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Dai relitti nel Golfo di Baratti al caso del bastimento "Polluce" all'Elba
Robot subacquei filoguidati, scafandri ultrasofisticati, mute speciali che perme
ttono immersioni in alta profondità, "sid scan sonar", "sub bottom profiler": oggi le più sofisticate tecnologie sono disponibili per il recupero dei relitti che gi acciono da secoli sotto il mare. I cavi d'acciaio per imbragare? Preistoria? La benna della nave Artiglio che, nel 1950, fece strage di anfore nel mare di Alben ga? Qualcosa di glorioso, ma rozzo, qualcosa che ormai appartiene ai tempi eroic i dei primi ritrovamenti. Giovanni Lattanzi, giornalista e fotografo specializza to in archeologia, racconta nel libro "Navi e città sommerse" (Laterza, pagg. 211, 45mila) la storia dei più celebri ritrovamenti, accompagnandola con una ricca doc umentazione fotografica, spiegando inoltre come si è evoluta la tecnologia subacqu ea. E ampio spazio è dedicato alla Toscana. A partire dalle Navi Antiche di Pisa, gli scheletri di imbarcazioni romane scoperti nel 1998, esempio comunque di un r ecupero che non proviene dal fondo marino. Dai relitti nel Golfo di Baratti al caso del bastimento "Polluce" all'Elba, esem pio comunque di un recupero che non proviene dal fondo marino. Il ritrovamento ha luogo durante una serie di scavi presso la stazione ferroviar ia di San Rossore. Gli scafi emergono sulla terraferma a causa dell'arretramento costiero, nel corso dei secoli, dovuto all'apporto di sedimenti da parte dei fi umi. Duemila anni fa, spiega Lattanzi, intorno a Pisa si estendeva una fitta ret e di canali dove le navi ormeggiavano per trasbordare poi le merci su barche flu viali che le trasportavano in città. Un ritrovamento subacqueo vero e proprio è inve ce quello del relitto del Pozzino, nel Golfo di Baratti. La scoperta risale al 1 974, ma le ricerche entrano nel vivo solo nel 1989, su iniziativa della Soprinte ndenza Archeologica Toscana. Di cosa si tratta? I sommozzatori localizzano un ve liero lungo tra i 15 e i 18 metri e largo 3. Ricco il carico: anfore, vasellame, ceramiche dipinte, coppe di vetri e - ghiotta curiosità - strumenti chirurgici de ll'antica Roma. Ritrovare un relitto significa anche acquisire una miniera di in formazioni sulla vita dei nostri antenati. Quella toscana è stata la prima tra le Soprintendenze italiane ad interessarsi agl i alti fondali. Lo ha fatto - ricorda Lattanzi - proprio con il Progetto Baratti (2001), coinvolgendo lo Stas (Servizio tecnico per l'archeologia subacquea) e c on l'aiuto della Marina Militare che mette a disposizione la nave cacciamine "Cr otone" e i robot Pluto e Min Mk2. Alta tecnologia, dunque. Sofisticati sonar ("s id scan sonar", "multi-beam", "sub bottom profiler" e magnetometri" individuano i possibili relitti sul fondo marino che vengono indicati come "contatti"; le se gnalazioni vengono poi verificate da robot subacquei (i Rov), filoguidati e dota ti di telecamere. A bordo della nave ci sono archeologi marini, geofisici, tecni ci e piloti dei robot. Ma i fondali di tutta la Toscana nascondono antichi relit ti. Celebre la nave romana di Giglio Porto, scoperta dai sommozzatori, nel 1978, a 38 metri di profondità, carica di anfore africane. Come da ricordare sono le navi romane di Punta Scaletta, a Giannutri, delle Form iche di Capraia e delle Secche della Meloria. E come dimenticare il "caso-Polluc e"? È un'operazione perfetta quella dei sub del Comsubin (Marina Militare) che rip orta alla luce, tra l'altro, qualcosa come 10mila monete d'argento, il tesoro de l bastimento affondato nel giugno del 1841 all'Elba, al largo delle coste di Cal amita. Ma il veliero era già stato saccheggiato da alcuni sub inglesi. Il "Polluce " è stato definito una cassaforte della storia, gli studi sul relitto - secondo gl i esperti - potrebbero svelare i segreti delle rotte commerciali dell'epoca. (04 dicembre 2007)