grande produttività superficiale
che sono anche responsabili della abbondanza di silica nei sedimenti
oceanici delle zone equatoriali (fioriture di radiolari e diatomee).
Un altro movimento è detto downwelling ed è un processo opposto
in cui le acque vanno in discesa verticalmente. La produzione
primaria aumenta all’equatore e poi al margine orientale.

Sono entrambi dovuti alla formazione di gradiente di pressione che


porta l’acqua a spostarsi per riequilibrare.

CORRENTI TERMOALINE
Si tratta di correnti dovute al disequilibrio di densità delle acque superficiali che danno origine a moti di
sprofondamento.

La stratificazione per densità è molto marcata alle latitudini


tropicali e medie, meno ai poli: non sono molto presenti ai poli
perché la temperatura è fredda anche più in profondità.
Quando le correnti superficiali arrivano a latitudini elevate si
raffreddano: una parte rimangono in superfice e tornano a sud,
un’altra parte sprofonda.
Le masse d’acqua tendono a costituire strutture abbastanza
consistenti che perdurano.
Solitamente ci sono 2 correnti termoaline, una delle due va più
a fondo dell’altra.

L’acqua di fondo antartica è la più caratteristica delle masse di fondo: ha una salinità di 34.65, una
temperatura di -0.5° e una densità di 1.0279 g/cm 2. Gran parte si origina in inverno nei pressi delle coste del
Sudamerica. L’acqua di fondo Antartica scorre verso nord sia nel Pacifico che nell’Atlantico.

Complessivamente si hanno alle latitudini temperate e tropicali zone in cui si distinguono in genere 5 masse
d’acqua:
- Acque superficiali: fino a circa 200 m di profondità,
- Acque centrali: fino alla base del termoclino principale,
- Acque intermedie: fino a circa 1500 m,
- Acque profonde: fino a circa 4000 m,
- Acque di fondo: a contatto con il fondale.

LA CIRCOLAZIONE DEL MEDITERRANEO


È un mare chiuso quindi non è interessato dalle celle oceaniche. La circolazione è dominata dai venti
principali di carattere costante e prevedibile e dalla distribuzione di terre emerse; queste caratteristiche
implicano la presenza di una circolazione superficiale con circuiti superficiali separati, controllati dai bacini

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che presentano correnti differenti. Il carattere della circolazione varia fra la stagione estiva e quella invernale.
C’è un netto influsso di acque superficiali dall’atlantico.

Anche nel mediterraneo esistono masse di acque dense profonde che danno origine ad una circolazione
termoalina. Nei mesi invernali l’acqua del Mediterraneo, con una salinità di circa 38, attraversa lo stretto di
Gibilterra e si espande nell’oceano Atlantico.
Ci sono 3 zone in cui si formano le acque profonde (servono venti freddi):
- Golfo del leone,
- Adriatico settentrionale,
- Turchia.
Nel Mediterraneo orientale si formano le acque dette Levantine intermedie per il riscaldamento delle acque
superficiali che entrano dall’oceano Atlantico. Le acque dense fredde scendono da nord verso sud al di sotto
delle acque intermedie Levantine (che hanno flusso verso ovest).

FISIOGRAFIA DEI MARGINI CONTINENTALI E DEI BACINI OCEANICI


I margini continentali vedono la zona più distante dal mare di ambiente costiero e quelle di mare profondo.
In generale i margini continentali sono organizzati in 4 domini fisiografici principali:
- Piattaforma continentale,
- Scarpata continentale,
- Rialzo continentale,
- Piana abissale.

Piattaforma continentale
Può essere più o meno estesa e costituita da margini passivi oppure da assetti tettonici in corso. La
piattaforma continentale può avere estensione molto variabile, da poche decine di metri fino a centinaia di
km. La sua ampiezza dipende fondamentalmente dall’assetto tettonico: risulta larga in margini passivi e
molto stretta o assente in margini attivi. Varia anche in base al sedimento trasportato dai fiumi: se questi
portano tanto sedimento viene a crearsi una piattaforma estesa (ad esempio nel Rio delle Amazzoni).

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Il ciglio della piattaforma si trova tra i 120-140m ma durante l’ultima glaciazione ha subito variazioni come
ad esempio nell’adriatico settentrionale; durante l’ultimo periodo glaciale le piattaforme continentali erano
per gran parte terre emerse.
La piattaforma continentale è di mare basso ed è controllata dalle variazioni di livello marino (controllate
negli ultimi 2 milioni di anni dalle variazioni glaciali).

Scarpata continentale
Ha estensione molto variabile e costituisce la parte più inclinata di un margine continentale. Le pendenze
possono raggiungere i 20°. Nella scarpata prevalgono processi erosivi tramite canyon sottomarini e frane. La
scarpata continentale può essere estremamente complessa con alternanze di aree più pendenti e meno
pendenti. In alcuni casi nelle aree piatte si formano dei bacini di intrascarpata.

Rialzo continentale
È una zona deposizionale con inclinazione ridotta alla base della scarpata continentale.

La differenza tra il rialzo continentale e la scarpata è la pendenza e ciò origina differenti processi. Dove c’è
meno pendenza sono presenti più processi di deposizione.

Piana abissale
Zona con inclinazione estremamente ridotta spesso impercettibile che caratterizza gran parte dei bacini
oceanici. Prevalgono i processi deposizionali. È la zona alla quale tutti i sedimenti introdotti nell’ambiente
marino sono prima o poi destinati.

AMBIENTE COSTIERO
La linea di costa è la linea che separa il mare un lago o una laguna da una spiaggia esposta. Di conseguenza
è un elemento effimero e transiente. Varia in base alle maree, erosioni, deposizioni, stagionalità, glaciazioni.
La zona che è interessata sia da processi dell’ambiente continentale che di quello marino sono: coste alte,
pianura costiera, delta, sistemi isole di barriera e laguna, piane di marea, estuari.

La zonazione del profilo costiero vede la zona delle dune eoliche a cui segue la spiaggia emersa poi la
spiaggia intertidale, la spiaggia sommersa, la zona di transizione e infine la piattaforma continentale (a cui
segue la scarpata ecc…). la linea di costa di trova tra la zona delle dune eoliche e la spiaggia emersa.
La spiaggia sommersa è la zona subtidale ed è la zona nella quale c’è la massima mobilità dei sedimenti.
Durante condizioni meteo normali le onde oscillatorie sono attive nella parte più profonda, mentre i frangenti
si sviluppano nella parte meno profonda. Durante condizioni di tempesta si ha l’erosione da parte di onde
frangenti, correnti di tempesta e rip currents.
La spiaggia intertidale è soggetta all’azione giornaliera delle onde

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Analisi dell’immagine:

La differenza tra la costa a sud e a nord è relativa all’importanza del fiume e dall’energia dei processi
bacinali marini: a nord i fiumi avranno carico di sedimenti minori quindi gli ambienti che ne derivano non
presenteranno molto sedimento.
A seconda della dominanza di onde e maree si hanno ambienti diversi: lagune, barriere, estuari dominati o da
onde o da maree. Si hanno poi piane di maree.
Quando i sedimenti alluvionali raggiungono una costa sono ridistribuiti da processi bacinali: onde, tempeste,
maree.
In funzione del livello del mare e dell’apporto di sedimenti e dei processi bacinali le coste possono essere
erosive o deposizionali.

COSTE EROSIVE
Le coste rocciose hanno linee di costa erosive con scarpate in retrogradazione (zona intertidale con tanta
vita). Costituiscono il 77% delle coste. Sono più frequenti in aree tettonicamente attive e in aree con scarso
apporto di sedimenti.
Nonostante in molti casi l’azione delle onde sia molto efficace, la zona intertidale delle coste roccioso pullula
di vita ed è molto più produttiva dal punto di vista bilogico delle coste sabbiose.
Sono più frequenti nelle regioni costiere di aree montagnose e aree glaciali. Si trovano più spesso in aree
tettonicamente attive anche a causa della forte inclinazione o mancanza della piattaforma continentale o per
la vicinanza di testate di canyon che raccolgono i sedimenti. Si parla quindi di margini attivi.

Un fenomeno che contribuisce all’erosione nelle coste rocciose è legato all’attività degli organismi:
bioerosione. In rocce carbonatiche, le alghe blu o verdi possono penetrare nella roccia per 1 mm e
dissolvono il carbonato. Altri organismi come ricci di mare, patelle, chitoni, gasteropodi, possono scavare le
rocce per ricavarne le abitazioni.

COSTE DEPOSIZIONALI
L’ambiente costiero è controllato fondamentalmente dalle relazioni fra due processi che sono in
competizione: L’energia e l’apporto di sedimenti da parte dei fiumi fluviali e l’energia dei processi bacinali
marini.
In merito a questi 2 fattori si parla di:
- delta;
- pianure costiere, formate da cordoni di spiaggia (cordini litorali, laguna);
- piane di marea;
- estuari,
- piattaforma continentale.
In immagine sottostante sono rappresentate le varie zone appena elencate.

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DELTA
I delta sono dominati dai fiumi e si formano quando la linea di costa è rifornita da sedimenti da parte di un
sistema fluviale, più velocemente di quanto i sedimenti possano essere ridistribuiti dall’energia del bacino
(onde, correnti lungo costa e tidali). Il nome delta, dalla lettera greca, è stato coniato da Erodoto nel V secolo
a.C. osservando la morfologia del delta del Nilo. Alcune delle aree più popolate del pianeta sono localizzate
su delta. Le zone dei delta sono anche aree di forte esplorazione e sfruttamento per idrocarburi. Vengono
spesso condotte crociere di monitoraggio.

Quando un fiume raggiunge il mare, il comportamento del fluido fluviale è principalmente controllato dalla
relativa inmportanza di:
- Forza di inerzia dell’acqua che entra in mare,
- Processi di frizione dell’acqua che entra in mare,
- Processi di galleggiamento alla bocca del fiume.

Il fattore più importante è il contrasto di densità fra l’acqua del fiume e quella marina. Si formeranno perciò:
- flussi omopicnali il fiume e il mare hanno la stessa densità;
- flussi iperpicnali il fiume è carico di sedimento e ha densità maggiore, il fiume sprofonda sotto il
mare;
- flussi ipopicnaliil contrario.
In base a questi diversi flussi ci saranno esigenze diverse per i diversi organismi, per esempio per un
organismo che sta sul fondo è preferibile un flusso iperpicnale.

I delta sono di vari tipi dato che i processi legati al moto ondoso e alle maree sono in competizione con quelli
fluviali e ciò determina la morfologia dei delta perciò i delta sono classificati in base all’influenza dei fiumi,
onde e maree. Sono poi originati i diversi ambienti.
- Delta digitati a dominanza di processi fluviali, caratterizzati da un grande apporto di sedimento e
poco rimaneggiamento da parte dei processi bacinali. Il delta del Missisippi ne è un esempio.

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- Delta cuspidati a dominanza di onde, con forma convessa verso il mare e i sedimenti sono
ridistribuiti a causa delle correnti lungo costa generate dalle onde. La costa è totalmente influenzata
dalle onde e non dal fiume.
- Delta ad estuario a dominanza di maree, con strutture allungate perpendicolarmente alle linee di
costa.

I delta sono ambienti costieri di transizione fra l’ambiente marino e quello continentale. Di conseguenza non
esistono confini verso mare o verso terra fissi ma i limiti dei vari ambienti sono sempre molto variabili.
Pertanto il delta include ambienti subaerei, intertidali e subacquei. Inoltre le acque possono essere dolci
salmastre o marine.
I delta, che si posizionano tra la piana alluvionale e il mare, possono essere divisi in 3 zone (ciascuno con i
rispettivi sottoambienti):
- Piana deltizia, zona più distante dal mare;
- Fronte deltizia,
- Prodelta, zona più vicina al mare.
Segue poi la piattaforma continentale.

Piana deltizia
A livello della piana deltizia il carico trasportato dal canale fluviale principale si separa in una serie di canali
distributari più piccoli che lo distribuiscono su tutto il delta. Possono esserci canali, paludi…
In piena possono essere invase da acqua dolce, con una tempesta da acqua salata.
In alcuni casi è presente un solo canale attivo, molto più spesso sono presenti vari canali distributari che
divergono e possono formare un cono con estensione anche di 120°.
I canali distributari hanno molte delle caratteristiche dei canali fluviali. Hanno forma rettilinea o
meandriforme e sono caratterizzati da fluttuazioni periodiche del livello.
Gli argini naturali sono prodotti durante le piene quando il fiume straripa e deposita immediatamente parte
del suo carico. Gli argini possono essere rotti durante piene più importanti dando origine a depositi di rotta
nelle aree adiacenti al canale distributario.
Nelle aree fra i canali si sviluppano le piane inondabili e possono essere occupate da laghi, piane di marea,
acquitrini e paludi e/o saline.
La parte prossimale della piana deltizia è in genere non interessata dai processi bacinali. La parte distale è
ancora interessata dai processi fluviali, ma è penetrata da acqua salina e da processi tidali. Sono però in
genere non interessati dalle onde, a parte momenti di tempesta.
Gli acquitrini hanno vegetazione arborea, mentre verso mare si passa a paludi caratterizzate da vegetazione
non arborea che diventa salina andando verso mare.
Inoltre sono presenti aree con masse d’acque isolate o semi isolate. Nella parte prossimale della piana
deltizia prevalgono i laghi, nella parte distale possono originare lagune estuari e baie o piane di marea. Tutti

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sono caratterizzati da ampie fluttuazioni energetiche e di salinità e l’ambiente dipende dal clima: in ambienti
aridi per esempio possono prevalere fenomeni di vento.

Fronte deltizia
Questa è la parte più esposta ai processi marini e specialmente alle onde. La fronte deltizia è l’area dove i
flussi fluviali carichi di sedimento entrano in mare ed interagiscono con i processi bacinali. I flussi si
espandono lateralmente e verticalmente, perdono competenza e depositano il loro carico sedimentario, in
particolar modo la parte più grossolana. Sono presenti sedimenti grossolani nelle barre deltizie; i sedimenti
variano e si hanno sedimenti grossolani in vicinanza al fiume ma allontanandosi si giunge fino a sabbie,
fanghi e argille.
Dove i processi bacinali sono deboli, predominano i processi fluviali che depositano i sedimenti più
grossolani in barre di foce alla bocca del canale distributario.
La barra di foce in molti casi è anche responsabile della biforcazione dei canali distributari.
Dove sono importanti i processi legati alle onde si formano cordoni di spiaggia, barre, e frecce litorali.

Prodelta
È la parte del delta non interessata dalle onde o dalle maree. È un ambiente relativamente stabile con
deposizione da decantazione di materiale fine.

PIANURE COSTIERE
In corrispondenza dei delta si ha la zona di retrobarriera in cui può esserci una laguna o una piana costiera,
zone dominate dalle onde. Un esempio è la laguna di Venezia.
Il cordone litoraneo, dove c’è il lido, è separato dalla terra emersa da una laguna.
Il cordone litoraneo è dominato dalle onde.
Le pianure costiere sono formate quindi da cordoni di spiaggia e sono in genere dominati dalle onde e
relative correnti lungocosta. Sono pertanto linee di costa sabbiose attaccate a terra e composte da una piana
costiera e da una spiaggia. Sono caratterizzate da numerosi sottoambienti.

Cordone litorale e laguna


Questi sistemi sono caratterizzata da un cordone litoraneo di spiaggia che è separato dalla terra emersa da
una laguna. Il cordone litoraneo è costruito dai processi, principalmente dominati dalle onde, che
caratterizzano l’ambiente di spiaggia.

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In ambienti microtidali, cioè con scarsa escursione di marea, i cordoni litoranei possono essere molto estesi e
continui.
I canali di rotta sono creati dalle tempeste che erodono il cordone permettendo alle acque di tempesta cariche
di sedimenti di entrare nella laguna. Al retro del cordone, i canali di rotta originano le conoidi di rotta. Le
lagune sono aree di acqua bassa riparate dal mare e dall’azione delle onde dai cordoni litorali.
La salinità ha frequenti fluttuazioni che dipendono da:
- Influsso fluviale,
- Comunicazione con il mare aperto,
- Escursione di marea.
In aree umide e temperate le lagune sono circondate da aree palustri e vegetate e i sedimenti sono spesso
ricchi in materia organica. In ambienti aridi le lagune possono essere dissecate, parzialmente e per periodi
più o meno lunghi.
In ambienti con maree più elevate, il cordone litorale è tagliato da bocche di marea. Si formano così
segmenti distinti che sono chiamati isole di barriera.
Dove le correnti di marea escono dalle bocche di marea si formano delta tidali di marea di flusso e di
riflusso.
I delta di riflusso possono occupare gran parte dell’area della laguna.

Oltre all’effetto delle maree sono importanti anche le tempeste: le varie protuberanze nella zona lagunare
sono dovute a rotte e invasioni delle acque marine con deposizioni.
In una laguna spesso si trovano argille, materiali principalmente fini; l’ambiente è a bassa energia. Nelle
lagune c’è anche materia organica morta, in decomposizione.
Le lunghezze dei vari cordoni dipendono dalle maree. Si formano delle isole di barriere, zone di scambio tra
mare e laguna.

PIANE DI MAREA
Le piane di marea si formano in tutti gli ambienti dominati dalle maree; la loro presenza, estensione e
caratteristiche dipendono dall’escurisone tidale, dall’apporto sedimentario e dal gradiente della costa. Esse
sono delle superfici a bassa pedenza di sedimenti che sono alternativamente sommerse ed emerse.
Sono più sviluppate in ambienti macrotidali, e lungo coste fangose con basso gradiente. Possono costituire
parti importanti della piana deltizia, di lagune, di estuari.
La gran parte delle piane intertidali sono aree poco inclinate, dominate dai canali di marea. Le maree entranti
entrano nei canali oltrepassano i margini dei canali e inondano le circostanti piane di marea.
L’elemento morfologico più importante delle piane di marea sono i canali tidali. I canali possono essere di
varie dimensioni. Quelli più grandi sono sommersi anche durante le fasi di bassa marea, quelli più piccoli
alternano emersioni e sommersioni. I canali tidali diminuiscono di larghezza e profondità verso terra.
Le caratteristiche delle piane tidali dipendono in modo fondamentale dal clima. In aree temperate prevalgono
le paludi salmastre, mentre in aree aride prevalgono piane salate chiamate sabkha.

ESTUARI
Un estuario è un corpo d’acqua costiero semi confinato in una baia caratterizzato da un flusso di acqua dolce
da terra e da un flusso di marea dalla parte marina.
L’energia dei processi bacinali (maree o onde) sono più forti di quelle del fiume e il sedimento non
costituisce un delta. L’idrologia controlla la chimica delle acque, la distribuzioni degli organismi e i
sedimenti che formano il substrato. Tipici estuari si trovano nelle coste dell’Inghilterra. È un ambiente di
transizione: si passa da caratteristiche marine a continentali. Nell’estuario si miscelano acque dolce ed acque
salate e si originano acque salmastre. Una delle classificazioni utilizzate per gli estuari consiste nella
modalità di interazione fra acqua dolce ed acqua salata. Questa risulta in tre tipi di circolazione: stratificata,
parzialmente miscelata, e miscelata.

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In generale, dove le correnti di marea sono deboli, l’acqua dolce meno densa rimane al di sopra del cuneo di
acqua salata come un corpo distinto e l’acqua è stratificata verticalmente. Dove le correnti di marea sono
forti, avviene un miscelamento turbolento e la massa d’acqua è omogenea sia lateralmente che verticalmente.
Nel caso di estuari totalmente miscelati, la colonna d’acqua si presenta verticalmente omogenea con un
gradiente di salinità che aumenta verso il mare.

In alcuni casi di estuari stratificati, il cuneo salino può estendersi anche per decine di chilometri verso terra.
In alcuni estuari, parte dell’acqua salata si miscela con quella fluviale e produce una zona di transizione a
salinità intermedia tra l’acqua dolce e quella salata. La struttura della colonna d’acqua all’interno di un
estuario varia in dipendenza di variazioni stagionali di portata del fiume, nel regime delle onde.

Possono essere dominati da processi di onde o processi di maree. Variando l’energia varia il tipo di
sedimento: meno c’è energia più il sedimento è fine e fangoso, quelli ad energia maggiore sono le zone
interessate da correnti e onde.
Agli estuari segue la piattaforma continentale

PIATTTAFORMA CONTINENTALE
La piattaforma continentale è una zona di mare relativamente basso con limite verso mare a circa 140 m di
profondità. La larghezza della piattaforma continentale è molto variabile e dipende fondamentalmente
dall’assetto geodinamico. La piattaforma è più stretta nei margini tettonicamente attivi.

Vedi in immagine: il giallo è la piattaforma che è


presente nell’Adriatico (che è un mare poco
profondo quindi) ma assente in Sicilia. Ci sono
quindi notevoli differenze.

I principali fattori che ne controllano i processi e gli


ambienti sono:
- Il trasporto di sedimenti (regime idraulico),
- L’apporto di sedimenti,
- Variazioni di livello marino.
Fattori di minore importanza sono:
- Clima,
- Fattori biologici,
- Fattori chimici.
In base al processo che prevale, le piattaforme continentali sono classificate:

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- Dominate dalle maree,
- Dominate dalle onde,
- Dominate dalle tempeste,
- Dominate dalle correnti oceaniche.

Dominate dalle maree


Sono spazzate giornalmente da potenti correnti tidali che possono erodere i fondali e possono trasportare
sedimento sul fondo. Di conseguenza possono originarsi forme di fondo a varia scala. I mari della
piattaforma continentale sono definiti come dominati dalla marea quando l’escursione di marea è più elevata
di 3-4 m con correnti tipiche da 60 a 100 cm/s. Le piattaforme dominate dalle maree sono frequenti nei
bacini semichiusi e rappresentano circa il 17% delle piattaforme.
La loro caratteristica è la presenza di estesi sistemi di trasporto di sedimenti, lunghi più di 100 km, alla scala
regionale.
Si originano forme di fondo a varia scala in un fondale prevalentemente mobile. Di conseguenza il fondale è
caratterizzato da un ambiente disomogeneo a varie scale e la distribuzione dei sedimenti è molto variabile.
Dal tipo di onde di sedimento si può risalire alla velocità della corrente.

Dominate dalle onde e dalle tempeste


Rappresentano un continuo che va da situazioni a bassa energia (soprattutto in bacini chiusi o parzialmente
chiusi) a situazioni di alta energia (come nei margini oceanici). Il trasporto massimo di sedimenti e le
conseguenti variazioni ambientali avvengono comunque durante le tempeste. Sono pertanto dominate da
processi stagionali. Rappresentano l’80% delle piattaforme.
Sono importanti le interazioni fra i processi di tempo normale e la frequenza e l’intensità dei processi di
tempesta. L’energia è legata a movimenti oscillatori e di deriva da onda (corrente lungo costa e rip) che
prevalgono durante le condizioni di tempo normale e correnti originate dal vento. Ci sarà una zona di
transizione con condizioni variabili nel tempo: gli organismi dovranno essere adattati a questo tipo di
fluttuazioni ambientali. In generale i sedimenti diventano più fini andando verso il largo: le condizioni
ambientali diventano perciò più omogenee andando verso il largo, dove in generale troviamo
prevalentemente fanghi da decantazione.

Dominate dalle correnti oceaniche


Sono regolarmente spazzate da correnti unidirezionali. Si formano in piattaforme strette pericontinentali.

AMBIENTE DI MARE PROFONDO


I processi di trasporto e deposizionali di mare profondo sono:
- Risedimentazione,
- Correnti di fondo,
- Decantazione di particelle pelagiche ed emipelagiche,
- Autigenesi, formazione di minerali sul fondo marino.

Risedimentazione

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I prodotti dei processi legati alla risedimentazione sono le frane sottomarine, i flussi di detrito, le torbiditi. Si
parla di risospensione del sedimento che poi forma delle correnti a densità maggiore dell’acqua marina: le
correnti scorrono sul fondo fino a che si depongono una volta raggiunta una zona meno pendente. Si parla di
correnti di torbida. E’ un caso simile quello delle valanghe: formano nubi più pesanti dell’aria che scendono
fino a terra.

Correnti di fondo
I prodotti dei processi legati alle correnti sono i concubiti. I fondali sono carichi di energia e le correnti
rimaneggiano il sedimento.

Decantazione
I prodotti dei processi legati alla decantazione sono i depositi pelagici ed emipelagici.
- Pelagici decantazione dei gusci degli organismi; si forma lontano dalle coste, non c’è l’influsso
dei granuli di origine continentale.
- Emipelagicocomprende anche i detriti portati dai fiumi, dispersione eolica, caduta di materiale
durante le eruzioni, c’è la componente di materiale terrigeno.

Il mare profondo è diviso in:


- Scarpata continentale con canyons e complessi di frane sottomarine (erosione)
- Piana bacinale con sistemi di argine, canale e lobi (deposizione)
e la transizione è controllata dall’inclinazione e dalla pendenza.

Scarpata continentale
Frane sottomarine
Le frane sottomarine, come quelle che avvengono in ambiente terrestre, sono dei processi spesso catastrofici
che interrompono quella che è la stabilità dell’ambiente. Hanno caratteristiche molto variabili che dipendono
dal materiale che le costituisce e dai processi che le innescano, possono essere molto grandi, ma anche se di
piccole dimensioni possono arrecare danni importanti dato che possono giungere fino alle zone costiere. Si
ha una zona di denudamento e una di deposizione. Le frane possono anche portare a maremoti e tsunami.
Sono tra gli eventi geomorfologici più grandi della terra.

Canyons
Processi di trasporto di sedimento ed erosione sono legati ai canyon, strutture fondamentalmente erosive; i
canyons sono presenti in corrispondenza dei grandi fiumi, sono delle strutture che si trovano prevalentemente
nella scarpata. Sono strutture molto grandi fino a dimensioni di 50km di larghezza e profondità di 2-3 km. Le
dimensioni, sia in larghezza che in profondità, in generale diminuiscono andando dalle aree prossimali a
quelle distali. I canyon sottomarini sono fra le strutture geomorfologiche con le dimensioni più grandi sul
nostro pianeta.
Possono originarsi per evoluzione di frane sottomarine: la frana potrebbe intercettare un fiume e creare
quindi un lobo deposizionale che porta ad un canyon. In altri casi i processi sono legati alla formazione di
correnti torbide, quindi strettamente legate ai fiumi (specialmente durante i periodi glaciali). Molte volte la
scarpata continentale è piena di canyons sottomarini. In alcuni casi, come in Sicilia, i vari canyons vanno a
legarsi in un’unica struttura. Si ha una parte iniziale molto incisa mentre verso le zone distali si ha meno
incisione: si passa dai canyons ai canali. L’effetto erosivo dei canyons è dovuto alle frane o alle correnti di
torbida.
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Si è visto che anche le correnti di marea o le correnti di densità vanno ad instaurarsi lungo i canyon e
possono essere correnti molto ricche di nutrienti e formare particolari faune con organismi. Anche gran parte
del materiale prodotto dalla costa viene trasportato fino dentro i canyons e può essere trasportato fino alle
conoidi di mare profondo: si parla principalmente di plastiche e microplastiche, inquinanti di vario tipo.

Piana bacinale
Sistemi di canale sottomarino ed argine
Dentro i canyons quindi ci stanno le correnti
di torbida e le particelle più fini hanno la
possibilità di staccarsi dalla nube e migrare
costituendo poi l’argine, costituito quindi
solo da sedimenti fini (quelli grossolani
rimangono dentro il canale). Ci sono
differenze significative in relazione alla
grandezza dei granuli: si ha un ambiente ad
alta energia e sedimenti relativamente
grossolani all’interno del canale, mentre un
ambiente ad energia limitata e sedimenti fini nell’argine.

Lobi deposizionali
Si formano in generale in corrispondenza della diminuzioni del gradiente del fondale dove i flussi torbiditici
rallentano, si espandono e perdono gran parte del loro carico sedimentario.
Al loro interno si riconoscono canali distributari e lobi deposizionali. Rappresentano il sito nel quale si
deposita la gran parte dei sedimenti trasportati dai canyon e dai canali sottomarini; spesso i canali distributari
sono erosivi e si hanno depositi grossolani. Il canale dà origine a differenze di riflettività e piccoli canaletti
distributari: ce n’è uno principale (il fiume) poi lobi e canali distributari anche nelle zone di delta. Si ha
quindi un processo di rallentamento dei fluidi carichi di sedimento.
I lobi sono strutture effimere che si muovono e migrano sul fondo.

Decantazione
Processi pelagici
I sedimenti pelagici si depositano sui fondali marini in mare aperto e sono composti prevalentemente da
componenti biogenici. Nelle aree vicino ai continenti sono diluiti da componenti clastici e costituiscono i
sedimenti emipelagici.
I principali fattori che controllano l’accumulo dei depositi pelagici sono la produttività e la dissoluzione dei
gusci degli organismi nella colonna d’acqua. Le acque corrispondenti alla regione con il minimo di ossigeno
hanno elevati contenuti di nutrienti. Quando queste acque risalgono (upwelling) danno origine a grossa
produttività superficiale. In genere gli organismi associati a queste fioriture hanno gusci silicei (diatomee e
radiolari). Le zone dove avvengono questi fenomeni sono caratterizzate da fanghi silicei.

I gusci possono disciogliersi a qualche km di profondità: i carbonati si sciolgono sempre più scendendo in
profondità. La superficie in cui la dissoluzione aumenta considerevolmente è chiamata lisoclino; poche
centinaia di metri sotto al lisoclino c’è la superficie di dissoluzione della calcite (CCD) al di sotto della quale
la calcite non si accumula sui fondali più profondi. La profondità di compensazione varia in funzione della
temperatura e salinità delle acque e in funzione della mineralogia della fase carbonatica precipitata dagli
organismi. I gusci dei diversi organismi si dissolvono a profondità diverse.
La silice ha un tasso di dissoluzione più basso e così al di sotto della CCD si accumulano fanghi silicei.
La migrazione dei fluidi avviene in ambienti di deposizione. Spesso migrano fluidi caldi legati al
vulcanesimo ma in questo caso non sono necessariamente caldi ma danno origine anch’essi a oasi di mare
profondo. Risalgono verso l’alto perché si trovano in condizioni di sovrapressione in aree di flussi
relativamente focalizzati e possono essere emessi sul fondale marino. I fluidi in risalita possono provocare
anche la mobilizzazione dei sedimenti all’interno della colonna stratigrafica e la loro risalita. Sul fondo del
mare si possono così formare dei vulcani di fango. In altri casi i gas in risalita possono dare luogo a delle
esplosioni con emissione del sedimento e formazione di piccoli crateri circolari chiamati pockmarks.
In altri casi i fluidi possono raggiungere il fondale dove possono dare origine a condizioni ambientali
particolari dove possono svilupparsi faune metanogeniche che danno il via alla catena alimentare.

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L’emissione dei fluidi sul fondale può essere molto variabile nel tempo e spesso intermittente. Si creano
perciò condizioni ambientali molto variabili nel tempo.
In questo caso i produttori primari consistono in generale di batteri chemiosintetici (che, come per la
fotosintesi, coinvolge una sorgente di energia, anidride carbonica e acqua, per produrre zuccheri e
carboidrati) che molto spesso formano dei tappeti sul fondale marino; hanno pigmenti e colorazioni
differenti.
Queste oasi sono limitate nello spazio: gli effetti sono metano/zolfo ecc… e diminuiscono rapidamente
allontanandosi dalla zona di formazione.
Allontanandosi progressivamente dal punto di emissione la concentrazione degli elementi utili per la
chemiosintesi diminuisce rapidamente e iniziano a prevalere i macroorganismi finché si ristabiliscono
condizioni ambientali normali.

L’UOMO E L’OCEANO
L’inquinamento consiste nell’introduzione, in modo diretto od indiretto, da parte dell’uomo, di sostanze o
energia nell’ambiente marino con conseguenti effetti deleteri quali danni alle risorse viventi, rischi per la
salute umana, limitazioni delle attività marine comprendenti la pesca, peggioramento della qualità per l’uso
di acqua marina (United Nations Joint Gropu of Experts on the Scientific Aspects of Marine pollution in
1982).

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Alcuni composti chimici che si trovano negli oceani come inquinanti possono essere immessi da cause
naturali. Un esempio è l’emissione di olio dal fondale marino per cause naturali nelle zone di emissioni
fredde.
Circa il 75% dell’inquinamento che interessa gli oceani è prodotto sulle terre emerse. Un inquinante crea
danni interferendo direttamente od indirettamente con i processi biochimici degli organismi.

Gli inquinanti tendono a concentrarsi in tre parti degli oceani.


- Il fondale marino  gli inquinanti si combinano, tramite legami chimici, alle particelle che
costituiscono l’argilla e il silt; in altri casi decantano direttamente come solidi sul fondale marino.
- sotto il fondale gli organismi detritivori possono mescolare i sedimenti inquinati e portarli anche
più in profondità al di sotto del fondo. Questo tipo di segregazione avviene comunemente negli
estuari, dove l’acqua salata è a contatto con quella dolce.
- L’interfaccia acqua-aria essa costituisce una zona di accumulo di inquinanti disciolti o solidi in un
livello molto sottile che rappresenta un microlivello spesso 0,1-10 mm conosciuto come livello
neuston.

Gli idrocarburi
Il petrolio è una miscela complessa di idrocarburi costituiti da
molecole di idrogeno e carbonio con quantità minori di azoto ed
altri metalli legate in varie proporzioni e strutture molecolari.
Solo una parte marginale del petrolio presente negli oceani è
dovuta ad incidenti che coinvolgono petroliere. Circa 1/3 è
dovuto ai fiumi che trasportano i rifiuti di idrocarburi non trattati
da uso domestico ed industriale all’oceano. Il secondo maggiore
contributo è legato al traffico marittimo commerciale. Una
grande fonte è anche rappresentata dalle raffinerie costiere. La
parte rimanente risulta da emissione naturale, precipitazione
dall’atmosfera.

Quando l’olio viene sversato in mare una serie di fattori chimici, fisici e biologici interagiscono nella sua
trasformazione. L’espansione naturale della chiazza di petrolio e l’avvezione da parte di correnti e venti ne
aumentano l’area. La degradazione dell’olio in CO2 da parte di microbi e la sua ingestione e il successivo
metabolismo da parte del plankton e di organismi più complessi ne cambia la composizione e disperde la
chiazza in modo ancora più efficace.

Il tempo impiegato dai diversi processi per degradare lo sversamento sono molto variabili ed agiscono a
scale temporali molto diverse. Le onde e le correnti sono molto importanti perché favoriscono l’espansione
ed agiscono rapidamente.

E’ molto importante anche la composizione


dell’olio che ne determinare la dissipazione e
dispersione. La frazione leggera evapora. I
componenti solubili in acqua si dissolvono e
vengono miscelati e portati verso il basso nella
colonna d’acqua da processi di mixing.

L’emulsificazione dell’olio è il processo tramite il quale goccioline d’acqua vengono sospese nell’olio. I
componenti pesanti si emulsificano in globuli, che possono infine diventare palle di asfalto che si
appesantiscono gradualmente e sprofondano sul fondo o vengono accumulati a riva. Qui si decompongono
lentamente o vengono sepolti da sedimenti.

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L’emulsione è molto viscosa e più persistente dell’olio ed è chiamata mousse al cioccolato e causa
l’espansione dell’inquinante e un incremento di volume di 3 o 4 volte. L’emulsion rallenta gli altri processi
di degradazione complicando l’inquinamento.

I diversi habitat marini sono interessati da una perdita di idrocarburi in modo diverso. Le perdite in mare
aperto sono meno pericolose di quelle in ambiente costiero perché la chiazza si espande rapidamente
lateralmente per l’azione delle onde delle correnti e dei venti. In questo modo la chiazza si diluisce e diventa
meno tossica. Il fondale si trova a profondità elevate e può anche non risentire della perdita.

Nel caso della deep water horizon nel quale il gas era emesso a una profondità di 1500 m il fondale al di
sotto della piattaforma è stato impattato in modo pesante.
Nello stesso evento anche le zone costiere sono state interessate in modo molto importante.

Possibili rimedi
Per mitigare gli effetti degli sversamenti di petrolio sono usate varie tecniche. In genere si utilizzano boe
galleggianti per contenere e canalizzare l’olio che può essere pompato per trasferirne il residuo su navi. I
dispersivi chimici a volte sono più inquinanti dell’olio stesso, mentre in altri casi fanno esclusivamente
sprofondare l’olio sul fondo. L’olio può anche essere bruciato. La migliore strategia rimane quella di filtare
l’olio. Se arriva a costa va eliminato senza interferire con i sedimenti.
Si sta anche valutando la possibilità di biorimediazione stimolando lo sviluppo di microrganismi che si
nutrono di composti del petrolio.

Inquinanti normali
L’uomo introduce negli oceani una grande varietà di materiali, sia naturali (come le acque reflue) sia
artificiali (come ad esempio la plastica). In questo secondo caso molte sostanze, come i metalli pesanti, sono
molto tossiche e talvolta letali anche in basse concentrazioni. Altri favoriscono la crescita di agenti patogeni
che possono infestare l’acqua e causare malattie. Il numero di composti chimici che viene immesso
nell’ambiente dall’uomo aumenta ogni anno.
La maggioranza degli inquinanti che si trovano nei porti, estuari, baie e aree umide come lagune sono
introdotti attraverso lo scarico dei fiumi. Quando raggiungono le aree costiere gli inquinanti sono diluiti da
processi di miscelamento, a meno che le acque non siano stagnanti.

In aree dove sono efficaci i processi di ridistribuzione (onde, correnti, maree…) la diluizione di un fattore di
uno a mille avviene normalmente in poche ore. Comunque il carico di inquinanti dei fiumi è in molti casi
troppo alto e ha superato la capacità di auto-pulizia dell’ambiente marino.
In genere, le particelle più leggere tendono a rimanere in sospensione mentre quelle più pesanti tendono a
depositarsi sul fondo. Parte delle particelle possono essere disperse orizzontalmente da correnti lungo il
picnoclino. Altre possono raggiungere il microlivello neuston.

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La decantazione e l’accumulo sul fondo dei contaminanti in genere produce una zona interna che consiste di
una fanghiglia altamente contaminata con mancanza o scarsità di infauna. La popolazione bentonica viene
impoverita e talvolta può includere membri nani. Può essere poi presente un’area con un incremento
drammatico del numero di organismi molto al di sopra delle popolazioni normali. Allontanandosi
dall’ambiente impattato poi si arriva alle condizioni ecologiche normali di un fondale non interessato
dall’inquinamento.
Le acque reflue sono una miscela di composti chimici organici ed inorganici. Nelle acque reflue sono
abbondanti la materia organica e nutrienti inorganici, come i nitrati e i fosfati, e microbi. Questi possono
raggiungere la zona costiera.
Il fosforo e l’azoto sono utilizzati nell’agricoltura (sia per le colture che per gli allevamenti) nell’industria e
nei detergenti e detersivi. Il fosforo e l’azoto non uccidono gli organismi ma agiscono piuttosto come
nutrienti e fertilizzanti che velocizzano la crescita degli organismi autotrofi marini. Possono dare origine a
fioriture che in genere consistono di una specie dominante di fitoplankton che cresce in modo esponenziale e
domina gli altri organismi. Si può avere l’ipossia.

I fosfati e i nitrati sono nutrienti critici per la fotosintesi. Quando sono


soggette a un alto dosaggio di nutrienti, le acque costiere rispondono
alimentando lunghe fioriture con alta densità di plankton un processo
biologico che porta alla saturazione delle acque con cellule algali, che
muoiono e si decompongono causando un grave consumo di ossigeno.
La biological oxygen demand (BOD) può creare il fenomeno
dell’eutrofizzazione e la colonna d’acqua diventa ipossica (bassi
livelli di ossigeno) o anossica (mancanza totale di ossigeno).
L’eccessiva fertilizzazione a lungo andare danneggia la catena trofica
può causere la morte di massa di organismi e minare l’equilibrio
chimico e biologico dell’ambiente.

Più del 50% dell’input di azoto alle acque del golfo della Luisiana è
dovuta allo scarico di fertilizzanti da parte dei fiumi.

I metalli pesanti
Il termine metallo pesante è applicato in senso ampio a una serie di elementi: piombo, mercurio, cadmio,
arsenico e rame che tipicamente si presentano in traccia nell’ambiente.
Alcuni metalli pesanti rivestono un ruolo fondamentale nella fotosintesi e nel metabolismo cellulare. In alti
dosaggi diventano altamente tossici per la vita e diventano veleni mortali. Lo scarico dalle aree urbanizzate
può aumentare la bassa concentrazione naturale di questi elementi di ordini di grandezza.

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Il mercurio è molto velenoso e si accumula nelle cellule e danneggia il sistema nervoso centrale degli
organismi superiori. Resiste alla degradazione e rimane nell’ambiente per periodi molto lunghi. E’ prodotto
dall’uomo come sottoprodotto dell’industria della carta, delle vernici antivegetative che vengono utilizzate
per le chiglie delle navi, ed è un ingrediente chimico dei pesticidi e di alcuni medicinali.
Il mercurio tende ad essere assorbito sulla superficie dei granuli di sedimento. Il mercurio è soggetto alla
bioaccumulazione che consiste nella concentrazione nel tessuto degli organismi e alla biomagnificazione
cioè alla sua concentrazione in quantità sempre maggiori ad ogni grado della catena alimentare.
L’ingerimento di organismi con alte concentrazioni può portare a gravi disfunzioni e anche alla morte, come
testimoniato dal caso di Minamata che colpì 2000 persone (43 morti e 700 resi disabili).

Il DDT e i PCB
Un altro gruppo importante di inquinanti è quello degli idrocarburi idrogenati o organoclorurati fra i quali il
DDT (Dicloro difenil tricloroetano) e i il PCB (policlorurato bifenile). Essi contengono il cloro, fluoro,
bromo e iodio. Essi non sono facilmente biodegradati e vengono assorbiti facilmente dalle particelle di fango
e silt; sono ingeriti dagli organismi e particolarmente dai detritivori con il fenomeno della bioaccumulazione
e biomagnificazione.

Il DDT è un composto fortemente tossico che è stato utilizzato in modo estensivo come pesticida
nell’agricoltura dal 1939 al 1960 (quando è stato bandito dagli Stati Uniti). Una parte del DDT resta
nell’atmosfera come aerosol, un’altra parte viene trasportato dai fiumi in quanto assorbito dai sedimenti. La
sua presenza è stata riscontrata negli oceani profondi e nelle nevi dell’Antartide.
Il DDT entra nella catena alimentare tramite il plankton che lo immagazzina nel grasso. È soggetto al
fenomeno della biomagnificazione. Di alcuni molluschi si sono registrati casi di aumento di 600000 volte il
contenuto nell’ambiente circostante.

I PCB sono stati prodotti per la prima volta nel 1929 e sono stati banditi alla fine degli anni 70. I PCB sono
rilasciati nell’ambiente tramite l’incenerimento senza regole di rifiuti, in particolar modo vernici e
componenti elettrici. Vengono poi trasportati dal vento e possono essere trasmessi all’ambiente marino.

La concentrazione dei PCB nella parte


superficiale degli oceani è decresciuta di più
del 90% a partire dal 1970. Circa il 75% di
questa riduzione è dovuta però al
seppellimento negli oceani, solo il rimanente
è stato degradato nell’acqua di mare o è stato
diffuso nell’atmosfera.

Le microplastiche
Le correnti oceaniche hanno una grande influenza nell’accumulare la spazzatura e nel formare le cosiddette
isole di spazzatura.
Lo spessore e la consistenza delle isole di spazzatura sono variabili. In ogni caso hanno un grandissimo
impatto sulla vita sulla superficie degli oceani.
La plastica non è biodegradabile, non si disintegra. La plastica si frammenta in particelle sempre più piccole
che prendono il nome di microplastiche e nanoplastiche.
Negli ultimi anni è perciò aumentata la consapevolezza dell’importanza dell’inquinamento ad opera delle
microplastiche.
La pericolosità delle microplastiche è dovuta alla loro resilienza, allo svariato modo di interazione con
l’ambiente e con gli organismi.

Gli effetti del cambiamento globale


L’effetto serra è fondamentale per la vita sulla terra. Senza l’effetto serra la temperatura atmosferica sarebbe
di -18°C. In un sistema naturale i processi vulcanici e geotermici, il decadimento e la combustione della
materia organica, la respirazione ed altri sorgenti biologiche sono responsabili per l’immissione
nell’atmosfera di gas serra.

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Gas quali la CO2, il vapore acqueo, il metano, i CFC… costituiscono i gas responsabili dell’effetto serra.
Essi assorbono ed intrappolano calore che altrimenti si irradierebbe al di fuori dell’atmosfera e vanno ad
aumentare la temperatura dell’atmosfera.
La fotosintesi e l’assorbimento da parte degli oceani hanno la capacità di mitigare almeno in parte il
sovrariscaldamento.
La temperatura globale della terra varia nel tempo. La temperatura negli ultimi 18000 anni è andata sempre
aumentando. Però la velocità di crescita è aumentata enormemente negli ultimi anni. Questo riscaldamento è
dovuto in larga parte all’effetto serra, legato all’intrappolamento del calore nell’atmosfera.
La richiesta di energia, soprattutto in seguito alla rivoluzione industriale, ha immesso quantità non naturali di
anidride carbonica nell’atmosfera a causa dell’utilizzo dei combustibili fossili.
A seguire l’ultima deglaciazone c’è stato un aumento della temperatura di 5°C. Gran parte di questo aumento
è avvenuto a partire dal 1750 circa.
Anche la temperatura degli oceani è aumentata considerevolmente negli ultimi secoli.
LA CO2 attualmente cresce dello 0.4 ogni anno.

Effetto sulle barriere coralline


La sbiancatura dei coralli consiste nell’espulsione da parte dei coralli dei simbionti dinoflagellati
(zooxanthellae). I coralli ermatipici dipendono da questi dinoflagellati per una porzione del loro fabbisogno
di carboidrati e ossigeno.
La consapevolezza della minaccia rappresentata dall’aumento di temperatura sulle barriere coralline venne
riconosciuta a partire dal 1982-83 con l’evento ENSO a Panama. Quest’ultimo mise in luce l’associazione
fra un evento climatico associato ad un riscaldamento e la sbiancatura dei coralli. In seguito sono stati
osservati vari episodi di sbiancatura.
Più del 90% degli episodi di sbiancamento sono stati associati ad aumento della temperatura. Essi erano
molto rari od assenti prima del 1979. Quando la temperatura diventa più alta di 1°C rispetto alla temperatura
normale dell’estate, anche per poche settimane, i polipi dei coralli espellono i loro dinoflagellati, diventano
bianchi, deperiscono e infine muoiono. Se la temperatura non scende in poche settimane alghe filamentose o
altri decompositori prendono il sopravento sui polipi.
L’evento caldo del El Nino del 1998 ha visto la morte di circa il 16% dei coralli viventi in tutto il mondo.
Con il riscaldamento degli oceani è probabile che nel futuro andremo incontro a un aumento degli episodi di
sbiancamento.
Negli scorsi 200 anni l’oceano ha assorbito circa il 35% dell’eccesso di CO2 generato dalla combustione di
combustibili fossili.

L’acidità della superficie degli oceani si è innalzata di circa il 30%. Il pH dell’acqua si è già abbassato di 0. 1
unità. La media del pH dell’acqua è scesa di 0.025 unità a partire dal 1990 ed si attende che scenderà a 7.7
entro il 2100.

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Anche l’incremento dell’acidità degli
oceani costituisce un importante
minaccia per le barriere coralline.
Siccome l’oceano sta subendo
l’aumento della CO2 a causa
dell’incremento di uso di
combustibili fossili, si forma acido
carbonico e il pH diminuisce e sono
disponibili meno ioni carbonato per
la calcificazione.
Uno studio ha evidenziato che i
Poriti, un genere di coralli, ha
diminuito in sedici anni la
calcificazione con conzeguente
riduzione della densità dello
scheletro del 0.36% per anno. La
minore disponibilità di ioni
carbonato impatta sugli organismi
che costruiscono i gusci. Nel futuro
questi organismi avranno sempre più
difficoltà a costruire i loro scheletri.

Anche l’innalzamento del livello del mare può avere un forte impatto sulle barriere coralline. La capacità di
crescita dei reef è infatti di 1mm/anno, valore molto vicino al valore stimato per l’innalzamento del livello
del mare. Un aumento della velocità di risalita può superare quella che è la capacità di crescita verticale dei
reef e il loro conseguente annegamento.

L’innalzamento del livello marino


Lo scioglimento dei ghiacci contribuisce ad aumentare il volume degli oceani. Inoltre, anche l’aumento di
temperature e la conseguente espansione dell’acqua con aumento di volume può portare ad un ulteriore
aumento del volume degli oceani.
Anche le stime più benevole indicano innalzamenti del livello marino di 0.5-1 m. Soprattutto si prevede un
incremento molto marcato rispetto anche alla tendenza della parte iniziale di questo secolo.

Lo scioglimento dei ghiacci può portare ad un importante influsso di acqua dolce nelle zone dove si produce
l’acqua fredda nel nord Atlantico. Questo può far si che la tendenza allo sprofondamento sia meno
accentuate e può portare a un rallentamento del conveyor belt oceanico. Alcune ricerche hanno mostrato che
la circolazione nell’Atlantico ha rallentato del 15% rispetto al secolo scorso. Questo può avere profonde
influenze sulla terra. Può portare ad esempio ad alterazioni del clima con estremi molto accentuate.
Potrebbero verificarsi inverni più freddi ed estate più calde, variazioni delle piogge, acque più calde
localmente ed incremento dell’effetto delle tempeste.

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