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ARCHEOLOGIA SUBACQUEA

Nei primi anni di diffusione della disciplina si è andati in contro a lunghi dibattiti che hanno messo in
discussione il concetto stesso di archeologia. Il fattore più importante è però certamente costituito dal
rilievo e dalla specificità dei problemi tecnici che si presentavano agli archeologi. Lo sviluppo delle ricerche
archeologiche subacquee è dipeso naturalmente in modo molto stretto dall’evoluzione delle tecniche
sottomarine. L’innovazione più importante, introdotta nei primi anni della diffusione della disciplina, è stata
l’autorespiratore autonomo messo a punto nel 1943 da Cousteau e Gagnan. La maggior parte degli
archeologi continuò a disinteressarsi di questo nuovo campo di ricerca. Ma l’immersione subacquea
conobbe da allor auna larghissima diffusione. Nel corso degli anni le scoperte archeologiche divennero
sempre più numerose. Solo due archeologi Benoit e soprattutto Nino Lamboglia, capirono l’interesse che
questo nuovo campo d’indagine avrebbe potuto suscitare, e si applicarono a favorire le ricerche
sottomarine. Si deve in particolare a Nino Lamboglia il primo scavo di un relitto la cui scelta si fondava su
criteri puramente archeologici e il tentativo di introdurre negli scavi sottomarini il rigore dei metodi di
rilevamento dell’archeologia terrestre. Non praticando l’immersione personalmente Benoit e Lamboglia
dovettero affidarsi, per la conduzione dello scavo , all’esperienza dei loro sommozzatori, senza avere la
possibilità di intervenire e osservare di persona i molteplici dettagli. Fu necessario attendere il 1960 per
vedere gli archeologi tuffarsi personalmente e occuparsi senza intermediari della conduzione di uno scavo
sottomarino, sul relitto di Capo Chelidonia. Da allora parecchi gruppi archeologici hanno seguito la stessa
strada. Le ricerche subacquee furono rapidamente considerate un ramo nuovo e autonomo
dell’archeologia. Il riconoscimento di questa autonomia avvenne nel 1955 dal I Congresso internazionale di
archeologia sottomarina, organizzato a Cannes.
L’archeologia subacquea permette di ottenere dati raramente offerti dall’archeologia terrestre
permettendo l’approfondimento di numerosi studi. I relitti forniscono informazioni fondamentali sulla
storia economica, e permettono di comprendere meglio il carattere , il volume e la direzione degli scambi
marittimi in epoche diverse. Accanto allo studio delle tecniche di costruzione navale e i sistemi di
navigazione e l’architettura portuale, vi è anche lo studio di tutti quei reperti, oggetti votivi e offerte, che
sono stati gettati intenzionalmente in mare o nell acque dei laghi e dei pozzi sacri.
La tecnica dell’immersione subacquea deve il suo determinante progresso all’invenzione
dell’autorespiratore ad aria, tuttavia la capacità di immergersi e di nuotare sott’acqua ha lontane origini.
Gia nell’Iliade e nell’Odissea è presente un accenno a uomini abili a nuotare sotto la superficie marina. In
Grecia la pesca delle spugne fu da sempre una delle attività più diffuse, attuata con l’impiego di nuotatori
particolarmente addestrati a immergersi. Ai primi pescatori di spugne sono riferite le prime osservazioni
scientifiche, dovute ad Aristotele, sui pericoli che, per il fisico umano, potevano derivare dalle frequenti
immersioni, come l’aria trattenuta a lungo nei polmoni.
In età romana operava una corporazione di sommozzatori, gli urinatores, impegnati nel recupero di merci
calate a picco con la nave sulla quale erano trasportate o gettate in mare per alleggerire l’imbarcazione in
momenti di difficoltà o cadute accidentalmente ; a questi sommozzatori erano dovuti dei compensi in base
alla profondità e difficoltà.
Nel Rinascimento le immersioni e i recuperi continuarono. In questo periodo sembrano anzi svilupparsi
nuove curiosità e un accresciuto interesse verso l’ignoto mondo marino. Numeroso furono le invenzioni, in
molti casi solo teoriche ma vi furono anche alcuni tentativi di applicazione. E’ da ricordare l’importante
opera di recupero dei materiali delle navi romane del lago di Nemi. Su invito del cardinale Colonna il primo
a cimentarsi in questa impresa, ma senza ottenere risultati fu Leon Battista Alberti, nel 1446. Dopo avere
fatto esplorare il fondo da alcuni esperti nuotatori genovesi e aver fatto costruire una zattere, egli fece
agganciare dagli uncini di ferro a uno dei relitti con la speranza di poterlo sollevare mediante delle funi fino
alla superficie. Si riuscì a recuperare appena un frammento dell’imbarcazione. Un secondo tentativo fu
intrapreso dall’ingegnere De Marchi nel 1535 con l’ausilio di una campana di legno ; fu un tentativo che
contribuì al disfacimento del relitto.
Un grande passo in avanti fu compiuto con il perfezionamento delle campane batiscopiche, gia note
nell’antica Grecia .Dopo vari tentativi, il tipo più evoluto fu messo a punto da Halley. Questo strumento fu
impiegato nel 1664 nel recupero di una cinquantina di cannoni di Bronzo del relitto della nave svedese
Vasa. Queste vennero impiegate anche nel recupero delle navi del lago di Nemi, provocando ancora una
volta dannose asportazioni. Dopo secoli di tentativi non riusciti, con la grandiosa impresa di
prosciugamento del lagno negli anni che vanno dal 1928 al 1932, fu infine condotto al termine il recupero
delle navi Romane di Nemi. Imbarcazioni romane appartenute all’imperatore Caligola. Una rappresentava
un tempio, l’altra un palazzo reale galleggiante. Navi ricchissime , strutture straordinarie. Tragicamente le
due imbarcazioni furono distrutte in seguito ad un bombardamento tedesco di ritirata nel 1944 ( nella notte
tra il 31 maggio e il 1 giugno) , restano solo lo studio di Ucelli e i preziosi rilievi di Gatti.
La scoperta decisiva per il progresso della tecnica di immersione venne conseguita nel 1942 dall’ingegner
Gagnan e dall’ufficiale della marina francese Cousteau : ad essi infatti si deve il rivoluzionario
autorespiratore, che consentì anche all’archeologo di operare direttamente. Il grande assente sott’acqua
era l’archeologo. Per molti anni gli archeologi hanno continuato a delegare a sommozzatori l’intervento sui
siti archeologici subacquei.
Per quanto concerne l’Italia, spetta a Lamboglia il merito di aver compreso per primo l’importanza
dell’archeologia sottomarina. Il primo intervento ( 1950) riguardò l’importante relitto di una nave romana
da carico del I secolo a.C affondata nelle acque di Albenga e non fu esente da problemi per il recupero
delle anfore in quanto si fece uso della benna meccanica : “ Il cimitero di anfore provocato dalla benna”. Fu
proprio questa triste esperienza che fece maturare in Lamboglia l’esigenza di affinare le tecniche di scavo
sottomarino rifacendosi a quelle dello scavo terrestre : si introdusse la quadrettatura, lo scavo stratigrafico
subacqueo. A partire dai primi scavi pionieristici, si sono progressivamente moltiplicati gli interventi in tutto
il Mediterraneo e al di fuori di esso.
Il rapido sviluppo delle tecniche di immersione condusse alla promozione del I Congresso internazionale di
archeologia sottomarina, tenuto a Cannes nel 1955. In esso si evidenziò l’opportunità di organizzare e
approntare metodi di documentazione più rigorosi e scientifici. Al 1959 risale la fondazione del Centro
Sperimentale di archeologia sottomarina ad Albenga ad opera di Lamboglia.
Le strutture originariamente terrestri oggi sommerse sono varie quasi quanto quelle emerse, anche se
meno numerose : abitazioni, santuari ed edifici pubblici, pozzi etc. Queste costruzioni sono talvolta
sprofondate in modo naturale nel mare, ma più spesso sono state sommerse in seguito a movimenti
eustatici ( variazione del livello del mare e deformazioni tettoniche della terra). Dal punto di vista
archeologico lo studio di queste strutture rappresenta il prolungamento naturale dell’archeologia terrestre.
I siti terrestri sommersi a poca profondità però vengono irrimediabilmente distrutti dall’azione ripetuta
delle onde.
Per l’archeologia subacquea , fondamentale è lo studio dell’architettura portuale, ricordiamo i casi famosi
di Ostia, Leptis Magna o Marsiglia. Gli ancoraggi ci offrono invece importanti testimonianze sull’attività
marittima. Il tipo migliore di fonda è evidentemente costituito da una baia più o meno chiusa, o una piccola
insenatura, orientata in modo da offrire alle imbarcazioni un riparo sicuro dal cattivo tempo. In mancanza di
questi ancoraggi, un capo o un promontorio, un’isola o un gruppo di isolotti possono offrire sufficiente
rifugio alle imbarcazioni per gettare l’ancora in acque profonde, e ripararsi in caso di maltempo.
I Relitti di navi sono certamente i più numerosi e fra i più celebri. Essi testimoniano l’importanza del ruolo
svolto per lungo tempo nel quadro degli scambi commerciali. Il commercio antico fu fondamentalmente
marittimo Dal punto di vista della storia economica, e specialmente del commercio marittimo, un relitto
costituisce quindi una testimonianza fondamentale. In base alla sua posizione e all’origine del carico il
relitto fornisce elementi importanti sulla rotta seguita ed eventualmente sugli scali effettuati. Il tipo, la
composizione e l’importanza del carico permettono di precisare la natura, l’organizzazione e il volume degli
scambi commerciali. Le scoperte dei relitti sono fortuite o dovute ai sommozzatori. Il rinvenimento dei
relitti dipende anche dalle loro condizioni di conservazione e di visibilità. Da questo punto di vista, avranno
un ruolo determinante le caratteristiche del fondo marino e la natura del carico. Le coste sabbiose sono
poco favorevoli alla scoperta dei relitti. In realtà è necessario il concorso di circostanze favorevoli ( come
una tempesta sufficientemente violenta da spostare grandi quantità di sabbia o un assestamento del
drenaggio) perché i relitti possano essere dissepolti e individuati. La natura del fondo cambia con il variare
della profondità. Si può dire che più ci si allontana dal litorale e dalla sua influenza, più i processi di
sedimentazione diminuiscono e di conseguenza i relitti diventano visibili in misura maggiore. Qualunque sia
l’importanza del fondo marino nella conservazione dei relitti, questi non subiranno mai un processo di
deterioramento uguale. Essi sono sottoposti infatti a una vera e propria selezione, che dipende dalla
presenza o meno di un cario, e dalla sua eventuale natura. Se un’imbarcazione non ha merci a bordo dello
scafo sarà corroso molto rapidamente dalle teredini e attaccato dai microorganismi. Il relitto finirà cosi per
scomparire. Questa disgregazione sarà tanto più rapida e completa, quando più debole sarà la
sedimentazione e più forti gli effetti dell’erosione meccanica e del moto ondoso e delle correnti. La
conservazione e il ritrovamento dei relitti sono dovuti alla presenza di un carico composto da materiali non
soggetti ad imputridire. Lo stato del relitto dipenderà, in primo luogo dalle condizioni e dalla violenza del
naufragio. Una volta stabilito , in base alle circostanze del naufragio, l’aspetto iniziale del relitto, si
dovranno considerare gli altri fattori intervenuti molto rapidamente a modificarlo.
Le condizioni dei fondali coperti da vegetazione e i resti delle imbarcazioni , per quanto rapidamente
dispersi, sono in seguito gradualmente ricoperti e protetti dalla “matta”. Al contrario , l’azione continua
delle onde sui fondali rocciosi privi di vegetazione distrugge gradualmente le strutture e il carico. Con
l’aumentare della profondità , diminuiscono gli effetti del moto ondoso , ed è più facule ritrovare resti di
imbarcazioni il cui carico abbia mantenuto la posizione originaria all’interno dello scafo. I fondali più
favorevoli alla conservazione dei relitti sono le distese pianeggianti sottomarine coperte di sabbia o di
posidonie. I processi di formazione di un relitto sono tali che le modificazioni e le distruzioni sono più o
meno inevitabili. Frederic Dumas ha distinto 3 fasi fondamentali nel processo di formazione di un relitto:
l’inabissarsi, l’impatto con il fondo e la dislocazione dello scafo. Un altro processo è la decomposizione del
legno dello scafo, causata dall’azione della fauna e della microfauna marina, nonché il graduale
sprofondamento e deposito di sedimenti sul relitto. Un terzo fenomeno interviene nella trasformazione dei
resti dell’imbarcazione e si tratta della formazione di concrezioni. Attirando su di sé la fauna e la flora, il
relitto favorisce l’accumularsi di concrezioni calcaree . Questo fenomeno è ancor più spettacolare in
imbarcazioni con un carico di oggetti metallici.
Il secondo tipo di depositi presi in esame sono “ i getti a mare”. Operazione che consente di alleggerire la
nave in pericolo nel tentativo di evitare il naufragio.

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